#uomini piccoli piccoli
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Quando gli si fa notare che hanno dei privilegi gli uomini pensano che le donne li considerino tutti dei piccoli Luigi XVI, viziati, serviti e riveriti che non hanno un pensiero al mondo. Al di là del fatto che questo denota quanto gli uomini ritengano le donne delle povere stupide che non hanno la più pallida idea di come funziona il mondo, ma quando una donna parla dei privilegi degli uomini si riferisce a tutte quelle libertà che un uomo ha e una donna no. Ficcatevi in testa che per una donna il solo fatto di camminare per strada senza avere paura di essere molestata È un privilegio. È un privilegio perché è una libertà che un uomo ha e una donna no. Sentirsi liberi di rifiutare degli approcci sessuali senza temere per la propria incolumità È un privilegio perché l'uomo lo può fare e una donna no. Intraprendere una carriera sapendo che mai si sarà costretti a dover sacrificare la famiglia o un avanzamento È un privilegio perché un uomo non se ne dovrà mai preoccupare mentre una donna sì. E questo vale per ogni altra categoria discriminata sulla base del genere, della razza, della conformità o meno del proprio corpo.
Signori, in conclusione, sappiate che non ce ne frega niente del vostro conto in banca o della dimensione della vostra auto. Quelle sono cose che interessano a voi per bullarvi coi vostri amichetti. Quello che vogliamo noi è essere libere.
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"Non ti diranno che esistono anche uomini, grandi o piccoli che siano, che coltivano la vocazione dello stare accanto, o quella di scomparire, o altri che di donne non ne hanno mai avute e, forse, mai ne avranno."
— Matteo Bussola, "Un buon posto in cui fermarsi".
#non ti diranno#uomini#grandi#piccoli#frasi libri#donne#amore#solitudine#tristezza#inadeguatezza#matteo bussola#solo
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Attendendo questo film con un secondo natale (il primo era NuovoOlimpo)
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Nemesi d’amore
Era inevitabile, che succedesse. Lavati la coscienza, oltre che il culo e la fica, puttana. Sono venuta a spiarti di nascosto nel bagno delle donne qui vicino agli uffici. Per osservare il tuo intimo, per cercare di capire cos'è quello che cercano tutti, da te. Sgualdrina da postribolo: faresti certamente dei bei soldi, se scegliessi quella via. Da quando sei arrivata nella nostra piccola azienda a conduzione poco più che familiare, ho potuto percepire chiaramente e immediatamente l’interesse di mio marito per te. T’ha assunta direttamente e senza esitazioni. Dopo solo pochi giorni di prova. No: non soltanto perché sei oggettivamente molto brava con i clienti, i colleghi e i fornitori, ma anche perché sei oggettivamente una gran bella gnocca.
E poi profumi di sesso a un chilometro: chiunque abbia a che fare con te subisce la tua forte influenza erotica. Uomini o donne. Era matematico che me l’avresti scopato: sono sicura che il destino tiene per ciascuno la contabilità delle gioie e delle sofferenze per amore. E nel tempo ri-bilancia di conseguenza. Ero sicura che prima o poi mi sarebbe successo. Perché da ragazza anche io, per puro sfizio, vanità e assoluta incoscienza, ho fatto cadere un uomo sposato. Ho sfasciato una famiglia. Con figli piccoli. Lo volevo: era proprio bono. Mi piaceva e alle conseguenze francamente non pensavo minimamente. Ci misi solo tre giorni, a farlo crollare. Nell’intimo, dopo che capitolò ero assolutamente fiera: avevo scoperto che il potere della mia fica giovane, stretta e sofisticata era enorme.
Gongolavo. Quella è una storia che comunque è finita dopo poche settimane e che io ho dimenticato presto, anche se le conseguenze sono state tragiche: avvelenamento da barbiturici di sua moglie dopo la scoperta. Salvata per un pelo. E poi separazione, soldi, avvocati, indigenza. Ma non mi fregava molto, francamente. Ero egoista e stupida. Come si può essere egoisti, stupidi e sicuri dell’invincibilità solo a vent’anni o poco più. M’è solo rimasto ben impresso in mente il viso della moglie, quando è venuta nel mio appartamento di universitaria appena dopo averci scoperti. All'improvviso me la sono trovata davanti. Voleva assolutamente vedermi: le ho aperto la porta, l’ho vista e l’ho fatta entrare. Mi dicevo: “uffa, sentiamo questa che cacchio vuole, adesso…”
Però lei invece stava immobile e non riusciva neppure a parlare. A ripensarci con l’esperienza di oggi, devo dire che in quel frangente appariva proprio disperata. Le lacrime le scendevano dagli occhi assieme al rimmel, che colava impietoso e le insozzava il viso. “Declino di una donna; poverina” pensai. Mi fissò a lungo e mi disse solo: “si, sei bellissima, devo riconoscertelo. Ma vedrai, quando capiterà a te. Perché ti succederà, io lo so.” Praticamente mi lanciò una fatwa. Girò i tacchi e andò via. Di loro non ho poi saputo più nulla. E adesso eccomi qui a pagare; a soffrire come una preda ferita. Per lo stesso, medesimo motivo. Stavolta nella parte della cornuta ci sono io. Mea culpa, lo so: me lo sento nell’anima. Ancora fingo di non sapere, ma muoio dentro ogni giorno un po’ di più.
Eppure t’ho trattata come una figlia. Porca miseria: sono stata una moglie perfetta, fedele, impegnata e ho lavorato assieme a lui come una bestia. Abbiamo sofferto e gioito insieme a lungo. Sessualmente c’è sempre stata un’intesa ottima. Gli ho fatto e fatto fare di tutto, col mio corpo. Ma adesso ti vedo: nuda nella doccia femminile qui in azienda, mentre ti lavi dopo essere stata con lui in un cantiere difficile, sporco e fangoso. Hai sudato e vi siete insozzati nel fare l’ispezione necessaria, per poter così fare un preventivo corretto e dettagliato. Nessuno può resisterti, ora mi è ancor più evidente. Per dirla tutta, ti vorrei anche io. Mi piacerebbe succhiarti la lingua, la fica e farti vibrare di piacere tutta. Lo confesso: mi piaci da morire, puttana che hai portato l’inferno nella mia famiglia.
Si: soffro molto e mi sento umiliata, ferita, degradata. Anche se ancora non riesco a trovare la forza di far esplodere la cosa. Lui rientra in ufficio o a casa fischiettando, bello allegro. Io fingo una normalità che ormai non esiste più. Ma no: tranquilla, non verrò a casa tua. Perché so esattamente che cosa dovrei dirti e capisco anche che dentro di te al momento non c’è neppure l’ombra di uno scrupolo, di un senso di colpa nei miei confronti: pensi solo a godere con lui di nascosto e a farti pagare bene a fine mese. Forse mio marito fuori busta ti allunga anche qualche centinaio di euro in più; per farsi grande ai tuoi occhi, o forse per gli… straordinari particolari.
Tanto, il grand’uomo non sa quello che io invece so per vie traverse: che hai inviato già domanda in varie aziende concorrenti più grandi della nostra.Ti devi sistemare per bene, grandissima troia. Io per parte mia farò probabilmente finta di nulla, perché è matematico che troverai presto una nuova, migliore collocazione lavorativa e che ben difficilmente continuerai a vedere il mio uomo. Perché lui è mio e nonostante tutto lo amo. Si: lo amo ancora di più. Per amore si gode. E si soffre. Tanto. Tutta la vita. Che è una ruota.
RDA
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Per tutti i nuovi iscritti, ripropongo qualche racconto 😉
GINEVRA
Qualche giorno fa avevo un appuntamento alle 17, davanti ad un albergo di cui non ricordo il nome.
Non ci sono mai arrivata, è saltato tutto all'ultimo momento.
Ultimamente va così:
belli, passabili, simpatici, discretamente o altamente interessanti, poco importa.
Tanto, una scusa per non incontrarli, la trovo sempre. Mercoledì però ero convinta e preparata, con il baby doll e le autoreggenti.
Mi sono eccitata nel bagno dell'ufficio a pensare al momento in cui finalmente, qualcuno che nn fosse mio marito, fosse riuscito a violare questo tempio
Non succede da tempo ormai e ho pensato che l'ingegnere , dopo anni di tentativi, avesse finalmente vinto la bambolina.
Pensando a lui mi sono accarezzata da sopra le mutandine... carezze fugaci, giusto per sentire la prominenza delle grandi labbra, aspettando che il liquido della mia fica bagnasse la stoffa
Mi piace andare in giro così umida, mi piace pensare che se ne percepisca l'odore
Fatto sta che, alle 14,30, mi arriva un messaggio che, per qualche casino sul lavoro, l'Enrico non potrà raggiungermi.
Contenta un cazzo ovviamente, ma visto che tanto a Torino ci dovevo andare ugualmente per una cena al Magorabin, sono partita con la mia valigia di porche voglie verso la bella città sabauda.
La delusione non ha spento i miei istinti, c'era nell'aria tempesta ma con ancora il caldo estivo che mi faceva sudare le cosce e irrigidire i capezzoli
Ho camminato da corso San Maurizio con il Po alla mia sinistra, verso la Gran Madre, per andare a prendere un gelato e sorridevo ogni volta che il vento apriva lo spacco del mio vestito verde, troppo leggero per contrastarne la forza
Le cosce scoperte, le autoreggenti in evidenza, gli uomini che guardavano dalle macchine mentre attraversavo la strada... Umidità, vento, sguardi liquidi e umori lungo le calze velate. Eccitata come un adolescente al primo ditalino, mi sono seduta col mio gelato su una panchina di cemento di fronte al Gran Bar di Corso Casale, vicino alla più classica delle fontanelle della città, quella con la testa di toro
Ho leccato quel gelato pensando all'ultima volta in cui avevo avidamente succhiato e portato un cazzo ad esplodermi in bocca .
Troppo tempo
Mi sono avvicinata alla fontana per togliere dal vestito una macchia di cioccolato e con noncuranza l'ho quasi alzato completamente, aspettando che i ragazzi seduti al chiosco vicino si accorgessero di me. Gomitate, risatine, chissà quante volte mi avranno chiamata puttana.
Mentre maledicevo la mancanza di un amante che mi aspettasse a cazzo duro in un posto qualunque, è arrivata la pioggia e a passo svelto sono tornata verso via Vanchiglia , dove avevo la macchina.
Mi stavo bagnando, ma non ho corso e questo mi ha permesso, lungo il tragitto, di notare un piccolo negozio di abbigliamento vintage
Mi sono fermata e un cartello invitava ad entrare liberamente per sbirciare tra gli abiti appesi
Varcando la soglia ho sentito odore di incenso e di rose e mi sono sentita subito in un ambiente caldo e famigliare
Quella che poi ho saputo essere la proprietaria, è arrivata da una porta che dava su un cortile interno.
Ho notato il suo vestito in chiffon color pesca, lungo fino ai piedi, tanto lungo da doverlo tenere alzato mentre camminava. Sembrava una tipica damigella di quei matrimoni americani che si vedono in tv. Le ho sorriso istintivamente guardandole i piccoli seni non costretti da intimo
Capelli corti come i miei ma mossi, ornati da un piccolo fiore all'altezza dell'orecchio, occhi grandi e scuri, una bocca sottile e dolce nascondeva denti bianchi e perfetti
Mi ha invitata a guardare e chiedere, se ne avessi avuto bisogno...
Ho passato le mani tra gli stendini, ma continuavo a pensare alle sue forme sotto la stoffa, al culo importante, ad una vita non troppo sottile su un corpo comunque armonioso
Mi stavo bagnando ed ero a disagio e quando mi sono girata lei mi stava fissando
"il vestito che hai in mano ti starebbe benissimo, dovresti provarlo!"
Non so se sia stata la sua capacità professionale o la voglia di spogliarmi che mi accompagnava da tutto il giorno, ma ho chiesto dove fosse il camerino e sono stata contenta di trovarlo spazioso e accogliente, con un grande specchio
Mentre mi preparavo l'ho sentita camminare nervosamente avanti e indietro,ma quando ho scostato le tende, ho trovato subito i suoi occhi. Prontamente ha iniziato a sistemarmi il colletto, mi ha toccato le spalle "lo sapevo, lo porti benissimo"
Ha aperto un bottone e poi un altro ed io sono rimasta immobile senza sapere cosa fare, mi sentivo come una bambola nelle mani di una bambina che gioca a fare la mamma
Ma tra le gambe c'era la donna che sono. L'ho sentita pulsare ed eccitarsi.
"Ecco, lascia che si veda il tuo décolleté , è perfetto"
Ha preso altri vestiti e mi ha chiesto di provarli. Il suo tono era perentorio ma dolce, un no non era contemplato ed io, come un automa, ho ubbidito.
Mentre indossavo il secondo abito ha azzardato aprendo le tende, dicendo di voler togliere ciò che non serviva più e mi ha vista in intimo, con le calze a balza larga che circondavano le mie cosce.
Sono rimasta immobile, imbarazzata, ma il suo modo di guardare e di sorridere ha sciolto le mie inibizioni
"ti aiuto se vuoi"
"si, per favore"
È entrata ed io ho sentito il suo profumo di rose, e l'inconfondibile odore dell'eccitazione
Mi ha aiutato a tirare su il vestito e mi ha sfiorato il collo con le mani, poi le spalle, la schiena
Cristo, volevo solo che mi toccasse e palpasse
Le ho sorriso guardandola dallo specchio e prendendolo come un invito mi ha girata e mi ha baciata
Un bacio dolce e bagnato che mi ha improvvisamente reso consapevole di quanta tenerezza io avessi dovuto rinunciare in passato, in nome di relazioni che spesso mi avevano lasciato sola e inerme, in balia delle più luride pulsioni.
Mi ha spinta contro lo specchio e pressando il suo corpo sul mio mi ha allargato le gambe con un ginocchio. Ero fradicia e vogliosa e lei lo sapeva
Ha fatto scivolare il vestito e si è inginocchiata davanti alle mie mutandine che piano piano ha sfilato via
Ho pensato a come fosse possibile tutto ciò...mesi a chattare su inutili siti di incontri e poi la mia ricompensa era lì, in un piccolo negozio di abiti vintage..
Ha annusato il mio pube, il mio pelo, ci ha strofinato il naso, allargato le mie grandi labbra con le dita ed è rimasta a guardarla
Ci ha giocato con la lingua mentre iniziavo a mugolare, leccava il mio clitoride, lo succhiava con avidità, infilava le dita dentro l'orifizio grondante umori biancastri e se le leccava con foga
Improvvisamente ha smesso ed è corsa via. Per un attimo smarrita mi sono seduta sullo sgabello del camerino Ho sentito chiudere a chiave la porta del negozio ed è tornata da me
"Eccomi, non puoi più scappare"
Ma chi cazzo voleva muoversi da lì!
L'ho avvicinata a me e ho appoggiato la testa sul suo ventre, ho alzato il vestito fino al suo sesso, anche lì completamente libero dall'intimo.
Che fica meravigliosa, completamente nuda ed esposta
L'ho accarezzata, ma è il suo culo che volevo, morbido ed invitante.
Le ho chiesto di girarsi, di chinarsi per me e ho affondato la faccia tra quelle natiche
Ho annusato forte e poi la mia lingua è corsa all'esplorazione di quel pertugio perfetto, che sapeva di sapone e culo
Leccavo ed infilavo la lingua sempre più in fondo, come un piccolo cazzo entravo ed uscivo mentre la sentivo ansimare, colare, sentivo il gusto di tutta la sua voglia
Ha iniziato a masturbarsi e sentivo il rumore delle ditta fradice
La volevo mia, volevo godere con lei guardandola in viso
Lho accompagnata sul tappeto, supina, le ho aperto le gambe e mi sono posizionata sulla sua fica in un incastro perfetto
Abbiamo iniziato a muoverci e a strofinare i nostri sessi, sempre più veloce
Dio, l'odore che emanava quell'erotico ballo... Sudore, fica, shampoo per capelli, trucco, culo
Ho goduto nell'attimo in cui diceva "Vengo cazzo!"
Siamo esplose insieme e la sua fica ha spruzzato sulla mia, mentre il suo corpo pareva in preda a convulsioni
Mi sono abbassata e ho raccolto con la lingua ciò potevo, gustando tutto il suo essere
Poi ho raggiunto la sua bocca e sporca di umori l'ho baciata morbidamente, mischiandomi alla sua saliva
Mi ha guardato e ha riso e ancora ansimante mi ha detto
"Ah, piacere, io sono Ginevra"
Al Magorabin non ci sono mai arrivata.
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LA SICILIA SECONDO VINCENT VAN GOGH
Nel febbraio del 1888, Vincent van Gogh lascia Parigi e si trasferisce in un piccolo paesino chiamato Arles nella solare Provenza. Se fino a qualche anno prima aveva dipinto meno di un centinaio di opere, al sole di Arles, Vincent trova la gioia della sua arte, producendo in meno di un anno più di trecento opere. Definisce il suo stile originale e sostituisce i colori oscuri e tenebrosi delle sue prime opere, con una luce accesa e pura. Se il calore mediterraneo di Arles fece questo effetto su Vincent, cosa sarebbe successo alla sua anima tormentata se fosse venuto a contatto con l’abbagliante luminosità siciliana? E ancor di più, come avrebbe reagito la sua ricerca fallita di Dio, il suo difficile cammino nella società del nord Europa alla filosofia siciliana dove “Tutto scorre e nulla resta” per cui non dobbiamo chiederci “Chi siamo e dove andiamo?” ma “Quando si mangia e che cosa c’è da mangiare?”. Forse i suoi tormenti umani ed artistici si sarebbero sciolti di fronte ad una granita al caffè, ad un bicchiere di birra Messina, o ad un tramonto alle Eolie. Seduto su una lunga spiaggia solitaria per dipingere le lunghe onde del mare, sarebbe stato raggiunto dal solito cinico siciliano che senza farsi i cazzi suoi gli avrebbe chiesto se Gauguin se la stesse spassando alla Martinica. Oppure, con la saccenteria degli ignoranti, avrebbe chiesto se nel dipingere avesse copiato i colori densi e pastosi di Monticelli, o se quelle pennellate dense ed intense le facesse così a come venivano, tanto per babbiare (prendere in giro) i critici. Alla fine, in quest’isola dove è l’arte stessa che si intreccia con la natura crea il paesaggio, dove la follia è una ordinaria condizione di uno, nessuno, centomila, alla fine forse la sua anima infelice avrebbe trovato la sua quiete e avrebbe accettato la sua cristiana inquietudine in quanto elogio dell’essere. Infine, invece che piccoli caffè o cieli inquietanti pieni di oscuri uccelli, qui in Sicilia avrebbe incominciato a dipingere le meraviglie luminose dell’isola, affinando quella sua tecnica in cui rinchiudeva le sue angosce e tristezze dentro a dense intense pennellate. Qui, in quest’isola dove la follia è di casa, sulla tela avrebbe raccontato di campi infiniti e dorati, di chiese accese da sole, di piccoli dammusi affacciati sul mare e immacolati sotto un cielo di un azzurro felice e saturo di luce. Avrebbe finalmente toccato e dipinto quella luce che cercava, quella che non aveva trovato né nelle sue infinite letture della bibbia, né tra le cosce delle prostitute che amava o delle donne borghesi che lo avevano rifiutato. Avrebbe capito che solo la natura è reale, ed è il palcoscenico su cui gli uomini, come i pupi dal corpo di legno, recitano passioni ed amori che solo per pochi atti sono eterni e che questa provvisorietà è l’unica certezza che questi pupi hanno, tanto che con essa riempiono la loro arte per viverla all’infinito.
SICILY ACCORDING VINCENT VAN GOGH
In February 1888, Vincent van Gogh left Paris and moved to a small village called Arles in sunny Provence. If until a few years earlier he had painted less than a hundred works, in the sun of Arles, Vincent found the joy of his art, producing more than three hundred works in less than a year. He defined his original style and replaced the dark and shadowy colors of his early works with a bright and pure light. If the Mediterranean heat of Arles had this effect on Vincent, what would have happened to his tormented soul if he had come into contact with the dazzling Sicilian brightness? And even more, how would his failed search for God, his difficult path in northern European society, react to the Sicilian philosophy where "Everything flows and nothing remains" so we should not ask ourselves "Who are we and where are we going?" but "When do we eat and what is there to eat?". Perhaps his human and artistic torments would have melted away in front of a coffee granita, a glass of Messina beer, or a sunset in the Aeolian Islands. Sitting on a long, solitary beach to paint the long waves of the sea, he would have been joined by the usual Sicilian cynic who, without minding his own business, would have asked him if Gauguin was having fun in Martinique. Or, with the know-it-all attitude of the ignorant, he would have asked if in painting he had copied the dense and mellow colors of Monticelli, or if he did those dense and intense brushstrokes as they came, just to mock (mock) the critics. In the end, on this island where art itself intertwines with nature to create the landscape, where madness is an ordinary condition of one, no one, a hundred thousand, in the end perhaps his unhappy soul would have found its peace and accepted its Christian restlessness as a praise of being. Finally, instead of small cafes or disturbing skies filled with dark birds, here in Sicily he would have begun to paint the luminous wonders of the island, refining his technique in which he enclosed his anguish and sadness within dense intense brush strokes. Here, on this island where madness is at home, on canvas he would have told of infinite and golden fields, of churches lit by themselves, of small dammusi overlooking the sea and immaculate under a sky of a happy blue and saturated with light. He would have finally touched and painted that light he was looking for, the one he had not found in his infinite readings of the Bible, nor between the thighs of the prostitutes he loved or of the bourgeois women who had rejected him. He would have understood that only nature is real, and it is the stage on which men, like puppets with wooden bodies, act out passions and loves that are eternal only for a few acts and that this temporariness is the only certainty that these puppets have, so much so that they fill their art with it to live it infinitely.
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Qualcuno ha pubblicato questa foto qualche giorno fa. Molti hanno voluto sapere la storia dietro la statua, quindi eccola qui...
Kópakonan: Una statua della Donna Foca si trova a Mikladagur, sull'isola di Kalsoy. È realizzata in bronzo e acciaio inossidabile, progettata per resistere a onde alte fino a 13 metri. All'inizio del 2015, un'onda di 11,5 metri si abbatté sulla statua, ma rimase ferma e non subì danni (vedi i commenti per le foto di questo evento).
La leggenda di Kópakonan (la Donna Foca) è una delle fiabe più conosciute nelle Isole Faroe. Si credeva che le foche fossero esseri umani che avevano scelto volontariamente di morire nell'oceano. Una volta all'anno, la tredicesima notte, erano autorizzate a tornare sulla terra, togliersi la pelle e divertirsi come esseri umani, ballando e godendosi la vita.
Un giovane contadino del villaggio di Mikladalur, sull'isola settentrionale di Kalsoy, curioso di sapere se questa storia fosse vera, si appostò sulla spiaggia una sera della tredicesima notte. Vide le foche arrivare in gran numero, nuotando verso la riva. Si arrampicarono sulla spiaggia, si tolsero la pelle e la posizionarono accuratamente sulle rocce. Senza la pelle, apparivano come normali esseri umani. Il giovane osservò una bella ragazza foca posare la sua pelle vicino al punto in cui era nascosto, e quando iniziò la danza, si avvicinò di nascosto e la rubò.
I balli e i giochi durarono tutta la notte, ma non appena il sole iniziò a spuntare all'orizzonte, tutte le foche si precipitarono a riprendere le loro pelli per tornare in mare. La ragazza foca era molto sconvolta quando non riuscì a trovare la sua pelle, anche se il suo odore era ancora nell'aria. Poi l'uomo di Mikladalur apparve tenendola in mano, ma non gliela restituì, nonostante le sue suppliche disperate, così fu costretta ad accompagnarlo alla sua fattoria.
L'uomo la tenne con sé per molti anni come sua moglie, e lei gli diede diversi figli; ma lui doveva sempre assicurarsi che lei non avesse accesso alla sua pelle. La teneva chiusa in un forziere di cui solo lui aveva la chiave, una chiave che portava sempre con sé, appesa a una catena alla cintura.
Un giorno, mentre era in mare a pescare con i suoi compagni, si rese conto di aver lasciato la chiave a casa. Annunciò ai compagni: "Oggi perderò mia moglie!" – e spiegò cosa era successo. Gli uomini ritirarono le reti e le lenze e remavano verso la riva il più velocemente possibile, ma quando arrivarono alla fattoria, trovarono i bambini tutti soli e la madre scomparsa. Il padre sapeva che non sarebbe tornata, poiché aveva spento il fuoco e messo via tutti i coltelli, in modo che i piccoli non si facessero male dopo la sua partenza.
Infatti, una volta raggiunta la riva, la donna aveva indossato la sua pelle di foca e si era tuffata in acqua, dove un grosso foca maschio, che l'aveva amata per tutti quegli anni e che la stava ancora aspettando, le si avvicinò. Quando i suoi figli, quelli avuti con l'uomo di Mikladalur, più tardi scesero in spiaggia, una foca emergeva dall'acqua e guardava verso la terra; la gente naturalmente credeva che fosse la loro madre. E così passarono gli anni.
Un giorno, gli uomini di Mikladalur pianificarono di andare a caccia di foche in una delle grotte lungo la costa. La notte prima della caccia, la moglie foca apparve in sogno al marito e gli disse che se fosse andato nella grotta a caccia di foche, avrebbe dovuto fare attenzione a non uccidere il grande foca maschio che avrebbe trovato all'ingresso, perché quello era suo marito. Non avrebbe dovuto neppure ferire i due piccoli cuccioli di foca nel fondo della grotta, perché erano i suoi due giovani figli, e gli descrisse le loro pelli in modo che li potesse riconoscere. Ma il contadino non prestò attenzione al messaggio del sogno. Si unì agli altri nella caccia e uccisero tutte le foche che trovarono. Quando tornarono a casa, il bottino fu diviso e il contadino ricevette come sua parte il grande foca maschio e le zampe anteriori e posteriori dei due cuccioli.
La sera, quando la testa del grande foca e le membra dei piccoli furono cucinate per cena, ci fu un grande boato nella stanza del fumo, e la donna foca apparve sotto forma di un terribile troll; annusò il cibo nelle ciotole e lanciò la maledizione: "Qui giace la testa di mio marito con le sue larghe narici, la mano di Hárek e il piede di Fredrik! Ora ci sarà vendetta, vendetta sugli uomini di Mikladalur, e alcuni moriranno in mare e altri cadranno dalle cime delle montagne, finché non ci saranno abbastanza morti da poter unire le mani tutto intorno all'isola di Kalsoy!"
Pronunciate queste parole, scomparve con un grande boato di tuono e non fu mai più vista. Ma ancora oggi, purtroppo, accade di tanto in tanto che gli uomini del villaggio di Mikladalur annegano in mare o cadono dalle scogliere; si teme quindi che il numero delle vittime non sia ancora sufficiente affinché tutti i morti possano unire le mani intorno all'intero perimetro dell'isola di Kalsoy.
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L’unica immagine che ha rispecchiato il mio sentire
è il nero,
il buio di questo inutile dolore.
La guerra ci colpisce come uno schiaffo per la vicinanza fisica, per la contiguità.
Per questo il primo pensiero, urgente e doloroso, va alle Donne .
Tante donne, che ci raggiungono per il loro dolore, per la loro forza, in fuga, resistenti, combattenti che siano.
Le donne a cui si affida la fuga per a cura dei piccoli, figli loro o altrui, degli anziani, della sopravvivenza.
Le donne che vogliono resistere, fare la differenza, anche se questo significa abbracciare un mitra, tirare una molotov, arruolarsi.
Le donne che nascono, come la piccola Mia, partorita nel tunnel della metropolitana, diventato bunker.
Le donne, ragazze, bimbe che muoiono.
Le donne che brillano per la loro assenza ai tavoli dove si negozia, dove si decide.
Non ci sono donne laddove si decide di guerra, di bombardamenti, di confini, di misure d’emergenza, ma che sono sempre presenti dove la guerra si subisce.
Le donne che prendono posizione, netta definitiva, anche rinunciando ad un pezzo della loro storia.
Mi attraversano le parole che cercano di descrivere, di fermare in un’unica forma ciò che vedo, che leggo, che sento. Che tengo, trattengo dentro di me, perché niente di questa immane, dolorosa forza vada perso: le lacrime, la forza, il dolore, il sorriso, lo sgomento, la determinazione, la paura, l’amore, la salvezza, la sconfitta, il sovvertimento di ogni sicurezza, l’annientamento, la perdita di futuro, la fame, a sete, la lotta, la resistenza.
Lo stupro.
Lo stupro, ancora e ancora. Non è in questa guerra. E’ la guerra per le donne. Sempre.
Ancora oggi, nelle guerre (si perché “conflitti”- “operazioni speciali” sono termini troppo edulcoranti, che lasciamo agli infingardi) ci sono uomini che vedono nel corpo delle donne un terreno di conquista, sul quale sfogare la radice della violenza e del modo di essere e sentirsi uomo.
Ed è tremendamente amaro il constatare che il corpo delle donne, di tutte le donne, è ancora considerato semplicemente una cosa di cui appropriarsi.
Non ha a che fare con la fame di energia, i territori da conquistare, i confini da ridisegnare: sono i confini della donna ad essere violati
E lo stupro di guerra ne è la forma più schifosa, come se nello stupro ci fosse una rivincita bestiale, un trofeo, una testa mozzata da appendere alla lancia.
Lo stupro e tutte le forme di violenza sessuale vengono usati come armi di guerra per sopraffare, annientare fisicamente e psicologicamente le donne e le ragazze. Sempre. Centinaia di loro , di NOI, sono sottoposte a trattamenti brutali allo scopo di degradarle e privarle della loro umanità. La gravità e la dimensione di questi reati sessuali sono spaventose, al punto da costituire crimini di guerra.
Ho ancora negli occhi il viso di una giovane che ho incontrato in un campo profughi durante la guerra. Non si può mettere su un foglio tutto l’ orrore che stava dietro quello sguardo pulito, profondamente disfatto e senza lacrime.
Ma nessuna di noi che l’ha incontrata ha il diritto di accantonarlo in un angolo buio dei ricordi difficili.
Il suo pianto silenzioso deve fare rumore attraverso di noi.
-Anna Maria Romano
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PENSA
Ci sono stati uomini che hanno scritto pagine Appunti di una vita dal valore inestimabile Insostituibili, perché hanno denunciato Il più corrotto dei sistemi, troppo spesso ignorato Uomini o angeli, mandati sulla terra Per combattere una guerra di faide e di famiglie Sparse come tante biglie su un isola di sangue Che fra tante meraviglie, fra limoni e fra conchiglie Massacra figli e figlie di una generazione Costretta a non guardare, a parlare a bassa voce A spegnere la luce, a commentare in pace Ogni pallottola nell'aria, ogni cadavere in un fosso
Ci sono stati uomini che, passo dopo passo Hanno lasciato un segno, con coraggio e con impegno Con dedizione, contro un'istituzione organizzata Cosa Nostra, cosa vostra, cos'è vostro? È nostra la libertà di dire Che gli occhi sono fatti per guardare La bocca per parlare, le orecchie ascoltano Non solo musica, non solo musica La testa si gira e aggiusta la mira, ragiona A volte condanna a volte perdona, semplicemente
Pensa, prima di sparare Pensa, prima di dire e di giudicare prova a pensare Pensa che puoi decidere tu Resta un attimo soltanto, un attimo di più Con la testa fra le mani
Ci sono stati uomini che sono morti giovani Ma consapevoli che le loro idee sarebbero rimaste nei secoli Come parole iperbole, intatte e reali come piccoli miracoli Idee di uguaglianza, idee di educazione Contro ogni uomo che eserciti oppressione Contro ogni suo simile, contro chi è più debole Contro chi sotterra la coscienza nel cemento
Pensa, prima di sparare Pensa, prima di dire e di giudicare prova a pensare Pensa che puoi decidere tu Resta un attimo soltanto, un attimo di più Con la testa fra le mani
Ci sono stati uomini che hanno continuato Nonostante intorno fosse tutto bruciato Perché in fondo questa vita non ha significato Se hai paura di una bomba o di un fucile puntato Gli uomini passano e passa una canzone Ma nessuno potrà fermare mai la convinzione Che la giustizia no, non è solo un'illusione
Pensa, prima di sparare Pensa, prima di dire e di giudicare prova a pensare Pensa che puoi decidere tu Resta un attimo soltanto, un attimo di più Con la testa fra le mani Pensa Pensa che puoi decidere tu Resta un attimo soltanto, un attimo di più Con la testa fra le mani
- Fabrizio Moro, Pensa
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Conoscete la storia del "tempo che passa", vero?
Già. L'avrete sentito dire a tantissime persone, anche voi l'avrete detto molte volte.
Il tempo passa, anzi scorre fra le nostre dita e spesso non ce ne accorgiamo. Impegnati a vivere gli attimi della vita che, se sommati, formano il tempo.
Vivere, già... bisogna avere anche una buona dose di fortuna per vivere; diversamente si sopravvive.
"Il tempo passa" e lo sappiamo tutti, ma arrivano dei momenti nella vita in cui effettivamente ce ne accorgiamo. Ci rendiamo conto che il tempo è passato, come se tutto d'un tratto ci svegliassimo da un torpore. Come se ci fossimo assopiti sul treno, durante un viaggio, svegliandoci di soprassalto al sentire un voce gracchiante da un altoparlante di una stazione.
In questi giorni intensi ho avuto delle concrete prese di coscienza del tempo che passa.
Figli. Questo mese di settembre sono riprese le scuole, ho visto i ragazzi per le vie della città con i loro zainetti e cartellette avviarsi in lunghe file verso le proprie scuole. Ho visto genitori accompagnare i bambini con i loro piccoli zainetti verso le scuole dell'infanzia o di primo grado.
Così mentre li osservavo ho pensato ai miei figli. All'autonomia che hanno i ragazzi universitari.
Non hanno più bisogno di me, dei passaggi o dei trasporti. Dei colloqui con i docenti e delle presenze nello studio.
Santo cielo, sono uomini che si organizzano e hanno appuntamenti di studio e corsi, e lezioni.
Di pranzi o cene con gli amici, di viaggi nel fine settimana e di discussioni e pensieri. Hanno sempre fretta, come se avessero un cronometro messo nel cervello.
Vorrei dire ogni tanto a ognuno di loro: "Riposati"; poi penso a quando li esortavo a studiare e non "perdere tempo".
Ma il tempo non si perde, esso scorre. Sta a noi decidere se viverlo appieno o lasciarlo scivolare inerti.
Madre. Che la tua ragione sta sfumando, non averne a male se ti ho portato in un posto dove ti aiuteranno. Spero di riportarti presto a casa, per vederti ancora tra i tuoi ricordi e le cose a te care. Sistemo casa tua e vedo le foto in bianco e nero o con quei colori anni ottanta. Quante volte le ho viste, ma con la tua presenza andavano in secondo piano. Ora nel silenzio dell'assenza pesano come pietre miliari, segnando la strada del tempo passato.
Il tempo passa. Venticinque anni sono passati dalla sepoltura di mio padre. In questi giorni è stato riesumato.
Mio padre, non ha mai mollato nella vita. Testa bassa e lavoro, fino allo stremo.
Solo un cancro lo ha sconfitto prematuramente.
Così ho assistito alla sua esumazione, pensavano di trovare ossa i necrofori. Ma lo avevano assicurato per la loro esperienza nel settore: "Deve sapere che dopo venticinque anni saranno solo ossa"; mi hanno detto.
Mio padre invece non si è consumato, ha resistito.
Ho avuto pietà per quei resti umani, ho avuto pietà per me che sono restato umano.
Ho sussurrato "Scusa", a quei resti. Perché di scuse ne avevo tante da porgere a mio padre, usando la mia bocca. Perché di scuse me ne doveva anche lui, con la sua bocca.
Così in questi giorni mi sono svegliato a una stazione, a bordo di un vagone, per via di una voce gracchiante dal profondo della mia anima. Sono risvegli duri, che ti lasciano un po' stordito, con quel malessere diffuso.
Il tempo passa e lo sa solo il cielo di quanto ne ho sprecato.
Mi domando se riuscirò, per quanto mi rimarrà di vivere, di sentirmi completato. Ma poi penso al fatto che, ognuno di noi, ha più tempo che vita.
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Dicono che i gatti siano piccoli monaci meditativi, capaci di portare l’armonia in casa. Secondo l’ordine buddista del Fo Guang Shan, ad esempio, sono come persone che hanno già raggiunto l’illuminazione.
Non si lasciano trasportare dall’ego e un particolare curioso di questi animali, secondo il buddismo, è che hanno imparato a comprendere gli uomini da tempi ormai remoti, al contrario, le persone ancora non imparano a comprendere i gatti.
La mente è meravigliosa
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regali di Natale
Venerdì c'è stata la cena aziendale, come vi ho sempre detto siamo davvero tanti così viene organizzata in base ai settori, il mio essendo piccolo è stato incorporato ad altri, altrettanto piccoli.
Alcuni colleghi non li conoscevo neanche giusto di vista.
Buona cena, cibo e diversi brindisi.
Per fortuna questa volta il ristorante era vicino a casa, così ho potuto bere un pochino di più e rientrare a casa a piedi.
Durante la cena faccio amicizia con un collega, anche perchè ci siamo fatti compagnia per poter fumare fuori.
A queste cene non parliamo mai di lavoro, è proprio escluso cos' non so neanche di cosa si occupa.
Facciamo per uscire e farci gli auguri e mi chiede dove avevo la macchina, io spiego che abito vicino e indico la strada, e lui Sai ho la macchina proprio li, ci incamminiamo e mi dice Ti va di bere qualcosa assieme ? Sapevo già dove voleva parare e perchè no anche a me andava bene.
Con naturalezza chiedo se vuole salire da me spiegando che non potevo fare tardi per impegni che avevo l'indomani.
Ha sorriso siamo saliti e........ amo gli uomini in camicia .... non dico altro lascio a voi l'immaginazione.
Questa mattina, la lettera dell ufficio del personale
Con piacere ti comunichiamo che dal 1 gennaio avrai uno scatto di livello....
HO FATTO BINGO SENZA SAPERLO
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In Italia, negli anni migliaia di madri, nonne, zie hanno cresciuto uomini totalmente disadattati incapaci di avere una relazione sana con se stessi, con gli altri, con le donne in particolare: a pagare le conseguenze di questa realtà fatta da una grande presenza di maschi tossici sono le donne più intelligenti, non di certo le donne "che si accontentano" di rimanere prive di dignità al lazzo di uomo che le mantiene e le opprime nel contempo.
L'Irresponsabilità di alcune è l'inferno di altre.
Io non devo fare appello a supposizioni riguardo alla profonda responsabilità materna della massiccia presenza di maschi tossici nella società italiana: è qualcosa che vivo e vedo ogni giorno nelle vite delle donne molestate; so per certo che c'è un solo tipo di madre che riesce a crescere uomini sani: quella che ha voluto quel figlio "per amore" e non per uso e costume, non perché "tutti fanno figli allora li faccio anche io"; non perché l'album di famiglia è più bello se c'è anche un figlio.
" Maschio tossico " significa anche "famiglia di origine disfunzionale": la relazione non è casuale, ma diretta; pertanto quando scrivo qui o in altri contesti online, io non mi rivolgo solo alle donne che hanno bisogno di trovare conforto, comprensione e motivi validi per uscire, subito!, e non domani!, dalle relazioni sbagliate che le fanno soffrire, ma anche e soprattutto alle donne che hanno cresciuto e stanno crescendo uomini tossici: alle DIRETTE Responsabili di questo macello sociale.
Nel nostro Paese esiste una larga presenza di madri tossiche che crescono i figli maschi non come figli ma come compagni, come ulteriori mariti, instillando fin da piccoli la "responsabilità irrinunciabile" di doverle accudire una volta diventate anziane: è in questa dinamica femminile deviante che si sviluppano i maschi tossici - uomini che "non hanno il cordone ombelicale tagliato", come si usa dire nel linguaggio comune, che pretendono una simbiosi con le compagne sulla stessa linea malata.
A qualsiasi amica o sconosciuta che mi parli del suo rapporto con un "lui" senza ancora aver conosciuto i suoi genitori, chiedo sempre la stessa cosa: "E' legato alla madre? Ti parla spesso di lei?"; quando è un "si" non ho dubbi e replico: "Taglia la corda! Non andare oltre!"; quello che sembra un uomo gentile (tattica preferita illusoria) non lo è affatto: è un uomo tossico che non è abituato causa madre tossica al fatto che una donna gli dica "no" e non va atteso mai che ce lo dimostri.
Noi non viviamo in un "Paese per donne" e i principi azzurri non esistono in Italia; qui c'è solo una realtà patriarcale che si trascina da secoli in un connubio anomalo fra Chiesa Cattolica (istituzione fortemente misogina e maschilista) e Stato Italiano patriarcale nelle norme stesse costituzionali, pertanto il maggior lavoro di tutela per se stessa, di prevenzione da abusi di ogni sorta, lo deve fare ogni donna mettendo i giusti paletti nella sua vita senza alcun indugio anche per le figlie.
Nel nostro Paese, ogni tragedia si trasforma in business, pertanto anche il problema femminicidi ha attirato gli interessi di chi vuole guadagnarci economicamente (famiglie comprese colpite da femminicidi): se siete donne in difficoltà o anche solo persone generose, non prendete in considerazione in alcun modo Onlus o associazioni di altro genere che chiedano donazioni o si rivolgano allo Stato/Regioni per ottenere fondi, perché stanno solo lucrando sui diritti delle donne e nulla di più.
La Regione Veneto che "sponsorizza" il business sul problema femminicidi in Italia messo in piedi dalla famiglia Cecchettin è la stessa Regione che ha permesso all'ex assessore all'Istruzione Elena Donazzan di molestare pubblicamente e indurre al suicidio pubblicamente un insegnante (Cloe Bianco) senza muovere un dito!; nemmeno gli esponenti del PD in Regione Veneto mossero un dito a riguardo.
State alla larga da questa TRUFFA.
#Italia#madri#nonne#zie#uomini totalmente disadattati#uomini#relazioni sane#conseguenze#Realtà#grande presenza di uomini tossici#maschi tossici#donne intelligenti#donne che si accontentano#opprimere#irresponsabilità#inferno#maternità#famiglia disfunzionale#madri tossiche
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Oggi la si chiama "resilienza", una volta la si chiamava "forza d´animo", Platone la nominava "tymoidés" e indicava la sua sede nel cuore.
Il cuore è l´espressione metaforica del "sentimento", una parola dove ancora risuona la platonica "tymoidés".Il sentimento non è languore, non è malcelata malinconia, non è struggimento dell´anima, non è sconsolato abbandono. Il sentimento è forza. Quella forza che riconosciamo al fondo di ogni decisione quando, dopo aver analizzato tutti i pro e i contro che le argomentazioni razionali dispiegano, si decide, perché in una scelta piuttosto che in un´altra ci si sente a casa. E guai a imboccare, per convenienza o per debolezza, una scelta che non è la nostra, guai a essere stranieri nella propria vita.
La forza d´animo, che è poi la forza del sentimento, ci difende da questa estraneità, ci fa sentire a casa, presso di noi. Qui è la salute. Una sorta di coincidenza di noi con noi stessi, che ci evita tutti quegli "altrove" della vita che non ci appartengono e che spesso imbocchiamo perché altri, da cui pensiamo dipenda la nostra vita, semplicemente ce lo chiedono, e noi non sappiamo dire di no. Il bisogno di essere accettati e il desiderio di essere amati ci fanno percorrere strade che il nostro sentimento ci fa avvertire come non nostre, e così l´animo si indebolisce e si ripiega su se stesso nell´inutile fatica di compiacere agli altri. Alla fine l´anima si ammala, perché la malattia, lo sappiamo tutti, è una metafora, la metafora della devianza dal sentiero della nostra vita. Bisogna essere se stessi, assolutamente se stessi.
Questa è la forza d´animo. Ma per essere se stessi occorre accogliere a braccia aperte la nostra ombra. Che è poi ciò che di noi stessi rifiutiamo.
Quella parte oscura che, quando qualcuno ce la sfiora, ci sentiamo "punti nel vivo". Perché l´ombra è viva e vuole essere accolta. Anche un quadro senza ombra non ci dà le sue figure. Accolta, l´ombra cede la sua forza.
Cessa la guerra tra noi e noi stessi. Siamo in grado di dire a noi stessi:
"Ebbene sì, sono anche questo". Ed è la pace così raggiunta a darci la forza d´animo e la capacità di guardare in faccia il dolore senza illusorie vie di fuga.
"Tutto quello che non mi fa morire, mi rende più forte", scrive Nietzsche.
Ma allora bisogna attraversare e non evitare le terre seminate di dolore.
Quello proprio, quello altrui. Perché il dolore appartiene alla vita allo stesso titolo della felicità. Non il dolore come caparra della vita eterna, ma il dolore come inevitabile contrappunto della vita, come fatica del quotidiano, come oscurità dello sguardo che non vede via d´uscita. Eppure la cerca, perché sa che il buio della notte non è l´unico colore del cielo.
Di forza d´animo abbiamo bisogno soprattutto oggi perché non siamo più sostenuti da una tradizione, perché si sono rotte le tavole dove erano incise le leggi della morale, perché si è smarrito il senso dell´esistenza e incerta s´è fatta la sua direzione. La storia non racconta più la vita dei nostri padri, e la parola che rivolgiamo ai figli è insicura e incerta.
Gli sguardi si incontrano solo per evitarsi. Siamo persino riconoscenti al ritmo del lavoro settimanale che giustifica l´abituale lontananza dalla nostra vita. E a quel lavoro ci attacchiamo come naufraghi che attendono qualcosa o qualcuno che li traghetti, perché il mare è minaccioso, anche quando il suo aspetto è trasognato.
Passiamo così il tempo della nostra vita, senza sentimento, senza nobiltà, confusi tra i piccoli uomini a cui basta, secondo Nietzsche: "Una vogliuzza per il giorno, una vogliuzza per la notte, fermo restando la salute".
Perché ormai della vita abbiamo solo una concezione quantitativa. Vivere a lungo è diventato il nostro ideale. Il "come" non ci riguarda più, perché il contatto con noi stessi s´è perso nel rumore del mondo.
Passioncelle generiche sfiorano le nostre anime assopite. Ma non le risvegliano. Non hanno forza. Sono state acquietate da quell´ideale di vita che viene spacciato per equilibrio, buona educazione. E invece è sonno, dimenticanza di sé. Nulla del coraggio del navigante che, lasciata la terra che era solo terra di protezione, non si lascia prendere dalla nostalgia, ma incoraggia il suo cuore. Il cuore non come languido contraltare della ragione, ma come sua forza, sua animazione, affinché le idee divengano attive e facciano storia. Una storia più soddisfacente.
Umberto Galimberti
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Ecco, finalmente sei mia
Sei docile e remissiva, sempre pronta all'obbedienza. Devota e desiderosa di sacrificarti per il mio piacere. Spoglia dei tuoi vestiti sei bellissima. Quando poi metti a nudo anche la tua anima per me, solo per me, sei ancora più attraente. La perfetta schiava. Insospettabile per tutto il resto del mondo. Sei una madre tenera ma decisa. Una donna intelligente e combattiva. La persona professionalmente più cazzuta che io conosca. E malgrado due gravidanze avute in giovane età, hai un corpo da urlo. Solo guardarti mi scombussola le sinapsi. Sul lavoro e nei rapporti con gli altri non ti fai mettere i piedi in testa da nessuno. Hai dovuto tirare fuori gli artigli e sviluppare gli anticorpi adatti, dopo che tuo marito se n’è scappato in sudamerica un anno fa. Vigliacco: questo è fare veramente male a una donna. Codardo, lui non è stato alla tua altezza.
Per amare un fenomeno del cuore come te sarebbe bastato solo… esserci; il resto sarebbe venuto di conseguenza. Bisogna sempre fidarsi della vita. Che non sbaglia mai. Bastardo al quadrato: ne dovrà rendere conto a quei due angeli dei tuoi figli piccoli quando diventeranno uomini. Perché quel vero campione t'ha lasciata sola con quei due cuccioli da nutrire: di cibo, di puro amore e di tutto ciò che serve a crescerli. Dopo poco hai inoltrato opportuna richiesta di separazione per colpa. Arriverà presto. E personalmente non vedo l'ora. Io ero solo il tuo vicino cortese, quello che ti guardava con ammirazione e rispetto. Non visto, t’ho sempre guardato attentamente le gambe e il culo, però. E il tuo seno m’ha sempre fatto sognare. Comunque, t’ho aiutata come ho potuto, anche con le pratiche per la richiesta di separazione da quel verme.
Perché quando qualcuno ha bisogno, tu lo aiuti. Punto. Tu poi sei veramente speciale, per me. Ma l’avrei capito solo dopo. E ti ho anche sopportata, in questi mesi: infatti hai il tuo bel caratterino, i tuoi gusti e le tue sacrosante esigenze. Infatti è proprio nel corso di uno dei nostri frequenti e aspri confronti che ho incidentalmente scoperto il tuo meraviglioso e insolito mondo emotivo nascosto. Avevamo avuto una discussione, non ricordo nemmeno più per quale motivo; i tuoi due figli erano uno all’asilo e l’altro a scuola e sia tu che io avevamo la mattinata libera dal lavoro. Verso le dieci sei venuta a casa mia per qualcosa… aspetta… ah, si: era a riguardo del posto macchina, perché mi allargo sempre un po’ troppo, mettendoci anche la moto. Cosa che ti impedisce di aprire completamente la porta del tuo ripostiglio.
Qualcosa non mi quadrava: eri truccatissima e vestita per non fare prigionieri. Uno spettacolo e un miracolo di seduzione. Non t’avrebbe resistito un santo. Eri arrabbiata in modo esagerato, per una stupidaggine del genere. C’era un certo qual fuoco, in te. D’un tratto infatti hai alzato la voce e a sorpresa m’hai dato un bel pugno sul petto; stavi per darmi anche uno schiaffo e io t’ho bloccato il braccio, mentre con l’altra mano t’ho preso i capelli alla nuca, ma solo per farti sollevare il mento e guardarti fissa negli occhi. Volevo solo farti capire che dovevi calmarti: eccheccazzo! Tu m’hai guardato negli occhi per un secondo. Hai iniziato a piangere e poi ti sei messa in ginocchio davanti a me, ti sei afflosciata come una marionetta e a capo basso mi hai sussurrato: “adesso comandami” con la voce più dolce, tenera e adorabile del mondo.
Io non capivo: ero interdetto e stupito! Ho chiesto subito scusa della mia rudezza imperdonabile e t'ho pregata di alzarti. Sono sempre stato gentile, con una donna. Ma ho dovuto capire presto che con te tutto sarebbe stato molto diverso. E nuovissimo, per me che non ero culturalmente preparato, a gestire una gemma d'amore puro e decisamente particolare come te nella mia vita. Tu restando in ginocchio hai continuato, con voce flautata: “Non capisci. Non devi scusarti. Da adesso, anzi: dal mio passato, eterno e per sempre tu sei il mio padrone e devi ordinami di servirti. Per favore, onora la mia supplica. Ne ho bisogno per continuare a vivere. Adesso hai capito, o mio signore?” Quindi sconvolto ho sollevato il tuo mento. Ho guardato i tuoi occhi: due diamanti purissimi di passione.
T'ho aiutata ad alzarti, t’ho baciata per la prima volta ma ero molto sorpreso, perché mi sono reso conto che in qualche modo già conoscevo le tue labbra, quel tuo sapore. Ho avuto un dejà vu e t’ho stretta forte a me. Ho provato una sensazione come di “casa.” Quel fuoco era quindi un incendio d’amore che doveva assolutamente sfogare. E tu avevi scelto me. Da tempo, benedetta donna! E io stupido a non capirlo. Da quel primo momento, almeno una volta a settimana vediamo di far capitare la mezza giornata libera insieme. Preferibilmente di mattina, coi tuoi figli a scuola e all’asilo. So che posso fare della tua mente e del tuo corpo ciò che voglio. E quindi ti lego al guinzaglio, ti faccio camminare a quattro zampe, ti umilio nella tua dignità di donna. È questo che vuoi veramente, da me.
Me lo confessi ogni volta che facciamo l'amore. E ogni volta vuoi che spinga il gioco un po’ più a fondo. A volte non resisti e nel cuore della notte, mentre i tuoi figli dormono, vieni a casa mia per una mezz’ora o vengo io da te; stesso pianerottolo. Mi chiedi anche in quei rapidi incontri di darti piacere facendoti soffrire. Non manco mai di onorarti. Vuoi da me quel tipo di amore speciale. Che può essere molto coinvolgente. Sei un cucciolo smarrito. Vuoi essere dominata, comandata e quindi desideri provare tutte le durezze che posso infliggerti; null’altro ti soddisfa. Man mano, nella nostra sacra intimità sessuale, ho imparato ogni giorno di più a comandarti, a essere severo, per il tuo piacere. Sto evolvendomi assieme a te. Quando siamo da soli e sbagli a eseguire i piccoli compiti che ti ordino di svolgere - e lo fai apposta - ti infilo un plug o due e spesso ti lego anche, finché non chiederai scusa.
Anche se, quando vedo le tue lacrime, mi viene solo una gran voglia di coccolarti e basta. Capisco però che proprio quando piangi è quello il momento in cui sublimi il tuo amore per me e godi. Sei fatta così e non potrei adorarti di più. Ma comunque ti curo come un fiore. Non deve mancarti nulla. Deve essere solo un gioco bellissimo, quello tra noi due. Molto realistico, però tu sei la mia rosa preziosa. T’ho anche preso un anello, pegno d’amore. Lo indossi di continuo, non lo togli neppure sotto la doccia. Mi hai confessato che è nella tua natura molto peculiare e rara desiderare il padrone che ti tenga sulla diritta via, che adori essere punita e per questo dopo l’amore mi ringrazi sempre. Vuoi soffrire per me, piccola grande donna: servirmi, darmi piacere. Posso anche strizzarti i capezzoli: e più li stringo, più sei felice.
Mi dai il potere totale sul tuo corpo. Ti adoro. Vorrei sposarti, ma temo che nella routine matrimoniale perderei la mia meravigliosa schiava, quella che quando si manifesta è uno spettacolo di piacere e lussuria per entrambi. Tu magari a questa cosa del matrimonio pensaci, mentre adesso ti schiaffeggio e faccio diventare le tue stupende natiche di un caldo e bellissimo rosso carminio. Ecco: fra un po’ ti ordinerò di prendermi in bocca e farmi godere come sai. Obbedirai ossequiosa e mansueta. Intanto io giocherò coi tuoi seni. Li accarezzerò, manipolerò dolcemente. Ormai mi hai abituato e mi piace da impazzire, torturarti i capezzoli. Tu gongoli quando lo faccio. Ti senti lusingata e felice, se ti faccio capire in questo modo che adoro il tuo corpo. Quando starò per venire, ti chiederò di strizzarmi gentilmente i testicoli.
Eseguirai alla lettera. E ti disseterò abbondantemente. Finito, aspetterai che ti permetta di togliere il mio uccello dalla bocca. Quindi, t’è già noto, dovrai predisporti sul letto a pancia sotto. Muta e scrupolosa, avrai anche cosparso il tuo ano di vaselina. Già sai cosa ti aspetta e metterai da sola la gag ball in bocca. Io te la chiuderò dietro al collo. E te lo bacerò con trasporto, ringraziando segretamente Dio. Rito religioso, questo. Aspetterai, gambe ben allargate e braccia aperte. Le tue viscere mi riconosceranno anche stasera. Accoglierai la mia crema di maschio. Bravissima, la mia schiava. Poi però sai anche che stasera vorrò vederti bella come una dea e che ti porterò a cena fuori, rigorosamente coi tuoi figli. Che adoro. Almeno quanto adoro avere te, solo te, sotto di me. Sono entrambi miei privilegi. Tra noi due, il vero schiavo d’amore sono io.
RDA
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Non c'è persona libera, nessuno è libero. La libertà finisce poche ore dopo la nascita, quando ci impongono un nome, ci innestano in una famiglia. Da allora non possiamo più sfuggire, svincolarci, essere, insomma, veramente liberi. Il grande palazzo dell'anagrafe è la nostra prigione. Siamo tutti schiacciati in quei libri, spiaccicati, franti; anche le donne giovani, anche i bambini piccoli. Il nostro cammino è seguito, registrato, controllato. Ovunque tu vada, gli uomini che scrivono in quei libri ti rincorrono.
Alba de Céspedes, "Dalla parte di lei", 1949, pag 175
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