#Analisi teorica
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divulgatoriseriali · 7 months ago
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Il carattere in psicologia: articolo introduttivo al concetto di automatismo comportamentale
Esplorare il concetto di carattere in psicologia è una sfida affascinante, poiché si tratta di un fenomeno tanto complesso quanto sfuggente. Il carattere è più di una semplice descrizione dei tratti comportamentali di un individuo; è piuttosto il tessuto stesso della nostra esperienza, il modo unico in cui ogni persona interagisce con il mondo che la circonda. Per comprendere appieno il…
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rideretremando · 11 months ago
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GLI SPETTRI DI MARK (FISHER) ("TUTTOLIBRI, LA STAMPA").
La mia ultima recensione del 2023 dedicata a Mark Fisher
"Diciamo una verità, come sarebbe piaciuto a Fisher che si professava dogmatista e difensore dell’esistenza “delle Verità”. L’autore di Realismo capitalista non è filosoficamente brillante e preparato come Žižek, non ha la profondità teorica di un Badiou, né la potenza di pensiero di Derrida. Nella sua opera non troverete concetti profondamente innovativi e le sue analisi rischiano sempre di scadere in una sociologia della cultura. Perché allora è importante misurarsi con gli spettri di Mark? Perché ha saputo cogliere un’esigenza strategica che i grandi nomi della filosofia del secondo Novecento non avevano visto: trovare nuove forme e nuovi spazi di scrittura teorica al contempo innovativi e popolari, secondo una logica della contaminazione di temi e stili, di cultura alta e cultura pop, rigore di pensiero e capacità di comunicazione a un vasto pubblico. Ecco la cifra dell’eredità di Fisher, del suo pensare contaminato e aperto a tutti gli spettri, del suo edificio concettuale al contempo affascinante e fatiscente, dolente e perturbate come una vecchia casa infestata ricolma di oggetti pop, vecchi cimeli politici, romanzi di Ballard sparsi ovunque e da qualche parte un vinile che suona Love Will Tear Us Apart dei Joy Division".
Regazzoni su Fisher
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finnianson · 6 months ago
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Marx incontra Gandhi: per una sinistra iniziatica
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Per poter superare il 900' occorre secondo me integrare il sempre contemporaneo e preveggente pensiero di Marx con le trasformazioni, soprattutto legate alla tecnologia, in atto nel multiforme capitalismo finanziario, bellico e liberista nel quale siamo immersi.
Per fare ciò dobbiamo lavorare su una crescita nella analisi teorica e di consapevolezza riguardo a due aspetti fondamentali: 
1) la forza della tecnologia nelle mani delle élite utilizzata per dare vita a tecniche di controllo e ingegneria sociale sempre più sofisticate
2) le implicazioni psicologiche del vivere immersi in una cultura della guerra e della competizione:
La forma della società determina la forma della mente degli individui e crea giovani cittadini sospettosi, competitivi, privi di fiducia verso gli altri, oppure che decidono di non crescere, perché non vi è nulla di buono nella società che li attende. In tutti i casi individui sempre più isolati e soli di fronte alle avversità della vita.
Non a caso i sistemi sociali più attaccati e demonizzati, oggetto di demolizione da parte del sistema sono la scuola, la sanità e le organizzazioni dei lavoratori,
Poiché queste istituzioni hanno nel loro DNA virtù che contrastano il pensiero bellico, come solidarietà sociale, gratuità ed empatia.
Dice a questo proposito il filosofo e linguista Noam Chomsky :
“Ai privati non piace l’istruzione pubblica, per diverse ragioni. La prima ha a che fare con il principio stesso su cui essa si fonda, che dal potere è percepito come una minaccia: il concetto di solidarietà…”
“…Ciò contrasta con la dottrina in base alla quale bisogna pensare solo a se stessi e non curarsi degli altri che restano indietro: il principio cardine del business”
“L’istruzione pubblica è una minaccia a un tale sistema di pensiero perché contribuisce a formare la solidarietà, la comunità, il sostegno reciproco”
Esiste pertanto la necessità di integrare a mio avviso la dimensione della coscienza e della psiche nel pensiero marxista , 
Per due ragioni principali: 
1) attraverso una comprensione del funzionamento della propria psiche basata su meccanismi difensivi e condizionamenti è possibile capire e analizzare i condizionamenti sofisticati messi in atto attraverso le moderne tecniche di controllo e ingegneria sociale
2) soltanto una mente depurata dalla cultura bellica e avente un alto grado di consapevolezza di sé può pensare realisticamente di avviare un processo rivoluzionario.
Un processo rivoluzionario basato su contenuti ineccepibili sarebbe infatti destinato al fallimento se portato avanti da persone con la psiche immersa nei valori della competizione e dei rapporti di forza.
In virtù di tutto ciò rilevo l'esigenza di aggiungere alla lotta di classe anche una lotta tra classi di umanità .
Si tratta a mio modo di vedere di un percorso che ci sarà sicuramente, è solo questione di tempo, perché restare immersi nell'io bellico minaccia la sopravvivenza della specie, come si vede bene dagli episodi di guerra e distruzione che stanno devastando ampie zone del pianeta. 
E ci sono sicuramente strumenti per attuare un processo di trasformazione delle coscienze, precondizione del processo rivoluzionario
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fminvestigazioniaziendali · 10 months ago
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trying2understandw · 1 year ago
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Libri che ci aiutano a capire il mondo? Beh, alcuni, in ogni caso. E un po'.
Books To Help Us Understand The World? Well, a few, anyway. And a bit.
AURELIEN
1 NOV 2023
Dato che alcuni degli argomenti di cui scrivo possono essere controversi, c'è sempre il rischio che si sviluppino discussioni di cattivo gusto su aspetti periferici, come è successo con l'ultimo saggio. Mi preme cercare di mantenere questa zona priva di polemiche (ce ne sono già in abbondanza), quindi cercate di esprimervi con moderazione.
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Quando si scrive regolarmente, senza un elenco fisso di argomenti o un'idea precisa di ciò che si vuole dire in un dato momento, la serendipità interviene inevitabilmente. Sento qualcosa o leggo qualcosa e penso: "Ah, questo è il mio argomento". Guardando le analisi del sito, da qualche tempo mi interessava vedere quanti lettori cliccavano sui link ai libri e sui nomi degli autori che citavo nei vari saggi, e mi ero chiesto se fosse possibile fare qualcosa in merito. Poi il lettore Alex mi ha chiesto dei consigli di lettura: un argomento già affrontato in passato. Dato che il mio prossimo saggio in programma, sul simbolismo di Gaza e dell'Ucraina, era ancora solo una bozza nella mia testa, ho pensato di provarci.
Sono riluttante a produrre elenchi di letture, perché anche se ho avuto molto a che fare con le università e con l'insegnamento e la formazione in generale, non sono uno specialista accademico in nessun settore, mentre so che molti membri di questo illustre gruppo di commentatori lo sono. Proverò quindi a fare qualcosa di più modesto: inizierò una discussione su alcuni dei libri e degli scritti che ho trovato utili per sviluppare la mia visione del mondo, e vedrò chi vorrà aggiungerli, o comunque contestarli. I miei saggi, ovviamente, non dipendono principalmente dall'apprendimento dei libri: Scrivo quasi esclusivamente su argomenti di cui ho una certa conoscenza ed esperienza personale. Tuttavia, così come mi capita spesso di imbattermi in persone che hanno una conoscenza teorica dettagliata di un certo argomento, ma non hanno alcuna idea della sua realtà, allo stesso modo incontro persone con una grande esperienza pratica, ma che non riescono a comunicarla o a farne uso in modo organizzato e strutturato, combinandola con le intuizioni di altri. Così cerco, come nelle cose che ho scritto sotto diversi nomi, nelle conferenze e nella formazione, di combinare queste due cose. Questo naturalmente ha delle implicazioni sul tipo di libri che leggo, e i miei obiettivi potrebbero non essere gli stessi dei vostri. Ma ecco come stanno le cose.
Non si tratta di un elenco di libri, che sarebbe noioso, né di un saggio bibliografico, che occuperebbe troppo spazio. Piuttosto, tocca alcuni punti preliminari e poi solleva tre domande fondamentali a cui dobbiamo rispondere se vogliamo "capire il mondo". Direi che sono:
Da dove veniamo?
Come siamo arrivati al punto in cui siamo ora?
Come possiamo capire dove siamo ora?
Quasi tutti i libri specifici citati rientrano in una di queste categorie. Permettetemi però di iniziare suggerendo i diversi tipi di libri che ho trovato utili (o meno) per la comprensione, con alcuni esempi.
Il primo, ovviamente, è quello dei libri che mirano alla spiegazione piuttosto che alla polemica. Un'opera polemica e di condanna può produrre una piacevole scarica di endorfine e confortarvi nelle vostre opinioni, ma non imparerete nulla. Per questo motivo, diffido dei libri scritti in base a un'agenda o che sono specificamente pubblicizzati come una sfida alla "narrazione convenzionale". In realtà, un libro che si basa su nuovo materiale, interpretazioni convincenti e argomentazioni coerenti finirà comunque per ribaltare la "narrazione convenzionale", e in effetti questo accade spesso. Gran parte di questa scuola di scrittura (talvolta descritta come "controstoria" o "controconoscenza") consiste semplicemente nel prendere gli stessi eventi, e persino gli stessi fatti, e invertire tutte le etichette, in modo che i buoni diventino i cattivi e così via.
L'ho visto per la prima volta nel clima attivista della fine degli anni Sessanta, dove qualsiasi cosa scritta da chiunque avesse più di trent'anni era immediatamente sospetta, e in particolare nel contesto della guerra del Vietnam. In opposizione a molte delle sciocchezze anticomuniste e di destra dell'epoca, scritte da scrittori popolari come Robert Moss, che incolpavano l'Unione Sovietica di tutti i mali del mondo, si sviluppò una scuola di scrittori che semplicemente cambiavano tutte le etichette (per infastidire i genitori, forse?) e incolpavano gli Stati Uniti di tutti i problemi del mondo. Il prototipo fu probabilmente il libro di David Horowitz del 1967 Da Yalta al Vietnam, che sosteneva che ogni crisi dal 1945 era colpa degli Stati Uniti e che all'epoca si trovava ovunque nelle università in un'edizione economica in brossura. Questa e altre opere simili erano francamente intese come polemiche piuttosto che come storia seria, ma ebbero un'immensa influenza sui gruppi che volevano sentirsi dire che tali affermazioni erano vere.
Naturalmente esistevano libri simili su tutti i fronti dello spettro politico, ma molti di essi (che sostenevano la gentilezza dell'apartheid, ad esempio, o l'umanità dello Scià dell'Iran) sono oggi completamente dimenticati. Tuttavia, le opere di Horowitz e di altri hanno continuato a essere influenti e hanno contribuito a creare una contro-ortodossia su una serie di questioni (Hiroshima, per esempio) che non è supportata da prove, ma che soddisfa il desiderio di sentirsi dire e di credere a certe cose. Ma viviamo in un mondo di post-verità, dove il passato è quello che si vuole che sia stato, e viviamo anche in un'economia di mercato, dove se c'è una domanda di libri con certe conclusioni, qualcuno li scriverà. Personalmente, la storia polemica di qualsiasi tipo non mi interessa, quindi non troverete alcun libro polemico in quello che segue. (E sì, la scrittura della storia è piena di violente discussioni sui fatti e sulle interpretazioni, ma non è la stessa cosa).
D'altra parte, sono sempre stato impressionato dai racconti di persone che sono state lì e hanno fatto questo. Naturalmente dobbiamo stare attenti, perché c'è una distinzione tra la narrazione personale (interessante ma spesso inaffidabile e a volte addirittura mendace) e la narrazione di persone che in generale sanno di cosa stanno parlando. Quindi continuiamo a leggere Machiavelli (non solo Il Principe, ma anche i Discorsi), non per il suo valore di shock, ma per la sua chiara comprensione delle realtà della politica in un ambiente in cui il potere governa. (Qualche anno fa mi trovavo in un Paese arabo storicamente instabile con un collega militare che aveva letto Il Principe su mia raccomandazione, e mi disse che non riusciva a capacitarsi di quanto fosse spaventosamente appropriato al Paese in cui ci trovavamo). È per questo che la gente legge ancora Machiavelli, mentre contemporanei approssimativi come Jean Bodin, la cui teoria del governo assolutista ebbe un'influenza massiccia all'epoca, sono dimenticati se non dagli specialisti. Lo stesso vale, ovviamente, per Carl von Clausewitz, che viene ancora letto non solo per le sue intramontabili intuizioni intellettuali sulla strategia, ma anche per le sue intuizioni pratiche sulla confusione, la paura e l'incertezza della guerra in qualsiasi epoca. E se si trova più buon senso sulla politica nel saggio di Max Weber La politica come vocazione o nel libro di Robert Michels La legge di ferro dell'oligarchia che in interi scaffali di moderni manuali di scienze politiche, è perché entrambi sapevano di cosa parlavano.
Leggendo questi autori si ha la sensazione, come nel caso di Conrad o Melville che scrivono sul mare, di essere in mani sicure e di potersi fidare dei loro giudizi. A volte gli effetti sono più sottili. Negli ultimi anni la maggior parte di noi ha avuto la sensazione che George Orwell avesse capito e previsto tutto. Nella misura in cui questo è vero, non deriva solo da un intelletto acuto, ma da un'esperienza di vita enormemente varia. Dopo tutto, era stato un poliziotto paramilitare in Birmania e un soldato in Spagna. È stato un attivista politico, un giornalista, un barbone a Parigi e a Londra e un propagandista di guerra per la BBC. Conosceva grandi scrittori dell'epoca e conservava vecchi legami etoniani con l'élite britannica. In Spagna fu testimone di menzogne organizzate e di omicidi politici da entrambe le parti, e riuscì a fuggire prima di essere quasi assassinato lui stesso. Vide anche lo sviluppo spontaneo del socialismo tra la gente comune. Sapeva che aspetto e odore avessero i cadaveri e aveva assistito in prima persona all'imprigionamento e alla tortura. Questo è uno dei motivi per cui 1984 è così potente e spaventoso: è in gran parte basato su un'estrapolazione ragionevole delle sue esperienze, anche se esagerate a fini satirici. (Se siete interessati alla storia del libro, dovreste leggere The Ministry of Truth di Dorian Lynsey). Ma infine, Orwell era intellettualmente onesto e quando non aveva esperienza diretta di ciò di cui stava scrivendo (le purghe di Stalin, per esempio) lo diceva. (Un modello per gli opinionisti di oggi, direte voi? Sì, ma in questo caso la maggior parte di loro non scriverebbe affatto).
Ne consegue che capire bene il mondo oggi significa affidarsi in modo sproporzionato a chi c'è già stato e l'ha fatto. E no, non intendo dire aeroporto-taxi-hotel-incontri con anglofoni e ritorno all'aeroporto. Il critico e umorista Clive James una volta disse che chi aveva trascorso anche solo cinque minuti in Giappone ne sapeva infinitamente di più di chi non ci era mai stato. Per quanto riguarda la mia esperienza, non aveva torto, ma c'è un limite a questa affermazione: bisogna tenere gli occhi e la mente aperti. Ho conosciuto persone che vivevano in Giappone da cinque anni e continuavano a pensare che fosse "abbastanza simile" a Londra o a New York. Quindi date sempre un'occhiata alla biografia dell'autore. Al giorno d'oggi, molti sembrano volutamente oscuri: X è l'autore di Y e Z, tiene conferenze qui, ha lavorato lì, ha partecipato a questi programmi televisivi. Guardate i ringraziamenti: c'è qualche segno che le persone della regione abbiano effettivamente contribuito a qualcosa? Quanti riferimenti provengono da fonti non occidentali? L'idea è chiara.
Naturalmente, anche l'esperienza personale da sola non dà magicamente delle intuizioni, e non c'è niente di peggio di chi cerca di generalizzare dalla propria esperienza come se questa spiegasse tutto, ovunque. Un "generale in pensione" o un "diplomatico in pensione" non è necessariamente un esperto di tutte le guerre e di tutte le crisi diplomatiche. Ricordo di essere rimasto deluso da Perilous Interventions del diplomatico indiano Hardeep Puri, apparso qualche anno fa e che prometteva molto, ma che alla fine si è rivelato un resoconto piuttosto pedestre del funzionamento del Consiglio di Sicurezza, seguito da un resoconto critico degli interventi internazionali, tratto per lo più dai media occidentali.
È anche importante cercare di tenersi relativamente aggiornati e di capirne le ragioni. La storia può essere scritta dai vincitori, ma soprattutto è scritta da coloro che hanno la storia migliore da raccontare. Per esempio, le linee generali della concezione popolare della Prima guerra mondiale sono state fissate negli anni Venti, così come quelle della Seconda guerra mondiale sono state fissate negli anni Cinquanta, e da allora poco è cambiato. Il mito della Prima guerra mondiale come massacro insensato condotto da generali stupidi e di classe superiore è così seducente che è sopravvissuto a decenni di studi adeguati da parte di persone come Gary Sheffield (Forgotten Victory) o William Philpott (Attrition).
Allo stesso modo, il mito della Seconda guerra mondiale, di democrazie deboli e impreparate che temevano Hitler, è stato propagato da politici come Churchill e De Gaulle, che all'epoca si erano posti come salvatori delle loro nazioni e hanno continuato a farlo nelle loro memorie. Tuttavia, se da un lato la storiografia recente ha rafforzato l'importanza di questi due individui, dall'altro ha dimostrato che le loro argomentazioni auto-glorificanti sono state enormemente esagerate. Sono cresciuto con l'immagine popolare degli accordi di Monaco, e solo molto più tardi ho scoperto le argomentazioni estremamente complesse che circondavano gli obiettivi e la libertà di manovra, soprattutto del governo britannico (ben riassunte da Richard Evans), per non parlare dei timori popolari e delle élite di una guerra che avrebbe comportato un livello di distruzione che oggi associamo alle armi nucleari, e la fine della civiltà stessa. Ed ecco il revisionista Britain's War Machine di David Edgerton, che mostra quanto la Gran Bretagna fosse ben preparata, sia militarmente che economicamente, nel 1939. La letteratura sulla Francia è, comprensibilmente, in gran parte in francese, ma racconta essenzialmente la stessa storia di un Paese meglio preparato di quanto si pensasse, che ha usato intelligentemente la linea Maginot per costringere i tedeschi ad avanzare attraverso il Belgio, e le cui forze hanno combattuto con coraggio e determinazione quando ne hanno avuto l'occasione. Soprattutto, elimina la sprezzante rappresentazione anglosassone (presente ad esempio in Alastair Horne) di una nazione moralmente debole e desiderosa di arrendersi.
Più in generale, la letteratura sulla Seconda guerra mondiale con cui sono cresciuto è poco leggibile oggi. Ho letto L'ascesa e la caduta del Terzo Reich di William Shirer poco dopo la sua uscita, ed era, ed è, un'ottima storia di un giornalista che era presente all'epoca, ma oggi è irrimediabilmente obsoleta. Questo è particolarmente vero per il fronte orientale, dove tutto ciò che è stato scritto prima dell'apertura degli archivi sovietici negli anni Novanta può essere tranquillamente ignorato, poiché, nella misura in cui il fronte è stato coperto, è stato dalle memorie auto-assolutorie dei generali tedeschi. Oggi, libri come Absolute War di Chris Bellamy hanno rivoluzionato la nostra comprensione del conflitto. E anche sullo Stato nazista è stata fatta un'enorme quantità di lavoro: Citerei Hitler's Empire di Mark Mazower, per avere un'idea della spaventosa follia dei piani nazisti per l'Oriente conquistato, e Wages of Destruction di Adam Tooze, che mostra molto chiaramente che erano i tedeschi, non gli inglesi e i francesi, a essere economicamente deboli.
E così via. Ma il punto è che gli esempi storici semisconosciuti continuano ad avere una vita ultraterrena che ha un effetto misurabile sulla politica di oggi. Quando si sente un idiota parlare di "placare Putin" o un generale che non ha mai visto sparare un colpo parlare di attacchi russi a onde umane in Ucraina, si sa che non si basano necessariamente sulle loro letture, ma su un vago ricordo di ciò che hanno imparato una volta, o che gli è stato detto da qualcuno, non si sa chi. Una vera comprensione della storia, e ancor più dei suoi abusi, è una buona protezione contro l'incomprensione del presente. Naturalmente la "storia" stessa è inevitabilmente una categoria costruita e, come ha sottolineato Michel-Rolph Trouillot in Silencing the Past, ciò che viene omesso può essere importante quanto ciò che viene incluso. A volte, questo silenzio può avere effetti tangibili: l'effettiva omertà contro la menzione della tratta degli schiavi intra-africani e ottomani/arabi, ad esempio, fa sì che la maggior parte delle persone non sia a conoscenza delle origini di una delle principali fonti di conflitto e insicurezza in alcune parti dell'Africa di oggi.
Potrei continuare, ma un ultimo esempio specifico che ricordo è l'esplosione della scrittura anticoloniale degli anni Sessanta, caratterizzata dalla Penguin African Library, la cui visione manichea del mondo ha teso a perdurare, anche quando i libri stessi (che si potevano lasciare in giro per infastidire i genitori) sono svaniti. Oggi si riconosce che la storia del colonialismo, e persino il significato di termini come "impero" applicati alle potenze europee, sono molto complessi e contestati. Già nel 1991, la storia popolare di Thomas Pakenham "The Scramble for Africa", che descriveva ciò che i colonizzatori pensavano di fare e perché, illustrava la confusione, la contingenza e le controversie che circondavano l'intera impresa coloniale. Più recentemente, libri scientifici come Reordering the World di Duncan Bell e libri più popolari come Empires in the Sun di Lawrence James hanno riempito l'inizio e la fine della storia in tutta la sua improvvisata incoerenza.
L'ultimo punto generale che vorrei sottolineare è che, nella misura in cui si considerano i libri come strumenti per aiutare a pensare, è possibile trovare valore in certe intuizioni in libri per i quali altrimenti non si avrebbe molto tempo. Confesso di non aver letto ogni parola nemmeno dei più grandi successi dei Quaderni del carcere di Gramsci, e molto di ciò che ha scritto, ad essere onesti, era altamente specifico per un tempo e un luogo. Ma la sua idea di egemonia culturale fa certamente riflettere. Non ho letto tutte le parole di Nietzsche (e chi l'ha fatto?), ma la sua insistenza chiara e netta sul fatto che se si abbandona la religione si deve rinunciare anche ai quadri morali che ne derivano, e che in questo caso il sistema di credenze che vince è quello con il maggior potere, è quasi un secchio d'acqua fredda oggi come allora. Allo stesso modo, non sono un fan in generale del filosofo marxista francese Louis Althusser (sì, quello che strangolò la moglie e finì i suoi giorni in un manicomio), ma basandosi su Gramsci, Althusser ha elaborato l'idea dell'apparato statale ideologico, che ha contrapposto all'apparato statale repressivo della polizia, dei tribunali e così via. La sua idea era che il capitalismo si riproduce in parte attraverso il dominio ideologico nella scuola, nelle chiese, nelle famiglie e così via. Anche in questo caso, si tratta di un'idea che risale a un certo periodo e a un certo luogo, quando il marxismo era molto più centrale nella vita intellettuale occidentale di quanto non lo sia ora, ma ha ancora un valore oggi. (A proposito, se volete vedere il pensiero e l'espressione macchinosi di Althusser smontati da un critico elegante e riflessivo, leggete la controffensiva di EP Thompson del 1978, The Poverty of Theory. Thompson, che non ha mai abbandonato del tutto il Partito Comunista, negli anni Ottanta è stato ferocemente attaccato dai critici di destra per la sua posizione sulle armi nucleari. Ricordava acidamente che, a differenza di loro, aveva combattuto nella Seconda guerra mondiale come ufficiale del Royal Armoured Corps: un altro punto a favore del "been there, done that"). E in generale non mi rifiuterei di leggere un libro di qualcuno le cui opinioni politiche non mi piacciono, perché non si sa mai quali riflessioni utili potrebbero scaturire dalla sua lettura.
Passiamo quindi ad altri libri che sono consigliabili praticamente senza riserve. Come vedremo tra poco, i libri più utili, soprattutto sulle questioni regionali, sono quelli di chi ha una qualche esperienza sul campo, ma anche la capacità intellettuale di usarla con saggezza. Si tratta della tradizione essenzialmente pragmatica di vedere com'è il mondo, e per di più com'era, e poi cercare di trarre delle conclusioni, piuttosto che cercare di imporre un quadro di riferimento esterno a una realtà recalcitrante. Quest'ultimo è terribilmente facile da fare, soprattutto se si è laureati in Relazioni Internazionali in un'università americana, ma raramente produce qualcosa di valido.
Forse il punto più ovvio da cui partire è che allora era diverso. Tutte le società moderne hanno grandi difficoltà ad accettarlo, perché vivono in un eterno presente, dove il passato, seppure con qualche differenza rispetto al nostro più benedetto stato attuale, stava chiaramente avanzando verso di esso. Ciò può essere confrontato con la visione tradizionale, precedente all'Illuminismo, secondo cui il mondo era migliore nei tempi passati e da allora siamo in uno stato di continuo declino. Almeno fino a un paio di centinaia di anni fa, più vecchio era meglio, e le persone più sagge e competenti erano vissute, per definizione, più a lungo. E naturalmente ci sono molte società che considerano la storia umana stessa come un modello o una ciclicità. (I tentativi occidentali in questo senso, come quelli di Thoynbee e Spengler, mi sembrano intrinsecamente poco convincenti, perché cercano di costruire teorie ambiziose su una base probatoria molto fragile, dove non abbiamo la certezza che il futuro sarà come il passato).
Eppure il buon senso ci dice che allora era diverso, e spesso i cambiamenti sono piuttosto rapidi. Quando si è accumulato un certo numero di anni sul contachilometri della vita, ci si rende subito conto che i cambiamenti sono avvenuti anche nel corso della propria vita. Sembra chiaro, ad esempio, che la tanto decantata relativa apertura e tolleranza delle società occidentali sia stata in realtà un'eccezione storica che è durata nella sua forma matura dagli anni Settanta agli anni Duemila, prima di tornare lentamente alla natura generalmente intollerante del passato.
Ma naturalmente più si va indietro nel tempo, più le cose sono diverse, il che dovrebbe essere troppo ovvio per doverlo dire, ma purtroppo non lo è. Di solito inizio con i greci e con quell'opera trascurata di Platone, il Timeo. Questo dialogo (in realtà un monologo) è generalmente classificato come un affascinante mito della creazione. Ma in realtà non è affatto un mito, è l'equivalente di un manuale di cosmologia e fisica, e ci dice, ad esempio, che i pianeti e le stelle sono esseri viventi, che ci sono quattro elementi, tutti formati da triangoli, e che l'acqua si comprime nella pietra. Oppure provate a leggere Omero, e in particolare l'Iliade, senza filtrarlo attraverso prospettive moderne per cercare di renderlo "attuale". (Ricordo ancora lo shock di leggere Il mondo di Odisseo di MI Finley molti decenni fa). Ma forse i Greci erano ancora più diversi di così. Se dobbiamo credere a Julian Jaynes in The Origin of Consciousness in the Breakdown of the Bicameral Mind (L'origine della coscienza nel crollo della mente bicamerale), la coscienza come la intendiamo noi non si trova in Omero, e le voci degli dei che i nostri antenati sentivano in realtà provenivano dalla loro stessa mente, i cui emisferi funzionavano in modo completamente indipendente l'uno dall'altro. Nonostante tutti i tentativi di far credere che gli antichi fossero "proprio come noi", e quindi non pericolosi per i laureandi schizzinosi, è ovvio che i Greci (e i Romani, se è per questo) non erano affatto come noi.
E anche i nostri antenati europei più recenti non erano molto simili a noi. Oggi che la letteratura medievale è raramente insegnata nelle università ("troppo difficile"), abbiamo perso il contatto con un modo di pensare che è sia recente in termini di civiltà, sia terribilmente diverso da quello che conosciamo. Ma le cosmologie che troviamo in Chaucer e Dante, e persino in Shakespeare, non sono miti simbolici, ma descrizioni pragmatiche del mondo così come si credeva che fosse. Se si poteva volare abbastanza in alto, si potevano toccare le sfere: la musica che facevano era reale, ma i nostri sensi sono troppo rozzi per sentirla. Alla domanda moderna: "Ci credevano davvero?", la risposta, descritta in libri come "L'immagine scartata" di CS Lewis e "L'immagine del mondo elisabettiano" di EMW Tillyard (entrambi ormai in disuso), è che sì, ci credevano davvero.
E questo dovrebbe farci riflettere, non da ultimo se consideriamo che in molte parti del mondo odierno esistono ancora culture lontane da quella moderna liberal-razionale-materialista come quella di Dante. La tendenza a quello che chiamo cronicismo, il sentimento di superiorità nei confronti del passato e la convinzione che, laddove non possa essere torturato per sembrare una prefigurazione del presente, debba essere censurato o scartato, è estremamente potente, e lo sta diventando sempre di più. Non è difficile capire perché. Se anche solo qualche centinaio di anni fa le persone non condividevano la nostra mentalità liberale-razionalista-materiale, è possibile che quella stessa mentalità sia essa stessa contingente, anziché essere la fine della storia, e che in futuro si possa guardare alla nostra visione del mondo con incredulità? Sarebbe terrificante. Per molti versi, il modo migliore per comprendere il presente è capire che il passato era diverso e che il presente, come direbbe William Gibson, non è comunque uniformemente distribuito. E non è nemmeno detto che la progressione dal passato al presente abbia seguito una progressione inevitabile: è difficile leggere la storia senza rendersi conto di quanto tutto sia terribilmente contingente, e non solo nei Re e nelle Regine: lo storico della Bibbia Bart Ehrman, per esempio, ha mostrato in Lost Christianities come versioni della fede oggi irriconoscibili sarebbero potute arrivare a dominare la civiltà occidentale, se non fosse stato per una serie di straordinari incidenti storici, proprio come Shadow of the Sword di Tom Holland mostra quanto fosse improbabile l'ascesa dell'Islam.
Cosa possiamo dire di questa progressione? Innanzitutto che non è stata né inevitabile né unidirezionale. Dimentichiamo, ad esempio, che le idee dell'Illuminismo non hanno trionfato così: si legga Enemies of the Enlightenment di Darrin MacMahon. Tuttavia, a livello macroscopico, sembrano esserci stati dei modelli di cambiamento lenti e profondi. The Ever-Present Origin di Jean Gebser e The Master and His Emissary di Ian McGilchrist tracciano, in modi diversi, enormi cambiamenti di mentalità e suggeriscono, tra l'altro, che l'"individuo" come intendiamo questo concetto è uno sviluppo sorprendentemente recente. Gebser vede l'umanità passare da una modalità di pensiero arcaica, a una modalità magica, poi mitica e infine all'attuale modalità mentale-razionale, che secondo lui potrebbe potenzialmente portare a una "catastrofe" per l'umanità. McGilchrist parla di quella che considera la lotta tra l'emisfero destro e quello sinistro del cervello per il predominio, con il cervello sinistro razionale, privo di immaginazione e ossessionato dai dettagli (l'"Emissario") che ora ha pericolosamente il controllo. Questi sono entrambi modi di descrivere la progressiva ascesa della società razionale, liberale, materialista e manageriale in cui viviamo.
A sua volta, questa ascesa è stata possibile grazie alla fine della religione come autentica forza strutturante trascendente per la vita e il pensiero, e al suo successivo sviluppo (o regresso) in una sorta di umanesimo senza palle. Come mostra Charles Taylor in Un'epoca secolare, ciò non è avvenuto perché la scienza ha "smentito" la religione (un'impossibilità logica, in ogni caso), ma perché la religione si è effettivamente arresa in anticipo, cercando di fare appello a qualsiasi idea alla moda del momento, perdendo sempre di più la sua essenza fondamentale. Come ha mostrato Alasdair McIntyre in After Virtue, l'effettivo abbandono del cristianesimo come punto di riferimento comune e di partenza per l'argomentazione morale ha prodotto una pletora di schemi etici sostitutivi di derivazione umana, che erano "incommensurabili", secondo i suoi termini, e che quindi portavano semplicemente le persone a gridare l'una contro l'altra senza nemmeno capire di cosa stesse gridando l'altra.
Il che ci porta alla domanda logica: come facciamo a sapere se esistono norme morali assolute o verità definitive? Nietzsche ha posto il problema, come abbiamo visto, ma c'è una risposta? In realtà no, anche se molti scrittori hanno cercato di sviluppare sistemi etici: questo è il problema. Nulla ci impedisce, ovviamente, di sviluppare o adottare le nostre idee etiche, di cercare altri con le stesse idee e di agire di conseguenza. È dubbio che una vita non "etica" sia possibile, dal momento che le persone si comportano generalmente secondo alcune regole, anche cattive. Ma il postmodernismo non ha forse eliminato tutto questo? Le opinioni non sono tutte ugualmente buone? Torniamo al problema che dimostrare che le idee sono cambiate nel tempo è un atto dirompente, perché implica che le idee possano cambiare anche in futuro. Ma se considerato con freddezza, non c'è bisogno di farsi prendere dal panico.
Togliamo prima di tutto di mezzo Foucault: forse mai un filosofo, nemmeno Kant o Hegel, ha prodotto così tanti danni involontari, usati ignorantemente da persone che non hanno idea di cosa stia cercando di dire. Foucault diceva che lo scopo della filosofia è interpretare il mondo. Ciò significa esaminare i meccanismi della vita, chi fa cosa, chi decide, chi controlla, perché le persone accettano regole e modi di pensare e, in effetti, come pensiamo alle questioni in primo luogo. E questo, ha detto, cambia nel tempo. Il modo in cui si parlava di malattia mentale nel XVI secolo è semplicemente incompatibile con quello in cui se ne parla nel XIX secolo, ed è interessante e importante seguire i cambiamenti. I primi libri - L'archeologia della conoscenza, Le parole e le cose - e il Discorso della filosofia, perduto e pubblicato solo di recente, si occupano molto di questo aspetto e vale la pena di leggerli. Foucault era per molti versi uno scrittore tradizionale, scriveva in un francese generalmente chiaro, elegante e un po' antiquato, ma è stato mal servito dai traduttori, che lo hanno fatto sembrare più oscuro di quanto fosse in realtà.
Gli altri post-modernisti (e si discute se Foucault lo fosse davvero) sono un'altra questione, e in questo caso dobbiamo tenere presente la tradizione intellettuale francese di brillantezza superficiale, amore per il paradosso, esagerazione deliberata e giochi di parole. In gran parte di Derrida o Barthes c'è questa tradizione di intuizione brillante e paradossale (più Nietzsche che Cartesio, potremmo dire) e i loro scritti devono essere trattati con discrezione. Quando Barthes parlava della "morte dell'autore", ad esempio, era deliberatamente provocatorio e per molti versi diceva solo quello che i critici letterari dicevano da decenni sotto l'etichetta della "fallacia intenzionale": un libro è necessariamente più di quello che l'autore vi ha consapevolmente inserito, non è un cruciverba da risolvere. In generale, le opere di questi autori sono spesso divertenti e stimolanti, ma resta da chiedersi se abbiano effettivamente un valore finale. (Naturalmente, perché una qualsiasi delle loro teorie sia vera, deve esistere la possibilità di una verità oggettiva, come sottolineato da Julian Baggini nel suo eccellente libro "Breve storia della verità").
Il che ci porta infine al punto in cui ci troviamo, ovunque esso sia. E qui ci imbattiamo nel problema di chi deve descrivere il mondo, e come? Trent'anni fa, l'idea che le norme liberali occidentali e il denaro liberale occidentale strutturassero in modo massiccio la nostra comprensione del mondo era considerata scandalosa ed estrema. Antropologi come Edward T Hall (Al di là della cultura) e Clifford Geertz (L'interpretazione delle culture) cominciarono a educarci all'infinita varietà e relatività delle culture (l'essere già stati fatti colpisce ancora). Al giorno d'oggi, l'idea che il potere occidentale detti ogni atto di ogni Paese del mondo è diventata un cliché, e quelli di noi che trent'anni fa erano dei radicali senza speranza sono ora dei reazionari senza speranza per aver detto le stesse cose che abbiamo sempre detto.
Tuttavia, resta vero che la stragrande maggioranza degli scritti destinati ad aiutarci a capire il mondo è prodotta da occidentali o finanziata da loro, e anche da quel sottoinsieme di occidentali allineati con il PMC internazionale e la sua ideologia di liberismo. Un ricercatore angolano o argentino che cerchi di capire cosa sta succedendo in Gabon o a Gaza si troverà rapidamente di fronte a libri e articoli online gratuiti in inglese, scritti da stagisti che non hanno mai visitato nessuno dei due paesi. Naturalmente, il fatto che il liberalismo sia un'ideologia non è sempre ammesso, e quindi è utile leggere libri come Liberalism: A Counter-history e Why Liberalism Failed di Patrick Deneen come contrappeso, anche se entrambi sono aperti alle riserve. Allo stesso modo, la fiducia che si può avere nella versione esportata del liberalismo per risolvere i problemi del mondo non sopravviverà alla lettura di Governance and Nation-Building di Jenkins e Plowden, Bad Samaritans di Ha-Joon Chang, Ideology of Failed States di Susan Woodward o a casi di studio devastanti come Congo Masquerade di Theodore Trefon.
Gli altri Paesi, e per questo anche i loro governanti, devono essere visti per quello che sono, e non come vittime indifese o gratificati destinatari dell'attenzione occidentale, a seconda delle vostre idee politiche, e allora capirete meglio il mondo. Nessuno, leggendo Root Causes of Sudan's Civil Wars di Douglas Johnson, si sarebbe sorpreso dei recenti scontri in quel Paese. Se leggete il francese e avete seguito il lavoro di esperti come Stephen Smith e Antoine Glaser, non sareste stati colti di sorpresa dai recenti colpi di stato nell'Africa francofona, né avreste cercato spiegazioni complesse quando ne esistono di semplici. Anche se non lo fate, c'è il lavoro di William Reno sugli Stati patrimoniali, Patrick Chabal su Soffrire e sorridere, Jeffrey Herbst sui problemi degli Stati e del potere in Africa, il lavoro di Jean-François Bayart e altri sullo Stato africano come impresa criminale, e il resoconto di David Keene in Nemici utili sul perché la guerra è positiva per le carriere politiche e per arricchirsi. Per capire perché e come gli Stati e i leader africani manovrano per sopravvivere in un mondo di grandi potenze, leggere, tra gli altri, Africa and the International System di Christopher Clapham e Black Man's Burden di Basil Davidson. Per comprendere la realtà dei conflitti in Africa, date un'occhiata a libri come Fighting for the Rain Forest di Paul Richards sulla Sierra Leone o The Mask of Anarchy di Stephen Ellis sulla Liberia. (Suggerimento: non è affatto come pensiamo che sia).
Sono tutti autori che sono stati lì e l'hanno fatto e, invece di trattare gli abitanti del luogo come oggetti e comparse, danno loro la dignità di attori. Lo stesso vale per gli esperti del Medio Oriente: non ci si deve accontentare di quello che pensa il Wall Street Journal su Hezbollah, per esempio, oggi ci sono un sacco di buoni studi di persone che conoscono bene l'organizzazione, alcuni in inglese, come Warriors of God di Nicholas Blandford. Per avere un'idea della catastrofe ancora in corso che è stata la caduta dell'Impero Ottomano, leggete A Line in the Sand di James Barr e A Peace to End All Peace di David Fromkin. La prossima volta che qualcuno cercherà di convincervi che la CIA ha creato l'ISIS, sorridete con indulgenza e ditegli che ci sono molti studi eccellenti sulle origini di questa organizzazione, sui suoi analoghi e sulla sua storia, di cui La nuova minaccia di Jason Burke è un esempio molto leggibile. E così via, anche per altre parti del mondo.
Mi è stato detto che ora devo fermarmi, ed è un peccato perché c'è molto altro nella mia lista, e volevo scrivere qualcosa per quelli di noi che vivono nella degenerata, kafkiana, tragica farsa della civiltà occidentale di oggi, e dare alcuni esempi di libri che potrebbero rendere più facile evitare di sprofondare ancora di più nella melma dello sconforto. Ma mi sono già dilungato troppo e questo dovrà aspettare un'altra volta.
Nel frattempo, qualche commento?
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Il rischio di piogge estreme rischia di raddoppiare
Se le emissioni di gas a effetto serra non verranno ridotte, la crisi climatica potrebbe raddoppiare il rischio di piogge estreme entro la fine del 21esimo secolo: lo afferma uno studio italiano di Università di Brescia, Centro Internazionale di Fisica Teorica di Trieste e Università di Milano, che ha utilizzato un nuovo metodo di analisi dei dati. Le previsioni, però, mostrano che c’è un modo…
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scienza-magia · 1 year ago
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Democraticamente è più facile credere nel populismo
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La scienza non è democratica: un’ipotesi condivisa non la rende reale. Vale anche per il clima. La scienza opera con due semplici passi: identifica l’ignoranza e cerca di ridurla. Prendiamo la domanda cosmica: da dove veniamo? Un tempo le risposte erano del tipo: una divinità modella il fango, gli dà la vita col suo soffio, ed eccoci qua. Charles Darwin, comparando la nostra anatomia con quella delle altre scimmie antropoidi, propose che la nostra specie abbia avuto origine da antenati scimmieschi. Non deriviamo dalle scimmie attuali, ma abbiamo un antenato comune molto vicino a loro: sono nostri fratelli, non i nostri genitori. La genetica conferma la risposta: la stragrande maggioranza dei geni umani è in comune con quelli degli scimpanzé. Molti geni sono in comune con altre scimmie, e le affinità genetiche si riducono man mano che si passa a uccelli e rettili, per non parlare di lumache e meduse. Alcuni geni sono condivisi con tutti gli animali: deriviamo tutti da un antenato comune e possiamo andare indietro nella storia della vita e vedere che tutti i viventi condividono discendenza comune. La vita ha avuto un’origine singola.
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La scienza ha ridotto l’ignoranza sull’origine delle specie e dell’uomo, aumentando la nostra conoscenza. La scienza si basa su prove fattuali, la teoria dell’evoluzione non è una mera ipotesi, è una costruzione teorica basata su prove comparative e sperimentali.Dato che i meccanismi dell’evoluzione sono molti, la teoria è stata arricchita con nuove scoperte. Se si dimostrasse scientificamente che la nostra specie deriva dal soffio divino nel fango inerte… tutti gli scienziati cambierebbero idea. Però va dimostrato, non basta dire che è scritto in un antico libro lasciato in una grotta… tanto tempo fa. Il mondo scientifico rimase folgorato dalla teoria di Darwin, e la nostra visione del mondo e di noi stessi cambiò radicalmente. Già Copernico e Newton e Galileo ci costrinsero a cambiare idea sulla posizione del mondo nell’universo, ma Darwin cambiò la prospettiva che riguarda noi. Non tutti, però, accettano le verità scientifiche e preferiscono le verità rivelate. Voi scienziati avete la vostra verità, noi abbiamo la nostra. C’è una differenza, però: la verità scientifica è basata sul metodo scientifico, è accettata in modo provvisorio ed è abbandonata di fronte a prove più convincenti. Le verità alternative non hanno basi scientifiche. Le due “verità” non si possono confrontare. Potremmo dire che la verità del soffio divino nel fango è una sorta di ideologia, ed è frutto di idee scaturite dal cervello di qualcuno e abbracciate dai cervelli di altri. La verità sulla discendenza da antenati comuni si basa su prove comparative e sperimentali. C’è una bella differenza. La scienza non è un’ideologia, si basa su un approccio pragmatico alla diminuzione dell’ignoranza. Se la maggioranza credesse ad una nostra origine da fango vivificato da soffi divini, questo non renderebbe vera questa ideologia anche se, in base ai principi della democrazia, la mozione fango vincerebbe sulla mozione evoluzione. Il che induce a meditazione su come esercitare la democrazia. Anche la scienza, comunque, può diventare ideologia. L’ambientalismo ideologico esiste eccome, come l’economia ideologica, la politica ideologica e molto altro. Gli scienziati che studiano l’ambiente non sono ideologici, ma i loro risultati possono portare a posizioni ideologiche nell’effettuare, ad esempio, le analisi costi-benefici. Non accettare di portare a termine un’impresa per evitarne i costi ambientali senza considerare i possibili benefici che potrebbero derivarne, per esempio, è una posizione ideologica, come è ideologico accettare i benefici di qualunque impresa senza considerarne i costi ambientali. La scienza ci dovrebbe aiutare a pesare i costi e i benefici e la politica ci dovrebbe indirizzare verso soluzioni virtuose, ascoltando le varie campane. Questo, però, richiede politici che sappiano come funziona la scienza che, a volte, può dare risposte contrastanti. La scienza non è democratica: se la maggioranza pensa che deriviamo dal fango, questa ipotesi vince ad una votazione, ma questo non la rende valida. All’interno della comunità scientifica, però, la democrazia esiste. La comunità scientifica ritiene l’evoluzione più convincente di ogni altra spiegazione sulla nostra origine. I pochi che continuano a credere nel soffio divino sono una sparuta minoranza, nella comunità scientifica (e non sono biologi). La maggioranza accetta l’evoluzione, non per ideologia ma per analisi critica dei fatti. Lo stesso vale per il cambiamento climatico: la stragrande maggioranza della comunità scientifica ritiene che ne siamo responsabili. Le opinioni di un Franco Prodi e un Antonino Zichichi non sovvertono l’esito di una possibile votazione democratica all’interno della comunità scientifica. Se la maggioranza dei votanti non scienziati si lasciasse convincere dalla minoranza degli scienziati e votasse di conseguenza, la democrazia risulterebbe drogata dall’ideologia e dall’ignoranza. E questa è la situazione in cui ci troviamo proprio ora, con politici che portano le loro spiegazioni sul cambiamento globale, ignorando le interpretazioni degli scienziati, ritenendosi più qualificati di loro in discipline di cui ignorano persino le basi. Purtroppo la scienza non trova molto posto nei nostri sistemi di formazione e questo ci espone alla dittatura democratica dell’ignoranza. Read the full article
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kneedeepincynade · 2 years ago
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Eternal support to comrade Li Qiaoming in his struggle against imperialism as the new leader of the PLA land forces
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⚠️ IL GENERALE LI QIAOMING È STATO PROMOSSO A COMANDANTE DELLE FORZE DI TERRA DELL'ESERCITO POPOLARE DI LIBERAZIONE ⚠️
🇨🇳 Ieri, 4 gennaio, il Generale Li Qiaoming - dal 2017 al 2022 Comandante del Comando Settentrionale dell'Esercito Popolare di Liberazione - è stato promosso a Comandante delle Forze di Terra dell'Esercito Popolare di Liberazione ⭐️
🪖 Li Qiaoming è stato presentato come nuovo Comandante, durante una Cerimonia per iniziare l'Addestramento nel 2023, a cui hanno partecipato oltre 1.000 soldati 🇨🇳
🇨🇳 Nato nell'Aprile del 1961, nel Distretto di Yanshi, Provincia dell'Henan, Li Qiaoming si è arruolato nell'Esercito Popolare di Liberazione all'età di 15 anni, prestando servizio nella Regione Militare del Guangzhou, poi riorganizzata nel 2016 come Comando Meridionale 🪖
📄 Negli anni, ha ricoperto diversi ruoli-chiave nella regione, tra cui quello di Capo di Stato Maggiore e Maggiore Generale della 41ª Armata di Gruppo, oggi 75ª Armata di Gruppo 📈
🚩 Nel 2013, sulla rivista teorica del Partito Comunista Cinese "Qiushi", ha pubblicato un articolo di analisi sulla caduta dell'Unione Sovietica, affermando l'importanza della Leadership del Partito Comunista sull'Esercito e analizzando i tremendi errori commessi dalla dirigenza del PCUS:
💬 "La conseguenza immediata dell'abbandono da parte del PCUS della sua Leadership sull'Esercito fu che "una persona può portar via un intero esercito", e proprio l'esercito disertò quando il paese era in crisi" - Li Qiaoming, 2013, qui l'articolo completo 📄
💬 "Il Partito Comunista dell'Unione Sovietica ha scartato il principio di Lenin di costruire l'esercito e ha annullato la garanzia organizzativa del partito per la leadership dell'esercito, con conseguente disobbedienza dell'esercito al comando nei momenti critici" - 2013, qui l'articolo completo 📄
💬 "Gorbachev non solo non è riuscito a ereditare e imparare dall'esperienza storica del partito nel governo delle forze armate, ma ha ignorato la particolarità delle riforme militari" - Li Qiaoming, 2013, qui l'articolo completo 📄
💬 "L'attuazione delle "Riforme" e del "Nuovo modo di pensare" da parte di Gorbachev ha fatto sì che le fondamenta politiche e ideologiche dell'esercito venissero strappate dal basso. Il "nuovo pensiero politico" ha fatto perdere al PCUS il suo dominio nel campo dell'ideologia militare" - Li Qiaoming, 2013, qui l'articolo completo 📄
🇨🇳|🇷🇺|🇸🇾 Tra il 2014 e il 2016, il Generale Li Qiaoming ha pubblicato Analisi di Strategia di Guerra, trattando le Operazioni della Federazione Russa in Crimea e in Siria 🔥
⭐️ Dopo le Riforme di Xi Jinping per la Modernizzazione dell'Esercito Popolare di Liberazione, il Generale Li Qiaoming è stato trasferito nella Provincia dello Shandong, per unirsi al Comando Settentrionale, dove fu promosso a Comandante nel 2017.
🇨🇳|🇰🇵|🇷🇺|🇲🇳 Per cinque anni ha gestito il Comando Settentrionale, che copre la Regione Autonoma della Mongolia Interna e le Province di Jilin, Liaoning e Heilongjiang, che confinano con Mongolia, Corea del Nord e Russia 🪖
🚩 Nel 2022 è stato rieletto come membro del 20° Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese al 20° Congresso Nazionale.
📄 Per chi volesse approfondire il Tema della Modernizzazione dell'Esercito Cinese, può rifarsi a questi post del Collettivo Shaoshan: (in fondo)
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⚠️ GENERAL LI QIAOMING PROMOTED TO COMMANDER OF THE PEOPLE'S LIBERATION ARMY LAND FORCES ⚠️
🇨🇳 Yesterday, January 4, General Li Qiaoming - from 2017 to 2022 Commander of the Northern Command of the People's Liberation Army - was promoted to Commander of the People's Liberation Army Ground Forces ⭐️
🪖 Li Qiaoming was introduced as the new Commander, during a Ceremony to start Training in 2023, which was attended by over 1,000 soldiers 🇨🇳
🇨🇳 Born in April 1961, Yanshi District, Henan Province, Li Qiaoming joined the People's Liberation Army at the age of 15, serving in the Guangzhou Military Region, then reorganized in 2016 as Southern Command 🪖
📄 Over the years, he has held several key roles in the region, including that of Chief of Staff and General Staff of the 41st Group Army, now 75th Group Army 📈
🚩 In 2013, in the theoretical magazine of the Chinese Communist Party "Qiushi", he published an analysis article on the fall of the Soviet Union, affirming the importance of the Communist Party's leadership over the Army and analyzing the terrible mistakes made by the leadership of the CPSU :
💬 "The immediate consequence of the CPSU abandoning its leadership over the army was that "one person can take away a whole army", and the very army deserted when the country was in crisis" - Li Qiaoming, 2013, here the full article 📄
💬 "The Communist Party of the Soviet Union discarded Lenin's principle of building the army and canceled the party's organizational guarantee for the leadership of the army, resulting in the army's disobedience to the command at critical moments" - 2013, here the full article 📄
💬 "Gorbachev not only failed to inherit and learn from the party's historical experience in governing the armed forces, but he ignored the particularity of military reforms"-Li Qiaoming, 2013, here the full article 📄
💬 "Gorbachev's implementation of "Reforms" and "New Way of Thinking" caused the political and ideological foundations of the army to be torn from below. "New political thinking" made the CPSU lose its his domain in the field of military ideology" - Li Qiaoming, 2013, here the full article 📄
🇨🇳|🇷🇺|🇸🇾 Between 2014 and 2016, General Li Qiaoming published War Strategy Analysis, covering Russian Federation Operations in Crimea and Syria 🔥
⭐️ After Xi Jinping's People's Liberation Army Modernization Reforms, General Li Qiaoming was transferred to Shandong Province to join the Northern Command, where he was promoted to Commander in 2017.
🇨🇳 | 🇰🇵 | 🇷🇺 | 🇲🇳 For five years, he managed the Northern Command, which covers the Inner Mongolia Autonomous Region and the provinces of Jilin, Liaoning and Heilongjiang, which border Mongolia, North Korea and Russia 🪖
🚩 In 2022 he was reelected as a member of the 20th Central Committee of the Communist Party of China at the 20th National Congress.
📄 For those wishing to learn more about the Modernization of the Chinese Army, they can refer to these posts (at the bottom) from the Shaoshan Collective:
🌸 Subscribe 👉 @collettivoshaoshan
http://theory.people.com.cn/n/2013/0709/c143844-22133642-4.html
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der-papero · 4 years ago
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App COVID e Localizzazione: il complotto continua
Ok, sto provando a non farci coprire di cacca dai complottisti e non mi piace l’idea che poi @kon-igi​ debba passare la giornata a grattarsi la pelle per togliersi tutta la melma che gli tirano addosso su FB, quindi proviamo a chiarirci le idee. Questo post serve anche come inizio di dibattito, vi prego di portare altre fonti, se ne avete. Farò un confronto tra Immuni (la versione italiana) e Corona-Warn-App (quella tedesca). Scusate il titolone acchiappa-like.
Premetto che la mia analisi è limitata ad Android, ma non ho motivo di pensare che non sia così per Apple.
Iniziamo dai FATTI.
Per accedere al GPS o altre fonti di localizzazione, una app deve certificarlo nel proprio file manifest, che è quel file che descrive quali sono le proprietà della app e i permessi che richiede durante l’esecuzione. Questo è certificato anche sull’Android SDK:
If your app needs to access the user's location, you must request permission by adding the relevant Android location permission to your app.
Android offers two location permissions: ACCESS_COARSE_LOCATION and ACCESS_FINE_LOCATION. The permission you choose determines the accuracy of the location returned by the API. You only need to request one of the Android location permissions, depending on the level of accuracy you need:
android.permission.ACCESS_COARSE_LOCATION – Allows the API to use WiFi or mobile cell data (or both) to determine the device's location. The API returns the location with an accuracy approximately equivalent to a city block. android.permission.ACCESS_FINE_LOCATION – Allows the API to determine as precise a location as possible from the available location providers, including the Global Positioning System (GPS) as well as WiFi and mobile cell data.
Sia Immuni che Corona-Warn-App, nel loro file manifest, non riportano questi diritti quindi, se non mi sono perso qualcosa di grosso e Google non ci sta paccando, E’ IMPOSSIBILE PER LA APP ACCEDERE ALLA LOCATION.
Questo è il file manifest di Immuni: https://github.com/immuni-app/immuni-app-android/blob/development/app/src/main/AndroidManifest.xml
E questo è il file manifest di CWA: https://github.com/corona-warn-app/cwa-app-android/blob/dev/Corona-Warn-App/src/main/AndroidManifest.xml
I due file manifest trovano corrispettivo in quello che Play Store dichiara, nelle proprietà delle due app:
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Lato app sembrerebbe tutto OK. Andiamo a guardare lo standard.
Lo standard per l’Exposure Notications Service, stilato sia da Apple che da Google, dichiara:
i. Your App may not request the Location, Bluetooth_Admin, Special Access, Privileged, or Signature permissions, or collect any device information to identify or track the precise location of end users. ii. Your App may not request any other runtime permissions (e.g., Contacts, Storage) unless expressly authorized by Google. iii. You may not use or combine any data obtained through the permissions described in (c)(i-ii) above granted to another app (even if you own or operate that app) with data collected or otherwise obtained in your App.
https://blog.google/documents/72/Exposure_Notifications_Service_Additional_Terms.pdf
3.3 A Contact Tracing App may not use location-based APIs, may not use Bluetooth functionality (excluding Bluetooth functionality included in the Exposure Notification APIs) and may not collect any device information to identify the precise location of users. In addition, Contact Tracing Apps are prohibited from using frameworks or APIs in the Apple Software that enable access to personally identifiable information (e.g., Photos, Contacts), unless otherwise agreed by Apple.
https://developer.apple.com/contact/request/download/Exposure_Notification_Addendum.pdf
Ora, sembrerebbe tutto ok, e in effetti lo è. Tuttavia Kon mi ha messo la pulce nell’orecchio, per via di un brutto messaggio, contenuto nel codice della app, che recita testualmente:
A causa di una limitazione del sistema operativo, il servizio di geolocalizzazione deve essere attivo per consentire lo scambio di codici casuali via Bluetooth. Immuni non accede alla tua localizzazione, come puoi verificare consultando la lista dei permessi richiesti dall'app.
Ora, questa al paese mio si chiama perculata ossimorosa, perché la frase prima afferma che il servizio di GPS deve essere attivo, ma subito dopo nega di farne uso.
A questo punto, capite che i dubbi di Kon relativi alla possibile merda che ci può piovere addosso, visto che soprattutto io sto difendendo la soluzione (teorica, eh) del Contact Tracing, si sono tramutati in possibili paure. Ma so che GIT è dalla mia parte, quindi ci ho dato dentro di log e blame.
Effettivamente, sia quella italiana che quella tedesca, fanno accesso al LocationManager, quella classe di Android che permette di accedere alle posizioni GPS. Ora, lo ripeto ancora una volta: fino a quando i permessi non sono dichiarati nel file Manifest, l’accesso al LocationManager si traduce in un palese errore.
Adesso si tratta di dare una risposta alla più universale delle domande, come diceva Doc Brown: PERCHÉ?
Sul repository di Immuni, non sono riuscito a trovare nulla, loro hanno scritto il codice che accede al LocationManager sin dalla prima commit, quindi non si capisce perché fosse lì fin dall’inizio. Al momento ho pensato che fosse la classica cazzata all’italiana, ma poi ho clonato il repo tedesco e, sorpresa delle sorprese, ho trovato anche lì il LocationManager, ma attenzione!, la modifica risale a 5 giorni fa!!!
https://github.com/corona-warn-app/cwa-app-android/pull/853
Quindi l’uso del LocationManager non è presente nella app che io ho adesso e che hanno tutti i tedeschi, è una evoluzione futura, che non è documentata da nessuna parte e deve essere ancora rilasciata.
Non ho trovato alcun riferimento teorico a questa estensione, e non ne riesco a capire il senso.
A questo punto, io ipotizzo diverse teorie, elaborate al momento, che potrebbero anche tradursi in madornali cazzate:
Google e Apple si sono accorti, nell’implementare lo standard, che senza localizzazione il Tracing non sta in piedi, e stanno chiedendo agli implementatori di aggiungere questa feature. Vorrei davvero capire il background di questa scelta.
L’uso del tracing è facoltativo, potrebbe permettere di individuare i cluster (??? Kon, ha senso), però non ci son cazzi, fino a quando la app non dichiara che può usare il GPS, non se ne fa nulla.
E’ tutto frutto di una ricerca che stanno conducendo gli sviluppatori, per capire se il GPS potrebbe portare ad ulteriori benefici per la rottura delle catene di contagio, ma è disabilitata di default, quindi ciccia.
Mi rifiuto ovviamente di credere a complotti o stronzate simili, deve esserci una spiegazione, a maggior ragione che le modifiche sono pubbliche. Provo a capire se trovo qualcuno che è sul pezzo, all’interno dell’azienda, per fare domande mirate.
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academybdsm · 4 years ago
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Lesson 29 👑
"IL POTERE DELLA SLAVE"
In un rapporto D/s da teatrino o da fantasia cinematografica la figura della schiava è per antonomasia priva di qualsiasi potere, ridotta a mero oggetto ad uso e consumo del suo Padrone, una specie di divinità che tutto può e tutto decide. La realtà è in prima analisi un po’ diversa.
La relazione tra il Padrone e la schiava, proprio perchè è una relazione, rappresenta un legame, un vincolo reciproco.
E una relazione (come la comunicazione tra individui) non può mai essere monodirezionale. Credo che anche questo concetto si possa accettare.
Ora, il punto qual’è?
Dove si posiziona il “potere” tra i due “attori” della relazione?
Forse una risposta me la può dare una riflessione proprio sul concetto di Potere.
Inteso come possibilità oggettiva di agire, di fare qualcosa non c’è dubbio.
Leghiamo, ammanettiamo, bendiamo, fasciamo. “Costringiamo”, ovviamente consensualmente. Appunto: “con il consenso della slave”, che di fatto, ci permette uno spazio d’azione più o meno ampio e più o meno vicino ai propri limiti.
Quindi è una concessione di potere, diversamente sarebbe una violenza e andrebbe punita con severità.
Di chi è il potere in questo caso? Della slave, direi
Ovviamente il Master deve avere la capacità di gestire questo dono e anche di ampliarlo, certo, spingendo la slave oltre le sue paure e i suoi, spesso più teorici che pratici, limiti.
E quindi il Padrone?
Altra definizione del termine che andiamo esplorando è “Capacità di influire sul comportamento altrui, di influenzarne le opinioni, le decisioni, le azioni, i pensieri”.
Non c’è dubbio: qui il potere è di entrambi. Anche ipotizzando una teorica sottomessa che coscientemente cede qualsiasi controllo della propria vita al proprio Master annullandosi totalmente avremo sempre un’influenza di questa scelta sul pensiero del soggetto dominante il cui comportamento sarà comunque influenzato dalle non-scelte della sottomessa.
Poi, naturalmente, abbiamo tutto il contorno teatrale di chi vive il BDSM alla maniera del “famolo strano”.
Ci sono donne che concedendosi, ti dicono esattamente che cosa DEVI fargli ma hanno cura di inserire prima dell’ordine la formula “Ti prego” o “Per favore” o “Signore” e “Padrone”. Non comunicano i loro limiti: dettano in maniera sindacale le loro regole.
Dopodichè, soddisfatte, tornano alle loro vite che gestiscono autonomamente, senza alcuna percezione dell’emozione dell’Appartenenza. Queste sono schiave? E “possederle” fa di un uomo un Master? Non credo: sono donne che amano farsi dominare sessualmente, magari con corde, manette e frustini. Non sono schiave. Sono donne a cui piace fare sesso più o meno estremo e applicano il famoso concetto del “potere dal basso”.
Infine abbiamo i “Master” che dichiarano pluridecennale esperienza e tutti gli optionals del caso. Cosa vuol dire questo? Che ha avuto tante schiave? Ma se sono state tutte come quelle descritte sopra che dicono “per favore Padrone schiaffeggiami e poi scopami” allora sono Master?
Oppure lo sono se sanno maneggiare la frusta? Al circo lo fanno quotidianamente. Un domatore di cavalli è un Master? La frusta è solo un oggetto: anche una slave, se volesse, sarebbe in grado di imparare ad usarlo, perchè no?
Il dominio reale non si improvvisa. Il Master è una guida con capacità di ascolto e empatia cioè “capacità di comprendere appieno lo stato d’animo altrui, sia che si tratti di gioia, che di dolore. Empatia significa sentire dentro, andare non solo verso l’altro, ma anche portare questi nel proprio mondo. Essa rappresenta, inoltre la capacità di un individuo di comprendere in modo immediato i pensieri e gli stati d’animo di un’altra persona.
L’empatia è dunque un processo: essere con l’altro”.
E’ intesa che scocca tra due individui e può non avvenire con altri.
La fluttuazione del Potere tra Dom e sub è un ingrediente fondamentale di questo processo. A tal riguardo ho letto un’interessante riflessione fatta da una schiava: “Ci sono schiave reali che non giocano affatto e cedono completamente il controllo di se stesse e della propria vita. Se dall’altra parte non c’è chi seriamente, responsabilmente, amorevolmente le possa condurre, esse rischiano di sfracellarsi contro una parete o di cadere in un burrone.
Si parla di vita, vera e reale, non di giochini. Non mi sembra una cosa su cui scherzare.… Uno dei primi segnali di allarme, per una schiava, dev’essere proprio l’eccessiva facilità. Un Master non asseconda, non lascia correre, non dimentica e non trascura i dettagli, figurarsi le cose più grandi.
Quando ci si trova davanti a una persona che ti prospetta un futuro roseo, una via lastricata d’oro, c’è seriamente da insospettirsi, perché il cammino del BDSM è impervio e in salita, a tratti si attraversano boschi oscuri, capita di dover passare attraverso immensi roveti e di uscirne coperti di sangue, con le spine ancora conficcate nella pelle. è faticoso, com’è faticosa la crescita, com’è faticosa talvolte la vita. Ma questa è la via che appartiene a una schiava ed ella potrà compierla soltanto se condotta da una mano forte e piena d’amore”. Tutto il resto è finzione 👑
(Tratto dal web - l'archivio dell'amigdala)
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itsvanessaruiz-blog · 5 years ago
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2.¿Que es la sociología del consumo?
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La sociologia del consumismo habla sobre el como la Sociedad se forma por el medio de ir consumiendo cosas con el largo del tiempo. La sociologia del consumo tambien habla del como diferenciar el consumismo del consumo.
La sociología del consumo se ha desarrollado como una respuesta a las deficiencias de la economía para explicar un fenómeno central de las sociedades modernas, el consumo. La sociología del consumo ha cuestionado este enfoque subrayando que para comprender este fenómeno no debemos quedarnos solo en lo económico, sino que hay que tener en cuenta el papel que juegan los aspectos sociales y culturales que orientan el acceso diferencial al consumo.
López de Ayala, M. C. (2004). El análisis sociológico del consumo: una revisión histórica de sus desarrollos teóricos.
La sociologia del consumo de Pierre Bourdieu actualiza y potencia especialmente las tradiciones clasicas del pensamiento social moderno. Somete al marxismo a un despliegue por los campos culturales y simbolicos, al mismo tiempo, tambien recoge con propiedad y reintegra en su arquitectura teorica los analisis weberianos del estilo de vida y el honor estamental.
Noya, J., & Alonso, L. E. (2003). Cultura, igualdad y reflexividad: La sociología de Pierre Bourdieu (Vol. 158). Los libros de la Catarata.
 En conclusion al tema de sociologia del consume, entre mas tiempo pasa, mas personas quieren consumir mas cosas sin que estas sean necesarias, que actualmente las personas trabajan solo para seguir adquiriendo productos anunque estos no sean necesarios. No es como antes que solo consumias lo indispensble
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Il livello di saturazione mentale che solitamente raggiungo nel cuore dell'estate è paragonabile a quello che tutti gli altri raggiungono alla fine di dicembre, dove il gusto di definirsi e sentirsi "arrivati" è giustificato, almeno, dall'illusione del concludersi di un ciclo.
Divento terribilmente approssimativa, grossolana, appoggiandomi sulla sicurezza e sfrontataggine di poter intuire, a distanza di tempo, la completezza di concetti complessi che, nello scritto come nelle forme, accenno soltanto.
È per questo che negli appunti ho ritrovato - cosa di cui, guarda un po', mi ero completamente dimenticata (e qui mi meriterei uno scappellotto, leggero leggero, tra capo e collo) - scritte, in forma sintetica, le metodologie della Mahler, "diretta-filmetti-specchio", per dire, in realtà:
Osservazione diretta di interazioni caregiver(madre)-bambino
Analisi sequenziali dei singoli secondi di videoregistrazione di interazioni madre-bambino consapevoli di essere osservati
Osservazione e analisi simultanea, per quanto possibile, di interazioni madre-bambino attraverso uno specchio monodirezionale che impediva lo svolgimento di qualsiasi tipo di bias da compiacenza al ricercatore o desiderabilità sociale da parte dei soggetti
di contro alla metodologia di semplice analisi del trattamento terapeutico e riflessione teorica alla base della metapsicologia tipicamente freudiana.
Ecco, mi viene quindi in mente lo specchio monodirezionale, quello stesso specchio di cui non mi ero accorta quando una cricca di psicologi sociali (sempre malefici) mi aveva chiusa in una stanza a costruire un meccanismo con una serie di rotelle colorate, chiodi di plastica e manopole, finito il quale avevo deciso di farmi un giro per la stanza, affacciarmi alla finestra che dava sul retro della facoltà, controllare (ansia da prestazione) un'innumerevole quantità di volte che il sistema costruito funzionasse, riaffacciarmi alla finestra, decidere di richiamare i ricercatori, ripensarci per ricontrollare che le manopole girassero davvero, tornare all'uscita, voltarmi di nuovo a controllare che tutto fosse in ordine, aprire la porta e trovarmela lì davanti, la dottoranda, a chiedermi: "hai finito?"
Beh, che dire, esperimento riuscito.
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foxpapa · 6 years ago
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Scattata la prima foto di un buco nero, una docente della "Federico II" di Napoli nel team
Mariafelicia De Laurentiis, ricercatrice e professoressa di Astrofisica, ha coordinato il gruppo di analisi teorica dell'esperimento 
 È la prima prova visiva diretta di un buco nero e della sua ombra. Si tratta di un buco nero supermassiccio, equivalente a 6,5 miliardi di masse solari, che si trova a 55 milioni di anni luce dalla Terra, al centro della galassia Messier 87. A 'scattare' la storica 'fotografia' sono stati gli scienziati della collaborazione internazionale Eht, Event Horizon Telescope, cui partecipano anche scienziati italiani: ricercatrici dell'Infn, Istituto nazionale di fisica nucleare, e dell'Inaf, Istituto nazionale di astrofisica. Nel team anche una docente della Federico II di Napoli
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paoloxl · 6 years ago
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Sono passati cento anni dall’assassinio di Rosa e Karl, che sferrò un colpo preventivo non solo alla rivoluzione tedesca, ma a quella mondiale e alla stessa rivoluzione russa, condannata a un isolamento che avrebbe condizionato tutta la sua esistenza. Ancora trenta anni fa la loro morte era stata ricordata da una parte minoritaria ma non insignificante della sinistra, anche a Berlino, in polemica tanto con gli ultimi stalinisti che con la socialdemocrazia; oggi non siamo molti a commemorarla. La riscrittura della storia è andata avanti come un bulldozer, come si è visto un anno fa con le ricostruzioni ipocrite e criminalizzanti dell’Ottobre 1917, che sono diventate parte del senso comune della residua sinistra. Tuttavia questo non ha risparmiato a Rosa Luxemburg anche l’oltraggio di un’utilizzazione strumentale in contrapposizione a Lenin, presentato come un fanatico distruttore di una Russia altrimenti diretta a bandiere spiegate verso la democrazia…
Ho scritto parecchio su Rosa, in vari periodi, e come faccio abitualmente, prima di scrivere ancora sullo stesso argomento, sono andato a rileggere quel che avevo scritto su di lei. Non mi sembra che siano apparse novità significative sulla sua tragica vicenda. Per questo ho scelto di riproporre sul sito un ampio stralcio di un mio scritto di una ventina di anni fa (recuperato dall’ARCHIVIO del sito, nella sezione ormai poco frequentata I GRANDI NODI DEL NOVECENTO) che mi è parso ancora utile, mentre rinvio ai link di due saggi più impegnativi in cui avevo confrontato le rispettive posizioni di Rosa Luxemburg e di Lenin, ricostruendo le loro polemiche, senza sottovalutare l’enorme importanza dell’apporto di entrambi a un dibattito tuttora essenziale: Lenin, Rosa e il partito e Lenin, Rosa e la questione nazionale ,aggiungendo poi anche un piccolo ricordo del generoso compagno di lotta che le fu vicino anche nella tragica morte, Una voce controcorrente: Karl Liebknecht
Mi è parso inutile scrivere ancora qualcosa di nuovo e diverso su di lei, avrei avuto bisogno dello stimolo di una polemica con i denigratori e falsificatori, mentre Rosa ormai lontanissima dai nostri poveri dibattiti non ha nemmeno l’onore dei tanti nemici che hanno vomitato calunnie su Lenin e Trotskij.
A volte viene ancora chiamata in causa contro il Lenin dell’autodecisione, inviso ai “campisti” nostalgici del “socialismo reale”, mentre è sempre più raramente ricordata per la sua esemplare intransigenza nei confronti di Kautsky e dei centristi della socialdemocrazia tedesca, e ancor meno per l’ostentato disprezzo nei confronti delle istituzioni. Qualcuno la ricorda per la commozione di carcerata di fronte a un bufalo aggiogato a un pesantissimo carro, o per l’attenzione a una cinciallegra che varcava le mura della prigione; da anni sento raramente ricordare la sua lucida analisi dei prestiti internazionali e del militarismo che rendono sempre attuale il suo libro L’accumulazione del Capitale.
Oggi, col pretesto del centenario, non è esclusa qualche rievocazione fuorviante, formalmente nuova ma alimentata da antiche diffidenze. Non vorrei che Rosa possa essere coinvolta in discutibili confronti con il Gramsci di più largo consumo, basato  su un uso forzato di qualche frase criptica dei Quaderni per trasformarlo in anticipatore della via togliattiana al socialismo. La prima recensione sul Manifesto di un’antologia di scritti luxemburghiani pubblicata dagli Editori Riuniti con introduzione di Guido Liguori lo fa temere. [Mi riferisco alla recensione, non al libro, che non ho ancora potuto leggere dato che nel “borgo selvaggio” in cui vivo, e che aveva la pretesa di esser riconosciuta come capitale italiana della cultura, ha chiuso l’unica libreria].
Gramsci tra l’altro conosceva pochissimo della produzione di Rosa, come risulta dal fatto che la cita molte volte, ma quasi sempre come vittima della repressione e non come teorica del marxismo; inoltre fraintende il principale testo che cita, Sciopero di massa, partito e sindacato, definito un “libretto” nel quale “si teorizzano un po’ affrettatamente e anche superficialmente le esperienze storiche del 1905: la Rosa infatti trascurò gli elementi «volontari» e organizzativi che in quegli avvenimenti furono molto più diffusi ed efficienti di quanto la Rosa fosse portata a credere per un certo suo pregiudizio «economistico» e spontaneista”. La stroncatura proseguiva associandolo a una presunta opzione trotskiana per la guerra manovrata (che per giunta attribuiva a Trotskij una posizione diametralmente opposta a quella che aveva difeso nel Comintern).
Mi sembra un pericolo da evitare, non meno di quello di attribuire la sua sconfitta a suoi presunti errori, come aveva fatto lo stesso Guevara senza immaginare che a sua volta la sua morte isolato in una zona semidesertica della Bolivia sarebbe stata attribuita al suo “avventurismo” e a leggerezza nella preparazione dell’impresa, anziché alla scelta sbagliata del luogo e all’abbandono del nucleo guerrigliero senza rifornimenti e contatti in una zona inospitale da parte del partito comunista boliviano.
Rosa non è morta per caso, o per le sue illusioni spontaneiste, è stata assassinata ai margini di una grande mobilitazione di massa innescata da una provocazione del governo socialdemocratico: semplicemente non aveva avuto i mesi che Lenin ebbe per far crescere e indirizzare il dualismo di potere e per conquistare la maggioranza dei soviet. Le squadracce dei Corpi Franchi assoldate dal ministro socialdemocratico Gustav Noske hanno agito a freddo, cercando di decapitare preventivamente il movimento. E ci sono riuscite, creando un precedente che sarà usato moltissime volte in tanti paesi. (a.m.11/1/2019)
Perché ci serve ancora Rosa Luxemburg
Rosa Luxemburg ha avuto un ruolo straordinario nelle battaglie politiche e teoriche della socialdemocrazia negli anni in cui aveva raggiunto i maggiori successi e marciava a passi spediti verso il suo crollo. Aveva soprattutto previsto quella fine assai prima di Lenin, che pure era assai meglio inserito negli organismi dirigenti dell’internazionale socialista, e che per questo fu così sconvolto da quello che gli sembrava un sorprendente tradimento.
La maggior parte del “popolo di sinistra” oggi nomina almeno tre volte al giorno il cosiddetto “crollo del comunismo”, ma nessuno si ricorda della fine ignominiosa della seconda internazionale allo scoppio della Grande Guerra, né le mette in conto i milioni di morti di cui la socialdemocrazia fu corresponsabile con quella vergognosa capitolazione.
Proprio per la sua lungimiranza Rosa fu odiata e presto dimenticata nella socialdemocrazia, a parte qualche tentativo di riappropriazione truffaldina [...] quando il bel film Rosa L della von Trotta riaccese l’interesse per la sua figura. Un operazione miserabile, che peraltro fu possibile solo perché non si sapeva praticamente più nulla di lei.
Perché tanta ostilità verso Rosa
Un’altra ragione dell’oblio fu l’ostilità nei suoi confronti manifestata anche da Stalin. Già nel 1925, quando imperversava la cosiddetta “bolscevizzazione” che avrebbe portato in pochissimi anni a imporre il centralismo staliniano a tutti i partiti comunisti e alla loro subordinazione alla burocrazia sovietica, una risoluzione del Comitato esecutivo allargato dell’IC aveva messo in guardia contro i “luxemburghisti”, sostenendo che era “impossibile assimilare il leninismo” (cioè la codificazione dogmatica fattane da Stalin) “senza tener conto degli errori di parecchi eminenti marxisti” tra cui Rosa Luxemburg. “Più questi teorici sono vicini al leninismo, più le loro concezioni sono pericolose nei punti dove ne divergono”.[1] C’era già completa la concezione di una “linea giusta” (una sola, quella decisa dal gruppo dirigente) e della pericolosità di ogni “divergenza” o “deviazione” dalla retta strada. Un ingrediente essenziale dello stalinismo, e il più tenace a morire.
In quel caso almeno la si collocava ancora tra gli “eminenti marxisti” e si rendeva “omaggio alla grandezza dell’opera di Rosa Luxemburg, che fu tra i fondatori dell’Internazionale comunista”. Ma era tra l’altro una doppia bugia: Rosa morì prima del Congresso di fondazione, e aveva comunque espresso il parere che non ci fossero ancora le condizioni per farlo. La stessa tesi fu sostenuta al primo congresso dal delegato tedesco Hugo Eberlein, le cui resistenze furono vinte solo grazie al clima di entusiasmo generale creato da alcune notizie – risultate poi infondate – sul dilagare della rivoluzione in Europa centrale e in particolare a Vienna
Ma nel 1932 Stalin, divenuto ormai “padrone” quasi assoluto del partito e dell’internazionale aveva sferrato un attacco ben più pesante a Rosa, assimilandola tra l’altro all’odiato Trotskij (tanto in URSS nessuno poteva più leggere né l’uno né l’altra). Come era sua abitudine, Stalin accusava i suoi avversari di “errori” diametralmente opposti alle loro reali posizioni. Così nell’articolo A proposito di alcuni problemi della storia del bolscevismo Rosa viene accusata di conciliazionismo con i centristi alla Kautsky. in contrapposizione a un Lenin implacabile loro nemico. In realtà era accaduto esattamente il contrario, come Lenin stesso ha ammesso in diversi suoi scritti.
Le falsificazioni di Stalin
Stalin, per trasformare Lenin in oggetto di culto, da venerare in un mausoleo, e da studiare zelantemente sotto la guida di sommi sacerdoti e di un “pontefice” del “leninismo”, doveva cancellare ogni traccia della sue evoluzione, che ha seguito “una curva ininterrottamente ascendente”, scrive Trotskij, ma è pur sempre un’evoluzione che supera una concezione per assumerne un’altra. Ammettere fasi diverse nel “leninismo” per Stalin ha lo stesso significato sacrilego che ha per un papa un’analisi storica e filologica della Bibbia, che la riconduce ai diversi momenti in cui fu scritta.
Impossibile per Stalin ammettere che “Lenin non è nato come un Lenin bell’e pronto, come viene raffigurato dagli sbavanti imbrattacarte che ne hanno fatto una ‘divinità’, ma si è venuto formando fino a diventare il Lenin che conosciamo. Lenin ha sempre allargato i propri orizzonti, ha imparato da altri e si è elevato quotidianamente a un livello più alto di quello del giorno precedente. Il suo spirito temerario trovò espressione in quella perseveranza, in quella tenace ricerca di una continua crescita spirituale tesa al superamento di se stesso. Se nel 1903 Lenin avesse capito e formulato tutto ciò che era necessario per i tempi a venire, allora non gli sarebbe rimasto che ripetersi per tutto il resto della vita. In realtà non fu affatto così. Stalin non fa che imprimere il proprio marchio su Lenin, adattandolo ai suoi meschini passaggi da una citazione numerata a un’altra.”[2]
Nello stesso articolo su Rosa Stalin aveva formulato un’altra calunnia in quel momento e ai suoi occhi era ancora più grave: diceva infatti che “i sinistri della socialdemocrazia tedesca, Parvus e Rosa Luxemburg […] fabbricarono lo schema utopistico e semimenscevico della rivoluzione permanente. […] Più tardi questo schema semimenscevico della rivoluzione permanente venne ripreso da Trotskij (in parte da Martov) e trasformato in uno strumento di lotta contro il leninismo”.
La calunnia è articolatissima: prima di tutto per l’attribuzione della “rivoluzione permanente”. Lo stesso Stalin nel 1925 aveva scritto col solito stile rigidamente chiesastico, che piace ancora a tanti nostalgici: “Non è vero che la ‘teoria della rivoluzione permanente’ sia stata formulata nel 1905 da Rosa Luxemburg e da Trotsky. In realtà questa teoria è stata formulata da Parvus e da Trotsky”. Sei anni dopo proclama solennemente il contrario, tirando in ballo Martov, che era stato sempre un avversario della rivoluzione permanente (ma ormai “menscevico” era diventato un insulto demonizzante, e quindi l’accostamento serviva per gettare un po’ di fango in più su Trotskij). In ogni caso attribuire a Rosa il ruolo di ispiratrice dell’odiato Trotskij voleva dire che era ormai considerata anch’essa una nemica.
Stalin era abituato a fare queste giravolte, tanto più che quando cambiava idea faceva ritirare i libri in cui aveva sostenuto il contrario di quel che diceva in quel momento (e comunque nessuno si azzardava a ricordarglielo). Così nell’aprile del 1924 nelle Questioni del leninismo pubblicate a puntate sulla Pravda aveva sostenuto l’impossibilità di costruire il socialismo in un paese solo, ma già nella nuova edizione dell’autunno dello stesso anno aveva sostituito quel passo con una frase che proclamava che il proletariato “può e deve” costruire il socialismo in un paese solo.
Questa era il ruolo che Stalin attribuiva alla “teoria”: la giustificazione delle sue scelte contingenti del momento. L’attribuzione della “colpa” della rivoluzione permanente a Rosa corrispondeva alla necessità di lottare più duramente contro ogni traccia di “luxemburghismo” nel partito comunista tedesco e in quello polacco. In particolare nel partito comunista tedesco Stalin aveva scatenato una caccia alle streghe di cui si era fatta interprete la sciagurata Ruth Fischer, che per settarismo coniò il termine di “lue luxemburghiana”, e che poi finirà a sua volta fuori dal partito, e per qualche tempo si avvicinerà anche a Trotskij, che era sempre fiducioso sulla possibile evoluzione di qualsiasi compagno, mentre altri suoi collaboratori, a partire da Alfonso Leonetti, non la sopportavano. Quanto a quello polacco, la “lue luxemburghiana” fu considerata talmente indelebile che anche dopo averne sostituito più volte la direzione, Stalin nel 1938 – alla vigilia della guerra e della spartizione con Hitler – non si accontentò di sterminare i dirigenti sopravvissuti alle prime purghe ma sciolse lo stesso partito, lasciando il proletariato polacco senza uno strumento al momento dell’invasione nazista.
Ma lasciamo da parte Stalin e torniamo al lungo passo di Trotskij che abbiamo citato poco sopra sull’evoluzione di Lenin. Ci sembra che possa essere applicato allo stesso Trotskij, che modificò profondamente le sue concezioni del partito nel corso della guerra mondiale, e a Rosa, i cui ultimi scritti come vedremo rivelano una forte rivalutazione di quel partito bolscevico che aveva tanto criticato, a ogni vero rivoluzionario.
Anche senza arrivare alle coscienti falsificazioni staliniane, continua a essere molto diffusa (essendosi consolidata in decenni di dogmatismo) la pessima abitudine di ricavare citazioni da un testo di un autore senza tenere conto del contesto in cui è stato scritto e del livello di elaborazione che egli aveva raggiunto in quel momento. Lo si fa spesso con Guevara, anche a Cuba, estraendo frasi singole dai suoi scritti, col risultato di impedire di cogliere la sua profonda evoluzione, e magari assolutizzando le banalità sul “marxismo-leninismo” che si trovano in certi suoi articoli e discorsi precedenti al 1962-1965, e che derivano semplicemente dal fatto che non aveva ancora cominciato uno studio sistematico delle fonti, di Marx e soprattutto di Lenin, e si basava ancora sui libricini divulgativi e sui manuali di origine sovietica.
Lo stesso discorso potrebbe essere fatto per lo stesso Marx, il cui pensiero maturo sarebbe stato stimolato nel corso degli anni non solo dallo studio sistematico dell’economia e della storia, ma anche dalle ricche esperienze fatte ad esempio dalla Comune di Parigi.
Tornando a Lenin, molte sciocchezze di suoi ingenui e inesperti ammiratori sono state provocate da una lettura acritica ed assolutizzante del Che fare?, senza tenere conto delle riflessioni e correzioni fatte dallo stesso Lenin dopo l’esperienza della rivoluzione del 1905 nell’introduzione alla raccolta Dodici anni dopo, e soprattutto della loro concretizzazione nella pratica del partito bolscevico (ad esempio nei criteri di reclutamento).
Come recuperare il pensiero di Rosa
Come tutti i grandi, Rosa ha sofferto sia per le falsificazioni e denigrazioni coscientemente calunniose dei suoi nemici, ma anche per le banalizzazioni e stravolgimenti fatti dai suoi sostenitori. Marx e Lenin pagano e continueranno a pagare per colpa dei “marxisti-leninisti” dogmatici, lo stesso Guevara è stato impoverito non solo dalla mitizzazione strumentale alimentata dai mass media borghesi, ma anche dalla riduzione al “guerrigliero eroico”, e peggio ancora al modello da proporre ai bambini cubani nelle scuole elementari (facendo imparare a memoria sue lettere e discorsi a quei poveri bambini). Trotskij ha pagato e paga a caro prezzo che al suo nome facciano – indebitamente – riferimento varie sette dogmatiche, che hanno ben poco a che fare col suo pensiero critico e con le sue reali concezioni organizzative (soprattutto perché hanno tutte una concezione feticistica del partito, che è assai più vicina a quella stalinista). Molte di queste usano la calunnia nei confronti delle altre tendenze rivoluzionarie e in questo quadro fanno un uso assai strumentale della teoria. [...]
Già negli anni Venti e Trenta a Rosa si rifacevano varie correnti centriste e spontaneiste, dentro la socialdemocrazia o in piccole organizzazioni autonome, in contrapposizione alle concezioni marxiste rivoluzionarie che facevano riferimento a Trotskij e a Lenin. Di fronte al tentativo di costruire un “luxemburghismo” da contrapporre a chi tentava di costruire la Quarta Internazionale, Trotskij rispondeva seccamente che “noi abbiamo più volte preso le difese di Rosa Luxemburg contro le impudenti e stupide deformazioni che ne hanno fatto Stalin e la sua burocrazia. E continueremo a difenderla. Facendo questo non obbediamo ad alcuna considerazione sentimentale, ma soltanto alle esigenze della critica storico-materialista. La nostra difesa di Rosa Luxemburg non è però incondizionata. I lati deboli del suo insegnamento sono stati messi a nudo sia nella teoria che nella prassi”.
I gruppi che si aggrappavano a un presunto “luxemburghismo” come la SAP tedesca, lo Spartacus francese, l’Action socialiste in Belgio, ecc., osservava Trotskij, “prendono in considerazione soltanto questi lati deboli, le carenze che in Rosa non erano affatto preponderanti, essi generalizzano ed esagerano all’estremo queste debolezze, costruendo su tale base un sistema profondamente assurdo.”[3]
E’ quello che in quegli anni è capitato anche allo stesso Trotskij, di cui alcuni intellettuali hanno ripreso e valorizzato gli scritti giovanili in polemica con Lenin, come il Rapporto della delegazione siberiana, scritto a caldo nel 1903 dopo il Congresso in cui avvenne la prima separazione tra bolscevichi e menscevichi (pare nelle 48 ore successive alla chiusura dei lavori), e che era indubbiamente fazioso e pieno di incomprensioni. Il fatto che Trotskij lo considerasse un errore di gioventù, non ha significato nulla per chi voleva contrapporlo a Lenin nel momento in cui – quasi solo – ne difendeva le idee.
Per Rosa questo atteggiamento continua ancora, anche in Italia. Il suo pensiero – al momento delle polemiche con Lenin - è stato semplificato e ridotto a un’esaltazione assoluta della spontaneità, prescindendo da quello che aveva fatto concretamente nell’organizzazione del piccolo partito polacco (SDKPiL, Socialdemocrazia del regno di Polonia e Lituania) che diresse per anni insieme a Leo Jogiches con polso fermo e una pratica centralizzatrice che non aveva nulla da invidiare al partito bolscevico, ma anche sorvolando sull’ammirazione e rispetto per esso espressi nello scritto su La rivoluzione russa, tanto citato ma evidentemente pochissimo letto.
Trotskij ha ricostruito molto bene questo aspetto: non c’è dubbio, scrive, che “Rosa Luxemburg ha appassionatamente contrapposto la spontaneità delle azioni di massa alla politica conservatrice “coronata dalla vittoria” della socialdemocrazia tedesca, soprattutto dopo la rivoluzione del 1905. Questa opposizione ebbe un carattere profondamente rivoluzionario e progressivo. Rosa capì – e cominciò a combatterlo molto tempo prima di Lenin – il ruolo di freno giocato dall’apparato fossilizzato del partito e dei sindacati. Tenendo conto dell’inevitabile acutizzazione delle contraddizioni di classe, ella ha sempre pronosticato il carattere ineluttabile della venuta alla ribalta indipendente ed elementare delle masse contro la volontà e contro la linea delle istanze ufficiali. In questa prospettiva storica generale, Rosa Luxemburg ha avuto ragione. Infatti la rivoluzione del 1918 è stata proprio ‘spontanea’, vale a dire che è stata realizzata dalle masse nonostante tutte le previsioni e le precauzioni delle istanze del partito. Ma d’altronde tutta la storia ulteriore della Germania ha ampiamente dimostrato che la spontaneità, di per se stessa, non permette di vincere. Il regime di Hitler costituisce un argomento di un certo peso contro la spontaneità concepita come una panacea.”[4]
Trotskij precisava inoltre che in effetti Rosa “non si è mai limitata alla pura teoria della spontaneità. […] Contrariamente a Parvus, Rosa si è sforzata di educare in anticipo l’ala rivoluzionaria del proletariato e di unificarla per quanto possibile sul piano organizzativo. Ella ha costruito in Polonia un’organizzazione indipendente estremamente rigida. Tutt’al più si potrebbe dire che, nella sua valutazione storico-filosofica del movimento operaio, la selezione preliminare dell’avanguardia non rivestiva un’importanza sufficiente a paragone delle azioni di massa che ci si sarebbe dovuti aspettare, mentre invece Lenin, senza consolarsi al pensiero dei miracoli delle azioni a venire, raccoglieva instancabilmente gli operai avanzati in solidi nuclei legali e illegali, in seno alle organizzazioni di massa e clandestinamente, attorno a un programma rigorosamente definito.
La teoria della spontaneità di Rosa costituì un’arma salutare contro l’apparato fossilizzato del riformismo. Il fatto che essa sia stata talvolta diretta contro il lavoro di Lenin nel campo della costruzione di un apparato rivoluzionario, ne ha messo a nudo - soltanto embrionalmente, beninteso – gli aspetti reazionari. Ma in Rosa stessa questo aspetto era soltanto episodico. Ella era fin troppo realista, in senso rivoluzionario, per sviluppare i vari elementi della sua teoria della spontaneità in un sistema metafisico compiuto. Nella pratica, con ognuna delle sue iniziative, lei stessa minava quelle teorie.”[5]
Si noti con quanto rispetto Trotskij, ormai profondamente convinto di aver avuto – insieme a Rosa – torto di fronte a Lenin nel dibattito del 1903 sul partito, esprima la sua critica: “si potrebbe dire che nella sua valutazione storico-filosofica del movimento operaio, la selezione preliminare dell’avanguardia non rivestiva un’importanza sufficiente”. E in altri scritti, sempre a proposito della grande rivoluzionaria, Trotskij riprese una efficace espressione di Lenin nell’elogio funebre: “Sebbene alle aquile possa accadere di scendere fino al livello delle galline, le galline non riusciranno mai ad alzarsi tra le nuvole del cielo, nemmeno dispiegando le proprie ali”.[6] Si noti che ricordando Rosa assassinata anche Lenin non nascose le vecchie polemiche, in base al principio che la verità è rivoluzionaria, e non a quello borghese che rende un omaggio retorico e ipocrita al morto.
Agli adoratori della spontaneità, Trotskij obiettava che avevano “tanto poco il diritto di fare riferimento a Rosa Luxemburg quanto i meschini burocrati del Komintern di richiamarsi a Lenin. Lasciamo da parte ciò che è accessorio e che non ha retto alla prova della storia, e potremo allora porre, con pieno diritto, il nostro lavoro per la Quarta Internazionale sotto il segno delle “tre L”, cioè non soltanto sotto il segno di Lenin, ma anche sotto quello della Luxemburg e di Liebkhnecht.”[7]
Anche in Italia alcuni settori della nuova sinistra hanno fatto oggetto Rosa di un piccolo culto in chiave "antileninista", basato su una profonda distorsione dei termini reali del dibattito che si sviluppò tra i due grandi rivoluzionari. Ad esempio in Democrazia proletaria era rituale un omaggio a Rosa “che sul partito aveva ragione contro Lenin” [...] basato evidentemente su una vaga reminiscenza dello scritto su La rivoluzione russa, che tuttavia contiene critiche interessanti che meritano di essere discusse, ma su altri problemi: l'assegnazione della terra ai contadini, il diritto all'autodeterminazione e soprattutto la mancata rielezione dell’assemblea costituente (non il suo scioglimento in quanto tale, di cui Rosa ammetteva la necessità). La mitizzazione di Rosa Luxemburg contro Lenin è probabilmente una tardiva ricaduta della lettura spontaneista fattane da Lelio Basso (pur all'interno di un lavoro di edizione abbastanza rigoroso), e sorvola sulle molte ammissioni di Rosa, proprio in quel fatale 1918, sui meriti essenziali dei bolscevichi.[8]
Nel 1918 Rosa si batteva con decisione per trasformare l'informe e semianarchico movimento spartachista in un partito centralizzato, e aveva ripreso anche formalmente molti degli argomenti di Lenin. È noto che la Luxemburg, insieme a Liebkhnecht e ai più sperimentati quadri spartachisti, fu messa in minoranza dalle giovani leve estremiste nel I Congresso della KPD, non solo sulla tattica verso i sindacati o sulla partecipazione alle elezioni, ma anche sulla concezione del partito: per reazione alla rigidità burocratica della SPD, contro cui aveva combattuto per anni, la maggioranza dei giovani delegati rifiutò perfino l'elementare principio della subordinazione delle strutture locali a quelle centrali.
Il contributo fondamentale di Rosa alla teoria marxista
La sua opera più impegnativa, L'accumulazione del capitale, criticata aspramente per diverse ragioni, tra cui una presunta revisione di Marx, ha perso ben poco della sua attualità. Se la parte più strettamente teorica è di non facile lettura, quella storica è accessibilissima, e soprattutto attualissima, perché spiega i meccanismi con cui alla fine del secolo XIX i prestiti internazionali hanno creato le premesse per la perdita dell'indipendenza dell'Egitto e dello stesso impero ottomano. Meccanismi che sono gli stessi usati nuovamente dall'imperialismo negli ultimi venticinque anni. L 'accusa di revisionismo (in se molto discutibile, dato che Marx non si sognava affatto di essere infallibile) era anche infondata. Rosa polemizzava con alcuni capitoli del primo libro del Capitale senza sapere che nel terzo volume e in altri scritti pubblicati solo negli anni Trenta lo stesso Marx aveva affinato le sua analisi arrivando alle stesse conclusioni a cui sarebbe arrivata poi Rosa. Che comunque non temeva, se necessario, di criticare anche Marx. Era il metodo di tutti i veri marxisti rivoluzionari.
Anche sul terreno della dialettica spontaneità-organizzazione, e quella tra coscienza politica e coscienza sindacale, Rosa Luxemburg ha molto da insegnarci. Ad esempio, già nel 1893, quando era ai primi passi in politica, si era indignata che la maggior parte dei socialdemocratici tedeschi, incluso il "padre fondatore" Bebel, approvassero la posizione di alcuni socialdemocratici polacchi che sostenevano che nella Polonia prussiana non era possibile avere sindacati, ma solo un partito politico polacco. Come è possibile, scriveva, che proprio "in un paese in cui le masse sono completamente indifferenti e mute e possono essere smosse soltanto mediante gli interessi più immediati e la lotta per i salari" si pensi di poter saltare la fase della lotta economica? Frölich commenta a questo proposito che Rosa "si rifiutava di prendere per realtà i propri desideri. Era pronta ad utilizzare i più piccoli accenni di vita per un movimento. Ma non voleva lasciare il partito affondare nella lotta quotidiana, voleva anzi che il partito avesse davanti agli occhi l'intero percorso dello sviluppo futuro in conformità alla conoscenza storica e che ogni passo dell'azione pratica venisse dettato dal pensiero dello scopo finale. La rivoluzione borghese non le appariva solamente una tappa oggettivamente inevitabile dello sviluppo della Russia, ma i diritti democratici da conquistare in questa lotta e la lotta stessa per questi diritti erano per lei mezzi mediante i quali la classe operaia sarebbe maturata da un punto di vista intellettuale, morale e organizzativo, e sarebbe diventata capace di lottare per la conquista del potere politico".[9] E' praticamente la stessa concezione che sta dietro il programma di transizione.
La dialettica tra lotte parziali e su obiettivi modesti e la strategia rivoluzionaria, viene affrontata con un'ottica pedagogica basata sull'autoeducazione delle masse attraverso l' esperienza delle lotte. Ma Rosa è stata anche una straordinaria pedagoga in senso proprio. Agli inizi del 1907 venne chiamata a insegnare economia politica alla scuola di partito appena costituita e che rappresentò un'esperienza di grande interesse. Rimangono come traccia di quel lavoro alcune dispense pubblicate anche in Italia col titolo Introduzione all'economia politica, Jaca Book, Milano, 1970. In particolare la prima lezione ( Che cos’è' l’economia politica) dà il senso del carattere iconoclastico dell'insegnamento della Luxemburg, che comincia facendo a pezzi con una mordente ironia tutta la scienza accademica ufficiale tedesca.
Ma il contributo più prezioso di Rosa Luxemburg, quello che ce la rende una compagna di lotta insostituibile è la sua analisi della burocrazia, giustamente valorizzata da Ernest Mandel nel saggio dallo stesso nome come parte integrante dell'elaborazione della Quarta Internazionale.
Il ruolo della burocrazia
Questo fenomeno è stato colto molto lucidamente da Rosa Luxemburg prima che esso si manifestasse nelle forme peggiori, diventasse tradimento vero e proprio, e arrivasse al crimine per mettere a tacere le voci più scomode: Rosa fu assassinata dai Corpi Franchi assoldati dal ministro socialdemocratico Gustav Noske!
In uno straordinario scritto del 1906, Sciopero generale, partito, sindacati, la Luxemburg aveva osservato che la grande crescita del movimento sindacale e soprattutto di un vasto strato di funzionari sindacali era “un prodotto storico pienamente spiegabile” degli anni di alta congiuntura economica 1895-1900, anni di prosperità economica e di bonaccia politica. Questo apparato, anche se inseparabile da certi inconvenienti, è un “male storicamente necessario. Ma la dialettica storica dello sviluppo comporta che questi mezzi necessari della crescita sindacale, a una certa altezza dello sviluppo organizzativo e a un certo grado di maturità dei rapporti, si convertano nel loro contrario, in ostacoli a una crescita ulteriore.” Erano parole particolarmente profetiche, giacché appena un anno dopo, la socialdemocrazia avrebbe per la prima volta perso voti nelle elezioni politiche, spezzando una curva ascendente che sembrava definitiva, e scendendo in percentuale dal 31,7 al 29 % e in deputati da 81 a 43. All’origine dell’insuccesso relativo c’era stata l’incapacità di fronteggiare un forsennato attacco sciovinista ai socialdemocratici che avevano osato denunciare i crimini compiuti dalle truppe coloniali contro gli ottentotti del territorio che oggi si chiama Namibia; con un conseguente relativo isolamento che impedì apparentamenti e “desistenze”, ma da cui la destra socialdemocratica ricavò la convinzione che bisognava rinunciare ad ogni critica al colonialismo e al militarismo.
La spiegazione del processo involutivo fornita da Rosa è particolarmente interessante e dialettica: ne riportiamo per questo una piccola parte in appendice. La straordinaria ricchezza di questa analisi comunque non fu capita subito dallo stesso Lenin.
Rosa invece metteva a frutto la sua straordinaria esperienza nel più forte e strutturato partito della Seconda Internazionale, e quella che proprio nel 1905 aveva fatto in Polonia e in Russia durante la prima rivoluzione. Analizzando gli scioperi generali “spontanei” in Russia e in altri paesi, sempre prodottisi al di fuori ed anzi in contrapposizione delle organizzazioni sindacali, Rosa aveva ricavato queste conclusioni: “È chiaro dall’esame dettagliato degli scioperi di massa in Russia come dalla situazione stessa della Germania, che una qualunque azione di massa un po’ importante, se essa non deve limitarsi soltanto ad una dimostrazione una volta tanto, ma deve diventare una vera azione di lotta”, non può essere diretta solo dai sindacati, dato che “ogni azione diretta di massa diretta od ogni periodo di aperte lotte di classe sarebbe nello stesso tempo politico ed economico”.
Anche in Germania, se si aprirà una fase di lotte paragonabili a quelle della Russia, “gli avvenimenti non si preoccuperanno minimamente di domandare se i dirigenti sindacali hanno dato o no la loro approvazione al movimento”. Se tenteranno di opporsi, “i dirigenti sindacali, allo stesso modo che i dirigenti di partito, saranno semplicemente buttati fuori da un lato dall’onda degli avvenimenti, e le lotte tanto economiche quanto politiche saranno combattute senza di loro. Infatti la divisione tra lotta politica e sindacale, e l’indipendenza di entrambe non che un prodotto artificioso, quantunque storicamente condizionato, del periodo parlamentare”. Era un’intuizione giusta, anche se solo nella Russia del 1917 arriverà a una verifica completa, per l’esistenza di una forza rivoluzionaria organizzata e riconosciuta da settori importanti delle masse, che mancherà invece nella rivoluzione del 1918-1919 in Germania.
Appendice
Le ragioni dell’involuzione dell’apparato sindacale
da Sciopero generale, partito e sindacati
[…] “La specializzazione della loro attività professionale come dirigenti sindacali insieme con la naturale ristrettezza dell’orizzonte che è connessa con le lotte economiche spezzettate in un periodo tranquillo, portano troppo facilmente presso i funzionari sindacali al burocratismo e ad una certa ristrettezza di vedute. Entrambi questi aspetti si manifestano in una serie di tendenze che potrebbero diventare addirittura fatali per l’avvenire del movimento sindacale. Fra queste c’è la tendenza a sopravvalutare l’organizzazione, che da mezzo in vista di uno scopo viene a poco a poco trasformata in un fine a se stesso, in un bene supremo a cui devono essere subordinati gli interessi della lotta. Così si spiega quel bisogno apertamente confessato di tranquillità che indietreggia spaventato davanti a ogni rischio un po’ grave, davanti a pretesi pericoli per l’esistenza dei sindacati, davanti all’incertezza [dell’esito] delle maggiori azioni di massa, e così si spiega inoltre la sopravvalutazione del metodo di lotta sindacale, delle sue prospettive e dei suoi successi.
Continuamente assorbiti dalla guerriglia sindacale, i dirigenti sindacali, il cui compito consiste nello spiegare alle masse lavoratrici l’alto valore di ogni anche più piccola conquista economica, di ogni aumento di salario o riduzione dell’orario di lavoro, finiscono con il perdere essi stessi a poco a poco il senso delle correlazioni e la capacità di abbracciare con lo sguardo la situazione complessiva. Solo così si può spiegare che parecchi dirigenti sindacali richiamino l’attenzione con tanta soddisfazione sulle conquiste degli ultimi 15 anni anziché viceversa metter l’accento sul rovescio della medaglia: sul contemporaneo enorme abbassamento del livello di vita proletario a cagione del caro-pane, dell’insieme della politica fiscale e doganale, del rincaro dei terreni che ha determinato un così esorbitante aumento dei fitti, in una parola su tutte le tendenze obiettive della politica borghese che hanno in gran parte messo in dubbio le conquiste di 15 anni di lotte sindacali. Di tutta la verità socialdemocratica che, accanto alla accentuazione del lavoro sindacale e della sua assoluta necessità, dà rilievo essenziale anche alla critica e ai limiti di questo lavoro, viene in questo modo sostenuta solo la mezza verità sindacale che mette in evidenza solo il lato positivo della lotta quotidiana. E infine dall’abitudine di passare sotto silenzio i limiti obiettivi che l’ordinamento della società borghese pone alla lotta sindacale deriva una diretta avversione a qualunque critica teorica che richiami l’attenzione su questi limiti in relazione con gli scopi finali del movimento operaio. L’adulazione incondizionata, l’ottimismo senza limiti sono elevati a dovere.”
Rosa Luxemburg osservava che si creava così una stretta alleanza tra chi non accettava la classica posizione socialdemocratica (oggi diremmo “comunista” ma fino al tradimento dell’Internazionale socialista nel 1914 anche i rivoluzionari come Lenin o Rosa Luxemburg si autodefinivano socialdemocratici) contro l’ottimismo acritico sul terreno sindacale, con quelli che rifiutavano lo stesso ottimismo che portava a illusioni sul ruolo dello strumento parlamentare. Ma il peggio era che a queste tendenze si ricollegava strettamente un mutamento nel rapporto tra capi e massa:
“Al posto della direzione collegiale attraverso commissioni locali con le loro indubbie insufficienze, subentra la direzione professionale dei funzionari sindacali. L’iniziativa e la capacità di giudizio divengono in tal modo, per così dire, una specialità professionale, mentre alla massa spetta essenzialmente la virtù meramente passiva della disciplina. Questi lati deboli del funzionarismo nascondono in sé sicuramente dei gravi pericoli anche per il partito, che possono molto facilmente derivare dalla recentissima innovazione, la creazione dei segretari locali di partito, se la massa socialdemocratica non veglierà a che i segretari nominati rimangano dei puri organi di attuazione e non vengano considerati come i titolari professionali dell’iniziativa e della direzione della vita locale di partito.
Ma nella socialdemocrazia, per la natura delle cose, per il carattere stesso della lotta politica, sono posti al burocratismo limiti assai più stretti che nella vita sindacale. Qui proprio la specializzazione tecnica delle lotte salariali, p. es. la conclusione di complicati accordi tariffari e altri simili, ha come risultato che alla massa degli organizzati viene spesso rifiutato “uno sguardo panoramico sull’intera vita professionale” e con ciò si giustifica la sua incapacità di giudizio. Un fiore di questa concezione è segnatamente l’argomentazione con la quale viene proibita ogni critica teorica alle prospettive e alle possibilità della prassi sindacale, perché essa rappresenterebbe un supposto pericolo per la fede della massa nei sindacati. Si parte qui dall’idea che la massa operaia può essere guadagnata e conservata all’organizzazione solo con una fede cieca e infantile nella fortuna della lotta sindacale. All’opposto della socialdemocrazia, che basa la sua influenza sulla comprensione da parte della massa delle contraddizioni dell’ordine esistente e di tutta la complicata natura del suo sviluppo, e sull’atteggiamento critico della massa in tutti i suoi momenti e stadi della sua propria lotta di classe, l’influenza e la forza dei sindacati vengono fondati secondo questa teoria assurda, sulla mancanza di critica e di giudizio della massa. “Al popolo deve essere conservata la fede” - questo è il principio in base al quale parecchi funzionari sindacali bollano ogni critica alle obiettive insufficienze del movimento sindacale come attentato al movimento sindacale stesso”.
Rosa Luxemburg si sbagliava solo su un punto: sarebbe stata rapida la trasposizione di questo atteggiamento dai sindacati alla socialdemocrazia e successivamente agli altri partiti operai. Il metodo di paracadutare dall’alto i dirigenti locali è stato applicato con sistematicità anche in tutti i partiti comunisti, a partire dal periodo staliniano, e continua ancor oggi, e ha contagiato anche molte organizzazioni della “nuova sinistra” nate dopo il 1968. Ma l’analisi complessiva resta attualissima.[i]
[1] Da “La Correspondance Internationale”, V, n. 50, 11 maggio 1925.
[2] Lev Trotsky, Giù le mani da Rosa Luxemburg, in Lev Trotsky, Difesa e critica di una rivoluzionaria, “Quaderni del Centro Studi Pietro Tresso”, n. 19, luglio 1996, p. 34.
[3] Lev Trotsky, Rosa Luxemburg e la Quarta Internazionale, Ivi, p. 47. Lo scritto è del giugno 1935.
[4] Ivi, pp. 47-48.
[5] Ibidem
[6] Ivi, p. 35.
[7] Ivi, p. 49.
[8] È interessante a questo proposito confrontare gli scritti raccolti da Basso nell'antologia di Scritti politici pubblicata dagli Editori Riuniti con quelli scelti da Luciano Amodio nel 1963 per le edizioni Avanti! (poi più volte ristampati da Einaudi), che permettono di valutare meglio la riflessione di Rosa nel corso delle ultime fasi della sua vita, in cui comprese drammaticamente che la classe operaia tedesca aveva tempi strettissimi che non le avrebbero consentito di ricavare tutte le lezioni necessarie per evitare la sconfitta della rivoluzione. Negli ultimi articoli Rosa sembra aver accantonato persino le sue critiche ai bolscevichi sullo scioglimento dell'Assemblea costituente, nel momento in cui anche per la Germania contrappone la generalizzazione dei Consigli (la versione tedesca dei soviet) alla partecipazione alle elezioni.
[9] Paul Frölich Rosa Luxemburg, prefazione di Rossana Rossanda, BUR. Milano, 1987, p. 86
[i] Sciopero generale, partito e sindacati è pubblicato in varie raccolte. La citazione tratta è da Rosa Luxemburg, Scritti politici, a cura di Lelio Basso, Editori Riuniti, Roma, 1967, pp. 363-365
http://antoniomoscato.altervista.org/index.php?option=com_content&view=article&id=3037:rosa-luxemburg-cento-anni-dopo&catid=20:ipocrisie-e-dimenticanze&Itemid=31
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lamilanomagazine · 2 years ago
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Cesena, arriva lo spettacolo Voglio solo le ossa
Cesena, arriva lo spettacolo Voglio solo le ossa. Una produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale in prima assoluta al Teatro Bonci di Cesena venerdì 25 e sabato 26 novembre alle ore 21.00, domenica 27 alle ore 16.00, firmata dal giovane Giacomo Garaffoni, vincitore della Biennale College Teatro (2021-2022) – Autori under 40, che per la sua prima regia teatrale ricostruisce la storia della cesenate Cristina Golinucci, a 30 anni dalla scomparsa: superando il fatto di cronaca, Voglio soltanto le ossa convoca la comunità cittadina, in corrispondenza della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, per un atto di coinvolgimento quasi fisico in questa oscura vicenda, come una tragedia contemporanea. Cosa rimane oggi di Cristina? Quali domande ci pone, la sua assenza? Il primo settembre 1992, fuori dal Convento dei Frati Cappuccini di Cesena, Cristina Golinucci scompare senza lasciare traccia. Il giorno in cui ha smesso di essere sé stessa, è diventata un per sempre. Una foto in tutte le stazioni d’Italia, gli stessi occhiali, lo stesso cardigan, la stessa spilla, lo stesso sorriso per sempre. Un paesaggio emotivo che comincia dove una storia è finita, per diventare memoria, immagine e testimonianza del solo accadimento di mancare. In un percorso di ricerca lungo tre anni, il regista e autore cesenate ha conosciuto la famiglia della ragazza, ha letto i diari e le lettere, condotto un’accurata analisi degli atti d’indagine e organizza ora un attacco al museo della memoria, confrontandosi con la rimozione di un femminile assalito e infranto. In un vortice spietato, mette in scena l’incontro, delicato ed emotivo, tra due donne che non hanno potuto dirsi addio. In difesa della fragile tenerezza che c’è nel gesto di ricordare. "Cristina è scomparsa nel nulla il primo settembre 1992" scrive il regista, "nel suo diario c'era la vita di una ragazza di 21 anni, e c'era un foglietto con scritto: “Mi troverete perché mi cercherete con tutto il cuore” Geremia 29:13. Che forma assume la vita di chi rimane a fissare quel vuoto? Ogni volta che mi chiedono come mai ho scritto uno spettacolo su Cristina rispondo una mezza verità, probabilmente perché l'altra mezza non la so nemmeno io. Ma di sicuro, in vita mia, non ho mai visto un amore così privo di argini e di condizioni. Da trent'anni Marisa Degli Angeli, la mamma di Cristina, disobbedisce al nulla. Non sono un eroe, non sono un investigatore e non ho nessuna verità con me. Ho sempre voluto che questo spettacolo fosse un canto, un requiem, il suono che si sente intorno al buco enorme e senza destino che rimane quando sparisce una cosa molto piccola: un essere umano". Sabato 26 novembre alle 17.30, sempre in occasione della Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne, è in programma l’incontro Caccia alle streghe all'origine della violenza di genere con l’attivista e teorica femminista Silvia Federici (che interverrà in remoto da New York), Professoressa Emerita della Hofstra University, autrice di un libro cardine del pensiero di genere, Calibano e la Strega. Donne Corpo e Accumulazione Originaria, pubblicato da Mimesis nel 2015 e tradotto in varie lingue, che analizza il rapporto tra l’avvento del capitalismo e le radici di questa violenza: Federici dialoga con Rita Monticelli, ordinaria dell’Università di Bologna che coordina il Master internazionale GEMMA (Women’s and Gende studies). A partire dall’indagine compiuta da Silvia Federici per svelare le inquietanti rispondenze tra le ragioni che nel Quattrocento innescarono la caccia alle streghe e i femminicidi di oggi, una preziosa occasione per entrare nei territori di un’altra declinazione della violenza, quella culturale e linguistica, dove si annidano discriminazione, sessismo e razzismo. L’ingresso è libero. Lo spettacolo Voglio soltanto le ossa e l’incontro sono stati inseriti anche nel programma 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere coordinato dal Comune di Cesena – Assessorato ai Diritti e alle Politiche delle Differenze e organizzato in collaborazione tra Forum Donne, Centro Donna, Azienda Unità Sanitaria Locale di Cesena, in occasione della Giornata Internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne (25 novembre) e della Giornata Mondiale dei Diritti Umani (10 dicembre). Giacomo Garaffoni (Cesena, 1981) è autore, performer e regista. Collabora con artisti del mondo della ricerca teatrale come Romeo Castellucci, Societas e Teatro Valdoca. Nel 2021 vince il Premio Giovane Arte Contemporanea della Regione Emilia-Romagna, con il progetto Cassandra, il diritto di parlare. Sempre nel 2021 vince il Bando Autori Under 40 della Biennale di Venezia con il testo originale Veronica, di cui una mise en lecture ha debuttato nel giugno 2022, sempre a Venezia, per la cura del Piccolo Teatro di Milano. Il suo ultimo lavoro, Voglio soltanto le ossa, è prodotto da Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale.   Informazioni: Teatro Bonci, Piazza Guidazzi – Cesena Biglietteria: aperta dal martedì al sabato ore 11-14 e 16-19 | nei giorni di spettacolo ore 17-21.30 | la domenica ore 15-16.30 | T. 0547/355959 | [email protected] Biglietti da 26 a 8 euro. L’incontro è a ingresso libero.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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sguardimora · 2 years ago
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Nuove Traiettorie XL
03 Novembre 2022 - 10 Novembre 2022
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E’ in corso la residenza creativa dei giovani danz’autori: Lorenzo Covello, Lucrezia Gabrieli , Camilla Montesi, Massimo Monticelli, Noemi Piva, Danilo Smedile, Maria Chiara Vitti, Elisa Zuppini.
Nuove Traiettorie XL è un’azione del Network XL, un percorso di qualificazione professionale che si rivolge a giovani autrici e autori agli esordi del loro percorso autoriale selezionati dai propri referenti regionali – partner del Network XL – tra i candidati e le candidate al bando della Vetrina della giovane danza d’autore che si distinguono per il loro potenziale creativo. L’azione si concretizza nell’offerta di borse di studio per la partecipazione a un programma di incontri teorici, pratici e a momenti di confronto e scambio con docenti, tutor e figure dello spettacolo dal vivo per approfondire tematiche legate al sistema danza e stimolare riflessioni e analisi sull’atto creativo, al fine di supportare la crescita personale e artistica.
Nuove Traiettorie XL prevede una parte di formazione teorica online tra giugno e settembre e un periodo di lavoro in presenza sotto la guida dei tutor Massimo Carosi, direttore artistico del Festival Danza Urbana di Bologna, e Paolo Brancalion, coordinatore dei progetti di danza de L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino e di affermati esperti del settore.
La tappa nel teatro nel bosco dell’Arboreto, è stata appositamente progettata come una residenza condivisa per lavorare e riflettere nello specifico sull’identità autoriale e come questa si delinea nella pratica corporea. Durante queste giornate i giovani autori coreografici si confronteranno e saranno guidati da Enrico Pitozzi e da una figura peculiare, un’artigiana del pensiero, l’architetto Maria Malvina Borgherini per aprire le prospettive di lettura delle loro proposte autoriali e stimolarli a nuovi punti di osservazione, diverse modalità di indagine e composizione.
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