#storia dell'emigrazione
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Enrico Pugliese, Mattia Vitiello, Storia sociale dell'emigrazione italiana. Dall'unità a oggi, Il Mulino, 2024
scheda dell’editore: https://www.mulino.it/isbn/9788815389336 Le trasformazioni economiche e sociali riguardanti l’Italia nella storia hanno sempre avuto riflessi significativi sull’emigrazione. Dal canto suo, l’emigrazione ha sempre prodotto effetti importanti sulla realtà del paese, incidendo sulla situazione demografica, sulle condizioni di vita della popolazione e sulla struttura di classe…
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Da Milano a Genova: un viaggio nella storia con il treno Arlecchino
Da Milano a Genova: un viaggio nella storia con il treno Arlecchino Regione Lombardia, insieme a Fondazione FS (Ferrovie dello Stato) e in collaborazione con l'associazione Lombardi nel mondo, promuove una giornata speciale a bordo dello storico treno Arlecchino. Domenica 14 luglio (e replica il 3 novembre), il celebre rapido partirà dalla Stazione Centrale di Milano alle ore 9.25, destinazione il Museo dell'Emigrazione Italiana (MEI) a Genova.... Leggi articolo completo su La Milano Read the full article
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Raduno internazionale degli spazzacamini 2023 a Santa Maria Maggiore
In Val Vigezzo il Raduno Internazionale dello Spazzacamino spegne quest'anno le 40 candeline con un'edizione che batterà ogni record, sono 1.200 gli uomini neri attesi a Santa Maria Maggiore per celebrare il loro mestiere, che qui, in questo angolo remoto d'Italia, ha le radici più autentiche. Dal 31 agosto al 4 settembre la valle ossolana sarà lo sfondo di una serie di appuntamenti in grado di richiamare come sempre migliaia di turisti e viaggiatori desiderosi di entrare in contatto con un mondo antico e affascinante. La storia del Raduno Internazionale dello ha radici profonde, in Valle Vigezzonal confine con la Svizzera, dove intere generazioni di emigranti spazzacamini partirono verso Francia, Germania, Austria ed Olanda e fu nel 1800, con lo sfruttamento dei bambini, che si scrisse una delle pagine più drammatiche del rapporto tra uomo e fuliggine. A ricordare questa fase c'è un monumento simbolo come il piccolo spazzacamino di Malesco, paese più popoloso della Val Vigezzo, dove è rappresentato Faustino Cappini, originario di Re che, terminata la pulizia di un camino, alzò le mani per dimostrare di aver portato a termine il lavoro ma, sfiorando i fili dell'alta tensione, morì fulminato. Un mestiere, quello dello spazzacamino, che viene celebrato grazie ad un evento unico al mondo in grado di richiamare ogni anno migliaia di visitatori da tutta Italia e non solo, per celebrare l'autenticità di un mestiere oggi tutelato, ma che nel recente passato si è legato anche a vicende raccontate nel multimediale Museo dello Spazzacamino. Per molto tempo la vita dello spazzacamino fu infatti durissima e sono dovuti trascorrere decenni prima che dalla rimozione si potesse passare alla celebrazione di questo lavoro, con il desiderio di rendere onore agli avi, alla loro fatica e ai loro sacrifici. Così, all’inizio degli anni Ottanta, il primo raduno vide a Santa Maria Maggiore una trentina di fumisti e negli anni la crescita è stata esponenziale, fino a raggiungere il record di questa 40esima edizione. A un mese dall'evento sono già 1.200 gli spazzacamini che, accompagnati dagli attrezzi del mestiere, colorati di fuliggine sui volti e con gli abiti di lavoro tradizionali torneranno in Italia da tutto il mondo: un evento in grado di unire popoli e culture, una manifestazione dove saranno ventidue le Nazioni rappresentate quest'anno, con una new entry, il Galles, che per la prima volta sfilerà con una propria delegazione di fumisti. Germania, Svizzera, Danimarca, Svezia e Finlandia le nazioni più rappresentate nella grande parata che prenderà avvio alle ore di domenica 3 settembre. Lo storico evento è organizzato dall’Associazione Nazionale Spazzacamini con la collaborazione del Comune e della Pro Loco di Santa Maria Maggiore, si fregia del patrocinio del Ministero della Cultura ed è realizzato con il prezioso sostegno dell'Assessorato alla Cultura della Regione Piemonte, del Museo Regionale dell'emigrazione vigezzina nel mondo e del Consiglio Regionale del Piemonte, con il contributo di Confartigianato Imprese Piemonte Orientale e Fondazione BPN per il territorio e con la collaborazione dell'Associazione Musei dell'Ossola, dei Comuni della Valle Vigezzo, della Città di Stresa, della Pro Loco di Malesco, del Gruppo AIB della Valle Vigezzo. Sarà un viaggio tra tradizioni, storie autentiche e dai risvolti a volte drammatici che possono e essere riscoperte nei colori e profumi di un tempo, per un salto nel passato ed anche nel futuro di un mestiere importante e oggi tutelato, specialmente nel nord Europa, oltre ad un pizzico di goliardia e divertimento, che consente al Raduno Internazionale dello Spazzacamino di rinnovare ogni anno la magia e suggestione di un evento unico al mondo. Read the full article
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Vi porto a Rocca Calascio
Una Storia di Maestosità e Resilienza Rocca Calascio è uno dei gioielli nascosti dell'Italia, un luogo ricco di storia e bellezza naturale che domina il versante sud del Gran Sasso d'Italia. Situata ad un'impressionante altitudine di 1520 metri sul livello del mare, questa antica rocca offre una vista mozzafiato su Campo Imperatore e sui paesaggi circostanti. Origini Antiche Le sue radici affondano nell'antichità, con la prima menzione documentata risalente al 1380, quando era considerata una torre di avvistamento isolata. Tuttavia, la costruzione originaria della torre risale a circa il 1000 dC Nel corso dei secoli, Rocca Calascio ha subito molte trasformazioni, ma il suo fascino e la sua importanza storica sono rimasti intatti. L'influenza dei Piccolomini Verso il 1480, Antonio Piccolomini ha lasciato il suo segno indelebile sulla Rocca. Ha realizzato quattro torri attorno all'originario torrione, costruito il muro di cinta intorno al paese e ricostruito gran parte dell'abitato dopo il devastante terremoto del 1461. Questi sforzi hanno contribuito a preservare il patrimonio storico di Rocca Calascio per le generazioni future. La Chiesa di Santa Maria della Pietà Nei pressi della Rocca si trova la Chiesa di Santa Maria della Pietà, costruita dai pastori intorno al 1400 come segno di gratitudine alla Madonna. La chiesa ha una storia affascinante, legata a una battaglia sanguinosa in cui i soldati dei Piccolomini respinsero un gruppo di briganti provenienti dal confinante Stato Pontificio. Un Punto di Osservazione Strategica Rocca Calascio aveva una rilevanza strategica notevole nel passato. Era un punto di osservazione chiave, in grado di comunicare con i castelli della costa adriatica attraverso segnali ottici. Durante la dominazione aragonese, divenne persino la sede della "Dogana della mena delle pecore in Puglia", e la pastorizia transumante fu una fonte di reddito vitale per la regione. Cambiamenti nel Corso dei Secoli La storia di Rocca Calascio è costellata di cambiamenti. Nel 1579, la Baronia e le altre terre circostanti furono vendute a Francesco Maria Dè Medici, Granduca di Toscana. tuttavia, nel 1703, un terremoto disastroso demolì il castello e il paese di Rocca Calascio, e solo alcune case nella parte bassa dell'abitato furono ricostruite. Questo portò a un progressivo spopolamento, con la popolazione che scese da circa 800 nel 1600 a zero nel 1957. Anche Calascio, il paese sottostante, subì un declino simile a partire dalla fine dell'800 a causa dell'emigrazione massiccia. Da una popolazione di circa 1900 abitanti nel 1860, scese a soli 299 nel 1892. Il Futuro di Rocca Calascio Nonostante la sua storia travagliata, Rocca Calascio è oggi un gioiello turistico, attirando visitatori da tutto il mondo. La sua bellezza e la sua storia unica sono un richiamo irresistibile per gli appassionati di cultura e natura. Inoltre, tieni d'occhio il nostro canale YouTube Giardinoweb, dove presto pubblicheremo un nuovo video per farvi scoprire ancora di più la magia di questo luogo straordinario. Restate connessi e non perdetelo! Rocca Calascio è un luogo che incanta e ispira, una testimonianza della maestosità dell'Italia e della sua storia. Non vediamo l'ora di condividere ulteriori scoperte su questo affascinante tesoro con voi. Grazie per averci seguito, e a presto! Read the full article
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Fatta eccezione per la Francia precocemente malthusiana della Terza Repubblica, l'Europa non era in grado di offrire granché ai suoi abitanti in soprannumero. Condannati a espatriare, essi cominciarono con il raggiungere a milioni, a partire dal 1880, i nuovi territori di insediamento bianco: gli Stati Uniti e il Canada, l'America latina, l'Australia. L'ondata raggiunse tali proporzioni che quei paesi chiusero le porte, o le lasciarono aperte soltanto a metà. Quando, nel 1964, gli Stati Uniti decisero di trasferire ai "paesi poveri" (quelli mediterranei) le quote di immigrazione (2 per cento degli effettivi insediati in America nel 1890) inutilizzate dai "paesi ricchi" (anglosassoni, tedeschi o scandinavi), si era già verificato il subentro dell'Europa industrializzata. A turno, italiani e nordafricani, spagnoli e portoghesi, iugoslavi, greci e turchi presero la via della Germania e della Svizzera, della Francia e dei paesi del Benelux, diventando le "braccia" della crescita degli anni 1955-75. Si ripeteva, a cinquant'anni di distanza, la storia delle grandi trasmigrazioni transoceaniche: la partenza in massa dei giovani in età da lavoro dalle regioni rurali più sovrappopolate; il loro raggruppamento in comunità di origine in grado di assicurare l'accoglienza, il primo impiego e quel minimo di calore umano indispensabile all'integrazione; la loro utilizzazione per i compiti più duri, meno qualificati e meno remunerativi; la loro facile espulsione in caso di crisi; i conflitti tra minoranze e autoctoni, spia delle difficoltà di assimilazione. L'Italia è con ogni probabilità il paese che più è stato modificato da tale recente mobilità. In poco più di un secolo (1860-1970), ha registrato 25 milioni di partenze - per la verità non tutte definitive -, pari alla metà della sua popolazione nel 1960. Si tratta di un caso per molti versi esemplare. La prima emigrazione, a partire dagli inizi del XIX secolo, aveva avuto come meta soprattutto il bacino mediterraneo, l'Egitto, la Tunisia e in particolare l'Impero ottomano, dove gli italiani, eredi dei genovesi e dei veneziani di Pera-Calata - il quartiere "franco", ossia europeo, di Istanbul -, si impongono come commercianti e negozianti, architetti e medici, ingegneri e operai delle ferrovie: una emigrazione di "tecnici". La realizzazione dell'unità, però, sconvolge l'economia e la società della penisola. A voler partire saranno ormai in maggioranza rurali, contadini senza terra, a malapena in grado di pagarsi il viaggio: li ritroveremo come operai - spesso malvisti in quanto "crumiri" - nell'agricoltura, nell'edilizia, nelle miniere. È un'emigrazione della miseria e delle illusioni perdute. Verso il 1860-80 emigranti provenienti dal Piemonte, dalla Toscana o dall'Emilia si spargono per l'Europa, e soprattutto in Francia: a partire, però, sono per il momento soltanto in 100.000 circa all'anno. Dopo il 1880 tale numero raddoppia, triplica, supera i 600.000 nel decennio 1901-10, e raggiunge la cifra record di 872.598 nel 1913. Provengono dalle zone rurali più povere, dal Veneto e soprattutto dal Sud, dalla Sicilia e dalla Calabria, dalle Puglie e dagli Abruzzi. Attraversano l'Atlantico, raggiungono l'Argentina, il Brasile meridionale - dove fondano città dai nomi evocativi, quali Nova Venetia, Nova Trento, Nova Vicenza, Nova Milano - e soprattutto gli Stati Uniti. Poverissimi, si stabiliscono nelle città e qui ricostituiscono quartieri e reti di rapporti interpersonali: Little Italy, Brooklyn, una cultura comune fatta, come scrive S. Romano, “un po' di religione, un po' di superstizione, un po' di patriottismo e un po' di gastronomia". E anche, mito o realtà, la mafia. Finisce così per prevalere un po' dappertutto l'immagine di un italiano resistente all'assimilazione, attaccato alla sua lingua, ai suoi costumi e al suo stile di vita, di volta in volta "crumiro" e "sovversivo". Dal pogrom di New Orleans nell'ottobre del 1890 all'esecuzione di Sacco e Vanzetti nel 1927, nonché al complesso della letteratura di ieri e di oggi sul sindacato del crimine, tutta la comunità italoamericana ne ha pagato il prezzo, e un prezzo pesante. In Francia, peraltro, è stato bandito dai manuali di storia, per carità di patria, il ricordo degli incidenti di Aigues-Mortes, nell'agosto del 1893 (una cinquantina di morti) e di Lione, nel giugno del 1894, dopo l'assassinio di Sadi Carnot per mano di Sante Caserio. Chi legge, oggi, il romanzo di L. Bertrand L'Invasion, che nel 1907 denunciava il "pericolo italiano"? Con le limitazioni imposte sia dagli Stati Uniti sia dal fascismo, e in seguito alla crisi degli anni '30, il movimento rallentò fin quasi a interrompersi. Dopo la guerra però eccolo riprendere vigore, diretto questa volta più verso la Svizzera e la Germania che non verso il Canada e gli Stati Uniti: intorno al 1960 l'Italia è ancora il paese che fornisce i più grossi contingenti di manodopera all'Europa industrializzata. Con il "miracolo economico", però, tale emigrazione pressoché tradizionale è aggravata ed entra in competizione con un'altra, questa volta interna, che ha per meta l'Italia del Nord, le città e le fabbriche della Lombardia e del Piemonte, e anche le campagne, dove i meridionali sostituiscono, sui terreni meno produttivi, i contadini che già li hanno abbandonati. Dei quattro milioni di uomini e donne che in vent'anni (1951-71) hanno lasciato il Sud, solo un milione si è recato all'estero. Durante l'autunno caldo del 1969, anche Torino e Milano scoprono i sordidi "ghetti", popolati di calabresi e siciliani, che hanno invaso le loro periferie, e insieme il volto sempiterno del razzismo: sono sempre i meridionali, esclusi senza complimenti dai quartieri borghesi, a occupare nei giornali le pagine di cronaca nera, colpevoli, manco a dirlo, di tutti i delitti. Ma neppure le dinamiche industrie del Nord bastano ad assorbire l'enorme massa degli emigranti: molti sono ancora ammucchiati, prima tappa o sosta provvisoria, nelle borgate e nelle bidonvilles delle periferie di Napoli e di Roma, in attesa di un ipotetico impiego in qualche ufficio o ministero promesso da un lontano cugino o da un grande elettore dei partiti al potere... Intanto, nelle campagne siciliane disertate dalla loro popolazione, bisogna fare appello ai tunisini per le vendemmie nella zona di Marsala: e ancora una volta, ecco affacciarsi il razzismo. Nello spazio di un secolo l'Italia percorre così tutto il grande ciclo delle migrazioni moderne, che svuotano a uno a uno tutti i paesi mediterranei - e all'interno di ciascuno le regioni più diseredate - delle popolazioni di campagna, mobilitandole a svolgere i compiti più bassi presso le economie industriali.
Maurice Aymard, Migrazioni, saggio raccolto in:
Fernand Braudel (a cura di), Il Mediterraneo, (traduzione di Elena De Angeli; collana Tascabili, n° 7), 2002¹³; pp. 221-24.
[ Edizione originale: La Méditerranée, Paris, Flammarion, 1985 ]
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«Per andare a Roma adesso ci vuole il passaporto» gridò Berardo. «Ogni giorno ne inventano un'altra».
«Perché?» domandò Baldissera. «Non è più dell'Italia?»
Il suo racconto fu molto confuso.
«Stavo alla stazione» disse. «Avevo fatto il biglietto. È entrata una pattuglia di carabinieri e han cominciato a domandare le carte a tutti, a chiedere le ragioni del viaggio. Io ho subito detto la verità e cioè che volevo andare a Cammarese per lavorare. Han risposto: "Bene, hai la tessera?». Che tessera? "Senza tessera non si lavora. «Ma che tessera?» Impossibile di avere una spiegazione chiara. Mi han fatto restituire il prezzo del biglietto e mi han messo fuori della stazione. Allora mi è venuta l'idea di andare a piedi fino alla stazione seguente e di prendere il treno di là. Appena fatto il biglietto, ecco due carabinieri. Dove vado? Dico, a Cammarese, per lavorare. Mi han domandato: «Fuori la tessera". E io, che tessera? Che c'entra la tessera? «Senza tessera non si può lavorare» , dicono "così è nel nuovo regolamento dell'emigrazione interna. «Ho cercato di convincerli che io non andavo a Cammarese per l'emigrazione interna, ma soltanto per lavorare. Però è stato tutto inutile. «Noi abbiamo degli ordini» hanno detto i carabinieri. «Senza tessera non possiamo permettere di salire in treno a nessun operaio che si trasferisca in altra regione per lavorare».
«Mi hanno fatto restituire il prezzo del biglietto e mi han messo fuori della stazione. Ma quella storia della tessera non mi andava giù. Sono entrato in una osteria e ho attaccato discorso con quelli che c'erano. «La tessera? Come, non sai che cos'è la tessera?» mi ha detto un carrettiere. «Durante la guerra non si parlava che di tessera». Ed eccomi nuovamente qui, dopo aver perduto la giornata».
Il più colpito dal racconto di Berardo fu il generale Baldissera che cercò fra le sue cartacce e tirò fuori un foglio stampato.
«Anche qui si parla di tessera» disse assai allarmato.
Infatti si parlava di tessera. La federazione dell'artigianato invitava perentoriamente il generale Baldissera a fornirsi della tessera di scarparo.
«Alcune settimane fa, anche Elvira ricevette una lettera simile» aggiunse Marietta. «Non c'è più libertà di lavoro. Le hanno scritto che se vuole continuare a esercitare l'arte della tintoria, deve pagare una tassa e fornirsi di tessera».
Questa coincidenza delle lettere arrivate a Fontamara e degli incidenti toccati a Berardo mi indussero ad avanzare il dubbio che probabilmente doveva trattarsi di una burla.
«Cosa c'entra il Governo con l'arte dello scarparo e del tintore?» dissi. «Cosa c'entra il Governo coi cafoni che vanno in cerca di lavoro da una provincia all'altra? I governanti hanno altro da pensare» dissi. «Questi sono affari privati. Solo in tempo di guerra si ammettono prepotenze simili. Ma adesso non siamo in guerra».
«Cosa ne sai tu?» mi interruppe il generale Baldissera. «Cosa ne sai tu se siamo in pace o in guerra?»
Questa domanda ci impressionò tutti.
«Se il Governo impone la tessera, vuol dire che siamo in guerra» continuò in tono lugubre il generale.
«Contro chi la guerra?» chiese Berardo. «È possibile che siamo in guerra senza che se ne sappia nulla?»
«Cosa ne sai tu?» riprese il generale. «Cosa ne vuoi sapere tu, cafone ignorante e senza terra? La guerra sono i cafoni che la combattono, ma sono le autorità che la dichiarano. Quando scoppiò l'ultima guerra, a Fontamara sapeva qualcuno contro chi fosse? Pilato s'incaponiva a dire che fosse contro Menelik. Simpliciano affermava che fosse contro i Turchi. Solo molto più tardi si seppe che era soltanto contro Trento e Trieste. Ma ci sono state guerre che nessuno ha mai capito contro chi fossero. Una guerra è una cosa talmente complicata che un cafone non può mai capirla. Un cafone vede una piccolissima parte della guerra, per esempio la tessera, e questo lo impressiona. "Il cittadino" vede una parte molto più larga, le caserme, le fabbriche d'armi. Il re vede un intero paese. Solo Dio vede tutto».
(Ignazio Silone,Fontamara)
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Discendenti delle tribù perdute
Pakhtuns/Pashtun dell'Afghanistan e del Pakistan
Tra i pashtun c'è la tradizione di discendere dalle tribù perdute in esilio di Israele. Questa tradizione è stata citata nella letteratura occidentale del XIX secolo ed è stata anche incorporata nella letteratura delle \"tribù perdute\" popolare all'epoca (in particolare Le tribù perdute di George Moore del 1861). Recentemente (2000), l'interesse per l'argomento è stato risvegliato dall'antropologa di Gerusalemme Shalva Weil, citata dalla stampa popolare, secondo la quale \"i Talebani possono discendere dagli ebrei\". Le tradizioni che circondano i pashtun, essendo remoti discendenti delle \"tribù perdute di Israele\", vanno distinte dalla storica comunità ebraica dell'Afghanistan orientale o del Pakistan nordoccidentale, fiorita dal VII secolo circa all'inizio del XX, ma essenzialmente scomparsa a causa dell'emigrazione in Israele a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso. Molti membri dei Talebani provengono dalle tribù pashtun e non necessariamente rinunciano alla loro presunta discendenza \"israelita\". I pashtun in Afghanistan sono discendenti delle tribù Ruben, Ephraim, Gan e Asher.
Ebrei curdi
Alcune tradizioni degli ebrei curdi sostengono che gli israeliti della tribù di Beniamino arrivarono per la prima volta nell'area del Kurdistan moderno dopo la conquista assira del Regno di Israele nel corso dell'VIII secolo a.C.; successivamente furono trasferiti nella capitale assira. Durante il primo secolo a.C., la casa reale assira di Adiabene- che, secondo lo storico ebreo Flavio Giuseppe, era etnicamente assira e la cui capitale era Erbil (aramaico: Arbala; curdo: Hewlêr) - fu convertita all'ebraismo. Re Monobazes, la sua regina Elena, suo figlio e il suo successore Izates sono registrati come i primi proseliti.
Ebrei del Kashmir
La teoria della discendenza del Kashmir dalle tribù perdute di Israele è stata suggerita per la prima volta da Al-Biruni, il famoso studioso persiano musulmano dell'XI secolo. Secondo Al Biruni, \"In passato gli abitanti del Kashmir permettevano l'ingresso nel loro Paese a uno o due stranieri, in particolare agli ebrei, ma attualmente non permettono l'ingresso a nessun indù che non conoscono personalmente, tanto meno ad altre persone\". François Bernier, un medico francese del XVII secolo e Sir Francis Younghusband, che ha esplorato questa regione nell'Ottocento, ha commentato la fisionomia simile tra il Kashmir e gli ebrei, con \"pelle chiara, nasi sporgenti\" e forme simili della testa. Baikunth Nath Sharga sostiene che, nonostante le somiglianze etimologiche tra i cognomi kashmiri e quelli ebraici, i pandit del Kashmir sono di origine indo-ariana, mentre gli ebrei sono di origine semitica.
Bene Israele
Dopo aver appreso dell'ebraismo normativo nel XIX secolo, un gruppo di ebrei dell'India, chiamati Bene Israel, migrarono spesso dai villaggi di Konkan alle città vicine, tra cui Mumbai, Pune, Ahmedabad e Karachi. Basandosi sulla tradizione delle Bene Israel, dopo secoli di viaggi attraverso l'Asia occidentale da Israele, i loro antenati migrarono in India e si assimilarono lentamente nella comunità circostante, pur mantenendo particolari tradizioni ebraiche. David Rahabi, un ebreo indiano, trovò le Bene Israel nel XVIII secolo e prese nota delle loro usanze ebraiche. Alcuni storici notano che gli antenati delle Bene Israel appartenevano a una delle tribù perdute di Israele; tuttavia, le autorità ebraiche non hanno riconosciuto ufficialmente le Bene Israel come una delle tribù perdute. Nel 1964 il Rabbinato israeliano ha stabilito che le Bene Israel sono \"ebrei completi sotto ogni aspetto\".
Ebrei Bnei
Dalla fine del XX secolo, alcune tribù degli stati indiani del nord-est di Mizoram e Manipur affermano di essere israeliti perduti e studiano anche l'ebraico e il giudaismo. Il rabbino capo di Israele ha stabilito nel 2005 che i Bnei Menashe sono stati riconosciuti come parte di una tribù perduta, permettendo l'aliyah dopo la conversione formale.
Beta Israele
I Beta Israel (\"Casa di Israele\") sono ebrei etiopi, chiamati anche \"Falashas\" in passato. Alcuni membri del Beta Israele, così come diversi studiosi ebrei, credono di discendere dalla perduta Tribù di Dan, in contrapposizione alla tradizionale storia della loro discendenza dalla Regina di Saba.
Hanno la tradizione di essere legati a Gerusalemme. I primi studi sul DNA hanno dimostrato che discendono dall'Etiopia, ma nel XXI secolo nuovi studi hanno dimostrato la loro possibile discendenza da alcuni ebrei vissuti nel IV o V secolo, forse in Sudan. Nel 1973 il rabbino Ovadia Yosef, allora rabbino capo sefardita, sulla base dei conti Radbaz e di altri conti, dichiarò che il Beta Israele era ebreo e che doveva essere portato in Israele; due anni dopo questa opinione fu confermata da una serie di altre autorità, tra cui il rabbino capo ashkenazista Shlomo Goren.
Tribù Sefwi in Ghana
La tribù Sefwi in Ghana ha una storia che segue alcune pratiche giudaiche, tra cui l'osservazione del Sabbath, la circoncisione dei bambini quando compiono otto giorni (brit milah), un rito di virilità per i ragazzi quando compiono 13 anni, l'osservazione delle leggi sulla purezza familiare (taharat mishpacha o niddah). Nel 1977 un membro della tribù, Aaron Ahotre Toakyirafa, ebbe la visione di essere ebreo e discendente da una tribù perduta di Israele. Alcuni studiosi ritengono che queste usanze ebraiche furono probabilmente portate in Ghana da ebrei che furono espulsi dalla Spagna nel 1492 e emigrarono a sud del Marocco. La comunità divenne nota come la \"Casa di Israele\".
lgbo ebrei
Gli ebrei Igbo nigeriani reclamano variamente discendenza dalle tribù di Efraim, Neftali, Menasse, Levi, Zebulun e Gad. La teoria, tuttavia, non regge al controllo storico. Gli storici hanno esaminato la letteratura storica sull'Africa occidentale dall'era coloniale e hanno chiarito diverse funzioni che tali teorie servivano agli scrittori che le proponevano.
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Tutto quello che Matteo Salvini non vi dice: scende in piazza la strategia della paura DI FABRIZIO GATTI Matteo Salvini porta in piazza la strategia della paura: la paura che scatena rabbia contro gli immigrati, i diversi e chiunque non la pensi come il governo. «L'Italia rialza la testa» grida lo slogan sulla sua pagina Facebook, per chiamare i quasi tre milioni e mezzo di seguaci alla manifestazione di sabato. Sì, l'Italia leghista dovrà alzare la testa nel guardare il suo leader salito da sei mesi al potere con l'incarico di vicepremier e ministro dell'Interno. Ma intanto si è tappata le orecchie, ha chiuso gli occhi e serrato la bocca: come nell'immagine della famosa scimmietta. C'è infatti una storia che Salvini non vuole raccontare e che il suo popolo si guarda bene dal chiedergli. E non ci riferiamo soltanto ai 49 milioni che la Lega ha rubato allo Stato italiano e che grazie a un accordo scandaloso restituirà in ottant'anni. C'è molto altro di cui il ministro Salvini non vuole parlare. Non ci dice che la sua promessa elettorale di rimpatriare cinquecentomila irregolari è pura fantasia. E che nei primi tre mesi del suo mandato, da giugno a settembre 2018, ha fatto perfino peggio del suo predecessore del Pd: 1.296 persone rimpatriate da Salvini contro i 1.506 rimpatri forzati eseguiti, secondo i dati comunicati dal Viminale, nello stesso periodo del 2017 da Marco Minniti. Non ci dice che il suo decreto sicurezza nel giro di pochi mesi provocherà almeno diciannovemila senzatetto, disseminando insicurezza nelle città italiane: insicurezza soprattutto per chi finirà a dormire sui marciapiedi, comprese famiglie con mamme e bambini.... Non ci dice che i rimpatri forzati costano oltre 7.000 euro a persona: perché, oltre alle spese di viaggio, richiedono la scorta di due o tre agenti di polizia per ciascun irregolare, che una volta arrivato in patria si ritrova nelle stesse condizioni che l'avevano spinto a emigrare. ...Non ci dice che i ritorni volontari assistiti, che costano quasi la metà di quelli forzati che piacciono alla Lega, sono bloccati da sei mesi: perché da quando è arrivato Matteo Salvini al ministero dell'Interno soltanto a fine ottobre è stato pubblicato il bando per il ritorno volontario assistito dei prossimi tre anni. Così 684 persone che hanno fatto domanda, delle quali 337 avevano già ottenuto dalle questure l'autorizzazione a partire, rimarranno in Italia con i documenti in scadenza o scaduti. ...Non ci dice che da ministro non è mai stato in Niger, Mali, Senegal, Gambia, Ghana, Pakistan, Bangladesh, Nigeria, Algeria o Costa d'Avorio. E che senza buone relazioni e accordi bilaterali con i Paesi d'origine dell'emigrazione, Matteo Salvini è soltanto un arruffapopolo.
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Mi presento, sono Giuseppe Magi e oggi insieme ad altri personaggi vi attendiamo presso il Museo della Figurina di gesso e dell'Emigrazione di Coreglia Antelminelli in uno spettacolo teatrale Site-Specific con l'intento di farvi vivere un'esperienza emozionante tra le sale del museo ricche di storia e di eredità. #museo #spettacolo #teatro #cultura #attore #storia #emigrazione #figurinaio #scultura #arte #history #museum #act #actor #theatre #emigration #legacy #art #artoftheday #picoftheday #culture #instaart #igersitalia #igerstoscana #igerstuscany #igerslucca #igerscoreglia (presso Museo della Figurina di Gesso E Dell'Emigrazione) https://www.instagram.com/p/CSRSPGhoZQV/?utm_medium=tumblr
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Dalla Valle dell'elvo al mondo. Il centro custodisce il materiale raccolto tra 2001 e 2006 dal gruppo di studio che ha prodotto una collana di 8 volumi dedicati alla storia dell'emigrazione Dalla Valle Elvo e della Serra: le registrazioni delle interviste degli emigranti, la documentazione fotografica realizzata per la mostra allestita al termine della ricerca, i documenti, le lettere e gli scritti Donati Dai protagonisti o dai loro familiari. Presso il Centro continua l'opera di raccolta di informazioni e testimonianze sul fenomeno migratorio. Centro di documentazione sull'emigrazione. Ex società operaia, via Umberto - Donato. Telefono 338 44 59 933 - www.ecomuseo.it - ingresso libero #retemusealebiellese @retemusebi @viaggiaescopri @lelelatta @explorebiella (presso Donato) https://www.instagram.com/p/BzVoNRkiuJn/?igshid=px3qnysce3zd
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Dalla Valle dell'elvo al mondo. Il centro custodisce il materiale raccolto tra 2001 e 2006 dal gruppo di studio che ha prodotto una collana di 8 volumi dedicati alla storia dell'emigrazione Dalla Valle Elvo e della Serra: le registrazioni delle interviste degli emigranti, la documentazione fotografica realizzata per la mostra allestita al termine della ricerca, i documenti, le lettere e gli scritti Donati Dai protagonisti o dai loro familiari. Presso il Centro continua l'opera di raccolta di informazioni e testimonianze sul fenomeno migratorio. Centro di documentazione sull'emigrazione. Ex società operaia, via Umberto - Donato. Telefono 338 44 59 933 - www.ecomuseo.it - ingresso libero #retemusealebiellese @retemusebi @viaggiaescopri @lelelatta (presso Donato) https://www.instagram.com/p/BzPpbF4CQh8/?igshid=vpe34mh433p9
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La palomma, all'archivio di Stato di Frosinone la storia dell'emigrazione del frusinate
La palomma, all’archivio di Stato di Frosinone la storia dell’emigrazione del frusinate
La nostra Provincia è stata investita dal fenomeno epocale delle migrazioni con migliaia di uomini, donne e bambini che hanno intrapreso lunghi viaggi verso destinazioni spesso sconosciute, con la speranza di un futuro migliore del misero vivere presente.
La mostra organizzata dall’Archivio di Stato di Frosinone, in occasione della Domenica di Carta 2018, vuole documentare il fenomeno…
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Venezia. Il benvenuto del Presidente della regione a Papa Francesco: sarà in visita a Venezia nella giornata di domenica 28 aprile.
Venezia. Il benvenuto del Presidente della regione a Papa Francesco: sarà in visita a Venezia nella giornata di domenica 28 aprile. "Sono certo di rappresentare i sentimenti di tutti i Veneti nel dare il benvenuto nella nostra regione, a Venezia, a Papa Francesco. La sua visita nel Veneto ci onora e ci riempie di gioia, assumendo un valore che va ben oltre l'aspetto religioso che pure rimane fondamentale perché chi vive in questa terra, anche se non credente o di altra fede, non può non cogliere il valore di una storia e di una cultura millenaria legata al Cristianesimo da cui derivano la nostra identità, il nostro senso di solidarietà e la nostra forza di comunità. Così come anche il laico riconosce la statura della personalità del Pontefice e trova spunti di profonda riflessione in ogni suo appello. Per questo lo accogliamo a braccia aperte". Così il Presidente della Regione del Veneto saluta l'arrivo di Papa Francesco che sarà a Venezia, domenica prossima 28 aprile. Prosegue il Presidente: "Quando Sua Santità sarà in Piazza San Marco avrà davanti a sé numerosissimi veneti accorsi per incontrarlo. Sono i rappresentanti degli oltre 4 milioni di persone che vivono in questa regione, diventata negli ultimi decenni uno dei primi distretti produttivi d'Europa e del Mondo. Una terra che ha conosciuto il dramma dell'emigrazione con la diaspora di intere famiglie ma che si è conquistata un benessere diffuso con il duro lavoro, la forza di volontà, in una visione di collaborazione e di progresso. Caratteristiche ereditate da una società rurale e povera ma che si contraddistingueva per carità, semplicità, laboriosità, impegno e attenzione verso il prossimo come hanno testimoniato universalmente i suoi predecessori, tutti di origine contadina, che nel secolo scorso sono usciti dal Patriarcato che si affaccia sulla piazza per essere eletti alla cattedra di San Pietro: Pio X, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo I, tutti e tre saliti agli onori degli altari. Siamo figli di quella tradizione, quella del 'prendersi cura' come conferma l'alto numero di Veneti, almeno 1 ogni 5, impegnati nel sociale, svolgendo in prima persona attività di volontariato". "Dall'Evangelista Marco abbiamo ereditato il simbolo del Leone Alato che qui a Venezia ha la sua più alta espressione e di cui è disseminato tutto il Veneto – conclude il Presidente della Regione -. Quel simbolo contiene un messaggio: 'Pax Tibi'. Secondo la tradizione, è stato il saluto alle spoglie del Santo giunte in questa terra, ma da sempre è anche un auspicio di Pace. Quella pace che Papa Francesco, in questi anni, non ha mai smesso di difendere e invocare e di cui il mondo, oggi più che mai, dimostra di avere tanto bisogno. Un appello che sono certo farà suo anche domenica, sostenuto dalla volontà e dalle speranze di pace di noi Veneti".... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Libri senza parole: a spasso fra i Silent Books che piacciono anche ai grandi
Ebbene si, quello che vi proponiamo oggi è un percorso di lettura fra libri senza parole . Strano, vero? I silent books – libri silenziosi, senza parole, appunto – nascono per i bambini. E, ai bambini, permettono di sviluppare la fantasia, di imparare a leggere le immagini, di farsi trasportare dalla magia di un racconto. Qui gli adulti sono solo “spalle”, accompagnatori che stimolano i bambini a guardare, a soffermarsi su alcuni particolari, invitandoli a dare la loro interpretazione di ciò che vedono, a parlare. Ma ci sono anche silent books per adulti. Si tratta di albi illustrati complessi e affascinanti. Con immagini che, non solo stimolano la fantasia, ma sono poesia per gli occhi: vere e proprie opere d’arte con una storia da raccontare.
Capolavori appartenenti al genere sono L’approdo, del premio nobel Shaun Taun e Fiume lento di Alessandro Sanna, due opere molto diverse, unite dalla profondità con cui raccontano un viaggio. Ovviamente senza proferir parola.
L’approdo ci parla del dramma dell'emigrazione in una serie di tavole sognanti e, contemporaneamente, realistiche, surreali e terribilmente attuali. Senza una parola di troppo, senza che una sola frase venga sprecata. Fiume lento - che ha vinto il prestigioso premio Andersen per il Miglior Albo illustrato nel 2014 - è, invece, il racconto di tempi e momenti di vita differenti sulle rive del fiume Po, che esonda, che viene navigato, che “assiste” alla festa del paese. Sono tavole delicate e piene di poesia.
Susy Lee, autrice e illustratrice coreana molto amata e affermata, nel suo La trilogia del limite ci spiega passo passo come sono nati i suoi celebri albi illustrati. Quali i ragionamenti, le considerazioni, i dubbi e le revisioni che hanno caratterizzato la genesi dei suoi lavori.Cosa accadrebbe se le componenti fisiche del libro diventassero parte della storia? E se il libro stesso diventasse parte dell’esperienza di lettura? Questa è l’idea comune che lega Mirror, L’onda e Ombra. Tutti e tre hanno il loro fulcro nella piega centrale del libro, che diventa specchio su cui riflettersi, confine tra realtà e fantasia, limite psicologico, ingresso in un’altra dimensione.
Anche Orizzonti, di Paola Formica, racconta una storia di fuga e di migrazione: l'attraversamento del deserto, la spiaggia da cui partono le barche arrugginite, gli sguardi impauriti nella notte buia sull'oceano, l'infinito blu del mare, e poi di nuovo un'altra spiaggia. Oltre l’albero, di Mandana Sadat ci porta invece in un viaggio d’iniziazione, sviluppando la storia del rapporto di diffidenza e poi di complicità tra una vecchia e una bambina. Flotsam, di David Wiesner, è invece - in immagini - un viaggio per immagini. Che è anche un viaggio d’esplorazione, di magia e condivisione.
Ci sono poi svariate versioni di celebri fiabe, reinterpretate e riproposte. Fra queste spiccano le due versioni di Cappuccetto rosso di Juanjo G. Oller e di Beatriz Martin Vidal. Quest’ultima, con il suo meraviglioso Little Red, ci apre le porte di un viaggio di ricerca introspettivo.
Un viaggio è anche quello di Alice nel paese delle meraviglie, nella versione di Suzy Lee, viaggio che si snoda fra giochi d'ombre, illusioni spaziali e citazioni artistiche. Un libro fatto di immagini nelle immagini e storie nelle storie, che iniziano in un improvvisato teatro con orchestra e spettatori, proseguono in un mondo nascosto fra oggetti quotidiani e terminano sospese nell'intervallo fra illusione e realtà. Nel suo intenso bianco e nero, questo libro è un'insolita avventura visiva attorno alla celebre frase di Lewis Carroll: "Tutta la nostra vita non è forse che un sogno?" .
Il bello dei silent books è che sono libri democratici: permettono di superare le barriere linguistiche e favoriscono l’incontro e lo scambio fra culture diverse. In ognuno di loro è racchiusa una storia scritta apposta per noi che non vede l’ora di essere narrata. Sono una promessa quasi infinita di storie, di ascolti, di magia.
Vi salutiamo dunque con la storia di uno strano incontro, che diventa scambio ed arricchimento: l’incantevole La strega e lo spaventapasseri, di Gabriel Pacheco, dai tratti delicati e poetici.
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“ Stavano, con le loro valige di cartone e i loro fagotti su un tratto di spiaggia pietrosa, riparata da colline, tra Gela e Licata: vi erano arrivati all'imbrunire, ed erano partiti all'alba dai loro paesi; paesi interni, lontani dal mare, aggrumati nell'arida plaga del feudo. Qualcuno di loro, era la prima volta che vedeva il mare: e sgomentava il pensiero di dover attraversarlo tutto, da quella deserta spiaggia della Sicilia, di notte, ad un'altra deserta spiaggia dell'America, pure di notte. Perché i patti erano questi: "Io di notte vi imbarco" aveva detto l'uomo: una specie di commesso viaggiatore per la parlantina, ma serio e onesto nel volto "e di notte vi sbarco: sulla spiaggia del Nugioirsi, vi sbarco; a due passi da Nuovaiorche… E chi ha parenti in America, può scrivergli che aspettino alla stazione di Trenton, dodici giorni dopo l'imbarco… Fatevi il conto da voi… Certo, il giorno preciso non posso assicurarvelo: mettiamo che c'è mare grosso, mettiamo che la guardia costiera stia a vigilare… Un giorno più o un giorno meno, non vi fa niente: l'importante è sbarcare in America". L'importante era davvero sbarcare in America: come e quando non aveva poi importanza. Se ai loro parenti arrivavano le lettere, con quegli indirizzi confusi e sgorbi che riuscivano a tracciare sulle buste, sarebbero arrivati anche loro, «chi ha lingua passa il mare», giustamente diceva il proverbio. E avrebbero passato il mare, quel grande mare oscuro, e sarebbero approdati agli stori e alle farme dell'America, all'affetto dei loro fratelli zii nipoti cugini, alle calde ricche abbondanti case, alle automobili grandi come case. Duecentocinquantamila lire: metà alla partenza, metà all'arrivo. Le tenevano, a modo di scapolari, tra la pelle e la camicia. Avevano venduto tutto quello che avevano da vendere, per racimolarle: la casa terragna il mulo l'asino le provviste dell'annata il canterano le coltri. I più furbi avevano fatto ricorso agli usurai, con la segreta intenzione di fregarli; una volta almeno, dopo anni che ne subivano angaria: e ne avevano soddisfazione, al pensiero della faccia che avrebbero fatta nell'apprendere la notizia. «Vieni a cercarmi in America, sanguisuga: magari ti ridò i tuoi soldi, ma senza interesse, se ti riesce di trovarmi.» Il sogno dell'America traboccava di dollari: non più, il denaro, custodito nel logoro portafogli o nascosto tra la camicia e la pelle, ma cacciato con noncuranza nelle tasche dei pantaloni, tirato fuori a manciate: come avevano visto fare ai loro parenti, che erano partiti morti di fame, magri e cotti dal sole; e dopo venti o trent'anni tornavano, ma per una breve vacanza, con la faccia piena e rosea che faceva bel contrasto coi capelli candidi. “
Leonardo Sciascia, Il lungo viaggio, racconto contenuto in:
Id., Il mare colore del vino, Einaudi (collana Nuovi Coralli, n° 82), 1980⁵; pp. 19-20.
Nota: La terza raccolta di scritti brevi dello scrittore siciliano comparve dapprima nel 1966 col titolo Racconti siciliani, pubblicata in appena 150 copie, impreziosite da una acquaforte di Emilio Greco, dall’ “Istituto statale d'arte per la decorazione e la illustrazione del libro” di Urbino. Nel 1973 Einaudi ripropose l’opera ampliata e commentata da una nota dell’autore, il quale la considerò quasi un sommario della propria attività letteraria.
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