#figurinaio
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beatricecenci · 2 years ago
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Gerolamo Induno (Italian, 1825-1890)
Il figurinaio
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sebastianocatig · 3 years ago
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Mi presento, sono Giuseppe Magi e oggi insieme ad altri personaggi vi attendiamo presso il Museo della Figurina di gesso e dell'Emigrazione di Coreglia Antelminelli in uno spettacolo teatrale Site-Specific con l'intento di farvi vivere un'esperienza emozionante tra le sale del museo ricche di storia e di eredità. #museo #spettacolo #teatro #cultura #attore #storia #emigrazione #figurinaio #scultura #arte #history #museum #act #actor #theatre #emigration #legacy #art #artoftheday #picoftheday #culture #instaart #igersitalia #igerstoscana #igerstuscany #igerslucca #igerscoreglia (presso Museo della Figurina di Gesso E Dell'Emigrazione) https://www.instagram.com/p/CSRSPGhoZQV/?utm_medium=tumblr
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arteycultura27 · 5 years ago
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Autor : Gerolamo Induno. Pintor y soldado italiano 1825-1890 Milán Título de la obra: "Il Figurinaio", pintado en 1887 Óleo sobre lienzo. 54,5 x 47 cm. Colección privada. . . . . #pintoresitalianos #arteitaliano #artgram #gerolamoinduno #weekendadventures #domingueando #febrero17 #16febrero #oleosobretela #oleo #oilart #picturequotes #artreview #muylunes https://www.instagram.com/p/B8osNjalR4a/?igshid=fg8tjlblqqud
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24hdrawinglab · 7 years ago
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“… dovette, curvo sul suo piccolo tavolo (forse d’inverno con lo scaldino fra le gambe), farne molte di queste figurine per vivere in una decorosa povertà.”
Piero Bernardini, Guardare le figure. Gli illustratori italiani dei libri per l’infanzia, 1972.
  Qualche settimana fa, quando eravamo ancora sotto le festività natalizie e complice il freddo, ne abbiamo approfittato per vedere qualche film dal sapore un po’ vintage, così ci siamo imbattuti nella celebre serie “Pinocchio”, con l’indimenticabile Nino Manfredi nel ruolo di Geppetto e il piccolo (oggi adulto) Andrea Balestri nei panni del famoso burattino di Collodi. Era il 1972, quando questo famoso sceneggiato televisivo riuniva le famiglie italiane davanti alla televisione.
    Carlo Chiostri, Pinocchio, il Gatto e la Volpe al Gambero Rosso, 1901.
Carlo Chiostri, Storia di un burattino, 1901.
Non serve essere appassionati di disegno per restare colpiti dalla sigla iniziale e se vi sentite nostalgici, potete rivederla in fondo all’articolo. Sulle note dolcissime del compositore Fiorenzo Carpi, infatti, scorrono delle illustrazioni a metà strada tra realtà e fantasia che, non senza un velo di inquietudine ci offrono un salto indietro nel tempo, ancora più lontano degli anni ’70.
Per collocare questi disegni dandogli una data di nascita, dobbiamo infatti tornare all’inizio del secolo e con un po’ di attenzione, nella sigla potete già intravedere la firma del suo creatore.
Chi è l’autore di questi disegni?
Un illustratore autodidatta. Carlo Chiostri, “figurinaio fiorentino” secondo Antonio Faeti, nasce a Firenze nel 1863 ed è stato tra i primi ad illustrare la saga del burattino più monello del mondo, nel 1901. Ha eseguito le tavole per “Le Avventure di Pinocchio” a penna e acquerello e in un secondo momento le ha incise su legno. I suoi disegni ci arricchiscono di un innato sapore nordico, di una fiaba che narra di elfi e di fate, sapientemente riadattata al gusto nostrano. Fu impegnato come illustratore anche per lo scrittore e giornalista Vamba, lavorando per lui al settimanale per bambini “Il Giornalino della Domenica”, periodico chiuso definitivamente nel 1927 dopo circa vent’anni di vita.
Chiostri, che ha sapientemente illustrato le parole di grandi autori (oltre Collodi e Vamba, anche Victor Hugo e Emilio Salgari), aiutandoci con le immagini a vedere un’epoca tutta italiana attraverso la metafora arte, artista dal temperamento legato ad un’antica maestria di alto livello, quella del saper fare, oggi è quasi ignorato dal web, ad esclusione di qualche sito cultore della celebre fiaba collodiana.
Se siete interessati a conoscerlo meglio, ecco per voi una breve bibliografia su carta:
Tiziano Loschi, Documentazione. Dal figurinaio al cartoonist in Almanacco italiano 1975, volume LXXV. Firenze, Giunti-Marzocco, 1974.
Antonio Faeti, Guardare le figure. Gli illustratori italiani dei libri per l’infanzia, Torino, Einaudi, 1972, (nuova edizione, Roma, Donzelli, 2011)
C’era una volta un mago. Carlo Chiostri, a cura di Paola Pallottino, introduzione di Antonio Faeti, Bologna, Cappelli editore, 1979
Paola Pallottino, Storia dell’illustrazione italiana. Cinque secoli di immagini riprodotte, nuova edizione, Firenze, Usher Arte, 2010
Valentino Baldacci, Andrea Rauch, Pinocchio e la sua immagine, Firenze, Giunti, 1981 (nuova edizione 2006)
Un “figurinaio fiorentino”, per il burattino più monello del mondo. "... dovette, curvo sul suo piccolo tavolo (forse d'inverno con lo scaldino fra le gambe), farne molte di queste figurine per vivere in una decorosa povertà."
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ilcielodipuglia · 5 years ago
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Il presepe (Corrado Alvaro San Luca, RC 15/4/1895 – Roma 11/6/1956) Natale è la festa più bella di tutte perché con la nascita del Signore l'innocenza tornò sul mondo. Da allora, questa è la festa della speranza e della pace sembra fatto per la gioia dei ragazzi che sono la speranza del mondo. Nei paesi s'è lavorato tutta una settimana per il Presepe. Nel fondo si stendono rami di aranci carichi di frutta. Si lanciano ponti coperti di muschio da un punto all'altro, si cos!ruiscono montagne e strade ripide, steccati per le mandre e laghetti. Il Presepe ha l'aspetto di un paesaggio calabrese. Dalle valli sbucano fiumi, le montagne sono ripide e selvagge. Su tutto pende il bel giallo dell'arancio come un frutto favoloso. Il figurinaio che ha fatto i pastori sa che i ragazzi si fermeranno a guardare una per una le figurine. Perciò, meno che i soldati di Erode; tutti i pastori somigliano a persone conosciute. Sembra un paese vero. C'è quello che porta la ricottina, c'è il cacciatore col fucile, c'è quello che porta l'agnello e fuma - una lunga pipa, c'è il mendicante. C'è la gente che balla fra il tamburino, il piffero e la zampogna davanti al Presepe, c'è l'osteria dove si ammazza il maiale e la gente accanto alla fontana, dove la donnina lava i panni. Ci sono persino i carabinieri che hanno arrestato un tale che ha rubato anche nella Santa Notte! I Re Magi spuntano dall'alto della montagna coi moretti che guidano i cavalli. La stella splende - sulla grotta e gli angeli vi danzano sopra leggeri e celesti come i pensieri dei bambini e degli uomini in questi giorni. La pagina letta parla, con fresca spontaneità delle ore liete che precedono il Natale e sono testimoni della palpitante attesa dei ragazzi e di coloro che hanno conservato la purezza dt cuore. La descrizione, scritta con stile semplice e chiaro, fa apparire innanzi ai tuoi occhi il Presepio, che lentamente si va componendo in tutte le sue parti, fino ad essere completo nella sua grazia innocente. Non manca nulla al dolce paesaggio in miniatura che tanto alto significato assume, ogni anno, per i nostri cuori e certamente ora tu pensi, a quante volte, con trepida e, nozione hai costruito, simile a questo, il tuo Presepio sottomesso alla Legge di Dio come il bue si sottomette al giogo.
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aneddoticamagazinestuff · 6 years ago
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Che lavoro facevano gli emigranti del 1900?
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Che lavoro facevano gli emigranti del 1900?
La regola è primordiale: lavorare per vivere, per vivere (nel senso più stretto della parola) bisogna mangiare, per comprare da mangiare servono soldi e se vuoi i soldi devi lavorare. Questa è il principio base per cui lavoriamo. Prima c’era il baratto considerato la prima forma storica di scambio di beni: ad esempio il lavoratore arava il campo e in compenso il padrone del terreno dava al contadino generi alimentari con cui sfamare se stesso e la famiglia, poi la storia cambiò e subentrò “il vil denaro”: allo stesso modo il contadino arava il campo, il padrone pagava con sonante moneta e il lavoratore con quei soldi poteva comprare il suo cibo dove voleva. Questa sistema basilare vale per ognuno, a patto che il lavoro ci sia per tutti…Questo è il fatto per cui molti garfagnini emigravano verso paesi più ricchi e con maggiori possibilità di lavoro, generalmente è il solito motivo per cui anche oggi molti immigrati raggiungono le coste italiche. D’altronde i dati forniti dal “Rapporto sull’economia dell’immigrazione” a cura della Fondazione Moressa parlano chiaro: gli extracomunitari regolari che lavorano svolgono una mansione di media e bassa qualifica, il 74% dei collaboratori domestici è infatti straniero, così come il 56% delle badanti e il 51% dei venditori ambulanti e ancora il 39,8% dei pescatori, pastori e boscaioli e d’origine immigrata, così come il 30% dei manovali edili e braccianti agricoli. Ad oltre un secolo di distanza è interessante fare un parallelo con gli emigrati garfagnini di un tempo e vedere le differenze sui lavori svolti dagli attuali immigrati in Italia, vedremo poi che in questo senso le difformità non sono poi molte.
Figurinaio
Per gli uomini della Valle del Serchio il mestiere qualificato più praticato era quello del figurinaio. Siamo intorno al 1870, anno in cui fu svolta un’inchiesta industriale tra i lavori e i commerci degli italiani all’estero e appunto risultava al primo posto l’arte del figurinaio. A Parigi ad esempio ne esistevano una dozzina, con il tempo questi affinarono la loro arte diventando creatori di modelli, altri duecento circa erano operai figurinisti. A New York la cosa cambiava e vedeva la colonia garfagnina fatta prevalentemente da operai, furono circa undicimila che a a scalare diventeranno  agricoltori, muratori, scalpellini, marinai, pescatori, garzoni, cuochi, confettieri, figurinai in gesso, suonatori di organetto e commercianti. Una menzione particolare fra tutti questi lavoratori va ad Attilio Piccirilli, diciamo subito che con la nostra valle non ha niente a che fare, ma la vicenda va sottolineata perchè è poco conosciuta. I Piccirilli venivano da Carrara, dapprima erano impiegati nelle cave delle Apuane come cavatori, ma una volta emigrati in America si dedicarono alla scultura ornamentale.
La statua di Lincoln al Lincoln Memorial Washington
Il loro studio era a New York, nel Bronx, nel 1901 parteciparono ad un concorso con quaranta concorrenti dove si aggiudicarono il primo posto per scolpire la maestosa statua di Lincoln in quello che oggi è appunto il Lincoln Memorial a Washington. Una volta che fu realizzata l’opera arrivò la delusione più grande, il pregiudizio anti italiano colpì la commissione che aveva delegato i lavori, il nome dei Piccirilli non comparirà mai sul piedistallo della statua, ma verrà apposto solo quello del suo ideatore Chester French. D’altra parte era dura la vita dell’Italiano emigrato, nel 1889 il console italiano Giampaolo Riva di New York diceva: “Al loro primo por piede sovra questo suolo americano; ignari della lingua e degli usi, privi di appoggio e di direzione, creduli e fidenti in questa terra da loro vagheggiata come la fine di ogni miseria, come la soglia dorata di ogni prosperità, essi cadono in potere di bassi speculatori che li ingannano…”. Chi riusciva a scampare al raggiro lo aspettavano comunque i lavori più duri. Dalla Garfagnana molti si adoperarono come sterratori, boscaioli, carbonai, minatori e tantissimi erano i contadini impegnati in lavori faticosissimi è il caso di Enrico Fiori che segui una colonia di abitanti di Piazza al Serchio e Giuncugnano, diretta negli anni ’20 del ‘900 in Australia, nello stato del Queensland a lavorare nelle piantagioni di canna da zucchero.
Tagliatori di canne di zucchero in Australia
Stessa sorte toccò ad Angelo Fenili, lui andò a lavorare alla costruzione delle linee ferroviarie brasiliane nell’impresa dei fratelli Baccili originari di Vagli. Non furono comunque solo operai i garfagnini, molti si dedicarono anche al commercio. Nell’aprile del 1900 “La Domenica del Corriere” dedicò ampio spazio alla comunità italiana emigrata a Londra che risiedeva nel quartiere “italiano” di Saffon Hill, chiamato in modo spregiativo dagli inglesi “l’Abissinia“, oltre a descrivere lo stato di degrado del quartiere il giornale diceva che oltre 2500 venditori ambulanti partivano di li ogni mattina per vendere la loro merce in centro città, molti di questi erano per appunto emigrati dalla Valle del Serchio che vendevano le castagne arrosto o i gelati. Da un rapporto della polizia di Coventry al viceconsole italiano si parla di un certo Giannotti di Castiglione Garfagnana, trovato morto d’infarto in giovane età nella sua casa inglese dove abitava da solo, oltre al povero cadavere gli inquirenti rinvennero anche il testamento, dove oltre a “due para” di mutande ed a un orologio in argento lasciava ai suoi cari, residenti nella lontanissima Garfagnana, anche un carretto per la vendita del gelato, uno sbatti uova e un mescolatore…tutto frutto del suo lavoro. Ci sono stati anche coloro che furono più fortunati, da semplici commercianti con il tempo passarono ad essere dei veri e propri industriali.
Il “forno” Gonnella a Chicago
Questo infatti è quello che successe alla ditta alimentare Gonnella. Alessandro Gonnella arrivò a Chicago nel 1886 e li riprese l’attività che aveva abbandonato a Barga, infatti riapri in città un piccolo forno in cui lavorava da solo. L’azienda cominciò a svilupparsi quando gli venne la brillante idea di consegnare il pane a domicilio. Agli inizi del ‘900 gli vennero in aiuto i fratelli della moglie e nel 1915 fu costruita in Erie Street, quella che ancora oggi è la sede principale del gruppo industriale. Attualmente è fra le migliori cento panetterie americane. Destini e storie che s’intrecciano con il passare dei secoli, oggi sui giornali sembra leggere le solite cose scritte su questo articolo: lavori duri, umili, pesanti, talvolta si sente parlare di migranti raggirati o truffati…insomma le storie purtroppo non cambiano, ma i protagonisti si…
      Bibliografia
Rapporto annuale sull’economia e l’immigrazione 2017 Fondazione Leone Moressa
“Storie di ieri, storie di oggi, di donne di Uomini. Migranti” Fondazione Paolo Cresci
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aneddoticamagazinestuff · 6 years ago
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Che lavoro facevano gli emigranti del 1900?
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Che lavoro facevano gli emigranti del 1900?
La regola è primordiale: lavorare per vivere, per vivere (nel senso più stretto della parola) bisogna mangiare, per comprare da mangiare servono soldi e se vuoi i soldi devi lavorare. Questa è il principio base per cui lavoriamo. Prima c’era il baratto considerato la prima forma storica di scambio di beni: ad esempio il lavoratore arava il campo e in compenso il padrone del terreno dava al contadino generi alimentari con cui sfamare se stesso e la famiglia, poi la storia cambiò e subentrò “il vil denaro”: allo stesso modo il contadino arava il campo, il padrone pagava con sonante moneta e il lavoratore con quei soldi poteva comprare il suo cibo dove voleva. Questa sistema basilare vale per ognuno, a patto che il lavoro ci sia per tutti…Questo è il fatto per cui molti garfagnini emigravano verso paesi più ricchi e con maggiori possibilità di lavoro, generalmente è il solito motivo per cui anche oggi molti immigrati raggiungono le coste italiche. D’altronde i dati forniti dal “Rapporto sull’economia dell’immigrazione” a cura della Fondazione Moressa parlano chiaro: gli extracomunitari regolari che lavorano svolgono una mansione di media e bassa qualifica, il 74% dei collaboratori domestici è infatti straniero, così come il 56% delle badanti e il 51% dei venditori ambulanti e ancora il 39,8% dei pescatori, pastori e boscaioli e d’origine immigrata, così come il 30% dei manovali edili e braccianti agricoli. Ad oltre un secolo di distanza è interessante fare un parallelo con gli emigrati garfagnini di un tempo e vedere le differenze sui lavori svolti dagli attuali immigrati in Italia, vedremo poi che in questo senso le difformità non sono poi molte.
Figurinaio
Per gli uomini della Valle del Serchio il mestiere qualificato più praticato era quello del figurinaio. Siamo intorno al 1870, anno in cui fu svolta un’inchiesta industriale tra i lavori e i commerci degli italiani all’estero e appunto risultava al primo posto l’arte del figurinaio. A Parigi ad esempio ne esistevano una dozzina, con il tempo questi affinarono la loro arte diventando creatori di modelli, altri duecento circa erano operai figurinisti. A New York la cosa cambiava e vedeva la colonia garfagnina fatta prevalentemente da operai, furono circa undicimila che a a scalare diventeranno  agricoltori, muratori, scalpellini, marinai, pescatori, garzoni, cuochi, confettieri, figurinai in gesso, suonatori di organetto e commercianti. Una menzione particolare fra tutti questi lavoratori va ad Attilio Piccirilli, diciamo subito che con la nostra valle non ha niente a che fare, ma la vicenda va sottolineata perchè è poco conosciuta. I Piccirilli venivano da Carrara, dapprima erano impiegati nelle cave delle Apuane come cavatori, ma una volta emigrati in America si dedicarono alla scultura ornamentale.
La statua di Lincoln al Lincoln Memorial Washington
Il loro studio era a New York, nel Bronx, nel 1901 parteciparono ad un concorso con quaranta concorrenti dove si aggiudicarono il primo posto per scolpire la maestosa statua di Lincoln in quello che oggi è appunto il Lincoln Memorial a Washington. Una volta che fu realizzata l’opera arrivò la delusione più grande, il pregiudizio anti italiano colpì la commissione che aveva delegato i lavori, il nome dei Piccirilli non comparirà mai sul piedistallo della statua, ma verrà apposto solo quello del suo ideatore Chester French. D’altra parte era dura la vita dell’Italiano emigrato, nel 1889 il console italiano Giampaolo Riva di New York diceva: “Al loro primo por piede sovra questo suolo americano; ignari della lingua e degli usi, privi di appoggio e di direzione, creduli e fidenti in questa terra da loro vagheggiata come la fine di ogni miseria, come la soglia dorata di ogni prosperità, essi cadono in potere di bassi speculatori che li ingannano…”. Chi riusciva a scampare al raggiro lo aspettavano comunque i lavori più duri. Dalla Garfagnana molti si adoperarono come sterratori, boscaioli, carbonai, minatori e tantissimi erano i contadini impegnati in lavori faticosissimi è il caso di Enrico Fiori che segui una colonia di abitanti di Piazza al Serchio e Giuncugnano, diretta negli anni ’20 del ‘900 in Australia, nello stato del Queensland a lavorare nelle piantagioni di canna da zucchero.
Tagliatori di canne di zucchero in Australia
Stessa sorte toccò ad Angelo Fenili, lui andò a lavorare alla costruzione delle linee ferroviarie brasiliane nell’impresa dei fratelli Baccili originari di Vagli. Non furono comunque solo operai i garfagnini, molti si dedicarono anche al commercio. Nell’aprile del 1900 “La Domenica del Corriere” dedicò ampio spazio alla comunità italiana emigrata a Londra che risiedeva nel quartiere “italiano” di Saffon Hill, chiamato in modo spregiativo dagli inglesi “l’Abissinia“, oltre a descrivere lo stato di degrado del quartiere il giornale diceva che oltre 2500 venditori ambulanti partivano di li ogni mattina per vendere la loro merce in centro città, molti di questi erano per appunto emigrati dalla Valle del Serchio che vendevano le castagne arrosto o i gelati. Da un rapporto della polizia di Coventry al viceconsole italiano si parla di un certo Giannotti di Castiglione Garfagnana, trovato morto d’infarto in giovane età nella sua casa inglese dove abitava da solo, oltre al povero cadavere gli inquirenti rinvennero anche il testamento, dove oltre a “due para” di mutande ed a un orologio in argento lasciava ai suoi cari, residenti nella lontanissima Garfagnana, anche un carretto per la vendita del gelato, uno sbatti uova e un mescolatore…tutto frutto del suo lavoro. Ci sono stati anche coloro che furono più fortunati, da semplici commercianti con il tempo passarono ad essere dei veri e propri industriali.
Il “forno” Gonnella a Chicago
Questo infatti è quello che successe alla ditta alimentare Gonnella. Alessandro Gonnella arrivò a Chicago nel 1886 e li riprese l’attività che aveva abbandonato a Barga, infatti riapri in città un piccolo forno in cui lavorava da solo. L’azienda cominciò a svilupparsi quando gli venne la brillante idea di consegnare il pane a domicilio. Agli inizi del ‘900 gli vennero in aiuto i fratelli della moglie e nel 1915 fu costruita in Erie Street, quella che ancora oggi è la sede principale del gruppo industriale. Attualmente è fra le migliori cento panetterie americane. Destini e storie che s’intrecciano con il passare dei secoli, oggi sui giornali sembra leggere le solite cose scritte su questo articolo: lavori duri, umili, pesanti, talvolta si sente parlare di migranti raggirati o truffati…insomma le storie purtroppo non cambiano, ma i protagonisti si…
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Rapporto annuale sull’economia e l’immigrazione 2017 Fondazione Leone Moressa
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aneddoticamagazinestuff · 7 years ago
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Il toscano che scoprì il cinema in America
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Il toscano che scoprì il cinema in America
La storia di uno dei più grandi impresari del cinema moderno
Nessuno lo avrebbe mai detto che un venditore di dolci garfagnino diventasse uno dei pionieri del cinema americano e uno dei più grandi impresari del cinema moderno. E’ proprio così Zefferino Poli nato a Bolognana e vissuto a Pian di Coreglia partì da emigrante negli Stati Uniti a fine ‘ 800 vendendo figurine di gesso. Nel giro di pochi anni divenne multimilionario, la sua piccola bottega di statuine divenne presto un teatro, di li ne nacquero ancora finchè il suo senso degli affari intuì la trasformazione degli spettacoli di massa dell’epoca, capendo che per trasmettere sul “grande schermo” il cinema aveva bisogno dei suoi teatri.Una storia dimenticata e tutta da leggere, riportata a galla da tre studenti italo americani, presto diventerà un film.
La chiamano la “settimana arte“, prima di lei erano sei, molto più antiche, le loro origini si perdono nelle notti della storia: architettura, musica, pittura, scultura, poesia, danza e infine nel 1895 appare lui: il cinema. I fratelli Lumiere proiettano per la prima volta al Gran Cafè des Capucines di Parigi dieci film della durata di circa un minuto ciascuno…è meraviglia. Nato semplicemente come curiosità tecnica nel giro di dieci anni il cinema diventa un nuovo genere di spettacolo a diffusione popolare in grado di creare mode, miti e abitudini. Il successo di pubblico porta l’America a intuirne il businnes, ed è qui che nascono le maggiori case di produzione e il cinema si trasforma in una vera e propria industria, ben presto sorgono le prime case di produzione dove letterati, giornalisti e uomini di teatro vengono via via chiamati a collaborare, di conseguenza ecco la costruzione delle prime sale di proiezione, dotate di un palco per l’orchestra che “accompagna” il film muto. In questo scenario meraviglioso e incantato un garfagnino fiuta l’affare, un garfagnino ha l’intuizione,l’ardire e la lungimiranza di capire che con la “settima arte” si può diventare milionari. Questa è l’incredibile storia di un emigrante della Valle del Serchio, questa è la storia di “Sylvester” Zefferino Poli. La storia di quest’uomo all’inizio è la solita di qualsiasi altro emigrante della Valle di inizio secolo.
Gallicano inizio secolo
La vita è dura in Garfagnana, alla fine dell’ottocento da queste parti “c’è una povertà ed un degrado che si taglia con il coltello”. Zefferino nasce a Bolognana (Gallicano) il 31 dicembre del 1858, il padre a scappatempo suona l’organo in chiesa per due soldi e la madre prepara dolci da vendere porta a porta. Zefferino non va a scuola, c’è bisogno di lavorare per tirare avanti e accompagna la mamma a vendere “le ciaccine” (una focaccina di strutto, farina e zucchero). Il senso degli affari comincia a nascergli proprio in quei tristi momenti quando per attirare clienti s’inventa lo slogan che annuncia nei paesi la vendita dei suoi dolci: “E’ roba di famiglia, chi le assaggia le ripiglia”. Ben presto la famiglia Poli cambia casa e si trasferisce sulla riva opposta del fiume Serchio, trovando un alloggio migliore proprio a Piano di Coreglia. Nonostante la miglior sistemazione la vita rimane grama, però destino vuole che indirettamente una guerra portasse in dote a Zefferino un mestiere vero e proprio in cui sperare per un avvenire migliore. In quegli anni infatti scoppia la guerra franco-prussiana (1870-1871), molte persone scappano dalla Francia cercando rifugio a destra e a manca, fra queste persone c’e uno scultore transalpino di discreta fama, un certo Dublex(a quanto pare amico intimo di Napoleone III), che trova rifugio proprio dalla famiglia Poli, amici anche loro di vecchia data. Lo scultore propone di ricambiare il favore a guerra finita, promettendo alla  famiglia di portare con sè il piccolo Zefferino  per introdurlo nel mestiere del figurinaio, esperto nella modellazione dell’argilla e della cera.
Figurinai coreglini
Detto fatto, a tredici anni  Zefferino parte per Parigi, torna poi in Italia per tre anni per assolvere all’obbligo di leva, diventa il lustrascarpe personale del suo capitano. In seguito riparte per Parigi per riprendere gli studi e accettare un lavoro al Museo Grevin, diventa così un sopraffino modellatore. Ma a quanto pare il vero Eden per ogni emigrante non è la Francia, dall’altra parte dell’oceano c’è “la Merica”che da nuove ed incredibili opportunità. Zefferino decide di partire, torna in Italia ricomincia a vendere “ciaccine” con il solo ed unico intento di racimolare soldi per il transatlantico diretto a New York. Così a diciannove anni nel 1877 da semi analfabeta parte per le “lontane Americhe”. I primi anni di vita americana sono terribili, enormi sono i sacrifici e le privazioni. Negli Stati Uniti porta il lavoro che conosce meglio di tutti: fabbricare statuine. Nel suo laboratorio di New Haven (Connecticut) di notte realizza santi in miniatura e graziosi gattini che il giorno va a vendere agli angoli della città al grido di: “Buy images cheap!!!”(comprate le immagini costano poco!!!). La vita cambia completamente quando conosce una genovese: Rosa Leveroni, è subito amore e il 25 agosto del 1885 (quando Rosa ha solo sedici anni) si sposano, il connubio è da subito vincente. Rosa capisce fin da subito che con Sant’Antonio, San Giuseppe e gattini vari, di soldi ne avrebbero fatti pochi, bisogna cambiare produzione e realizzare le celebrità del tempo. L’occasione più propizia capita quando sette anarchici vengono condannati (ingiustamente) a morte nella sommossa di Haymarket a  Chicago, questi tragici eventi balzano subito alla ribalta nazionale e quale miglior occasione di riprodurre i sette malcapitati? Infatti è un successo.
La sommossa di Haymarket
Intanto Zefferino dapprima trova lavoro all’Eden Museo di New York e poi un nuovo impiego da capo modellista al Museo Egizio di Philadelphia, la fortuna finalmente comincia a girare, infatti un’ennesima intuizione dei coniugi Poli dà il segnale che il vento è cambiato, basta fare il venditore ambulante, bisogna mettere su qualcosa di stabile e permanente, un negozio dove esporre le proprie creazioni. Il negozio apre e l’attività ingrana, la moglie ormai si occupa di trattare con i clienti, mentre lui crea i personaggi. Le vendite in breve tempo triplicano, con i soldi guadagnati viene comprato un edificio dove esporre tutte le loro realizzazioni. Intanto il tempo passa e ormai si sta per aprire una nuova frontiera, questa nuova frontiera si chiama cinematografo, si sta  schiudendo un nuovo orizzonte anche per Zefferino, ma questo lui ancora non lo sa. L’anno della svolta definitiva è il 1888, quando il nostro protagonista modifica anche il proprio nome, non più un semplice Zefferino Poli, aggiunge così un secondo nome americano: Sylvester, in omaggio al santo del giorno del suo compleanno e cosa più importante dà il via ad una società che apre locali a metà strada fra un negozio ed un teatro.
Springfield Poli Thater
Il loro espandersi è rapido vengono aperti locali a Toronto (Canada), Rochester, State Island e Troy nello stato di New York. Nel 1892 si stabilisce definitivamente a New Haven dove apre il “Poli Eden Musee“, ma  ancora non basta, bisogna fare di più, c’e bisogno di un teatro autentico dove mettere in scena continui spettacoli di varietà di alta classe, a questo scopo nasce nel 1893 il “Poli’s Wonderland Theatre” (la terra delle meraviglie di Poli), ma non finisce qui. Poli compra e ristruttura e trasforma vecchi locali in teatri che diventeranno poi fra i più famosi d’America.
Mae West primo sex simbol americano scritturata da Poli
Dal 1897 al 1926 ogni città vede il marchio “Poli’s Theatre”: Waterbury, Bridgeport, Meriden e Hartford in Connecticut, Springfield e Worcester in Massachusetts, insomma tutta la costa est degli Stati Uniti compresa la capitale Washington vede in scena gli spettacoli della “terra delle meraviglie”. Zefferino riesce anche a stare al passo con i tempi, per vincere la concorrenza e rendere il teatro il più moderno possibile lo fa ricostruire anche per tre volte di seguito fino a che non diventa come lui vuole, infatti la moda impone i “movie palace” locali molti diffusi all’epoca che possono contenere anche duemila spettatori. In pochi anni ecco nascere un impero che conta più di cento cinema dove si esibiscono dal vivo quelli che diventeranno i primi attori del nascente cinema, impossibile quindi non ricordare Mae West il primo vero sex simbol d’America, sennò l’illusionista più famoso al mondo Harry Houdini, per passare poi a Shiley Booth vincitrice di un premio Oscar nel 1953, Berth Lahr colui che nel 1939 interpreterà il leone nel Mago di Oz insieme a Judy Garland, per poi continuare con George Burns uno dei più famosi comici americani, tutti scritturati dal garfagnino Zefferino Poli.
Harry Houdini
Siamo così arrivati negli anni ’20 del 1900, il cinema adesso ha preso campo anche fra la gente comune: Stanlio e Ollio, Charlie Chaplin e Buster Keaton sono già delle vere e proprie star, ma il più grande proprietario di cinema del nord est degli Stati Uniti rimane lui: Zefferino Poli. Il suo senso degli affari ha già intuito la trasformazione degli spettacoli di massa dell’epoca, capendo che per trasmettere sul “grande schermo” la nuova arte, i suoi teatri sarebbero stati l’ideale. Nel luglio del 1928 Poli vende per 75 milioni di dollari  parte dei teatri di proprietà alla  Fox New England Theatres (che con il tempo diverrà la celebre Twenty Century-Fox) mantenendo una parte delle azioni creando di fatto la Fox-Poli.
Poli’s Palace di Waterbury
A questo punto le sue fortune sono incalcolabili, la grande crisi del 1929 non lo scalfisce nemmeno, anzi lo trova con così tanti soldi da ricomprare per “pochi dollari” tutti i suoi teatri venduti in precedenza alla Fox, caduta in amministrazione controllata nel 1932. Il previdente garfagnino acquisisce nuovamente il controllo dell’impero ma capisce che alla sua età è arrivato il momento di mollare e chiude con una mossa in grande stile cedendo nel maggio 1934 buona parte dei suoi teatri alla “Loews Theaters” (quella che dal 1924 al 1959 sarà la casa madre del colosso cinematografico Metro Goldwyn Mayer) creando anche qui una nuova società: Loew’s-Poli New England Thatres. A poco più di settant’anni Zefferino si ritira dagli affari quando possiede ancora venti teatri, tre alberghi, cinquecento uffici e due cantieri. Si ritira nella sua casa al mare di Woodmont: Villa Rosa (in onore alla moglie), insieme a lui c’e l’inseparabile consorte e l’affetto dei suoi quattro figli. Il suo dolore più grosso rimane però la perdita del primogenito Edward morto per embolia all’età di 31 anni nel 1922. Nel corso della sua vita l’Italia non si dimentica di un suo “figlio”, il re Vittorio Emanuele III gli conferisce il titolo di Cavaliere della Corona d’Italia, mentre la moglie riceve dalla regina Elena la Croce d’Onore per le sue opere filantropiche.
Al cinema Loew-Poli trasmettono Alice nel paese delle meraviglie di Disney
Zefferino il venditore di “ciaccine” che diventò uno dei pioneri del cinema muore il 31 maggio nel 1937 in seguito ad una polmonite. Si fu proprio così, Zefferino il venditore garfagnino di “ciaccine” fu fra i più grandi impresari cinematografici del Novecento. E’ uno degli immigrati italiani negli Stati Uniti che ha avuto più successo in assoluto, uno che ha reso concreto il sogno americano, uno che aveva capito prima di tutti quello che la gente voleva: la sua bottega di figurine prima fu trasformata in teatro e da li in cinema, il primo di una catena fra le più diffuse in quella zona d’America. Non si dimenticò nemmeno della sua terra, ebbe occasione di tornare più volte nella Valle del Serchio e con ciò non si scordò mai di ringraziare “La Merica”: “La nostra razza ha trovato un rifugio sicuro dietro le stelle e strisce e sentiamo che fra tutti i suoi figli che si sforzano di portare questo vessillo alla vittoria, nessuno porterà entusiasmo e più lealtà costante dei suoi figli di sangue italiano”.
Il mausoleo eretto da Zefferino per il figlio primogenito morto
Note: Grazie a tre giovani ragazzi che studiano le vicende dei nostri emigranti la figura di Zefferino Poli è tornata a vivere. Luca Perei, Isaak J. Liptzin e Valerio Ciriaci sono i creatori del documentario “Mr. Wonderland”. Questa è fra le opere vincitrici del bando emesso dalla Regione per il sostegno alla produzione di documentari nel 2017. Un investimento di 130 mila euro che permetterà anche alla storia di Zefferino di diventare film.
      Bibliografia
 King Donald C. S.Z Poli from Wax to Riches. Marquee Magazine New York City 1979
Cullen, Frank, Florence Hackman and Donald Mc Nelly. Vaudeville. Old and New: an encyclopedia of variety perfomers in America. New York Routeledge 2007
“L’emigrante della Garfagnana che creò il businnes del cinema” di Ilaria Bonuccelli da “Il Tirreno” 13 dicembre 2017
Pubblicato da paolomarzi1971 a 13:10 
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aneddoticamagazinestuff · 8 years ago
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Storia di un emigrante che (forse) partecipò all'assassinio di Lincoln
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Storia di un emigrante che (forse) partecipò all'assassinio di Lincoln
Ci sono storie e storie. Non tutte le storie da raccontare sono uguali specialmente se si parla come in questo caso di emigrazione. Ogni persona che intraprende questo viaggio verso una nuova terra avrà di per se da riferire una vicenda eccezionale fatta di tribolazioni e speranze, ma fra tutte queste storie ordinarie e straordinarie allo stesso tempo c’è nè sempre qualcuna che differisce da tutte le altre per atipicità, sorpresa e stupore, insomma, un fatto da narrare veramente speciale. Naturalmente da un punto di vista storico mi riferisco ad avvenimenti accaduti ai nostri emigranti nei secoli passati, che partivano dalla Valle del Serchio e dalla Garfagnana in cerca di miglior fortuna. Questo storia fuori dall’ordinario di cui parlerò mi è stata gentilmente passata e sottoposta ad attenzione e studio da un amico blogger: Andreotti Roberto e a portare alla ribalta tutta la vicenda è stato Doug Acree un discendente di Giuliano Luisi (colui che sarà il protagonista dei fatti), che attualmente vive negli Stati Uniti nello stato della Virginia, proprio li, dove si svolgerà tutta lo stupefacente racconto. Tutto nacque nella Coreglia di metà 1800, quando l’arte dei figurinai la faceva da padrona. Coreglia è la patria di questo umile mestiere che vide in paese fra i primi suoi fautori il barone Vanni che fondò una scuola dove si apprendeva a“gettare in stampo”. Per i pochi che non lo sanno i figurinai erano artigiani itineranti che portandosi dietro solo pochi attrezzi di lavoro trasformavano il gesso in piccole e splendide statuette.
Figurinaio di Coreglio
Essi girovagavano di città in città, di porta in porta e la loro maestria in poco tempo portò questo mestiere a diventare una vera e propria arte. La sola bravura però non bastava per tirare avanti e così con l’andar del tempo molti uomini furono costretti ad abbandonare le proprie famiglie e cominciare nuove vite in altre nazioni. Il grosso di questi flussi migratori parti agli inizi del 1800 per tutta Europa e per le lontane Americhe. Una volta giunti nel paese d’accoglienza, spesso si formavano delle vere e proprie compagnie di figurinai, composte da un titolare, nonchè maestro d’arte e quattro o cinque apprendisti ai quali veniva insegnata l’arte e il mestiere di venditore. In questo contesto Giuliano Luisi sbarcò in America nel 1850, era nato a Coreglia il 30 agosto del 1830, alle spalle aveva un mestiere, faceva intonaci ornamentali, ma come tutti i coreglini aveva intrapreso sapientemente anche la carriere di figurinaio. Giuliano arrivò negli Stati Uniti appena ventenne, in precedenza suo fratello Salvatore era già emigrato negli States e aveva messo su famiglia in quel di Baltimora (Maryland), mentre Giuliano con l’altro fratello Giovanni cominciò ad intraprendere nuovi lavori, il mestiere di figurinaio gli stava stretto e non gli bastava. Giuliano era ambizioso, dinamico e operoso, tant’è che pochi anni dopo il suo arrivo (nel 1859) a Richmond in Virginia aprì una birreria sulla Franklin Street la “Alluis & Co.” e nel 1860 anche una pasticceria. Fin qui se si vuole fu una dura vita da emigrante come tante altre, niente di più, ma sotto sotto Giuliano covava altro. La sua industriosità e il suo voler emergere oltre che nel campo lavorativo trovò spazio pure nel sociale. Il suo nome intanto si trasformò da Giuliano Luisi nel più yankee Julian Alluisi, c’era poco da fare voleva uscire a tutti i costi dall’umile stereotipo di emigrante italiano e ci riuscì in pieno. Guardiamo come…
Giuliano Luisi (foto di Doug Acree)
Venti di secessione e di guerra stavano infatti spirando su tutti gli Stati Uniti e quale miglior occasione ci poteva essere per emergere da una possibile vita anonima che arruolarsi nell’esercito? Così fu, Julian entrò a far parte dei “Richmond Grays”(n.d.r: I Grigi di Ridhmond) una milizia federale di soldati schiavisti, contrari a qualsiasi forma di integrazione da parte dei negri d’America. Con ogni probabilità il coreglino non fu mosso da ideali anti-schiavisti, cosa ne poteva sapere un emigrante italiano di tutto ciò? Anzi è bene considerare che in America per molto tempo fra gli ultimi scalini della scala sociale dopo le persone di colore veniva sicuramente l’emigrato italiano, questo conferma il fatto che la sua fu una scelta e un occasione per distinguersi da tutti gli altri. Fattostà che entrò a far parte di questa milizia che rimase famosa per uno degli episodi più famigerati della storia americana: la cattura e la conseguente morte di John Brown, a questa operazione partecipò anche Giuliano. John Brown molti se lo ricorderanno qui in Italia più che altro per la famosa canzoncina che dice così: “John Brown giace nella tomba la nel pian, dopo una lunga lotta contro l’oppressor, John Brown giace nella tomba la nel pian, la sua anima vive ancor” e il ritornello che fa: “Glory, glory alleluia,Glory, glory alleluia,Glory, glory alleluia”. Ma John Brown non fu una semplice canzone popolare ma bensì un convinto abolizionista dello schiavismo e sostenitore della parità dei diritti tra bianchi e neri che quel 16 ottobre del 1859 decise d’attaccare l’arsenale federale di Harper’s Ferry in Virginia, allo scopo di provocare una rivolta degli schiavi che sarebbero poi stati armati con il materiale prelevato dall’arsenale stesso. Il tentativo fallì miseramente, gli schiavi rimasero totalmente apatici, forse per paura di azioni repressive e così Giuliano con i “Richmond Grays”entrarono in azione, dopo un lungo conflitto morirono solamente due miliziani e degli uomini di Brown ben dieci. Lo stesso Brown fu catturato e condannato a morte per cospirazione, omicidio e insurrezione. Il 2 novembre fu impiccato, ma quel giorno la storia con la esse maiuscola venne incontro per sempre a Giuliano Luisi. Dopo l’impiccagione un gruppo dei “Richmond Grays” che era di guardia all’infausto evento decise per “festeggiare” di farsi fotografare, quella foto (che potete vedere qui sotto) rimarrà fra le più famose di tutta la storia americana, proprio perchè oltre che esservi raffigurato il coreglino Giuliano è presente uno degli assassini più famosi al mondo: John Wilkes Booth, colui che sei anni dopo quell’immagine uccise con un colpo di pistola alla testa Abramo Lincoln (nello scatto lo possiamo vedere con un pugnale in mano). John e Julian con ogni probabilità si conoscevano e ciò porterà a vaghi sospetti anche sulla stessa vicenda Lincoln…
La famosa foto. Nei cerchi rossi Giuliano Luisi e John Booth con un pugnale in mano
  Con la morte di John Brown comunque la secessione e la guerra divennero inevitabili. La Virginia nel maggio del 1861 insieme ad Arkansas, Carolina del Nord e Tennessee rinunciò all’appartenenza agli Stati Uniti d’America passando così alla Confederazione. Il nostro Julian Alluisi partì allora volontario nella guerra con l’esercito sudista e si unì di fatto al 1° reggimento fanteria Virginia, compagnia K, con il grado di tenente, sotto i diretti ordini dell’illustre generale George Edward Pickett. Partecipò a numerose e famose battaglie, fu ferito negli scontri di First Manassas e anche a Seven Pines e ringraziando la sua buona stella non partecipò alla tristemente celebre battaglia di Gettysburg che vide migliaia e migliaia di morti sia da una parte che dall’altra. Con questa battaglia la guerra si decise e poco tempo dopo finì e finalmente Giuliano decise di metter su famiglia, tornò a Coreglia e sposò Filomena Luisi, una sua prima cugina che nel 1866 portò in America. Ma la sua storia non finì qui…al suo ritorno negli Stati Uniti venne fuori per la prima volta la sua appartenenza alla loggia massonica “Francoise Lodge” di Richmond e questo portò a galla una serie di infinite illazioni mai provate sui coincidenti fatti che Giuliano conoscesse John Wilkes Booth (l’assassino di Lincoln), per capirsi bene anche questo presidenziale omicidio come quello di quasi un secolo dopo di John Kennedy portò all’ipotesi di un complotto, in questo caso sarebbero stati coinvolti massoni sudisti (fra cui Giuliano)e ben noti banchieri ebrei americani che volevano rientrare dei finanziamenti elargiti durante la guerra di secessione.
John Wilkes Booth
Ad avvalorare la complicata tesi dei complottisti rimane il fatto che in un libro del 1937 “This one mad act” di Izola Forrester(nipote di Booth) scrisse che suo nonno apparteneva alla loggia massonica dei“Cavalieri del Circolo d’Oro” e che l’uccisione del suo familiare fu organizzata da Judah Benjamin (massone di alto grado e agente dei banchieri Rothschild) per tappargli definitivamente la bocca sui vari intrighi di cui lui era a conoscenza. La versione ufficiale ci dice che Booth fu catturato e ucciso in un fienile dove rifiutò di arrendersi, undici giorni dopo la morte di Lincoln , a quel punto i soldati dettero fuoco a tutto il circondario e il colonnello Gonger gli sparò ferendolo mortalmente al collo. A tutto questa intricata congiura si dice che fra i molteplici ideatori ci fosse anche l’ormai americano Julian Alluisi, nessuna prova o documento attesta questi fatti, ma solo ipotesi fatte su congetture. Giuliano morì il 15 ottobre 1889 ed è sepolto nel cimitero di Hollywood (Virginia) vicino alla tomba del suo generale Pickett. Rimane il fatto che Giuliano riuscì nel suo intento di emergere, se ancora oggi parliamo di lui…
La tomba di Julian Alluisi
Bibliografia:
“Storia di un emigrante coreglino. Da Coreglia a Richmond” a cura di Andreotti Roberto, Paola Tonarelli su documenti inviati da Doug Acree
“This one mad act” 1937 Izola Forrester
“Decapitating the union: Jefferson Davis, Judah Benjamin and the plot assassinate Lincoln” di John C. Fazio. Editore Mc Farland 2015
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Storia di un emigrante che (forse) partecipò all'assassinio di Lincoln
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Storia di un emigrante che (forse) partecipò all'assassinio di Lincoln
Ci sono storie e storie. Non tutte le storie da raccontare sono uguali specialmente se si parla come in questo caso di emigrazione. Ogni persona che intraprende questo viaggio verso una nuova terra avrà di per se da riferire una vicenda eccezionale fatta di tribolazioni e speranze, ma fra tutte queste storie ordinarie e straordinarie allo stesso tempo c’è nè sempre qualcuna che differisce da tutte le altre per atipicità, sorpresa e stupore, insomma, un fatto da narrare veramente speciale. Naturalmente da un punto di vista storico mi riferisco ad avvenimenti accaduti ai nostri emigranti nei secoli passati, che partivano dalla Valle del Serchio e dalla Garfagnana in cerca di miglior fortuna. Questo storia fuori dall’ordinario di cui parlerò mi è stata gentilmente passata e sottoposta ad attenzione e studio da un amico blogger: Andreotti Roberto e a portare alla ribalta tutta la vicenda è stato Doug Acree un discendente di Giuliano Luisi (colui che sarà il protagonista dei fatti), che attualmente vive negli Stati Uniti nello stato della Virginia, proprio li, dove si svolgerà tutta lo stupefacente racconto. Tutto nacque nella Coreglia di metà 1800, quando l’arte dei figurinai la faceva da padrona. Coreglia è la patria di questo umile mestiere che vide in paese fra i primi suoi fautori il barone Vanni che fondò una scuola dove si apprendeva a“gettare in stampo”. Per i pochi che non lo sanno i figurinai erano artigiani itineranti che portandosi dietro solo pochi attrezzi di lavoro trasformavano il gesso in piccole e splendide statuette.
Figurinaio di Coreglio
Essi girovagavano di città in città, di porta in porta e la loro maestria in poco tempo portò questo mestiere a diventare una vera e propria arte. La sola bravura però non bastava per tirare avanti e così con l’andar del tempo molti uomini furono costretti ad abbandonare le proprie famiglie e cominciare nuove vite in altre nazioni. Il grosso di questi flussi migratori parti agli inizi del 1800 per tutta Europa e per le lontane Americhe. Una volta giunti nel paese d’accoglienza, spesso si formavano delle vere e proprie compagnie di figurinai, composte da un titolare, nonchè maestro d’arte e quattro o cinque apprendisti ai quali veniva insegnata l’arte e il mestiere di venditore. In questo contesto Giuliano Luisi sbarcò in America nel 1850, era nato a Coreglia il 30 agosto del 1830, alle spalle aveva un mestiere, faceva intonaci ornamentali, ma come tutti i coreglini aveva intrapreso sapientemente anche la carriere di figurinaio. Giuliano arrivò negli Stati Uniti appena ventenne, in precedenza suo fratello Salvatore era già emigrato negli States e aveva messo su famiglia in quel di Baltimora (Maryland), mentre Giuliano con l’altro fratello Giovanni cominciò ad intraprendere nuovi lavori, il mestiere di figurinaio gli stava stretto e non gli bastava. Giuliano era ambizioso, dinamico e operoso, tant’è che pochi anni dopo il suo arrivo (nel 1859) a Richmond in Virginia aprì una birreria sulla Franklin Street la “Alluis & Co.” e nel 1860 anche una pasticceria. Fin qui se si vuole fu una dura vita da emigrante come tante altre, niente di più, ma sotto sotto Giuliano covava altro. La sua industriosità e il suo voler emergere oltre che nel campo lavorativo trovò spazio pure nel sociale. Il suo nome intanto si trasformò da Giuliano Luisi nel più yankee Julian Alluisi, c’era poco da fare voleva uscire a tutti i costi dall’umile stereotipo di emigrante italiano e ci riuscì in pieno. Guardiamo come…
Giuliano Luisi (foto di Doug Acree)
Venti di secessione e di guerra stavano infatti spirando su tutti gli Stati Uniti e quale miglior occasione ci poteva essere per emergere da una possibile vita anonima che arruolarsi nell’esercito? Così fu, Julian entrò a far parte dei “Richmond Grays”(n.d.r: I Grigi di Ridhmond) una milizia federale di soldati schiavisti, contrari a qualsiasi forma di integrazione da parte dei negri d’America. Con ogni probabilità il coreglino non fu mosso da ideali anti-schiavisti, cosa ne poteva sapere un emigrante italiano di tutto ciò? Anzi è bene considerare che in America per molto tempo fra gli ultimi scalini della scala sociale dopo le persone di colore veniva sicuramente l’emigrato italiano, questo conferma il fatto che la sua fu una scelta e un occasione per distinguersi da tutti gli altri. Fattostà che entrò a far parte di questa milizia che rimase famosa per uno degli episodi più famigerati della storia americana: la cattura e la conseguente morte di John Brown, a questa operazione partecipò anche Giuliano. John Brown molti se lo ricorderanno qui in Italia più che altro per la famosa canzoncina che dice così: “John Brown giace nella tomba la nel pian, dopo una lunga lotta contro l’oppressor, John Brown giace nella tomba la nel pian, la sua anima vive ancor” e il ritornello che fa: “Glory, glory alleluia,Glory, glory alleluia,Glory, glory alleluia”. Ma John Brown non fu una semplice canzone popolare ma bensì un convinto abolizionista dello schiavismo e sostenitore della parità dei diritti tra bianchi e neri che quel 16 ottobre del 1859 decise d’attaccare l’arsenale federale di Harper’s Ferry in Virginia, allo scopo di provocare una rivolta degli schiavi che sarebbero poi stati armati con il materiale prelevato dall’arsenale stesso. Il tentativo fallì miseramente, gli schiavi rimasero totalmente apatici, forse per paura di azioni repressive e così Giuliano con i “Richmond Grays”entrarono in azione, dopo un lungo conflitto morirono solamente due miliziani e degli uomini di Brown ben dieci. Lo stesso Brown fu catturato e condannato a morte per cospirazione, omicidio e insurrezione. Il 2 novembre fu impiccato, ma quel giorno la storia con la esse maiuscola venne incontro per sempre a Giuliano Luisi. Dopo l’impiccagione un gruppo dei “Richmond Grays” che era di guardia all’infausto evento decise per “festeggiare” di farsi fotografare, quella foto (che potete vedere qui sotto) rimarrà fra le più famose di tutta la storia americana, proprio perchè oltre che esservi raffigurato il coreglino Giuliano è presente uno degli assassini più famosi al mondo: John Wilkes Booth, colui che sei anni dopo quell’immagine uccise con un colpo di pistola alla testa Abramo Lincoln (nello scatto lo possiamo vedere con un pugnale in mano). John e Julian con ogni probabilità si conoscevano e ciò porterà a vaghi sospetti anche sulla stessa vicenda Lincoln…
La famosa foto. Nei cerchi rossi Giuliano Luisi e John Booth con un pugnale in mano
  Con la morte di John Brown comunque la secessione e la guerra divennero inevitabili. La Virginia nel maggio del 1861 insieme ad Arkansas, Carolina del Nord e Tennessee rinunciò all’appartenenza agli Stati Uniti d’America passando così alla Confederazione. Il nostro Julian Alluisi partì allora volontario nella guerra con l’esercito sudista e si unì di fatto al 1° reggimento fanteria Virginia, compagnia K, con il grado di tenente, sotto i diretti ordini dell’illustre generale George Edward Pickett. Partecipò a numerose e famose battaglie, fu ferito negli scontri di First Manassas e anche a Seven Pines e ringraziando la sua buona stella non partecipò alla tristemente celebre battaglia di Gettysburg che vide migliaia e migliaia di morti sia da una parte che dall’altra. Con questa battaglia la guerra si decise e poco tempo dopo finì e finalmente Giuliano decise di metter su famiglia, tornò a Coreglia e sposò Filomena Luisi, una sua prima cugina che nel 1866 portò in America. Ma la sua storia non finì qui…al suo ritorno negli Stati Uniti venne fuori per la prima volta la sua appartenenza alla loggia massonica “Francoise Lodge” di Richmond e questo portò a galla una serie di infinite illazioni mai provate sui coincidenti fatti che Giuliano conoscesse John Wilkes Booth (l’assassino di Lincoln), per capirsi bene anche questo presidenziale omicidio come quello di quasi un secolo dopo di John Kennedy portò all’ipotesi di un complotto, in questo caso sarebbero stati coinvolti massoni sudisti (fra cui Giuliano)e ben noti banchieri ebrei americani che volevano rientrare dei finanziamenti elargiti durante la guerra di secessione.
John Wilkes Booth
Ad avvalorare la complicata tesi dei complottisti rimane il fatto che in un libro del 1937 “This one mad act” di Izola Forrester(nipote di Booth) scrisse che suo nonno apparteneva alla loggia massonica dei“Cavalieri del Circolo d’Oro” e che l’uccisione del suo familiare fu organizzata da Judah Benjamin (massone di alto grado e agente dei banchieri Rothschild) per tappargli definitivamente la bocca sui vari intrighi di cui lui era a conoscenza. La versione ufficiale ci dice che Booth fu catturato e ucciso in un fienile dove rifiutò di arrendersi, undici giorni dopo la morte di Lincoln , a quel punto i soldati dettero fuoco a tutto il circondario e il colonnello Gonger gli sparò ferendolo mortalmente al collo. A tutto questa intricata congiura si dice che fra i molteplici ideatori ci fosse anche l’ormai americano Julian Alluisi, nessuna prova o documento attesta questi fatti, ma solo ipotesi fatte su congetture. Giuliano morì il 15 ottobre 1889 ed è sepolto nel cimitero di Hollywood (Virginia) vicino alla tomba del suo generale Pickett. Rimane il fatto che Giuliano riuscì nel suo intento di emergere, se ancora oggi parliamo di lui…
La tomba di Julian Alluisi
Bibliografia:
“Storia di un emigrante coreglino. Da Coreglia a Richmond” a cura di Andreotti Roberto, Paola Tonarelli su documenti inviati da Doug Acree
“This one mad act” 1937 Izola Forrester
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