Tumgik
#stupid creatura/pos
piefullofspiders · 3 months
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garn47 sona
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olstansoul · 4 years
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Sacrifice, Chapter 25
Pairing: Wanda Maximoff & James Bucky Barnes
Le luci delle sirene della polizia riuscì a vederle da lontano, il cancello principale era aperto e lui parcheggiò di fretta e perfino male, tanto da ottenere una multa ma in quel momento poco gli importava. Scese dalla macchina, sbattendo la portiera mentre Wanda era ancora dentro combattendo con la cintura di sicurezza che aveva indossato prima, per colpa della corsa che James aveva fatto. Lui era appena arrivato sull'uscio della porta, quando iniziò a vedere della roba sparsa già per l'ingresso della casa.
Dei cocci di vetro sparsi per terra e alcune piume di cuscini che continuavano a volare a mezz'aria. Proseguì fino ad arrivare nel salotto, si girò verso la sala da pranzo e solo lì potè vedere sua mamma seduta su una delle sedie con un'infermiera che la stava medicando.
"Mamma..."
"James"
Lui la raggiunse e l'abbracciò facendo attenzione alla fascia che aveva attorno al braccio sinistro. Si abbracciarono e restarono fermi in quella posizione per alcuni minuti, fin quando l'infermiera che era vicino a sua madre poco prima gli disse di staccarsi. E nonostante lui non lo volesse fare decise di staccarsi lo stesso. Se avrebbe fatto il contrario avrebbe iniziato una questione che non sarebbe mai finita.
"Avevi ragione"
"Avevo ragione su cosa?"
"Su quella ragazza, non era come sembrava..."
Lui fece un respiro profondo, stava per mangiarsi le mani a morsi. Sua madre non l'aveva creduto ma non aveva nessuna intenzione a prendersela con lei. Sua madre era solo una vittima, colui che avrebbe dovuto pagare che ciò che aveva fatto, era la stessa persona che ora, in questo momento, in casa non c'era.
"Beh, allora hai scoperto che ti tradiva e tu non mi hai creduto dall'inizio..."
"Vorresti prendertela con me che sono tua madre?"
James si zittì un secondo, rendendosi che stava facendo esattamente l'opposto che si era promesso di non fare. Ora quello che c'era da fare era rassicurarla, era farla sentire meglio e se suo padre non c'era riuscito allora il compito passava a lui. E lo avrebbe portato a termine perfettamente.
"No, non ho nessuna voglia di prendermela con te...ma ho bisogno di sapere perché sono dovuto ritornare a casa di fretta e furia e la ritrovo quasi distrutta. Poi ci sei tu con dei lividi e...mi fai pensare solo al peggio. Allora quello che mi avevi detto l'altra sera non è servito a niente? Dove cazzo è finito l'amore fra voi due? Dimmelo!"
"È complicato James"
"L'avete reso voi complicato, tu e papà. O preferisci che lo chiami quel brutto stronzo che ti ha messo le mani addosso? Lo avete ridotto così a suon di bugie, con cui riempite me e Rebecca dalla mattina alla sera. Lascia che ti dica una cosa...puoi riempire di bugie Rebecca quanto vuoi, ma non voglio che quando si faccia più grande abbia paura dell'altro sesso perché suo padre riempiva di botte sua madre. E non puoi più farlo con me, ho diciotto anni e se volete che cresca, non lo farò come credeva lui, in un'azienda. In un'azienda dove mi sarei dovuto subire quelle stupide smancerie di quella puttana..."
"James..."
"No, niente James mamma. Io ho il dovere, d'ora in avanti di proteggere te e Rebecca cosa che tuo marito non ha saputo fare perché troppo occupato a portarsi a letto minorenni e prendere a botte sua moglie"
Quando lui finì il suo grande sfogo, entrambi sentirono alcuni passi provenire dal piano di sopra e un vociare abbastanza alto da fuori la porta di casa sua. Era cosi concentrato a far uscire la sua rabbia, che aveva dentro di sé da tanto tempo, che non si era accorto che non era solo in casa. E che aveva lasciato qualcuno fuori di essa.
"James?"una vocina da sopra i gradini delle scale di casa sua lo fece girare e poi ritornò con la sua attenzione sull'uscio della porta, dove c'era Wanda che si dimenava ad entrare nonostante i poliziotti continuavano a fermarla.
"Lei è con me...fatela entrare"disse lui sovrastando le voci dei poliziotti.
Wanda mosse i primi passi dentro casa sua. Si avvicinò a loro, stando lontano di poco da James e quando vide l'immagine di sua madre la salutò con un cenno della mano.
Winnifred sorrise leggermente, invece James guardava la scena con un'espressione sconfitta sul viso. Sua sorella continuava a rimanere in mezzo alle scale e subito dopo rivolse uno sguardo di supplica verso Wanda, in quel momento per lui era diventata l'unica speranza. Voleva veramente badare a sua sorella, ma in questo momento aveva bisogno di chiarire la questione con sua madre. Si allontanò con Wanda di poco e le sfiorò il fianco destro con la sua mano sinistra e a quel contatto lei riuscì ancora a sentire quelle strane farfalle nello stomaco.
"Ho bisogno che tu mi faccia un favore..."disse lui guardandola in maniera speranzosa e con quelle pozze profonde blu.
Lei fece prima un respiro profondo, abbassò lo sguardo e poi lo guardò una seconda volta sapendo che prima o poi, più poi che prima, avrebbe perso la testa per quegli occhi.
"Dimmi..."disse lei a voce bassa, che riusci a sentire solo lui.
"Ho bisogno che tu distragga Rebecca, non voglio che si metta in questo casino a meno che quel cretino non l'abbia già messa...ti prego, non farla scendere per nessun motivo"
"Okay, sarà fatto...poi mi dici cosa è successo"
"Non so se ne sarò in grado"
"Se non vuoi parlarne, va tutto bene non ti costringo..."
"Lo so..."
James vide che Wanda si stava allontanando e stava per salire le scale per poter andare al piano di sopra, lei prese la piccola mano di Rebecca e si diressero insieme nella stanza della piccola. Ma prima che mettessero piede lì dentro James richiamò Wanda e lei si girò una seconda volta.
"Grazie per essere venuta...non so cosa avrei fatto se tu non ci fossi stata"
Wanda non ebbe il coraggio di rispondere a parole figuriamoci a gesti, cosi gli fece un piccolo sorriso. Rimasero lì alcuni secondi fin quando lui si girò verso sua madre e lei seguì Rebecca che non entrò nella sua stanza ma in quella del fratello.
"Perché non in camera tua ma bensì in quella di tuo fratello?"
"Quando i nostri genitori litigano, io li sento spesso. Di solito lui non li ascolta perchè ha sempre le cuffie nelle orecchie e così se io li sento entro in camera sua. Non mi molla fin quando non ho preso sonno con le sue storielle"
"Con le sue storielle? Sapevo che giocava con te e le tue Barbie"
"Come facevi a saperlo? Era un segreto, lui non sa mantenerli"
Wanda rise un po' di fronte alla dolcezza della piccola Rebecca, ma decise di andare a difendere il suo compagno di fisica.
"Sei sicura che sia solo di fisica?"si chiese nella sua mente ma lei non badò a quel pensiero.
"Guarda che non è vero! Tuo fratello è davvero bravo a mantenere i segreti ed è anche un ottimo cavaliere"disse lei ricordando il gesto dell'aprirle la portiera e lei solo con quello sorrise.
"Un cavaliere? Forse intendevi un principe azzurro!"
"Okay, si quello. Un principe azzurro"
A Wanda si scioglieva il cuore al solo pensare che un ragazzo come James fosse il suo principe azzurro. Di solito, nelle storie, il principe salvava la fanciulla dalle grinfie del drago o della strega cattiva. E se fosse stato cosi, lei sarebbe stata la principessa, James il principe e il drago quella brutta cosa che aveva? Le faceva paura persino nominare quella cosa che aveva, se non era paura allora era ribrezzo.
"Ma come ogni principe azzurro che si rispetti, lui ha bisogno della sua principessa"
"Già, hai ragione!"
"Credo che quella principessa debba essere tu"disse la piccola avvolgendosi nelle coperte e tenendo stretto quello che doveva essere un koala di peluche.
"Davvero?"chiese lei.
"Si, vedo mio fratello davvero felice con te...tu sei la sua principessa!"
"Rebecca, per l'età che hai credo che corri troppo"
"Forse è vero, me lo dicono tutti. Ma non negare che non sia vero..."
Okay, una bambina di soli nove anni stava per tirare fuori dalla bocca di Wanda quello che nascondeva da un bel po' di tempo a questa parte, ovvero quello che James poteva essere davvero il principe azzurro.
Ma davvero il suo futuro principe azzurro, davvero uno come James avrebbe avuto tutta la forza di saper affrontare un male del genere, come lo aveva lei? Qui non si trattava più di streghe cattive o di draghi che sputano fuoco, ma della vita vera... E per quanto lei potesse negarlo, la piccola Rebecca aveva ragione. Non aveva intenzione di mentire dinanzi ad una creatura così pura come lei ma certamente non l'avrebbe neanche detto apertamente dinanzi a suo fratello, perché se l'avrebbe fatto sapeva che sarebbe andata a finire male. Fra loro due o solo a lei? Questo non l'avrebbe mai saputo se lei non si sarebbe mai dichiarata, giusto?
"Un po' lo è..."
"Visto? Vedi che avevo ragione?"
"Shh, abbassa la voce! Al piano di sotto tuo fratello e tua madre credono che tu stia dormendo o almeno che tu stia per farlo, quindi non urlare..."
"Va bene, non lo faccio più! Allora raccontami una storia...con un principe e una principessa"
Wanda si arrese e si fece convincere dalla dolcezza della piccola che le fece un gesto di venire da lei e stendersi sul letto di James, dove lei poté sentire molto chiaramente il suo profumo. Lei iniziò a raccontare una storia piena di fantasia ma che si rifaceva molto alla realtà e nel mentre che le sue narici si riempivano ancora una volta del suo profumo, Rebecca aveva già preso sonno e insieme a lei anche Wanda. Nel frattempo, al piano di sotto erano rimasti solamente madre e figlio. Ormai i poliziotti e i paramedici erano andati via e le sirene con le loro luci blu avevano finito di infestare la strada. Ma l'unica cosa infestata in quel momento, era la testa di James. Quelle bugie dei suoi genitori, che credeva avessero distrutto il loro matrimonio, erano solo per proteggere lui, sua sorella e persino sua madre. Ma proprio quest'ultima è stata ferita.
"Che intenzioni hai?"chiese lui dopo essersi passato le mani fra i capelli dalla frustrazione.
"Non lo so..."
"Non dirmi che vuoi fare finta che non sia successo nulla, sai che non funziona così..."
Vedendo che sua madre non gli rispondeva, sì alzò dal divano e andò verso di lei accovaciandosi sulle ginocchia. Restò fermo in quella posizione guardando con occhi supplicanti sua madre.
"Mamma, ti prego rispondimi..."
Alcune lacrime uscirono dalle sue pozze blu e con quelle supplicava sua madre di ragionare e di pensare per lui, per Rebecca ma soprattutto per se stessa.
"Chiederò il divorzio"disse lei spezzando il silenzio che si era creato fra di loro.
Ma che in fondo era presente già da tempo.
Lui alzò la testa appena sentì le parole di sua mamma, rimase scioccato e continuò a guardarla con ancora un po' di incertezza.
"Ne sei sicura?"chiese lui prendendole le mani fra le sue.
"Ho bisogno di liberarmi di lui e la soluzione del divorzio è quella giusta..."
"Per quanto possa esserlo, sai bene che non ci metterai così presto a mandarlo via? E poi ce la farai a mantenerci..."
"James...per ora sono sicura della mia scelta, del resto non mi importa"
"Io voglio solo aiutarti"
"Lo farai James, lo so che ci riuscirai..."
Restarono a guardarsi per alcuni minuti con un espressione dispiaciuta che avevano entrambi sul volto. Sua madre provava a rassicurarlo ma James non riusciva a smettere di far fuoriuscire le sue lacrime.
"Cercherò di essere il meglio solo per te..."
"Tranquillo, non esserlo per me"disse lei sorridendo di poco e quando lui stava per rispondere sua madre parlò una seconda volta.
"Fai in modo che tu sia il meglio per qualcun'altro...ti conviene andare di sopra"
Fece un respiro profondo e si alzò da terra, diede un bacio sulla guancia a sua madre e si allontanò da lei salendo le scale. Appena arrivò di fronte camera sua, aprì la porta e una volta che accese la luce si trovò dinanzi agli occhi la scena più tenera che aveva mai visto. Sua sorella era nel suo letto e avevo stretto fra le sue braccia il pupazzo, che era un unicorno o un koala non cambiava nulla. E dall'altro c'era Wanda, anche lei con già gli occhi chiusi.
Rimase fermo a guardare quella scena e in quel momento pensava a quanto sarebbe stato bello se l'avrebbe vista ogni giorno così. Prese Rebecca e la porto in camera sua, appena la mise sotto le coperte sua sorella si girò sentendo il calore di esse. Lui ritornò indietro in camera sua e stavolta Wanda era girata dal lato del muro, ancora con i suoi vestiti e le sue scarpe addosso. James non badava a quanto fosse scomodo per lei doversi addormentare così ma anche con qualsiasi cosa addosso lui avrebbe voluto che accadesse così ogni volta.
Si stese di fianco a lei dandole le spalle, ma solo dopo si rese conto che così, con lei di fianco, non avrebbe mai preso sonno come si aspettava. Si girò dall'altro lato e lei ancora non si era mossa, lui riusciva solo a vedere la massa di capelli ondulati che coprivano quasi tutto il suo cuscino. Si fece più vicino a lei e con cautela poggiò una mano sul suo fianco.
Lei aprì gli occhi di scatto, si non era vero che stava dormendo. O almeno, era tra veglia e sonno, ma quel minimo contatto la fece svegliare di scatto. La mano di James era ancora ferma lì, senza andare troppo a fondo come se volesse abbracciarla, ma bastò che lei facesse un solo piccolo movimento, ovvero avvicinarsi a lui e subito dopo James l'abbracciò completamente. Lei sapeva perfettamente che non doveva essere lì in quel momento, che sua madre avrebbe urlato fino a farsi sentire in Asia se non sarebbe tornata presto.  Ma d'ora in poi sapeva che avrebbe contato su di lui in tutti in sensi.
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stupid-exaggerate · 5 years
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Okay, proviamoci.
Ho una paura tremenda, ma scrivo lo stesso, perché scrivere aiuta, da la possibilità alla mente di liberarsi di quello che la tormenta, almeno per un po'.
Per cui davvero, proviamoci Giulia, lui non può farti nulla finché tu sei ancora sveglia. Non può farti niente e non ti farà niente, proviamo a crederci... proviamo.
In una delle notti di dicembre, per essere più precisi, il 15 dicembre 2019, io ho sognato una figura che, per come la vedevo, assomigliava al diavolo, a Satana: volto scarlatto, due grandi corna scure ai lati della testa, e molto possente, con due grandi ali nere dietro la sua schiena; in qualche modo però, ero convinta che non poteva essere lui, perché se Dio non scende sulla terra a preoccuparsi di ciò che facciamo, che motivo avrebbe avuto il diavolo per recarsi a casa mia ad occupare di me?
È entrato dalla porta di ingresso, come se fosse un ospite, e mi ha aiutata ad alzarmi dal divano; ci siamo seduti a tavola e io gli ho offerto un bicchiere d'acqua, del cibo, e gli ho medicato una ferita che aveva sull'addome: ho fatto di tutto perché stesse il meglio possibile, mi spiaceva che quella creatura soffrisse.
Ad un certo punto, lui mi ha parlato... e credetemi, o non credetemi, come preferite, quelle parole mi risuonano ancora nella testa, ogni giorno, ogni ora, ogni secondo, perché sembravano talmente reali da provenire da una persona vera, e non da un'immagine idealizzata dalla mia mente.
《Giulia, mia cara, io sono qui per dirti che tu purtroppo devi andartene via, perché dentro di te ci sono mostri davvero troppo grandi; per quasi vent'anni tu sei stata unicamente un peso, che sia fisicamente che letteralmente si è allargato sempre di più. Lo capisci? A me spiace dirti queste parole, ma devo portarti via. Sulla terra sei solo un peso.》
Mi ha accarezzato la guancia, come se le sue parole potessero ferirmi; in realtà io non lo stavo veramente ascoltando... io volevo solo che lui stesse bene, perché lo vedevo triste, e non sopportavo l'idea che potesse stare così male. Ma lui non aveva ancora finito:
《Giulia. Tu, il 26 dicembre, alle ore 19 e 07, subito dopo aver parlato con il tuo ragazzo, andrai nello sgabuzzino e ti berrai mezzo litro di candeggina, mischiata con amuchina. Ci metterai cinque minuti a morire, te lo assicuro, e poi sarò io a prendermi cura di te.》
A quelle parole mi sono svegliata di colpo, urlando. Tremavo fortissimo, e sudavo freddo. Ho preso il telefono per chiamare mia madre che dormiva nell'altra stanza, ed erano le 3 e 07 del mattino.
Dopo quel sogno mi sono fatta cambiare farmaci: a quanto pare, secondo il mio psichiatra era lo xanax a provocarmi quegli incubi. Ma si sbagliava. Lui infatti è tornato. È tornato altre volte.
L'ho sognato il 20 dicembre: abbiamo passeggiato per il soggiorno senza dire assolutamente nulla, e poi lui mi ha riaccompagnata a dormire; quando mi sono alzata la mattina seguente, ero girata al contrario.
Il 26 dicembre non ho fatto ciò che mi ha chiesto. Mi sono tenuta lontana dallo sgabuzzino e ho ascoltato musica tutto il giorno per evitare di pensarci, anche se nella mia testa le Sue parole erano come una cantilena, non mi lasciavano più.
L'ho sognato successivamente, la notte del mio compleanno. Ho sognato di camminare, e di andare dritta contro lo spigolo del muro di casa mia, iniziando a picchiare la testa, sempre più forte.
E ad un certo punto lui è comparso, e ha iniziato ad urlare:
《Dovevi fare come ti avevo ordinato! Dovevi morire il 26 dicembre, perché così era stato deciso! Ma ora non preoccuparti! Ci penserò io a te! Tu non supererai la primavera, mia cara! Ti ammazzerò io! E ora, sbattila più forte quella testa, non vedo ancora il sangue! 》
Le sue urla mi stavano lacerando, la sua mano ha preso la mia testa e mi ha spinta contro lo spigolo, e nel sogno faceva male, nel sogno volevo urlare, ma non ci riuscivo, non potevo fare assolutamente niente.
Quando mi sono svegliata, per un sobbalzo, non so per che cosa, ero davvero davanti allo spigolo, stavo davvero picchiando la testa contro al muro.
E nulla, lui ritorna, ogni singola notte, nonostante i sonniferi, nonostante le medicine diverse... lui torna e mi dice che mi ucciderà, che non arriverò al 21 marzo, che nessuno mi vuole... cose così.
So che è difficile da credere, e io non vi chiedo assolutamente di farlo, perché non ci crederei nemmeno io se qualcuno me lo raccontasse. Avevo solo bisogno di scriverlo, perché sono veramente sfinita. E forse se lo scrivo qui, mi lascerà un po' in pace.
Chiedo ancora scusa per la lunghezza del testo, per eventuali errori, se vi ho impressionati, per tutto... io ora sto piangendo. Almeno io sto un po' meglio.
Vi voglio bene, grazie.
-Giulia ( @stupid-exaggerate )
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fanciullablu · 6 years
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1 … 
C’era una volta la fanciulla Blu, che mentre passo per passo, lasciava le ombre del suo cuore spezzato dietro di se; cercava di spogliarsi delle vesti che narravano la storia di un’amore a senso unico, usato, consenziente senza dubbio, forse più di tutto accondiscendente. Così nel tentativo invano di scollarsi di dosso quella storia d’amore, giunse nella dimora della Fanciulla Rossa (accompagnata dal peyote) non potè non condividere quello stato D’animo. 
Quel giorno in quella casa, c’era un ospite inaspettato, una creatura, una figura: UN Drago. 
- non pensavo sarebbe stato questo del nostro incontro, ma non ho mai sottovalutato l’intesa di quel primo sguardo -
Io mi siedo, ti dò le spalle, mi chiedi il mio skatchbook, i miei disegni, pezzi della mia anima. La Fanciulla Rossa, ti vende come una esistenza innoqua, mi piace l’agio che c’è, tra le persone presenti
-Ma com’è possibile che è cambiato tutto così in fretta? Il rumore nella mia testa, mi ricorda le note della tua musica.- 
Parliamo… CLICK! CLACK! CLICK! CLACK! _ C’è sempre stato un orologio, l’ho sempre sentito scandire il nostro tempo, ma allora come adesso, non può avere/aveva importanza.  Mi chiedi di venire con te, mi chiedi di passare altro tempo assieme, così spudorato e tranquillo. Ci vorrei essere con te, ci vorrei essere. Inviti tutti a cena da te il giorno dopo. Prima di vederti uscire, anzi di uscire tutti ciascuno nel proprio, Avvicino la mano ai tuoi boccoli dorati. Lo sapevo già sei un Drago, uno di quelli di cui la principessa che si salva da sola, racconta. 
Tu, il tuo modo di assecondarmi con la testa, di invitarmi a continuare a arruffarti i capelli, con le dita tra i tuoi boccoli d’oro. Che tenerezza, che feeling, che paura, indifferenza, purezza infondo a tutto. 
 Torno a casa, il mondo gira, il forestiero al telefono, un secondo invito la stessa sera, (portami via con te). Chiamo Indro, ho ancora la testa in palla, l’ho sento ho bisogno di un po’ d’aria. _ Chi sono? Chi voglio essere? Da chi sto scappando? - SCAPPA- Da chi sto scappando… _
Rispondi tu al telefono di Indro, rispondi tu, la tua voce, tu di nuovo tu. Chi sei? 
“Vieni al Lume, ti aspettiamo lì.”
- Sento qualcosa… curiosità, vita, nuova vita, germoglio di vita. - 
Odio le persone stupide, ma lo sono, sono stupida. Porto fuori il cane prendo il passante, vi richiamo, “ Ci vediamo davanti al mc”
Persa, immersa nella mia malinconia, riscopro un’amico, un’albero, bellissimo, vorrei portarlo via con me. Lo inquadro tra le dita, (portami via cielo).
Mi giro e ci siete voi, tu e Indro, mi guardate, lo sapete che sono strana, sembra affascinante vero? A volte lo sembra anche a me…
“Come va? Meglio? “ -  piccolo fiore triste, è così lontano, 20 giorni fa… è così fottutamente lontano, da me - 
Arriviamo al Lume, tu mi raggiungi, giochiamo a calcetto, siamo in squadra, ti batto il 5. Lo odio, mi ricorda il forestiero, che dopo aver raggiungo il suo culmine, mi ringrazia e mi batte il 5. Mi da fastidio, ma tu non centri, sei a gioire, per i “nostri” successi. 
Arriva Elisa, lei è come una fatina, ma di quelle vere, con il lato perfido e intelligente, strategico, i suoi occhi vedono oltre. 
Si appartano Indro e Elisa assieme, due scoiattoli in primavera. Poi io e te, mpf! CLICK! CLACK! BLA BLA BLA BLA BLA… 
Dolore, empatia, condivisione, amore, affetto, curiosità, bisogno, chi sei, chi sono, cosa mi piace, cosa voglio, cosa vuoi, cosa ti piace, cosa è rimasto nel lercio pozzo del tuo cuore… amore invano. Anche nel mio sai? Una sedia, musica, luci blu, rosse, buio, MUSICA. Tu che ti lasci travolgere, che assorbi, io che tiro su, parlo con la fanciulla ROSSA, portami via. In un mondo migliore…
- portami via da questo gelo, promesso, ti farò sentire bene promesso..
Di quel che resta… ? ILLUSIONE
Arrivano Elisa e Indro, due tuoi amici. 
La tua mano già intrecciata alla mia, (non voglio, non voglio vederti.)  
- Il tuo profumo, il tuo calore, spero non ne sia rimasto troppo impregnato nei miei polmoni. - 
DEVO andare via, ma non voglio, ma il giorno dopo ho lezione, ti alzi e inizi a ballare con Elisa, tua sorella, tuo riflesso. Che Invidia… Siete bellissimi. Saluto INDRO, saluto Elisa, mi fermo a ballare con voi. 
I tuo boccoli sono come fuochi d’artificio nel buio, il tuo sorriso, il tuo calore, sono bellissimi da guardare. Ma raramente mi concedo di legarmi così rapidamente a qualcuno. Quanta genuinità, purezza, "un’ottima distrazione dal mio amore non corrisposto."  
Mi avvicino a te per salutarti, mi guardi negli occhi ti luccicano di vita, come il tuo sorriso. Ti sorrido, mi dici che ti ha fatto piacere conoscermi, “Anche a me davvero.” Vado via. Mi chiedo cosa stia succedendo, mi oscilla il pensiero, tra un drago e un forestiero, Non so chi sia più doloroso, ma se dovessi pensare al senso di calore, forse Il drago lascia più tepore, ma il forestiero… lui non poteva essere più corretto. Grazie, per quel che vale… Vola via sole…
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itsmylerman · 8 years
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Con gli occhi di un adolescente
"Dimentichiamo cosa significa avere quindici anni non appena ne compiamo sedici. Ignoriamo un qualcosa che ci fa star bene fin quando non ce lo portano via. Ignoriamo la serenità del luogo in cui viviamo fin quando non lo abbandoniamo. Non conosciamo felicità perché non ci accorgiamo neanche che ci passa davanti e la spazziamo via,proprio come se fosse polvere."
20 dicembre 2020. Dovrei essere a casa, a Corigliano. Vorrei essere lì, con i miei vecchi amici ed invece sono qui. New York è bellissima anche con la pioggia, soprattutto con la gente che corre in qualsiasi direzione per ripararsi da essa. Io mi sono sempre chiesta perché dovevo smettere di giocare con i miei amici quando pioveva, forse perché rischiavamo di ammalarci, ma l’ammalarsi è solo l’effetto negativo di un piccolo istante di felicità. Avete mai provato a rimanere lì fermi sotto la pioggia? È l’esperienza più bella del mondo. Ti senti libero. Non capisco perché tutti odiano la pioggia, dovreste provare ad amarla, è molto meglio amarla che odiarla una creatura del genere, anche lei ha dei sentimenti. Dovrei smetterla di perdermi in questi futili pensieri; sono una scrittrice, è vero, ma questo non mi autorizza a divagare. Tornando a noi: cosa prenderò a Davide? Sono sicura che anche lui vorrebbe tornare  a casa. Non mi piace chiamarla "casa", è da un po' di tempo che mi gironzola in testa che l’unica struttura di cui devo aver bisogno è il mio corpo. Davide mi aspetta al nostro appartamento. Dovrei scegliere la mia facoltà, prendere in mano il mio futuro, ma ho così tante idee in testa. Vorrei chiamare mamma e chiederle se ha finito di leggere il mio libro, Carmen sarà alla sua ultima lezione prima delle vacanze; Giusy invece potrebbe essere in qualsiasi parte del mondo. Piove ancora, avranno letto il mio libro? Pensano mai a me? Piove, e piove sempre di più, mi affretto a tornare a casa. Quando avevo quindici anni il mio unico pensiero era quello di apparire sempre spensierata, di apparire senza nessun dramma adolescenziale, come una ragazzina perfetta che ha tutto sotto controllo. Pensavo persino di non dover cambiare, di rimanere la me di quindici anni per sempre. Beh, guarda un po', sono cambiata, disperata, indecisa e nervosa e non m'interessa che la gente lo noti. La me di un tempo era triste squallida, la me di oggi è ancora più triste, ma teatrale. Il mio migliore amico mi aspetta per mangiare la pizza "senza mozzarella" della Grande Mela, neanche ricordo più il sapore di quella pizza filante che mangiavamo insieme alla due del mattino per passare il tempo. Qui abbiamo la metropolitana, ma è sempre meglio prendere un taxi. Chiamo Davide, gli dico che sto per arrivare e lo sento borbottare:odia quando arrivò in ritardo. É una persona fantastica, mi conosce meglio di chiunque altro ed è per questo che non voglio tornare a casa, incrociare il suo sguardo: capirebbe che vorrei tornare a Corigliano e io capirei che vorrebbe farlo anche lui. Sono arrivata, pagare il taxi qui a New York é l'unica cosa che posso definire "routine" ed è triste perché a me piace vivere nella monotonia: ti fa sentire sicura, sai sempre dove andare, qui a New York invece non so mai quale sia la mia meta, il mio scopo, qual è il mio obiettivo e perciò cammino a vuoto. Appena entro in casa trovo Davide seduto sul nostro divano con un pezzo di pizza in mano, i piedi su ciò che è rimasto del tavolino e addosso solo un paio di boxer. Davide è il mio migliore amico, ma a volte credo dimentichi le notti passate insieme, i baci, le coccole e trovarlo così non va per niente bene... Si gira appena percepisce la mia presenza e mi fa uno dei suoi soliti sorrisi. Tolgo via il cappotto e sento il calore provenire da ogni parte in questa casa. Davide esagera sempre un po' troppo d'inverno, "non siamo abituati a questo freddo polare" dice sempre. Vado a sedermi vicino a lui e mi accoccolo sulla sua spalla nuda. -Ha chiamato Ida prima,- ha detto. Lei si che ha preso in mano il suo futuro, le ho sempre detto che un giorno avrebbe insegnato al Conservatorio, e così è stato. Davide poi prende una scatola: sono le foto di quando avevo quindici anni. Iniziamo a sfogliarle e sento davvero il bisogno di riabbracciarle tutte, le mie amiche. Prendo in mano la prima: ci siamo io e Davide e dietro di noi ci sono Carmen e Giusy che ci prendono in giro. Quella foto mi fa tornare in volto un sorriso amaro: ho adorato quei momenti di felice spensieratezza, ma desidero tornare indietro nel tempo: la me in quella foto non desiderava altro che essere la me di ora-magari non m'immaginavo proprio così, ma sono comunque cresciuta- ed ora io non desidero altro che tornare ad essere lei. Non sembro io, anzi no, quella non sono io. I capelli, lo sguardo, il sorriso, gli atteggiamenti sono cambiati, è tutto cambiato. Persino il mio rapporto con Davide è cambiato. Passo avanti prima di scoppiare in un pianto isterico. Qui ci siamo tutte, è una foto della nostra prima pizza di classe:i capelli rossi di Siria, i wurstel di Alessandra e Giusy; ricordi che non potranno mai essere chiusi in una scatola, conservata accuratamente fra i libri del liceo. Così decido che non ne avrei sfogliate di altre ma quando abbasso lo sguardo scoppio a ridere: qui, invece, ci siamo io, Siria e Lisa. Quante cavolate abbiamo fatto insieme; la mia prima ed ultima "canna"; mi sono sentita davvero male ma allo stesso tempo ricordo di aver passato le due ore più divertenti della mia vita: non so dove trovai il coraggio per farle, in realtà, ma le ho fatte e di questo ne sono veramente grata. Metto giù la scatola: non ho bisogno di stupide foto per capire quanto preziosi siano stati quei momenti e anche se non mi riconosco in quella ragazza che si spaccia per me, sono sempre io e riconosco il fatto che sia importante avere degli amici su cui contare. Non c'è bisogno di foto per ricordare le chiacchere e i mille sotterfugi. Mi passano per la mente i miei vecchi prof,chissà cosa staranno facendo ora. Saranno a casa davanti al camino con i propri figli, li osserveranno crescere, proprio come hanno visto crescere noi. È la prima volta che Davide dimentica il mio compleanno e la cosa mi da un po' fastidio ma bussano alla porta e questo mi distrae; mente io vado ad aprire, Davide corre a mettersi qualcosa addosso. Quando apro sono tutte lì, dalla prima all'ultima, non sono cambiate per niente, le solite chiacchierone. -Passavamo da New York e ci siamo ricordate del tuo compleanno!- dice Siria ridendo. Non vorrei scoppiare a piangere, ma non resisto: ci abbracciamo mentre Davide scatta una foto: -Buon compleanno!- mi dice sorridendo. Questa è vita. Le amicizie sono ciò che ci rendono vivi, abbiamo bisogno di sapere che vicino a noi ci sono persone che si ricordano chi siamo, che non siamo soli anche se ci sono migliaia di kilometri a dividerci. Persone che ti vogliono bene, che ci tengono a te, non vorrei mai perderle. -beh, è arrivato il momento di un autografo, cara scrittrice professionista!- dicono tutte in coro.
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helel-the-goddess · 5 years
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Un saluto per chi lo desidera.
Ciao! Ciao a chiunque tu sia. Mi presento: sono un'umile creatura che ha creato migliaia di mondi, molti universi, diverse realtà. Ebbene vorrei che tu, che forse sei un po' come me e sei stuf* del solito pianeta Terra, potessi conoscere qualcosa di differente. Vorrei che tu, che forse sei un po' come me, potessi trovare qualcosa di te nelle parole che condivideró. Vorrei che tu, che forse sei tutto tranne che simile a me, possa svagarti con le stupidate che ti capiterà di leggere provenienti da una creatura stupida quale sono io. Intanto ti ringrazio. Perché le cose nella mia testa, se le leggi anche tu, sono un pochino più reali. Adesso non ti resta altro che avvicinarti alla finestra più vicina, scostare quella tenda che ti ostacola la vista e guardare fuori. Beh, che dire ora... buon viaggio.
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Quella fredda mattinata aveva scatenato una irrefrenabile voglia di cioccolata calda e mashmallow. La credenza sprigionava odore di infusi e tisane floreali. Era iniziato il periodo che amava più di ogni altro, aveva desiderato fortemente che arrivasse, fuori dalla finestra i colori erano in tumulto confuso, gli alberi si erano svegliati con un fogliame decisamente vivo e colorato. Il rosso stava trasformandosi in marrone scuro e il verde stava lasciando il passo al giallo. L’autunno era entrato dalla porta senza bussare, tutti l’avevano accolto con grandi pile di legna pigramente scoppiettante nei camini e piumoni caldi come un abbraccio. Avrebbe passato la mattinata a leggere riviste di gossip di cui non le importava nulla, gettate a caso sul tavolino della sala dalla sua invadente ed esageratamente teatrale amica, Claudia. Si erano conosciute in una sala di attesa di uno studio dentistico e Claudia aveva subito attaccato briga con la segretaria per una questione di accenti e nomi propri. Erano diventate confidenti immediatamente, dopo aver scoperto di abitare a poca distanza l’una dall’altra. Il cioccolato era pronto e aveva invaso la casa di un tiepido calore, aveva cercato i mashmallow e li aveva trovati in fondo ad uno scaffale, anche quelli spostati da Claudia. Era arrivata un giorno di mezza estate con libri di ogni sorta, giornali e riviste per neo-mamme e aveva cambiato ogni ripiano, riorganizzando l’intera disposizione della casa.
<<Devi avete tutto a portata di mano così da non essere costretta per forza a salire ogni volta sulla sedia, Dio ti ha fatta bassa mia cara e non puoi rischiare di cadere per delle stupide noccioline!>>
<<Perché dovrei cadere ?>>
<<Perché abiti da sola, non c’è nessuno che lo faccia al posto tuo e tra qualche mese non riuscirai a guardarti i piedi, figurati salire su una sedia per prendere qualcosa>>
La conversazione era terminata con una clamorosa ed inevitabile sconfitta. Mentre i mashmallow affondavano lentamente nel denso liquido color pece Alisia stava perdendosi nei suoi pensieri vagando con lo sguardo fuori dalla finestra verso la casa del vicino che stava uscendo per potare le rose. Ignorò come al solito l’accenno di salito di Alisia, la quale stava pensando perché mai un uomo così aveva deciso di distruggere la propria vita, rompendo quella serenità che lo aveva sempre accompagnato per sposare una donna arida come il deserto. In realtà Alisia conosceva già la risposta, tuttavia le sarebbe sembrato troppo per chiunque. “Gli uomini fanno cose stupide quando vengono feriti. Puoi colpire un uomo al volto ma non lo scalfiggerai mai come un farebbe un rifiuto con la sua anima”. Le parole di sua madre le risuonavano ogni volta in testa come tamburi. Antoine, il vicino, si era presentato tempo addietro alla sua porta con un mazzo di splendide rose del suo amato e curato giardino, trafelato e intimorito. Le aveva proposto di sposarlo e accompagnarlo nel suo imminente viaggio nella Repubblica cecoslovacca. <<Quali luoghi migliori per ispirare il tuo genio creativo e poter scrivere le pagine che ti mancano, Praga è una città magica, vieni con me, ti prego>>. Alisia si era trovata a dover scegliere tra la menzogna è il perdere un amico fedele che l’aveva accolta dal primo giorno nella nuova casa fino ad allora. Optò per la verità, che ferisce come una spada e spiegó gli ultimi avvenimenti ad Antoin che da allora non le rivolse mai più parola. Partì dopo una settimana e stette via per circa due mesi, abbastanza per contrarre matrimonio e tornare felicemente maritato a casa. La felicità era durata poco però perché appena trascorsa una brevissima luna di miele il caos si era abbattuto sulle loro teste. La coppia aveva cominciato a litigare e presto tutto il quartiere assistette al triste epilogo di una storia finita male. Andrea, che sicuramente era stata una modella nel suo paese natale, parti una mattina senza avvisare nessuno con appena due valigie e una piccola pochette. Di lei non si era saputo più nulla. La cosa positiva era che erano cessate le grida di rabbia e i pianti isterici in piena notte, era calato improvvisamente il silenzio. Prese la tazza bollente e andò a sedersi sul divano, scolio di malavoglia qualche rivista e sospirò pensando a quanto avrebbe voluto avere una ispirazione per tornare a lavoro e finire quel benedetto libro ormai in pausa da mesi. Squilló il telefono e la voce era famigliare e gentile <<Ciao Alisia, come procede la gravidanza ? Volevo avvisarti che sto per partire, pare ci sia un nuovo talento emergente e sto andando ad accettarmi che non sia una bufala. Torno tra due settimane, spero tu riesca a finire di scrivere il libro... devo scappare, hai due settimane e non serve che tu dica niente ora, ciao ciao>>.
Alisia stava per dire qualcosa ma era tardi, la sua logorroica editor aveva buttato giù la cornetta. Tipico. Telefonava e lasciava messaggi istantanei senza che dall’altro capo del filo si avesse tempo di mettere un suono. La fortuna era stata clemente e aveva guadagnato un po’ di tempo per riflettere sul da farsi. Nel frattempo aveva appuntamento nel pomeriggio con la ginecologa che la stava seguendo in gravidanza alle 15:00 e non avrebbe dovuto tardare se non voleva che il buio la cogliesse al ritorno. Doveva indossare grossi occhiali da vista per guidare ma la notte non vedere nulla anche con le lenti, la miopia era peggiorata e l’astigmatismp faceva il resto. Avrebbe potuto cogliete l’occasione per riallacciare i rapporti con Antoine ma decise che non era quello il momento e che quando sarebbe stata pronta avrebbe fatto il primo passo. La cioccolata si stava lentamente intiepidendo e si appisolò un attimo, sognó in una fase di dormiveglia di essere in sala parto e di sentire che dal suo ventre stava per emergere una creatura con occhi grandi e luminosi. Furono pochi secondi perché un sobbalzo la fece risvegliare, si portò una mano al ventre e sorride debolmente, -si sentiva stanca quel giorno- la bimba aveva scalciato timidamente, un piccolo calcio che era servito a ridestarla da un sogno poco gradevole. Ancora non era nata ma Alisia aveva la sensazione che quella creatura le era stata dotata per motivi benefici. Era stata un vero miracolo già solo averla concepita, sentiva dentro di lei che c’era una ragione molto più profonda e seria per cui quella creatura si era incarnata proprio nel suo grembo, dichiarato clinicamente sterile e inadatto alla procreazione già quando era appena una bambina.
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La luce fredda della sala d’aspetto dell’ospedale era vuota e odorava di antisettici ed alcool. Le mani si intrecciavano in modo frenetico sulle ginocchia tremanti. Si strinsero in un abbraccio senza riuscire a guardarsi negli occhi gonfi e violacei per il troppo piangere. Quando uscì il medico e si tolse la mascherina sobbalzarono dalle sedie all’unisono, le mani ancora tra mani l’una dell’altra. <<Finito, siamo riusciti ad eliminare il male senza toccare gli organi interessati, tuttavia....>> un brivido attraversò le loro colonne vertebrali dal basso verso l’alto << la possibilità di poter avere figli è quasi nulla, cioè in realtà ...>>
<<lo dica e basta, la prego>>
<<vostra figlia non potrà mai avere figli, mi dispiace>>
<<ha salvato la nostra bambina, non importa altro dottore, grazie>>.
Rimase ricoverata un mese per la riabilitazione, aveva la pelle delicata e diafana, gli occhi enormi e le codine con le nocchette colorate. A nove anni Alisia era una bambina felice, salvata da morte certa a causa di un male che appena qualche anno prima non le avrebbe lasciato scampo. La certezza di non poter procreare non era importante per nessuno. Almeno in quel momento di gioia.
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Erano le 15:00 in punto ed era seduta da un minuto quando la dottoressa chiamò il suo turno. Non aveva una segretaria, faceva tutto da sola. Una donna alta dai capelli rossi mogano, sempre ben pettinati ed ordinata, un filo di trucco esaltava la dolcezza dei lineamenti di una bellezza sempre viva. Aveva una quarantina di anni, gli occhi verdissimi e buoni.
-Come state? Procede tutto bene ?
-Si, sto prendendo le vitamine e sto attenta a ciò che mangio.
-Ottimo
Il gel era sempre freddissimo come il lettino, la bambina stava bene, si poteva vedere bene il piedino e la testa, sorrisero guardandosi negli occhi.
-Va tutto bene, la pupa sta una favola, la stai trattando bene.
-Lieta di essere un albergo a cinque stelle!
Risero e passarono un’ora a parlare di tutt’altro. All ‘arrivo della successiva paziente dovettero salutarsi e accordarsi per il prossimo appuntamento.
La strada di casa era ormai buia, non avevano ancora aggiustato le luci dei lampioni, era da un po’ che il quartiere intero si era ritrovato al buio all’improvviso. Nessuno faceva nulla. Antoine era fuori, stava accendendo delle lampade, la guardo sottecchi e rientró velocemente a casa. Mise a cuocere la vellutata, zucca e carote (la sua preferita ) e accese il pc, lesse le nuove mail -tutte relative al lavoro è una dalla banca che la invitava a passare per aprire un nuovo libretto di risparmio- se solo avesse avuto abbastanza denaro lo avrebbe nascosto sotto al cuscino piuttosto. La zuppa inondava la stanza di un profumo invernale, il caminetto acceso al rientro scoppiettava allegro, mangiò in silenzio e si appisoló sul divano. Sognò di essere ancora in sala parto, tutti erano lì attorno a lei ma nessuno la sentiva, chiedeva aiuto e gridava di dolore ma nessuno la stava ascoltando, anche la ginecologa che stava entrando ora chiacchierava amabilmente coi colleghi senza prestarle il minimo aiuto. Si sveglió è un’ansia le assali la gola. Un nodo la cinse e andò in cucina a prendere un bicchiere d’acqua. Affacciato alla solita finestra, Antoine guardava fuori assorto in chissà quale pensiero. Fu un attimo di coraggio, prese lo scialle dal divano, se lo avvolse addosso e uscì. Bussò alla sua porta poi volte finché lui non le aprì.
-Cosa fai..?
-Adesso basta con questo comportamento, brutto bastardo figlio di puttana non volevo ferire il tuo schifoap orgoglio
Stava gridando e sbattendo i pugni sul suo petto senza rendersi conto di ciò che faceva, sembrava non avere coscienza di se stessa mentre lo insultava.
Fu in un attimo fu buio, cadde svenuta e infreddolita. Antoine l afferrò giusto in tempo prima che cadesse a terra.
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Stava camminando da sola lungo un viale deserto. Non c’era nessuno e la vegetazione era assente. Chiamava in cerca di qualcuno ma l’eco le tornava indietro sempre più forte.
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Quando si riprese non si rese conto di cosa fosse accaduto, Antoine, la stava accarezzando la testa e le porgeva una tazza di tè.
-Mi hai fatto prendere un colpo.
Non ricordava assolutamente nulla, non aveva idea di cosa ci facesse in casa di Antoine e tanto meno come vi fosse arrivata.
-Rilassati, ho chiamato il medico che sta arrivando di corsa, non vorrei che il bambino avesse qualche problema, meglio torgliersi ogni scrupolo nella tua situazione.
-Bambina, è una femmina.
Il tepore la fece riappisolare, questa volta solo il buio.
Aprì gli occhi e il medico era curvo su di lei è la stava studiando. Le aveva guardato le cornee, palpato le guarde, dentro la bocca e sentito i battiti.
-Alisia, stai avendo un esaurimento nervoso, sei debole e se non ti prendi cura di te stessa e della creatura la tua testa schiopperà e non ci saranno medicine che tengano. Cosa ti è capitato?
- Niente, sono stata dalla ginecologa, la quale mi ha assicurato che la bambina sta bene. Abbiamo chiacchierato e poi sono tornata a casa. Ho cenato, non mi ricordo altro.
-Antoine, ascolta, puoi prenderti cura di lei per un po’? Dovrebbe chiamare sua madre. Non può stare sola.
-Ci penso io- disse Antoine -grazie mille, dottore.
Il medico andò via, non dimenticando di dare le ultime disposizioni ad Antoine, il quale l’aiutó a salire le scale e ad adagiarsi sul letto nella camera degli ospiti.
-Domani ti riporto a casa, chiamerò tua madre e ti terremo d’occhio, adesso riposa e se hai bisogno chiama, sono dietro il muro. Buona notte Alisia.
Il mattino era limpido e fresco, Alisia si sveglió come da un lungo sonno, si stiracchio e si girò verso il comodino come suo solito per guardare l’ora, quando si accorse che non era nel suo letto e sentiva da basso l’armeggiare di stoviglie è un irresistibile odore di caffè salire con nella sua camera. Nel giro di un nano secondo stava ricordando tutto, lei in cucina a rimpire un bicchiere d’acqua guardare fuori e prendere la coperta, uscire di casa ... le urla, tutto, non riusciva a spiegarsi cosa le fosse accaduto. Antoine si materializzò sulla porta della camera con un vassoio pieno di delizie ed una tazza fumante di caffè nero bollente. -Non si dovrebbe bere caffeina durante la gravidanza credo, ma il dottore ha detto che un po’ non ti farà male, servirà a darvi un po’ la carica per attraversare il giardino e tornare a casa-.
-Mi dispiace, non so cosa sia successo e perché io abbia... ti giuro...
-Lascia stare, mi sono comportato da stupisco, volevo punirti, ma non hai fatto niente di male e ti ho lasciata sola nella tua condizione senza badare ai tuoi comportamenti ....
-Quali comportamenti? Di che parli?
-Allie sei strana da parecchio, per esempio: hai detto al dottore ieri di essere stata dalla ginecologa ma non è affatto così, ho pensato stessi sparlando a causa dello svenimento e che fossi confusa così ho taciuto. Ieri non ti sei minimamente mossa di casa, sei rimasta lì, la tua auto è rimasta nel vialetto tutto il giorno, lo so perché non ho lavorato e sono stato in giardino a sistemare le rose.
Lo sguardo confuso di Alisia fece preoccupare Antoine, che le poggiò una mano sulla spalla.
-Alisia, so che sei sola nel mezzo di una gravidanza e che non vuoi troppa gente che ti giri intorno ma almeno i tuoi genitori, soprattutto ora che Dana .... - smise di parlare lasciando le ultime vocali al vuoto -Cosa c’entra Dana, scusa ? - Alisia era sempre più confusa, era impallidita e le mani presero a tremare.
-Dana ha avuto un incidente due giorni fa Allie, è stata ricoverata di urgenza, e si trova in coma farmacologico. Ti hanno avvisata quelli della tua squadra di scrittori le lo ha riferito la vicina, non ti ricordi? Ti ha sentita rispondere al telefono e poi scoppiare in pianto... Capisco che tu non sia andata a trovarla nelle tue condizioni.
-Antoine ma cosa dici? Ieri mi ha chiamata dicendomi che sarebbe stata fuori due settimane e che al ritorno avrebbe voluto trovare il libro finito. Ci ho parlato ieri stava bene!
- Non è possibile, la telefonata ti è arrivata l’altro ieri e tu da allora non hai messo piede fuori casa.
-Che diavolo...?- scoppio in singhiozzi e Antoine l’abbracció stretta, seriamente preoccupato.
Antoine lasciò Alisia in camera a riposare stremata dalle lacrime e dai singhiozzi, non volendo lasciarla sola decise di chiamare la madre di Alisia (con n cui aveva stretto amicizia quando aveva aiutato la figlia col trasloco tempo addietro) per dirle cosa fosse accaduto e chiedendole di passe in farmacia prima di metterI in viaggio per prendere i ricostituenti prescritti dal medico la sarà prima -Andrei io stesso ma non mi sento di lasciarla da sola, è a casa mia e sta risposando, la terrò d’occhio-
-non so come ringraziarti -
-non devi-.
Quando sua madre arrivò era già buio. Saluto Antoine e sali in camera dalla figlia. -Bambina mia-, -mamma! Dana.... io.... io giuro che...- shhh, calmati adesso tesoro, lo so-.
Quella sera Alisia venne ricoverata presso l’ospedale psichiatrico a qualche distanza dal paese. Sua madre, Madlen conosceva il medico responsabile e mise una parola affinché la tenessero in osservazione.
-Madlen, la situazione non è grave tanto da ricoverarla, è solo stremata e stanca, debole certo, ma non tanto da camicia di forza
-Ti chiedo solo di tenerla sotto osservazione, di aiutarmi a farla stare meglio, ho bisogno del tuo aiuto, Patrick è in Florida da nostro figlio Stephan e tornerà non prima della prossima settimana, io e Antoine il suo vicino siamo i soli a starle accanto in questo momento, le sono successe troppe cose e la ragazza non riesce a restare lucida, tempo possa fare qualunque azione sconsiderata. In nome della nostra amicizia.
-Va bene Madlen, la terremo a riposo, ora va a casa, dormi un po’. Domattina torna alle nove e porta dei dolci, per me ovviamente.
-Grazie
-Sei il tipo di donna che trasforma gli uomini in burattini Madlen, è da sempre una tua prerogativa.
Madlen lo guardò come una mattina che abbatte il rivale.
-A domani Donald.
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È notte fonda e Alisia sta camminando da sola su un sentiero oscuro, sente dei rumori provenire da un luogo indefinito. Non riesce a vedere a causa dell’oscurità. Antoine? Mamma? Dana ? C’è qualcuno? Tutto tace e si trasforma in nebbia.
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Alle nove, come sentinelle, Madlen ed Antoine entrarono in clinica, uno con dei caffè e l’altra coi dolci promessi la sera prima al primario. Ad accoglierli una infermiera assonnata, stana e sottopagata li fece accomodare in sala d’aspetto in attesa del dottore. Arrivò trasognante e spaesato, aveva sicuramente passato la notte in bianco come ogni notte in quel posto di demoni invadenti.
-Donald, caffè e zucchero pastellato. La mia Allie?
-Sta bene, ha dormito tutta la notte e non ha dato segni di delirio durante il sonno, ciambelle, grazie ne avevo bisogno.
Si accasciò su una sedia con la tazza di caffè intiepidito dall’attesa e il cartone di ciambelle tra le mani.
-La stanza è la prima a destra lungo il corridoio, se dorme non svegliatela, ha sicuramente bisogno di riposo, come tutti qui dentro
-Amen- rispose come un fantasma da dietro il bancone l’infermiera che stava avvicinandosi per prendere un dolce dalla scatola che le tendeva il medico
Allie dormiva ancora e cercando di non fare rumore si sedettero ai l’agi del letto, guardandosi tra loro, meno preoccupati della sera prima ma non del tutto tranquilli. Il sonno sembrava profondo il suono del respiro era lieve come un accenno. Madlen posò una mano sul ventre della figlia e sussurró un saluto alla sua futura nipotina. Allie apri gli occhi e chiese cosa ci facessero lì impalati come mummie a guardarla mentre lei lpriva di fame e sete. Antoine uscì a comprare qualcosa per la colazione mentre Madlen testava a guardarla seduta accanto a lei.
-Papà ti saluta. È con Stephan. Ci sono buone notizie Bambina, si sposerà a breve e ha trovato un nuovo lavoro.
-Sono felice mamma se lo merita, è un bravo ragazzo
-I miei figli sono perle rare
- Mamma, cosa mi è successo? Perché non mi ricordo niente di quello che mi è successo nelle scorse settimane ?
-Amore, hai avuto un esaurimento nervoso dovuto allo stress e alla condizione fisica in cui ti trovi. Ti rimetterai presto. Devi riposare, prendere le vitamine e stare tranquilla. Dana è uscita dal coma, o medico sono fiduciosi, si rimetterà
-Non le ho fatto visita quando....- le lacrime le riempirono gli occhi in un baleno e la madre le accarezzò dolcemente il volto spostandole i capelli dietro l’orecchio come faceva sempre. Nel frattempo Antoine aveva fatto ritorno armato di ogni genere di leccornia, pasticcini glassati, cornetti, cioccolatino ripieni e due tazze enormi di tè verde. -Non sapevo cosa volessi e ho preso tutto quello che c’era-
- Hai svaligiato il bar non ti sembra un po’ esagerato ?
-Madlen, era una pasticceria e no perché non sapevo cosa mangiate di solito a colazione!
-Caffè!- esclamarono all’unisono guardandosi ridendo complici le due donne.
Rimase nella clinica per una settimana circa. Durante il giorno le facevano compagnia il vicino, con il quale ormai era pace fatta e sua madre. Prendeva vitamine ed integratori e non sognava più. I suoi sonni erano profondi e privi di simbolismi. Quando la dimisero salutó tutti soprattutto le infermiere con le quali aveva instaurato un bel rapporto e tornó a casa. Tutto era in ordine, c’erano fiori ovunque e bigliettini di pronta guarigione provenienti dalla sua casa editrice, dai colleghi e anche da Dana anch’essa uscita dall’ospedale e di nuovo operativa. A casa veniva coccolata e oh quel clima riuscì a trovare il giusto finale pe il suo libro. Decide di mandarlo tramite posta raccomandata. Usciva poche ore al giorno, quelle più calde e faceva un giro del vicinato, salutava i vicini e rientrava nel caldo abbraccio familiare. Con Antoine avevano ritrovato la complicità, passavano le serate a giocare a carte e a ridere. Il tempo della gravidanza stava scadendo e presto una nuova luce avrebbe invaso la sua vita, rendendola finalmente utile e reale.
Accadde, una mattina di primavera, a marzo inoltrato. Venne al mondo tra l’amore di tutti, addirittura il padre e il fratello, con consorte al seguito, accorsero per non perdersi il lieto evento. Una bambina stupenda di due chili e mezzo. Con gli occhi cangianti tipico dei neonati e le manine piccolissime. Non poteva essere poi felice. Come aveva previsto quella creatura aveva portato serenità e cose belle nella vita di tutti. Quando tornarono a casa che n la nuova arrivata e tutti ripartirono per le proprie destinazioni, Antoine prese coraggio e chiese ad Alisia di sposarlo. Lei, in modo inaspettato e felice rispose di si. Due settimane dopo si promisero amore eterno nella chiesetta del paese, in un caldo giorno di sole. Cominciarono la convivenza a casa di Antoine e misero in vendita quella di Alisia. Il libro stava andando a ruba e la vita prometteva una sana e Florida solidità.
Tuttavia un giorno di mezza estate durante un temporale avvenne qualcosa di strano nel quartiere, tutte le luci di colpo si spensero e Alisia si ritrovò sola a cercare candele e qualcuno che le rispondesse. Le vennero alla mente i ripetuti sogni che avevano infastidito i suoi sogni durante la gravidanza e cominciò a spaventarsi quando affacciata alla finestra cominciò a sgretolarsi il paesaggio di fronte a lei. Tutto si staccava piano come pezzi di puzzle. Ogni cosa si frantumava divenendo polvere. Io mondo stava sparendo sotto ai suoi piedi mentre una luce bianca e fredda le bruciava gli occhi e ingoiava tuffo. Qualcuno potrebbe pensare ad un rapimento alieno ed era esattamente ciò che era passato per la sua testa in quel momento, sebbene non avesse mai ceduto alla fantascienza.
Un mormorio soffuso di voci e rumori metallici le offuscavano la mente e le riempivano le orecchie. Il naso prese a sanguinare copiosamente e non riusciva a bloccarlo. Si guardò le mani intrise di un sangue scuro, i suoi vestiti strappati e un brivido di freddo la attraversó all’improvviso. Prese un respiro profondo e espiró così forte che io torace le si aprì in due dal dolore. Un incubo da cui non riusciva a svegliarsi. Una scossa elettrica le bloccò ok petto ed ebbe un sobbalzo poi il vuoto più oscuro.
-uno due tre... libera!
-ancora ! Coraggio! Sere Un voltaggio più forte ! Dottore !
-1..2..3 libera !
Venne al mondo. Come uscita dall’acqua riprese fiato. Il battito tornó regolare. I medici tirarono un sospiro di e cominciarono a battersi le mani ridendo e complimentandosi a vicenda.
-Corra a dare la lieta notizia, dottore ! Lei è un eroe ! La stavamo perdendo -
-Nessuna bambina muore sul mio tavolo chirurgico, non l’avrei mai permesso ragazzo
-Lei è eccezionale.
[continua...]
#LaStregaDiPortoBello
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ADAMO ED EVA, L’INNOCENZA PERDUTA E I CHERUBINI SUPER EPICI
GENESI - Capitoli 2 e 3
Siamo al settimo giorno, Dio si riposa da tutta l’opera che ha fatto e benedice questo giorno.
In Genesi 2: 4-5 è spiegato che nel giorno (credo che con la parola “giorno” si intenda, più genericamente, la parola “tempo”, ma ti prego di correggermi se sbaglio) in cui Dio fece la terra e i cieli, sulla terra non c’era ancora alcun arbusto, né erba. E questo per due motivi: il primo è che Dio non aveva ancora fatto piovere, il secondo è che “non c’era ancora alcun uomo per coltivare il suolo”. In questa frase credo che Dio voglia dire che per far sì che la sua opera si compia, non basta il suo operato, ma è necessario anche l’intervento degli uomini: subito dopo, infatti “Dio il Signore formò l’uomo”(Genesi 2:7).
Da qui in poi la storia è abbastanza nota: Dio creò un giardino in Eden, a oriente, ricco di ogni sorta di alberi da cui nutrirsi e con un fiume che lo irrigava dividendosi in quattro bracci. Lì pose l’uomo “affinché lo lavorasse e lo custodisse” (Genesi 2:15). Nell’immaginario collettivo (almeno nel mio) il giardino di Eden è sempre stato una specie di paradiso terrestre dove nessuno ha bisogno di lavorare, dove la terra dà nutrimento a non finire e dove non bisogna preoccuparsi di nulla. Invece, Dio ha messo lì l’uomo per mantenere quel giardino bello come l’ha trovato e per vigilare su di esso. Ci troviamo di nuovo davanti al concetto di cooperazione necessaria tra Dio e l’uomo. Il fatto che la storia sia già conosciuta, però, non distoglie il mio pensiero da una domanda: perché Dio ha deciso di piantare un giardino in un determinato punto del mondo per porvi l’uomo? Voleva forse metterlo alla prova in un ambiente circoscritto, prima di dargli “in mano” tutto il resto?
Tra gli alberi presenti nel giardino c’erano l’albero della vita e quello della conoscenza del bene e del male. Dio diede un ordine all’uomo: “Mangia pure da ogni albero del giardino, ma dall’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare; perché nel giorno che tu ne mangerai, certamente morirai” (Genesi 2: 16-17). Su questa frase tornerò più tardi.
È noto, purtroppo, cosa succederà da qui in poi.
Dio non voleva che l’uomo fosse solo, e volle fargli un aiuto adatto a lui. Così, Dio condusse da lui tutti gli esseri del creato. L’uomo diede a ognuno di essi un nome, ma non trovò alcun aiuto adatto. Così Dio lo fece cadere in sonno profondo, prese una delle sue costole e con quella formò una creatura. Questa poi venne condotta all’uomo per darle un nome: la chiamò “donna”. Finalmente l’uomo aveva trovato una moglie!
Ma la festa durò poco.
Infatti il serpente condusse la donna a mangiare un frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male. Prima le chiese come mai Dio aveva detto a lei e all’uomo di non mangiare da nessun albero e lei lo corresse rivelandogli che l’unico albero dal quale non potevano mangiare era quello in mezzo al giardino, poiché altrimenti sarebbero morti. Poi lui disse alla donna che non sarebbero morti affatto, anzi: avrebbero aperto gli occhi e, avendo conoscenza del bene e del male, sarebbero stati come Dio (Genesi 3: 4-5).
Così avvenne il misfatto.
La donna mangiò un frutto dell’albero e ne diede anche a suo marito. Allora i loro occhi si aprirono e si accorsero di essere nudi (Genesi 3:7). Di conseguenza si coprirono come meglio poterono, facendo delle cinture con delle foglie di fico. Dio cercò poi l’uomo nel giardino ed egli, quando si sentì chiamare da Lui, rispose che si era nascosto perché era nudo. Di conseguenza, Dio gli chiese come facesse a sapere di essere nudo e scoprì così che mangiò dall’albero della conoscenza del bene e del male. Adamo accusò sua moglie di avergli dato il frutto dell’albero e lei, a sua volta, incolpò il serpente per averla ingannata.
Le conseguenze di questa scoperta furono terribili.
Oltre ad aver maledetto il serpente, Dio moltiplicò le pene e i dolori della donna nella sua gravidanza (“con dolore partorirai figli” Genesi 3:16), poi maledisse il suolo a causa della disobbedienza di Adamo, costringendo quindi lui a mangiarne il frutto con affanno per tutti i giorni della sua vita. Dopo aver fatto ciò, Dio vestì sia Adamo sia Eva di tuniche di pelle e li cacciò dal giardino di Eden, in modo che non potessero mangiare neanche dall’albero della vita e vivere, quindi, per sempre. Dopo aver fatto ciò, Dio mise a oriente del giardino di Eden i cherubini a protezione della via dell’albero della vita.
Dio, prima di cacciare Adamo ed Eva dal giardino di Eden, disse una cosa importantissima (Genesi 3:22): “Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi, quanto alla conoscenza del bene e del male”. Quindi il serpente aveva ragione su questo aspetto. Ma Dio aveva detto ad Adamo che se avesse mangiato dall’albero della conoscenza del bene e del male sarebbe certamente morto. Io penso che Dio non intendesse con questo la morte fisica di Adamo, ma la morte della sua innocenza. Infatti, subito dopo esser diventato cosciente del bene e del male, Adamo si copre a causa della sua nudità. L’uomo, essendo ora in grado di discernere il bene dal male, è morto poiché non più preservato dalle dinamiche del bene e del male. Ora fa parte dell’ingranaggio, del “mondo” come noi lo conosciamo.
Questo fa riflettere anche su un altro aspetto. L’uomo è l’unico essere vivente di tutto il creato a essere cosciente del bene e del male. Questo fa sì che, quando egli compie il male, lo fa con consapevolezza. Questo dovrebbe indurci a riflettere e a monitorare le nostre azioni. Spesso, un po’ per moda, un po’ per essere “conformi” alla società e ai suoi idoli, compiamo azioni stupide, altre volte addirittura gravi. Ma abbiamo la tendenza a giustificarci (“fanno tutti così, cosa ci sarà di male?”), a crogiolarci nel bias cognitivo dell’”effetto gregge”, a non dare peso a queste azioni perché, in fin dei conti, passano inosservate. Magari “agli altri” sì, ma alla nostra coscienza no, e lo sappiamo. Lo sappiamo benissimo. Lo sappiamo perché siamo in grado di distinguere il bene dal male allo stesso modo di Dio. Lo sappiamo perché la nostra coscienza urla e noi la soffochiamo per conformarci alla cosiddetta “massa”. Ma ne vale così tanto la pena?
Voglio chiudere questo post con due cose un po’ più leggere.
La prima è una domanda simile al primo post: perché Dio in Genesi 3:22 parla ancora al plurale? Infatti dice: “Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi, quanto alla conoscenza del bene e del male. Guardiamo che egli non stenda la mano e prenda anche del frutto dell’albero della vita, ne mangi e viva per sempre”.
La seconda è una constatazione: il capitolo 3 della Genesi chiude con i cherubini che vibrano da ogni parte una spada fiammeggiante per custodire la via dell’albero della vita… ma che scena epica non è?!
Ogni suggerimento, chiarimento o commento è sempre ben accetto. Grazie mille e a presto!
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piefullofspiders · 4 months
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smiling friends sona ^^
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