#sciopero politico
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No di UGL e CISL allo sciopero (politico) del 29 novembre
“La contrapposizione ideologica, i veti pregiudiziali e l`incitamento alla rivolta sociale danneggiano l`azione sindacale e dividono il Paese. La demagogia e la strumentalizzazione delle lotte sindacali ledono in primo luogo gli interessi dei lavoratori.” Così afferma in una nota Paolo Capone, segretario generale dell`Ugl, in merito al dibattito relativo allo sciopero indetto da Cgil e Uil per…
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Se vi dicessi che l’isteria climatica ha avuto inizio con la Thatcher, ci credereste?
Al culmine del raffreddamento degli anni ’70 l’idea del riscaldamento globale provocato dall’uomo, sembravano assurde. Ma poi le temperature cominciarono a salire. E, soprattutto, i minatori inglesi entrarono in sciopero. Per Margareth Thatcher l’energia era un problema politico.
La crisi dei primi anni ’70 aveva gettato il mondo in una recessione, e i minatori avevano fatto cadere il governo conservatore Ted Heat. La Thatcher era determinata a far sì che ciò non le accadesse dicendo: “In questo paese è nata una minoranza rivoluzionaria organizzata, pronta a sfruttare questioni industriali ma con il vero scopo di abbattere l’ordine legale e il governo democraticamente eletto.” La politicizzazione della questione energetica iniziò in questo modo.
La Lady era molto intenzionata a promuovere l’energia nucleare prima che si ponesse la questione del riscaldamento globale, perché era preoccupata della sicurezza energetica e non si fidava del Medio Oriente e dei sindacati dei minatori. Quindi non si fidava del petrolio né del carbone. Quando uscì fuori il tema del riscaldamento globale, disse: “Bene, ecco un altro motivo per investire sul nucleare, che non ha emissioni di CO2” Poi andò alla Royal Society e disse agli scienziati: “noi vi diamo i soldi e voi dovete dimostrare questa roba” E le cose andarono in quel modo.
Nel momento in cui i politici mettono il proprio peso su qualcosa e vi legano il loro nome, cominciano ad arrivare i soldi. Così fu. E così ricerca, sviluppo, istituzioni cominciarono a spuntare fuori per studiare il clima ma, con particolare enfasi sul rapporto tra CO2 e temperatura. Su richiesta della Thatcher l’ufficio meteorologico inglese mise un’unità che studiava il clima per modelli che fornì le basi per un nuovo comitato internazionale, l’IPCC. Questo uscì con un primo rapporto che prevedeva disastri climatici a seguito del riscaldamento globale.
Il documento colpiva per due aspetti: 1) la semplicità e l’eloquenza del messaggio 2) il totale disprezzo di tutta la scienza climatica fino ad allora. Il Sole, che era stato oggetto di un grande incontro pochi mesi prima alla Royal Society, veniva completamente trascurato. Ma l’enfasi sulla CO2 prodotta dall’uomo come possibile problema ambientale non piaceva solo alla Thatcher. Era qualcosa che attraeva molto gli ambientalisti di allora, quello che predicava il ritorno a un mondo passato senza auto e macchinari.
Costoro se ne innamorarono perché per loro la CO2 era il simbolo dell’industrializzazione e della crescita economica. E nel movimento ambientalista ci sono forze che sono semplicemente contro la crescita economica. Lo spostamento come tema centrale verso il clima, del movimento ambientalista, avvenne per due motivi diversi: verso la metà degli anni ’80 la maggioranza delle persone era ormai d’accordo con tutte le cose che il movimento proponeva. In questo modo era difficile essere ancora provocatori.
L’unico modo per rimanere anti-establishment era quello di adottare posizioni sempre più estreme. L’altra ragione per cui emerse l’estremismo ambientalista, fu a causa del crollo del muro di Berlino, e molti pacifisti e attivisti politici si spostarono nel movimento ambientalista portando con sé le ideo neo-marxiste. Impararono ad usare il linguaggio verde in modo molto intelligente per portare avanti la loro agenda che, in effetti, aveva più a che fare con l’anticapitalismo piuttosto che con l’ecologia e la scienza.
La sinistra fu piuttosto disorientata dal fallimento del comunismo reale ma rimase anti-capitalista e dovette cercare nuove guide. All’inizio degli anni ’90 il riscaldamenti globale causato dall’uomo, era diventato una campagna politica a tutto spiano, che attraeva l’attenzione dei media e, di conseguenza fondi pubblici. Fu una alleanza stupefacente tra la Thatcher a destra e gli ambientalisti anti-capitalisti a sinistra.
Ma è così che si realizzò questa incredibile spinta verso la follia dell’allarmismo climatico.
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Il thread è tratto da una seri di interviste a scienziati e giornalisti tra cui: Richard Lindzen John Christie Phillip Stott Nigel Calder Patrick Moore
-Critica Climatica Alias Fortunato Nardelli
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https://jacobinitalia.it/berlinguer-la-grande-rinuncia/?sfnsn=scwspmo
Berlinguer, la grande rinuncia
Giulio Calella
11 Novembre 2024
Il film di Andrea Segre sul segretario comunista cede alla nostalgia e cerca di rappresentare il compromesso storico come una grande ambizione. Mentre l’eredità di quegli anni andrebbe interrogata in modo radicale
«Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona» cantava Giorgio Gaber all’indomani dello scioglimento del Pci nel 1991, elencando con ironia, e autoironia, i tic e le contraddizioni di chi per decenni in Italia si è definito «comunista».
Guardando Berlinguer. La grande ambizione, il film di Andrea Segre interpretato dallo strepitoso Elio Germano, si ha l’impressione che più di trent’anni dopo lo scioglimento del Pci, e a quarant’anni dalla morte del segretario comunista, non si riesca ancora a procedere più in là di quella rivendicazione. E che questa sia rimasta nella testa non solo dei suoi legittimi eredi (oggi maggioritariamente nel Partito democratico), ma anche di chi – come Segre e Germano – ha un’esperienza politica e una produzione culturale ben più di sinistra. «Berlinguer era una brava persona», un assunto che sembra poterne giustificare ogni scelta politica, anche quelle che hanno influenzato l’involuzione successiva della sinistra italiana.
La grande nostalgia
La beatificazione sembra il destino del segretario comunista fin dal giorno del suo enorme funerale, mostrato con le immagini d’archivio in coda al film. Andrea Segre ed Elio Germano però, in ogni presentazione della pellicola, sottolineano che il loro intento non è santificare Berlinguer ma mostrare l’attualità politica del suo messaggio.
La volontà di non cedere a un’eccessiva retorica sul personaggio è in effetti evidente, portata avanti anche a costo di fare un film meno coinvolgente di quel che avrebbe potuto essere. Gli sceneggiatori e gli attori hanno fatto una rigorosa ricerca storica, attenendosi in gran parte a discorsi e dialoghi effettivamente avvenuti e documentati, alternando anche le scene di finzione con immagini di archivio. Del resto Andrea Segre è soprattutto un bravissimo autore di documentari, e anche La grande ambizione, pur essendo fiction, procede in modo quasi documentaristico.
Va anche riconosciuto al film di Segre il coraggio di affrontare proprio gli anni in cui Berlinguer ha teorizzato e provato a praticare il «compromesso storico» con la Democrazia cristiana. Si concentra su cinque anni della sua vita, quelli che vanno dal colpo di Stato in Cile del 1973 al sequestro di Aldo Moro del 1978, senza indugiare nel racconto della sua formazione politica giovanile in Sardegna, e senza nemmeno citare gli ultimi anni della sua vita politica quando, dopo il fallimento del compromesso storico, si ritrova nel 1980 davanti ai cancelli della Fiat a fianco degli operai in sciopero per 35 giorni, o quando pone la «questione morale» alla politica italiana diventando il nemico politico numero uno di Bettino Craxi e del Partito socialista italiano. Eventi, questi ultimi, che hanno reso Berlinguer davvero amato, ma che a guardar bene ne definiscono meno la cifra e soprattutto l’eredità politica.
Il film però comunica senza dubbio una grande nostalgia. La nostalgia per un tempo che Segre e Germano non hanno mai vissuto, visto che nel 1984, quando Berlinguer morì, erano due bambini di 8 e 4 anni.
Che il sentimento nostalgico possa essere utile alla ricostruzione politica della sinistra, e non solo un esercizio consolatorio, è discutibile. È però comprensibile lo sguardo malinconico verso un tempo di grandi passioni politiche, di milioni di persone in piazza e alle Feste dell’Unità, di dirigenti con una solida formazione culturale e dei vincoli sociali incomparabili all’attuale teatrino della politica-spettacolo sganciata da qualsiasi spazio di partecipazione della società.
Il problema è che, con questa carica di nostalgia, la pellicola non riesce a sfuggire alla santificazione. Fin dalla scelta del titolo: presentare il compromesso storico come una «grande ambizione».
La grande rinuncia
«Secondo me se Andrea Segre ed Elio Germano avessero avuto vent’anni nel 1973, avrebbero odiato il compromesso storico», ha esordito in mondo provocatorio Nanni Moretti alla presentazione romana del film al Nuovo Sacher.
Il film inizia con le immagini del colpo di Stato orchestrato da Henry Kissinger in Cile con cui viene spazzato via il governo socialdemocratico di Salvador Allende che, dopo aver vinto le elezioni, stava portando avanti concrete riforme sociali. Da quel momento Berlinguer esplicita una strategia che era in realtà in elaborazione già da qualche anno: non solo non è possibile nessuna rivoluzione socialista in Italia, ma non è nemmeno pensabile nessuna alternativa politica di governo.
Nonostante le attese generate dall’enorme crescita elettorale del partito e dalle conquiste dei movimenti sociali nell’onda lunga post-Sessantotto, la via democratica al socialismo che propone Berlinguer è a dir poco tortuosa e contraddittoria: non si può governare nemmeno se una coalizione delle sinistre dovesse raggiungere il 51% dei consensi perché si rischierebbe un colpo di Stato orchestrato dagli Stati uniti e reso possibile in Italia da una potenziale alleanza tra la destra democristiana e i neofascisti. E per evitarlo bisogna accettare proprio l’ombrello statunitense della Nato e sostenere un governo guidato proprio dal massimo esponente della destra democristiana: Giulio Andreotti.
Nel film, pur di far apparire Enrico Berlinguer senza macchie, si finisce per sminuirlo nelle poche scene che non potevano essere documentate storicamente: quelle degli incontri riservati con Moro e lo stesso Andreotti. In questi colloqui Berlinguer appare un ingenuo, convinto che la sua linea sia l’unica possibile per mantenere un regime democratico in Italia, ma sostanzialmente preso in giro dai ben più scafati dirigenti democristiani che non concedono nulla in cambio della «non sfiducia» del Pci che permette al Governo Andreotti di stare in piedi. Nulla se non l’inutile presidenza della Camera a Pietro Ingrao.
Ma anche di fronte alla composizione dei ministri e alle concrete politiche di quel governo (che tra l’altro blocca il meccanismo della Scala mobile per adeguare i salari all’inflazione, abolisce ben 7 festività e aumenta l’Iva) Berlinguer persevera nella linea del compromesso. Bisogna rinunciare non solo al socialismo, non solo all’alternativa politica tramite democratiche elezioni, non solo alla difesa degli interessi di lavoratrici e lavoratori ma persino all’opposizione alla peggiore destra democristiana che flirta coi neofascisti. Tutto pur di salvare la democrazia.
A guardar bene è una rinuncia che poi diventerà una ricorrenza per la sinistra dei successivi cinquant’anni.
La grande delusione
A questa rinuncia seguì una grande delusione. Non solo nel movimento studentesco che scoppiò nel 1977 o nella sinistra extraparlamentare. Gran parte del mondo operaio e comunista fu completamente disorientato da questa linea, come mostrò proprio nel 1977 il capolavoro cinematografico di Giuseppe Bertolucci e Roberto Benigni, Berlinguer ti voglio bene, film spesso citato ma in realtà poco visto e soprattutto poco compreso.
Dopo la vittoria nel referendum sul divorzio nel 1974 e la crescita alle elezioni amministrative del 1975, non era più un tabù sognare il sorpasso sulla Dc nelle elezioni politiche del 1976. Il sorpasso poi per poco non ci fu, ma il Pci raggiunse il suo massimo storico in voti assoluti: 12 milioni e 600 mila. Anche il contesto europeo era promettente: nel 1974 c’è la rivoluzione dei garofani in Portogallo, nel 1975 finisce il franchismo in Spagna, nel Regno Unito governano i laburisti, in Germania sono al governo i socialdemocratici, in Francia cresce il cartello elettorale che tiene insieme socialisti e comunisti e che qualche anno dopo eleggerà presidente François Mitterand. La scelta di escludere a priori qualsiasi possibilità di governo di coalizione delle sinistre – che a prescindere dalle possibilità di riuscita avrebbe dato una prospettiva politica ai dieci anni di movimenti del nostro paese – produsse una delusione molto diffusa. Specie quando il Pci finì per sostenere il governo Andreotti. Tanto che nelle successive elezioni politiche del 1979 il Pci perse un milione e cinquecentomila voti, e non tornò mai più ai livelli di consenso del ‘76 (tranne la fiammata alle europee del 1984 segnate drammaticamente proprio dalla morte di Berlinguer).
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Migliaia di persone sono scese in piazza a Roma in Porta San Paolo in risposta al divieto “politico” di manifestare a sostegno del popolo palestinese sottoposto ad un genocidio e i bombardamenti israeliani sul Libano.
Nonostante una “tempesta perfetta” di ostacoli (clima di terrore seminato dai media, divieto della Questura, posti di blocco per i pullman sulle autostrade e delle strade intorno a Porta San Paolo, sciopero dei trasporti, pioggia) almeno novemila persone hanno sentito il dovere di opporsi ad un divieto imposto dal governo alla stessa Questura e al tentativo di cominciare – anche in Italia – a criminalizzare e impedire le manifestazioni per la Palestina.
La partecipazione è stata uno straordinario segnale e risultato politico, non del tutto inaspettato ma non nelle dimensioni con cui si è palesato nella piazza di Roma.
Non è stato consentito il corteo richiesto a gran voce dalla piazza ma solo il concentramento in piazza di Porta San Paolo che si è prolungato fino alle 17.30 dopo una sorta di corteo all’interno del perimetro della piazza.
Alla fine della manifestazione, una cinquantina di persone hanno sentito la indesiderata esigenza di azzuffarsi con lo schieramento della polizia in via Ostiense e lanciare alcune bombe carta contro gli agenti ricevendo come reazione l’acqua degli idranti, i lacrimogeni e le manganellate della polizia schierata, ci sono tre manifestanti feriti. Di conseguenza le cronache e i titoli dei telegiornali vengono già largamente monopolizzati da questo fattore e non dallo straordinario risultato politico ottenuto con il rifiuto di massa di un inaccettabile divieto di manifestare.
[...]
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Il girasagre è talmente intelligente che non ha ancora capito che ogni sciopero è politico.
Però ... però ... forse fa finta perchè sa che i mononeuronali che lo seguono ci cascano.
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“ La scuola è diversa dall’aula del tribunale. Per voi magistrati vale solo ciò che è legge stabilita. La scuola invece siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi. È l’arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità (e in questo somiglia alla vostra funzione), dall’altro la volontà di leggi migliori cioè il senso politico (e in questo si differenzia dalla vostra funzione). La tragedia del vostro mestiere di giudici è che sapete di dover giudicare con leggi che ancora non son tutte giuste. Son vivi in Italia dei magistrati che in passato han dovuto perfino sentenziare condanne a morte. Se tutti oggi inorridiamo a questo pensiero dobbiamo ringraziare quei maestri che ci aiutarono a progredire, insegnandoci a criticare la legge che allora vigeva. Ecco perché, in un certo senso, la scuola è fuori del vostro ordinamento giuridico. Il ragazzo non è ancora penalmente imputabile e non esercita ancora diritti sovrani, deve solo prepararsi a esercitarli domani ed è perciò da un lato nostro inferiore perché deve obbedirci e noi rispondiamo di lui, dall’altro nostro superiore perché decreterà domani leggi migliori delle nostre. E allora il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare i segni dei tempi, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso. Anche il maestro è dunque in qualche modo fuori del vostro ordinamento e pure al suo servizio. Se lo condannate attenterete al progresso legislativo. In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo d’amare la legge è d’obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate. La leva ufficiale per cambiare la legge è il voto. La Costituzione gli affianca anche la leva dello sciopero. Ma la leva vera di queste due leve del potere è influire con la parola e con l’esempio sugli altri votanti e scioperanti. E quando è l’ora non c’è scuola più grande che pagare di persona un’obiezione di coscienza. Cioè violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva e accettare la pena che essa prevede. “
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Brano tratto dalla lettera del 18 ottobre 1965 rivolta ai magistrati incaricati di giudicare il priore di Barbiana per una sua lettera aperta a favore dell’obiezione di coscienza militare. Il testo è raccolto in:
Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, a cura di Michele Gesualdi, Milano, A. Mondadori (collana Oscar n° 431), 1976 [1ª Edizione: 1970]; pp. 214-215.
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Partigiani di chi e memoria.
Quello che sta facendo Israele, la posizione di Europa e US, nei fatti più che nelle parole, l'assoluta parzialità dei paesi occidentali e dei mass media e spudoratamente evidente. Mentre Israele si pulisce il culo con le risoluzioni ONU e ha totalizzato 30000+ morti tra i civili, non solo stiamo a guardare, ma lo aiutiamo ad andare avanti. In contesti analoghi ci comportiamo all'opposto.
Se già non lo era prima, la superiorità morale dell'occidente oggi è ancora di più indifendibile... immaginatevi come ci vedono da fuori.
Ma dobbiamo essere "partigiani", dalla NOSTRA parte, perchè LORO sono peggio.
Ieri dovevamo essere competitivi con la Cina sul costo della manodopera... e ci abbiamo provato e chi lavora oggi in occidente è più povero.
Oggi dobbiamo contenerli sulla tecnologia, perchè LORO sono PEGGIO. Non dobbiamo competere, essere migliori con chi diciamo sia PEGGIO... dobbiamo CONTENERLO. Non migliorarci ma impedire agli altri di farlo. Una strategia che non si è limitata all'aspetto tecnologico nei confronti degli ALTRI, ma anche a quello economico e politico e poi ci riempiamo la bocca con democrazia, autodeterminazione, competizione.
Ed è lo specchio di quello che poi le nostre classi dirigenti fanno in politica interna. Non cercare di essere competitive, ma difendendo monopoli, rendendo sempre più difficile l'accesso universale a sanità ed educazione, bloccando l'ascensore sociale...
Domani ci chiederanno di andare in guerra, perchè saremo già dimentichi di quello che stiamo lasciando aiutando a fare a Israele e quindi noi abbiamo ragione, siamo meglio, siamo dalla parte del giusto.
Dobbiamo farci pagare meno, dobbiamo rinunciare al welfare, all'educazione, alla stabilità del lavoro, dobbiamo pagare i carri armati, finanziare le aziende private per essere competitive, rinunciare alla privacy per la sicurezza, veder ristrette le nostre libertà civili, il diritto allo sciopero, gli spazi di dissenso e protesta per essere competitivi con quelli che sono PEGGIO di noi.
Crocefissi nelle scuole per combattere la sharia. Donne a stirare e niente aborto, stracciamo le unioni civili per difenderci dal "patriarcato e dall omofobia islamici". Finanziamo le aziende private a babbo morto contro lo "statalismo cinese". Precariziamo il lavoro perchè in Pakistan i bambini cuciono i palloni.
Ma abbiamo sempre ragione, siamo sempre meglio.
Cosa ci stia guadagnando la gente però è un mistero. Siamo costretti a rinunciare sempre a qualche cosa... perchè siamo meglio degli ALTRI.
Cosa ci verrà chiesto domani? Ci ricorderemo di come è andata a finire l'ultima volta che ci hanno chiesto sacrifici, hanno ridotto i nostri diritti o le nostre libertà per difenderci dagli ALTRI (i negri, i froci, i cinesi, gli ambientalisti, chi sciopera, i musulmani...)?
Intanto il divario tra ricchi e poveri aumenta. Chi saranno mai questi altri che ce lo vogliono mettere al culo?
#israel#palestine#israele#palestina#international law#diritto internazionale#moral superiority#superiorità morale#lgbt#pinkwashing#rainbow washing#inequality#disuguaglianza
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E alla fine l'Insorgiamo tour in Germania è andato così.
Lipsia, Halle, Berlino.
Il Climate Strike in Germania, in alcune regioni, vede congiunto lo sciopero del trasporto pubblico locale (sindacato VerDi) e il Climate Strike. Noi partiamo con un pulmino all'una di notte di giovedì. Raggiungiamo Lipsia e lì siamo in corteo con il movimento ambientalista. Ci dicono che la convergenza tra lotte sindacali e ambientali è qualcosa che sta prendendo piede, anche grazie al nostro esempio. A Colonia il Climate Strike è aperto dai picchetti dei lavoratori dei trasporti. Confindustria tedesca è su tutte le furie: accusano i lavoratori di "sciopero politico". La piattaforma dello sciopero chiede il 10% di aumenti salariali. E i lavoratori sanno di essere più forti se lo fanno congiuntamente con il movimento ambientalista.
La sera ad Halle, siamo all'assemblea della campagna Genug ist Genug ("abbastanza è abbastanza", o meglio "quando è troppo, è troppo"). Il termine più ripetuto è "convergenza". Si alternano interventi di delegate e delegati del settore ospedaliero, dei trasporti, insieme ai movimenti sociali come la campagna "io sono povero" e del movimento ambientalista. A 1100 km da casa, ci sentiamo a casa. Ci traducono tutto in simultanea anche grazie all'impegno delle compagne e dei compagni della Fondazione Rosa Luxemburg. Il MovementHub decide di spesarci l'intero viaggio e quindi tutto il raccolto di offerte andrà direttamente a fare un attivo in cassa di resistenza.
Infine a Berlino: assemblea partecipatissima di congiunzione tra la storia della lotta del Collettivo di Fabbrica, il futuro dell'automotive, il climate strike e la lotta di Lutzerath. Domenica pranzo con l'Anpi di Berlino. Si parla inglese, spagnolo, tedesco. Si parla con i nostri immigrati, di quelli che sono morti nel Mediterraneo, delle lotte degli anni '70, dell'Insorgiamo partigiano, del Rojava, di produzione e transizione ecologica, di democrazia operaia.
In Germania è andata così, che non siamo un caso specifico e non ci siamo inventati nulla. Siamo parte di qualcosa che sta accadendo a livello internazionale.
E quel "qualcosa", siamo sicure e sicuri, sosterrà Gkn fino alla fine. #insorgiamo
https://www.instagram.com/p/CpcUDwAqQaG/?igshid=MDJmNzVkMjY=
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Dal contesto storico-politico degli anni ’40, si giunge alle iniziali agitazioni operaie nel marzo del 1943. A ciò contribuiscono una serie di variabili,
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Dal contesto storico-politico degli anni ’40, si giunge alle iniziali agitazioni operaie nel marzo del 1943. A ciò contribuiscono una serie di variabili,
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Su Strisciarossa Marcella Ciarnelli scrive: «Non è un bel momento per l’informazione in Italia che, non è un caso, nella classifica di Reporters sans frontières sulla libertà di stampa ha perso tre posti ed è passata nella “zona problematica” anche per l’ipotesi che l’Eni possa vendere la seconda agenzia di stampa italiana, l’Agi, e che questa possa essere venduta ad Antonio Angelucci, parlamentare della Lega. Che vede un sindacato, è il caso di Unirai, che si schiera contro i colleghi e appoggia e sostiene le decisioni della dirigenza chiedendo ad una minoranza di rendere possibili edizioni di Tg tali da ridimensionare l’azione dell’Usigrai e dei suoi aderenti che si oppongono al “controllo asfissiante” dell’azienda».
Ma veramente la Ciarnelli crede che i giornalisti Rai di sinistra avrebbero il diritto di imporre ai giornalisti Rai di destra di partecipare a uno sciopero “politico” contro il governo? E veramente la vendita di un’agenzia di stampa di proprietà di un’azienda pubblica energetica a un imprenditore privato (anche parlamentare della Lega ma già editore di tre quotidiani nazionali) sconvolgerebbe il sistema pluralistico dell’informazione in Italia? Ci sarebbe nell’Italia della Repubblica, del Corriere della Sera, della Stampa, di La7, della Nove, di Rai 3 con il suo Report, un monopolio “orbaniano” della destra sull’informazione?
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Tutte le Prime Pagine dei Quotidiani Nazionali di Oggi venerdì, 09 agosto 2024 La Repubblica Corriere Della Sera Libero Il Fatto Quotidiano Il Foglio Il Riformista Il Giornale Il Messaggero Il Mattino Avvenire Unita Secolo Italia Il Giorno Il Gazzettino Opinione Della Liberta Giornale Di Sicilia La Ragione La Sicilia Tirreno Liberta Sicilia Leggo Eco Di Bergamo Gazzetta Del Sud Messina Identita Il Centro Gazzetta Del Sud Calabria Il Quotidiano Del Sud Nuova Ferrara La Discussione Giornale Di Brescia Il Sole 24 Ore Corriere Adriatico La Stampa Il T Milano Finanza Gazzetta Di Modena Italia Oggi Secolo Xix La Provincia La Verita Il Dubbio La Nuova Sardegna Il Tempo La Notizia Il Piccolo Il Resto Del Carlino La Nazione repubblica, fonda, agosto, etto, maurizio, oggi, concessioni, delle, spiagge, voltafaccia, balneare, ucraina, avete, portato, guerra, casa, sciopero, degli, ombrelloni, protestare, contro, palazzo, alle, gare, presi, giro, governo, dovete, sentirla, imbarazzo, meloni, anti, premier, applica, direttiva, della, ferma, anche, custodia, cautelare, divide, destra, libera, colle, carceri, commento, promesse, tradite, recato, grave, politico, cadere, vittima, propria, probabile, facile, ottenere, bruxelles, qualche, concessione, gestori, lidi, italiani, tassello, minore, cambiamento, manifesti, elettorali, scorse, elezioni, cosi, mentre, voluto, mantenere, delega, sulle, giorni, dettava, agenzie, stampa, demaniali, nelle, settimane, altri, ministri, avevano, bandiera, bianca, spiegavano, europa, poco, nulla, quel, fronte, proprio, testacoda, senso, leader, continua, dire, sentire, spalle, dilegua, rosse, prevedibile, specie, gestione, senza, essere, esperti, spesso, regole, ricorda, sono, tutti, stato, privati, pagina, niente, prelazioni, indennizzi, intanto, divi, sulla, amato, colombo, accanimento, terapeutico, vaticano, apre, fine, vita, serve, mediazione, pagine, antirazzisti, piazza, dopo, scontri, inglesi, lezione, servizio, antonello, rose, banche, veto, alla, sinistra, giovanni, scuola, patria, dovere, secondo, noir, ucraino, avanza, nella, regione, russia, nostra, tema, deve, fatto, personaggio, beffa, polizia, parla, barcellona, laura, circondato, bandiere, indipendentiste, dentro, parlamento, incorona, socialista, salvador, capo, catalogna, fuori, rosa, finale, giornata, medaglie, azzurre, cito, retico, nello, sport
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Per i lavoratori Samsung arriva il primo storico sciopero
Un evento storico senza precedenti ha avuto luogo in Corea del Sud: per la prima volta nella sua storia, i dipendenti di Samsung Electronics hanno incrociato le braccia. Lo sciopero, organizzato dal sindacato National Samsung Electronics Union (NSEU), ha coinvolto circa 28.000 lavoratori, il 20% della forza lavoro del colosso sudcoreano. Sciopero per i lavoratori Samsung, perché? La protesta è esplosa a seguito del mancato accordo tra il sindacato e la dirigenza aziendale sul rinnovo del contratto e sugli aumenti salariali. I lavoratori lamentano un aumento del costo della vita non adeguatamente compensato dai salari, e chiedono inoltre migliori condizioni di lavoro e un maggior rispetto dei diritti dei lavoratori. Lo sciopero è un evento di grande portata che segna un punto di svolta per le relazioni tra lavoratori e management in Samsung, azienda da sempre nota per la sua cultura aziendale autoritaria e per il suo atteggiamento ostile verso i sindacati. La nascita del sindacato NSEU nel 2019, avvenuta in un clima politico più favorevole ai diritti dei lavoratori, ha rappresentato il primo passo verso un cambiamento significativo, e lo sciopero di oggi ne è la conferma. Le richieste dei lavoratori Le richieste avanzate dai lavoratori del NSEU riguardano principalmente: - Aumenti salariali: I lavoratori chiedono un aumento salariale che compensi l'aumento del costo della vita, che negli ultimi anni ha subito un'impennata significativa. - Migliori condizioni di lavoro: I lavoratori lamentano carichi di lavoro eccessivi, stress lavorativo e un ambiente di lavoro non sempre sicuro. Chiedono quindi una riduzione dell'orario lavorativo, un maggior numero di pause e misure più efficaci per la sicurezza sul lavoro. - Maggior rispetto dei diritti dei lavoratori: I lavoratori chiedono il rispetto del diritto di parola e di associazione, nonché una maggiore trasparenza da parte dell'azienda nelle decisioni che riguardano il loro futuro. Le conseguenze dello sciopero Lo sciopero ha avuto un impatto significativo sulla produzione di Samsung, con ritardi nelle consegne di alcuni prodotti. L'azienda ha stimato che lo sciopero le sia costato circa 100 milioni di dollari. Tuttavia, le conseguenze dello sciopero potrebbero andare ben oltre il danno economico immediato. L'evento potrebbe infatti innescare un cambiamento più profondo all'interno di Samsung, portando a una maggiore democratizzazione dei rapporti tra lavoratori e management e a un miglioramento delle condizioni di lavoro per tutti i dipendenti. Un segnale per il futuro Lo sciopero dei lavoratori Samsung rappresenta un segnale importante per il futuro del mondo del lavoro in Corea del Sud e non solo. Dimostra che anche nei paesi con una tradizione di forte controllo aziendale, i lavoratori stanno diventando sempre più consapevoli dei propri diritti e sono pronti a mobilitarsi per difenderli. La storia dello sciopero Samsung è ancora in corso, e non è ancora chiaro come si concluderà. Ma una cosa è certa: questo evento ha già avuto un impatto significativo e continuerà a influenzare il futuro di una delle più grandi aziende del mondo. Foto di rieo da Pixabay Read the full article
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19 nov 2023 09:00
UNA REPUBBLICA SFONDATA SUL LAVORO - PER 6 ITALIANI SU 10 LO SCIOPERO NON SERVE - CRESCE LA DISILLUSIONE SULLE MOBILITAZIONI: IL 78,8% NON SI SENTE RAPPRESENTATO DAI SINDACATI ED E’ SCETTICO ANCHE CHI VOTA PER PD E M5S - PER IL 37,3% IL DUELLO TRA LANDINI E SALVINI È UNO SCONTRO POLITICO, SE NON PERSONALE - GHISLERI: “LE PERSONE HANNO COMPRESO CHE È DIFFICILE, SE NON IMPOSSIBILE, CREDERE NELLA REALIZZAZIONE DI UN CAMBIAMENTO CHE AIUTI A PIANIFICARE LA PROPRIA VITA FUTURA. SI SENTONO SUDDITI DI DECISIONI PRESE ALTROVE, DA ÉLITE ESTERNE AI CANALI ISTITUZIONALI, OLTRE I CONFINI” -
Estratto dell’articolo di Alessandra Ghisleri per “la Stampa”
In tema di sciopero nazionale lo scontro verbale tra il Ministro Matteo Salvini e il segretario generale della Cgil Maurizio Landini è stato interpretato dall'opinione pubblica principalmente come uno scontro politico (37,3%) legato alle opportunità di entrambi di far emergere la propria immagine (25,6%). Qualcuno lo ha letto come un vero e proprio scontro personale (11%), mentre il 17,6%, poco meno di un cittadino su 5, lo ha interpretato come un vivace diverbio basato su ragioni valide per entrambi.
Il sospetto che serpeggia tra l'opinione pubblica è che oggi gli scioperi abbiano importanti difficoltà a dimostrarsi utili ai fini della tutela del lavoro e dei lavoratori (64,4%). Di questo parere sono soprattutto gli elettori aderenti ai partiti della maggioranza. Tuttavia, anche tra le fila delle opposizioni molti sono i cittadini che nutrono dei dubbi, come il 35,3% dei sostenitori del Partito Democratico, il 44,1% degli elettori del Movimento 5 Stelle e più del 70% degli elettori di Azione e Italia Viva. Il dato che sorprende è quel 56,8% di lavoratori dipendenti che non legge alcun vantaggio e risultati validi nello scioperare. Insomma, i tempi sono cambiati e appaiono più complicati per gli scioperi.
[…] Il principale sospetto che scaturisce è che tutto sia in funzione di una maggiore visibilità e per la parte politica anche una possibile leva in vista delle elezioni europee previste per giugno 2024. Il tema è che per chi non aderisce alle linee guida del sindacato non è più sentita una grande movimentazione. Molte persone che potrebbero condividere le ragioni dello sciopero non si ritrovano nelle indicazioni delle grandi sigle sindacali e quindi si sentono escluse a loro volta. L'Istat certifica in Italia su circa 23,7 milioni di lavoratori - dati di settembre 2023 – circa 3 su 4 non si sentono rappresentati da almeno una sigla sindacale, come l'86,7% di coloro che non hanno un'occupazione. […]
Il 67,9% degli intervistati comprende le ragioni degli scioperi anche al di là del disturbo che provocano. È calata la fiducia in quel rito che dovrebbe essere utile ad affermare il bisogno di tenere conto degli interessi dei lavoratori. Quell'esercizio della pressione nei confronti del governo o di altri soggetti, che potrebbe avere come valore di riferimento una nuova definizione di crescita politica, sociale ed economica del Paese.
Una crisi di rappresentanza che intercorre oggi fra l'intera società, la politica e le istituzioni. Le persone hanno compreso che è difficile, se non impossibile, credere nella realizzazione di un cambiamento che aiuti a migliorare la propria situazione e a pianificare la propria vita futura. Si sentono sempre più spesso sudditi di decisioni che vengono prese altrove, da élite esterne ai canali istituzionali, oltre i confini, […]
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Forum Diseguaglianze contro la precettazione dello sciopero
“E’ un attacco politico al sindacato e in particolare alla Cgil, quasi mai citata la Uil”source
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