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#scultura teatrale
marcogiovenale · 2 years
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22 ottobre, genova, "il piede", scultura teatrale di dario bellini
22 ottobre, genova, “il piede”, scultura teatrale di dario bellini
Sandro Ricaldone Quarto Pianeta Festival IL PIEDE Scultura teatrale di Dario Bellini ex O.P., via Giovanni Maggio 4 – Genova Quarto Aula 7 sabato 22 ottobre 2022, ore 19:00 cliccare per ingrandire Il Piede di Filippo Tommaso Marinetti, andato in scena al teatro Dal Verme di Milano nel 1915 e mai più rappresentato, aveva, secondo le ricostruzioni, la quarta parete aperta su un baratro…
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gregor-samsung · 5 months
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" Educare all'ozio significa insegnare a scegliere un film, uno spettacolo teatrale, un libro. Insegnare a sbrigare le attività domestiche e a far da sé molte cose che fin qui abbiamo comprato. Insegnare la convivialità, l'introspezione, il gioco. Anche la pedagogia dell'ozio ha una sua etica, una sua estetica, una sua dinamica, delle sue tecniche. E tutto questo va insegnato. L'ozio richiede luoghi adatti per riposarsi, per distrarsi, per divertirsi. Ai giovani perciò bisogna insegnare a districarsi non solo nei meandri del lavoro, ma anche nei meandri delle varie offerte di loisirs. Significa educare a fare il genitore e a fare il coniuge, ai rapporti con l'altro sesso, al volontariato, cioè ad attività socialmente utili da svolgere nel tempo libero che avremo in abbondanza. Ce n'è da insegnare! La massa della gente non sa scegliere neppure un luogo di vacanze: va in un'agenzia e si fa rifilare quello che capita. La massa della gente non sa come distrarsi e come riposarsi. Bisogna educare alla notte: la nostra cultura è tutta diurna, vede la notte come uno spazio privatissimo, peccaminoso. E poi bisogna educare alla cultura post-moderna: molte espressioni della nostra cultura non sono godibili immediatamente com'era per la pittura classica o per la musica tradizionale. Siano architettura, scultura o design, spesso possiamo apprezzarle solo se ne conosciamo storia, senso e scopo. Posso rimanere istantaneamente colpito di fronte alla Gioconda o a una statua di Canova, ma per capire Mondrian devo sapere cos'è stato il movimento De Stijl, e per ammirare davvero Van Gogh devo sapere cos'è stato l'Impressionismo. Educare significa insegnare ad arricchire le cose di significato, come diceva Dewey. Più educato sei, più significati cogli nelle cose e conferisci alle cose. "
Domenico De Masi, Ozio creativo. Conversazione con Maria Serena Palieri, Ediesse (collana Interventi), Roma, 1997¹; pp. 141-142.
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fashionbooksmilano · 5 months
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Paraventi
Folding screens from the 17th to 21st Centuries
Edited by Nicholas Cullinan. Graphic Design: Naomi Mizusaki, Supermarket, New York.
Texts by Thomas Aquilina, Nancy Berliner, Francesca Berry, Nicholas Cullinan, Whitney Davis, Frank Feltens, Wu Hung, Ido Misato, Paul B. Preciado, Ana Zabía e Siegfried Zielinski Interviste di Nicholas Cullinan, Niccolò Gravina, Mario Mainetti a Tony Cokes, Cao Fei, Wade Guyton, Anthea Hamilton, William Kentridge, Shuang Li, Goshka Macuga, Kerry James Marshall, Chris Ofili, Laura Owens, Betye Saar, Tiffany Sia, John Stezaker, Keiichi Tanaami, Wu Tsang, Luc Tuymans and Francesco Vezzoli
Fondazione Prada, Milano 2023, 448 pagine, 17x22,5cm, ISBN 978-8887029864, English Text with italian translations. euro 75,00
email if you want to buy [email protected]
“Paraventi: Folding Screens from the 17th to 21st Centuries” è l’ampia esposizione a cura di Nicholas Cullinan presentata da Fondazione Prada a Milano dal 26 ottobre 2023 al 22 febbraio 2024. La mostra di Milano indaga la storia e interpreta i significati di questi oggetti, ripercorrendo le traiettorie di reciproche contaminazioni tra Oriente e Occidente, i processi di ibridazione fra diverse forme d’arte e funzioni, le collaborazioni tra designer e artisti e, infine, la creazione di opere inedite. I paraventi rappresentano il concetto di liminalità e di soglia fra due condizioni, in senso letterale e metaforico, in quanto attraversano le barriere tra discipline, culture e mondi diversi. 
Come spiega Nicholas Cullinan, “Pittura o scultura? Arte o complemento d’arredo? Elemento utilitaristico oppure ornamentale? Decorativo, funzionale, architettonico o teatrale? Questa mostra esamina con un approccio innovativo gli interrogativi e i paradossi che circondano la storia dei paraventi, una storia di migrazione culturale (da Oriente a Occidente), di ibridazione (tra forme d’arte e funzioni diverse) e di ciò che viene celato e rivelato. La nostra ricerca svelerà come questa storia e il suo manifestarsi nel presente coincidano con la storia di oggetti liminali e della liminalità stessa, in un processo di superamento delle rigide distinzioni e gerarchie tra le diverse discipline dell’arte e dell’architettura, della decorazione d’interni e del design”. 
Il progetto espositivo ideato dallo studio di architettura SANAA, fondato da Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa, raccoglierà negli spazi del Podium oltre settanta paraventi. Saranno inclusi sia opere di grande valore storico sia lavori più recenti provenienti da musei internazionali e collezioni private, oltre a una selezione di nuove creazioni appositamente commissionate per questo progetto a più di quindici artisti internazionali. Al piano terra del Podium, pareti curvilinee e trasparenti di Plexiglas, alternate a tende dalla linea sinuosa, evocheranno le forme di questi oggetti creando una serie di spazi caratterizzati da diverse condizioni luminose. All’interno di questi ambienti i visitatori potranno incontrare i vari gruppi tematici e confrontarsi con un fluido percorso espositivo grazie alla trasparenza delle strutture divisorie. Al piano superiore l’allestimento rappresenterà l’intera storia dei paraventi, presentati in ordine cronologico e disposti su piedistalli sagomati che ne enfatizzeranno le forme, in omaggio agli innovativi allestimenti museali del MASP di San Paolo, realizzato da Lina Bo Bardi, e al lavoro di SANAA per il museo Louvre-Lens.
13/04/24
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megabif · 6 months
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Richard Serra
Tilted Arc
Nel 1979 il General Service Administration (GSA), un’agenzia indipendente del governo degli Stati Uniti, in accordo con il National Endowment for the Arts (NEA), decide di commissionare una scultura all’artista Richard Serra. È destinata alla Federal Plaza di New York. Dieci anni dopo, la scultura, chiamata Tilted Arc, viene smantellata, segata a pezzi, i suoi resti immagazzinati a Brooklyn. Nel mezzo accade di tutto. L’affaire Serra ridefinirà il concetto di site specificity di una scultura inserita nel tessuto urbano. In effetti, c’è qualcosa di radicale in questo artista che fin dagli inizi della sua carriera aveva deciso di utilizzare acciaio e piombo come materia espressiva. Nelle Lettere a Miranda Quatremère de Quincy si poneva domande riguardo allo spostamento delle opere d’arte italiane. All’epoca, la Rivoluzione francese aveva appena fatto il suo corso. Due secoli dopo la questione resta: distratta dal suo contesto l’opera perde il suo valore? “Rimuovere l’opera significa distruggere l’opera” afferma Richard Serra. La Street Art pone problemi simili.
Nel 1979, quando viene scelto dal GSA, Serra è già conosciuto, apprezzato. Nel 1970 aveva piazzato una struttura circolare in acciaio nel manto stradale di una via del Bronx (To Encircle Base Plate Hexagram Right Angles Inverted). L’anno successivo, piazza il St. John’s Rotary Arc nei pressi della rotatoria dell’Holland Tunnel. Certo, finché si tratta di una strada del Bronx, o di una rotatoria, nessuno fiata. Ma quando ti trovi di fronte il Federal Bureau of Investigation o una sede della corte di giustizia, è difficile farla franca.
Tilted Arc viene inaugurato nel 1981. Una linea di acciaio color ruggine di quaranta metri, alta quattro, leggermente curva e inclinata, taglia in due la piazza. Apriti cielo. La struttura “teatrale” del sito viene alterata, ciò di cui Serra era ben conscio. I cittadini si ritrovano proiettati dentro un nuovo contesto ambientale, ridefinito dalla scultura. È come se lo stesso concetto di “temporalità” subisse una torsione. Chi cammina sulla piazza è costretto a costeggiare l’opera. In un sito percorso usualmente di fretta, per motivi di lavoro, Serra costringe i passanti a rallentare, a lambire e “sentire” l’opera. Grazie a questo taglio in acciaio lo spazio viene ora sovvertito. Questa linea funge da contrappunto ambientale. È l’opera che ora definisce, impone il proprio territorio.
Ne succedono di tutti i colori. Un giudice protesta. Pone problemi di sicurezza. Finisce come in una lite condominiale, ma su larga scala. C’è chi pone questioni di decoro. La gente vi urina sopra (intervistato dal New York Times, che gli domanda quale sia il suo luogo favorito in città, Matthew Barney risponde: “Urinare riverentemente su Tilted Arc”). C’è chi vi aggiunge graffiti. Alcuni tirano in ballo il Muro di Berlino. Si tengono pubbliche udienze. Autorevoli critici d’arte difendono il lavoro di Serra. Nel 1985 la sede di Washington della GSA chiede che all’opera venga trovato un altro spazio. Serra avvia una causa per difendersi. La causa viene rigettata. Nel 1987 la NEA dichiara Tilted Arc “site specific”, e per questo inamovibile. Serra intanto va in appello. Nel 1989, dopo che Ronald Reagan ha firmato la Berne Convention, legge in difesa dei beni letterari e artistici, Tilted Arcviene smantellato. Per qualche tempo, una specie di cicatrice sulla pavimentazione funziona da indice dell’opera. Ora, restano solo fotografie, più la documentazione, gli atti di questa battaglia espressiva.
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michelangelob · 8 months
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La Scultura del giorno: Beatrice Cenci di Herriet Hosmer
La scultura del giorno che vi propongo oggi è Beatrice Cenci scolpita dall’artista americana Herriet Hosmer. Di fatto l’opera Beatrice Cenci è la prima scultura in cui l’artista volle rappresentare un personaggio storico italiano, soggetto fra le altre cose di un’opera teatrale scritta da Percy Bysshe Shelly. La scultura fu commissionata per la Biblioteca Mercantile di St. Louis e rappresenta…
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erfigh · 2 years
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𝗘𝗹 é𝘅𝘁𝗮𝘀𝗶𝘀 𝗱𝗲 𝗦𝗮𝗻𝘁𝗮 𝗧𝗲𝗿𝗲𝘀𝗮 - 𝗚𝗶𝗮𝗻 𝗟𝗼𝗿𝗲𝗻𝘇𝗼 𝗕𝗲𝗿𝗻𝗶𝗻𝗶 ⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜ Escultura de mármol y bronce dorado, realizada entre 1647 y 1652. Iglesia de Santa Maria della Vittoria, capilla Cornaro, Roma. En 1647, el cardenal Federico Cornaro encomendó a las excelentes cualidades de arquitecto y escultor de Bernini la construcción de la capilla de su familia. Bernini, de hecho, al realizar el encargo, buscó su venganza profesional contra la actitud tibia que el nuevo Papa, Inocencio X, mostró hacia él, logrando crear uno de los máximos ejemplos del arte barroco, una verdadera representación teatral. La elegante escena, realizada en mármol policromado, en la que Bernini sitúa la escena de la Transverberación de Santa Teresa, es una auténtica representación teatral: la figura de la santa está semirreclinada sobre una nube vaporosa que la lleva hacia el cielo. ⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜⁜ #bernini #gianlorenzobernini #estasidisantateresa #estasi #art #arte #artlovers #travelart #grupposcultoreo #scultura #sculpture #arteseicentesca #seicentoitaliano #sindromedistendhal #barocco #baroccoitaliano #church #arteitaliana #artebarocca #culturalheritage #santamariadellavittoria #cappellacornaro #rome #roma #italia #loverome #amoroma #grandebellezza #chusayinka #igersroma (en Santa Maria della Vittoria) https://www.instagram.com/p/Cl22L9eKAS7/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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spaziodisplay · 7 days
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Rike Droescher
Luci D. Dreams of Flying
(a cura di Ilaria Monti)
21.09.2024 - 10.11.2024
Con Luci D. Dreams of Flying, tra ali di farfalla e uccelli estinti, tra miti e storie del passato, Rike Droescher reinventa e racconta con la scultura una favola antica quanto il mondo, quella dell’uomo e del suo desiderio di volare. L’artista sbircia tra le fratture e le crepe di un mondo antropocentrico, con una serie di opere che formano una costellazione di immagini di mondi che sconfinano l’uno nell’altro, forme di un’antropologia fantastica.
La mostra è concepita come una serie di sequenze del sogno di Luci D., un personaggio fittizio il cui nome crea, nella lingua inglese, un gioco di parole con lucid dream, sogno lucido. Dando forma alle visioni di Luci D., l’artista esplora diversi aspetti dell’archetipo del volo e degli uccelli, e intreccia una storia fatta di desideri, utopie e fantasie che si scontrano infine con il fallimento, la caduta, la perdita. Ciascuna opera agisce come un iper-testo poetico, al cui interno l’artista cela riferimenti o indizi per seguire Luci D. nel suo sogno, adottando il suo sguardo come nella soggettiva di un film. I titoli delle opere a loro volta orientano e scandiscono le ambientazioni del sogno, simili ad atti di una pièce teatrale. 
L’opera Luci D. Dreams of Flying apre il racconto con dei calzari bizzarri, scarpe con un tacco a forma di zampa d’uccello. L’artista introduce così la fantasia zoomorfica e le ibridazioni fantastiche tra uomini e uccelli, reinterpretando una serie di immagini letterarie. 
Scene from above: A cloud, a cuckoo, land porta Luci D. a Nubicuculia, città delle nuvole e dei cuculi dalla commedia greca di Aristofane, regno utopico nato da un accordo tra uomini e uccelli in cerca di una vita migliore tra il cielo e la terra. L’opera è come un letto di nuvole, su cui sono appoggiate riproduzioni in ceramica di pagine di giornale, smaltati e dipinti dall’artista, che riportano i suoni onomatopeici con cui i birdwatcher memorizzano e riconoscono il canto degli uccelli. 
In Zenith: way over my head. How on earth could I fall? Luci D. incontra Icaro, o meglio quel che ne resta dopo la sua caduta: piume a terra e ali spezzate sono l’ultima traccia del folle tentativo di raggiungere il sole. In un lampo, lo scenario fantastico e la felice utopia di Nubicuculia si frantuma per ripiombare Luci D. sulla terra. Il sole più vicino è in realtà un lampione sulla strada. Qui, confuse e illuse, farfalle e falene muoiono. Droescher interrompe così il capitolo più immaginifico e visionario della storia creando una frizione tra la dimensione onirica e reale, tra illusione e disillusione. Look What I Have Done, Look What I Can Do (Recreation of Martha) segna un brusco ritorno alla realtà. La scultura è realizzata come un teatro delle ombre, con due mani a formare il profilo di un uccello. Attraverso l’espediente dell’ombra cinese, l’artista ironicamente veste i panni di un demiurgo: utilizzando gusci d’uovo polverizzati e una fonte luminosa, Droescher riesuma e riproduce artificialmente Martha, l’ultimo esemplare di Ectopistes migratorius (piccione migratore) morto nel 1914 presso lo zoo di Cincinnati. 
Si dice che nel sogno lucido il sognatore sia consapevole del sogno, che tutto sia più vivido, che leggi della gravità vengano infrante: trasformarsi, scomparire, volare, il tutto-possibile nello spazio tra il sonno e la veglia. Rike Droescher esplora la libertà di questo spazio manipolando forme e materiali della natura, concependo ogni opera come una poesia o un racconto dal finale aperto. 
BIO
Rike Droescher (1990) vive e lavora a Düsseldorf, dove nel 2020 si laurea presso la Kunstakademie. Tra le mostre personali e bipersonali: 2023, The Serpent’s Tail, con Zoe Koke, Alice Amati, Londra; Since The First Branch In The Hand, Atelier am Eck, Düsseldorf; 2022, If You Call Me I Won’t Be Home, Palatului Mogosoaia, Bucharest, The Big Murmur, Moltkerei Werkstatt, Cologne; 2021, Participation Trophy - Mur Brut, Kunsthalle Dusseldorf, Dusseldorf . Ha esposto in mostre collettive presso: Kunsthaus Essen, Essen (2023); Muzeul National al Hartilor si Cartii Vechi, Bucharest (2022); Fuhrwerkswaage, Cologne (2022); K21 Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen, Dusseldorf (2021); Tiroler Landesmuseum Ferdinandeum, Innsbruck (2021) and Goethe-Institut de Paris, Paris (2017). Nel 2022 ha ricevuto l’ Art Award for Sculpture Diaconia Michaelshoven a Colonia; nel 2023 partecipa alla Bronner Residency a Tel Aviv.
https://rikedroescher.com
Con il supporto di Alice Amati, Londra
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ENGLISH
(curated by Ilaria Monti)
In Luci D. Dreams of Flying, amidst butterfly wings and extinct birds, myths and stories from the past, Rike Droescher reinvents and narrates a tale as ancient as the world: the human desire to fly. She delves into the fissures and cracks of an anthropocentric world, with her works emerging as a constellation of images intruding into one another, as remnants of a fantastical anthropology.
The exhibition unfolds as a sequence of Luci D.'s dream. By shaping into tangible form the visions of this fictional character, the artist explores the multifaceted bird-flight archetype and weaves a narrative of desires, utopias, and fantasies ultimately colliding with failure, fall, and loss. Each work acts as a poetic hyper-text, where the artist hides references or clues to follow Luci D. through her dream, adopting her perspective akin to a movie’s point-of-view shot. The titles of the works themselves serve as guide for the multiple scenarios of Luci’s dream, as if marking the acts of a theatre performance. 
The work Luci D. Dreams of Flying opens the story with bizarre footwear — shoes with heels shaped like bird claws. Through this, the artist engages with a zoomorphic fantasy and imaginary hybridizations between humans and birds, reinterpreting a series of literary references. 
Scene from Above: A Cloud, a Cuckoo, Land transports Luci D. to Cloud-cuckoo-land, the city of clouds and birds from Aristophanes' Greek comedy, founded on an agreement between humans and birds seeking a better life between sky and earth. The work resembles a bed of clouds, upon which are placed ceramic reproductions of newspaper pages glazed and printed by the artist with transcription of the sounds used by birdwatchers to memorize and recognize bird songs.
In Zenith: Way Over My Head. How on Earth Could I Fall?, Luci D. meets Icarus, or rather what remains of him after his fall: feathers on the ground and broken wings are the last traces of the reckless attempt to reach the sun. In a flash, the fantastical scenario and the peaceful utopia of Cloud-cuckoo-land shatter, bringing Luci D. back to earth. Here, streetlamps are the sun. Here, butterflies and moths perish, confused and deceived. Droescher interrupts the more imaginative chapter of the story, creating a friction between the dream and reality, illusion and disillusionment. Look What I Have Done, Look What I Can Do (Recreation of Martha) marks a harsh return to reality. The sculpture functions as a shadow theater, with two hands forming the profile of a bird. Through the art of shadow play, the artist ironically assumes the role of a demiurge: employing eggshell powder and light, she evokes and artificially reproduces Martha, the last known passenger pigeon of its species, which died in 1914 at the Cincinnati Zoo.
It is said that in a lucid dream, the dreamers are aware that they’re dreaming, that everything is more vivid and the laws of gravity are defied: transformation and metamorphosis, disappearance and flight, everything is possible within the space between sleep and wakefulness. Rike Droescher explores the freedom of this space by manipulating forms and materials from nature, and conceiving each sculpture as a poem or a story with an open ending. 
BIO
Rike Droescher (b.1990) lives and works in Dusseldorf (DE). She graduated in 2020 from the Kunstakademie Düsseldorf, Solo and duo exhibitions include: 2023, The Serpent’s Tail, with Zoe Koke, Alice Amati, London; Since The First Branch In The Hand, Atelier am Eck, Düsseldorf; 2022, If You Call Me I Won’t Be Home, Palatului Mogosoaia, Bucharest, The Big Murmur, Moltkerei Werkstatt, Cologne; 2021, Participation Trophy - Mur Brut, Kunsthalle Dusseldorf, Dusseldorf. Her work featured in group exhibitions at Kunsthaus Essen, Essen (2023); Muzeul National al Hartilor si Cartii Vechi, Bucharest (2022); Fuhrwerkswaage, Cologne (2022); K21 Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen, Dusseldorf (2021); Tiroler Landesmuseum Ferdinandeum, Innsbruck (2021) and Goethe-Institut de Paris, Paris (2017), amongst others. She is the recipient of the Art Award for Sculpture of Diaconia Michaelshoven Cologne (2022) and was awarded the Bronner Residency in Tel Aviv (2023).
https://rikedroescher.com
Supported by Alice Amati, London
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lecodellariviera · 26 days
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"E se fosse un vento pop?" - La mostra  di Ugo Nespolo alla Galleria del Castello di Imperia dal 31 agosto al 21 settembre 2024
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 La Galleria del Castello di Imperia presenta “E se fosse un vento pop?”, mostra personale del Maestro Ugo Nespolo. L’evento avrà luogo dal 31 agosto al 21 settembre 2024 nei locali della Galleria del Castello e coinvolgerà l’intera città di Imperia.
La mostra, realizzata con la direzione artistica e la curatela di Federica Porro e Marco Bravo, della Galleria del Castello, prevede l’esposizione di circa cinquanta opere uniche, accompagnate da un’intera sezione dedicata alla grafica, che permetteranno di comprendere appieno la poetica del maestro piemontese, accompagnando i visitatori all’interno di un universo in dialogo con il tempo e in perenne divenire. 
Diverse le sezioni proposte per approfondire l’opera di Ugo Nespolo: vele, musei, numeri, città, presenze. Un percorso multiforme pensato per permettere di ampliare i propri orizzonti e il proprio sguardo sul mondo. La selezione operata dalla galleria, dal valore culturalmente rilevante, vuole essere un omaggio a uno dei più grandi artisti contemporanei: la mostra sarà accompagnata da un catalogo in italiano e inglese, che includerà due testi critici inediti sull’artista e approfondimenti sulle tematiche principali proposte.
Classe 1941, Nespolo è un artista poliedrico e rivoluzionario, noto per il suo approccio ludico e ironico all’arte contemporanea. Formatosi all’Accademia Albertina di Torino, ha esplorato vari linguaggi artistici, dal cinema sperimentale alla scultura, passando per la pittura e il design. La sua carriera, a partire dagli anni ’60, è un caleidoscopio di collaborazioni, mostre e riconoscimenti, che lo consacrano come una delle figure più dinamiche e influenti dell’arte contemporanea.
«Questo evento rappresenta un'importante tappa nel percorso di crescita della galleria, che per la prima volta, dopo quattro anni di attività, apre le porte a una mostra con un nome tanto prestigioso - sono le parole di Federica Porro e Marco Bravo, titolari della Galleria del castello - Con il prezioso contributo di associazioni e realtà locali, è stato possibile delineare un ricco programma di eventi collaterali, dall’asta benefica al laboratorio di sartoria creativa, dal reading letterario a un incontro di arteterapia, dalla performance teatrale al concerto jazz manouche, che contribuiranno a fare della galleria un luogo di condivisione e aggregazione culturale».
La prestigiosa esposizione, realizzata con Studio Nespolo e Arte Pentagono, vanta il patrocinio della Città di Imperia e la collaborazione della Rete Museale di Imperia e si svolgerà in concomitanza con la manifestazione delle Vele d'Epoca. È proprio a firma di Nespolo il manifesto ufficiale della 25° edizione dell’evento.
«La Città di Imperia è lieta di ospitare la mostra personale del Maestro Ugo Nespolo presso la Galleria del Castello - dichiara l’assessore alla Cultura Marcella Roggero - Questo evento rappresenta un'ulteriore testimonianza della crescita culturale della nostra città, frutto del costante impegno che, insieme al Sindaco Claudio Scajola e a tutta l’Amministrazione, abbiamo dedicato alla valorizzazione di quelle iniziative portate avanti con la passione e il talento delle realtà locali. La firma del Maestro Nespolo sul manifesto di quest’anno delle Vele d'Epoca suggella inoltre un legame simbolico tra il mare e l’arte, celebrando le peculiarità uniche di Imperia e rafforzando la sua identità culturale». 
Grazie alla collaborazione con la Rete Museale, formata da Municipia SpA e Cooperativa Solidarietà e Lavoro, un’opera del Maestro Nespolo verrà esposta in ciascuno dei tre musei della città: il M.A.C.I -Villa Faravelli, il Museo Navale e Villa Grock, con l’idea di disegnare un percorso ideale che esplori i siti più rappresentativi e prestigiosi della città, in una comunicazione in parallelo con la Galleria e la mostra. Per i gestori, una bellissima occasione che permette di ampliare l’offerta culturale con un artista così importante nel panorama culturale nazionale e internazionale. 
«La sinergia tra la Galleria del Castello e il Comune di Imperia, per noi come Rete è davvero importante e arriva dopo un anno di lavoro, nel quale ci siamo impegnati a creare relazioni con il territorio e far conoscere il patrimonio affidatoci, consapevoli dell’importanza e della bellezza dei musei della città e delle loro collezioni – dichiara Valentina Dionisi, responsabile di produzione per la Cooperativa Solidarietà e Lavoro scs - Le opere del Maestro Nespolo, contestualizzate e in dialogo con le collezioni dei Musei, daranno vita a una sorta di intreccio immaginario che siamo certi  incuriosirà i fruitori, coinvolgendoli emotivamente».
Una piccola “metamostra” sarà la raccolta di scatti realizzati al Maestro Nespolo nel suo studio a Torino da Settimio Benedusi, in esclusiva per la Galleria del Castello. «Sarebbe obbligatorio e necessario per chiunque andare almeno una volta nella vita a visitare quel luogo, per capire quanto l’Arte e l’Artista siano (e debbano essere) non uno sfizio volubile e capriccioso ma al contrario una vera necessità per una società matura e consapevole» dichiara il fotografo Imperiese.
Il vernissage dell’evento è previsto per il 31 agosto alle ore 18:30, con la presenza del Maestro. La mostra, a ingresso libero, resterà visitabile tutti i giorni escluso il lunedì, dalle 10.00 alle 12.30, dalle 16.00 alle 20.00, dalle 21.00 alle 23.00, da sabato 31 agosto a sabato 21 settembre compresi. Durante le tre settimane della mostra gli orari potrebbero subire qualche variazione, per eventi, laboratori o visite private, che saranno comunicati tempestivamente tramite i nostri canali ufficiali.
Le opere di Nespolo esposte nei musei di Imperia saranno visibili durante i consueti orari di apertura. In occasione di Vele d’Epoca, il Museo Navale sarà aperto eccezionalmente anche giovedì 12 settembre, con orario 17-22. Per informazioni: [email protected]
Il team curatoriale si avvale delle professionalità di Federica Porro e Marco Bravo curatori della mostra, Veronica Cicirello responsabile del progetto grafico, Claudia Andreotta e Francesca Bogliolo, curatrici dei testi e delle presentazioni critiche, Raffaella Romano, responsabile delle traduzioni in inglese, Marie Scollo collaboratrice al progetto grafico e impaginazione del catalogo, Chiara Cosentino collaboratrice ai contenuti social e Alessandra Chiappori responsabile ufficio stampa, Pierre Cristiani responsabile dell’impianto video.
“E se fosse un vento pop?”
Mostra Personale di Ugo Nespolo
Galleria del Castello, Piazza San Francesco 3, Imperia
Dal 31 agosto al 21 settembre 2024
Vernissage sabato 31 agosto alle ore 18:30
Orari: 10.00-12:30, 16:00-20:00, 21:00-23:00  -  tutti i giorni, escluso il lunedì.
Ingresso libero
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lamilanomagazine · 5 months
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Pesaro.  Svelata nella mattinata di sabato 27 aprile la Scultura di Pavarotti insieme alle figlie Giuliana e Cristina.
Pesaro.  Svelata nella mattinata di sabato 27 aprile la Scultura di Pavarotti insieme alle figlie Giuliana e Cristina. La Capitale italiana dalla cultura ha dato appuntamento davanti al Teatro Rossini per la scopertura dell’opera realizzata dal Maestro Poli e dedicata “all’artista mondiale amatissimo dalla sua seconda città” Le figlie Giuliana e Cristina, la moglie Nicoletta Mantovani, il regista e scenografo Pier Luigi Pizzi. Erano presenti le figure più care al Maestro Luciano Pavarotti, in piazzale Lazzarini, per la cerimonia di scopertura della scultura bronzea, che la Capitale ha dedicato al “suo” Luciano Pavarotti, “nell’anno straordinario di Pesaro 2024”. “Un regalo alla città e, soprattutto, un omaggio a Luciano Pavarotti – spiegano Matteo Ricci, sindaco di Pesaro e Daniele Vimini, vicesindaco assessore alla Bellezza - artista straordinario mai dimenticato, cittadino onorario di Pesaro che abbiamo deciso di onorare con una scultura bronzea di alto valore”. Dall’altezza di 192cm, poggiata su una base di marmo, l’opera in bronzo è realizzata con la tecnica della fusione a cera persa, da Albano Poli. A presentarla è stato Andrea Mezzetti, assistente artistico del maestro Poli che è intervenuto durante l’appuntamento promosso da Pesaro 2024 e a cui hanno partecipato Giuliana e Cristina Pavarotti (figlie del tenore; il sindaco e il vicesindaco sono stati al loro fianco durante la posa della stella del Maestro nella Walk of Fame di Hollywood nel 2022), Nicoletta Mantovani (moglie e presidente della Fondazione Pavarotti con cui la città ha stretto un intenso legame), il regista e scenografo Pier Luigi Pizzi, da 40 anni protagonista del ROF. Un Festival che deve tanto a Pavarotti. Fu proprio lui a inaugurare il rinnovato Teatro Rossini nell’aprile del 1980 dopo 14 anni di chiusura, una ricorrenza che diede ulteriore slancio ad un progetto, quello di un festival rossiniano a Pesaro, che pochi mesi dopo vide la luce. Fu nuovamente lui, nel 1986, a incantare il pubblico del ROF con uno storico concerto in piazza del Popolo. E infine, nel 1996, fu lui a inaugurare l’attuale Vitrifrigo Arena, nella quale il Rossini Opera Festival ha allestito alcuni dei suoi ultimi maggiori successi. “Pesaro, Città creativa della Musica UNESCO e Capitale italiana della Cultura 2024 - ricordano sindaco e vicesindaco - deve tanto al Maestro che qui ha intrecciato legami umani, solidali e creativi. Soprattutto nella sua villa immersa ne ‘La natura della cultura’ che ha plasmato Pesaro 2024. Una città che, per il Maestro era ‘il luogo della felicità’ e residenza creativa in cui produceva il suo canto capace di emozionare il pubblico dei teatri di tutto il mondo”. L’opera è stata collocata in piazzale Lazzarini, all'intersezione con via Curiel, “affinché possa salutare e accogliere con la sua presenza, pesaresi e visitatori che arrivando da via Branca imboccano il piazzale, quasi per invitarli a Teatro” aggiungono Ricci e Vimini. E proprio il Rossini ha accolto, dopo la cerimonia della statua, alle ore 21, la consegna dei Pesaro Music Awards 2024, premio ideato dall'Orchestra Sinfonica Rossini, in collaborazione con il Comune di Pesaro e il sostegno di OSR Xanitalia “per quelle personalità eccellenti nel settore musicale, che hanno o hanno avuto contatti e legami con la città di Pesaro”. A ricevere il riconoscimento, nella quinta edizione degli Awards, saranno: Pier Luigi Pizzi, regista, scenografo, costumista, direttore artistico e scrittore legato a Pesaro – che gli ha assegnato la cittadinanza onoraria nel 2022 - da numerosissimi allestimenti curati per il Rossini Opera Festival; ItaliaFestival, l’associazione multidisciplinare formata che oggi rappresenta 43 festival italiani e 4 reti di festival, che operano nell’ambito musicale, teatrale, delle arti performative e della danza, della letteratura; il “tenore per eccellenza”, a ritirare il premio è stata la moglie Nicoletta Mantovani, presidente della Fondazione Luciano Pavarotti. La cerimonia è stata inserita all’interno del concerto dell’Orchestra Sinfonica G. Rossini, guidata dal direttore residente, M° Noris Borgogelli. Il programma musicale prevedeva un omaggio a Giacomo Puccini, di cui nel 2024 ricorre il centesimo anniversario dalla morte. BIOGRAFIA ALBANO POLI Albano Poli nasce a Verona il 2 agosto 1935. Terminati gli studi presso la scuola d’arte di Verona inizia l’attività di vetratista in una piccola bottega d’arte in un prestigioso palazzo storico in centro a Verona. Dapprima restaura o riproduce vetrate di chiese e via via negli anni, unendo l’abilità manuale al genio creativo, disegna e progetta vetrate con un proprio stile. Più che le forme definite, nelle sue vetrate giocano le composizioni cromatiche ed il cenno allusivo a voler comunicare un preciso messaggio inserendosi armoniosamente nel contesto in cui vengono collocate. La creatività del Maestro Poli lo porta presto a sperimentare espressioni artistiche nuove circondandosi di professionisti e artigiani che assieme a lui crescono con la stessa sensibilità. Il suo laboratorio PROGETTO ARTE POLI è oggi un atelier ispirato alle antiche botteghe rinascimentali dove si progettano e creano opere diverse: non solo vetrate ma anche mosaici, affreschi, opere in bronzo, legno, pietra e metallo. Ognuna di esse si può dire sia l’esito di una sintesi tra l’artista e l’artigiano che in lui si ritrovano. La sua è un’arte in cui creatività, idea, ricerca e antica tecnica convivono in una perfetta simbiosi dove ogni elemento si intreccia con l’altro per trarne nuova energia vitale. Nella sua lunga carriera Albano Poli non ha però mai abbandonato l’attività di restauro. Anche in questo campo Albano Poli non si “limita” e approfondisce tecniche e metodi acquisendo esperienza per affrontare interventi su opere diverse e che gli ha permesso di ottenere la certificazione S.O.A. nelle categorie OS2, OG2, OS6.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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carmenvicinanza · 7 months
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Lotte Pritzel
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Lotte Pritzel è l’artista passata alla storia per le sue bambole che rappresentavano personaggi famosi, ballerine, figure esotiche e androgine.
Lotte è il diminutivo di Charlotte Pritzel, nata a Breslavia, in Polonia, il 30 gennaio 1887. Appena diciottenne si era trasferita a Monaco per studiare arte. Viveva a Schwabing, quartiere a ridosso dell’accademia e dell’università, dove ebbe modo di frequentare importanti esponenti dell’avanguardia artistica e intellettuale internazionale.
Intorno al 1908 ha iniziato a creare le sue bambole concepite come elementi decorativi e oggetti d’arredamento, denominate Puppen für die Vitrinen. 
Dopo pochi anni erano già sulle riviste d’arte e nel 1913 furono in mostra all’Esposizione universale e internazionale di Gand e vendute a caro prezzo nel negozio Hohenzollern Friedmann & Weber a Berlino.
Erano molto amate anche dal pittore espressionista Egon Schiele che gliene commissionò una serie ancora conservata nella sua fondazione.
Lotte Pritzel divenne ben presto una figura nota nel circolo di artisti bohémien che si incontravano in famosi caffè della capitale.
Famosa per il suo spirito arguto, venne celebrata su riviste e in scritti famosi, il poeta Jakob van Hoddis le dedicò la poesia Indianisch Lied.
Tra il 1910 e il 1927 la rivista Deutsche Kunst und Dekoration pubblicò sette articoli corredati da illustrazioni delle sue opere, che hanno permesso di seguire l’evoluzione del suo stile, sia nella forma che nelle strategie di presentazione delle bambole.
Rainer Maria Rilke, il celebre poeta boemo, su queste piccole opere d’arte scrisse un saggio nel 1921.
Le sue creazioni trovarono mercato anche negli Stati Uniti. 
Inizialmente flessibili e fatte di cera, vennero successivamente decorate con garze, pizzi, perle di vetro e frammenti di broccato.Le sue bambole non sono mai state ideate come giocattoli per l’infanzia, i corpi quasi scheletrici, i volti truccati, i costumi sfarzosi, l’uso di gioielli e parrucche, le pose sensuali, il genere sessuale spesso indefinito, si ponevano agli antipodi del modello tradizionale destinato ai giochi.
Rappresentavano danzatrici, amanti malinconici, cortigiane, donne di diverse etnie, misteriosi personaggi della commedia dell’arte, madonne, angeli con fisionomie androgine, sovente in scenari orientaleggianti.
Una relazione affascinante si stabilì tra questi oggetti, il cinema e la danza espressionista che ne venne ispirata in famose coreografie. 
Annoverate nella categoria delle Kultur Doll, all’inizio venivano illustrate insieme come un gruppo di tableau vivant dall’alta connotazione teatrale, successivamente vennero fissate su piedistalli, sempre più elaborati, che sembravano alludere al loro status di scultura, di arte autonoma che rappresentava star del cinema muto e manichini surrealisti, accentuando la loro artificialità.Lotte Pritzel ha lavorato come costumista e scenografa in diversi teatri di Monaco e Berlino. 
Nel 1923 era talmente popolare che le venne dedicato un film documentario dal titolo Die Pritzel-Puppe, diretto da Ulrich Kayser, in cui veniva ripresa nel suo studio mentre era immersa nelle sue creazioni.
Con l’avvento del nazismo la situazione cambiò notevolmente e le divenne sempre più difficile esporre in pubblico e vendere il suo lavoro: le sue bambole androgine e languidamente erotiche mal si conformavano con i corpi idealizzati promossi dalla politica culturale nazista.
Lotte Pritzel è morta il 17 febbraio 1952, a causa di un ictus, aveva 65 anni.
Dopo decenni di oblio è stata riscoperta negli anni ottanta, in seguito all’interesse maturato per le bambole nell’ambiente bohémien di Monaco degli inizi del ventesimo secolo.
Nel 1987, in occasione del suo centesimo compleanno, a Monaco le è stata dedicata una personale dal titolo Lotte Pritzel. Bambole di vizio, di orrore e di estasi.
Sono state identificate più di duecento sue opere, in gran parte conservate in collezioni private e pubbliche.
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I Palazzi del potere di Pescara :
Provincia e Comune
I Palazzi del potere sorsero sul fiume Pescara ma sulle sponde di Castellammare.
Nel 1927 nacque la Provincia Pescara il nome venne dato da Gabriele D'Annunzio al posto di Castellamare.
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Il Palazzo della Provincia o Palazzo del Governo è di epoca fascista infatti molti sono i rimandi al Fascismo a partire dalla pianta stessa dell'edificio a forma di M (Mussolini), ma anche al suo interno troviamo alcuni riferimenti come l'aquila nella Sala dei Marmi.
Sulla facciaccia bianca del Palazzo del Governo vi sono 4 bassorilievi che rappresentano le risorse del territorio pescarese: la miniera, l'agricoltura, il mare e il fiume.
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Palazzi del potere vennero riempiti di opere d'arte tra cui le opere del Cenacolo Michettiano
Nell’atrio della Sala dei Marmi è conservata una scultura di Costantino Barbella intitolata “il canto d’Amore” che raffigura tre fanciulle abruzzesi, in abiti tradizionali con indosso gioielli tipici come la presentosa degli innamorati, che rientrano dalla campagna e cantano la loro giovinezza guardando il sole al tramonto.
Lungo le pareti laterali prima di varcare la porta d'ingresso della Sala dei Marmi su delle formelle in ceramica a rilievo sono raffigurati gli stemmi dei comuni della provincia di Pescara.
Su un'altra parete vi è lo stemma dorato col motto provinciale "SIBI VALET ET VIVIT"
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All’interno del salone del Consiglio del Palazzo del Governo è conservato il noto dipinto di Francesco Paolo Michetti “la figlia di Iorio” .
L'ispirazione di Michetti per realizzare questo dipinto deriva da un viaggio dello stesso con l'amico D'Annunzio a Tocco da Casauria quando videro una scena di molestia ad una ragazza (bisogna tener presente che in quell'epoca molestare le ragazze era vista quasi come un'usanza).
Del dipinto Michetti fece tre edizioni
"La figlia di Jorio" invece è un'opera teatrale tragica scritta da Gabriele D'Annunzio basandosi sullo stesso ricordo del viaggio fatto con Michetti che ha ispirato il dipinto.
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Descrizione del dipinto:
Bisogna premettere che Michetti era appassionato di fotografia tanto da farla diventare una forma d'arte infatti al posto dei bozzetti o schizzi lui per realizzare quest'opera utilizzò delle fotografie da lui stesso scattate e questo è un aspetto molto importante e innovativo del dipinto "la figlia di Iorio".
Infatti il quadro si presenta come una composizione di storia vissuta e reale, quindi una rappresentazione iperrealistica.
Prima di tutto la figura principale (la ragazza) non è al centro della scena proprio come se fosse una foto scattata mentre ella camminava.
Inoltre proprio come in una foto in cui non si può mettere a fuoco tutta la scena è rappresentata una figura mozza di capo (era il massaro o padrone) e un'altra al suo fianco di cui si vede solo metà corpo come se non entrasse nell'inquadratura della fotocamera.
Passando sullo sfondo che è il vero padrone della scena imponendosi sulle figure umane rendendole piccole (come metafora della vita e dei problemi degli uomini rispetto all'imponenza della natura) viene rappresentata la Majella in primavera vista da Orsogna.
La descrizione della scena:
Viene rappresentata quella scena di molestia a cui Michetti aveva assistito tempo prima con D'Annunzio a Tocco da Casauria infatti ci sono degli uomini che sono intenti a deridere e beffeggiare questa ragazza che scappa a passo svelto e prende il mantello per coprirsi.
Osservando meglio queste figure maschili scopriamo esserci due anziani che raffigurano entrambi la stessa persona ( Paolo de Cecco) e tre giovani.
Il primo anziano più vicino alla figura della ragazza è quello che sembra deriderla di più mentre il secondo anziano (la figura al centro) sembra fare con la mano il gesto di smetterla, mentre i giovani sembrano avere uno sguardo rapito dalla bellezza della ragazza continuando comunque a deriderla.
La musa ispiratrice della figura femminile:
La figlia di Iorio (diminutivo in dialetto di Gregorio) è ispirata da una bambina di Orsogna di nome Giuditta Saraceni.
I colori:
Un colore che risalta è sicuramente quello dell'abito della ragazza. Il colore rosso del mantello simboleggia le donne sposate (il che è ben diverso rispetto all'età della musa ispiratrice Giuditta Saraceni).
Inoltre il colore rosso dà l'idea di un'aria torbida.
Ma in origine quando venne dipinto questo quadro i colori erano vivacissimi e nuovi infatti Michetti stesso li aveva creati, purtroppo però questo esperimento ha comportato che con il tempo sono diventati opachi.
Inoltre la tecnica di pittura è a rilievo ma questo ha comportato che con il tempo le pennellate si sono sgranate.
Oggi a seguito di interventi di restauro con le nuove tecnologie si è riusciti a fissare il più possibile la pittura alla tela.
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Sala dei Marmi:
All'interno della Sale dei Marmi vi sono due dipinti che rappresentano uno la fortezza di Pescara e la nascita della Provincia e l'altro l'arte della Provincia.
Inoltre nella stanza sono presenti diversi busti tra cui uno raffigurante il primo Presidente della Provincia di Pescara leninista e altri che ritraggono D'Annunzio, Michetti, Tarantino e Vincenzo Montale
Ora usciamo dal Palazzo del Governo ed entriamo nel Palazzo del Comune di Pescara
Entrando nella Sala consiliare, che è la stanza più importante della città di Pescara, si possono ammirare un busto di D'Annunzio e una scultura che ritrae una figura molto particolare di Pescara, si tratta di Grazia Masciarelli detta la marinara o anche la maschia femmn. Questo soggetto era propietario di uno dei primi stabilimenti balneari di Pescara ed era un uomo in tutto e per tutto ma iniziò durante la Seconda Guerra Mondiale per poter fuggire e poi continuò per tutta la vita ad assumere comportamenti affemminati.
L'aspetto che deve far riflettere, ed è per questo che viene esposto il suo ritratto sottoforma di scultura nella sala consiliare del Comune, è che un soggetto così particolare e diverso veniva considerato da tutta la città come un vanto di cui andarne orgogliosi, infatti non era discriminato dalla società.
Se invece spostiamo lo sguardo all'insù possiamo notare un ciclo pittorico quasi inquietante dipinto da Luigi Baldacci.
- La nascita di Pescara
- San Cetteo che viene buttato nel fiume
- Lo Sforza che cade nel fiume
- I martiri dell'indipendenza
- Lo stemma di Pescara come da lui rivisitato - - D'Annunzio
- La distruzione della guerra
- Il futuro Pescara domani
C'è una legenda legata a questi dipinti : c'è uno spirito benevole (che protegge Pescara) racchiuso all'interno dei dipinti ma non a patto che i dipinti non vengano tolti dalla sala consiliare altrimenti lo spirito diventa malvagio e vendicativo e questo è ciò che è accaduto realmente come testimoniò lo stesso pittore Baldacci.
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Prima di percorrere la scalinata per uscire dal comune possiamo ammirare il bozzetto della Nave di Cascella che è una fontana
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Caratteristiche dell'opera sono la rappresentazione dell'abbrivo delle onde della barca che arriva
Infatti viene appresentata una nave che sta arrivando e che porta dei simboli che rappresentano le arti e le scienze. E in effetti l'idea sottostante all'opera è considerare Pescara una città che accoglie i giovani che portano ognuno il proprio talento.
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museoweb · 3 years
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The Spectacular Art of Jean-Léon Gérôme 
Getty Center Los Angeles 15 Giugno - 12 Settembre 2010
Museo d’Orsay Parigi 19 Ottobre 2010 - 23 Gennaio 2011
Museo Thyssen Bornemisza Madrid 1 Marzo - 22 Maggio 2011
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Gérôme è oggi considerato uno dei più grandi creatori di immagini del XIX secolo. La mostra offre l’opportunità di vedere diversi aspetti del suo lavoro: il suo posto nella pittura francese del suo tempo, la sua interpretazione teatrale della pittura storica, il suo complesso rapporto con l’esoticismo e il suo della policromia nella scultura.
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artcademy · 4 years
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Cappella degli Scrovegni - Giotto - 1300ca.
La capacità di concentrarsi nella caratterizzazione fisica e psicologica dei personaggi rappresenta una delle innovazioni più straordinarie della pittura di Giotto. Appare particolarmente evidente negli affreschi della Cappella degli Scrovegni a Padova, la cui complessa rappresentazione occuperà l’artista dal 1303 al 1305.
Il ciclo di affreschi viene commissionato da Enrico Scrovegni, la sua decisione di costruire una cappella di famiglia e di farla affrescare da uno degli artisti di maggior prestigio del momento è attribuita alla volontà di voler riparare ai peccati di usura commessi dal padre Reginaldo; studi approfonditi trovano motivazioni più complesse ed economiche. Grazie a questa cappella Enrico riesce a dare prova tangibile di potere e ricchezza a tutta la città. Questo gli permette di ampliare la sua rete di relazioni e prestigio personale.
La piccola costruzione era dedicata in origine a Santa Maria della Carità e a quel tempo si chiamava anche dell’Annunziata all’Arena.
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Gli affreschi
La cappella, forse progettata dallo stesso Giotto, ha una struttura molto semplice. Presenta un’unica navata coperta con volta a botte e illuminata da sei monofore, terminanti con archi a tutto sesto poste sul lato destro. Il modesto portale è sormontato da una trifora gotica di gusto toscano a sua volta inserita in un arco a tutto sesto.
L’artista affresca le due pareti laterali e l’arco trionfale della cappella con storie tratte dalle Vite di San Gioacchino e Sant’Anna della Vergine e di Cristo.
La volta è dipinta di azzurro a suggerire un cielo trapunto di stelle dorate, viene decorato con dieci medaglioni raffiguranti: Gesù, Maria e vari Profeti.
Sulla controfaccia d’ingresso realizza un grandioso Giudizio Universale.
Rispetto al ciclo di Assisi che si inseriva in un complesso preesistente, quello di Padova è concepito interamente da Giotto. Questo consente all’artista di studiare con attenzione la disposizione dei propri affreschi in modo da adattarli alla struttura muraria della cappella.
Pittura e architettura si fondono armonicamente tra loro senza che la prima debba necessariamente porsi come complemento alla seconda. La pittura, dà l’impressione di voler sfondare le pareti, mentre l’architettura volutamente sobria costituisce il contenitore ideale per mettere in risalto la narrazione pittorica giottesca.
Gli affreschi si svolgono da sinistra a destra e dall’alto in basso, sono suddivisi in tre ampi registri sovrapposti. Ogni scena è separata dalla successiva da una larga cornice dipinta a motivi geometrici e dopo l’ultima scena di ogni parete la cronologia riprende dalla parete di fronte, in una sorta di ininterrotto dialogo narrativo speculare.
Nella parete destra le cornici dipinte che dividono le varie scene fungono anche da realistica inquadratura per le sei monofore che insieme alla trifora della facciata sono le uniche fonti di illuminazione della cappella. Alla base del registro inferiore, lungo tutto il perimetro interno della costruzione, corre uno zoccolo dipinto ove le raffigurazioni allegoriche delle sette Virtù (a destra) e dei sette Vizi Capitali (a sinistra) realizzate in monocromia si alternano a zone affrescate in modo da imitare un rivestimento marmoreo secondo il gusto dell’antica pittura romana a incrostazione.
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Il giudizio universale
DATI: Affresco, 1000×840 cm
Questa grandiosa rappresentazione, attribuibile direttamente a Giotto, è estremamente indicativa della nuova concezione che il maestro ha dell’arte. Essa nonostante il soggetto sia di pura fantasia, non tende più a raffigurare qualcosa di estraneo alla realtà quotidiana ma, al contrario, ne utilizza molti elementi, con il risultato di accrescere il realismo complessivo della scena.
È interessante notare come il committente, inginocchiato in basso al centro, ai piedi della croce della Passione, venga di fatto rappresentato come facesse parte della narrazione stessa dell’affresco. Sopra di lui, in una mandorla con i colori dell’arcobaleno, circondata da dodici angeli, giganteggia la figura di Cristo giudice, seduto su un trono di nuvole fra le schiere celesti degli angeli, dei santi e dei beati.
Alla sua destra gli eletti iniziano la loro gioiosa ascesa verso il regno dei cieli, mentre alla sua sinistra i dannati vengono sprofondati negli orrori dell’inferno. In questo modo la presenza di un personaggio reale come lo Scrovegni e quella di invenzione del Giudizio Universale, finiscono per avere la stessa importanza agli occhi di chi osserva.
Il modello della cappella dà all’insieme un’ulteriore nota di concretezza e di quotidianità. L’edificio in muratura, infatti, è rappresentato prospetticamente in modo fedele.
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L’incontro a Porta Aurea
DATI: Affresco, 200×185 cm
In questo affresco, che pure è uno dei primi del ciclo, sono già presenti tutti gli elementi caratteristici della grande pittura giottesca. In esso vengono rappresentati Anna e Gioacchino, futuri genitori della Vergine Maria, che si sarebbero dovuti incontrare proprio sotto la Porta Aurea, uno dei luoghi-simbolo di Gerusalemme.
La narrazione si svolge da sinistra verso destra. Il giovane pastore che accompagna Gioacchino, all’estremo margine sinistro, è per metà fuori dal dipinto stesso, come se Giotto volesse farci capire che ciò che rappresenta non è che un piccolo frammento di una realtà sempre più vasta e complessa. Il senso di questa realtà, può essere colto sia nella serena tenerezza con la quale i due personaggi principali si abbracciano, baciandosi castamente sulla bocca, sia nell’emozione delle donne. I corpi di San Gioacchino e di Sant’Anna sono descritti con vigore e decisione. Anche le due aureole splendenti d’oro che si fondono in una sola contribuiscono a sottolineare il senso di indissolubilità del vincolo che lega i due personaggi.
Tra le donne in lontananza che avevano accompagnato Anna all’incontro notiamo in particolare quella avvolta nel mantello nero. È una figura densa di mistero, probabile personificazione della vedovanza, della quale Giotto ci mostra solo uno spicchio di volto e due dita di una mano. Nonostante ciò essa riempie di sé tutto il dipinto, ponendosi come ideale punto di stacco tra gli altri personaggi opposti.
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Annuncio a Sant’Anna
DATI: Affresco, 200×185 cm
La scena, straordinariamente innovativa, raffigura Sant’Anna, in ginocchio al centro della propria abitazione, nel momento in cui l’angelo di Dio le annuncia che diventerà madre di Maria.
L’invenzione giottesca sta soprattutto nel trattare l’architettura della casa di Anna come una meravigliosa scatola prospettica che ci consente di osservarne l’interno.
La profondità spaziale è suggerita dai mobili, disposti fra loro perpendicolarmente e dalla cassettonatura del soffitto.
A sinistra l’ancella è intenta al suo lavoro, serena e inconsapevole.
A destra, al contrario, l’angelo irrompe con impeto attraverso la piccola finestra, protendendo la mano destra a ribadire la solennità dell’annuncio. A fronte del concreto realismo degli oggetti, Giotto attribuisce all’angelo caratteristiche assolutamente soprannaturali. L’artista non rappresenta la parte del corpo rimasta all’esterno, che in base alla collocazione prospettica, avrebbe dovuto essere ben visibile.
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Il bacio di Giuda
DATI: Affresco, 200×185 cm
Realizzato nel terzo quadro del registro inferiore della parete di destra, mostra uno dei momenti di massima maturità espressiva dell’arte di Giotto.
Al centro del dipinto Giuda bacia Cristo, avvolgendolo in un abbraccio che fa delle due figure un unico solidissimo blocco, che l’ampio mantello giallo dell’Apostolo traditore panneggia con compostezza solenne. Attorno ai protagonisti, si agita la folla tumultuosa delle guardie (sulla destra) e quella degli Apostoli (sulla sinistra).
Anche in assenza di qualsiasi riferimento paesaggistico o architettonico il senso della profondità spaziale è suggerito in modo straordinariamente realistico dal convulso agitarsi di lance e alabarde che si stagliano nitidamente contro l’azzurro intenso di un cielo già notturno.
I corpi dei personaggi minori sono realizzati in modo massicciamente compatto e anche la scelta dei colori delle vesti, alternativamente caldi e freddi, contribuisce a evidenziare la maestosa solidità fisica delle figure.
La posizione frontale, tipica di tutti i dipinti di tradizione gotica e bizantina, presuppone che le scene siano composte appositamente per essere guardate, come su di un palcoscenico teatrale. In Giotto, al contrario, i personaggi appaiono sempre intenti all’azione e incuranti degli eventuali spettatori, tanto che possono tranquillamente permettersi non solo di non guardarli direttamente, ma anche di voltare le spalle. I personaggi visti da dietro sono un espediente per coinvolgere lo spettatore nell’azione.
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La Carità (Kàritas)
DATI: Affresco, 120×60 cm
Nello zoccolo monocromo con le allegorie delle sette Virtù e dei sette Vizi Capitali, il grande pittore fiorentino si cimenta nel simulare una ricca fascia decorativa in marmi policromi e di rendere, con il chiaroscuro, il senso del rilievo e del volume tipico di una scultura a tutto tondo.
Si tratta di una prova di abilità straordinaria, per realizzare la quale Giotto ha studiato i marmi antichi (a Roma) e quelli bizantini. Nella celebre allegoria della Carità (Karitas) l’artista rappresenta una statua in marmo bianco, riuscendo a dare l’illusione concreta della terza dimensione.
I modelli di riferimento sono probabilmente ripresi dalle sculture di Giovanni Pisano.
Il personaggio veste i panni di una fanciulla che regge con la mano destra un cestino, simbolo dei frutti che la terra dona in tutte le stagioni; con la sinistra, offre sorridente il proprio cuore a Gesù. La rappresentazione della statua è all’interno di una nicchia in prospettiva, anticipando il senso dello spazio rinascimentale.
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Coretti
DATI: Affresco
Dove il gioco prospettico si fa più raffinato e ardito è nei due cosiddetti coretti posti ai lati dell’arco trionfale subito sopra lo zoccolo perimetrale dipinto a finto marmo.
Essi sono inquadrati attraverso due archi a sesto acuto e simulano la presenza di due ulteriori locali retrostanti coperti con volte a crociera e illuminati grazie a esili bifore.
Dal centro delle crociere dei coretti, infine, pendono due lampadari cilindrici in ferro battuto, che aiutano ad accrescere l’illusione della profondità spaziale.
La prospettiva giottesca libera i personaggi, le architetture e gli oggetti dall’immobile astrattezza della tradizione pittorica gotico-bizantina, cercando di proiettarli in una dimensione più vicina alla realtà quotidiana.
È per questo motivo che le narrazioni bibliche della cappella sono così cariche di spontaneità ed efficacia, come se quegli antichissimi avvenimenti si stessero svolgendo sotto i nostri occhi.
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ferrugnonudo · 4 years
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Qui a casa mia c’è una vetta che alcuni sostengono ricordare una scultura piuttosto famosa di Michelangelo. Quando me ne hanno parlato non l’ho subito vista, ma dopo un po’ anche il mio occhio blasfemo ha iniziato a riconoscere l’immagine sacra.
La scorsa notte, la scultura si è animata. E’ entrata in un mio sogno trasformando la veduta di casa mia in un ampio balcone oltre il quale, scura come se fosse stata immersa nel catrame e lasciata in ammollo per un bel po’, stava lì col suo sguardo fisso e vitreo ad osservarmi. E’ un’idea del Sindaco, mi dice qualcuno. Ha deciso di fare, non si capisce per celebrare cosa, questa performance con una macchina teatrale che riproduca animandola la scultura di Michelangelo.  
E così è andata. La santa, tutta nera, si muove avanti e indietro come se qualcuno l’avesse piazzata su un carrello, dalla sua montagna alla mia terrazza, fino ad una distanza tale da avere il suo faccione scuro completamente inquadrato in un primissimo piano nella finestra di casa.
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michelangelob · 1 year
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La Scultura del giorno: Apollo e Dafne del Bernini
La scultura del giorno che vi propongo oggi è il gruppo di Apollo e Dafne, capolavoro realizzato da Gian Lorenzo Bernini nel 1625, a 27 anni. E’ un’opera straordinaria che affascina e cattura lo sguardo di ogni spettatore. Sembra che i due personaggi scolpiti stiano mettendo in scena un soggetto teatrale ed è tangibile il perfetto bilanciamento dei due protagonisti in movimento. Il mantello di…
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gianlucamarziani · 5 years
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SHI LIANG - Visionarea - Roma
VANITAS
Gianluca Marziani
La Vanitas nelle arti visive indica una natura morta che riflette, attraverso elementi simbolici, sulla caducità della vita umana. Un tema nato nel Seicento su cui gli artisti, decennio dopo decennio, hanno ideato soluzioni filologiche ma gradualmente più eterogenee. In origine era la sola pittura a parlare di vanitas, finché nel Novecento il clima innovativo ha coinvolto l’intero scibile linguistico, modulando nuove relazioni tra oggetti vissuti e tema estetico. Per Shi Liang la vanitas funziona da filo rosso lungo molte sue creazioni, una specie di ragione profonda che guida l’osservazione sensibile sul mondo. Quel filo cuce assieme le raccolte di oggetti più o meno antichi, più o meno consumati dal tempo e dall’uso, oggetti con una valenza allegorica che li trasforma in una presenza metafisica, oltre lo spazio della loro vita, oltre il tempo della loro memoria.  
Su una grande parete si dispongono centinaia di antiche panche cinesi, una sequenza postminimalista in cui la memoria dell’oggetto funzionale rielabora la formula barocca della natura morta. Quei pezzi in ordinato accumulo, simili eppure diversi tra loro, tessono una trama di evocazioni ambivalenti, come un’orchestra muta in cui la ripetizione mantiene unicità e scrive un canto metafisico attorno al controcanto della vanitas. L’installazione, imponente eppure lieve, potrebbe essere il manifesto poetico del modus concettuale di Shi Liang. Contiene i termini del suo approccio iconografico, il suo assumersi l’onere dello spazio e il peso del substrato invisibile. E’ un ideale che assimila il reale e lo riporta, dopo l’azione d’assemblaggio, ad uno status di sospensione universale.
Shi Liang incarna un solido percorso tra teoria e pratica del fare arte, un approccio che trasforma l’opera in un denso agglomerato dai contenuti aperti. La matrice d’ingaggio lavora sul bagaglio antropologico, ricercando oggetti e materiali che hanno assorbito le azioni del vivere, il peso dell’esperienza, la ragione del pensiero saggio. Il suo riuso dell’esistente, debitore del modello Fluxus, scava nell’artigianato storico cinese, nei legni con le rughe profonde del tempo, nelle pelli ancora profumate, nella carta dai calligrafismi antichi... I colori sono quelli della memoria, come in un bosco autunnale dai marroni decisi, dai gialli pastosi, dai toni del miele e del sole dopo un temporale; gli odori conservano il valore dell’esperienza, un’eco proustiana di memorie scivolose ma persistenti; le forme rappresentano archetipi di vita quotidiana, brandelli domestici con cui il nostro sguardo familiarizza senza fatica, ritrovando le basi di un umanesimo necessario.
L’artista entra nel cuore arcaico della Cina, tra i riti collettivi delle abitudini comunitarie, dove gli oggetti domestici racchiudono il senso del vivere e la sensualità del fare. Il suo è un feticismo antropologico, un rituale di ricerca ossessiva e di riuso metodico degli oggetti collezionati, affinché la forma di partenza si trasformi in un climax fluido del presente.
Il vissuto dell’opera è dilatato, disteso nel tempo verticale della vita che incrocia il tempo orizzontale della storia artistica. Shi Liang assimila il rito del vivere e lo metabolizza con le membrane di certa arte italiana, in particolare con le matrici del Seicento che incarnano i suoi ideali di rinascita figurativa. Sono evidenti le vie caravaggesche, un certo rapporto con la luce concentrata, il movimento ascensionale, la gestione dello spazio oscuro; lo stesso tema della vanitas è la riprova di un denso dialogo tra la Cina e l’Italia sul piano della memoria condivisa. Che significa concentrarsi oltre il rumore del mondo, lontani quanto basta dal bagliore capitalista, a debita distanza dal troppo presente. Il nostro artista rallenta e ferma l’occhio iconologico, a metà tra il personale bagaglio di conoscenza e un continuo confronto con la cultura occidentale. L’esperanto di un mondo nuovo passa per esperienze di questa natura, per un’attitudine al flusso informativo e cognitivo, per il coraggio di sostenere dialoghi comunitari. Se vogliamo una civiltà del futuro, dobbiamo alimentare le comunanze e le armonie dell’incontro.  
Shi Liang ci racconta una Cina tra passato millenario e futuro accelerativo, dove la fermata del tempo diviene sosta nello spazio metafisico. La sua arte ragiona in maniera bifronte, affrontando i nodi morali del presente con un’evocazione teatrale che riafferma le radici collettive. L’autore mappa l’attualità con oggetti densi, carichi di memoria, per creare confidenza col passato e fare un passo metodico dentro il nuovo, senza che il presente ricada nel virtuosismo tecnologico. Il messaggio arriva attraverso oggetti solidi, piantati al suolo del tempo, ma con lo sguardo verso l’orizzonte dei nuovi eventi. L’artista è il demiurgo della forma, un alchimista di materie naturali come il legno, la carta e la pelle. Trasforma gli oggetti senza disperderne i connotati d’origine, al contrario disegnando messaggi metaforici ma non criptici, complessi ma semplificati nel loro sistema semantico. Shi Liang parla di un mondo sinestetico, ricco di riferimenti alla grande arte italiana, modulato su alte dimensioni morali. Un universo intimo eppure inclusivo, un intreccio di raffinate allegorie con l’Umano al centro e la Memoria come radice necessaria per costruire le ragioni di un Dialogo. 
Al riuso di oggetti reali si aggiungono gli interventi pittorici sui materiali vissuti. Un trittico racconta la frenologia metaforica della Vanitas, riflessione colta dai colori caravaggeschi e dai toni shakesperiani. Un altro lavoro, composto da sei elementi in legno, unisce altrettanti ritratti dalla suspense drammaturgica, volti familiari dal background inquieto, storie di vita che riaffermano il tema eterno della libertà individuale. 
Altre volte il riuso crea un cortocircuito tra pittura e scultura. Come nelle nature volumetriche che evocano Giorgio Morandi, il maestro contemporaneo della natura morta, colui che ha portato la metafisica di Piero della Francesca nel silenzio monocromo del design anonimo. Shi Liang coglie il valore metafisico di Morandi, la sua sospensione ascetica, l’energia degli archetipi condivisi. Sente forte l’influenza del maestro italiano e cerca di usarlo in maniera filtrata, metabolizzando la lezione su nuovi impianti figurativi. Avviene così anche negli altri richiami ad artisti fondamentali, come quando sentiamo echi di Jannis Kounellis e Fabio Mauri, Maria Lai e Salvatore Scarpitta, Piero Manzoni e Mario Merz. Tutti artisti che agivano sul nomadismo dei materiali, sulla densità drammaturgica del riuso consapevole e “politico”. Lezioni incrociate che Shi Liang ha fatto sue con modestia, generosità e rispetto, doti rare ma determinanti per capire le ragioni di un dialogo e le emozioni della consapevolezza profonda.    
Se scorriamo lungo i lavori in catalogo, vediamo un costante equilibrio tra le forme d’origine e il loro percorso metabolico. Scopriamo volumi dalle geometrie simboliche, dal rigore centripeto, dalla memoria prospettica. Pitture, installazioni e sculture che ragionano lungo un tempo dilatato, teso tra Natura e Cultura, bellezza e crudeltà, ideale e reale. Opere che si trasformano in scritture plastiche dai movimenti spirituali, simili a dervisci che girano attorno ad un centro ideale, pura velocità da fermi per diventare astronauti delle galassie filosofiche.
Lo sguardo scivola verso una piccola scultura dalle ali simboliche, sorta di custode ambiguo che ci osserva ieratico, come uno Yoda destinato alla nostra disciplina morale. E’ un guardiano metaforico sulla soglia, chissà se buono o cattivo maestro, sicuramente una calamita cosmica tra le opere che avvolgono lo spettatore di Visionarea. Ancora una volta, Roma si avvicina a mondi lontani per sperimentare il linguaggio della sinestesia.   
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