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#seria a femminile
pernillecfcw · 4 months
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laromainvantaggio · 4 months
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box-box-stay-out · 9 months
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gregor-samsung · 10 months
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“ La Cia odiava i Kennedy e manovrava per affrancarsi definitivamente dall’amministrazione, ma l’idea che abbia ammazzato Kennedy è stupida. E se Kennedy intendeva smantellare la Cia pezzo per pezzo come aveva promesso di fare avrebbe dovuto iniziare almeno due amministrazioni prima. Adesso era di gran lunga troppo tardi. La Cia odiava anche Hoover e a sua volta Hoover odiava i Kennedy e la gente dava per scontato che Hoover se la facesse con la mafia, ma la verità è che la mafia aveva infiniti dossier su Hoover in versione travestito – agghindato con biancheria intima femminile – e questo ha determinato un’impasse che ha bloccato la situazione per anni. Naturalmente c’è dell’altro. Ma se tu dicessi che è colpa di Bobby se hanno ammazzato suo fratello – che lui adorava – dovrei dirti che non hai tutti i torti. La Cia ha deportato Carlos nella giungla guatemalteca ed è volata via facendogli ciao con la mano. Difficile immaginare cosa avessero in mente. L’hanno lasciato lí – dove aveva un passaporto falso – e per finire il suo avvocato si è fatto vivo e insieme sono stati trasportati di peso nella giungla di El Salvador e abbandonati lí a forgiarsi una nuova vita. In mezzo alla calura, al fango e alle zanzare. In abiti di lana. Se la son fatta a piedi per una trentina di chilometri finché si sono imbattuti in un villaggio. E, Dio sia lodato, un telefono. Di ritorno a New Orleans, Carlos ha convocato una riunione alla Churchill Farms – la sua residenza agreste – e schiumava di rabbia a proposito di Bobby Kennedy. Ha guardato le persone nella stanza – mi pare che fossero in otto – e ha detto: Lo sistemo io, il bastardino. È seguito un silenzio. Tutti sapevano che la riunione era seria. Da bere sul tavolo non c’era niente fuorché acqua. Alla fine qualcuno ha detto: Perché non sistemiamo il bastardone? E questo è quanto. Non sono sicuro di capire. Se ammazzavi Bobby poi avresti dovuto vedertela con un incazzatissimo JFK. Ma se ammazzavi JFK allora suo fratello sarebbe rapidamente passato da procuratore generale degli Stati Uniti ad avvocato disoccupato. Come fai a sapere tutto questo? Giusto. Il punto è che i Kennedy non erano assolutamente in grado di afferrare l’implacabile etica di guerra dei siciliani. I Kennedy erano irlandesi e credevano che si vincesse parlando. Non si erano veramente resi conto che esisteva quest’altra cosa. Ricorrevano ad astrazioni per fare discorsi politici. La gente. La povertà. Non chiedete cosa il vostro paese bla bla bla. Non capivano che in giro c’era ancora gente che credeva davvero in cose come l’onore. Non avevano mai sentito Joe Bonanno esprimersi sull’argomento. È questo che rende il libro di Kennedy cosí improbabile. Benché in tutta onestà c’è da chiedersi se l’abbia mai anche solo letto. Io prendo il pollo grande. “
Cormac McCarthy, Il passeggero, traduzione di Maurizia Balmelli, Einaudi (Collana Supercoralli), 2023; pp. 336-337.
[Edizione originale: The Passenger, Alfred A. Knopf Inc., 2022]
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spettriedemoni · 1 year
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Arisa
Fa discutere il post di Arisa su Instagram in cui lei nuda dichiara di cercare marito. Certo forse Instagram non è il posto migliore dove cercare una relazione seria, ma quello che mi colpisce è altro.
Da una parte le critiche da parte spesso di donne, dall’altra le critiche di chi la definisce bifobica perché tra le preferenze di possibili candidati mette una postilla in cui dice che cerca uomini cui piaccia l’organo genitale femminile e soprattutto il suo.
Devo dire che quest’ultima critica mi ha lasciato alquanto perplesso.
Detto ciò, le auguro di trovare ciò che cerca.
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rideretremando · 2 years
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"Poiché l'inclusione è una cosa molto seria, e sull'inclusione (e contro ogni forma di discriminazione) mi batto da anni, in ogni luogo possibile, del linguaggio inclusivo bisogna parlare in modo responsabile, partecipe, consapevole. Il prossimo appuntamento per me sarà all'Università di Milano. In attesa di svelare qualcosa sul mio libro "scientifico" in uscita (in inglese) su un così delicato argomento, riepilogo qui di seguito le dieci ragioni per le quali ritengo inaccettabile l’immissione dello schwa (e di altre modalità analoghe) nell’italiano corrente.
1. Il pericolo di un’“ufficializzazione”. Lo schwa, semplice (ǝ) e “lungo” (з), è stato accolto in sei verbali redatti dalla Commissione per l’Abilitazione Scientifica Nazionale alle funzioni di professore universitario di prima e seconda fascia del Settore concorsuale 13/B3 – Organizzazione Aziendale. Entrambi i segni compaiono anche nei giudizi collegiali sui candidati, e in quelli formulati singolarmente dal Presidente, dal Segretario e da un terzo membro dei cinque commissari (nei suoi giudizi, però, in un unico caso, con riferimento a un solo candidato: «Professorǝ Associato»). Con l’importazione dello schwa in un testo “codificato”, un libro, un documento o un pezzo giornalistico, impattiamo in un’aberrazione linguistica, un corpo estraneo all’italiano.
2. L’impulso alla generalizzazione. Nei sei verbali i cinque Commissari hanno utilizzato gli schwa in modo indiscriminato, in riferimento a loro stessi e in riferimento ai candidati e alle candidate, come fossero tutti portatori di identità non binarie.
3. La natura destrutturante dell’innovazione. Lo schwa non è un semplice neologismo, perché viola irrimediabilmente le regole ortografiche e fono-morfologiche della nostra lingua, e immetterlo in un documento prodotto da un’amministrazione centrale dello Stato pubblico è un precedente di una gravità inaudita. Autorizza di fatto chiunque, d’ora in poi, a redigere un atto pubblico in emoji o in volgare duecentesco, o a disseminarlo di "ke", "xké" o "qlc1" (invece di "che", "perché" e "qualcuno").
4. L’estensione al parlato. Pretendere di trasferire lo schwa alla lingua parlata, stante la limitazione posta al suo utilizzo (la posizione finale), trasformerebbe l’intera penisola, se adottassimo la vocale neutra che lo rappresenta, in una terra di mezzo compresa pressappoco fra l’Abruzzo, il Lazio a sud di Roma e il calabrese dell’area di Cosenza. Sarebbe la rivincita dell’Italia meridionale e mediana contro il modello normativo tosco-fiorentino. Un’idea che sarà pure simpatica, ma è peregrina.
5. La cancellazione dei femminili. Se l’unanime volontà dei membri della Commissione universitaria era di dare cittadinanza, nei loro verbali, anche al genere femminile, evitando il maschile sovraesteso, sarebbe bastato riferirsi ai "candidati" e alle "candidate", agli "autori" e alle "autrici", e così via, o si poteva parlare di "persone" e chiuderla lì. La scelta di plurali inclusivi come "autorǝ" o "coautorз", anziché contrastare davvero i maschili "autori" e "coautori", spedisce in soffitta i femminili "autrici" e "coautrici".
6. La “dittatura” di una minoranza. Una cosa è chiedere al nostro interlocutore di venirci in qualche modo incontro, con le forme e le parole più adatte e rispettose possibili, se ci siamo scoperti portatori di un’identità incerta o fluttuante, un’altra cosa è pretendere che le norme linguistiche di un’intera comunità nazionale soggiacciano alla prepotenza di pochi, intenzionati a scardinarle con la generalizzazione di usi linguistici teratologici.
7. L’aggravamento di disturbi neuroatipici. Il 4 maggio 2021 il ministro francese dell’Educazione nazionale, Jean-Michel Blanquer, ha inviato una circolare ai direttori amministrativi centrali, ai provveditori agli studi e al personale ministeriale. L’atto, pur incoraggiando forme auspicabili di scrittura inclusiva, come il femminile dei nomi di professioni e mestieri, ne vietava altre, colpevoli, specie ai danni di allievi dislessici (ma anche disgrafici, o altro), di rendere più difficoltosa la lettura, oltreché l’apprendimento, dell’idioma nazionale. Nel 2017 un’altra circolare francese (22 novembre), diramata dal primo ministro Édouard Philippe, aveva invitato i membri del Governo a rinunciare all’écriture inclusive nei documenti ufficiali destinati al pubblico, per non pregiudicarne l’intelligibilità e la chiarezza.
8. La proliferazione incontrollata. La moltiplicazione delle pensate ambigenere, agenere o antigenere è ormai inarrestabile. Devi scrivere ai tuoi colleghi e alle tue colleghe di lavoro? Hai l’imbarazzo della scelta:
"Caro collega, cara collega": "Car* collega", "Caro/a collega", "Car@ collega", "Caro-a collega", "Caro(a) collega", "Carx collega", "Caro.a collega", "Caro·a collega", "Car’ collega", ecc.;
"Cari colleghi, care colleghe": "Car* collegh*, "Carə colleghə", "Cary colleghy", "Carei colleghei" (o "Carie colleghie"), "Carз collegз", "Caru tuttu", ecc.
9. L'elitarismo dell'operazione, nemica dell'idea stessa di una lingua nazionale da intendersi come un bene comune, patrimonio di tutti i suoi parlanti e di tutti i suoi scriventi. L'applicazione sistematica dello schwa è talmente complessa da aver indotto in errore anche i più smaliziati o presunti tali (come i commissari universitari anzidetti, incoerenti nelle loro farsesche scelte schwaiste).
10. L’assenza del neutro nella nostra lingua. Il genere grammaticale è una cosa, il genere naturale un’altra. L’italiano ha due generi (il maschile e il femminile). Il neutro, residui del latino a parte, non l'abbiamo."
Massimo Arcangeli
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sono-sotto · 2 years
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Ho sempre fatto molta fatica a tollerare le persone, ma ultimamente davvero non ce la faccio. Tolto questo, in serata mi diverte dare corda a tutti quelli che tentano un approccio con me e con le mie amiche. Inutile dirlo: la maggior parte son disperati e i loro approcci lo sono ancora di più. Ma sinceramente non frega molto, sono un passatempo, io do loro corda finché non mi annoiano e poi li mollo lì dove sono. Han scelto di mettersi in ridicolo, io mi limito ad accontentarli. La cosa più esilarante, però, è quando cercano di apparire interessanti, intelligenti o ancor peggio profondi. Questa cosa mi cringia un sacco.
Ieri sera, per esempio, io e Mia ci siamo ritrovate al tavolo con due tipi che ci hanno letteralmente pregato di sederci con loro. Il locale era stracolmo di universitari ubriachi. Non c’era nemmeno una sedia, dunque, di necessità si fa virtù e ci siamo sedute. Bypassati i soliti convenevoli del cazzo iniziano a far gli splendidi con discorsi un po’ meno convenzionali dei classici “di dove siete? Cosa fate nella vita”.
Io sono lì, con il mio drink in mano, la cannuccia in bocca e l’espressione seria. Li ascolto come se stessero dicendo qualcosa di fondamentale per l’umanità. Loro si prendono bene e continuano a scavarsi la fossa da soli, ammucchiando qualunquismi sulla parità dei sessi, sulla situazione socio-politica italiana e sulla guerra in Ucraina (sono una tipa pretenziosa io, mi piace scopare con chi ha un pensiero critico pressoché sviluppato: mi fa eccitare, quindi dirotto la conversazione quasi subito, per fare un po’ di sana selezione. Non ho molto tempo da perdere.)
A un certo punto uno dei due, per fare il brillante, se ne esce con una cosa tipo “eh ma nel 1500 le ragazze per far capire al ragazzo che erano interessate facevano cadere un fazzoletto per terra. Ora cosa fanno le ragazze per farlo capire? Nulla. Ti si avvicinano solo se in discoteca hai il tavolo, o se hai una bella macchina.” Io mi metto a ridere. Gli do un paio di risposte sommarie giusto per farlo contento. Non vale nemmeno la pena di una discussione. Mi alzo e vado a prendermi da bere, perché mal tollero tutti da sobria, specialmente un coglione così. Il Brillante mi segue. Incalza la conversazione per sottolineare quanto è intrigante (spoiler: meno di zero). Arrivo al bar, saluto il mio amico cameriere e gli ordino 2 gin tonic.
Mentre quest’altro mi sta ancora ammorbando su quanto oggigiorno si sia raggiunta la libertà femminile su tutti i fronti e su come loro, poveri uomini, non possano far altro che sperare in un segnale da parte nostra, io tiro fuori la carta di credito, pago i drink, sia il mio che il suo e glielo mollo in mano. Almeno beve e sta zitto. Mentre me torno al tavolo e non riesco a smettere di ridere.
Amore, il punto non è che ora le ragazze non fanno più nulla per farti capire che sono interessate, è che tu non sei per nulla interessante. Fidati che se lo fossi stato mi avresti già offerto quattro drink e un passaggio a casa. Invece tu sei ancora lì a pensare d’aver fatto un figurone.
Non ne ho approfittato solo perché mi fai già abbastanza pena.
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cinquecolonnemagazine · 6 months
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Università italiane e scelte che fanno riflettere
Alcune università italiane, negli ultimi giorni, stanno facendo parlare di loro. Sono balzate agli onori delle cronache non per questioni puramente didattiche ma per scelte destinate a far riflettere. L'Università di Torino e la Scuola Normale di Pisa hanno espresso le loro remore sui progetti di collaborazione con Israele. L'Università di Trento ha deciso di adottare il femminile sovraesteso mentre l'Università per Stranieri di Siena ha sospeso le attività didattiche per la fine del Ramadan. Università italiane: Torino e La Normale di Pisa Il 19 marzo l'Università di Torino ha deciso di non partecipare al ‘Bando Scientifico 2024’ del 21 novembre 2023 in attuazione dell’Accordo di cooperazione industriale, scientifica e tecnologica Italia-Israele. Il bando è aperto a progetti di ricerca in tre settori (tecnologia del suolo, dell’acqua e ottica di precisione) la cui scadenza è il prossimo 10 aprile. I progetti selezionati saranno finanziati dal governo italiano e da quello israeliano per la realizzazione di tecnologie dual use. Tecnologie, cioè, che possono essere utilizzate sia in campo civile che militare. La decisione presa dal Senato accademico è arrivata dopo una massiccia mobilitazione da parte dei collettivi studenteschi. Una settimana dopo, il 26 marzo, il Senato accademico della Scuola Normale di Pisa ha approvato un documento nel quale ha chiesto il cessate il fuoco a Gaza. Contestualmente l'ateneo ha invitato le istituzioni preposte, vale a dire il ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale e il ministero dell’Università e della Ricerca, a rivedere quei progetti di collaborazione internazionale che prevedono la creazione di prodotti o tecnologie dual use. L'Università di Trento e il femminile sovraesteso La grammatica italiana prevede che si usi il genere maschile plurale anche quando si parla di gruppi misti e il maschile singolare anche quando ci si riferisce a cariche ricoperte da donne. La scorsa settimana l'Università di Trento ha approvato il nuovo regolamento generale di ateneo che presenta una novità in questo senso. Nel documento, infatti, come illustrato nell'Art.1, i termini femminili usati fanno riferimento a tutte le persone, cioè anche agli uomini. Nel 2017, l'ateneo aveva approvato un vademecum per un uso del “linguaggio rispettoso delle differenze” per promuovere un uso non discriminatorio della lingua italiana sia nella vita quotidiana della comunità universitaria, come eventi pubblici, sia nella produzione di testi amministrativi. L'introduzione del femminile sovraesteso risponde a questa esigenza poiché menzionare le persone sia al maschile che al femminile avrebbe prodotto un testo troppo pesante. L'Università italiana per stranieri di Siena Altro gesto in solidarietà con il popolo palestinese è stato promosso dall'Università italiana per stranieri di Siena che ha deciso di sospendere l'attività didattica per il 10 aprile. Quel giorno, per il mondo musulmano, cadrà l'’Id al-fitr’, la festa che si celebra per la fine del Ramadan. Come spiegato dal rettore, Tommaso Montanari, la decisione rappresenta, appunto, un gesto di solidarietà nei confronti dei palestinesi, sottoposti a un "inaudito massacro" e la cui maggioranza è costituita da musulmani. Il professor Montanari ha ribadito che le lezioni saranno sospese anche l'11 ottobre 2024, in occasione del Kippur, a un anno dall'attacco del 7 ottobre. Qualche riflessione Le decisioni delle università di Torino, Pisa e Siena che, come ben sappiamo, hanno sollevato un polverone di polemiche, meritano una seria riflessione. A quanti hanno accusato La Normale di Pisa di essersi schierata contro Israele, di volerla boicottare o di non promuovere il dialogo tra i popoli, il rettore Luigi Ambrosio, ha contrapposto una risposta che dovrebbe fare scuola. In questo momento storico riteniamo doveroso e urgente promuovere una riflessione non solo interna, ispirata dall’Articolo 11 della nostra Costituzione in merito al rischio di cosiddetto “dual use” – civile ma potenzialmente anche militare – di alcune ricerche scientifiche e tecnologiche Dopo mesi in cui la parola pace viene puntualmente soffocata dal diritto alla difesa, le azioni nate in un ambito, come quello universitario, in cui si istruisce e si forma, appaiono come una boccata di aria fresca. In un momento storico in cui piccole scintille rischiano di diventare ogni giorno grandi incendi alimentati da venti di guerra sempre più forti, abbiamo un disperato bisogno di ricordare che il nostro Paese ripudia la guerra come strumento per risolvere le controversie internazionali. Siamo pronti a sostenere un popolo straniero in una guerra ma non ad accettare che possa vivere le sue tradizioni nel nostro Paese. L'opera di "diffusione del plurilinguismo e del multiculturalismo in sintonia con le linee dettate dalle Istituzioni europee e dall’Onu", che è il fondamento delle scelte dell'Università di Siena, ci fa paura. Non ci fa paura, invece, pensare di rivolgerci a un gruppo costituito da uomini e donne utilizzando il femminile plurale. In una scelta simile vediamo davvero la volontà di abbattere dei muri o semplicemente aderiamo a un'altra moda? In copertina foto di Elly da Pixabay Read the full article
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carmenvicinanza · 8 months
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Angela Finocchiaro
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Angela Finocchiaro, bravissima ed eclettica attrice italiana che calca il palcoscenico dagli anni Settanta.
Ha recitato in circa sessanta film oltre che in numerosi programmi televisivi, alcuni dei quali hanno fatto la storia della nostra televisione.
Ha vinto due David di Donatello, un Nastro d’argento e quattro Ciak d’oro.
Nata a Milano il 20 novembre 1955, ha lasciato la facoltà di medicina per dedicarsi a tempo pieno al teatro, contribuendo a fondare le compagnie Teatro del Sole, Quelli di Grock e Panna Acida con cui ha mosso i primi passi in scena, spesso scrivendo anche i testi degli spettacoli.
L’incontro con Maurizio Nichetti, regista e attore dalla comicità surreale, ha segnato i suoi esordi cinematografici, nel 1979 è stata nel cast di Ratataplan, e l’anno successivo in Ho fatto splash. In televisione sono stati accanto in Quo vadiz?, programma realizzato con Gabriele Salvatores.
Nel 1981 ha ideato e condotto la trasmissione radiofonica Torno subito.
Accanto ai tanti impegni teatrali, in Italia e all’estero, la sua acuta comicità ha espresso il meglio di sé nello storico programma La TV delle ragazze, condotto da Serena Dandini.
La collaborazione con Stefano Benni l’ha portata nei maggiori teatri italiani con diversi spettacoli come La misteriosa scomparsa della Signorina W, Pinocchia, Benneide, Mai più soli e Bestia che sei.
L’interpretazione di Maria nel film La bestia nel cuore di Cristina Comencini del 2005 le è valsa il Nastro d’argento, il David di Donatello, il Ciak d’oro come migliore attrice non protagonista, il Premio Wella Cinema Donna al Festival del Cinema di Venezia e il premio Queen of Comedy Award.
Col film Mio fratello è figlio unico di Daniele Luchetti, ha vinto un secondo David di Donatello nel 2007, sempre come miglior attrice non protagonista.
Ha partecipato alle commedie di maggiore incasso nel 2010, Benvenuti al sud, con Claudio Bisio e Alessandro Siani (che le è valso la candidatura ai David di Donatello e al Nastro d’argento), e La banda dei Babbi Natale con il trio Aldo, Giovanni e Giacomo (ulteriore candidatura al Nastro d’argento).
Ha vinto due volte il Roma Fiction Festival come migliore attrice protagonista per la Sezione TV Comedy per Due mamme di troppo film e poi serie tv.
Dal 2015 al 2018 è stata in scena con Calendar Girls, tratto dalla omonima commedia cinematografica, un cast tutto al femminile diretto dalla compianta Cristina Pezzoli.
E poi ancora tanto teatro, cinema e televisione.
Nel 2024 è stata nominata direttrice artistica del teatro comunale di Vibo Valentia.
Angela Finocchiaro ha saputo compiere scelte coraggiose e fuori dagli schemi, ha fatto parte del primo gruppo di artiste che hanno prodotto un’antesignana narrazione al femminile, ironica e sagace.
Ha portato in scena il suo corpo per sfatare il tabù dell’invecchiamento e presta la sua immagine e notorietà per diverse cause, tra cui la prevenzione del tumore al seno, malattia che ha vissuto sulla sua pelle e che è riuscita a prendere in tempo.
È una donna e un’artista che sa ridere di sé, del tempo che passa, che diventa seria e acuta quando parla di quanto c’è ancora da fare in termini di reale parità di genere, a livello economico e sociale. Una grande!
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ffschweden · 8 months
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Någon som vill köpa Viaplay?
Det är mediaföretaget Viaplay som äger rättigheterna till Damallsvenskan, Seria A Femminile, Frauenbundesliga och WSL i Sverige. Företaget har sitt säte i Stockholm och ägs av franska Canal+ och tjeckiska PPF Group. De senaste månaderna har Viaplay aktien rasat från 54,55 kronor i juli 2023 till 2,85 kronor i dag, ett ras med smått otroliga 94% – jag hoppas att ingen av er har köpt aktier till…
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fabioverochef · 1 year
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Intervista a Eleonora Pirovano, vicepresidente di IWCA Italia
una piacevole intervista
Cos’è IWCA? Ma Eleonora nella vita fa solo la “vicepresidente” di Women in Coffee Italy oppure ha anche un suo lavoro? Ma questa IWCA, è una “roba seria” o tutta fuffa e non fanno nulla alla fine? E se volessi sostenere il movimento femminile del caffè? cosa posso fare? A queste ed a molte altre domande troverete risposta nella interessante intervista fatta in occasione della tappa di Padova…
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lamilanomagazine · 1 year
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Milano: presso la Triennale la mostra "Home Sweet Home"
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Milano: presso la Triennale la mostra "Home Sweet Home". In occasione del suo centenario, Triennale Milano presenta dal 12 maggio al 10 settembre 2023 la mostra Home Sweet Home, a cura di Nina Bassoli, curatrice per architettura, rigenerazione urbana e città di Triennale, con progetto di allestimento di Captcha Architecture. L’esposizione, che parte dalla storia dell’istituzione e delle sue Esposizioni Internazionali per arrivare alla contemporaneità, intende riflettere sull’idea di casa e di abitare, da sempre argomenti privilegiati della ricerca di Triennale. Dalla trasformazione dei ruoli di genere all’evoluzione del rapporto con la natura all’interno dello spazio domestico, fino alla crescente influenza della tecnologia sul modo di abitare, aumentata dopo due anni di pandemia Covid-19: questi sono alcuni dei temi centrali dell’esposizione, che intende mettere in luce alcuni grandi cambiamenti che negli ultimi cento anni hanno caratterizzato la sfera della casa. La mostra si articola in dieci ambienti totali site-specific, con le installazioni progettate da alcuni tra i più interessanti studi di architettura, gruppi e centri di ricerca internazionali, come i londinesi Assemble Studio, la paesaggista francese Céline Baumann, la designer Matilde Cassani, il Canadian Center for Architecture (CCA), il gruppo di ricerca DOGMA, lo studio di architettura catalano MAIO, il collettivo Sex and the City e con i lavori dell’architetta siciliana Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, e quelli di due studi vincitori del Pritzker Prize, come Lacaton & Vassal Architectes e Diller Scofidio + Renfro. Questi ambienti site-specific dialogano con cinque sezioni storiche tematiche, che nascono come delle incursioni negli archivi storici di Triennale. Stefano Boeri, Presidente di Triennale Milano, dichiara: “In occasione del suo centenario, Triennale Milano propone una riflessione su un tema, oggi più che mai – in un’incerta epoca post pandemica e segnata dagli spettri della guerra – di stringente attualità. ‘Una mostra di mostre sulla casa’, nelle parole della curatrice Nina Bassoli, ma anche una mostra su Triennale, sulla sua storia, sul suo futuro e sul ruolo centrale della nostra istituzione nel dibattito architettonico italiano e internazionale. Affrontare temi quali casa e lavoro, maschile e femminile, produzione e riproduzione, spazio pubblico e spazio privato è diventato imprescindibile per una seria e attenta riflessione sulla progettazione dell’ambiente domestico, che non può non partire da un’attenzione costante all’accessibilità delle informazioni e all’inclusività.” Nina Bassoli, curatrice della mostra, afferma: “Intima e universale al tempo stesso, la casa è stata l’oggetto di indagine più sensibile ai cambiamenti culturali, politici e sociali, che, fin dalle prime Esposizioni Internazionali, passando per le sperimentazioni delle case nel Parco degli anni Trenta, l’ottimismo modernista della ricostruzione, il boom economico, le esperienze postmoderne, decostruttiviste e infine il pluralismo contemporaneo, si sono materializzati in sperimentazioni audaci in grado di veicolare nuovi linguaggi, nuove aspirazioni etiche e nuovi programmi per l’architettura. Oggi, l’opera di architette, architetti e gruppi di ricerca contemporanei fa emergere con forza una nuova sensibilità, dove il lavoro di cura è da intendere come azione fondante dell’abitare, ovvero del processo di costruzione dello spazio e dell’architettura.” La mostra Home Sweet Home non intende procedere lungo percorsi strettamente disciplinari ma vuole delineare un campo in cui l’architettura sia in grado di parlare a tutti, mettendo al centro dell’indagine la necessità di ristabilire una relazione diretta e coerente tra i nostri bisogni più autentici e gli spazi da progettare. Le opere in mostra evidenziano le profonde trasformazioni del ruolo dell’architettura nella società contemporanea e presentano i risultati di una ricerca tipologica, ma anche sociologica, scientifica, storica, artistica, politica e, al contempo, una sperimentazione sui linguaggi non solo architettonici ma anche comunicativi ed espositivi. In discontinuità con il passato, però, è senz’altro un’inedita presenza di progettiste donne, che questa volta sono in grande maggioranza – quasi la totalità – e una nuova sensibilità verso i valori della cura e dell’ambiente. Il progetto di allestimento, realizzato da Captcha Architecture, riprende frammenti di allestimenti di mostre passate per rimetterli in campo in una nuova veste. I dispositivi di supporto per le sezioni storiche sono così degli assemblaggi iperstatici composti da gambe provenienti da vari tavoli espositivi conservati nei magazzini di Triennale, e riadattati con la cura che si riserva a un oggetto amato che non si vuole buttare nonostante abbia perso la sua efficacia funzionale. Il percorso espositivo si articola in cinque sezioni storiche tematiche, che riuniscono oggetti e materiali storici presi dagli archivi di Triennale e ripercorrono i cento anni della storia dell’istituzione, dal 1923 al 2023. Casa ludens, a cura di Gaia Piccarolo, è dedicata ai temi del relax e della cura di corpo e anima; La natura è di casa, a cura di Annalisa Metta, indaga il rapporto tra natura e spazio domestico; Abaco di finestre, a cura di Maite García Sanchis, esplora il tema della finestra come dispositivo di mediazione ambientale e di controllo; L’angelo del focolare, curata dal gruppo di ricerca Sex & the City (Florencia Andreola e Azzurra Muzzonigro), rilegge i ruoli di genere tradizionalmente legati alla sfera domestica; Cucinare all’italiana 1923-2023, a cura di Imma Forino, guarda alle trasformazioni che hanno interessato lo spazio della cucina in relazione ai mutamenti sociali. I dieci ambienti site-specific, di grande impatto e caratterizzati da tematiche e linguaggi autonomi, si inseriscono in questo percorso e rappresenteranno delle vere e proprie mostre nella mostra. Il tema della cura e della stigmatizzazione di genere a esso legata viene affrontato dell’emergente gruppo di ricerca Sex & the City con un’installazione sarcasticamente intitolata Caro, bastava chiedere. Lo studio MAIO propone un prototipo di cucina urbana, Urban K-Type, frutto di una profonda ricerca sul ruolo politico della cucina come luogo di emarginazione, di condivisione o, infine, di possibile emancipazione. In L’architettura della longhouse, DOGMA propone una riflessione tipologica che descrive come la separazione tra spazi per la vita e per il lavoro, tra sfera pubblica, privata e rituale, sia una costruzione recente e per niente scontata. In Assemble Loves Food, Assemble Studio inscena una tavolata con venti coperti, luogo della condivisione quotidiana del lavoro e del pranzo del collettivo, rivendicando il valore pragmatico, ma anche urbanistico e politico del progettare, del vivere e del costruire insieme. Il parlamento delle piante d’appartamento, un’installazione interspecie della paesaggista Céline Baumann, indaga il ruolo della natura all’interno delle mura domestiche e il senso della cura reciproca. La gabbia degli orsi. Un diorama per esseri umani è un’opera quasi teatrale di Matilde Cassani che si interroga su come lo spazio aperto possa essere addomesticato. Infine, il Canadian Center for Architecture propone Una sezione di “A Section of Now”, un estratto della mostra allestita recentemente a Montréal, che invita a riflettere su come l’architettura possa supportare i rapidi, radicali cambiamenti della nostra società, e la relativa instabilità di nozioni come famiglia, longevità, proprietà, lavoro, tecnologia. Lifespan è un’installazione spiazzante di disegni e dettagli realizzati da Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, che concepisce ogni progetto come una meticolosa opera di restauro e reinvenzione di una condizione preesistente. La mostra si chiude con Trasformare, non demolire, incentrato sulle trasformazioni dei Grands ensemble francesi a opera di Lacaton & Vassal: un manifesto ecologico e politico della cura per una nuova vita oltre la demolizione. Sarà inoltre riallestita Inside-out: la finestra sul giardino, opera concepita nel 1986 nell’ambito della 17ª Esposizione Internazionale da Diller + Scofidio per Il progetto domestico, e restaurata filologicamente dal Dipartimento di Conservazione e Restauro di Triennale Milano in collaborazione con la Scuola di Restauro di Botticino e con la supervisione dello studio Diller Scofidio + Renfro. La mostra sarà accompagnata da un catalogo, un volume unico in italiano e in inglese edito da Electa, che riunisce saggi, approfondimenti e contributi organizzati in tre sezioni tematiche. Gli autori dei testi del catalogo sono: Florencia Andreola, Assemble Studio, Nina Bassoli, Céline Baumann, Stefano Boeri, Giovanna Borasi, CCA Canadian Centre for Architecture, Matilde Cassani, Diller + Scofidio, DOGMA, Davide T. Ferrando, Imma Forino, Maite García Sanchis, Roberto Gigliotti, Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, Dolores Hayden, Lacaton & Vassal, Margherita Marri, Captcha Architecture, Annalisa Metta, Azzurra Muzzonigro, Pierluigi Nicolin, Gaia Piccarolo, Alessandra Ponte, Anna Puigjaner, MAIO, Sex & the City, George Teyssot.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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lestreghedifenix · 2 years
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🖤🖤🖤 CANDELE NERE
💫 Il significato delle candele nere è una delle più enigmatiche e interrogate nel mondo dell'esoterismo grazie al suo grande potere davanti a malefici e incantesimi.
Le candele nere servono ad assorbire o rimuovere, bandire, invertire maledizioni e incantesimi, decifrare rituali, assorbire o distruggere energie negative, respingere la magia nera.
Le candele color nero ci aiutano a proteggerci da malattie e malvagità, eliminare la confusione, curare discordie, cambiare forma, e rituali di meditazione.
Il significato delle vele nere più importanti è che vengono usate per combattere il male e per fornire protezione, nessun'altra candela è potente come questa.
Purtroppo le candele nere si associano spesso alla magia maligna, ma questo non è vero le candele nere possono essere usate per rituali positivi come quelli che assorbono malattie o per fermare cattive abitudini.
Il colore nero apre i livelli della mente subconscia, viene utilizzato in incantesimi e rituali per provocare uno stato meditativo più profondo o per vietare cose brutte o negative.
💫 La candela nera assorbe tutti i colori e spesso viene utilizzata per assorbire o bandire la negatività.
Queste candele aumentano la forza interiore, la resistenza e l'autocontrollo, e possono essere utilizzate nella meditazione per approfondire l'inconscio.
Hanno un potente potere di guarigione e sostegno nella perdita e nel dolore.
💫 Bruciare una candela nera è una questione seria, si fa solo quando uno vuole neutralizzare le energie negative.
Il colore nero offre protezione contro la malattia, il male e l'energia negativa gettata su di te da forze esterne.
💫 A cosa servono le candele nere?
Sicuramente tu come me ti sei chiesto a cosa serve la candela nera. Il nero è la concentrazione intensa di tutti i colori e assorbe la luce.
A differenza di altri colori, il nero riflette pochissima o nessuna luce allo spettatore.
💫 come usare le candele nere?
Questo può dare la falsa impressione che il nero sia l'assenza di colore, ma in realtà è l'assenza di riflesso di colore.
Se vuoi liberarti della negatività intorno a te, puoi usare la candela nera.
Utilizzato correttamente, il nero può essere uno dei colori più utili e potenti disponibili, tuttavia, se usato male, può causare un disastro.
Usa candele nere per assorbire o rimuovere qualsiasi cosa, per finire qualcosa, per rimuovere o incastrare energie indesiderabili, per rompere una situazione bloccata o stagnante.
💫 Le candele color nero sono governate da Saturno e possono essere potenti in tutte le forme di magia di caccia, per lasciarsi alle spalle vecchie pene e relazioni ridondanti, per riconoscere il dolore e per i rituali di addio.
Il colore nero è una specie di spugna, che aspira tutto il tipo di energia intorno a sé.
La candela nera viene usata sia per assorbire che per respingere le energie, sia positive che negative.
💫 Allora lei è molto utilizzata per assorbire energie negative in luoghi carichi, dove esista l'invidia, per pulire la negatività e aprire i livelli dell'inconscio.
Può anche servire a respingere le energie negative (quando ad esempio riceverai qualcuno a casa che ha un'energia molto pesante) affinché questa energia non resti nell'ambiente.
Si usa nei rituali per respingere la magia nera e le forme mentali negative. Tutta l'energia della candela nera viene da saturno, quindi il giorno migliore per utilizzare il potere di questa candela è sabato.
Il nero, come il marrone, è il colore dell'accettazione, che si tratti di una restrizione o delle debolezze di se stessi o di altri, ed è quindi il colore delle candele del perdono.
💫 Il nero è un altro colore della terra, che contiene sia energia maschile che femminile. I rituali con queste candele si praticano meglio il sabato.
Molte persone considerano il nero un colore negativo o sinistro, tuttavia può anche essere sofisticato, mondano e sorprendente.
💫 candele nere da separare
Non devi usare candele nere se le considerate malvagie o pericolose.
Le candele nere contengono un potere enorme, e possono essere usate nella magia dove si cerca di scoprire un segreto, o si cerca di determinare la verità su qualcosa.
Anche le candele nere possono essere utilizzate ogni volta che si desidera estrarre energie negative, come ad esempio una malattia.
È inappropriato usare candele nere per manipolare il libero arbitrio di altre persone.
L ' unico obiettivo di una preghiera con le candele è quello di cambiare la tua situazione in modo che sia migliore.
Non importa cosa provi contro un'altra persona o quanto siano complicate le tue emozioni.
💫 significato delle candele nere
Quando cerchi di tergiversare i sentimenti di qualcuno, si rivela un karma negativo che ti influenzerà. Dovresti bruciare candele nere e recitare una preghiera contro le tue disgrazie, ma non intrometterti nelle decisioni di qualcuno.
Le candele nere non devono essere usate dai bambini o da persone che sono emotivamente esauste.
Questo è perché il nero contiene energie potenti che devono essere gestite con cura.
💫 Significato delle candele nere quando si brucia.
Quando una candela nera brucia si sta portando via con sé tutte le energie negative e ci aiuterà nel processo di purificazione sia da te che da casa tua, allontanando in questo modo tutte le energie che non sono vantaggiose per te.
#lestreghedifenixtarot #lestreghedifenixwitchtcraft
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scienza-magia · 2 years
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Giornata mondiale dell'ONU delle donne nella ricerca scientifica
E' la Giornata delle donne e delle ragazze nella scienza. Lucia Votano, il divario è un problema di tutta la società. Torna anche quest'anno la Giornata Internazionale delle Donne e delle Ragazze nella Scienza, indetta dall'Unesco per l'11 febbraio: un evento che riconosce il ruolo fondamentale che le donne svolgono nelle discipline tecnico-scientifiche, le cosiddette discipline Stem, a dispetto dei tanti stereotipi che caratterizzano ancora la partecipazione femminile in questi ambiti. Secondo l'ultimo rapporto Unesco del 2021, infatti, solo il 33% dei ricercatori sono donne, nonostante rappresentino il 45% delle laureate e il 55% degli studenti di Master.
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Ancora tanti stereotipi da superare nella Giornata delle donne e delle ragazze nella scienza 2023 (fonte: Phhere) © ANSA/Ansa Cifre in crescita rispetto agli anni precedenti, ma che non sono ancora sufficienti a colmare il divario di genere: "Non basta aumentare i numeri di partenza, perché il divario si allarga moltissimo man mano che si sale di livello", dice all'ANSA Lucia Votano, la prima donna a dirigere i Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn). "Dobbiamo renderci conto che non si tratta solo di una rivendicazione femminile - aggiunge Votano - ma di una problema che riguarda l'intera società: parliamo delle discipline che garantiranno la crescita economica del Paese, è come se un atleta cercasse di partecipare ad una gara con una gamba più corta dell'altra". La ricercatrice sottolinea, in particolare, il ruolo fondamentale che riveste la scuola, fin dalla materna, nel saper offrire a tutti la possibilità di accedere alle stesse opportunità: "Non bisogna solo puntare a premiare il merito, ma soprattutto a permettere a ciascuno di esprimere al meglio le proprie potenzialità, che possono essere anche molto diverse da individuo a individuo. E andrebbe anche fatta una revisione seria dei metodi di insegnamento delle materie scientifiche", prosegue Lucia Votano. "Ad esempio, materie come matematica e fisica non vengono mai affrontate da un punto di vista storico, cosa che invece aiuterebbe a creare maggiori connessioni con le altre materie". In un video la voce di 20 ricercatrici a voce della scienza al femminile, nei messaggi di venti ricercatrici raccolti dal ministero per l'Università e la ricerca in collaborazione con i principali enti e centri di ricerca italiani, in occasione della Giornata Iinternazionale per le donne e le ragazze della scienza che si celebra oggi: “La scienza è un modo per conoscere le cose, per vincere le proprie paure”, “Mi affascina scrutare materiali nel profondo”, “Ho studiato fisica per capire il mondo e la racconto per provare a migliorarlo”, sono alcuni dei messaggi, accanto a: “La scienza descrive un mondo senza confini e mi piace l’idea di continuare a stupirmi proprio come facevo da bambina”, “Credo nella ricerca”. “Contribuiamo al progresso!”. Superare gli stereotipi di genere, incoraggiare le studentesse a seguire le proprie passioni, promuovere la #formazione e le carriere scientifiche. Sono loro, le nostre ste(a)m#WomenInScienceDay #stem pic.twitter.com/4ViE1qthyR — Ministero dell'Università e della Ricerca (@mur_gov_) February 11, 2023 Sono immagini positive, indirizzati soprattutto alle più giovani incoraggiarle a studiare le scienze e a intraprendere la carriera scientifica. I 20 messaggi sono stati raccolti in un video dal ministero della Ricerca, in collaborazione con gli enti di ricerca Area Science Park; Agenzia spaziale italiana (Asi); Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr); Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea); Istituto nazionale di astrofisica (Inat); Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa (Indire); Istituto nazionale di ricerca metrologica (Inrim); Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN); Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv); Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale (Ogs). Le 20 ricercatrici hanno voluto dare un incoraggiamento a tutte le giovani donne perché seguano le proprie passioni e inclinazioni. Un momento di riflessione personale che è anche uno stimolo per l’intera comunità nel perseguire obiettivi di parità di genere in termini di opportunità educative, di formazione e di carriere scientifiche. Donne nella scienza di ieri e di oggi, la storia in un video Donne di ieri e di oggi sono le protagoniste del video che racconta la transizione della figura femminile nell'ambito della ricerca scientifica, pubblicato da Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) e Fondazione Ansaldo in occasione della Giornata Internazionale delle Donne nella Scienza. I filmati mostrano donne del passato, impegnate nella ex-centrale elettronucleare di Caorso (Emilia-Romagna) e negli stabilimenti Asgen di Genova, e del presente, al lavoro nei laboratori dei diversi centri Iit distribuiti in Italia. Il video di quest'anno vuole sottolineare come le donne siano sempre state presenti nella sfera scientifica. Seppur spesso osteggiate da una società che le voleva relegate a ruoli stereotipati, alcune scienziate sono riuscite a distinguersi facendosi spazio in una élite principalmente maschile, anche se venivano spesso considerate come eccezioni o, addirittura, venivano private del loro stesso successo e tenute nell'ombra. Le cose ora stanno finalmente cambiando e la pubblicazione di questo video punta proprio a supportare un cambiamento culturale in modo che non sia più necessario promuovere politiche di inclusione. Iit e Fondazione Ansaldo sono impegnati a promuovere l'uguaglianza di genere e l'inclusione attraverso iniziative pubbliche. Nello staff dell'Iit la componente femminile arriva al 43% e, dal 2020, l'Istituto si è dotato di un ufficio dedicato a diversità e inclusività, che ha il compito di redigere ed attuare un documento strategico che delinea gli obiettivi e le azioni da intraprendere per promuovere l'uguaglianza di genere. Anche Fondazione Ansaldo negli ultimi anni si è impegnata a promuovere, attraverso la valorizzazione del patrimonio archivistico di cui è custode, la storia dell'emancipazione femminile e dell'ingresso delle donne nel mondo del lavoro, offrendo percorsi didattici ad hoc per le scuole e con la mostra #Women allestita a partire dal 2020. Read the full article
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rideretremando · 1 month
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"TEORIA E PRATICA DELLE PAROLACCE IN LETTERATURA
1. Sgomberiamo subito il campo da un tipo tutto particolare di “parolaccia”: la bestemmia. Isacco Turina, sociologo, ricercatore presso l’Università di Bologna, e anche poeta interessante, si laureò nel 2000, relatore lo stimatissimo Paolo Giglioli, con una tesi intitolata: «Maledire Dio. Studio sulla bestemmia», dotata di un capitolo – il quarto – dedicato agli “aspetti linguistici e letterari”. Se l’argomento vi interessa, cercatela in rete: con un po’ di pazienza si trova, e dentro c’è tutto quello che vi serve.
2. La Treccani così definisce la parolaccia: «Parola sconcia, volgare (anche per insulto), oppure blasfema». In realtà, come sappiamo tutti, i confini tra ciò che è «volgare» e ciò che non lo è sono piuttosto porosi, nonché mutevoli nel tempo. Per di più, esistono almeno tre modi di profferire una parolaccia: seriamente, buffonescamente e affettuosamente. La parolaccia seria è quella veramente sgradevole; la parolaccia buffonesca, alla Rabelais, è tale che più grande e più sconcia e più oscena è, e più fa ridere; la parolaccia affettuosa vive nel regno dell’intimità delle coppie, e anche i più dolci innamorati, come noto, non ne fanno risparmio.
3. In realtà le parole «volgari» sono, nella nostra come in tante altre lingue, più invasive di quanto non si creda. Per esempio: i dizionari etimologici, a proposito della parola «monello», si nascondono dietro ipotesi dalla dubbia credibilità: c’è chi la fa derivare dal latino «monedula», «gazza» (usato come vezzeggiativo, come oggi chi dicesse «passerottino»), chi dallo spagnolo «mòna», «scimmia», chi l’ha interpretato – ma chissà perché – come un diminutivo di «Simone». Quando lo sanno tutti che «monello» deriva dal veneto «m*na», organo genitale femminile: la «monella» era la bambina, in quanto portatrice di una «m*na piccola». Il maschile è venuto dopo. Avete bisogno che vi spieghi da dove vengono i «ca**otti»? O volete credere alla favola che derivino da «capitium», una forma corrotta (e non attestata da nessuna parte: si tratta di un’etimologia ipotetica) di «caput», da cui verrebbe anche lo spagnolo «cabeza»? Ma suvvia. Quanto alla f*ca, davvero pensate che nasca maschile (fico!) e che sia legata alla radice germanica «fagar»? Davvero i linguisti devono essere ciechi…
(No, ho scherzato. Le etimologie riportate dai dizionari sono ovviamente serissime e credibilissime. E tuttavia…).
4. Gli anni Settanta, lo sappiamo, furono gli anni della liberazione: del corpo, e delle parole del corpo. Tempestivissimo come al solito, Alberto Moravia già nel 1971 pubblicò «Io e lui», romanzo nel quale il «lui» in questione era il ca**o dell’«io». Non per nulla questo è uno dei pochissimi romanzi di Moravia che non disponga di una propria voce in Wikipedia. Il decennio della liberazione del corpo si chiuse, nei fatti, nel 1981, con l’ordinanza di sequestro del libro di racconti di Pier Vittorio Tondelli «Altri libertini» «per il suo contenuto luridamente blasfemo ed osceno nella triviale presentazione di un esteso repertorio di bestemmie contro le divinità del cristianesimo, nonché di irriferibili turpiloqui». Il libro di Tondelli fu assolto con formula piena; ma provvide l’autore stesso, in successive edizioni, a «ripulire» il testo dalle bestemmie innanzitutto e da gran parte delle oscenità. Tutto cominciò, forse, il giorno in cui, durante una pubblica lettura, Tondelli provò, leggendo certe pagine, un senso di vergogna, un bisogno di giustificarsi: «Ero un ragazzo…» (questa cosa la cito a memoria: Tondelli la racconta da qualche parte, forse in «Un week-end postmoderno» o in «L’abbandono»). Negli anni Ottanta e Novanta le «parole del corpo» smisero gradualmente di essere goduriose, carnevalesche, rabelaisiane, e cominciarono a diventare grigissimamente politiche.
5. La questione è, come sempre, quella della possibilità di dire. Nelle opere letterarie di genere buffonesco è sempre stato possibile dire di tutto, perché nulla era serio; nelle opere letterarie di genere serio si poteva dire solo ciò che era convenzionalmente ritenuto serio. Nel Settecento, per dire, tutto il corpo in sé, e tutte le sue funzioni, appartenevano al non-serio: abbiamo così caterve di romanzi i cui personaggi camminano, parlano, duellano, fuggono, fanno insomma le solite cose da romanzi, ma praticamente mai mangiano (per tacer dell’andare di corpo e dell’orinare). Il principale ostacolo alla pubblicazione di «Ulisse», di James Joyce, fu la celebre scena del quarto capitolo nella quale Leopold Bloom esce in giardino, si rifugia nel casotto, e caca. A quel tempo, in terra anglosassone, non solo gli autori e gli editori ma anche gli stampatori potevano essere perseguiti per il reato di pubblicazione oscena: e così non si trovava nessuno che stampasse (la prima edizione uscì nella più libertina Francia). Oggi, come direbbe il Dumarsais, si sentono più parolacce in venti minuti di lavori parlamentari che in una giornata di chiacchiere tra adolescenti: e il potere eversivo (se mai ha avuto un potere eversivo) della parolaccia si è annullato. Se volete far soprassaltare il lettore sulla sedia, oggi come oggi, ci vuole ben altro che un vaffanculo. Forse una pagina immacolatissima risulterebbe più eversiva.
(La battuta originale del Dumarsais, celebre grammatico francese del Settecento, è: «Si fanno più figure retoriche in un solo giorno di mercato alle Halles che in molte giornate di assemblee accademiche»).
6. Torna ciclicamente l’eterna questione degli eufemismi. L’eufemismo serve a non dire la parolaccia. Ma è chiaro che, nel momento in cui un eufemismo appare scritto, nella mente del lettore la parolaccia apparirà. Quindi si può dire che tra l’eufemismo e la parolaccia esplicita c’è una sola differenza: l’eufemismo è vile. Il punto è che in pressoché tutti i testi in cui mi sia capitato di incontrare le parolacce, esse venivano messe in bocca ai personaggi. Si tratta quindi di decidere: abbiamo, nel testo tale, un narratore coraggioso che mette in scena un personaggio vile, o abbiamo un narratore vile che non ha il coraggio di far dire una vera parolaccia al personaggio? Alessandro Manzoni, «I promessi sposi», capitolo primo: don Abbondio incontra i bravi:
«“Ma,” interruppe questa volta l’altro compagnone, che non aveva parlato fin allora, “ma il matrimonio non si farà, o…” e qui una buona bestemmia, “o chi lo farà non se ne pentirà, perché non ne avrà tempo, e…” un’altra bestemmia».
Dove si arriva all’ossimoro, ovviamente ironico, della «buona bestemmia». Ai posteri l’ardua sentenza. Tutto diverso è il caso in cui non un personaggio dica le parolacce – intendo: nemmeno un personaggio narrante – ma le dica proprio il narratore. Questa sì sarebbe, pensateci, anche oggi che tutto sommato tutto è permesso, o giù di lì, una cosa veramente scandalosa. O forse addirittura eversiva.
7. Ci sono però, imprevedibilmente, anche eufemismi che non sono tali, ovvero falsi eufemismi: espressioni che sembrano eufemismi ma non lo sono. Uno per tutti, il celeberrimo “Porca paletta!”. Trovo nel blog di Alberto Cassone (tracconto.wordpress.com) questa spiegazione, e la trovo, come si usa dire, troppo bella per non essere vera:
«“Porca paletta!”, locuzione popolare italiana impiegata per esprimere un sentimento di rammarico (similmente all’interiezione “accidenti!”) ha origine da un francesismo. Nicolas Capalette era, infatti, il nome di un generale francese, attivo sul suolo italiano in epoca napoleonica, il quale non ne combinava una giusta, mettendo sempre nei guai i suoi soldati. La sua incompetenza e goffaggine erano proverbiali; tra il popolo italiano si era diffuso, quindi, il modo di dire sarcastico “(C’est) Pour Capalette!”, utilizzato ogni volta che qualcuno faceva una stupidaggine, una gaffe, un errore grossolano – tale errore veniva così “dedicato a Capalette”. In seguito, perdendosi gradualmente la memoria dell’origine di questo modo di dire e anche a causa della sua frequente cattiva pronuncia, si diffuse la forma errata “porca paletta”, per analogia con altre locuzioni interiettive, quale ad esempio “porca miseria”; con l’affermazione di tale forma errata si smarrì anche il carattere sarcastico dell’espressione originaria, così che la nuova locuzione non rappresenta oggi altro che una semplice variante del summenzionato “accidenti!”».
8. La lingua italiana, peraltro, non dispone di parole «pulite», di parole «non -acce» per nominare seriamente certe cose. Non abbiamo nemmeno un verbo «pulito» che esprima direttamente l’azione sessuale: noi italiani «facciamo l’amore», «facciamo sesso», ma «sco*are» o «trom*are»” già sono parole piuttosto -acce (poi, certo, dipende dalle sensibilità). Per nominare la parte del corpo che reca gli occhi e la bocca possiamo dire faccia (registro basso), viso (registro medio) o volto (registro alto), ma per il ca**o e il culo e la f*ca non abbiamo altrettanta fortuna: le parole «p*ne», «vag*na», «vu*va», l’eufemismo «me*bro», eccetera, difficilmente possono essere usate seriamente in una narrazione seria. Dobbiamo sempre scegliere tra il volgare e l’anatomico, una parola per tutti i giorni, una parola da usare civilmente in qualunque situazione, non ce l’abbiamo. Peccato.
9. Ancora peggio degli eufemismi sono i puntini di sospensione, i trattini di troncamento, addirittura gli asterischi. Se si taglia a metà una parolaccia, o un’espressione oscena, o una bestemmia, il lettore comunque capirà: comunque nella sua mente la parolaccia, o l’espressione oscena, o la bestemmia, si formeranno. E così, paradossalmente, l’autore che decida di usare questi mezzucci – l’eufemismo, i punti di sospensione, eccetera – riuscirà nel più temibile dei risultati: senza parlar volgare lui, senza bestemmiare lui, riuscirà a costringere il lettore, anche il più pudico o il più timorato di Dio dei lettori, a parlar volgare e bestemmiare. Per carità: uno che scrive può darsi gli scopi che vuole. Ma questo lanciare il sasso e nascondere il braccio, è uno scopo onorevole? (In questo post, in effetti, ho usato gli asterischi: ma solo per non incorrere nelle ire di Face*ook).
10. Avevo detto che non avrei parlato in particolare della bestemmia. E invece sì, ne parlo. Citando questo passo da Libera nos a Malo, di Luigi Meneghello. Una meraviglia. Dove la bestemmia si trasfigura in lode del Creato (con la C maiuscola).
«Cicana sapeva un numero infinito di bestemmie; altre ne inventava. Una volta scommise di dirne trecentocinquanta tutte diverse una dietro l’altra, e vinse senza impegnarsi a fondo. Lo ascoltavamo incantati; era come una lauda pervasa da un vivo sentimento della natura e da un attento spirito di osservazione.
«Era di pomeriggio, ed eravamo nell’angolo d’ombra dell’ultima casa verso il ponte del Castello. La stramba litania ci faceva sfilare davanti agli occhi animali esotici e piccoli mammiferi nostrani, uccelli, pesci e rettili, la fauna dei letamai intenta ai suoi traffici, e la gaia flora dei marciapiedi, i grandi sputi gialli dei tabaccanti, scarlatti dei tisici. […] Le bestie selvatiche e domestiche, quelle innocue e quelle feroci, i pachidermi e le piccole polde, e fino i microbi e i bacilli che si stenta a vedere a occhio nudo; le bestie dell’aria, dalle poiane altissime agli sciami folti e bassi dei moscerini, le bestie del giorno e della notte, quelle delle acque limpide e dei gorghi scuri.
«Alle cento bestemmie Cicana lasciò il regno animale e passò alle piante, alle erbe, ai licheni, alle muffe; sulle duecento entrò nel mondo bruto della materia inanimata; alle trecento cominciò a toccare la sfera delle arti e dei mestieri, le strutture della società, il gioco delle passioni umane.
«Terminò col microcosmo dell’Uomo, dei suoi visceri attraenti insieme e repulsivi, delle sue mirabili funzioni fisiologiche; e compiuto il numero delle bestemmie pattuite, ne aggiunse alcune altre in supplemento, sciogliendo un inno all’Amore che chiamava però in altro modo: ormai faceva accademia, e fu fermato alle trecento e settantuna.
«Concluse con una bestemmia breve e solenne, raddoppiando il Nome di Dio».
(Giulio Mozzi)
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VINOVO(TO). JUVENTUS MILAN-LA FOTOGALLERIA COMPLETA DI UNA PARTITA STRAORDINARIA.
VINOVO(TO). JUVENTUS MILAN-LA FOTOGALLERIA COMPLETA DI UNA PARTITA STRAORDINARIA.
Nessun commento, l’articolo lo abbiamo già scritto e pubblicato, solo le foto di una giornata straordinaria insieme alle protagoniste del calcio femminile. Servizio Giuseppe Amato Fotoservizio Andrea Amato/PhotoAgency http://www.photoagency-quotidianoonline.com
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