#@pensando alle ferie
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madziy · 2 years ago
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La mia attività preferita della domenica mattina (per me nel weekend è mattina almeno fino alle 14) è prendere il caffè e spiare i cagnetti dei miei vicini che fanno le passeggiate. Vorrei anch’io un cane ma viaggio troppo e quando non viaggio sto comunque fuori casa da mattina a sera (e poi ho una paura fottuta di essere responsabile di una creatura e non accorgermi che sta male e ha bisogno di cure). Tra i viaggi già fatti e quelli prenotati ho già finito i miei giorni di vacanza che avevo da usare per quest’anno quindi quando la settimana scorsa ho ricevuto un’email che mi offriva un giorno libero in cambio di un’attività di beneficienza mi sono subito iscritta presa dall’eccitazione, senza realizzare bene che si tratta di una corsa. Io odio correre, ma ho fino a settembre per farmelo piacere. Ci ho messo quindici anni a farmi piacere le olive e ora le adoro. Quando arriva giovedì e sono esausta dal lavoro e dalle attività solite della settimana e sento un ronzio in testa per le ore passate in inutili riunioni online, per cena mangio olive davanti alla tv pensando al prossimo viaggio. Capita a volte che le persone mi dicano che devo avere un sacco di soldi per viaggiare tanto e io spiego sempre che semplicemente tutti i miei soldi li investo in quello. Non ho bambini, non ho una macchina e non compro cose costose. Forse se prendessi un cane spenderei tutti i miei soldi per lui e il problema del viaggiare troppo si risolverebbe così. Comprerei finalmente una macchina e ci faremmo dei road trip pazzeschi. Il problema più grande comunque rimangono i pochi giorni di ferie quindi sto pensando a quale sarà la prossima grande cosa in cui investire e smettere di lavorare.
Ah, presa dalla disperazione mi sono fatta rossa, segno da donna basic che qualcosa deve cambiare.
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ross-nekochan · 1 year ago
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Ieri notte ho pianto un po'. Dovrebbe essere una bella notizia, dato che non lo faccio mai per colpa del mio cervello che mi obbliga a reprimere tutte le emozioni perché devo per forza essere forte e basta. Sarà forse stato il ciclo, che anche stavolta mi è arrivato dopo 40gg, forse (ancora) per colpa dello stress del lavoro.
Ultimamente mi sento sola e dimenticata dal mondo e a volte penso che morire qui sarebbe perfetto per sparire nel nulla facilmente. Tanto chi mi verrebbe a cercare? Nessuno. Basterebbe fare in modo che nessuno trovi il mio corpo e lasciare che marcisca così che nessuno possa essere avvisato e sparirei senza lasciare traccia.
Non so cosa fare. Né adesso né in futuro. Sebbene lavorare mi ammazzi lo spirito, in teoria non avrei di che lamentarmi: il leader è gentile, il lavoro non è difficile e ingestibile, posso vestirmi come voglio. Eppure mi sembra tutto vuoto. Guardo i dipendenti della multinazionale dove lavoro... saranno ricchi sfondati, eppure sicuramente anche loro avranno da lamentarsi, quindi ha veramente senso fare carriera? Che poi, anche se volessi, in che cosa potrei farmi una carriera? Una parte di me sta seriamente pensando di continuare in questa strada, specializzarmi in qualcosa di tecnico e diventare un'arrivista come tutti gli altri, solo per i soldi. Dall'altra... riuscirei a perseverare in questa decisione, io che non so nemmeno sicura se voglio davvero quello che ho deciso di mangiare a colazione? In questa società non posso servire a niente perché non ho studiato ingegneria, business, finanza, giurisprudenza. Mentre piangevo pensavo a mia madre, la persona che più odio e amo sulla faccia della terra e che una volta mi ha detto:"Perché vorresti dire che i tuoi esami sono più difficili di quelli di tuo fratello?!". Solo perché ho studiato umanistica e non ci sono numeri. Chi studia le materie STEM spesso viene additato e si sente uno sfigato. E invece i veri sfigati siamo noi, perché tanto è tutto facile. Quante volte l'ho sentita dire che mio fratello "ha fatto i sacrifici" - mai sentita una cosa del genere per me, nonostante è dalla triennale quando avevo 20 anni, che mi sveglio alle 6:30 per prendere il bus per raggiungere Napoli, mentre mio fratello andava comodamente in auto senza manco cambiare provincia; mai sentita per me nonostante abbia deciso di andare a studiare fuori, ma quello l'ho deciso io e quindi non vale come sacrificio. In più, ho ricevuto più soldi per vivere fuori - come se qualcuno avesse impedito pure a lui di farlo. Ha fatto tanti di quei sacrifici da non aver mai avuto bisogno di cucinare da solo, lavarsi la biancheria e spazzare a terra. Ora vive già con uno stipendio da pascià, un sacco di ferie, senza pagare quasi niente e lavorando da casa, con l'unico sacrificio di aver studiato 5 anni per laurearsi - come se avesse studiato solo lui. Vabbè ma si sa, ingegneria è più difficile...
Io continuo a fare sacrifici persino oggi, senza che mi venga riconosciuto da nessuno, sola come un cane e senza che io riesca a vedere la fine di tutto questo, mai. E se lo vai a dire a qualcuno, sai che rispondono? Lo hai deciso tu di trasferirti quindi non ti lamentare. Non posso nemmeno pensare: se mi sacrifico tot anni, dopo potrò finalmente riposare e godere dei frutti del mio sacrificio... perché questo supplizio potrebbe non avere mai fine. Solo perché non ho nessuna skill di valore da poter vendere nel mercato del lavoro.
Non mi posso lamentare del lavoro che faccio adesso eppure la sua vuotezza e sterilità mi porterebbe a volerlo cambiare. Ma per cosa? Esistono altre cose per me, laureata di merda senza skills importanti, che sono più stimolanti o quanto meno più remunerative? Forse no e quindi forse piuttosto che fare l'arrivista, sarebbe meglio abbassare la testa e continuare a fare la schiava del sistema.
Un sacco di volte mi sono lamentata del fatto che mi sveglio presto col mio coinquilino italiano e lui ha risposto:"Almeno tu lavori in ufficio, non ti lamentare. Io lavoravo in officina senza aria condizionata d'estate e senza riscaldamento d'inverno". Siamo arrivati a questo, alla guerra tra poveri. Mi devo sentire in colpa pure se non ho lo smartworking.
Tra l'altro sto notando di una cosa comune nella nostra generazione. Infatti lui, come l'altro coinquilino, dopo tot anni di lavoro e di soldi accumulati hanno deciso di venire qui per imparare la lingua e fare una sorta di investimento su se stessi. La mia amica pure, laureata in arte contemporanea, dopo un paio di anni di lavoro in un negozio di abbigliamento, dice che vuole perseguire la sua passione per il disegno e seguire un corso ad hoc.
Se penso a me, nemmeno questa cosa potrei farla. Che corso farei? Quale stravolgimento della vita potrei fare? Nessuno. Non ho altri interessi al di fuori della conoscenza in generale e nessun corso specifico che possa aiutarmi a migliorare la mia situazione o il mio status.
Sono vuota, persa, sola... vedo solo il buio davanti a me.
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eliophilia · 6 months ago
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Un riassunto degli ultimi mesi (o forse dovrei dire anni)
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Ancora deve finire l’estate ma già penso all’anno nuovo. Ormai sono entrata anche io nell’ottica che l’anno nuovo, vero e proprio, cominci a settembre. Credo che dovrò abituarmi a questo nuovo tipo di visione come ogni disperato che ha a che fare con la scuola nella sua vita. E così mentre compro la crema doposole per le ferie che ancora devo neanche iniziare, mi trovo a prendere anche l’agenda per i nuovi mini-babbani dell’anno 24/25. Comincerò a lavorare il giorno dopo il mio ultimo giorno di vacanze, scelta traumatica, non desiderata, ma obbligata. Gli anni scolastici iniziano sempre prima, l’anno scorso il 4, quest’anno il 2, ma che ca. 
Ho molta paura pensando a quello a cui andrò incontro, l’anno scorso ero inesperta e mi buttai a capofitto in un’esperienza nuova, piena di entusiasmo. Entusiasmo che mi hanno smorzato subito, per carità, perché era un ambiente super tossico. Ma ormai esistono ambienti lavorativi che non lo sono? Comunque sia andata (altri traumi su traumi che non supererò ma magari ne parliamo un’altra volta) questo anno mi ha donato la famosa “esperienza” e ora che so quello a cui vado incontro, non ho l’entusiasmo di prima, ma solo paura. Sarà un ambiente più grande del precedente, con colleghe più antipatiche e maligne di quello precedente, con regole più severe di quello precedente. Mi mancherà Maria, mi manca già adesso che non ci vediamo tutti i giorni come prima, lei è stata il regalo più grande. Mi mancheranno le gemelle che rimpiango ancora adesso ogni giorno, anche se abitiamo a 100 metri di distanza. E poi basta, non mi mancherà più niente perché ho lottato con le unghie e con i denti per andarmene da quel cesso di posto. Ma questo non mi impedisce di cagarmi sotto ora. Spero solo che i guadagni siano più alti e varranno i sacrifici, altrimenti vorrà dire che si ripresenterà di nuovo la frustrazione di prima, e io un altro anno così non lo reggo.  
Il 2023 è stato un anno pessimo e con la malattia di mia madre non mi sono goduta né la proclamazione né la festa di laurea. Dopo in effetti, non pensavo di trovare lavoro nell’ambiente scolastico così presto. Semplicemente il primo sabato di settembre ho fatto il colloquio, il lunedì ero già dentro. Ma solo perché lì erano disperati, non per merito mio. Da settembre a marzo ho lavorato 12 ore al giorno, mi alzavo alle 7, andavo al lavoro alle 8, tornavo da scuola alle 2, cominciavo il doposcuola alle 3, finivo alle 8, mangiavo, facevo i piatti, alle 10 crollavo sul divano senza neanche mettermi a letto. Mia madre mi guardava storto tutto il tempo perché non solo non ero presente quando lavoravo, ma neanche il resto della giornata (dovrei dire serata). Un po’ l’ho fatto anche per disintossicarmi da loro, stare a contatto con mia madre e mio padre h24, da quando mia madre ha smesso di lavorare, è stato un altro elemento deteriorante per la mia psiche. Quando c’era il mio fidanzato nel weekend facevo il borsone e me ne andavo a casa sua, la sera uscivo. Ma facevo fatica a fare anche quello, la vita sociale per me era un sacrificio, dovevo calcolare anche il tempo materiale per farmi uno shampoo. Nel frattempo è tornato mio fratello qui ma non è cambiato molto, non mi ha alleggerito dai pesi familiari. Continuavano gli esami, le scadenze, le visite di mia mamma e tutto il resto. So che arriveranno altri tempi così, che non sono finiti, ma ripensandoci, e con la voglia di lamentarmi fino al 2032, è stata davvero dura. Da marzo ho allentato un po’ la presa, non per mia scelta, ma è stato un bene. Da scuola ho iniziato ad uscire alle 4 e la sera davo qualche lezione quando capitava, ma niente di fisso. Ci ho perso molto economicamente ma ci ho guadagnato di salute mentale. Ad aprile è successo un altro evento traumatico che speravo proprio di non rivivere ma è stato un altro punto di svolta. 
Da giugno in poi ho cambiato idea 50 volte sul mio futuro, prima ho dato conferma a quella scuola per restare, anzi l’ho chiesto proprio io, poi all’improvviso, e con una grande mossa scorretta (devo ammetterlo, ma se lo meritavano) e ho mollato tutto per un’altra scuola. Luglio è stato devastante, lavorare con quel caldo, all’aperto, senza un filo d’aria, mi ha portato a stare male fisicamente. Credevo fosse chissà cosa invece poi da quando ho smesso di lavorare non avevo più niente. Ho somatizzato con giramenti di testa, narcolessia, affanni vari, dolore in petto, schiena bloccata per settimane, intrattabilità e voglia di buttarmi da un burrone. In tutto ciò fingevo simpatia e non curanza con le nuove colleghe (tutte un dito in culo, comprese le bidelle) giusto per non farmi riconoscere e farmi cacciare il secondo giorno, dopo tutto il sacrificio che stavo facendo. 
E ora eccomi qua, 16 agosto e con il solito caldo asfissiante, aggiungo qualcosa al carrello su Shein e su Amazon, guardo borse e collane, leggo qualche pagina, guardo qualche serie che non mi piace, riguardo film che avevo visto anni fa e non ricordavo. Mi ricordo che ho questo blog da decenni e mi ritrovo a scrivere digitalmente, infatti mi fanno male le dita. Da circa un anno avevo iniziato un diario cartaceo vero e proprio, era un modo per sfruttare i vari quaderni comprati negli anni, la cancelleria, e perché tutti dicono faccia bene. A me scrivere ha sempre fatto bene, ma non guarisce (ma va?). Ho iniziato il diario più che altro per tenere traccia della malattia di mamma ma è diventato uno sfogatoio per varie vicissitudini quando ne avevo il tempo. Altrimenti urlavo e basta: più rapido ed efficace. Ho comprato la Valeriana sperando non mi faccia effetto cavallo (ovvero dormire dopo 5 minuti) sperando calmi i miei attacchi d’ansia. Nell’ultimo mese ho avuto un paio di attacchi di panico, non si presentavano da molto e credo siano stati il risultato dell’accumulo del nervosismo degli ultimi 10 mesi. Ovviamente si presentano quando la vita si ferma e quando mentre sei in affanno per qualcosa. L’ansia ti bussa sempre quando te la dimentichi. Per calmarmi ho pensato ad Inside Out e a quanto fosse descritto bene quel momento. Ad ogni modo, mi ha aiutato. In questi momenti mi dispiace sempre molto per chi mi sta vicino, capisco che è una cosa difficile da gestire per chi non è abituato. Neanche io mi abituerò mai, quindi figuriamoci. Almeno adesso so che non dipendono solo da una persona sola, prima li attribuivo solo a dei momenti precisi della vita, adesso almeno mi sono autodiagnosticata l’ansia e basta, ne soffro, amen. Questo mi impedisce di vivere serenamente? Ovvio. Ogni tanto mi motivo da sola e mi dico che sono forte a superare tutto ciò ma la realtà è che mi sento solo un peso per me stessa e per gli altri. Sono ancora quella che legge, scrive, corregge. Faccio polemica e rido. Mi arrabbio e sbraito. C’è mai qualcosa che mi farà mai trovare pace nella vita? Non credo. 
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edsitalia · 4 years ago
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Soluzione d'amore By @giada_occhiverdi
Ma come? Viene a trovarmi la prossima settimana dopo tre mesi che ci sentiamo solo in chat? E come faccio ora? Devo trovare una soluzione. E anche alla svelta! Mi volto e dò un’occhiata al buco dove vivo: ultimamente a causa del lavoro ho  trascurato un po’ le pulizie e… beh diciamocelo chiaro e tondo,  sembra che qui sia scoppiata una bomba! Abiti, piatti e posate, avanzi di cibo si fondono in un unico quadro astratto; la sera sono così stanca che mi spoglio sulla soglia di casa e butto tutto dove capita, non ho voglia di cucinare e mangio solo cose che posso infilare direttamente dal freezer al microonde, per addormentarmi infine esausta davanti alla tv. Non è un quadro molto invitante, lo ammetto, ma non è di questo che stiamo parlando, bensì di Matteo! Il mio dolcissimo Matteo,  conosciuto su instagram dopo che entrambi abbiamo commentato un post che parlava di terrapiattismo: dopo due commenti un po’ sarcastici ci siamo spostati nei messaggi direct e lì abbiamo chattato tutta la notte. Ci siamo scambiati il follow e ho subito sbirciato tra le sue foto: è un figo da paura,  lavora  per una società di comunicazione e marketing a Milano  ed è single. Inoltre è dolcissimo e sensibile…morale della favola: alla seconda chiacchierata in chat il mio cuore aveva già la consistenza di un budino al crème caramel,  soprattutto perché abbiamo cominciato a flirtare  scambiandoci messaggi sempre più piccanti, e abbiamo un’intesa da paura! Solo pensare a lui mi fa venire gli occhi a cuore e scaldare il sangue, erano settimane in effetti che parlavamo di vederci, ma pensavo che avrei avuto più tempo per organizzarmi. Sarà qui il 9 alle tre, e io sono nel panico totale! “Cosa vuoi che sia" penserete voi “un paio di giorni di pulizie e tutto tornerà in ordine”. Certo, l’appartamento si, ma a me ci vorranno molto più di due giorni! Mi prende lo sconforto e mi accascio sul pavimento,  con le mani tra i capelli.  Il fatto è che…che…beh che a Matteo ho detto qualche piccolissima bugia, ho nascosto qualche dettaglio, tipo quanto sono alta e soprattutto quanto peso. Faccio un rapido calcolo di quanto dovrei mangiare per dimagrire dieci chili in tre settimane e già comincio a sudare freddo al solo pensiero di non fare colazione con le gocciole, per non parlare della merenda con i grisbí,  e lo spuntino pre-nanna con gli smarties davanti alla tv. Basta, da oggi si cambia, dieta ferrea! Ah poi ci sarebbe il dettaglio dell’intimo:  lui crede che io indossi sempre intimo di pizzo, ma la verità è che le uniche foto in lingerie che gli ho mandato sono quelle che mi sono scattata nel camerino di Intimissimi con tre reggiseni super sexy e una sottoveste tutta pizzo;  devo dire che ho un bel seno, e in quelle foto con le tette in bella vista ho fatto la mia porca figura. Per non parlare delle scarpe con il tacco dieci che mi sono fatta prestare da Lucia per fare delle foto un po’ fetish: solo per averle indossate un’ora mi hanno gonfiato il piede al punto che quando le ho tolte hanno fatto il botto, come quando stappi le bottiglie di spumante. Ok lo so che queste cose - il peso, le scarpe, la lingerie -  sono solo dettagli, quello che conta è come sono io intimamente, lui è cotto di me, non delle mie scarpe ecc., si però ci sono io in questa situazione, sarà comunque un primo incontro e ho tutto il  diritto di essere nel panico. Stasera farò l’ultimo festino a base di popcorn e, da domani, il mondo cambia! E’ sabato sera, ieri ho preso un giorno di ferie e sono da 48 ore tappata in casa a fare Cenerentola senza nemmeno l’aiuto dei topini. Indosso la mia salopette jeans  oversize da battaglia e sono alle prese con il riordino della camera: guardo sconsolata il disordine che impera,  e mi convinco che l’unica soluzione sia il napalm. Mi lascio cadere esausta, sono stanca, ho fame, non ho avuto tempo di pensare alla dieta – anche se a dire la verità quasi non tocco cibo da ieri. Improvvisamente un pensiero mi balena in testa: mi darò malata! Non ce la farò mai a rendermi presentabile in tempo, e i sensi di colpa non mi stanno facendo dormire la notte, ho bisogno di calma e pensare a come rimediare alla situazione. Ok, facile, qualche giorno prima lo chiamo e gli dico che ho l’influenza. No, no ci vuole qualcosa di più raccapricciante, che lo distolga dall’idea di venire lo stesso a farmi da infermiere: un virus gastrointestinale potrebbe andar bene! Abbastanza disgustoso direi, forse ho trovato la soluzione. Però poi Matteo potrebbe intuire che si tratti di una banale scusa per non vedersi, e comincerebbe a pensare che non ne vale più la pena, e magari non prenoterebbe il treno un’altra volta, pensando che gli darò di nuovo buca. Sto per piangere, ho la testa che mi scoppia quando, a un tratto, suona il campanello. Non aspetto nessuno, ma chiunque sia sarà la mia salvezza da questo stato di disperazione acuta in cui mi trovo, magari è Lucia che si è preoccupa per me e mi ha portato qualche dolcetto per tirarmi su. Mi precipito verso la porta, spalanco di botto e…davanti a me c’è Matteo! Ho le visioni, di sicuro ho le visioni, sento le gambe molli, cosa ci fa lui qui? E’ impossibile! Resto a bocca spalancata e non riesco neanche a pronunciare una sillaba, mentre i miei occhi lo percorrono da capo a piedi e, cazzo vorrei saltargli addosso qui, subito, sulla soglia di casa. Ci pensa lui a togliermi da questo stato catatonico: butta a terra il borsone, sorride emozionato, si avvicina di slancio, mi afferra per la vita con una mano e con l’altra mi sfiora la guancia, incendiandomi con i suoi occhioni “Oddio quanto sognavo questo momento”    mi dice con semplicità, per poi tuffarsi sulle mie labbra ancora incredule, ma più pronte di me, perché rispondo immediatamente al bacio, gustandomi per la prima volta  il morbido calore  delle sue labbra, mentre il suo profumo mi stordisce il cervello. Le nostre bocche hanno già sancito l’accordo perfetto, e ora Matteo insinua la lingua a cercare la mia. E d’improvviso lo circondo con le braccia, gli offro la mia lingua e tutta me stessa, e in quel momento spariscono le preoccupazioni, spariscono il disordine dalla mia testa, svaniscono le paure  e tutte le seghe mentali. Rimaniamo noi, un tutt’uno fatto di passione e di tanta attesa finalmente azzerata, così come la distanza fisica. Matteo si stacca dalle mie labbra, mi sorride e, mentre mi guarda, esplora divertito e curioso il mio corpo con le mani. “Sei stupenda Iris, non mi avevi detto di avere tutta questa bontà addosso” mi dice un po’ scherzando ma con la voce piena di desiderio. Avvampo all’istante ma gli rispondo sinceramente  “In effetti, non ti ho detto ancora tutto tutto di me ma…a proposito, cosa ci fai qui? Non saresti dovuto arrivare il 9 alle tre?”                                    Matteo fa un’espressione stupita ma poi sorride ancora di più “Ecco perché non sei venuta alla stazione! Piccola, non il 9 alle tre, ma il 3 alle nove” e mi dà un bacio sul naso. Io sgrano gli occhi incredula, ma rido a mia volta, imbarazzata per questo assurdo malinteso            “Mi fai entrare?” domanda Matteo “Si, certo, però…l’appartamento non è esattamente come te l’ho descritto” “Iris”, mi guarda serio negli occhi, continuando a tenermi stretta “facciamo così: ora tu mi fai entrare, e mentre faremo l’amore mi sussurrerai all’orecchio tutte le piccole bugie che mi hai raccontato, ok?”.        E a questa dichiarazione io mi sento sciogliere definitivamente, lo stringo ancora di più, spicco un salto, mi aggrappo con le gambe al suo corpo e questa volta sono io che cerco la sua bocca, affermando senza ombra di dubbio che sono felice che sia qui.  Ho trovato la soluzione: semplice, no?
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a-serao-blog · 6 years ago
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Lettera aperta di una veterana stagionale agli albergatori romagnoli, i beneficiari senza scrupoli di una guerra tra poveri
Attenzione ai cavilli  impercettibili del seguente colloquio verbale che inaugura ogni rapporto lavorativo tra una persona a cui occorre un occupazione ed un albergatore romagnolo. L'autrice di questo trafiletto auspica di sottolinearli, data la sfortunatamente vasta esperienza acquisita in proposito, sperando di far luce sulle polemiche legate alla dichiarazione del sindaco di Gabicce che imputa al reddito di cittadinanza la mancanza di personale stagionale. Premetto che quello che scrivo non vale per tutti gli Hotel, ma per la maggior parte di essi sì, e sono dinamiche vissute in prima persona e in differenti tipologie di alberghi, ed ovviamente esperienze di chi ha condiviso queste situazioni con me. "Quindi siamo d'accordo? Saranno sette, otto ore al massimo,  tutti i giorni, perché purtroppo (purtroppo lo dicono solo gli albergatori più gentili, o quando intuiscono dalla tua espressione che stai figurando i mesi a venire dovendo lavorare sempre, giorno dopo giorno dopo giorno dopo giorno dopo giorno...) qui funziona così. Dappertutto sai? Non è che un altro hotel ti può dare il giorno libero". Mentre tu stai riflettendo su quando potrai rivedere i tuoi cari per mezza giornata, o più semplicemente la luce del sole, l'albergatore continua: " Non preoccuparti, noi siamo ben organizzati, il lavoro non è che sia poi così impegnativo". La tua perplessità non gli fa battere ciglio, l'atteggiamento  anche in fase embrionale è infatti  sempre quello di chi ti sta facendo un favore a darti un lavoro, come se non si trattasse di un normale scambio prestazione professionale - pagamento,  ma di un atto di altruismo che viene condensato  con uno scaltro rimando alla crisi, un arguta constatazione del fatto che sono in tanti a cercare lavoro e che ha come risultato questa morale: ti conviene accettare le condizioni proposte perché sei un privilegiato se vieni assunto al posto di quei molti che si suppone siano in una presunta fila alla loro porta. Atteggiamento che oltre a stimolarti un impeto di gratitudine immotivata, serve anche a giustificare l'entità del pagamento. Subdolo, sì, ma efficace. I tre punti ricorrenti infatti quando si arriva a parlare di paga sono i seguenti: come accenato sopra, crisi, quindi stimolare il senso di colpa per aver scelto te per lavorare lasciando per strada chissà quanti altri disgraziati. Punto due: l'esperienza. L'esperienza che tu possiedi infatti è inevitabilmente diversa da quella che necessitano in quell'Hotel, se sei cameriere ed hai già esperienza  in strutture dello stesso livello, sicuramente il servizio viene fatto in modo completamente diverso,  se sei cuoco ed hai lavorato anche in hotel di pari categoria è certamente tutto un altro discorso nell'albergo di chi ti sta proponendo il lavoro. Allo stesso modo, se lavori in segreteria e conosci lo stesso programma utilizzato dall'azienda, non farti prendere da quell'iniziale entusiasmo: " Qui lo usiamo in maniera diversa". Non solo, lavorare per noi ti qualifica. Hai già esperienza? Non importa, dopo aver lavorato qui puoi lavorare ovunque. Questa tattica mascherata in un altro slancio di bontà che significa: non sei quello che cerchiamo, non sei preparata esattamente per le nostre esigenze, ma noi chiudiamo un occhio, perché siamo caritatevoli e ti vogliamo fare lavorare, dopo aver lavorato nel nostro Hotel allora sì che saprai lavorare. Il terzo immancabile argomento al momento della conversazione sulla paga, ��, a mio avviso, il più ignobile di tutti. Il pianto dei soldi da parte dell'albergatore. Non si lavora più come una volta, la stagione è corta, il cambiamento climatico incombe, non stiamo dentro nelle spese (ma continuiamo a farlo ogni anno perché ci piace impoverirci), non dico che andiamo in perdita ma siamo a quel livello. L'obiettivo è la tua empatia: dopo essersi reso ai tuoi occhi umano e debole, la carellata delle difficoltà esposte ti predispone ad una pacca sulla spalla col significato sottointeso di "ce la faremo". E sei fregato. La proposta del salario dopo tutte queste considerazioni è detta a voce anche spavalda, come facesse un eccezione per te ed arrivasse addirittura alla cifra che ti sta proponendo che nonostante il tentativo eseguito magistralmente e il tuo stato d'animo intortato è talmente ridicola che spalanchi comunque gli occhi pensando "Sono due euro all'ora, non si può". L'hai sottovalutato, è pronto a questa reazione. Prima che tu possa parlare, passa al contrattacco: " Poi 50 euro in più, magari non in busta, se sei bravo...non è detta...poi c'è la possibilità di vitto ed alloggio, in quel caso decurtiamo qualcosina altrimenti non andiamo in pari...". Se ti serve un lavoro e non hai mai fatto prima le stagioni in riviera, accetti con tanti dubbi. Se l'hai già fatta, perché devi lavorare, accetti con la morte nel cuore. Saranno sette od otto ore. Sono dieci, dodici ore. Il tuo lavoro non è così impegnativo. Il tuo lavoro sfianca, manca il personale, sei solo e devi coprire il lavoro di più persone, ogni giorno, per mesi. Ufficialmente riposi un giorno a settimana, quello immaginario in cui vedi la luce e fai le lavatrici, in realtà sei costretto a stabilire un finto giorno libero, dichiarato ovviamente anche in busta paga, e la raccomandazione è che di fronte all'ispettorato del lavoro se sei presente il giorno che dovresti essere libero è per un esigenza improvvisa dell'azienda, ma tu di solito quel giorno riposi. Vitto ed alloggio. Il vitto, non occorre dirlo,  il più delle volte,è costituito da avanzi di avanzi. Stessi cibi ricucinati dallo stato liquido al solido all'aeriforme conditi con il grasso per poter essere commestibili. Poi dipende, chi ti toglie un euro se prendi un caffè dopo 10 ore che sei in piedi, chi acqua gratis in bottiglia quindi non del rubinetto, solo a dei reparti, quindi ad una sola parte di personale. C'è anche chi semplicemente offre gli avanzi del giorno prima e in quel caso sei fortunato, anche a casa capita di mangiare cose del giorno prima, non che faccia per forza male. L'alloggio stimola in me ricordi dolorosi, esseri umani dopo il lavoro massacrante stipati in cuccette nell'afa dei sottotetti ad agosto, e non vado oltre, mai visto qualcosa che assomigli a una sistemazione per i più dei lavoratori. Il fatto è che è quell'avidità atavica che impedisce ai titolari di mettere per esempio tramite l'associazione alberghiera della cittadina di pertinenza una quota  irrisoria per un impresa di quella portata, per affittare un vecchio stabile, una struttura modesta per i dipendenti. Del resto è anche vero che avere la donna ai piani alle 23 che dorme in Hotel può sempre essere utile per rifare una camera all'ultimo e tentare di vendere una camera per una notte, così come una segretaria che per pranzare o cenare deve spostarsi all'interno dell'hotel si può convocare nella pausa per permettere all'altra turnante di mangiare, così che nessuno abbia una vera pausa. Solo due esempi. La tua mansione è... tutto. Carenza di personale in ogni reparto. Le segretarie fanno il lavoro d'ufficio, il bar, la manutenzione, il back office, i conti, gestiscono fornitori e personale sempre in un turno da sole, e devono fare tutte le cose contemporanemente, fino a che non fanno il caffè con il telefono e mostrano la camera al fornitore mentre scrivono alla mail di Booking.com che servono 4 chili di pane bianco per l'indomani. Il cuoco corre. Carenza di personale significa se gli va di grazia a un tuttofare che tra il lavare i piatti e le pentole,  il parcheggiare le auto, dare l'intonaco e togliere la muffa gli taglia qualche verdura, ma non è detta, dipende dalle disgrazie della giornata. E il cuoco corre. Sviene normalmente per secondo, i giorni prima di ferragosto, di solito dopo la donna ai piani di costituzione più esile che si sente mancare qualche settimana prima. Le donne ai piani faticano perché per carenza di personale devono pulire contemporaneamente un numero di stanze e  poi di piatti che per rendere l'idea normalmente lo fanno con le lacrime agli occhi dalla fatica, e all'occorrenza diventano cameriere. I camerieri lavorano dalle sei del mattino a mezzanotte circa, ristorati da due pause di un ora in cui possono buttarsi vestiti nelle loro brande. Giorno dopo giorno, ogni giorno. Tfr, ferie, tredicisima, tutti fittizi figurano nella busta paga come parte della paga percepita. La paga, avendo letto delle cifre  lontane dalla realta queste giorni, è la seguente (ho lavorato in differenti hotel e dovevo archiviare i contratti, chiedere proroghe quando necessario ecc. qui prendiamo in considerazione un hotel di categoria media e per gli altri il paramentro di riferimento è simile): Cameriere da 800 a 1100, se con molta esperienza o responsabile di sala può arrivare a dai 1400 ai 1800, solo se lavora da molti anni con la stessa azienda e ha stabilito un legame con una clientela abituale, c'è una per quanto rara possibilità che guadagni di più. Cuochi: più sei giovane, più fai, meno ti pago. Sembra questa la logica per questo ambito. I cuochi più maturi, non arretrano dalle paghe dei tempi che furono, cioè quelle dignitose rispetto alle ore e all'impegno, forse anche perché nel tempo hanno acquisito qualche sicurezza economica in più. I giovani, anche se con esperienza, devono adattarsi perché hanno bisogno ancor di più di lavorare, per potersi costruire una vita. In questo ambito l'escamotage è di non assumere o sostituire quelli più navigati, con persone più giovani. Un cuoco, per dodici o tredici ore tutti i giorni, e fare un lavoro fisicamente e psicologicamente pesantissimo, prende intorno ai 1800 o 2000 euro. Se fortunato, o con la minaccia di andarsene qualora i clienti siano abituali ed apprezzino la sua cucina, può percipire una cifra maggiore. Donne ai piani, per dieci o dodici ore di lavoro fisico tutti i giorni, da 800 a 1000 euro. Ricevimento, quindi gestione di tutti i reparti e di tutta la responsabilità economica, dai 900 ai 1300. Se con esperienza e con clienti fidelizzati, questo aspetto è importante perché nel caso che sia un hotel  in cui i clienti sono abituali e quindi in confidenza con il personale, il titolare può decidere di aumentare un po' la paga per assicurare lo stesso personale e trattamento al cliente che si ripresenta. Ovviamente sel'hotel non punta sul ritorno degli stessi clienti non vale questo discorso, e sono tanti perché il turismo fidelizzato è una realtà quasi estinta. Specifico che parlo in questi termini della riviera romagnola solo relativamente alla circoscritta realtà degli albergatori, e non riguarda affatto il buon spirito dei romagnoli in genere. Tutti sanno che funziona così. Penso che accuserei i dipendenti dell'ispettorato del lavoro di una ottusità che non credo gli appartenga, penso che provino qualche volta a spaventare con delle multe ma che quando si chiudono le porte degli hotel alle spalle sanno di avere a che fare con un sistema malsano e una situazione più grande di loro. Quale situazione è questa? Quella di ordinaria, implicita, accettata illegalità all'italiana. Se non lavori tu a queste condizioni, lo farà qualcun'altro. Non sono una fan del reddito di cittadinanza e in generale dello Stato assistenziale, ma ritengo che almeno forse un buon risutato c'è stato ed è stato quello, mi auguro, di gettare un occhio di bue su un microcosmo lavorativo degradato, lavori forzati per arricchire i pochi, senza discutere della qualità della famigerata accoglienza romagnola e di quanto ci perde in credibilità stagione dopo stagione. La cosa buffa è che quando si conclude la stagione, anche se involontariamente si fanno sfuggire che non si sono poi così impoveriti, buttano là delle cifre, magari chiaccherando tra loro, e tu sai che è la metà di quello che hanno realmente guadagnato. Lo sai perché conosci le spese e le entrate, di tutti i tipi. Concludo prendendo in prestito le parole di una lungimirante e geniale canzone: sono intorno a noi, in mezzo a noi, in molti casi siamo noi a far promesse senza mantenerle mai se non per calcolo,il fine è solo l'utile, il mezzo ogni possibile, la posta in gioco è massima, l'imperativo è vincere e non far partecipare nessun altro nella logica del gioco la sola regola è esser scaltro, niente scrupoli o rispetto verso I propri simili. Perché gli ultimi saranno gli ultimi se i primi sono irraggiungibili.
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sciatu · 6 years ago
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LE LACRIME DI BEPPE
Ecco, ora che sono arrivato su questa pagina bianca, tutto quello che ho visto e vissuto, mi appare assurdo e se qui scrivo è solo per aggrapparmi a qualcosa di tangibile e reale per capire e capendo finalmente, dimenticare, passando dal mondo immateriale delle sensazioni a quello reale della materia, della carta e della carne che durano quanto devono durare e poi scompaiono come spero facciano i miei sensi di colpa. All’inizio non ci pensavo, mi avevano detto che Beppe era caduto e che si era fatto male, qualcosa che può accadere a chiunque e che nella vita di ognuno può essere riassunto in quella somma di avvenimenti stupidi e fastidiosi che possono purtroppo capitare. Chiamai Santu per avere notizie e lui mi disse che era con Beppe all’ospedale perché l’ex moglie di Beppe che stava a Torino, lo aveva avvertito pregandolo di chiedere al paese dove fosse finito il suo ex marito. Ora, già tutta questa ripetizione del suffisso ex mi sembra una cosa brutta, quasi innaturale perché lui e lei per noi, erano più che amici e saperli ormai divisi ci fa ancora male anche se loro si comportano come se fosse normale aver finito il camino che anni prima, tra mille difficoltà, avevano iniziato. Eppure quando nelle estati della nostra giovinezza, io Santu e Beppe restavamo i soli in piazza e tutti gli altri ci avevano lasciati per andare a dormire, Beppe ci parlava sempre di lei e di tutte le difficoltà che avevano a volersi bene per via di tutti quei preconcetti paesani che mettevano famiglia contro famiglia. A quei tempi io, Santu e Beppe, passavamo le notti a parlare a raccontare ognuno i suoi problemi, ascoltando gli ultimi improperi degli ubriachi che si addormentavano sulle panchina della grande piazza del paese, osservando le finestre delle case spegnersi ad una ad una fino a che anche le deboli lampade dei lampioni si confondevano con le stelle e nelle strade si sentivano solo i nostri passi, l’abbaiare lontano dei cani nei monti e il gorgoglio delle fontane dove ci fermavamo a discutere sulle cose della vita che ancora dovevamo scoprire, finendo per lasciar perdere l’alta filosofia e incominciando con il  raccontare barzellette senza fine. In quel nostro fare della nostra vita un insieme di atti comici, in cui recitavamo i nostri giorni con ironia e rabbia, non avevamo coscienza del tempo che passava, non avevamo la consapevolezza di quel nostro crescere anno dopo anno facendo sempre le stesse cose, negli stessi luoghi, nello stesso modo,  perché il giorno dopo sarebbe stato uguale a quello appena finito e il prossimo anno non sarebbe stato diverso da quello che vivevamo, forse perché in fondo era cosi che ci piaceva. La nostra giornata finiva quando la notte era ormai inoltrata e solo il chiarore che appariva sui monti ci spingeva a cercare il letto ed il sonno. Quando rientravo, la casa dei nonni era calda, un grembo silenzioso dove tutti dormivano ed in cui era bello andare ad accucciarsi; spesso non mi ero ancora addormentato che la nonna si alzava per preparare l’impasto del pane e il rumore dei suoi pugni che entravano ritmicamente nella pasta lievita e umida mi faceva scivolare in sogni in cui risentivo il profumo della legna che bruciava nel forno e il gusto del pane caldo su cui la nonna versava un po' di olio e di zucchero; ma nei miei sogni non vi era nulla della fatica  di mia nonna. Confesso quindi il mio peccato, il pensare che quella vita, protetta e senza responsabilità fosse la vera vita, quella che avrei sempre vissuto. Era infatti la nostra, l’età della falsa innocenza, quell'innocenza che hai solo perché non è messa alla prova, in più non avevamo nulla e quindi pensavamo che crescendo non avremmo perso nulla, senza sapere che quello che, in quei giorni semplici e banali, possedevamo dentro di noi valeva più dei motorini o delle magliette eleganti dei nostri amici ricchi e che in fondo eravamo veramente ricchi, con la nostra amicizia, i nostri amori, tutte ricchezze che sperperavamo senza pensarci. Per questo non facevamo caso ad esempio a come la nostra amica M. si bruciasse il cervello con pastiglie e siringhe, restammo, sempre per esempio, indifferenti al fatto che il nostro amico Nino avesse deciso di entrare in seminario, e consideravamo solo il lato comico della vita di Essere Strano crocifisso nei suoi amori diversi; eravamo indifferenti anche a chi partiva per la Germania e la Francia per iniziare una nuova vita che non avrebbero mai apprezzato; forse vivevamo di barzellette, proprio per non vedere, non scegliere, non credere, illudendoci che la vita fosse solo pane caldo con un po' d’olio e lo zucchero. Il mattino dopo, buttato giù dal letto dalle zie e dalle grida dei venditori di pesce e di frutta, aspettavo che Santu mi passasse a prendere, già attivo e dinamico perché dopo poche ore di sonno suo padre lo svegliava per farlo lavorare con lui per preparate i formaggi e la ricotta; una volta finito con suo padre, Santu veniva a prendermi e salivamo nel bar della piazza per una granita o il solito cazzeggio mattutino. Quando stavamo per tornare a casa per il pranzo, appariva Beppe che senza salutare nessuno, con gli occhi gonfi impastati di sonno, si avvicinava al bancone del bar e ordinava una “mezza birra” con dentro un po' di granita al limone. Noi ci ridevamo di questa birra mattutina e pensavamo fosse normale, visto che quando non frequentava l’università a Torino e non stava al paese, Beppe viveva con i suoi in Germania, dove la birra, ci diceva, era quello che per noi era l’acqua della fontana. Poi il tempo ci chiese conto di tutta la leggerezza con cui fino ad allora avevamo vissuto; i matrimoni ed i figli ci fecero perdere di vista l’uno con l’altro, ma quando potevamo, ogni estate passavamo le notti a parlare, vagando per il paese, facendo scherzi a chi dormiva e raccontandoci barzellette senza fine. Volevamo tornare a quello che eravamo stati, perché il mondo in cui ogni giorno lottavamo, era più forte della nostra volontà, volevamo essere gli eroi dei film che vedevamo, solo per non dover faticare e soffrire, volevamo essere tante cose belle e stupide, senza mai riuscirci. Successero anche cose brutte. Beppe perse la madre e suo padre si ammalò per lungo tempo, cosi che lui doveva badare al fratello che aveva qualche problema mentale, facendo la spola tra Torino e il paese.  Forse cambiò allora. Non lo so, di sicuro cambiò anche il suo rapporto con la moglie. Tornava al paese in modo irregolare giustificandosi con il dover lavorare anche se ci sembrava strano un lavoro che continuava anche in agosto, senza fermarsi mai. Poi capimmo che si era separato, anche se nessuno di loro due ne parlava; non li vedevamo più insieme e se chiedevamo all’uno dell’altra ricevevamo sempre risposte evasive. Lui ad un certo punto scomparve, non lo si vide più in giro né d’estate, quando l’ex ci diceva che lavorava, né d’inverno, quando avrebbe dovuto avere le ferie, anche se qualcuno ci diceva di averlo incontrato al bar del paese alle sei del mattino con la sua mezza birra. Santu un giorno, stanco delle voci e delle strane indicazioni che ricevevamo su dove fosse, incominciò a bussare alla sua porta chiamandolo a gran voce; nessuno però gli aprì anche se la luce della cucina era accesa. Perciò quando la ex chiamò Santo per dirgli della caduta, non sapevamo neppure che fosse nella casa del paese. Fu vedendolo nel letto d’ospedale che Santo capì tutto. Lo capii anch’io quando la sera, accompagnato da Santo andai a trovarlo nella clinica in cui era. Entrai pensando di vederlo seduto a letto alto e forte come sempre. Invece, nella stanza vuota solo un letto era occupato; su di esso disteso come una coperta vecchia lasciata li per caso, c’era un signore magro, con una lunga barba a tratti grigia a tratti bianca, due braccia scheletriche piene di ematomi e di aghi, ed una pancia enorme, innaturale, quella che ha chi ha bevuto troppo ed il fegato non riesce a filtrare tutto l’alcool che gli arriva. Mi avvicinai incredulo e l’osservai. “Beppe – lo chiamai stupito e incerto osservando la ferita in testa che si era procurato cadendo e stupidamente aggiunsi – come stai?” Mi guardò riconoscendomi e mentre i suoi occhi si illuminavano della luce che da ragazzi ci brillava dentro quando ci incontravamo, il suo sorriso si allargò, debole e sincero, identico a quello che aveva da bambino e che non lo aveva mai lasciato. Tentò di muoversi ma debole, schiacciato dalla grande pancia, fece solo pochi gesti, lenti e sofferti. Nascondemmo l’emozione dicendo banalità e cose ovvie, chiedendo cose inutili o che sapevamo già. Rispondeva a fatica, biascicando le parole mischiate con smorfie di dolore. Santu, vedendo i piatti della cena intoccati, lo sgridò dicendogli che doveva mangiare. Lui alzò gli occhi al cielo come a chiedere aiuto per un altro supplizio che doveva subire. Mi misi a ridere “Se non mangi fanno come con il maiale del contadino…” Santu e Beppe mi guardarono non capendo “Ma si, la barzelletta dove il contadino vuol fare ingrassare il maiale e gli mette un tappo di damigiana nel sedere, poi, quando il maiale è grossissimo lo porta alla fiera e siccome è troppo grosso lo rinchiudono nella gabbia con la scimmietta. Lei curiosa come tutte le scimmie, lo incomincia a toccare fino a che nella fiera sentono il boato di un’esplosione e dove c’era la gabbia trovano una montagna di merda; scavano li dentro e trovano la scimmietta che con una mano si copre gli occhi e con l’altra cerca di rimettere a posto il tappo…” Incominciarono a ridere di gusto “e quella del sarto di Parigi… la ricordate – chiese ridendo Santu – “lei dove lo porta…..?”” fece ricordando un passaggio chiave della barzelletta. “se no un dolore, ma un dolore che per tre giorni non la lascia più….” Conclusi mentre scoppiavamo tutti e tre a ridere di cuore a ricordare la barzelletta che era il cavallo di battaglia di Beppe. Ridemmo come ai vecchi tempi, per una storia che sapevamo e che ormai era detta e ridetta ma che ci faceva ridere perché ci ricordava quello che allora eravamo, ridandoci la gioia che allora avevamo. Come allora, volevamo nascondere la realtà dietro un sorriso. Beppe però incominciò a tossire, sempre più forte finche ci preoccupammo di lui e ci avvicinammo per aiutarlo. Pian piano la tosse si calmò e quando fini mi accorsi che Beppe stava piangendo. Si vergognava delle sue lacrime e non ci guardava, mentre le lacrime scendevano dagli occhi fino alle braccia magre e si perdevano sul pavimento accanto al sacchetto di plastica dove si raccoglievano le sue urine. “Beppe …” fece Santu non sapendo che dire “Non fare così, vedrai che fra qualche giorno sarai ancora in piedi….” Aggiunsi ma dentro di me mi chiedevo se sarebbe stato veramente così, se sarebbe veramente uscito da quella stanza e forse si chiedeva anche lui se sarebbe tornato a quella vita da cui si era nascosto, cercando nel vino o nelle birre, il sollievo ad esistere. Santu gli asciugò le lacrime con un tovagliolo di carta. “tutto si sistemerà vedrai, parlerò con Nino, lui è Monsignore, ti troveremo un posto in una RSA, qualcuno al paese penserà a tuo fratello.” ma Beppe continuava a piangere. Ormai aveva capito che non poteva nascondersi più, che era troppo tardi per inventare scuse e per fuggire con l’aiuto di un bicchiere; ci disse la verità senza dire una parola: un lavoro non l’aveva mai avuto, si era nascosto al paese per fuggire a tutto il mondo che gli era caduto addosso e che con quel suo rotolare sopra di lui schiacciandolo con la sua indifferenza, lo aveva fatto sentire ormai inutile e vinto. Forse, anzi no, sicuramente, aveva sbagliato a non chiedere mai aiuto e noi dovevamo ammettere che non avevamo mai saputo capire che c’era stato un punto tra una barzelletta e l’altra, in cui lui aveva iniziato ad uccidersi. Ci eravamo accorti del suo dolore troppo tardi, distratti, magari impegnati a tentare di vivere o subire le nostre vite, ma troppo infantili per sentire il suo grido d’aiuto, un grido di cui lui stesso si vergognava. Il tempo delle barzellette era ormai finito nelle lacrime di Beppe. Chi stava uccidendo Beppe non era l’alcool che gli aveva bruciato il corpo, non erano le barzellette in cui nascondevamo le nostre angosce, non era la moglie che ormai senza più amore non sapeva più tenerlo attaccato alla realtà. Lo stava uccidendo il suo stordirsi con la sua solitudine e l’incapacità a reagire, lo stava uccidendo il suo voler evitare decisioni e azioni che sapeva di dover prendere o fare, stava morendo perché aveva scelto il modo sbagliato di difendersi dal senso di sconfitta che provava, dal quel peso di vivere che ormai non sopportava. D’improvviso tutte le nostre certezze, il nostro sentirci senza peccato, il valore che davamo alla nostra amicizia vacillarono; ognuno di noi è l’autore della sua felicità o del suo fallimento esistenziale, possiamo dare tutte le colpe che vogliamo a tutti coloro che conosciamo e che ci hanno fatto del male, ma siamo noi che quel male ce lo facciamo scivolare addosso o ce lo teniamo dentro, nutrendolo con le nostre insicurezze fino a che ci soffoca e distrugge. Ora, a vedere Beppe, tutto quello che eravamo stati, sembrava dover essere messo in discussione. Prima delle lacrime di Beppe pensavamo che avevamo vissuto la nostra vita, mentre in verità avevamo semplicemente serpeggiato tra persone e vicende scegliendo ogni volta la strada più facile, evitando gli ideali o le scelte fondamentali, solo perché era più comodo non averne, preferendo vivere di barzellette, cosa che in fondo era più facile anche se era inutile; cosi alla fine amavamo senza crederci e vivevamo, per inerzia, senza volere responsabilità, senza avere alcun progetto di vita, come una pietra che a caso rotola a valle, senza dare un senso al nostro correre verso quel nulla che era diventato le lacrime di Beppe, lo specchio che rifletteva quello che eravamo. Ecco, alla fine è questo quello che volevo dire, che non bisognerebbe mai far piangere un amico perché non lo capiamo o lui non sa chiederci aiuto, che non bisognerebbe mai aver paura di affrontare la vita con tutti i dolori e le difficoltà che si porta dietro e che non aver il coraggio di dire ed affrontare la verità, vuol dire non voler vivere. Ora Beppe è in un ospizio che Nino gestisce; è ingrassato e si è tagliato la barba. Passiamo a vederlo ogni giorno e lo portiamo nel giardino con la carrozzella, magari facendo la corsa nei lunghi corridoi con qualche vecchio spinto da una suora. Una volta in giardino, parliamo di questo e di quello o descriviamo le nostre giornate ma soprattutto, parliamo di quello che vorremmo fare il giorno o la settimana dopo, perché abbiamo capito che non possiamo più far finta di non vedere o di non esserci ed anche se tardi, dobbiamo dire alla vita che noi esistiamo e che vogliamo dire la nostra. Comunque, per scelta o per caso, non ci raccontiamo più barzellette.
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manozingara · 5 years ago
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26 agosto 2019
Sono in ferie a Palermo con mio figlio e sua madre. Le ferie sono un momento di riflessione, tensione e rielaborazione del rapporto familiare e di coppia. La novità è fra l'altro che mio figlio è quasi alto come me. Ha 13 anni. Fra una battuta un muso e un'occhiata alle belle donne che ci sono qui in sicilia, ci stiamo chiarendo che il nostro rapporto è sempre molto affettivo ma ci sono tanti obblighi reciproci e pochi momenti di arricchimento. Purtroppo ci stiamo controllando a vicenda. In queste settimane mi è capitato di far notare che lentamente intorno a noi le coppie stanno cedendo. Chi tradisce. Chi vive doppie vite. Nessuno fa dichiarazioni di poliamore. Noi ci stiamo comunicando di poterci aprire un po' di più e guardarci intorno. Ma tutto molto teorico. Parlando di ipotesi e di fantasmi. Anche pensando ad una eventuale separazione. Abbiamo coinvolto anche il figlio di 13 anni in questi ragionamenti. Al momento fra una battuta e l'altra non è molto d'accordo. Riconosce che sia io che lei abbiamo una vita ancora non vissuta nel mondo. Stiamo un po' rielaborando il nostro rapporto familiare. Io penso alla possibilità di noi genitori di poter condurre una vita anche all'esterno della coppia ma senza sotterfugi fra di noi. Una collega con cui parlo molto di queste cose e che sta vivendo situazioni simili, ma più concrete, mi ha detto: la tua compagna è gelosissima e tu non te ne accorgi, non ti permetterà mai di affittarti una casa tua per andartene.
In questi giorni sto facendo visita ad alcune mie colleghe di lavoro con cui durante l'anno ho feeling particolare. Con cui mi sono anche dichiarato fra una battuta e l'altra. Con cui ho affrontato questo tipo di argomenti. Nulla di reale o di concreto. Tante parole sorrisi e cuori scaldati. Ieri siamo stati a Milazzo. Oggi a Trapani. Sono situazioni molto diverse.
A Milazzo abbiamo incontrato una famiglia composta da una lei un lui e due figli. Abbiamo passato un'intera giornata con loro. Le due famiglie unite. La mia compagna ha avuto occasione di conoscere sia lei che lui parlando a lungo. Io di giocare con i loro figli. Di notte tornando a casa abbiamo avuto occasione di commentare, criticare rivalutare e anche spettegolare su di loro.
A Trapani invece abbiamo incontrato una collega single. Con lei ho un feeling protettivo da parecchi anni. Loro si sono conosciute e parlate e poi ci hanno lasciati soli a parlare di lavoro. È un po' come se l'avessimo coccolata per una sera. Abbiamo fatto una passeggiata romantica alla torre al buio e poi l'abbiamo riaccompagnata all'auto.
Ambedue gli avvenimenti sono stati immortalati da fotografie in cui siamo entrati tutti. La mia compagna l'ho vista più rilassata e anche consapevole che queste donne potessero essere mie situazioni più concrete.
Non credo sia l'inizio di nulla di poli. La strada è ancora lunga. Ma essere consapevoli che il proprio partner attuale possa avere attrazione e magari possa concretizzare anche affettivamente con qualcun'altro mi è sembrato un piccolo passo nella giusta direzione. Anche di alleggerimento della nostra reciproca possessività (se la parola esiste).
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leblanchedelacroix · 6 years ago
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IL MATTINO HA L'ORO IN BOCCA
Dovendo fare molti km ogni giorno, mi sono promesso di non partire troppo tardi. Ma, considerate le temperature di questo periodo, nenche troppo presto.
Le 9/9.30 mi son sembrate un giusto compromesso: 12 ore di luce assicurate e almeno 10° alla partenza.
Per potwr rispettare la tabella di marcia, quindi colazione almeno alle otto e trenta.
Ed eccoci al punto. In questi giorni ho notato che quando dicevo che per me poteva andar bene le otto e trenta come orario per la colazione, mi guardavano strani e anche sorpresi.
Pensando che fosse troppo presto, ho sempre aggiunto che si poteva fare più tardi, ma la risposta è sempre stata che,. assolutamente no, andava benissimo a quell'ora.
Ieri sera, addirittura il gestore del b&b (che, con gesto davvero ospitale, aveva messo al.l cancello di entrata una bandiera svedese ed una italiana 🇸🇪🇮🇹😀) mi ha assicurato che non c'erano problemi, tanto lui era in ferie.
Ferie?!?
Boh.
Poi, come nei giorni scorsi, stamattina alle cinque, la mia stanza si è fatta piena di luce e mi son svegliato. Già, perché dovete sapere che da queste parti sembrano non usare tende oscuranti e a queste latitudini, di questa stagione, alle cinque è pieno giorno.
Ora capisco perché mi guardano strano 😁
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uds · 6 years ago
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domo arigato (o di quella volta che sono andato in giappone)
-premessa 1: ho appena finito di scrivere il post, è lunghissimo. non ho la forza di rileggerlo, non rompete per i refusi. stay human. -premessa 2: quello che seguirà è un elenco di considerazioni raccolte 1) in una decina di giorni (di cui due di viaggio) 2) durante un tour organizzato. per cui non aspettatevi l'angolino sconosciuto o i guizzi da vero intenditore;
-so che alle parole "tour organizzato" state già sbuffando beffardi di fronte a tanta mediocrità, voi che conoscete lo mondo e il giusto modo di vivere, altro che noi sprovveduti con la guida e gli auricolari. in realtà, essendo la nostra prima e (con una certa probabilità, almeno nel prossimo orizzonte temporale) ultima volta in giappone, considerato la lingua, la cultura, gli spostamenti e tutto il resto, abbiamo preferito affidarci a qualcuno che ci facesse vedere il più possibile, spiegandocelo, piuttosto che voler fare a tutti i costi gli scienziati della vita vera e rischiare di perderci qualcosa di bello. non ce ne siamo affatto pentiti, contando che comunque in media alle cinque del pomeriggio la guida salutava fino al giorno dopo e abbiamo avuto anche tutto il tempo di giracchiare per conto nostro; -abbiamo volato con emirates. quindici/sedici ore di voli con scali a dubai, col tempo che si allungava all'infinito di fronte alla magia del fuso orario e della rottura di balle di stare seduto in una scatola di latta sospesa a migliaia di metri da terra. in aereo ti danno un sacco di attenzioni (però io ho volato quasi sempre con ryanair, per cui in questo caso per emirates siamo nel mondo del bon ci bon ci bon bon bon). e di cibo. cibo che, se viaggi di notte, arriva in orari assurdi. quando ho visto mia moglie svegliarsi al gentile richiamo della hostess e fregarsene del fatto che fosse mezzanotte e quaranta per scofanarsi di gusto il vassoio con la cena (che il menu pubblicizzava essere composta da "tipici sapori arabi", e dall'odore non ho avuto problemi a crederlo) ho avuto l'ennesima conferma della sua grandezza come persona, mentre io mi limitavo a chiedere pietosamente un bicchiere d'acqua e una decisa accelerazione dello spaziotempo; -la cosa più inquietante della emirates: l'acqua servita nel tipo di confezione che siamo abituati a vedere per le marmellatine, linguetta e tutto. -su quattro aerei presi in uno non mi andava lo schermo integrato al sedile per vedere i film/sentire la musica/giocare ai videogiochi, in due non mi funzionavano gli attacchi delle cuffiette. attorno a me a tutti andava tutto. poi uno dice che la sfiga non mira; -appena arrivi in giappone c'è uno shock culturale devastante. sono educati. sono gentili. non gridano. sono disponibili e sorridenti verso chiunque. seguono religiosamente le code. per terra, in dieci giorni, ho visto una (1) cicca di sigaretta e una (1) cartaccia. ed erano tipo le sette e mezza di mattina, quindi magari i netturbini dovevano ancora passare di là; -quando siamo stati a shirakawa la guida ci ha informati del fatto che, essendo un piccolo villaggio, non avrebbe potuto gestire la spazzatura eventualmente lasciata dai turisti, per cui questi sono pregati di tenere i propri rifiuti, per gettarli una volta a casa. ecco, la gente lo faceva. ci credereste? -per strada non si può fumare. ci sono aree apposite, delimitate e recintate, in svariati punti della città. e la gente, pensa te, rispetta questa norma; -anche se, a dire il vero, una volta ho visto della gente attraversare la strada senza aspettare il verde pedonale. ed eravamo noi. oh, i soliti italiani che si fanno riconoscere (no bon, lo fanno anche loro, ma per amor di battuta si fa tutto); -mentre eravamo su di un autobus a tokyo è spuntata, da una traversa laterale, un'allegra combriccola colorata. sappiate che l'attuale moda tra i giovani della capitale è comprarsi (o affittare) dei go kart e girarci per le strade del paese vestiti da personaggi di super mario. è tutto bellissimo; -il concetto giapponese di "dolce" è piuttosto diverso dal nostro. la guida lo ha definito più delicato, io mi limito a constatare alzando sette o otto sopracciglia che il ripieno tipico dei dolci nipponici è la marmellata di fagioli. spero che siamo tutti d'accordo sul fatto che ci sia qualcosa che non va in questo; -abbiamo visto un sacco di robe belle, dal fushimi inari al padiglione d'oro passando per sanjusangendo e così via. già solo per la parte storica e monumentale il viaggio è valso fino all'ultimo centesimo. poi c'è la parte moderna. c'è dotonbori a osaka e shinjuku a tokyo, le insegne verticali luminose, la pupazzosità di qualunque cosa, i programmi tv che sono esattamente come uno si immagina avendone visto le parodie nei simpson. e poi ci sono le parti a metà. da una delle vie centrali di kyoto buttare l'occhio a destra e sinistra e vedere viuzze da film di miyazaki con le casette in legno a uno o due piani e le tegole convesse. i quartieri delle geishe con i cartelli di divieto toccamento geishe, le feste di paese coi carri, i vestiti tradizionali e i canti, i concerti locali di gruppi a metà tra i ricchi e poveri e i pizzicato five; -no, vi farò l'elenco delle robe e delle città che abbiamo visitato, tranquilli, non voglio distruggervi di noia, ché la gente che mostra le foto delle ferie è una piaga sociale terrificante che trova troppo poco spazio nei moderni periodici d’inchiesta; -i water tecnologici. sono ovunque, anche nei bagni pubblici o nei locali più insospettabili. e sono la rivoluzione. se ci penso ancora adesso mi si illumina l'anima; -ah, indovinate chi è capitato in giappone durante l'ondata di caldo più anomala e intensa degli ultimi decenni? un giorno alle dieci e mezza di mattina eravamo a 43 gradi percepiti con il diciottomila per cento di umidità. grazie a dio in giappone c'è un distributore automatico di bevande ogni cinquanta metri. in una giornata avremo bevuto cinque litri a testa tra acqua e aquarius (una sorta di gatorade, onnipresente nelle vending machine. qualche anno fa avevano provato a importarlo, con scarso successo, anche in italia. dopo le giornate in cui mi ha letteralmente salvato la vita sto pensando di importarne diciotto casse al mese. o di indire una petizione per dedicarci un tempio shintoista); -i giapponesi hanno tre alfabeti scritti. uno -fonetico a base sillabica- per le parole giapponesi, un altro -fonetico a base sillabica- soltanto per le parole straniere da trascrivere in giapponese (...) e c'è poi quello "famoso", composto da ideogrammi, dato che i primi due possono dare adito a fraintendimenti. se non fossero così impegnati a complicarsi la vita credo avrebbero già conquistato il mondo da un paio di secoli; -all'inizio e alla fine della via che porta a un famoso tempio buddhista a tokyo ci sono due portali da attraversare. appeso al muro di uno di questi ci sono una sorta di espadrillas che saranno lunghe quattro o cinque metri. sono messe là perché così gli spiriti malvagi arrivano, le vedono, dicono "cavolo, quelle sono le scarpe dei guardiani del quartiere, se sono così grandi loro devono essere enormi" e se ne vanno. poi dite che non sono un popolo meraviglioso; -a quanto abbiamo capito i giapponesi hanno in media un rapporto molto tranquillo e sereno con la propria spiritualità, ma moltissimi sono superstiziosi (la quantità di souvenir legati ad amuleti, oggetti del buon augurio e simili è notevole, per dirne una). una mattina abbiamo visto una fila (ordinatissima) di qualche decina di metri fuori da una ricevitoria che vendeva biglietti della lotteria, in paziente attesa che aprisse, perché aveva la fama di essere una rivendita fortunata; -non mangio pesce, per cui a riguardo posso solo dirvi che mia moglie si è gustata più e più volte del sushi e, tra street food e ristoranti, ha uniformemente ampiamente apprezzato quantità e qualità. posso invece confermare direttamente che in giappone la carne è ottima, specie per quanto riguarda il manzo (kobe o hida che sia). a kanazawa c'era questo posto, il kanazawa meat, in cui ho mangiato uno dei cinque migliori piatti a base di carne della mia vita. se vi capita dite a aikina che vi mando io; -in giappone l'inglese lo parlano poco. soprattutto, lo parlano male, il che, come capirete, può diventare un po' un casino. certo, nei ristoranti risolvono con le vetrine che espongono le riproduzioni in silicone (perfette fino all'inquetudine) dei piatti presenti nel menu, ma vai tu a chiedere cos'è quella salsina. credo che in parte la colpa sia del fatto che pensano foneticamente su base sillabica (e non hanno differenza tra erre ed elle)(e non sono abituati a così tanti accenti), per cui le parole inglesi, nella loro versione, si arricchiscono di suoni che non sarebbero previsti. per riciclare il valido esempio che ci ha fatto la guida (giapponese, parlava l'italiano meglio di tre quarti dei vostri contatti su facebook), loro chiamano il mcdonald's meccu-donaru; -abbiamo comprato, per una conoscente, una rivista di manga. le riviste di manga in giappone sono dei mattoni belli spessi che contengono una decina abbondante di serie e costano pochissimo (abbiamo comprato weekly shonen jump, che ci hanno detto essere la più famosa, e costa meno di tre euro). il concetto è: ti diamo un sacco di serie su carta pessima, così intanto ti leggi tutto a pochi soldi, poi il mattone lo butti via e ti compri il volumetto -che esce periodicamente raccogliendo tot puntate- soltanto di quelle che ti interessano. la trovo una roba di una correttezza e onestà lodevole; -tornato in italia mi sono messo a provare a leggere manga, cosa quasi mai fatta in vita mia nonostante abbia sempre avuto la passione per i fumetti (la mia esperienza a riguardo si ferma a ranma e a death note -ma solo fino al momento in cui muore quel dato personaggio che non nomino per evitare spoiler, poi diventa noioso). ho scoperto che 1) ci sono un numero infinito di manga attualmente pubblicati e 2) ai giapponesi basta una mezza idea in croce per tirarci fuori un fumetto che duri anni e anni. boh, comunque se avete consigli dite pure. per ora sto leggendo attack on titan, che avevo sentito nominare più e più volte, ed è un misto tra il genere zombi e il genere robottoni. è disegnato in maniera oscena, ma la storia ti prende; -ah, di nuovo sul cibo: lo street food giapponese è, in generale, una figata; -nei ristoranti non c'è la cultura di bere acqua. se chiedi dell'acqua ti portano un bicchiere alla volta, gratis, ma ordinarne una bottiglia è impossibile. quando siamo andati a mangiare il tonkatsu, la famosa cotoletta di maiale, ce l'hanno servita con un té a temperatura ambiente fortissimo e amaro. immaginate di mangiarvi la milanese bevendo caffè freddo. oh, son giapponesi, che vi devo dire; -infoconsumatori: a occhio e croce mi sembra che i prezzi siano paragonabili ai nostri, per quanto riguarda i generi medi di consumo; -a takayama abbiamo fatto una degustazione di saké (io sono astemio, per cui il mio è stato più un assaggio, in tutta onestà). paghi meno di due euro -che servono ad acquistare una tazzina che poi ti tieni come souvenir- e poi puoi berci quindici tipi di saké diversi. l'unica regola è che non puoi riempirti più volte la tazzina con la stessa bottiglia. poi uno va a milano e ti chiedono otto euro per uno spritz, e manco ti puoi portare il bicchiere a casa; -il nostro concetto di snack in sacchetto è: patatine. il loro è: pesce fritto (o crostacei)(o alghe) di qualunque genere. brrrrr; -il concetto giapponese di colazione è una roba che nauseerebbe anche la moglie di pasquale ametrano in bianco, rosso e verdone. salse, pesce, fritti e tutto il resto. e io lo so che è tutto un fatto culturale, ma ogni mattina mi stringevo alle mie briochine in miniatura come fossero le ultime testimonianze di un mondo dorato ormai scomparso; -comunque oh, sarà che si era in vacanza, sarà che li abbiamo beccati tutti in buona, sarà che non c'è il mare a praga, ma io in un paese con un senso civico del genere mi ci trasferirei domani, che vi devo dire. anche perché poi uno arriva a casa e quello che dichiara certa gente su facebook e twitter lo capisce anche troppo bene. forse ci servirebbe un alfabeto a parte per le teste di cazzo.
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ross-nekochan · 7 months ago
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Resoconto della prima settimana del nuovo lavoro.
Sono stanchissima e non so bene il perché. Forse è perché è tutto un insieme di abitudini nuove, forse perché fa pure un sacco di caldo, però alzarmi la mattina sempre alle 6:40 è stata una botta in fronte più delle settimane precedenti.
È stata dura abituarsi a tutto nuovo: il vecchio ufficio era la mia seconda casa, sentivo tutto parzialmente mio e, sebbene sapessi che staccarsi da quei comfort sarebbe stata dura, viverlo è stato pure più pesante del previsto. È una cazzata, lo so pure io, ma ora abituarsi al caffè e ai caffellate acquosi dei konbini è tosta, oltre allo sbatti di doverci andare e pagare pure per quella mezza merda. Sto pensando di portare qualcosa da casa perché io non sono il tipo da fare ste spese stupide che a fine mese un poco si sentono; questa settimana è stata di rodaggio e di indulgenza, non a caso ho mangiato pure un po' più del solito nonostante sia un periodo in cui non mi vedo particolarmente bene. Avevo fatto un minicut prima di andare in India che non era nemmeno andato troppo bene a livello di kg persi, poi ovviamente ho ripreso qualcosa perché figurati se in viaggio mi metto a fare la dieta, poi tra preciclo e ciclo la bilancia non l'ho voluta vedere nemmeno col binocolo, finito il ciclo mi sono sentita un poco più me stessa e ora questa settimana nuovamente gonfia come un pallone e quindi più mi sento gonfia più mangio per disperazione (non fa una piega proprio). In verità sto pensando di farmi seguire da qualcuno da Settembre perché dopo 2 (diciamo 3) anni mi sono un po' stufata di fare quasi tutto da sola, però dato che ovviamente pagherei un PT in Italia dovrei pagare in euro e, data la situazione disastrosa dello yen, parte di me è un po' restia - pure perché è da tempo che voglio pure cominciare la psicoterapia, perché anche là sia altri soldi sia altri euro e quindi boh che palle sto paese di merda, uno già rischia la povertà con uno stipendio normale poi ci si mettono pure le politiche economiche di merda.
Il lavoro in sé per sé non mi dice niente, quasi mi fa schifo (come quello vecchio) e questa è stata l'ennesima conferma che a me i lavori d'ufficio fanno proprio cacare. Non hanno proprio senso e mentre stiamo tutti cacati per l'IA, io non mi capacito di come tutti sti processi non siano stati ancora automatizzati: cioè spiegatemi il senso di dover compilare decine di moduli al giorno A MANO e di controllare se le info scritte in documenti diversi siano giusti. Sono sicura che l'IA lo saprebbe fare pure meglio, però eccoci qua a perdere tempo per qualche spicciolo. Il problema è che non sono nemmeno una sognatrice e seppure vorrei fare lavori meno monotoni e fighi, voglio pure i soldi, per cui almeno per il momento, mi tengo il lavoro d'ufficio bello stretto finché dura. Il lavoro vecchio mi manca perché ormai sapevo quasi fare tutto, però come mi ripeto da sola e come mi ha detto la mia amica "alla fine hai cambiato SOLO per i benefit", ed è vero, quindi pensiamo che ho avrò più ferie e smart (sebbene ancora devo capire come funziona perché a quanto pare non danno lo smart in giorni fissi ma li richiedi tu ogni tanto) e non ci pensiamo più.
Un'altra cosa buona è che il livello di giapponese che devo usare adesso mi pare più alto (oltre a dover usare ancora meno l'inglese). Sarà pure che è pieno di termini nuovi (ormai quelli del vecchio lavoro li avevo imparati quasi tutti), ma mi sento più in difficoltà (ed è una cosa buona perché significa che ho solo margine per migliorare). Problema grosso sono le telefonate: mai stata amante nemmeno in Italia, figuriamoci a parlare al telefono in una lingua non tua e con persone che ti parlano a manetta in maniera inutilmente cerimoniosa (e tu devi esserlo altrettanto)... spero non mi dicano mai di cominciare a rispondere perché penso che mi ci vorranno tantissimi mesi per sentirmi pienamente in grado.
Una cosa di cui sono contenta è che, dopo un anno, scrivere mail in keigo non è più un problema. A volte sono così fiera delle mail che scrivo che faccio le foto e le invio alle mie amiche (con cui non faccio che bestemmiare questo popolo per queste inutili cerimoniosità). In più a volte quando parlo mi escono parole che nemmeno ricordavo di sapere e mi sento in grado di affrontare la maggior parte delle situazioni quotidiane senza troppe preoccupazioni (andare al comune, visite mediche ecc) anche se non capisco tutto, in qualche modo si fa. Insomma, il motivo per cui sono venuta era principalmente questo e sono felice di star migliorando. Certamente avere attorno continuamente persone straniere che parlano letteralmente come fossero native è deprimente, però oh, loro sono qui da anni e anni, per me questo è il secondo anno in totale e anche se lo studio dal 2014 si sa che non è la stessa cosa che vivere la lingua tutti i giorni.
Questa domenica ho il test per la certificazione linguistica di giapponese livello N2 (il secondo più alto), ma già so che non passerò per la seconda volta perché oggettivamente non ho studiato molto e nelle ultime settimane non ho proprio aperto libro. Ho speso altri 7000¥ a vuoto e pazienza...
Nella metà di Agosto a quanto pare ci sarà una settimana intera di festa per l'Obon (la festa dei morti) e non mi pare vero. È dal 7 maggio che lavoro senza sosta e sono oggettivamente molto stanca. Manca un altro mese quindi non possiamo far altro che farlo passare. Madonna bella.
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eliophilia · 3 months ago
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Hybris 
Stava andando (quasi) tutto bene. Il giorno prima avevo messo dei selfie dove in effetti mi sentivo di nuovo carina dopo tanto tempo, visto che ultimamente stavo pensando solo a lavorare e basta, curandomi minimamente del mio aspetto, se non quel poco che bastava per andare in giro ogni giorno e mostrarmi alla gente. Stavo facendo tre lavori contemporaneamente e forse la seccia ha voluto punirmi pensando che stessi avendo troppe soddisfazioni, e infatti. Il giorno dopo un fulmine a ciel sereno, e quando dico “fulmine” immaginate proprio nel mio cervello il suono: BUMTRASHSTABADABUMDABUM. Perché così è stato.
Precisamente due mesi fa mostravo anche qui le mie perplessità sulla nuova scuola e su quanto avessi paura di come sarebbe andata dopo. A dir la verità successivamente la situazione si è stabilizzata, avevo la mia classe con le mie colleghe e andava tutto bene. Ora che trovo il coraggio di raccontarlo mi sembra tutto ancora più incredibile. Quando ad un certo punto, martedì per la precisione, la direttrice, anche se posso anche evitare di chiamarla così ormai perché non è più nessuno per me, mi chiama in ufficio e BELL E BUON ALL’INTRASATT mi licenzia. Lì per lì non ho capito molto perché la stronza (ops) me l’ha detto mentre stavo facendo lezione e sono caduta da un pero alto 800 metri. Mi dice che faccio troppe assenze e se “concede” giorni di festa a me poi deve concederle anche alle altre che glielo chiedono e lei non può permetterselo. Capite bene che già così sembra un discorso surreale per diversi motivi, che ora andiamo ad analizzare: 1. se pure avessi fatto delle assenze, le ferie sono concesse nel contratto dunque non dovrei giustificarmi di niente; 2. queste cosiddette assenze erano praticamente il lunedì e il mercoledì perché dovevo fare gli esami e lei lo sapeva benissimo da giugno che sono iscritta alla magistrale; 3. ho cercato di concentrare gli esami proprio in quella settimana in modo da non fare altre assenze proprio per non creare problemi (e chi cazz m’ha fatt fà di avere tutta questa accortezza); 4. devo fare altri due esami e poi ho pure finito; 5. quando mi assentavo non lasciavo la classe scoperta perché non ero la titolare, c’erano sempre altre due maestre ad occuparsene, quindi non creavo problemi a nessuno; 6. valeva lo stesso per le altre classi quindi, anche se altre maestre avessero chiesto dei giorni di permesso, non avrebbero creato alcun problema; 7. la cessa non mi aveva fatto ancora neanche il contratto quindi non doveva giustificare le assenze da nessuna parte visto che non cagavo il cazzo a nessuno né professionalmente né fiscalmente (questo l’ho saputo quel giorno stesso quando mi ha cacciato via). Devo andare avanti?  Quel giorno io volevo addirittura rimanere fino alla fine del mio orario di lavoro, se non avessi chiamato mia madre e se lei non mi avesse detto “torna a casa” io sarei pure rimasta lì come la cretina. E appena ho messo il piede fuori da quel cancello cos’è successo? Una maestra di un’altra classe stava al posto mio. Dunque il vero motivo qual è? Che questa maestra (di sostegno), che aveva perso il suo alunno perchè aveva cambiato scuola, non poteva andare a casa (sicuramente ha qualche santo in paradiso) e invece di mandare a casa lei che era lì da due settimane, ha pensato bene di cacciare via me.   L’umiliazione è stata scottante, quando sono salita sopra a raccontarlo alle mie colleghe, prima di andarmene, c’è stato un pianto generale, nostro e dei bambini. Alcuni sono andati anche via piangendo e le mamme hanno chiesto cosa fosse successo. Alcune mamme le conosco anche al di fuori della scuola e ho pensato di aver fatto una figura di merda assurda. Anche se la colpa non è mia, anche se è successo tutto all’improvviso, mi sono sentita portare via un pezzo. Come se non bastasse, la cessa ha messo pure in giro voci del tipo che rispondevo male agli alunni e se avesse continuato l’avrei pure denunciata. Già devo subire il fatto di essere stata cacciata per le troppe assenze che non esistono, ci mancava pure la diffamazione in un paese piccolo con tre scuole private in croce. 
Ho sbagliato tutto da quando me ne sono andata dalla vecchia scuola a giugno probabilmente, questa è stata la mia punizione per essere stata, per una volta troppo ambiziosa. Per voler uscire da un ambiente deleterio e voler cercare, nel mio piccolo, di insegnare invece di restare alle scuole materne? Ma che avrò fatto di male? È ancora questo il karma che mi porto dietro da quando la mia professoressa delle medie mi puntò e mi tormentò per tutti e tre anni di scuola? È successo di nuovo? Ma soprattutto... devo ricominciare tutto da capo?  Senza contare il fatto che mi guardano tutti con rassegnazione come per dire “Hai visto? Hai fallito di nuovo? Strano, non succedeva da troppo. Adesso che farai? Starai di nuovo tutto il giorno in casa a non fare nulla?” Per esempio, la mia amica stamattina: “Eh ma ormai a novembre è difficile che chiamino ancora qualcuno, le classi ormai sono fatte”, cosa che ovviamente penso anch’io ed è una delle mie maggiori preoccupazioni ora che sto mandando i curriculum a mezzo mondo, però sentirlo dire fa sempre un po’ più male.  Che devo fare? Cerco di non piangermi addosso e di aprirmi anche altre strade, così come ho sempre fatto, dato che le elementari comunque non mi davano punteggio e altrove non posso ancora insegnare. Cerco di non pensare di essere una fallita anche se mi brucia ancora quello che è successo, mi godo di nuovo lo svegliarsi senza sveglia (anche se ho un pappagallo quindi praticamente è uguale), cerco di occupare il tempo con quello che conosco, cercando quello che devo fare per il futuro, studio, leggo, scrivo, (faccio cose NON vedo gente), aspetto che torni il mio fidanzato che non vedo da più di un mese, cerco di non sbattere con la testa al muro e prendermela con tutti quelli che stanno avendo successo nella proprio vita.  E sto qua. A sentire freddo, a impigrirmi, senza un Coccolotto che profumi (non li ho trovati da nessuna parte, neanche dall’altra parte dell‘Italia), con un astuccio nuovo, una borsa nuova con delle spille nuove, un termos nuovo, una serie di cose nuove che ora non mi serviranno e sono durate quanto un gatto in tangenziale, a credere di non riuscire mai a trovare un posto nel mondo in cui mi apprezzino per quello che sono e dandomi la possibilità di esprimere a pieno tutte le mie capacità (perché le ho e sono pure parecchie), e a pensare che neanche ultimamente è uscito un singolo adatto per poter piangere sopra tutte le mie lacrime. 
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dudewayspecialfarewell · 7 years ago
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Perché bevo
Non mi ricordo nemmeno la prima volta che mi sono sbronzato, ma fin da piccolo c’era alcool in casa. Mio padre non l’ha mai descritto come un piacere, come un momento piacevole, ma solo come un modo per fuggire da quella merda di vita. Da piccono non volevo fare come lui, non volevo mangiare salame né bere, per non dimenticare come facevano lui e mia madre, che dimenticavano in continuazione e  avevano paura del passato, del presente, del futuro e anche dell’imperfetto.
Durante le medie il sabato sera i miei amici uscivano a vedere le partite di pallavolo per vedere i culi delle tipe, mentre io restavo a casa. Avrò avuto 14 o 15 anni.  Facevo finta di guardare Superquark quando cercavo di girare su All music, dove girava un programma dal titolo M2 all shock, e aspettavo ore che tra i vari video musicali ne uscisse uno su cui segarsi, anche uno a caso. Mentre che aspettavo bevevo, con una bottiglia di birra nascosta dietro il mobile del televisore. La birra la inculavo a mio padre, ma era troppo evidente così prendevo l’alcool a 90 gradi e lo allungavo in un bicchiere di succo di frutta, e poi riempivo la bottiglia di alccol con acqua che tanto erano entrambi erano di colore bianco. Ricordo che mio padre scendeva le scale di case e rideva di me . Non era quello che io volevo, io volevo stare lì con gli altri a vedere la pallavolo con gli altri, era lui che decideva per me di tenermi rinchiuso in casa, semplicemente perché riteneva che farmi soffrire mi rendesse più forte. Forse aveva ragione, avrei dovuto mandarlo a fanculo e uscire comunque. Scappai di casa qualche anno dopo per andare a sbronzarmi con gli amici. 
Prima dell’ esame di tera media mi bombavo con dei bicchieroni di thé, caffè e Redbull. Valevano più o meno mezza pippata di coca. ne avevo bisogno, credevo di non essere abbastanza senza di essi. Ho sempre creduto di non essere abbastanza. Anche oggi se sono a casa non riesco a farne a meno, bevo almeno una se non due moke al giorno. Quello è un ambiente che mi offende che mi fa sentire inadeguato. 
A 16 anni mi aprirono in due con la prima operazione, a settembre c’era la festa  di un mio amico più grande in una casa in campagna. Dissi ai miei di accompagnarmi al punto di racconta due ore prima. Sapevo che si sarebbero scocciati e mi avrebbero lasciati lì. Sapevano chi era il festeggiato e volevano vederlo in faccia prima di lasciarmi. Non ho mai detto che i miei non mi volessero bene, ma erano un pò maldestri a gestire le cose. Dopo due ore e mezza mi passarono a prendere, i miei se n’erano andati già da un pezzo. Alla festa bevvi, quasi una cassa di birra, era settembre ma faceva caldo, erano passati circa due mesie mezzo dalla mia operazione, due settimane prima andavo ancora in giro con il bustino del post operazione e quella sera mi ero finito un’intera cassa di birra. Ero sbronzo. E felice. Non mi ero mai sbronzato così tanto in vita mia, ed ero enormemente soddisfatto della mia capacità di saper reggere l’alccol, è come avere un cazzo enorme ti garantisce di divertirti più degli altri se vai in spiaggia a sbronzarti con me bottiglie da mezzo litro a 50 cent. Infatti da grande il problema era che dopo essere andato in un ristorante di lusso, volevo sempre tornare in spiaggia col mio mezzo litro  di birra. 
Da quel momento sono stato sbronzo molte volte: ogni capodanno e ferragosto e quasi ogni fine settimana dai 16 anni fino ad oggi. Quando studiavo anche alcuni giorni infrasettimanali, per non prendere antidolorifici per la schiena. Mi piaceva buttarmi in un angolo buio da qualche parte, in un parco o in un porto e godermi la sbronza che saliva. E quanto cazzo ero felice quando ero sbronzo, non dovevo stare a pensare ai cazzi di casa, ad un mondo ingiusto. Capito ero solo io con i cazzi miei. Goccia dopo goccia, avevo bisogno di quella sostanza per andare avanti, e non era più la soddisfazione ma placare la mia sete a rendermi felice, raggiungere la felicità che avevo da piccolo in mezzo alle campagne era diventata una mera illusione, la normalità ora è il mio punto di arrivo. Due giorni fa una ragazzina di 16 anni mi ha detto che sono un deficiente a bere e fumare. Nelle ultime due settimane ho speso quasi 30 euro in tabacco e 10 in birra, e sto in Slovacchia dove un litro di birra costa tipo 0,50 cent. Ho 24 anni. Durante le mie due operazioni hanno usato su di me tutte le droghe\ farmaci possibili. Ho sperimentato la morfina, il valium, toradol, tavor, tachipirina, una sola volta la coca. E mi sento solo. Studio bene da solo, ma sono solo da una vita. Ho visto i tramonti più belli che si possano desiderare, ho visto città in fiamme, e gli abissi della notte di Praga, ho baciato i miei campi sperduti nella provincia, ho scalato montagne, nuotato il mare, attraversato oceani di fuoco in bici. Ma ero sempre da solo. E ora che l’alcool non mi fa più effetto, che bere wisky alle 9 di mattina non fa alcuna differenza col berlo alle 9 di sera, ora che i miei pensieri iniziano a sbiadire come foto ingiallite, mi rendo conto di aver vissuto una vita bellissima e di essere stato solo per troppo tempo. Chiudo gli occhi e immagino di ballare con scarcia sul terrazzo della mia camera a Praga al tramonto, con “Innocent when you dream “ in sottofondo. Abbiamo già ballato su quella canzone, tempo fa, in camera mia, in una brutta camera di periferia. Ma lei non potrà mai venire da me, lavora 12 ore al giorno per 600 euro al mese e non ha diritto alle ferie, aspetta che io la salvi, un giorno prima o poi, e intanto io sogno mentre il ginocchio di Francesca, con le cartilagini oramai andate, continua a tirare avanti, e a scaricare bancali. 
Quando ero adolescente una parte di me era maschilista, convinto che la donna fosse uno strumento da usare, che le donne fossero da scopare, le tette da succhiare. Poi si chiedono perché è importante fare educazione sessuale nelle scuole. A volte vedevo la mia ragazza del tempo come una birra come qualcosa da consumare, da bere, così lei diventava un oggetto che doveva darmi piacere, che doveva farmi la mia sega del sabato sera. In seguito lei mi disse di essere stata terrorizzata da questo mio atteggiamento.
A volte non ci dormo la notte pensando a quello che ho fatto. Non mi do più giustificazioni oramai, vorrei solo pagare sulla mia pelle i miei peccati, vorrei che fosse stillata un conto e poterlo pagare sulla mia pelle. Ho visto la morte in faccia troppe volte, la verità è che non ho più paura della morte, la vita mi fa ancora più paura, ma per un maledetto scherzo del destino continuo a vivere, e per confondermi bevo. 
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lasciami-cadere-so-volare · 5 years ago
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A Madrid
Prima volta a Madrid, io e la mia compagna ci siamo prese qualche giorno di ferie dal lavoro, ci voleva una pausa e poi Maria mi parla sempre di quanti bei ragazzi si incontrano a Madrid!
Siamo insieme da un po’ io e Maria, siamo tutte e due bisessuali e ci piace fare sesso insieme, ma ogni tanto sentiamo il bisogno di essere prese da un maschio…
Entriamo in albergo dopo una serata in un ristorante in centro, Maria non ha fatto altro che stuzzicarmi sotto la gonna per tutta la serata e tra quello e qualche bicchiere di vino, mi sento molto eccitata, avrei voglia di andare in camera e farmi Maria in tutti i modi possibili, ma lei invece su ferma nella hall e si guarda intorno.
Mi indica un bel ragazzo moro seduto in disparte, è attraente, alto e con i capelli ricci, Maria sa quanto mi piacciono i ricci, sopratutto quelli che crescono tra le sue cosce, neri e morbidissimi, mi guarda e mi dìce: “Ana, cosa ne pensi di lui? È solo e sembra davvero un bel ragazzo”, io lo guardo meglio, in effetti è davvero carino e, seduto a gambe larghe, sembra essere ben dotato.
Ci avviciniamo e Maria attacca discorso, è italiano e non parla una parola di basco! Meglio così posso commentare senza che mi capisca!
Ridiamo e ci scambiamo qualche battuta, Maria traduce per me, non è che non sappia l’italiano ma preferisco lui non lo capisca… ci offre del vino, altro vino!!
Comincio a sentirne gli effetti… dico a Maria in basco che nei pantaloni deve avere davvero un bel attrezzo, lei ride e traduce tutt’altro!
Terzo giro di vino, ci siamo spostati nel salone dove un gruppo sta suonando dal vivo e c’è molta gente, simo molto vicini e Maria gli carezza una coscia, mi guarda e, sempre in basco, mi dice “avanti Ana, prova a vedere se ha davvero tutto quel cazzo che pensi”. Esito un attimo e poi gli appoggio una mano proprio sul pacco, sento il membro semi duro attraverso la stoffa e lo carezzo per capire quanto è grosso, lui mi guarda, mi sorride e mi offre altro vino, io stringo un poco la mano intorno alla forma del suo pene e dico a Maria ” si è grosso e comincio ad avere voglia di sentirlo in bocca”, Maria ride e con una scusa si allontana.
Ci mettiamo a ballare, lui è bravino e ad un certo punto me lo ritrovo alle spalle, mi abbraccia e sento il suo sesso spingermi sul sedere, mi bacia il collo e io sento le mutandine inumidirsi sotto la gonna…. ho voglia di lui, in qualche modo mi fa capire che vuole salire in camera, fingo di non essere molto d’accordo, lui insiste e ci dirigiamo verso gli ascensori.
In ascensore prendo la bottiglietta d’acqua che tengo in borsa, devo togliermi dalla bocca il sapore del fiore di Maria visto che al ristorante lo abbiamo fatto chiuse nel bagno, non voglio che mi baci e senta il suo sapore mescolato al vino… lui non immagina cosa stia facendo, lo guardo con aria maliziosa, chissà a cosa sta pensando…
Appena entriamo mi butto su di lui, braccia al collo e mi avvinghio con le gambe al suo corpo, come una ragazzina, ma voglio vedere quanto è ancora sobrio, se mi fa cadere significa che è troppo ubriaco per i miei gusti…. lui invece mi tiene su, mi bacia sulla bocca e mette le mani sulle cosce, si accorge che ho le autoreggenti e sale con le mani sulla mia pelle, mi fa venire i brividi, è bravo a baciare e mi sto eccitando sempre di più.
Mi mette giù e con abili movimenti mi fa scendere le calze, si piega per togliermele e io rimango solo con la gonna corta e gli slip, mi abbraccia e mi bacia sulle labbra, con la lingua ne segue la forma, le apro leggermente, vorrei mi mettesse la lingua in bocca ma lui non lo fa aumentando la mia eccitazione, intanto si mette a giocare con l’elastico delle mie mutande, cazzo voglio che mi tocchi, voglio sentire le sue dita sul clitoride che mi sta scoppiando di voglia, mi bacia ancora e finalmente mi mette la lingua in bocca, vorrei quasi morderla, mi ha fatto penare e mi scappa un mugolio.
Lui si inginocchia davanti a me, ho voglia di farmela leccare, ho il sesso in fiamme dalla voglia, ma lui si limita a baciarmela attraverso lo slip! Mi sta facendo impazzire, sono bagnatissima e se continua comincerò a gocciolare lungo le cosce!
Mi bacia in bocca e poi torna giù, finalmente mi scosta gli slip e mi fa sentire la lingua sulle labbra, mi lecca e poi infila due dita dentro di me, vorrei urlare, mi tremano le gambe, finalmente mi sta scopando.
Toglie le dita, le lecca e le fa leccare anche a me, adoro il mio sapore, ancora di più sentirlo sulle sue dita… mi spoglio al volo e gli slaccio i pantaloni, lui fa il resto e finalmente mi mostra il suo cazzo, è tutta la sera che voglio vederlo, è grosso come mi immaginavo, con una bella cappella lucida, non vedo l’ora di averlo in bocca, mi butta sul letto e mi sale sopra, lo sento sfregare tra le mie labbra, mi punta il clitoride e mi sembra di impazzire, se lo lascia li vengo subito! Fortuna lo porta più in alto, me lo mette tra le tette, cazzo vorrei avere le tette di Maria in questo momento e non la misera seconda che ho, vorrei schiacciarle intorno al suo bastone e segarlo con le tette fino a farlo venire sulla mia faccia… invece scende di nuovo, me lo punta dentro, infila la cappella, no non subito, non è quello che voglio! Fa per mettersi un preservativo ma io lo fermo, prima lo voglio in bocca!
Mi metto a carponi, lui si infila sotto, finalmente ho il suo cazzo a portata di bocca, non voglio che mi lecchi, mi farebbe venire troppo in fretta tanto sono eccitata, gli faccio capire di non farlo e intanto gli sfilo il preservativo, prendo con la lingua la goccia che gli esce dalla punta e la assaggio, ha un buon sapore per fortuna, a volte non riesco neanche a fingere che mi piaccia!
Gli stuzzico la cappella con la lingua e poi lo prendo tutto in bocca, mi riempie tantissimo ma io sono piuttosto brava a fare pompini, anche Maria dice sempre che le pompe devo farle solo io.
Gli stringo le palle con una mano mentre mi infilo tutta l’asta in gola, lui riprende a masturbarmi con le dita, avvolgo la lingua intorno al glande e succhio, lui spinge le dita in fondo e le muove veloce, non resisterò molto così, sento l’orgasmo salire potente, cerco di non venire concentrandomi sul suo cazzo nella bocca ma è peggio… mi tocca il clitoride con il pollice, non resisto, vengo nella sua mano ma mentre vengo lo succhio e gli stringo la base del cazzo, sento la sua cappella gonfiarsi in bocca, stringo ancora un pochino e mi inonda la gola con il suo sperma, ne bevo due sborsare poi mi stacco e lo masturbo per farlo finire, uno schizzo ancora sul viso e poi mi cola il suo seme sulla mano.
Mi sento imbarazzata con il viso sporco, ma lui ride, mi sdraio accanto a lui e rido anche io.
Si alza e si dirige in bagno, anche io ho voglia di pulirmi e lo seguo, cavoli in bagno c’è una jacuzi! Lui apre il rubinetto e facciamo il bagno insieme, adoro fare il bagno in due, mi piace giocare nella vasca e poi… ho ancora voglia di lui, usciamo dalla vasca, ne approfitto per asciugarlo e assicurarmi che gli diventi nuovamente duro, lo massaggio con le mani, mi struscio sulla sua schiena, lo bacio sul collo e in breve è di nuovo in tiro
Torno verso il letto ondeggiando il sedere, so che mi seguirà, il mio culo non lascia gli uomini impassibili! Lui si è messo un altro preservativo e si sdraia sul letto, finalmente posso cavalcarlo, mi sistemo sopra di lui e con una mano lo guido dentro… mi abbasso piano e lo faccio entrare tutto, mi riempie alla perfezione, lo sento spingere, mi prende per i fianchi e da il ritmo ai nostri movimenti, averlo dentro è una sensazione che mi ero quasi dimenticata, mi abbasso su di lui e lo bacio mentre continua a spingermi dentro cambiando il ritmo, cazzo se è bravo, mi sta portando all’orgasmo troppo in fretta, scendo da sopra e lo riprendo in bocca, con il preservativo non è un granché, sento solo il sapore dei miei succhi ma almeno mi calmo un attimo
Quando smetto di succhiarlo lui si alza, mi fa capire che vuole mi giri, mi metto a carponi e gli offro il sedere, lui ricomincia a leccarmela con foga bagnandomi anche il buchino, mi sta facendo impazzire, sento che sto gocciolando, lo voglio dentro, ma lui sta giocando a farmi impazzire, lo punta, me lo spinge appena e lo toglie e riprende a leccarmi, cazzo lo voglio, lo voglio anche nel culo! Alzo di più il sedere e spero capisca, invece continua a giocare e a farmi sbavare di voglia, non resisterò molto, mi metto una mano sul clitoride e comincio a masturbarmi, lui capisce, si mette dietro e mi punta proprio sul buchino… “si si si sfondamelo” ma invece me lo spinge nella figa con forza e tutto di colpo, lo sento tutto dentro e mi sfugge un gemito a metà tra il godimento di sentirlo dentro e la delusione di non averlo in culo…
Mi prende per i fianchi e comincia a pompare sempre più veloce, lo sento crescere sempre di più dentro la figa e sento che sto per venire anche io
Con un urlo viene dentro di me e, aiutata da un ditino birichino sul clitoride, vengo anche io.
Ci sdraiamo vicini, lui mi abbraccia e si addormenta, io non riesco a dormire, penso alla fantastica scopata e alla mancata inculata, penso a lui al mio fianco e che Maria aveva ragione, a Madrid ci sono un sacco di bei ragazzi!
Mattina, mi sveglio prima di lui, e mi sistemo, doccia veloce e mi rivesto, sento che mi chiama, vado, lo bacio, mi dice che ci rivedremo, e torno da Maria
So che si farà raccontare tutto tra un bacio e l’altro e so che si prenderà quello che lui non ha preso… spero solo Maria si sia ricordata lo strapon….
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alessiochiadini · 4 years ago
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In questo ultimo venerdì di giugno molti di voi stanno già pensando al mare, alle vacanze, al relax, anche solo per un paio di giorni se le tanto agognate ferie sono ancora lontane. Dopo un anno dalla sua pubblicazione, ho deciso di rimettere mano alla copertina di "127 EXPRESS", una raccolta di 14 racconti a tema viaggio, una Fiat 127 che resiste coraggiosa alle intemperie e a un gruppo di amici con il cuore votato al divertimento, alla vita, all'avventura! Quarta di copertina: "Quando il viaggio è evasione ma tu hai solo una 127 blu e allora sei costretto a rivedere i piani. Dici, va bene, non si andrà lontani ma almeno che la compagnia sia buona. In fondo, gli amici sono i migliori testimoni della nostra vita. Peccato che gli amici come Fangio, Zanna e Tetteballerine basterebbero a farti dare l'ergastolo. Vabbè non facciamone un dramma, arriveremo dove potremo, basta viaggiare leggeri. I bagagli migliori sono quelli da cui si lascia cadere qualcosa. Zanna, per esempio, si è perso i pantaloni. Quattordici racconti, uno dietro l'altro come le carrozze di un treno, il 127 EXPRESS, per scoprire che tipo di viaggiatore sei: quello che si piazza accanto al finestrino, quello che allunga le gambe sotto il sedile altrui, quello che lascia la valigia in mezzo al corridoio, quello isolato dal mondo con la musica sparata nelle orecchie". Nell'ultima immagine trovate la vecchia grafica, per il confronto (diametralmente opposta alla versione 2021!). Che ne dite? Trovate tutto in BIO (Catalogo - I miei Romanzi) Oppure qui: https://ift.tt/3jqhrdF . . . . . posted on Instagram - https://instagr.am/p/CQiY1tfLo7h/
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sciatu · 7 years ago
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LA STORIA DEL CAPITANO
Degli amici Olandesi mi avevano chiesto se gli trovavo una casa per le vacanze da affittare vicino Taormina. Non essendoci agenzie immobiliari nel paesino sul mare dove passavamo le ferie, su consiglio della Moglie, chiesi al signor Nino, il nostro vicino d’ombrellone a chi potevo rivolgermi. Con mia grande sorpresa lui mi rispose che il più grande agente immobiliare locale era il Capitano, l’uomo che leggeva sotto l’ombrellone (vedi Post precedenti).”Da quando è andato in pensione per il suo problema al cuore – mi spiego -  ha investito la sua buon uscita in case e appartamenti, ed è sempre riuscito a tenerli occupati, così che ora tutti qui al paese gli affidano o le stanze o le case per occuparle d’estate”. Andai quindi dal Capitano e dopo i soliti convenevoli, seduto sulla sabbia accanto al suo ombrellone, gli spiegai il mio problema. Lui ascoltò con la faccia un po’ scocciata per aver interrotto la sua lettura e ostentava mentre parlavo il libro che leggeva “Il Maestro e Margherita” di Bugalkov, tenendo bene in evidenza con un dito tra le pagine, il punto del racconto a cui era arrivato. Mi rispose velocemente che avrebbe cercato e mi avrebbe fatto sapere riaprendo il libro per considerare finita la discussione. Capii subito che la cosa non gli interessava e che fra qualche giorno mi avrebbe detto che non c’era nulla da fare. Come sempre succede in Sicilia dovevo coinvolgerlo sul piano personale se no non avrebbe preso a cuore la cosa, e l’unico piano su cui potevo coinvolgerlo era la lettura che stava facendo. “Ma le piace veramente?” gli chiesi indicando il libro. “No. – mi rispose con una certa esitazione – non lo capisco molto, non so dove l’autore vuole arrivare, più di una volta u stava pi ittari a mari…”. “La capisco, vede l’autore non poteva parlare direttamente, per questo spesso quello che vuole dire lo deve nascondere….” “Lei lo ha letto…?.- e quando glielo confermai con la testa continuò  – ma allura, mi spiegassi stu Woland cu minchia è…” Incominciammo a parlare e gli spiegai da dove il libro nasceva e le storie che conteneva” Da li, passammo ad altri libri con il Capitano che iniziava chiedendo “ma pi caso lei ha letto … e diceva un titolo e appena rispondevo affermativamente lui incominciava a chiedere perché quel personaggio, perché quella storia e finiva sempre che cercavo di spiegargli il perché quel determinato libro era importante. Ad un certo punto arrivò il signor Nino che avvicinandosi ci chiese “Vi vedo parlare fittu fittu: o parlate di calcio, o di donne o di schiticchi (mangiate)….” “Parliamo di libri – rispose il Capitano – cose che tu neanche sai cosa sono: finalmente ho capito quello che ho letto……” Capii che i miei amici Olandesi avrebbero avuto la casa che cercavano.  
Così ogni mattina, appena scendevo in spiaggia, passavo mezzora od un’ora a parlare con il Capitano sul libro del momento, o su un probabile libro che avrebbe voluto leggere. Un giorno scendendo a mare non vidi il Capitano al suo solito posto sotto l’ombrellone che leggeva. Lo stesso capitò per il resto della settimana. Quando chiesi al signor Nino lui rispose che doveva avere qualche problema perché lo vedeva venire presto ed andarsene presto o camminare il pomeriggio lungo la spiaggia senza dare retta a nessuno. Qualche tempo dopo, andando al piccolo stabilimento balneare vicino al posto dove mettevamo il nostro ombrellone, lo vidi seduto in un angolo all’ombra, con il solito libro ma questa volta chiuso e posto davanti a lui quasi non gli appartenesse. Lo salutai da lontano perché non volevo disturbarlo ma lui mi fece segno di avvicinarmi. Mi sedetti salutandolo e gli chiesi come andava. Lui non rispose ma principiò tutto un discorso il cui inizio mi lasciò la sensazione che volesse dirmi qualcosa senza però dire troppo. “Vede, ultimamente sono stato preso da alcuni fatti che mi sono capitati…. però lei è uno che ha letto…. che conosce…. soprattutto l’animo umano, ….per cui ecco volevo chiederle, se ha cinque minuti, un consiglio, ….su un argomento delicato….” si fermò un secondo come a cercare le idee ed il coraggio di dirle. Vidi che osservava il libro ed il volto si illuminò di un sorriso. “Sto scrivendo un libro….- esclamò guardandomi felice dell’idea che gli era venuta -  lei ne ha letti tanti, e sicuramente potrà darmi un opinione, un idea, perché sono arrivato ad un punto morto.” Ora era contento, sembrava che l’esordio lo stava soddisfacendo. “Ecco è un libro che parla di una persona di una certa età, quale potrebbe essere la mia, e che un giorno riceve il messaggio da una sua vecchia conoscente di cui tanti anni fa era forse innamorato…” “Mi scusi, ai fini del racconto, della storia, come fa a ricevere questo messaggio” “Ecco lui ha un sito su cui mette….delle case in affitto, facciamo per dire , non ho ancora deciso, ma potrebbe essere cosi: lui ha un sito dove mette le case in affitto e su cui la sua email appare come nome e cognome così che questa persona, questa sua conoscente, mentre cercava di capire il prezzo di una casa che vuole vendere, vedendo il suo nome si ricorda di lui! Gli invia così un messaggio chiedendo se fosse lui quel ragazzo che anni prima….. e così via” “Quindi è lei che fa la prima mossa” “Si, si! è proprio lei!” “Mi scusi, solo ai fini della storia, da quanto non si incontravano?” “Da più di trenta anni! ognuno dei due ha avuto la sua vita, la sua famiglia che poi per un motivo o per un altro sono finite; a lui è morta la moglie, lei si è separata e ora sono liberi” Si fermò un secondo “Lei adesso si chiederà perché lei l’ha contattato” “Sempre ai fini della storia – gli confermai – penso sia un punto importante del libro” “Si è vero – disse il Capitano a se stesso – è un punto importante!” si fermò a pensare.
 “Vede, anni prima, lui era andato a Taormina con la sua fidanzata, era un periodo in cui c’erano delle incomprensioni e volevano risolverle, discutendole da soli. In pizzeria però i problemi rimangono e ad un certo punto, lei si alza e se ne va. Lui resta al tavolo serio e corrucciato. A questo punto la cameriera viene e gli offre un limoncello “Ti vedo troppo triste, prendi questo, così ti tiri su!” “c’è poco da tirare su…” “Perché qual è il problema? tanto se vi volete bene lei tornerà…” “Non è il volersi bene il problema! Il problema è che voi donne siete completamente irrazionali” le dice, “ le donne non si capiscono, si accettano per quelle che sono – risponde la cameriera – per quello che hanno dentro  e per quello che danno.” “ma devono seguire una logica in quello che fanno” lei alza le spalle “ lo vedi che ragioni come il mio fidanzato: da uomo!!  se tu l’ami sai che tutto quello che ti da le nasce dentro; è un mare con mille correnti, è inutile che cerchi di domare la corrente volendo trovare la formula che te la spieghi. Tu non hai le sue paure, i suoi desideri i suoi sogni e finché non li accetti, non li comprendi e se non comprendi quello che lei ha dentro, da dove nasce il suo modo di essere e di fare, non riuscirai mai a comunicare con lei: starete dentro il vostro castello ognuno a sparare sull’altro pensando di avere sempre ragione….” I due incominciano a parlare perché ormai la pizzeria sta chiudendo e continuano fuori con lui che cerca la quadratura del cerchio e lei che gli spiega che non si può fare la radice quadrata di un silenzio. Vanno avanti per un bel po’ poi si salutano certi di non incontrarsi più. Qualche giorno dopo però si rivedono di nuovo sul viale a Taormina. Lei sta aspettando di iniziare a lavorare, lui deve andare all’ospedale a portare qualcosa a un suo parente. Rincominciano da dove si erano lasciati perché nel frattempo lui ha pensato alle cose che lei ha detto e vuole controbattere, vuole dire ancora la sua. Insomma per qualche giorno si continuano ad incontrare, ma solo per parlare, lei non è una bellezza appariscente, è una ragazza normale, semplice, carina, allegra e ironica, il suo argomento preferito è la cerimonia del suo matrimonio programmato per il Luglio successivo. Quando ne parla le brillano gli occhi e lui diventa presto invidioso del suo fidanzato. Con lei si sente sereno e in fondo le piace; anche se ha più di venticinque anni, ha quella sensualità involontaria, innocente e bruciante che hanno le ragazze giovanissime e che lui, tra un discorso e l’altro, incominciava a notare.
“Ma lui la desidera? se lui la desidera allora la loro amicizia non è più amicizia!” “Ecco questo è il punto. I primi tempi lui stava bene con lei, era contento che lei fosse lì ad ascoltarlo. Poi ecco si, gli nasce un certo desiderio, sa quel desiderio che è quasi una curiosità? ‘Chissà come bacia…’, ‘Chissà come è fatta qua e là’… queste cose che ad ogni maschio vengono in mente….” “Certo, ma poi si baciano…?” Il Capitano si agitò sulla sedia come se questo punto fosse diventato il più importante della storia. “Ecco arriviamo al punto; ad un certo punto lui la desidera, la vuole insomma e decide che quella sera l’avrebbe aspettata a fine turno e glielo avrebbe detto e forse l’avrebbe anche baciata…invece….” “invece” lo sollecito nell’istante di esitazione che lo aveva fermato “Lui arriva di fronte al ristorante ed aspetta fuori sulla piazza in un angolo lontano, per non farsi vedere. Quando lei sta per uscire, e lui le sta per andarle incontro per salutarla, qualcuno che l’aspetta appena fuori la porta esce dal buio e l’abbraccia, la bacia e lui capisce che quello è il suo fidanzato. Allora si ferma, resta dove è, e non si muove. “Lei si sta per sposare e io vado li a rompere i cosiddetti! non è giusto” pensa e li vede allontanarsi. Vede, lui, il protagonista,  non cercava un’avventura. La crisi con la sua ragazza gli aveva fatto capire che forse lei non era la donna perfetta che cercava e lo stare bene con la cameriera gli era sembrata una opportunità, ma non aveva pensato al prezzo di questa alternativa, a lei che era prossima a sposarsi, a legarsi per sempre con il suo ragazzo di cui non si era mai lamentata. Lui, il mio personaggio, non è uno che va dietro alle femmine, vuole qualcosa di stabile, ed anche lei gli parlava del suo matrimonio aspettandolo e desiderandolo, pensandolo una nuova vita. Questo frena il personaggio, pensa che da parte di lei non ci sia nessun interesse e tutto quello che stava facendo era un suo colpo di testa, dettato solo da un momento di incomprensione con la sua fidanzata. Io non ho mai creduto ai colpi di fulmine e neanche il mio personaggio ci crede. Per questo, l’unica cosa giusta che pensa di dover fare è andarsene. 
Dopo quel giorno lui non torna più a Taormina, riprende a parlare con la fidanzata e mette da parte quella storia” “ la mette da parte veramente?” “Si, anche se, di tanto in tanto qualche ricordo gli torna, qualche domanda tipo “Cosa sarebbe successo se….”, “come sarebbe la mia vita se….” ma questo solo quando quello che desidererebbe avere non coincide con quello che ha e allora gli sembra quasi di voler scappare nei ricordi, nelle vite alternative che avrebbe voluto o potuto avere”. “E lei..?” “Ecco, questo è un altro punto importante: quando finalmente si incontrano di nuovo, lei ripete le stesse cose! Anche lei ad un certo punto quel parlare così, semplicemente, ma intensamente e profondamente l’aveva colpita. Le era piaciuto, era qualcosa che con il fidanzato non faceva. Per questo anche lei in molti momenti della sua vita si è chiesta: e se mi fossi messa con lui e avessi sposato lui? E lei ci ha pensato di più di lui perché è stata più sfortunata: ha avuto un aborto, il marito l’ha tradita e lei ha divorziato, ha avuto un tumore che per alcuni anni l’ha tenuta tra la vita e la morte, per questo lei quando ha visto il suo nome l’ha cercato, perché alla fine vuole cambiare la sua vita e lui, che è uno dei ricordi più belli che ha, le appare come un possibile nuovo punto di inizio. Un tornare indietro in un momento felice con qualcuno che la capiva e le era vicino!” “Lui allora, dico il personaggio, deve decidere cosa fare! mi sembra una bella trama alla fine”, “No ecco – fece il Capitano sorridendo -  io o meglio il destino vorrebbe un po’ complicarla questa trama perché lei lo informa che ha venduto tutto quello che aveva e che vorrebbe trasferirsi in Portogallo, in un posto che costa poco e che è soprattutto lontano da tutti e da tutto il suo passato” “E lui….?” “Lui…… non lo so, non ho ancora deciso…… cosa far fare a lui. Da una parte è qualcosa che lo attira, ricominciare con qualcuno, malgrado l’età, tornare ad essere attivo, a riprendere una storia che era iniziata bene e che si era dovuta interrompere forse per inutili convenzioni, per la particolarità della situazione. Insomma, lei lo sa come è a mare, a volte si procede a zig zag spinti ora dal vento ora dalle correnti, non si riesce a fare il cammino che si vorrebbe, tutto dritto e lineare. Invece ora si potrebbe continuare dritti, insieme, senza dover dar retta a questo o a quel motivo ed essere forzati a muoversi da questa o a quella situazione. Ma il salto, è troppo alto e non so come fare …. come fare…..a far finire il libro……” fece il Capitano disorientato, poi mi guardo “ lei come lo farebbe finire….” 
“ Beh è una bella trama – esordii prendendo tempo per pensare – se scritto nel modo giusto potrebbe essere qualcosa di molto bello. C’è tutto: l’amore di due persone, il destino, la decisione finale. Manca forse un antagonista, ma potrebbe essere il destino, o un antagonista interiore come il non voler credere in quanto si prova, nel non seguire il proprio istinto, il non voler dare importanza ad un sentimento che potrebbe nascere. Però vede, bisogna rispettare i personaggi, voglio dire, non bisogna mai inventare una trama in cui si forzano le personalità dei personaggi per come sono stati creati. Lei, la ragazza, la capisco, l’ha creata in modo perfetto: è una donna che vuole rincominciare per dimenticare le offese che la vita le ha dato. Ma lui, ecco lui non l’ho focalizzato bene. Dare retta alla richiesta di lei vorrebbe dire due cose: o che lui è insoddisfatto della sua situazione del momento e che quindi la segue per gli stessi motivi che lei dice di avere: ricostruire una vita altrove, più che per interesse verso di lei o perché è un sentimento che lo spinge a seguirla…oppure” qui mi fermai a valutare bene quanto stavo per dire “…oppure?” sollecitò il Capitano “oppure lui alla fine sa già che potrebbe amarla e che dovrebbe seguirla, ma come fa a saperlo con certezza, ora che per lui l’amore non è più un illusione ma un ricordo, inoltre non la conosce e bisognerebbe prima frequentarsi  prima di decidere. E’ questo quello che lo disorienta, che frena la sua decisione: vuole certezze a cui lei non pensa. Vede, lui fa lo stesso errore di quando la sua fidanzata l’ha lasciato in pizzeria: da uomo vuole una certezza razionale, un motivo, un piano sul lungo termine. Lei non ha bisogno di tutto questo. Sa che se lui la seguirà sarà solo perché l’avrà accettata per come è e così facendo avrà già incominciato ad amarla. A lei basta questo. Si, poi c’è anche il fattore età: lui anziano, potrebbe mai fare questo colpo di testa tipico di un ragazzo, di una persona giovane che ha abbastanza forza da tornare indietro nel caso la sua decisione si rivelasse sbagliata? ma questo ha anche un altro aspetto perché vede è vecchio chi rimpiange qualcosa che non può avere più e mai chi lotta per raggiungere quanto desidera: per questo gli innamorati non invecchiano mai” Lui mi guardava in silenzio, quasi pesando ogni mia parola “E’ questo che deve chiarire nel romanzo: lui cosa vuole? la ama ancora tanto da lasciare da parte la ricerca delle certezze ed accettarla semplicemente? saprebbe ancora amare? o meglio, saprebbe ancora credere nell’amore? L’amore non giustifica tutto, ma è la corrente che allontana ognuno di noi dagli scogli del nulla, siamo noi che dobbiamo decidere se credere in lui e lasciarci trasportare o remare per tutta la vita controcorrente restando, alla fine, sempre dove siamo” e lo guardai negli occhi, in attesa di una risposta. Quella definitiva. 
L’altoparlante del locale cantava Senza Fine, mentre dalla spiaggia arrivavano smorzate le voci e le urla dei bambini che si tuffavano a mare, a cui rispondeva il rumore incessante delle macchine che passavano a velocità sul lungomare che costeggiava la spiaggia. Il mondo continuava la sua corsa incurante del Capitano e del suo libro in cui si specchiava la sua vita.
“Si – disse improvvisamente il Capitano -  credo di si!, saprebbe ancora credere nell’amore! non all’amore dei ragazzi che non conoscono il mondo e vedono l’amore come una fiaba, non a quello del giovane che si pensa il padrone del mondo e per cui l’amore è solo una medaglia da mostrare, ma, come ha detto lei, crede nell’amore di chi conosce e ha capito, che non c’è altro che vale quanto avere qualcuno con cui puoi vivere sereno e che ti accetta per quello che sei. Ora ho capito: lui la seguirà perché ha la consapevolezza che si, ha vissuto, ma mai abbastanza, che ha sbagliato, ma mai abbastanza, che ha avuto, ma mai abbastanza, che ha dato, ma mai abbastanza e che ora si potrebbe mettere tutto a posto, far tornare la bilancia all’equilibrio. Ha la consapevolezza di poter vivere di nuovo, di non essere arenato su una spiaggia, ma ancora in mare a decidere la propria sorte e a seguire il proprio cuore come fa chi non conosce o non crede agli inganni del mondo. Si, penso che lui la seguirà: è una mania dei vecchi, voler mettere tutto a posto prima dell’ultimo giorno. Per questo lei l’ha chiamato, per questo lui andrà, e se poi non sarà come pensano, non avranno rimpianti, non avranno lasciato niente indietro da rimpiangere, non è questo in fondo quello che tutto vorremmo avere alla fine della nostra vita: non avere nulla da rimpiangere? non aver lasciato dei vuoti nella propria vita che non si è saputo o voluto riempire” mi guardò, sereno, felice. Aveva deciso il finale del suo libro. “Sarà un bel romanzo” gli dissi sorridendo. “Il più grande della mia vita!” mi rispose sorridendo.
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massei1 · 4 years ago
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26 dicembre 2020
Mi trovo di nuovo qui. A scrivere perché ne avevo bisogno. Avevo bisogno di condividere pensieri, dubbi che mi assalgono. A fare forse anche un resoconto di questo anno, difficile e strano per certi versi.
L'anno scorso a quest'ora ero ancora una bambina, una giovane donna alle prese per la prima volta con un nuovo mondo. Ma sprizzavo felicità e curiosità. Ero soddisfatta di me stessa, di dov'ero arrivata e sognavo di arrivare molto più in là.
Nutrivo dubbi invece sulle mie amicizie. Per la prima volta avevo messo in dubbio le persone a me accanto, mi ci sono anche allontanata. Pensando che non erano più al mio passo. Passo cambiato a "causa" della mia nuova maturità.
Questo nuovo mondo mi ha fatto conoscere e scoprire nuove persone. Amici, colleghi persone a me strette con cui condivido sogni e sofferenze.
Poi è arrivato il virus, un mostro lo definivano. Avevo paura per la mia famiglia, soprattutto perché non toccavo con mano questo brutto male e stando lontano da casa mi sembrava tutto più grande. Non sentivo i telegiornali e quelle poche notizie mandavano in tilt tutti quanti. Era il periodo degli esami e ovviamente la testa non stava sui libri.
Poi boom "tutti gli acam a casa", prendi fai le valigie e torna. Ricordo ancora quella "felicità" di tornare a casa ma con la consapevolezza di stare per affrontare qualcosa di incerto.
Da pochi giorni che dovevamo stare a casa sono diventati mesi.
Le cose sono cambiate, di nuovo. Tutto quello a cui mi ero abituata, quei nuovi ritmi quelle persone accanto si sono in 3 secondi estinti. Sono tornata a casa, ho trovato un nuovo equilibrio e ho di nuovo affrontato quello che veniva.
Se questo virus ha distrutto tante vite, ha cambiato la visione del mondo una cosa buona l'ha fatta.
In quel periodo di quarantena mi ha fatto riconoscere lui, mi ha fatto stringere una nuova amicizia. Un rapporto stupendo, nato tutto per destino. Eh si il destino, ci siamo conosciuti al concorso. Seduti vicini prima di entrare.
Maggio - - > penso che sia stato uno dei momenti in cui ho toccato il fondo. Di botta un male atroce al ginocchio. Ricordo ancora quando sono uscita dallo studio del medico. Ricordo ancora quando ha nominato la parola operazione. I pianti. Per la prima volta mi sono vista e fatta vedere fragile. Poi la consapevolezza "si affronta anche questo".
Quando sembrava aver preso una piega di normalità, si ritorna a Firenze.
Periodi degli esami, affrontati a testa alta.
Ferie. E di nuovo Firenze.
Iniziano le prove per il giuramento, rininzia il male al ginocchio, torno a casa. In tutto ciò lui mi è sempre stato vicino.
Torno si riaffronta tutto, il rapporto si consolida. Nasce forse un qualcosa di più. Dettato da cene, colazioni e tante chiamate.
Secondo ondata, si torna a casa. Chiamate come se fossero normalità, se ne parla okay.
Lontani, ma ci sentiamo sempre e con quella voglia di vedersi. Di toccarmi e abbracciarci. Consapevoli però del nostro lavoro e della nostra lontananza.
Spedita in un isola. Sono riuscita a trovare l'ennesimo equilibrio in una situazione strana. Forse ecco questo mi riconosco che si tratta di un mio pregio. Non mi lascio abbattere e trovo sempre una soluzione a tutto.
Ho conosciuto nuovi ambienti, nuove persone e un nuovo mondo.
Sono stata proiettata per la millesima volta, in una nuova vita, in una nuova normalità ma che nonostante questo sono riuscita a fare un qualcosa di mio.
Con lui? Non lo so. Non so veramente cosa fare. Adesso mi sembra tutto così campato per aria. Non so se sono capace ad affrontare un rapporto così. Solo fisico.
Non so che fare. Non so. Voglio vederlo e parlarci. Non so cosa mi sta predendo.
Aiuto
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