#stile francese
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Adieu a Françoise Hardy, icona dello stile francese.
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#analisti dello stile#consulente d&039;immagine#consulente stile#Françoise Hardy#moda#Palmanova#stile#stile francese#thechicadvisor#udine
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"La Cantante di Pigalle e altri racconti" di Georges Simenon: Un viaggio tra mistero e realismo. Recensione di Alessandria today
Quattro racconti inediti in Italia che rivelano l'abilità narrativa e psicologica di Georges Simenon, autore di fama mondiale.
Quattro racconti inediti in Italia che rivelano l’abilità narrativa e psicologica di Georges Simenon, autore di fama mondiale. Recensione: Georges Simenon, celebre per i suoi romanzi polizieschi e il commissario Maigret, ci offre una raccolta di racconti che esplorano l’oscurità e la complessità dell’animo umano. In “La Cantante di Pigalle e altri racconti“, l’autore raccoglie quattro opere…
#anni 50#autore belga#classici della letteratura#Commissario Maigret#Connecticut#Georges Simenon#Georges Simenon biografia#introspezione#La Cantante di Pigalle#Lakeville#letteratura francese#Maigret#mistero#Narrativa#Narrativa breve#narrativa del Novecento#noir#noir europeo#personaggi complessi#premi letterari#Premio Edgar Allan Poe#Psicologia#pubblicato postumo#raccolta racconti#Racconti#racconti inediti#realismo psicologico#romanzi polizieschi#Simenon racconti#stile narrativo
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Una élite mondiale che tributa senza vergogna alcuna applauso alla memoria del macellaio di Tehran Raisi al Consiglio di Sicurezza Onu e mette sullo stesso piano il primo ministro israeliano e il leader di hamas al tribunale de l'Aja, SA che sta facendo l'ultimo arrocco prima di esser defenestrata e decollata dalla gente, stile rivoluzione francese.
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Pierre Le-Tan Album
Dirécteur ouvrage : Frank Maubert
Aubier, Paris 1990, 158 pages, 23,5x31cm, ISBN 2-7007-2838-6
euro 520,00
email if you want to buy [email protected]
“I suoi disegni devono essere letti e le sue parole devono essere viste“, dice di Pierre l’amico e scrittore Umberto Pasti. E’ un privilegio entrare, seppur virtualmente, nella casa studio parigina – un tempo pied-a-terre di Jean Cocteau – di Pierre Le-Tan (1950-2019), illustratore e artista, nato a Parigi da padre vietnamita e madre francese.
E’ dal padre, pittore e figlio di un nobile tonkinese, che Le-Tan impara a disegnare, appassionandosi presto all’amore per i libri antichi e le stampe giapponesi e cinesi. Tanto che – ancora adolescente – Le-Tan è incaricato dal New Yorker Magazine di creare una copertina, opera che segna l’inizio di una lunga e fruttuosa collaborazione editoriale anche con molte altre pubblicazioni, da Vogue e Harper’s Bazaar. Per il New Yorker Pierre realizza 18 copertine.
In oltre 50 anni di lavoro la creatività di Le-Tan si arricchisce, spaziando dalla scenografia per il cinema e il teatro, alla collaborazione con la casa di moda parigina di sua figlia Olympia, ma soprattutto eccelle nella invenzione di oltre 100 copertine di libri e poster di film. Il lavoro di Le-Tan è stato esposto nelle gallerie di tutto il mondo; nel 2004 è stato oggetto di una retrospettiva al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid. Ha realizzato copertine per libri di scrittori noti, come il romanziere premio Nobel Patrick Modiano.
La prosa malinconica di Modiano è perfetta per le riflessioni di Le-Tan spesso rivolte ad una Parigi dimenticata, piena di personaggi strani e fascinosi. Una delle pubblicazioni di Le-Tan, “Album” (1990), traduce al meglio il suo stile intimo e insieme eclettico: un “album” pieno di ricordi, di Greta Garbo, Christian Lacroix, Mick Jagger, foto di vecchi amici, centinaia di disegni che raccontano della gita a casa di Cecil Beaton, a un portasigarette realizzato da Picasso, alle scarpe di Cardin, a una sedia che proviene dalla Reggia di Versailles.
30/05/24
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Jean Eugene Bulland, 1852-1926.
Pittore francese, figlio di un incisore,
all'inizio della sua carriera fu attratto dal simbolismo, e produsse diversi quadri ispirandosi a questo movimento, poi cambiò radicalmente stile, passò alla rappresentazione della vita quotidiana, fu premiato varie volte al Salon di Parigi.
Giovani genitori , 1903 Museo D'Orsay Parigi.
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Controllo del proprio stile di vita in base a cambi forzati e concessioni circostritte.
Limitazioni dei consumi contro la propria volontà e capacità economica.
Accesso ai servizi in base all'obbedienza.
Perenne e cronico senso di scarsità e di sottomissione forzata.
Schiavitù assoluta e totale.
Agenda 2030.
#francia#catene#controllo#prigione#zombie#società#corrente elettrica#società malata#svegliatevi#aprite gli occhi#sistema#manipolazioni#verità#dittatura#virus#discernimento#propaganda#clima#politica#diavoli#mondo marcio#covid#rincoglioniti#salvare il pianeta#agenda 2030#world economy
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Perfetti per l'estate
Come di consueto, proponiamo agli affezionati lettori delle biblioteche milanesi la nostra rubrica di consigli di lettura, perfetti per l’estate!
Fonte: Pexels
La recente ristampa de Al paradiso delle signore di Zola è una ghiotta occasione per leggere un romanzo avvincente, tomo XI del ciclo dei Rougon-Macquart: un feuilleton di gran classe per gli appassionati di moda, scritto da un maestro nell’arte della descrizione (il tema è simile a quello de Il ventre di Parigi, ma concentrato sull’abbigliamento), “che esplora lucidamente l’universo femminile”, spaziando per tutti gli strati sociali della Parigi di metà Ottocento. Una lettura che analizza la nascita di un fenomeno moderno tuttora in espansione: il grande magazzino, oggi diventato centro commerciale (come in Il denaro si descriveva la bolla finanziaria del 1860, profetica di quelle dei nostri tempi). Non erano necessarie le parole di Gide (e di molti altri critici citati nella preziosa prefazione di Mario Lunetta) per rivalutare questo capolavoro. Iperbolico, lussureggiante, immaginifico.
A questo romanzo è vagamente ispirata la serie televisiva italiana trasmessa da Rai 1 dal 2015, ora diventata una vera e propria soap, ma ambientata tra gli anni cinquanta e sessanta a Milano, dove esistette davvero un negozio chiamato “Paradiso delle signore”.
Ironico (di un’ironia antifrastica), divertente, scorrevolissimo, Di chi è la colpa? fu pubblicato nel 1947 ed è l’unico romanzo dello scrittore russo Aleksandr Ivanoviĉ Herzen. Dimenticatevi Tolstoj e Dostoevskij, il suo stile ricorda piuttosto il Gogol’ fantasioso e stravagante dei racconti. Citiamo dalla prefazione di questa recente ristampa: «È strano che questo straordinario scrittore, in vita celebre personalità europea, stimato amico di Michelet, Mazzini, Garibaldi e Victor Hugo, a lungo venerato nel suo paese non solo come rivoluzionario, ma come uno dei più grandi uomini di lettere, sia tuttora poco più di un nome in Occidente. Il piacere che si ricava dalla sua lettura … rende ciò una strana e ingiustificata perdita». Sottoscriviamo in pieno.
È già in testa a tutte le classifiche la nuova avventura, attesa da ben sei anni dopo Il morso della reclusa, dell’ispettore Adamsberg, creato dall’abile penna della scrittrice francese Fred Vargas, questa volta in trasferta nella selvaggia Bretagna, il regno di Asterix e dei menhir. Sulla pietra è il decimo resoconto della serie dell’improbabile ispettore e le profonde conoscenze storiche dell’autrice si dispiegano felicemente in questo noir ricco di misteri e di legami con il passato.
Appena ripubblicato da Edizioni Capricorno nella collana Capolavori Ritrovati, L’altare del passato di Guido Gozzano ci consente di scoprire, se ancora non l’abbiamo fatto, la prosa del poeta di “Non amo che le rose che non colsi. Non amo che le cose che potevano essere e non sono state”. In questi undici racconti “riaffiorano tutti i temi cari al poeta - la malinconia, il rimpianto per il tempo che passa, i ricordi ingialliti, l’esitazione amorosa, l’indulgenza verso gli oggetti inutili”.
A cento anni dalla nascita dell’autore (New Orleans 1924 - Bel Air 1984) Garzanti ha appena ripubblicato Bare intagliate a mano: cronaca vera di un delitto americano (presente anche nella raccolta Musica per camaleonti), sorta di reportage esposto in forma narrativa di Truman Capote. Non potevamo aspettarci niente di meno dallo scrittore che, dieci anni prima della pubblicazione di questo giallo, in Sangue freddo (da cui nel 2005 è stato tratto un film con la strepitosa partecipazione di Philip Seymour Hoffman) aveva romanzato un fatto di cronaca che nell’America del 1959 aveva destato grande scalpore: lo sterminio di un’intera famiglia per un bottino di pochi dollari.
Anche questo thriller, per quanto incredibile possa sembrare la sua progettazione (e poi realizzazione), si ispira alla realtà, raccontata in forma di dialogo tra l’autore e l’investigatore incaricato delle indagini. Uno stile assolutamente inimitabile.
Ambientato in una Milano semideserta di metà agosto (il cadavere di una donna annegata viene recuperato nel Lambro) Le conseguenze del male di Gian Andrea Cerone è ormai un best seller. Avevamo già proposto questo autore nel post natalizio (I libri della renna) per un racconto contenuto nell’antologia Un lungo capodanno in noir, la cui protagonista, Marisa Bonacina, era la moglie del commissario Mandelli, che invece campeggia in questo thriller estivo da leggere tutto d’un fiato. Il numero di donne trovate annegate è decisamente troppo alto perché si tratti sempre di suicidi e, contestualmente, il commissario, costretto a interrompere le ferie, si trova a fare i conti con il passato. Un duplice percorso di indagine guidato da una scrittura che attanaglia l’attenzione del lettore per non abbandonarla più.
Il Saggiatore ha appena ripubblicato una raccolta dei racconti di un autore ingiustamente dimenticato, Guido Morselli, intitolata Gli ultimi eroi. “Gli ultimi eroi raccoglie per la prima volta tutti i racconti di Guido Morselli, narrazioni in cui, come solo nelle sue opere più alte, la sua invenzione si libera, dando vita a realtà alternative e a commoventi ritratti umani: da un Mussolini che si trasforma per amore in leader democratico all’incontro fra Pio XII e uno Stalin che vuole sostituirlo con un sosia; dall’ultima grottesca resistenza di un gruppo di soldati nazisti fuggiti da un manicomio a un comico tentativo di far finanziare agli americani l’Unità d’Italia. Fantasmagorie proiettate sul muro da una lanterna magica, la cui luce ci permette di osservare per una volta, una volta ancora, l’abbacinante talento di un maestro nascosto”. Da non perdere.
Se ancora non l’avete letto, vi consigliamo Zipper e suo padre, uno dei migliori romanzi di Joseph Roth. Ambientato durante gli anni della Grande guerra e della repubblica di Weimar, è incentrato sul tema universale dei rapporti familiari e questo ne fa un’opera sempre attuale. Dal padre frustrato che maltratta e umilia la moglie e il figlio primogenito, al protagonista (amico del narratore, rappresentato dallo scrittore stesso) Arnold che, dopo la partecipazione al conflitto, si isola diventando angolista, neologismo che indica la sua volontà di stare in disparte in qualsiasi circostanza sociale, la famiglia Zipper rappresenta il simbolo dei danni provocati dalla guerra. Il risultato è la formazione di una generazione di indifferenti (per citare le parole dell’autore), proprio come li descriveranno Gramsci, nell’articolo Odio gli indifferenti, e Moravia, nel suo capolavoro. Si gusta ogni singola pagina.
#emile zola#herzen alexandr ivanovic#fred vargas#guido gozzano#truman capote#gian andrea cerone#guido morselli#joseph roth#antonio gramsci#alberto moravia#philip seymour hoffman
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Storia Di Musica #320 - Arcade Fire, Funeral, 2004
La caratteristica comune dei dischi di Aprile è arrivata per caso, e mi ha fatto scoprire delle cose bellissime che non conoscevo. Sono per questo molto felice di presentarvi le mie scelte ma stavolta la caratteristica comune la tengo segreta per questo primo appuntamento, si capirà in seguito e vi invito anzi, per giocare insieme, a ipotizzare quale sia. Inizio raccontandovi di una band, e un disco, che hanno davvero segnato la storia della musica indipendente internazionale, facendo il successo di una formazione di rock canadese che nel corso degli anni ha continuato a stupire. Il nucleo originale del gruppo prende vita a Boston, dove si conoscono Win Butler e Josh Deu, che formano gli Arcade Fire. Passano poche settimane e si trasferiscono nel paese natio, precisamente a Montreal, dove fanno i primi concerti in piccole location, a feste private e persino nelle gallerie d'arte. A Montreal Win Butler incontra Régine Chassagne, che prima diventerà cantante e poi futura sua sposa, per un motivo che sta scritto nel libretto del disco di oggi:"il caldo costrinse i due a sposarsi". Registrano le prime canzoni con questa formazione: Chassagne-Butler, Josh Deu, il bassista Mules Broscoe, il chitarrista Dane Mills e a Brendan Reed alla batteria. Il primo EP esce a nome Arcade Fire nel 2002, ma fu l’inizio di un rinnovamento traumatico della formazione: Broscoe si chiama fuori dalla band, Mills abbandona nel modo più spettacolare, lasciando nel bel mezzo di un concerto alla Casa del Popolo di Montréal. In sostituzione dei due ex-membri subentrano il fratello di Win, William Butler, e Tim Kingsbury, e con questa formazione pubblicano un secondo EP, Us Kids Now. Prima della fine del primo anno di promozione, la band ottiene un contratto con l'etichetta indipendente Merge Records, che in quegli anni e in quelli a venire sfornerà gioielli musicali in serie, con la quale continua tuttora a pubblicare album. Entra in formazione Howard Bilerman alla batteria.
Nel 2004 la quasi sconosciuta formazione canadese dà alle stampe un album, Funeral (che si intitola così perchè durante la registrazione morirono parenti dei componenti della band) che nel giro di poche settimane fa gridare al miracolo. Gli Arcade Fire diventano la band più ammirata dai critici, che inseriscono Funeral nei primi posti delle classifiche non solo del 2004 ma del decennio, degli ultimi 25 anni, di sempre. Nasce una band di culto. Il loro suono è barocco, gioioso, ricco di sfumature con una sezione di archi dolente e armoniosa, la doppia voce Butler \ Chassange ad alternarsi, facendo un album che per meriti loro, per momento storico e per magia complessiva sembra perfetto. Il gruppo ha ben in mente da cosa partire: ci sono echi Bowie nella stupenda Rebellion (Lies) (che in Italia è famosa come sigla di Otto E Mezzo, il programma de La7 di Lilli Gruber), la linea di basso e il suono alla The Edge della chitarra, i New Order in tutta la serie di Neighborhood in 4 parti, denominate Tunnels, Laika, come la cagnetta che andò nello spazio, Power Out e 7 Kettles. Crown Of Love è magnifica e finisce in stile epico, Wake Up che è spectoresca nell’arrangiamento e nel finale stile U2 (Bono diventerà un grande ammiratore, e apriranno molti concerti del Vertigo Tour del 2005 della band irlandese, e la parte iniziale di Wake Up fu usata come intro a City Of Blinding Lights); Haiti, che è placida e sofisticata, mostra le loro qualità nelle ballate. Une Année Sans Lumière cambia il cantato dall’inglese al francese, ed è davvero ballabile e dolcissima. In The Backseat con la voce della Chassagne che sembra alzarsi all’infinito rispetto alla musica, è un crescendo emozionale da ricordare, con intermezzo di archi. Nonostante le evidenti ispirazioni tutto l’album è una continua sorpresa eccitante, tra le pieghe degli arrangiamenti, tra i piccoli assoli di strumenti inusuali (farfisa, xilofono, gli archi, un corno francese), tra la voce sincopata e trascinante di Butler e quella morbida e vellutata della Chassagne. Funeral fa rimanere basiti per come tutto l’insieme funzioni in armonia e con un gusto che manca a tante band di oggi.
Il disco vende già molto bene, ma è con Neon Bible (2007) che il successo diventerà internazionale: un disco più sofisticato, e anche più arrabbiato e teso, ammirato per canzoni come Keep The Car Running, No Cars Go e la splendida e dolente My Body Is A Cage, che verrà ripresa da Peter Gabriel in Scratch My Back del 2010, versione che fa da colonna sonora ad una delle puntate più intese della serie Tv culto House M.D. La triade iniziale trova il culmine con The Suburbs, del 2010, che debutta in vetta alla classifica di Billboard e vince il premio Grammy per il miglior disco dell’anno, primo lavoro di una casa discografica indipendente ad ottenerlo. Dello stesso disco, fu fatto una sorta di video documentario diretto da Spike Jones che verrà presentato a numerosi festival cinematografici internazionali: la band collaborerà alla colonna sonora del film Lei (Her) scritto e diretto da Spike Jonze che vede Joaquin Phoenix come protagonista, e alcuni dei brani per il film troveranno posto in Reflektor, altro disco grandioso, del 2013. Se non ho capito male, ritorneranno presto anche in Italia per dei concerti questa estate, sarebbe l’occasione migliore per scoprire una band dalle caratteristiche uniche e dalla musica speciale, che è stata protagonista influente e simpatica della musica degli ultimi 20 anni in maniera anche inaspettata.
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La controrivoluzione delle élite di cui non ci siamo accorti: intervista a Marco D’Eramo - L'indipendente on line
Fisico, poi studente di sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi, giornalista di Paese Sera, Mondoperaio e poi per lungo tempo de il manifesto. Marco D’Eramo ha di recente pubblicato il saggio Dominio, la guerra invisibile contro i sudditi (ed. Feltrinelli, 2020), un libro prezioso che, con uno stile agevole per tutti e dovizia di fonti, spiega come l’Occidente nell’ultimo mezzo secolo sia stato investito di una sorta di rivoluzione al contrario, della quale quasi nessuno si è accorto: quella lanciata dai dominanti contro i dominati. Una guerra che, almeno al momento, le élite stanno stravincendo e che si è mossa innanzitutto sul piano della battaglia delle idee per (ri)conquistare l’egemonia culturale e quindi le categorie del discorso collettivo. Una chiacchierata preziosa, che permette di svelare il neoliberismo per quello che è, ovvero un’ideologia che, in quanto tale, si muove attorno a parole e concetti chiave arbitrari ma che ormai abbiamo assimilato al punto di darli per scontati, ma che – una volta conosciuti – possono essere messi in discussione.
Ci parli di questa rivoluzione dei potenti contro il popolo, cosa è successo?
Nella storia i potenti hanno sempre fatto guerra ai sudditi, se no non sarebbero rimasti potenti, questo è normale. Il fatto è che raramente i sudditi hanno messo paura ai potenti: è successo nel 490 a.C., quando la plebe di Roma si ritirò sull’Aventino e ottenne i tribuni della plebe. Poi, per oltre duemila anni, ogni volta che i sudditi hanno cercato di ottenere qualcosa di meglio sono stati brutalmente sconfitti. Solo verso il 1650 inizia l’era delle rivoluzioni, che dura circa tre secoli, dalla decapitazione di re Carlo I d’Inghilterra fino alla rivoluzione iraniana, passando per quella francese e quelle socialiste. Da cinquant’anni non si verificano nuove rivoluzioni.
E poi cosa è successo?
Con la seconda guerra mondiale le élite hanno fatto una sorta di patto con i popoli: voi andate in guerra, noi vi garantiamo in cambio maggiori diritti sul lavoro, pensione, cure, eccetera. Dopo la guerra il potere dei subalterni è continuato a crescere, anche in Italia si sono ottenute conquiste grandiose come lo statuto dei Lavoratori, il Servizio Sanitario Nazionale ed altro. A un certo punto, le idee dei subordinati erano divenute talmente forti da contagiare le fasce vicine ai potenti: nascono organizzazioni come Medicina Democratica tra i medici, Magistratura Democratica tra i magistrati, addirittura Farnesina Democratica tra gli ambasciatori. In Italia come in tutto l’Occidente le élite hanno cominciato ad avere paura e sono passate alla controffensiva.
In che modo?
Hanno lanciato una sorta di controguerriglia ideologica. Hanno studiato Gramsci anche loro e hanno agito per riprendere l’egemonia sul piano delle idee. Partendo dai luoghi dove le idee si generano, ovvero le università. A partire dal Midwest americano, una serie di imprenditori ha cominciato a utilizzare fondazioni per finanziare pensatori, università, convegni, pubblicazioni di libri. Un rapporto del 1971 della Camera di Commercio americana lo scrive chiaramente: “bisogna riprendere il controllo e la cosa fondamentale è innanzitutto il controllo sulle università”. Da imprenditori, hanno trattato le idee come una merce da produrre e vendere: c’è la materia prima, il prodotto confezionato e la distribuzione. Il primo passo è riprendere il controllo delle università dove la materia prima, ovvero le idee, si producono; per il confezionamento si fondano invece i think tank, ovvero i centri studi dove le idee vengono digerite e confezionate in termini comprensibili e affascinanti per i consumatori finali, ai quali saranno distribuiti attraverso giornali, televisioni, scuole secondarie e così via. La guerra si è combattuta sui tre campi della diffusione delle idee, e l’hanno stravinta.
Quali sono le idee delle élite che sono divenute dominanti grazie a questa guerra per l’egemonia?
La guerra dall’alto è stata vinta a tal punto che non usiamo più le nostre parole. Ad esempio, la parola “classe” è diventata una parolaccia indicibile. Eppure Warren Buffet, uno degli uomini più ricchi del mondo, lo ha detto chiaramente: «certo che c’è stata la guerra di classe, e l’abbiamo vinta noi». O come la parola “ideologia”, anche quella una parolaccia indicibile. E allo stesso tempo tutte le parole chiave del sistema di valori neoliberista hanno conquistato il nostro mondo. Ma, innanzitutto, le élite sono riuscite a generare una sorta di rivoluzione antropologica, un nuovo tipo di uomo: l’homo economicous. Spesso si definisce il neoliberismo semplicemente come una versione estrema del capitalismo, ma non è così: tra la teoria liberale classica e quella neoliberista ci sono due concezioni dell’uomo radicalmente differenti. Se nel liberalismo classico l’uomo mitico è il commerciante e l’ideale di commercio è il baratto che si genera tra due individui liberi che si scambiano beni, nel neoliberismo l’uomo ideale diventa l’imprenditore e il mito fondatore è quello della competizione, dove per definizione uno vince e l’altro soccombe.
Quindi rispetto alle generazioni che ci hanno preceduto siamo diventati un’altra specie umana senza accorgercene?
L’idea che ogni individuo è un imprenditore genera una serie di conseguenze enormi. La precondizioni per poter avviare un’impresa è avere qualcosa da investire, e se non ho capitali cosa investo? A questa domanda un neoliberista risponde: «il tuo capitale umano». Questa è una cosa interessantissima perché cambia tutte le nozioni precedenti. Intanto non vale l’idea del rapporto di lavoro come lo conoscevamo: non esiste più un imprenditore e un operaio, ma due capitalisti, dei quali uno investe denaro e l’altro capitale umano. Non c’è nulla da rivendicare collettivamente: lo sfruttamento scompare, dal momento che è un rapporto tra capitalisti. Portando il ragionamento alle estreme conseguenze, nella logica dominante, un migrante che affoga cercando di arrivare a Lampedusa diventa un imprenditore di sé stesso fallito, perché ha sbagliato investimento. Se ci si riflette bene, la forma sociale che meglio rispecchia questa idea del capitale umano non è il liberalismo ma lo schiavismo, perché è lì che l’uomo è letteralmente un capitale che si può comprare e vendere. Quindi non credo sia errato dire che, in verità, il mito originario (e mai confessato) del neoliberismo non è il baratto ma lo schiavismo. Il grande successo che hanno avuto i neoliberisti è di farci interiorizzare quest’immagine di noi stessi. È una rivoluzione culturale che ha conquistato anche il modo dei servizi pubblici. Per esempio le unità sanitarie locali sono diventate le aziende sanitarie locali. Nelle scuole e nelle università il successo e l’insuccesso si misurano in crediti ottenuti o mancanti, come fossero istituti bancari. E per andarci, all’università, è sempre più diffusa la necessità di chiedere prestiti alle banche. Poi, una volta che hai preso il prestito, dovrai comportarti come un’impresa che ha investito, che deve ammortizzare l’investimento e avere profitti tali da non diventare insolvente. Il sistema ci ha messo nella situazione di comportarci e di vivere come imprenditori.
Ritiene che l’ideologia neoliberista abbia definitivamente vinto la propria guerra o c’è una soluzione?
Le guerre delle idee non finiscono mai, sembra che finiscano, ma non è così. Se ci pensiamo, l’ideologia liberista è molto strana, nel senso che tutte le grandi ideologie della storia offrivano al mondo una speranza di futuro migliore: le religioni ci promettevano un aldilà di pace e felicità, il socialismo una società del futuro meravigliosa, il liberalismo l’idea di un costante miglioramento delle condizioni di vita materiali. Il neoliberismo, invece, non promette nulla ed anzi ha del tutto rimosso l’idea di futuro: è un’ideologia della cedola trimestrale, incapace di ogni tipo di visione. Questo è il suo punto debole, la prima idea che saprà ridare al mondo un sogno di futuro lo spazzerà via. Ma non saranno né i partiti né i sindacati a farlo, sono istituzioni che avevano senso nel mondo precedente, basato sulle fabbriche, nella società dell’isolamento e della sorveglianza a distanza sono inerti.
Così ad occhio non sembra esserci una soluzione molto vicina…
Invece le cose possono cambiare rapidamente, molto più velocemente di quanto pensiamo. Prendiamo la globalizzazione: fino a pochi anni fa tutti erano convinti della sua irreversibilità, che il mondo sarebbe diventato un grande e unico villaggio forgiato dal sogno americano. E invece, da otto anni stiamo assistendo a una rapida e sistematica de-globalizzazione. Prima la Brexit, poi l’elezione di Trump, poi il Covid-19, poi la rottura con la Russia e il disaccoppiamento con l’economia cinese. Parlare oggi di globalizzazione nei termini in cui i suoi teorici ne parlavano solo vent’anni fa sembrerebbe del tutto ridicolo, può essere che tra vent’anni lo sarà anche l’ideologia neoliberista.
Intanto chi è interessato a cambiare le cose cosa dovrebbe fare?
Occorre rimboccarsi le maniche e fare quello che facevano i militanti alla fine dell’Ottocento, ovvero alfabetizzare politicamente le persone. Una delle grandi manovre in questa guerra culturale lanciata dal neoliberismo è stata quella di ricreare un analfabetismo politico di massa, facendoci ritornare plebe. Quindi è da qui che si parte. E poi bisogna credere nel conflitto, progettarlo, parteciparvi. Il conflitto è la cosa più importante. Lo diceva già Machiavelli: le buone leggi nascono dai tumulti. Tutte le buone riforme che sono state fatte, anche in Italia, non sono mai venute dal palazzo. Il Parlamento ha tutt’al più approvato istanze nate nelle strade, nei luoghi di lavoro, nelle piazze. Lo Statuto dei Lavoratori non è stato fatto dal Parlamento per volontà della politica, ma a seguito della grande pressione esterna fatta dai movimenti, cioè dalla gente che si mette insieme. Quindi la prima cosa è capire che il conflitto è una cosa buona. La società deve essere conflittuale perché gli interessi dei potenti non coincidono con quelli del popolo. Già Aristotele lo diceva benissimo: i dominati si ribellano perché non sono abbastanza eguali e i dominanti si rivoltano perché sono troppo eguali. Questa è la verità.
[di Andrea Legni]
https://www.lindipendente.online/2023/11/01/la-controrivoluzione-delle-elite-di-cui-non-ci-siamo-accorti-intervista-a-marco-deramo/?fbclid=IwAR0J1ttaujW9lXdoC3r4k5Jm46v3rQM_NMampT4Sd_Q-FX4D-7TFWKXhn3c
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MAGP008 - Girando a vuoto
[Episodio precedente] [Indice TMAGP]
[Il computer dell’O.I.A.R. si accende]
NORRIS
Valutazione dell’elaborato 13718BTutor: Joseph Peterson (#ARCSTAF-12) Studente: Terrance Stevens (ID# ARCSTU-39609) Risultato: Bocciato – consegnato in ritardo (28%)
Valutazione:Struttura e Organizzazione – 50% Conoscenze – 40% Comprensione – 30% Analisi – 10% Uso delle fonti – 10%
Giustificato nel caso di: Seri problemi medici, trauma, altro. Commenti del tutor: “Venga a vedermi."
ALLEGATO:
Titolo: La Liminalità Brutale di Forton - un caso di studio dei fattori di stress psicologico indotti dall'architettura come risultato di un'esposizione prolungata agli spazi liminali in modalità brutalista, come mostrato dalla Forton Service Station.
Introduzione:
Questo saggio presenterà un’analisi dettagliata del Forton Services come esempio chiave per lo studio dell'intersezione tra brutalismo e spazi liminali nel design, con un focus secondario sui fattori di stress psicologico che un tale luogo può causare.
Per prima cosa, combinerò i framework teoretici per il brutalismo e la liminalità. Prenderò poi in esame le stazioni di servizio come uno spazio liminale stressante a livello psicologico, prima di proseguire con un’analisi architettonica del Forton Services e la sua storia come luogo brutalista. Il tutto terminerà con un caso di studio degli effetti della mia prolungata esposizione agli spazi liminali con architettura brutalista, tramite il mio impiego al Forton Services.
Per cominciare, stabiliamo un fondamento teorico per questo articolo collegando lo stile architettonico del brutalismo alla teoria antropologica della liminalità. Lo farò fornendo interpretazioni compatibili di entrambi e proponendo il nuovo concetto di “liminalità brutale”.
Brutalismo - ha origine dal Francese ‘béton brut,’ cemento grezzo - è un movimento architettonico che si concentra sullo scopo funzionale. Questo spesso risulta in materiali grezzo a vista, forme nette, forme geometriche ripetitive, e strutture monolitiche. Questo spesso può portare le persone esposte a questo stile a sentirsi sopraffatte o oppresse (Zumthor, P. 2006).
Spazi ‘liminali’, derivato dal termine latino ‘limen,’ che vuol dire ‘soglia,’ sono spazi di transito solitamente occupati per periodi brevi. È stato dimostrato che hanno effetti considerevoli sulla psiche di coloro che sono esposti ad essi, e si è scoperto che l'esposizione a lungo termine suscita risposte ansiose (Augé, M. 1995), (Bachelard, G. 1994) e una sensazione ‘perturbante’( Trigg, D.2012).
La mia ipotesi è che il Forton Services, un luogo di intersezione di questi due elementi psicologicamente significativi, può essere considerato un luogo di quello che ho denominato liminalità brutale, ed è per questo che ha un marcato effetto su coloro che ne sono esposti nel lungo periodo, come dimostrato dalle mie esperienze. Nello specifico, crea un senso di assenza che nonostante la presenza, una sorta di “fame architettonica.”
Le stazioni di servizio come Forton sono state originariamente concepite come un luogo in sè per sè, piuttosto che solo una pausa in un viaggio. Comunque, con il diffondersi delle automobili personali e il conseguente sovrasviluppo dell’infrastruttura stradale del Regno Unito, questi luoghi si sono trasformati in spazi liminali.
Questo aumento nel numero di viaggiatori, ben oltre i parametri della progettazione originale, ha portato a un flusso fugace di persone che transitano nelle stazioni di servizio a tutte le ore, lasciandosi dietro solamente rifiuti.
Non solo, a questi spazi è associata la percezione distorta del tempo, aggravata dalla voluta assenza di orologi (per incoraggiare soste più lunghe) e orari di apertura di 24 ore su 24 con routine di apertura, chiusura, pulizia e rifornimento scaffali.
La mia teoria è che poiché questi spazi sono privi di presenza umana costante e una corrente percezione del tempo, si sono così separati dal panorama psicologico condiviso dall’umanità, e ci sono dei rischi per la salute di natura unica per le persone che sono esposte per periodi prolungati a questo fenomeno. In breve, ritengo che la “fame architettonica” di uno spazio che prova risentimento nei confronti della propria natura di luogo di transito può essere pericolosa, e ho un’esperienza diretta di questo fenomeno semplicemente unica.
Ho accettato la posizione di inserviente per il turno di notte al Forton a seguito di un prolungato divorzio che mi è costato la maggior parte delle mie amicizie. L’episodio di stress che ne è seguito mi ha portato a lasciare il mio lavoro come vice amministratore dei servizi fiduciari. Così ho fatto domanda per un colloquio e ottenuto con successo un impiego a bassi livelli di stress come inserviente, nonostante le mie notevoli qualifiche. Allo stesso tempo mi sono iscritto al Programma di Architettura all’Università di Lancashire, come studente maturo di 51 anni.
Mi sono presto accorto che il Forton Services è un perfetto esempio di liminalità brutale, dato il suo status sia come popolare stazione di servizio sull’autostrada e come monumento di architettura brutalista. E ritengo che questo sia principalmente dovuto alla Pennine Tower,che raggiunge i 20 metri e che è stata messa in vendita nel 2012, nonostante fosse chiusa al pubblico.
L’area è 17,7 acri, include una zona picnic all'aperto e delle strutture su entrambi i sensi dell’Autostrada M6, con posti a sedere per 700 persone, 101 bagni e 403 parcheggi.
In cima alla torre originariamente c’era un ristorante di classe con una terrazza sul tetto, entrambi avevano una vista senza pari sulla campagna rurale che la circonda su ogni lato.
Sfortunatamente, gli effetti della liminalità brutale hanno presto fatto effetto, con un rapporto del governo che definiva il luogo “un’area fieristica priva di anima,” il ristorante divenne una lounge per camionisti prima che fosse chiuso al pubblico nel 1989. Sono passati decenni dall’ultima volta che qualcuno ha mangiato lì.
In seguito ci sono stati tentativi fallimentari di dare un nuovo scopo all’area, ma nel 2017, i due ascensori pentagonali al centro della torre sono stati sostituiti, rendendo i piani più alti abbandonati e inaccessibili.
La torre svetta ancora sulla campagna circostante, l’unico accesso è tramite il Forton Services sottostante, esempio di liminalità brutale. Ma l’ingresso è sbarrato, e questo forse è per il meglio.
Nonostante non potessi entrare nella torre, anche io nel corso dei mesi in cui ho lavorato lì ho accusato un cambiamento psicologico.
Inizialmente era talmente lieve che non me ne sono accorto, e quando è successo, ho pensato che ci fosse una spiegazione razionale. In termini semplici, ogni notte c’erano sempre meno persone. All’inizio ho pensato che fosse un qualche cambiamento che non avevo notato dovuto al periodo, ma ogni giorno diventava sempre più marcato finché alla fine, una notte, non mi sono reso conto che non avevo visto una singola persona.
Questo era ovviamente impossibile, ma era confermato dal mio registro (vedere tavola 1). Mi sono arrovellato, cercando di ricordare se avevo visto o anche solo intravisto qualcuno, ma no, nessuno. Intrigato, sono uscito fuori per controllare il parcheggio. Non c’era nemmeno una singola auto. Ma c’era… qualcos’altro.
Mentre i miei occhi si abituavano alla distesa ambrata, ho notato delle strisce di luce sospese nell’aria. C’era una foschia luminosa che attraversava tutto il parcheggio, un miscuglio di colori attenuati attraversati da rossi più vividi, bianchi e gialli, ma cosa ancora più curiosa, mi sono accorto che principalmente era sospesa sopra l’asfalto. Le aiuole e i marciapiedi ne erano quasi tutti privi. L'effetto era stranamente familiare, ma non riuscivo a collegarlo. Da allora non sono stato ancora capace di determinare se la causa di questo effetto è di natura psicologica, fisiologica o atmosferica, ma confermo che questo fenomeno era accompagnato da un’inquietante senso di mancanza. Di fame.
Ho aguzzato nuovamente lo sguardo, cercando di cogliere dei dettagli in quelle lunghe strisce ondulate e iridescenti. Nel caos potevo distinguere dei percorsi più densi che portavano dalle porte principali alle strutture. Mentre osservavo, un ricordo delle fotografie della mia ex-moglie mi è tornato in mente, la mia foto preferita, che mi aveva regalato per il nostro settimo anniversario: “Uno studio del traffico.”
È stato in quel momento che ho capito perché mi sembrava tutto così familiare. Esposizione prolungata. Se fossi potuto entrare in quella fotografia, l’effetto sarebbe stato questo. Sarebbe stato bellissimo, se non fosse stato così destabilizzante.
Ripensandoci stavo chiaramente avendo un qualche tipo di grave episodio di allucinazioni causato dalla prolungata esposizione a quell'ambiente. Sapevo che probabilmente avrei dovuto semplicemente starmene seduto in silenzio ed aspettare che passasse, ma la nebbia luminosa era già entrata nell’edificio, e sentivo solo l’istinto di nascondermi, di trovare un posto, un posto qualsiasi, purché fossi lontano da quel miasma opprimente che sciabordava avanti e indietro nell’ingresso, minacciano di portarmi via con sé.
Sono tornato indietro, allontanandomi dall’ingresso principale, allontanandomi dalle aree più dense di quel caleidoscopio, nella speranza di trovare un posto meno saturo e schiacciante.
Ed è stato allora che ho visto la donna.
Era alta, giovane, e magrissima, al punto da sembrare quasi denutrita, vestita come una steward con un gilet blu avvitato, abbottonato sopra una gonna grigia e seria. Stava sorridendo, tenendo la porta dell’ascensore aperta e invitandomi dentro. C’era una targhetta di ottone sul suo gilè, ma invece di un nome c’era scritto solo “Sei qui.”
Ho esitato per un istante, poi prima che potessi valutare la sua stranezza, una marea di colore particolarmente alta ha invaso il corridoio avanzando verso di me. Sono andato nel panico e prima che mi rendessi conto di cosa stavo facendo ero saltato dentro l’ascensore e avevo schiacciato il bottone per chiudere le porte.
Le ho detto un “Grazie,”con la voce spezzata per il disuso. Lei a quanto pare non l’ha notato e ha continuato a sorridermi con calore quando ha allungato un braccio e ha pigiato il bottone per il penultimo piano etichettato “Ristorante.” Un bottone che sapevo essere disabilitato. L’ascensore ha iniziato a salire.
Ero in piedi, appoggiato contro le porte, e cercavo di riprendere fiato mentre lei ha iniziato a parlare:
“Buonasera!” ha esclamato. “È un piacere darti il benvenuto! Sei qui! Fermati un po’!”
Ho borbottato qualche domanda indistinta, e il suo sorriso è rimasto largo come non mai, ma non ha detto niente. Poi le porte dell’ascensore si sono aperte con un ding e io sono caduto all'indietro sul pavimento.
“Fermati un po’!” ha ripetuto, prima che le porte dell’ascensore si chiudessero, lasciandomi nella torre.
Molly, la persona che avevo sostituito, mi aveva fatto vedere che le scale della torre erano sbarrate, e sapevo che sù in cima non c’era niente se non dei mobili rotti e bagnati dall'umidità. O almeno, così sarebbe dovuto essere.
Di fronte a me, però, c’era un ristorante, immacolato e luminoso con un arredamento retrò, stile anni ‘60, e il dolce profumo della carne di maiale sul fuoco veniva verso di me dalla cucina centrale. Sedie e tavoli erano allineati lungo la parete perimetrale, su ogni lato c’erano delle gigantesche finestre che avrebbero mostrato una vista impressionante del paesaggio sottostante, se non fossero state oscurate. Questo non sembrava infastidire gli ospiti, comunque, che erano felicissimi di mangiare mentre chiacchieravano gli uni con gli altri.
C’è stato un attimo di sollievo in quel momento, perché per quanto fosse strana quella situazione, almeno c’erano delle persone. Non ero più intrappolato in quel bizzarro limbo albeggiante e solitario al piano di sotto.
La sensazione è svanita, comunque, quando ho sentito cosa stavano dicendo. O meglio, cosa non stavano dicendo.
Guardandomi intorno, il ristorante era quasi al completo, con un solo tavolo libero, ma quando ho cercato di ascoltare una sola conversazione, questa era solamente… rumore. Un mormorio ovattato che all’orecchio sembrava un discorso ma non conteneva alcun significato. Le loro bocche si muovevano ma potevo solo sentire un gorgoglio privo di senso, solo l’imitazione della parola, niente di più.
In maniera simile, quando ho guardato gli ospiti stessi con più attenzione, ho notato degli elementi che si ripetevano in maniera strana tra di loro. Tre donne stavano indossando gli stessi tacchi rosso-sangue. Due uomini gli stessi cappotti blu. E peggio, c’erano addirittura dei tratti ripetuti su volti diversi: gli stessi occhi verdi su due donne, baffi identici su tre uomini. Queste erano imitazioni di persone così come il suono era un’imitazione della parola. Ed erano tutti così orribilmente magri.
Uno chef si è girato verso di me, lo stesso sorriso sul suo volto sotto una quarta versione di dei baffi cespugliosi, e la stessa identica targhetta “Sei qui” sul petto. Ha indicato da dietro il bancone l’unico tavolo disponibile:
“Buona sera!” Ha urlato. “Sei qui! Speriamo che ti fermi per un po’!”
Automaticamente mi sono avvicinato al tavolo, prima di fermarmi. Nello stesso istante è sembrato che tutti nella sala si sono inclinati leggermente in avanti per l’anticipazione.
Ed è stato in quel momento che mi sono accorto della brezza che soffiava dalle finestre oscurate, solo che non erano oscurate. Non erano nemmeno finestre. Erano buchi quadrati spalancati e oltre i quali c’era il nulla assoluto. Qualsiasi ospite poteva allungare un braccio, se voleva, e affondare la mano nel vuoto buio, inquietante e completamente privo di dettagli. Non c’era niente. Niente verso l’alto, niente verso il basso, niente di niente. Niente, se non la torre e il ristorante.
Ho sentito l'istinto di allontanarmi da quella terrificante assenza in tutto il corpo, e sono indietreggiato verso l’ascensore. È stato in quel momento che il delicato mormorio di non-parole si è fermato di colpo, per essere rimpiazzato dal più totale e assoluto silenzio.
Stavano sempre tutti sorridendo, ma i loro volti ripetuti si erano bloccati, gli sguardi puntati su di me.
Lo chef ha parlato di nuovo, e anche se il suo tono non era cambiato, era chiaro che questa non era più una richiesta:
“Fermati un po’!”
Gli ospiti hanno fatto eco alle sue parole, un coro graduale sparso nella sala, che si sovrapponeva e si intrecciava, che mi ha avvolto e mi ha trascinato verso il tavolo.
“Fermati un po’!”
La loro presa su di me si è fatta più stretta, una dozzina di mani mi spingeva e mi tirava come se fossero una cosa sola. Poi un uomo con gli stessi baffi si è chinato verso la mia gamba, ha aperto la bocca, e mi ha morso.
Il dolore mi ha attraversato il corpo, ma i miei tentativi di liberarmi erano invani e poi una donna mi ha affondato i denti nella spalla, e potevo sentire il sangue caldo che scorreva lungo la mia schiena, mentre allo stesso tempo lo chef mi ha strappato un dito, l’osso ha a malapena rallentato la sua mandibola ben definita.
Ho urlato, ma il suono è soffocato, scivolando fuori dalle finestre e nel nulla.
Con una scarica improvvisa di adrenalina, ho spinto e scalciato e combattuto per liberarmi da quella folla emaciata, i loro corpi magri e fragili facevano poca resistenza, nonostante il numero. Ma non avevo vie di fuga. L'ascensore era sparito come se non fosse mai esistito e oltre le finestre c’era, ovviamente, il nulla. “Sei qui,” ho pensato amareggiato.
E così quando mi sono ritrovato di fronte al prospetto di essere mangiato vivo, o di buttarmi da una di quelle finestre nel più completo oblio… non era di una scelta. Mi sono buttato.
[Pausa]
NORRIS
I paramedici hanno attribuito il mio dito mancante e le altre ferite alla caduta dalla torre, e salvo ulteriori prove del contrario (per le quali non ho intenzione di tornare a Forton), sono costretto ad accettare la loro diagnosi di ferita da caduta e trauma associato come il risultato di un episodio psicotico causato dallo stress.
Per concludere, non c’è dubbio che il periodo in cui ho lavorato al Forton Services ha avuto un impatto considerevole su di me. Questa esperienza è prova di un intenso disagio mentale che la liminalità brutale può infliggere a una persona esposta troppo a lungo a una tale “architettura affamata.”
Posso solo scusarmi per la mia non voluta e prolungata assenza. Spero che questo possa fornire un po’ di contesto, anche se sono dolorosamente consapevole che non è stata fatta alcuna denuncia di persona scomparsa alla polizia, poiché a quanto pare nessuno dei miei colleghi, tutor o colleghi studenti si è accorto della mia assenza.
Ciò nonostante, spero che questa possa comunque essere considerata una circostanza attenuante e che quanto ho scoperto meriti uno studio approfondito. Anche se in tal caso richiederei che altri ulteriori lavori vengano assegnati a un altro studente.
[L’audio assume il tono riecheggiante della CCTV della saletta del personale]
[Passi che entrano]
[Qualcosa viene inclinato, senza risultati]
[Qualcosa viene appoggiato con rabbia]
GWEN
Alice.
[Una pausa]
GWEN
Alice.
ALICE
(si toglie un’auricolare) Hm?
GWEN
L’hai fatto di nuovo.
ALICE
Hmmm.
GWEN
Non farmi ‘hmmm’. Eravamo d’accordo che se finisci l’acqua nel bollitore dopo lo devi riempire.
ALICE
(sempre distratta) Non è vuoto.
GWEN
Non c’è nemmeno un terzo di una tazza qui dentro.
ALICE
(a voce più alta, finalmente prende parte alla conversazione) Quindi non è vuoto, giusto, no?
GWEN
Già è grave che cerchi deliberatamente dei casi parlanti e li lasci in play solo per darmi fastidio -
ALICE
Secondo l’accusa.
GWEN
– ma lasciare il bollitore pieno è il minimo!
[Pausa]
[Gwen inizia a riempire il bollitore]
ALICE
Sembri stressata. Problemi nella piramide aziendale? Accusi già il peso del ruolo di Deputata Presidente della Sinergia Esecutiva?
GWEN
“Collegamenti Esterni.”
ALICE
E ovviamente, sappiamo entrambe cosa vuol dire. Giusto?
GWEN
Presumo che gestirò una manciata di subappalti.
ALICE
(Interessata suo malgrado) Subappalti per cosa?
GWEN
Riceverò una spiegazione più dettagliata “a breve.”
ALICE
Cielo! Quanta adrenalina! Spero che deciderai di spiegarlo anche a noi infimi soldati semplici quando Lena avrà finalmente capito qual’è il tuo lavoro. Presumendo che per allora qui sarà rimasto qualcuno di noi.
GWEN
E cosa vorresti dire con questo?
ALICE
Solo che ultimamente qui ci sono stati molti cambiamenti. Non mi esalta. Teddy, Sam, Celia - e hai sentito che Lena ha messo Colin in “congedo per la salute mentale”?
GWEN
(Sorpresa) Cosa?
ALICE
Oh sì, c’è stata una scenata. Ha dato di matto e ha spaccato il telefono di Sam.
GWEN
L’ho sempre detto che era disturbato.
ALICE
Tu dici molte cose, per la maggior parte cagate. Non so… ho la sensazione che qui c’è sotto qualcosa.
GWEN
L’unica cosa che “c’è sotto” è il gigantesco carico di casi che tu non stai facendo niente per recuperare. A tal proposito, dove sono Sam e Celia?
ALICE
Hanno finito i loro casi prima, quindi sono andati via insieme.
GWEN
Non possono andarsene così senza nemmeno timbrare l’uscita!
ALICE
Forse erano troppo impegnati a darci dentro con la voce sexy di Norris in sottofondo e non se ne sono accorti.
GWEN
(fermamente) Non essere disgustosa.
ALICE
Ricevuto, “capo.”
[La CCTV si spegne]
[Suono di un telefono]
[L’audio cambia e ha la qualità metallica del telefono]
[Siamo al chiuso, con dei passi che si avvicinano]
GERRY
(Allegro) Scusate per il disordine, non aspettavo visite.
CELIA
Una tazza vuota non è “disordine”.
GERRY
Oh, sei troppo gentile!
(adesso un po’ più lontano, ad alta voce) C’è del pane a lievitazione naturale, se vi va?
SAM
No grazie mille!
GERRY
(ad alta voce) Sicuri? C’è anche del lemon curd fatto in casa da abbinarci…
SAM
(ad alta voce) Davvero, siamo apposto!
GERRY
(ad alta voce) Tè? Caffè? Succo d’arancia?
CELIA
(ad alta voce) Sei davvero gentile, ma per noi niente, davvero grazie!
GERRY
Beh, se siete sicuri…
[Gerry si siede]
GERRY
Allora. Dove eravamo, mi sa che mi sono perso i vostri nomi!
SAM
Sam.
CELIA
Celia.
GERRY
Piacere conoscervi entrambi. Io sono Gerry!
SAM
(Sorridendo) Lo sappiamo.
GERRY
(ridendo) Oh già, certo! Avete chiesto se ero in casa, ah! Allora, che cosa posso fare per voi?
SAM
Già, beh -
CELIA
Abiti qui da solo?
GERRY
(ridendo) Con gli affitti di Londra? Impossibile! Non fraintendetemi, il padrone di casa è adorabile e tutto il resto, ma no. Devo sempre fare a metà con Gee Gee.
CELIA
Gee Gee?
[Passi che si avvicinano]
GERTRUDE
Sarei io.
GERRY
(Ad alta voce) Ci sono ospiti, Gee Gee!
GERTRUDE
Sì, questo posso vederlo, Gerry.
(freddamente) A che cosa dobbiamo questa… gradevole visita di prima mattina?
SAM
Oh sì, scusi, lavoriamo di notte, quindi…
GERTRUDE
Quindi?
[Una pausa]
[Sam si schiarisce la voce]
SAM
Beh… uh… ci stavamo chiedendo -
CELIA
Questo l’hai dipinto tu?
GERTRUDE
Prego?
GERRY
Oh sì! Lo chiamo “Epifania di Camden.” Ti piace?
CELIA
È bellissimo!
GERRY
Se vuoi puoi averlo.
CELIA
Oh no, non potrei…
GERRY
Va bene, onestamente, ne ho molti altri di là. Ci faresti un favore, ad essere sinceri.
[Celia si fa scappare una risata]
GERRY
Gee Gee dice sempre che portano via troppo spazio, no, Gee Gee?
GERTRUDE
Di preciso che cosa avete detto di volere da mio nipote?
CELIA
Uh… Sam?
SAM
Già. Certo. Mi stavo chiedendo se sapevi qualcosa dell’Istituto Magnus?
[Una pausa, nessuno si muove]
[Si schiarisce di nuovo la gola]
SAM
Ero in uno dei loro programmi per bambini precoci e - um - ho trovato un elenco con qualche altro bambino, e ho pensato che sarebbe potuto essere bello se potessimo ritrovarci e scambiare storie e tutto il resto…
GERTRUDE
Capisco. Beh, mi dispiace, ma non credo che Gerry possa aiutarvi -
GERRY
(Con noncuranza) Sì, me lo ricordo a malapena.
[Gertrude fa un leggero sospiro]
SAM
Oh, allora eri un candidato?
GERRY
Oh sì, ma ero piuttosto piccolo. Ricordo di aver riempito una serie di schede e questionari, poi qualche vecchio che mi faceva domande sul genere di libri che mi piaceva leggere, chi ammiravo, quel genere di cose. E poi sono andato via.
SAM
(deluso) Tutto qui?
GERRY
Sì, temo di sì. Oltre che a trovarmi seduto con altri bambini in una stanza che odorava di libri vecchi.
[Una pausa]
GERTRUDE
(alzandosi in piedi) Beh, se questo è tutto, noi davvero dovremmo iniziare la nostra giornata…
SAM
(abbattuto) Ma certo, noi andiamo allora. Ah, beh.
GERRY
Oh, non prenderla troppo sul personale. È una mattina così bella.
[Gerry sembra così felice]
SAM
(Sorridendo) Non ha torto.
GERTRUDE
(aprendo la porta) Non vi tratterremo oltre. È stato un piacere conoscervi.
GERRY
(Allegro) Non dimenticare L’Epifania di Camden.
CELIA
Nemmeno per sogno.
[Le passa il quadro]
GERRY
(sempre allegro) E tornate presto! È sempre un piacere chiacchierare con dei vecchi amici!
GERTRUDE
Non penso ne avranno motivo, Gerry.
(a Sam) Buona caccia, ma altrove.
SAM
Di nuovo grazie per il tuo tempo.
[Passi che se ne vanno]
CELIA
Ciao, Gerry!
GERRY
Ciao, Celia!
[La porta si chiude]
GERRY
(ovattato da dentro) Mi piacevano.
GERTRUDE
(ovattato) Ovviamente.
[Suoni di un telefono]
[L’audio continua ad avere un tono metallico quando Sam e Celia escono, passi sul marciapiede]
SAM
Beh è stato -
CELIA
Niente male!
SAM
(diverto dal suo entusiasmo) – un vicolo cieco.
CELIA
Già. Però c’è il quadro gratis!
SAM
(inizia a camminare) Come pensi di portarlo sulla Metro?
CELIA
Mi inventerò qualcosa.
SAM
…Grazie per essere venuta con me, Celia. So che lavoriamo insieme solo da poche settimane.
CELIA
Hey, è stata una mia idea, ricordi?
SAM
So che Alice vuole che lasci perdere questa cosa del Magnus, ma, beh, dovevo provarci.
Non che faccia alcuna differenza. Vicolo cieco dopo vicolo cieco.
CELIA
Beh… forse puoi aiutarmi con il mio mistero?
SAM
E che mistero sarebbe?
CELIA
Sto cercando di indagare… nelle cose strane dal punto di vista fisico: viaggi nel tempo, altre dimensioni, teletrasporto, tutte quelle belle cose. Freddy a quanto pare non fa ricerche, quindi potresti tenere gli occhi aperti e farmi sapere se succedono nei tuoi casi?
SAM
Uh, sembra un po’ fantascientifico rispetto alle solite cose. Per cosa ti serve? (divertito) Non è che stai facendo ricerche per quel podcast a cui hai partecipato, no?
CELIA
(Sorpresa) Lo conosci?
SAM
Potrei averti googolata.
CELIA
Allora… sì. Sto facendo un favore a Georgie.
SAM
Okay.
[Una pausa]
CELIA
Allooora…. Abbiamo un accordo? Ci aiutiamo a vicenda con i nostri misteri?
SAM
Sì, va bene. Affare fatto.
CELIA
Fantastico.
Inoltre, come parte dell’accordo, devi portare questo dipinto sulla Metro.
SAM
Ehi aspetta -
[Il telefono si spegne]
[Traduzione di: Victoria]
[Episodio successivo]
#the magnus protocol#il protocollo magnus#tmagp ita#tmagp#gli archivi magnus#tma ita#traduzione italiana#tma#tmagp008
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Napoli - Francesco Laurana - Maschio Angioino - Arco trionfale - 1479
Fondata dai Greci di Cuma, i sovrani che nei secoli si sono susseguiti sul trono di Napoli sono stati:
i Normanni:
- Ruggero I d’Altavilla conquistò la Sicilia nel 1091;
- Ruggero II (1130 - 1154): fu il primo re di una Sicilia multietnica e multireligiosa avendo accorpato in un unico regno tutti i possedimenti normanni nell’Italia Meridionale conquistando Napoli nel 1137;
- Guglielmo I (1154 - 1166)
- Guglielmo II (1166 - 1189): eresse il Duomo di Monreale;
- Tancredi (1189 - 1194)
- Guglielmo III (1194)
- Costanza d’Altavilla (1194 - 1197)
gli Svevi:
- Federico II (1198 - 1250) Stupor Mundi: a Napoli istituì l’università nel 1224;
- Corrado (1250 - 1254): dovette confrontarsi con il potere del fratellastro Manfredi;
- Corradino (1254 - 1258): fu sconfitto nella battaglia di Tagliacozzo e fatto imprigionare a Castel dell’Ovo e decapitare da Carlo d’Angiò nella piazza del mercato a Napoli, poi sepolto nella vicina Chiesa del Carmine. La dinastia degli Svevi scomparve con la morte di Manfredi nel 1266.
gli Angioini:
- Carlo I (1266 - 1285): fratello di Luigi IX il Re Santo, Conte d’Anjou, ricevette in vassallaggio la Sicilia e Napoli dal Papa che difese dagli Hohenstaufen. Edificò il Maschio Angioino, con uno stile che richiama il castello di Avignone, nel 1282;
- Carlo II (1285 - 1309): dovette rinunciare al trono di Sicilia dopo la rivolta dei Vespri Siciliani nel 1302;
- Roberto I (1309 - 1343): figlio di Maria d’Ungheria sepolta nella Chiesa di Donnaregina, fu apprezzato da Petrarca e amante della cultura e delle lettere;
- Giovanna I (1343 - 1382): fu fatta assassinare dal ramo di Durazzo degli angioini e le succedette
- Carlo (1382 - 1386)
- Ladislao (1386 - 1414)
- Giovanna II (1414 - 1435)
- Renato I (1435 - 1442)
gli Aragonesi:
- Alfonso I d’Aragona (1442 - 1458): sconfisse Renato d’Angiò e unì il tono di Napoli a quello di Sicilia e ai possedimenti della Sardegna e della Spagna occidentale. Combattè contro Milano e Genova e dotò il Maschio Angioino dell’attuale arco di trionfo;
- Ferdinando I detto Ferrante (1458 - 1494): all’inizio del suo regno dovette fronteggiare la rivolta angioina e successivamente sedò la rivolta dei baroni e si alleò con gli Sforza contro il re di Francia Carlo VIII d’Angiò. Del suo tempo la Chiesa del Gesù Nuovo;
- Alfonso II: sposò Ippolita Maria Sforza, ma dovette abdicare a causa della calata di Carlo VIII;
- Ferrandino (1494 - 1496)
- Federico I (1496 - 1503) durante il cui regno vi fu la conquista e poi la cacciata di Luigi XII re di Francia;
- Ferdinando III (1504 - 1516) dopo il quale il Regno di Napoli fu incluso in quello di Spagna prima sotto la casata degli Asburgo (con la breve parentesi della Repubblica di Masaniello fra il 1647 e il 1648) poi sotto quella dei Borbone (1700 - 1713) ed ancora sotto quella degli Asburgo d’Austria (1713 - 1734).
i Borboni:
- Carlo I (1734 - 1759): già Duca di Parma, conquistò e riunificò il Regno delle Due Sicilie anche grazie alla madre Elisabetta Farnese, seconda moglie del re di Spagna, che da Madrid influenzò la prima parte del suo regno. Riformò con Bernardo Tanucci l’amministrazione, promosse la musica (fondò il Teatro di San Carlo nella patria di Paisiello e Pergolesi), l’arte (promosse la ceramica di Capodimonte, fece costruire al Vanvitelli la reggia di Caserta del 1751 e quella che oggi è Piazza Dante oltre alla Reggia di Capodimonte dove installò la collezione Farnese) e sostenne gli scavi a Pompei ed Ercolano che iniziarono nel 1738);
- Ferdinando (1759 - 1799 e 1816 - 1825): sposò una figlia di Maria Teresa d’Austria, Maria Carolina che lo allontanò dall’influenza spagnola di Bernardo Tanucci, promosse la Marina Militare (nel 1787 fu fondata la Nunziatella), ma dovette subire una rivoluzione filo-francese (Eleonora Fonseca Pimentel, Mario Pagano, …) nel 1799 contrastata dal Cardinale Ruffo e da Fra Diavolo e la conquista napoleonica che insediò Giuseppe Bonaparte dal 1806 al 1808 e Gioacchino Murat dal 1808 al 1815 prima di diventare, con il Congresso di Vienna, Re delle Due Sicilie ed essere sepolto al Monastero di Santa Chiara;
- Francesco (1825 - 1830)
- Ferdinando II (1830 - 1859): fondò la prima ferrovia d’Italia (1839), ma fu reazionario e soprannominato il Re Bomba per come represse i moti rivoluzionari del 1848 a Messina;
- Francesco II (1859 - 1861): era figlio di Ferdinando II e di Maria Cristina di Savoia e sposò la sorella di Sissi, Maria Sofia di Baviera.
Con l’Unità, Napoli confluì nel Regno d’Italia: ecco perché la statua di Vittorio Emanuele II è presente a Palazzo Reale.
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[ARTICOLO] Jin dei BTS partecipa alla sfilata della collezione primavera-estate 2025 di Gucci nel suo debutto da Ambassador del marchio
"Dopo un lungo viaggio da Seoul, capitale della Corea del Sud, Jin dei BTS ha fatto il suo debutto alla Milano Fashion Week direttamente dalla prima fila della sfilata della collezione primavera-estate 2025 di Gucci. E per un'occasione del genere, ovviamente, ha dovuto indossare qualcosa di adatto.
Jin ha sfoggiato quello che, a nostro parere, è il suo miglior look mai visto finora. Per posare davanti ai fotografi nel photocall rosso messo a disposizione, infatti, la star ha indossato un maglione lavorato a maglia iridescente che rifletteva una gamma di colori che spaziava tra il marrone, l'arancione e il viola. Il maglione, inoltre, lasciava scoperta parte del suo petto così da incorniciare perfettamente le svariate collane d'argento che Jin aveva indosso, una delle quali adornata con un ciondolo a forma di chiave che gli pendeva dal collo. A completare il look c'erano poi dei pantaloni marroni fatti su misura e retti da una cintura nera di Horsebit e i mocassini classici di Horsebit, anch'essi di colore nero. I capelli di Jin sono stati invece pettinati all'ingiù e con un effetto quasi 'bagnato' a coprire la fronte della star, uno stile sicuramente diverso da quello corto che abbiamo visto l'artista portare in tutte le sue apparizioni del periodo post-militare.
Prima di arrivare in Italia per la sfilata di Gucci, però, Jin era già stato fotografato all'aeroporto di Incheon mentre sfoggiava anche per viaggiare un look firmato dal brand di lusso di cui è ambassador (N/B: un 'brand ambassador' è il 'portavoce della marca', cioè un professionista o una celebrità che ha il compito di promuovere un brand e i suoi servizi). In particolare, la star indossava un completo di giacca e jeans in denim nero con uno zaino nero abbinato. Tutti e tre i pezzi erano decorati con le classiche strisce verdi e rosse di Gucci. Jin aveva poi completato il look con una maglietta da baseball sotto la giacca e un paio di sneakers bianche e nere.
Questa è stata soltanto la più recente delle avventure di Jin nel mondo della moda. Dopo la fine del suo servizio militare, infatti, l'artista è stato accolto a braccia aperte dall'industria del fashion. Prima è stato scelto per essere il primo ambassador globale di Fred Jewelry, un brand di LVMH (N/B: 'LVMH Moët Hennessy Louis Vuitton SE', abitualmente accorciata in 'LVMH', è una multinazionale e conglomerato francese con sede a Parigi e proprietaria di oltre settanta marchi di lusso). In seguito, invece, è diventato ambassador mondiale di Gucci al fianco di altri volti noti come il membro del gruppo delle Newjeans Hanni, la star di How to Make Millions before Grandma Dies Billkin e l'attore indiano Alia Bhatt.
Nonostante questa non sia la prima esperienza di Jin come ambassador globale di un brand di lusso, è certamente la prima volta che la star ricopre questo ruolo da solo. In precedenza tutti e sette i membri dei BTS - RM, Jin, Suga, J-Hope, Jimin, V e Jungkook - avevano insieme rappresentato in tutto il mondo il marchio Louis Vuitton sotto la direzione artistica del compianto Virgil Abloh. Successivamente, i membri si sono imbarcati in progetti individuali anche nella moda. RM è diventato un testimonial per Bottega Veneta, Suga per Valentino, J-Hope ha continuato a collaborare con Louis Vuitton, Jimin ha partecipato alla Settimana della moda di Parigi come ambassador di Dior, V si è unito a Cartier come ambassador globale del brand e Jungkook ha continuato a fare il modello per Calvin Klein.
Ora che Jin ha concluso i suoi primi impegni come ambassador di Gucci, però, non vediamo l'ora di vedere cos'altro ci aspetta".
Traduzione a cura di Bangtan Italian Channel Subs (©jimindipityR) | ©TeenVogue
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ispirazioni
© Giovanni Gastel [*] Ritratto eseguito per la rivista francese FEMME alla metà degli anni '90 a Parigi ispirato all'opera di René Gruau
René Gruau [*]
https://www.instagram.com/giovanni_gastel/
https://ninisochic.wordpress.com/2013/11/26/lo-stile-gruau/
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Jean Cocteau La rivincita del giocoliere
Peggy Guggenheim Collection
Kenneth E.Silver, saggio di Blake Oetting
Marsilio Arte, Venezia 2024 , 176 pagine, 20,5x26,8cm, ISBN 978124631676
euro 40,00
email if you want to buy [email protected]
«L’opera di Cocteau ci lascia una sensazione perdurante di felicità, non perché escluda la sofferenza, ma perché in essa nulla è rifiutato, rimpianto o crea rancore. La felicità è un segno di saggezza, più affidabile di quanto si creda, e forse lui ne ha più di altri…» Wystan Hugh Auden, poeta
Brillante, sorprendente e poliedrico. È Jean Cocteau (1889-1963), artista francese che ha lasciato un segno come disegnatore, regista, scenografo, muralista, designer di gioielli e di abiti. La poesia, tratto fondante del suo inconfondibile stile, è caratterizzata da atmosfere mitologiche e circensi e da una scrittura spiazzante che accompagnerà sempre la sua infinità di creazioni nei campi più disparati. In occasione della prima retrospettiva in Italia dedicata all’artista, allestita alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, esce per Marsilio Arte il libro Jean Cocteau. La rivincita del giocoliere di Kenneth E. Silver, con un saggio di Blake Oetting (Orfeo, due e più volte: i riverberi queer di Jean Cocteau). Lo spazio espositivo è anche un omaggio all’amicizia che legò l’artista a Peggy Guggenheim. Fu lui, infatti, a incoraggiare la giovane collezionista ad aprire nel 1938 la galleria londinese Guggenheim Jeune. Guggenheim ricambiò il sostegno ospitando più opere di Cocteau, all’epoca amico e consulente artistico di Marcel Duchamp. Da quel momento l’artista iniziò a frequentare la casa della mecenate newyorchese a Venezia, a Palazzo Vernier dei Leoni, innamorandosi della città. Guggenheim ribadì più volte che la parola era un mezzo di espressione che Cocteau utilizzava con virtuosismo da acrobata. La rivincita del giocoliere è un richiamo alla sua abilità di riuscire ad attraversare gli ambiti più disparati con uno sguardo trasversale, capace di cogliere e mettere in relazione l’estetica e la storia. Nel suo primo libro, La spaccata, lo stesso Cocteau si dice affascinato dagli artisti delle giostre e del circo, tanto che più avanti, a carriera avviata, inserirà due acrobati e un prestigiatore cinese nel libretto del balletto Parade, e il mago Merlino in I cavalieri della tavola rotonda. Fonte inesauribile di creatività e visioni, il genio di Cocteau si manifesta nei romanzi, tra cui Il libro bianco, in film come Il sangue di un poeta, con Lee Miller nei panni di una statura greca che prende vita, e nella Macchina infernale, rivisitazione dell’Edipo Re, solo per citare alcuni dei suoi capolavori. Cocteau stesso si racconta definendosi «una menzogna che dice sempre la verità»: nella sua opera si serve regolarmente del mito per presentare una storia e allo stesso tempo «riempirla di codici, costringendo il pubblico ad andare alla ricerca di ciò che è nascosto, come giocasse a nascondino».
05/05/24
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"Eugénie Grandet" è uno dei romanzi più celebri di Honoré de Balzac, pubblicato per la prima volta nel 1833. Fa parte del vasto ciclo narrativo de "La Comédie Humaine", un'opera monumentale che Balzac ha dedicato a rappresentare la società francese del suo tempo.
Il romanzo è ambientato nella cittadina di Saumur, nella Valle della Loira, e racconta la storia di Eugénie, una giovane donna che vive sotto il giogo del padre, Félix Grandet, un uomo estremamente avaro e manipolatore. La trama si sviluppa attorno alla vita monotona e opprimente di Eugénie, che viene sconvolta dall'arrivo del cugino Charles, recentemente orfano e senza un soldo. Questo incontro risveglia in Eugénie sentimenti di amore e ribellione, portandola a scontrarsi con l'autorità paterna.
Balzac utilizza la figura di Grandet padre per criticare l'ossessione borghese per il denaro e il potere. La sua avarizia non solo rovina la vita della figlia, ma rappresenta anche una critica più ampia alla società del tempo, dove il valore delle persone è spesso misurato in termini di ricchezza materiale. La descrizione dettagliata della vita provinciale e delle dinamiche familiari rende il romanzo un ritratto vivido e realistico della Francia post-rivoluzionaria.
Honoré de Balzac nacque il 20 maggio 1799 a Tours, in Francia, da una famiglia borghese. Suo padre, Bernard-François Balzac, era un funzionario pubblico, mentre sua madre, Charlotte-Laure Sallambier, proveniva da una famiglia di commercianti parigini. Balzac trascorse un'infanzia solitaria e difficile, segnata dai frequenti disaccordi tra i genitori.
Dopo aver frequentato il Collège des Oratoriens a Vendôme, Balzac si trasferì a Parigi, dove studiò diritto. Tuttavia, la sua vera passione era la letteratura. Dopo alcuni tentativi falliti di affermarsi come drammaturgo, Balzac iniziò a scrivere romanzi sotto vari pseudonimi. La sua carriera letteraria decollò con la pubblicazione di "Les Chouans" nel 1829, il primo romanzo che firmò con il suo vero nome.
Balzac è noto per il suo stile di vita frenetico e per la sua incredibile produttività. Lavorava spesso per lunghe ore, alimentato da caffè nero, e scriveva in modo compulsivo. La sua opera più famosa, "La Comédie Humaine", è una serie di quasi cento romanzi e racconti che offrono un ritratto dettagliato della società francese del XIX secolo. Tra le sue opere più celebri si trovano "Le Père Goriot", "La Cousine Bette" e, naturalmente, "Eugénie Grandet".
Nonostante il successo letterario, Balzac ebbe una vita personale tumultuosa, segnata da numerosi debiti e relazioni amorose complicate. Nel 1850, sposò la contessa polacca Ewelina Hańska, con la quale aveva intrattenuto una lunga corrispondenza. Purtroppo, Balzac morì pochi mesi dopo il matrimonio, il 18 agosto 1850, a Parigi.
Balzac è considerato uno dei padri del realismo nella letteratura europea. La sua capacità di creare personaggi complessi e di descrivere con precisione la società del suo tempo ha influenzato molti scrittori successivi, tra cui Émile Zola, Charles Dickens e Marcel Proust.
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Primavera di libri
Torniamo a suggerirvi nuove letture e film “raccomandati” dai vostri bibliotecari di fiducia.
Un autentico caso letterario l’inedito di Gabriel García Márquez Ci vediamo in agosto, che, come narra la leggenda a proposito dell’Eneide di Virgilio, l’autore avrebbe voluto distruggere: “un omaggio alla femminilità, una storia di libertà e di desiderio che non si sopisce con l’età e nemmeno con l’amore coniugale”. I figli hanno consentito la pubblicazione di questo breve romanzo, che esce in contemporanea in tutti i paesi e ci delizia come una sorpresa inaspettata, nonostante la volontà del suo artefice, forse troppo esigente con sé stesso.
Tutt’altro che deprimente, Piccoli suicidi tra amici di Arto Paasilinna è ormai diventato un classico. Scritto con stile quasi cronachistico, la sua apparente freddezza (che peraltro ben si addice alle gelide lande della Finlandia da cui provengono i personaggi del libro) non fa che accrescere l’ironia, magari un po’ macabra, di cui è pervaso. “… ogni giorno è per ciascuno sempre il primo della vita che gli resta da vivere, anche se siamo troppo occupati per rendercene conto” è la sintesi filosofica di un romanzo divertente, originale, che si risolve in un inno non banale alla vita, alla solidarietà, all’amicizia. Un vero toccasana “per tempi agitati”, citando Mauro Bonazzi, come sono quelli in cui ci troviamo a vivere. Dalla postfazione di Diego Marani: “Una delle cose più belle dei romanzi di Paasilinna è che dopo il tumulto, il fragore e le spericolate rincorse tutto si risolve delicatamente, come una risata di cui resta solo il gioioso ricordo, nell’acqua increspata d’un lago, nel vento della sera, nell’odore di foraggio appena tagliato. … In questo libro la grande beffata è la morte”.
Ambientato a Bologna durante le festività natalizie tra la fine del 1953 e l’inizio del ’54, Intrigo italiano di Carlo Lucarelli ci ripropone la compagnia del commissario De Luca, sempre ombroso, inappetente e drogato di caffeina. Lo accompagna un giovane poliziotto che lo introduce negli ambienti musicali degli amanti del jazz, di cui era appassionato un noto professore morto in circostanze non chiare. Ma il mistero si infittisce quando anche la vedova viene trovata uccisa e De Luca stesso è controllato dai Servizi Segreti. Non siamo più in tempo di guerra mondiale, ma di guerra fredda e anche i migliori si devono aggiornare. Un giallo di classe, con una ricostruzione storica sempre molto accurata. È del 2022 il ritorno del commissario Marino, segretamente ma attivamente antifascista, in Bell’abissina, dopo l’esordio del 1993 con Indagine non autorizzata, quando era ancora soltanto ispettore. Si tratta di un cold case soltanto apparente, perché la serie di delitti, legati da somiglianze via via sempre più chiare, si protrae dal passato al presente pericolosamente minacciato dall’imminente scontro bellico. Marino ha un temperamento diverso da quello di De Luca e si getta anima e corpo in questa indagine che coinvolge corrotti fiancheggiatori del regime. Un incontro, come dice l’autore stesso nei Ringraziamenti, tra la storia, con la s minuscola, frutto di fantasia, e la Storia, quella del secondo conflitto mondiale che Lucarelli conosce molto bene e che ha trattato anche in diverse trasmissioni televisive.
Irresistibile la doppietta di Simenon che vi proponiamo. Gli altri, inedito in Italia fino alla pubblicazione di Adelphi del 2023, è scritto in forma di diario-confessione e ci guida con il suo ritmo irresistibile tra i meandri di un suggestivo castello francese, che racchiude, ça va sans dire, una morte misteriosa, una giovane e affascinante castellana, nonché un burbero e attempato maggiordomo, sospettosamente depositario di ogni segreto… Come sempre, con pochi abili tratti l’autore descrive una serie di personaggi che non potrebbero essere fra loro più diversi, anche se appartenenti alla stessa famiglia: la sua penna riesce a far sembrare del tutto naturali e accettabili legami apparentemente inconciliabili e al limite della moralità. Il finale è riservato all’apertura del testamento: a chi andrà la cospicua eredità del vecchio Antoine Huet? Ma soprattutto: in che modo la ricchezza influirà sulla vita e le abitudini dei protagonisti? A voi il piacere di scoprirlo. Il romanzo La prigione inizia ex abrupto con un misterioso omicidio, su cui la polizia indaga. Ma duplice è la ricerca intrapresa dall’autore: da una parte il movente del delitto, dall’altra la psicologia del protagonista, costretto a scavare nella sua vita per scoprire su sé stesso e sulle persone che gli erano più intimamente vicine segreti che ignorava o che, più probabilmente, cercava di rimuovere per superficialità, paura o inadeguatezza. Così la prigione diventa una metafora per descrivere una vita fasulla che implode in un solo istante di un giorno d’autunno. Al di là del caso limite rappresentato dal fatto di sangue e delle inevitabili differenze di carattere, è talmente accurata l’analisi psicologica che ogni lettore potrebbe ritrovare qualcosa di sé nell’indole del protagonista e comprendere i suoi atti apparentemente privi di logica. Simenon, come sempre, con ritmo inesorabile e accanito vaglio introspettivo ci conduce all’unica soluzione possibile.
Furio Scarpelli e Agenore Incrocci hanno firmato, sotto la nota sigla di Age&Scarpelli, “le più memorabili sceneggiature dell’epoca d’oro del cinema italiano”, da Totò le Mokò di Bragaglia, a La banda degli onesti di Mastrocinque, C’eravamo tanto amati di Scola, I soliti ignoti, L’armata Brancaleone e La Grande guerra di Monicelli, per citarne solo una minima parte. Tra gli inediti di Scarpelli che Sellerio sta ripubblicando (è del 2019 Amori nel fragore della metropoli) vi consigliamo Si ricorda di me, signor tenente?, romanzo che introduce i protagonisti alternando, con la tecnica del flash back, la narrazione contemporanea al memoriale di guerra. Lo scavo nel complesso passato del personaggio principale porterà alla luce gravi traumi, profondi e rimossi sensi di colpa. Ma chi è lo sgangherato seccatore che apostrofa con la domanda del titolo il vecchio Giulio, tranquillo pensionato che passeggia per le vie della Milano del 1999? Un truffatore, un commilitone o un rigurgito della sua coscienza addormentata? Si legge piacevolmente tutto d’un fiato.
Per una lettura diversa dal solito vi proponiamo Nightmare Alley, La fiera delle illusioni di William Lindsay Gresham, “una tipica storia noir”, da cui sono stati tratti ben due film: un classico con il fascinoso Tyrone Power in una veste per lui inedita e il recentissimo remake di Guillermo Del Toro con Bradley Cooper, Cate Blanchett, Willem Dafoe. Diviso in due parti (con un finale ad anello): da un lato il fantastico, bizzarro, grottesco mondo del circo, con i suoi misteri e le sue crudeltà; dall’altra quello dell’alta borghesia, non meno pericoloso. In sintesi, il libro e i due film sono “Tre facce della stessa storia che presentano tutte letture degne di essere lette e viste per una storia che potrebbe benissimo svolgersi anche al giorno d’oggi. I prestigiatori, che siano o meno appassionati di mentalismo/spiritismo, vi troveranno molti spunti interessanti.”
Un prezioso suggerimento dal passato: se vi fosse sfuggito, potete rimediare cogliendo dai nostri scaffali Il peso falso di Joseph Roth. Un autentico gioiello che mischia allo stile formulare dei poemi omerici, un’autentica passione d’amore e una finissima riflessione sull’essere umano, dominato dai suoi difetti, quasi deterministicamente volto verso il male, incapace di sfuggire alla tentazione del peccato, anche quando è mosso dalle migliori intenzioni. I temi sono quelli consueti della poetica di Roth, e spesso tornano anche gli stessi personaggi, che inevitabilmente cadono nella colpa: il tutto senza pessimismo né amarezza, anzi forse con una leggera sfumatura di fatalistica ironia.
Come una diabolica matrioska le vicende biografiche dell’autore, Herbert Clyde Lewis, giornalista e scrittore americano, nato a New York da ebrei russi emigrati, si ripercuotono sul protagonista del romanzo per poi accanirsi inspiegabilmente sulle vicissitudini editoriali dell’opera che vi vogliamo consigliare, Gentiluomo in mare. Sì, perché come l’autore ebbe una vita difficile, nonostante gli incessanti sforzi profusi per affermarsi e l’indubbio talento, così il protagonista di questo delizioso romanzo breve è vittima di “una sorte bizzarra e cattiva”, per citare la splendida canzone di Lauzi-Conte, e infine la novella fu ingiustamente ignorata alla sua prima pubblicazione nel 1937 per essere poi “ripescata” (è proprio il caso di dirlo) dall’abisso dei libri dimenticati per la prima volta in Argentina nel 2010: da quel momento il successo, più che meritato anche se postumo, divenne planetario. Davvero “una perlita”, come fu definito nella recensione argentina.
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