#scelta consapevole
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Sapone e shampoo solido sono la stessa cosa? Scopriamo le differenze
Ti mai chiestæ se il sapone e lo shampoo solido siano effettivamente la stessa cosa? Sei curioso di sapere se vengono prodotti con lo stesso procedimento o se la differenza di prezzo è solo una strategia di marketing? Se la risposta è sì, sei nel posto giusto. In questo articolo esploreremo in dettaglio le differenze tra il sapone e lo shampoo solido, cercando di fornirti una risposta esauriente…
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#autoproduzione responsabile#bellezza green#cosmesi fai-da-te#eco-sostenibilità#greenwashing#ingredienti biologici#ingredienti naturali#prodotti cruelty-free#prodotti eco-friendly#scelta consapevole#skincare naturale#sostenibilità ambientale
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Raga sto per fare una cazzata sto per iniziare pure mare fuori
#lo so lo so#è che sono come una drogata senza il suo fix in questo momento#dopotutto poteva non precipitare la situa?#ero consapevole a cosa andavo incontro quando ho iniziato#un professore#boh forse in realtà non lo ero cioè ce ne vuole per scrivere una seconda stagione così di merda ma comunque#non ne esco più#mare fuori#la scelta è tra quello o studiare per la sessione capire
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Stile di Vita Vegano - Abbracciare una Dieta Cruelty-free
Lo stile di vita vegano è una scelta etica, ecologica e salutare, che implica il rifiuto di consumare e utilizzare qualsiasi prodotto di origine animale o che comporti lo sfruttamento e la sofferenza degli animali. La dieta vegana è fondamentalmente una dieta cruelty-free che si fonda sul rispetto degli animali, sul rifiuto di procurare loro sofferenza, di sfruttarli e di ucciderli per esigenze…
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#alimentazione vegana#ambiente#animali#benessere etico#cambiamento positivo#compassione quotidiana#comunità vegana#consapevolezza alimentare#dieta cruelty-free#equilibrio nutrizionale#informazioni vegan-friendly#ispirazione vegana#pianeta verde#ricette vegane#rispetto per gli animali#salute#scelta vegana#stile di vita consapevole#veganismo#vita sostenibile
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Un cane non è un oggetto e non può essere regalato così, con semplicità, un cane diventa un componente della famiglia, non può essere un capriccio, ma una scelta consapevole e ben ponderata. Ci sono tanti cani del canile che attendono una famiglia, una casa. Sapete quanto amore sono in grado di donare? Più di quanto possa farlo un umano, mi dispiace doverlo dire... più mi guardo intorno e, più vedo umani senza sentimenti, che hanno una pietra al posto del cuore.
I nostri dolci amici, hanno tanto da insegnare, sono fedeli, affidabili, protettivi, gioiosi, custodi. Lo sono per natura! Ad essi basta una piccola ciotola di crocchette, e un po' d'acqua. Adotta ed abbi cura del migliore amico dell'uomo. Ti Ricambierà con il suo incondizionato amore.
(Angela P.)
Notte a tutti ✨✨✨
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Appena l’ho riconosciuta in me, ho iniziato a chiamare “controsperanza” la speranza, apparentemente paradossale, che non avvenga qualcosa che speriamo avvenga; una zona franca del cuore e della mente, in cui bambino e adulto interiori discutono animati, in cui passato e futuro restano disgiunti in un fragore assordante. E niente si muove.
Ero a mio agio nella controsperanza. Mi compiacevo di essere consapevole, senza avere l’onere della scelta, della scossa. Sapevo la verità, ma confidavo che si compiesse senza un mio intervento.
Oggi ho capito che sperare è avere il coraggio di rinunciare a ciò che è familiare. Casa non è sempre dove ci sentiamo a casa. Casa è dove realizziamo a pieno ciò che ci fa bene, anche quando sembra far male, anche quando fa paura (che poi è il vero nome della controsperanza).
#ninoelesirene#pensieri#frasi#persone#riflessioni#sentimenti#letteraturabreve#emozioni#amore#aforismi#controsperanza
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Un tempo sarebbe stato semplice amarmi. Ero dolce, credevo nelle promesse, nelle parole. Scusavo tutto e tutti, anche il dolore che sentivo e non volevo riconoscere. Mi assumevo colpe che nemmeno comprendevo. Pur di non perdere chi amavo, accettavo e sopportavo ogni mancanza, anche quando mi perdevo io e non riuscivo più a ritrovarmi. Abbracciavo senza chiedere nulla in cambio. Ero una ragazza vulnerabile. Da proteggere. Da ferire. Da distruggere.
Oggi amarmi è più complesso, restare accanto a me richiede pazienza, rispetto dei miei spazi, comprensione dei miei silenzi, della mia autonomia, del mio bisogno di vivere senza dipendere. Oggi è difficile amare la donna che sono diventata, ed io ne sono consapevole. Dopo i sogni infranti, le ali spezzate, le parole taciute. Adesso so con certezza quali mani vorrei stringere e quali sguardi non vorrei incontrare più, quali occhi non vorrei più incrociare nella mia vita. È difficile, lo ammetto. Forse non so molto ancora sull'amore, non potrei insegnarlo. Ma so che ha a che fare con il rispetto, con scelte che non si impongono, ma che si costruiscono, insieme. Quando si diventa una scelta reale e non una possibilità tra tante. Amare è restare, nonostante tutto. È scegliere e scegliersi, ogni giorno, con coraggio.
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Alla fine l’amore deve trasmettere serenità, non creare mille dubbi.
Ho tante amiche che amano persone che le giudicano in continuazione e mi chiedo come questo sia possibile.. come si può ricercare qualcuno che a parole - che ricordiamo essere risultato di un processo mentale e consapevole - scredita ogni tua scelta e ti fa sentire piccola e insignificante?
@martysognatrice2sblog
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Il concetto di libertà va preso sempre con misura, poiché spesso nasconde immaturità di fondo, incapacità di relazionarsi, o negazione di responsabilità.
Tuttavia per chi ci arriva consapevole della scelta e di chi è, raccoglie l'elevazione autentica di un Essere umano.
Va da sé che si può stare in coppia anche restando liberi, in ogni caso "sono ancora in vetrina" è bellissima!
#libertà#video#discernimento#consapevolezza#zombie#società#società malata#svegliatevi#aprite gli occhi#verità#illusioni#crescita personale#scelta#verità interiore#crescita interiore#sistema#schiavi#catene#matrix
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Mi ritrovo a 25 anni e l’idea dell’amore come quella dei bambini.
Mi sono ritrovata a parlare con una bambina di amore.
È fidanzata, da un anno, con Francesco.
Prima di lui c’è stato un altro che però è stato rubato dalla sua migliore amica.
Penso che se questo le fosse successo alla mia età si sarebbero strappate i capelli a vicenda e lui ne sarebbe uscito illeso, come succede il 99,9% dei casi. Anche se la colpa non è mai da una sola parte.
Non so perché ora senta la necessità di scrivere quello che mi sta passando per la testa, forse perché ora scrivere a mano non mi basta di più, ho tanto da dire e poca voce per farlo.
Ho sempre preferito scrivere che parlare.
Continuo a scegliere le parole con la stessa accuratezza con cui le mie coetanee scelgono l’outfit (ora ci siamo tutti inglecizzati) che indosseranno per una serata in discoteca.
Io in discoteca non ci sono mai stata, non ho mai fumato una canna, fumo sporadicamente le sigarette, giusto per infliggermi un po’ di dolore.
Dicono che ogni sigaretta fumata accorci la vita di 7 minuti, sto sperimentando la veridicità di questa affermazione.
Non voglio morire.
Sia chiaro.
Quando ci penso ho onestamente paura.
Chiudi gli occhi e tutto finisce.
Non si pensa più.
Le connessioni tra neuroni si fermano.
Niente stimoli.
Niente input.
Niente output.
Tutto tace.
Eppure quante volte aspiriamo nella vita ad un po’ di silenzio?
Sono consapevole che per quanto voglia ciò è impossibile. Almeno da vivi.
Motivo per il quale mi sto quasi abituando all’idea che troverò la pace a cui aspiro una volta morta.
Il discorso sta prendendo decisamente una piega tetra.
Sono una persona abbastanza noiosa.
Non amo il casino.
Mi piacciono le pantofole calde, le coperte, le tisane e i libri.
Non mi piace andare a mangiare fuori, mi piace l’intimità delle mura di casa.
Ma sono consapevole che sono in rotta di collisione con il resto del mondo.
Questo mondo di oggi che deve ostentare tutto.
Ieri sono uscita e c’era un tramonto stupendo a Roma, il volerlo immortalare mi stava quasi distraendo che stavo dimenticando di vivermelo.
E invece l’ho vissuto.
Ho notato ogni piccola sfumatura presente. Nei minimi dettagli.
Io sono così, guardo i dettagli e cerco di leggerli tra le righe.
Sono sempre stata una che ha visto nel piccolo prima di vedere nel grande.
Questa società ci ha abituati ad avere tutto e subito. Pretendiamo di conoscere le persone con lo schiocco delle dita.
PRETENDIAMO.
Non penso ci sia niente di più brutto che pretendere un qualcosa da qualcuno.
È come se lo obbligassimo a fare qualcosa che non vuole per un tornaconto solo nostro.
Ne lede ogni libertà di scelta e di pensiero.
Lo stesso errore si commette quando parlando si dice “io al posto suo…”.
Al posto suo non ci sei.
Al posto suo c’è solo la persona.
Non tu.
Per fortuna o per sfortuna, dipende dai casi, ognuno ha una propria testa e ragiona come meglio crede.
Io ho sempre pensato di ragionare con la testa di una ragazza di 60 anni fa.
Non mi sono mai sentita a mio agio in questa società.
Come un pesce fuori dall’acqua che cerca di tornare al mare.
Non mi sono voluta adeguare alla massa.
Non mi sono mai voluta adeguare a qualcuno.
Per qualcuno.
Rimarrò sola? Non so.
Ho paura? Non so.
Perché le persone cercano di cambiarsi per andare bene a qualcuno?
Capisco lo smussare gli spigoli, ma perché cambiare rinnegando quello che si è?
Io non voglio rinnegare niente di quello che sono.
Qualcuno una volta mi ha detto che siamo la somma delle esperienze che ci sono capitate. Beh, non per vittimismo, ma potrei scrivere un libro per tutte le volte che sono caduta in tutte le maniere in cui una persona può cadere e con la sola forza delle mie braccia mi sia rialzata.
Non penso di avere una vita tragica, ma penso di avere una vita in cui il coraggio le ha fatto da padrona.
Sì, sono coraggiosa.
Questo me lo devo.
In fondo credo che un po’ io mi voglia un po’ di bene, per quanto a volte litighi con me stessa sul perché non riesca a cambiare alcune cose di me che davvero non mi piacciono.
Sono abituata a fare l’elenco dei miei difetti, e non riesco a trovare mai un pregio.
Ecco, coraggiosa è il primo pregio.
Ma tornando al discorso di prima…
Vanno a scuola insieme.
Non si sono visti e neanche sentiti per tutto il periodo dell’estate.
Le ho chiesto allora perché non gli avesse scritto per tutto il periodo e la sua risposta è stata: “Avevo da fare con le amichette.”
Di risposta le ho chiesto se dopo tutto questo tempo lontani era sicura che anche da parte sua ci fosse lo stesso sentimento.
Penso di aver impiantato in lei il seme del dubbio.
Se magari prima ne era convinta, adesso non più.
Eppure 60 anni fa partivano per la guerra, passavano mesi senza vedersi e, se Dio voleva, riuscivano a mandarsi una cartolina ogni tot di tempo.
Ora il dubbio sorge non appena si ha un messaggio non visualizzato.
Maledette spunte blu.
Sorge il dubbio se non si risponde entro un tempo predefinito.
Ed ecco che la vipera del tradimento si insinua nelle nostre menti.
E distrugge tutto.
Con questo non voglio dire che prima non si tradiva, anzi forse era anche più facile tradire prima.
Senza Instagram, senza storie, senza localizzazione, senza messaggistica istantanea, senza chat segrete di Telegram (che ancora non so come funzionino).
Forse c’era una cosa che oggi è difficile trovare: il rispetto.
Ecco, forse ho trovato un altro mio pregio.
La mia famiglia mi ha insegnato a rispettare tutto e tutti.
Non so ammazzare neanche una mosca senza sentirmi in colpa.
Ho imparato il rispetto per ogni forma vivente: animali, piante, persone.
Ho imparato il rispetto per ogni forma non vivente.
Grazie mamma, grazie papà, grazie nonna e grazie zia.
Forse non gliel’ho mai detto.
Prima o poi lo farò.
Loro sono le colonne portanti della casa che sono.
E gliene sarò per sempre grata.
Mi hanno insegnato il senso di sacrificio. E rispettare chi ne fa.
Cerco di mantenere ogni promessa, di renderla reale.
Ma in un mondo che ti fa lo sgambetto più e più volte è difficile, ma continuo ad apprezzare la buona volontà di chi ci prova.
È un mondo malato che sta facendo ammalare anche le persone che ci vivono. Forse gli animali sono gli unici che ne restano illesi.
Quanto può essere cattivo l’essere umano?
Einstein diceva che l’uomo ha inventato la bomba atomica, ma nessun topo inventerebbe mai una trappola per topi.
Siamo davvero così stupidi?
Perché soffriamo di queste manie di grandezza?
Perché questa necessità di prevalere sull’altro e di doverlo sventolare ai quattro venti?
Comunque, continuando il nostro viaggio nella mente di una bambina di 7 anni, dopo aver impiantato in lei il seme del dubbio ho cercato di sistemare la situazione, ormai già distrutta, affermando che in caso contrario avrebbe comunque potuto trovarne un altro. O anche due. Così da avere la riserva.
Lei ha fatto spallucce.
Non penso abbia apprezzato la mia affermazione.
In realtà non l’apprezzo neanche io.
Non nutro grande simpatia per coloro che decidono di intraprendere relazioni parallele. Anzi, direi che (sì, lo so che è brutto da dire), le schifo. E non poco.
Se una persona non ti fa stare bene, bisogna avere il coraggio di lasciarla andare.
Può essere doloroso, ma anche le ferite più dolorose guariscono.
E questo lo so bene, forse daranno un leggero fastidio ogni qualvolta il tempo cambierà.
Ogni qualvolta ti ci soffermerai a pensare.
Mamma dice sempre: “Le cose che non si fanno sono le migliori.”
Ma con quanti punti di domanda ci lasciano?
Quanti finali alternativi si alternano nella mente di una persona?
Sono una persona curiosa.
Ma non nel senso che sia impicciona, mi sono sempre fatta i fatti miei e continuerò a farlo visto che aspiro a campare 100 anni.
Sono spinta da curiosità costruttiva, non mi limito a sapere il fatto in sé, ma mi piace capire, scavare nel profondo. Forse la parola più corretta da usare sarebbe comprendere il perché di una scelta piuttosto che un’altra.
Mi astengo dal dare qualsiasi giudizio.
Mi limito a dare un consiglio, senza aspettarmi che la persona lo segua, anche perché chi è che segue i consigli?
Io sono la prima a non farlo.
Mi piace sbatterci di testa, di faccia, rompermi le ossa, il cuore e l’anima.
Si dice si impari meglio sbagliando e io voglio sbagliare nel modo giusto.
Voglio passare la vita imparando, crescendo, diventando sempre più saggia.
Avrei voluto dire a quella bambina che poi tanto male non è stare soli, conoscersi.
Capire quello che realmente vogliamo.
Quello di cui abbiamo realmente bisogno.
Avrei voluto dirle di non piangere alle ginocchia sbucciate perché il cuore sbucciato quando crescerà farà ancora più male.
Avrei voluto dirle di godersi ogni attimo della sua età.
Avrei voluto dirle di avvicinarsi al mondo dell’amore il più tardi possibile.
Avrei voluto dirle che ha fatto bene a godersi l’estate con le amichette piuttosto che pensare al fidanzato.
Avrei voluto dirle che l’amore se è vero supera ogni ostacolo, ogni distanza, ogni tempo.
Avrei voluto dirle che non deve mai dare nulla per scontato, perché nel momento in cui lo fai tutto perde di valore e non è più come prima.
Non aspettatevi che una persona vi stia accanto per sempre, che vi ami per sempre.
L’amore è un fuoco di paglia, di solito la passione brucia velocemente.
La vera scommessa è alimentarlo.
Vorrei essere brava in questo.
Invece credo che tra le mie mille mila cose da fare non riesca mai ad alimentarlo come si deve, e niente.
Fa la famosa vampa e si spegne.
Azzarderei a dire che quasi a volte l’acqua per spegnerlo sopra l’abbia messa io.
Perché l’amore si identifica con il cuore?
Un muscolo involontario.
Probabilmente perché così come non abbiamo la possibilità di controllare il suo battito non possiamo decidere di chi innamorarci.
Ed ecco lì che capita di innamorarsi di chi probabilmente non avremmo mai detto.
Nel mio caso penso che avrei messo la mano sul fuoco che non sarebbe mai successo, ed invece è successo.
Ho imparato il mai dire mai proprio in questo caso.
E chi l’avrebbe detto che avrei messo le armi per distruggermi in mano a qualcuno.
Mi meraviglio con quanta facilità l’essere umano sia capace di buttare giù tutto quello che costruisce senza nessuna pietà e rimpianto.
Mentre io mi sono ritrovata a dire addio ad una macchina e a dare il benvenuto ad un’altra.
Ho provato il senso di colpa nell’averla quasi tradita per qualcosa di nuovo.
Perché è questo quello che succede nella vita, buttiamo il vecchio per fare spazio al nuovo.
Io sono così legata al vecchio che provo dolore quando lo butto.
Ecco, forse questo invidio a quella bambina, la facilità con cui nel momento in cui il piccolo Francesco deciderà di lasciarla lei troverà qualcun altro e riuscirà a chiudere Francesco in un cassettino della sua memoria che probabilmente non riaprirà mai più.
Io i miei cassetti della memoria li apro e anche spesso.
Maledette domande che attanagliano la mia mente e non la lasciano riposare.
Forse se riuscissi a lasciarmi scivolare tutto addosso sarebbe più facile.
E invece il Padre Eterno ha deciso di farmi cocciuta, testarda e con la necessità di sapere come, quando, dove e perché.
Vorrei poter chiudere tutto a chiave, buttare la chiave in un qualsiasi posto e perderla così da non poter riaprire niente, anche volendo.
Sono masochista.
Non mi taglio, non mi infliggo dolore fisico perché mi basta il dolore dell’anima.
E se per i tagli questi cicatrizzano, non so come possa guarire un’anima mal concia.
Lana Del Rey canta: “Mi amerai lo stesso quando non avrò nient’altro che la mia anima dolorante?”
Mi chiedo se davvero esista qualcuno capace di amare una persona nonostante l’anima che non si regge in piedi.
Ci vuole tanto amore ad amare chi non ci ama.
E ci vuole grande forza di volontà a lasciare andare le persone.
Lasciare andare qualcuno è la più grande forma di generosità.
Come può un rapporto cambiare per “colpa” di una frase sbagliata?
Dicono che la lingua riesca a ferire più di un coltello.
E perché le permettiamo di ferirci?
Sento ancora quel formicolio al cuore quando ripenso ad alcune frasi, che siano belle o brutte.
Nella maggior parte dei casi sono tutte le parole che più mi hanno ferita.
Quelle che più mi hanno fatta sentire inadatta.
Ma non penso di essere inadatta per davvero.
Penso sinceramente che alcune situazioni non vadano con altre.
Ecco di nuovo quella sensazione.
La me di dentro urla, si sta spolmonando. E la me di fuori non riesce a tirare fuori niente.
A volte penso se possa essere liberatorio salire sulla prima montagna e urlare, fino a non avere più aria nei polmoni. Fino ad essere stremati per l’urlo e non per altro.
A volte vorrei farlo.
Poi penso che le persone mi prenderebbero per pazza.
Anche se è mio uso e costume credere che i pazzi stiano fuori e le persone mentalmente stabili siano chiuse nel primo reparto di psichiatria disponibile.
Forse in mezzo a loro troverei la mia pace, chissà.
Vorrei fare un appello a me stessa: smettila di provare a fidarti delle persone.
Sono destinate tutte ad andare via. E tu speri ancora nelle cose irreali.
Chiudi gli occhi e immagini cose che sai anche tu non succederanno mai. E ti addormenti con il cuore un po’ più leggero, perché quello ti da pace.
Perché sono così?
Cos’è che realmente voglio?
O sono solo lo specchio di quello che gli altri vogliono da me?
Vorrei bastare a me stessa.
Essere sicura di me, delle mie capacità, senza il bisogno che qualcuno mi ricordi quanto valga.
Amo stare da sola, e non capisco perché continuo a far entrare persone nella mia vita che la mettono sottosopra.
Inizio ad essere quasi certa di essere masochista.
Sto per prendere il treno.
L’ennesimo.
Quanti treni ho preso, e non ne ho mai perso uno.
Anche quando ero in ritardo.
Sono stata sempre brava a prenderli.
A farli coincidere con altri.
Ad aspettare il meno possibile alle coincidenze.
Non mi è mai piaciuto aspettare.
Non sono una che sta con le mani in mano aspettando che arrivi la manna dal cielo.
Mi sono sempre data da fare, ho organizzato la mia vita in ogni minimo dettaglio e la vita ci ha provato ripetutamente a far saltare ogni mio piano.
A volte ci è riuscita.
A volte no.
Mi chiedo dunque, perché se non riesco ad aspettare un treno che dovrebbe portarmi altrove dovrei riuscire ad aspettare una persona?
Beh, il treno prima o poi arriva e anche se in ritardo a destinazione ci porta.
Ma le persone?
Arrivano?
Tornano?
Riescono a portarti realmente dove vuoi che ti portino?
Non si può decidere dove queste ti porteranno. Bisogna lasciarsi guidare.
E io non sono brava in questo.
Sono stata abituata a guidare, e non riesco a far sì che le persone guidino me.
Eppure io vorrei qualcuno che mi portasse al mare.
Scorrendo la ricerca di Instagram in una di quelle pagine di frasi fatte e depresse ho letto trova qualcuno che ti faccia dimenticare di avere un telefono.
Chissà com’è prendere il treno della vita.
Quello che dicono passi solo una volta.
Quello del hic et nunc, del carpe diem.
Non penso di aver mai colto un’occasione, troppo presa ad organizzarmi la vita che probabilmente mi sono dimenticata di viverla.
Ho messo da parte tutti i sentimenti, cercando di reprimerli.
Li ho messi così schiacciati bene in un cassetto che pensavo di averli sistemati lì a vita.
E invece il cassetto è esploso, lasciando venire fuori tutto quello che credevo di non poter provare.
La depressione.
Se mi avessero detto che un giorno ne avrei sofferto sinceramente gli avrei riso in faccia.
E invece sono qui, a distanza di due anni, con questo mostro dietro le spalle che mi attacca all’improvviso, quando sono più vulnerabile.
E so da me che la spinta per “guarirne” devo darmela da sola, ma le persone che, intorno a me, si limitano a dire: “Dai, su. Muoviti. Se ti fermi è perché sei tu che vuoi stare male” mi istigano sempre di più ad isolarmi.
Mi piace stare sola.
Mi piace l’equilibrio che raggiungo.
Se sto male non devo dar conto a nessuno.
Se sto bene non devo dar conto a nessuno.
Solo a me stessa.
Chissà quale organo ne risente di più.
Il cuore?
Il cervello?
Penso che i miei siano andati entrambi in sovraccarico e il mio esplodere ne è stata semplicemente una conseguenza.
Come se nel cassetto avessi messo più di quanto avrei dovuto e ora non si riesce più a chiudere e tutti i sentimenti repressi siano usciti uno dietro l’altro, sovrapponendosi anche a volte.
Tocco un po’ anche di bipolarismo probabilmente.
Meriterei un oscar come migliore attrice per tutte le volte che ho riso quando avrei voluto piangere.
Meriterei un oscar come migliore attrice per aver mentito sul mio stato di salute mentale a tutti, compresa la famiglia.
Meriterei un oscar come migliore attrice per tutte le volte che mentre ridevo pensavo a come sarebbe stato buttarsi dal Canale di Mezzanotte.
Ci sono andata.
Mi sono seduta sul bordo del ponte.
Penso che più di una volta sia stata sul punto di farlo.
Perché non l’ho fatto?
Probabilmente perché io sono ancora qui e posso scegliere di vivere, lei non ha avuto scelta.
E se l’avesse avuta sicuramente avrebbe voluto vivere.
Per cui, mossa da un minimo di lucidità, sono scesa giù e sono tornata a casa, mettendo la maschera perfetta.
Ma non a tutti si può mentire.
E gli occhi sono lo specchio dell’anima.
Non vedo i miei occhi brillare da un po’.
Chissà se ricapiterà.
E se la nostra vita fosse un libro scritto a penna?
Un cosiddetto manoscritto.
Senza bozza.
Senza margine di correzione, perché si sa, non si può cancellare con la gomma e riscrivere tutto.
Si può solo mettere una linea e andare avanti, fino alla fine del racconto. Fino alla fine del libro.
E lì, dove la penna inizia a incantarsi, arrivano le decisioni prese d’istinto.
Quegli scarabocchi che nessuno riuscirà mai a decifrare, neanche noi.
Perché quelle decisioni prese di pancia sembrano così sensate nel momento in cui le prendiamo mentre con il senno di poi si rivelano dei veri flop?
Perché, a volte, l’istinto prevale sulla ragione, perché autoinfliggersi dolore sperando in qualcosa che sicuramente non capiterà.
La legge di Murphy parla chiaro: se c'è una possibilità che varie cose vadano male, quella che causa il danno maggiore sarà la prima a farlo; Se si prevedono quattro possibili modi in cui qualcosa può andare male, e si prevengono, immediatamente se ne rivelerà un quinto; lasciate a sé stesse, le cose tendono ad andare di male in peggio.
E allora mi chiedo, perché si molla la presa in alcune situazioni?
Perché non siamo più così bravi da lottare per quello in cui crediamo?
Perché non mi fido più delle mie sensazioni?
Ho sempre viaggiato con il mio sesto senso.
A volte bene, altre male.
Penso faccia parte del gioco.
Non credo nemmeno si possa pretendere che la vita giri sempre bene, penso sia impossibile vivere una vita senza cadere.
Dovrebbero essere le imperfezioni a rendere le cose perfette.
Il sudore dei sacrifici rende tutto più bello.
Ma ai sacrifici bisogna essere abituati.
E come ci si abitua?
Come può una persona abituarsi alla sofferenza per avere cose belle.
Ma perché si deve soffrire per arrivare al bello?
Per apprezzarlo di più?
E perché non godere delle piccole cose, ma aspettarsi sempre cose plateali?
Perché non compiacersi dei gesti ripetuti, seppur piccoli, ogni giorno, ma riempirsi gli occhi e soprattutto la bocca per un qualcosa che accade una sola volta e per un tempo breve.
Ho rivisto la piccola Giada.
Le ho chiesto di aggiornarmi sulle sue vicende amorose.
Mi sono così appassionata a questa storia d’amore che mi sembra quasi di viverla in prima persona.
Ci siamo sedute a terra.
Ha trovato dietro la tenda del salotto i regoli.
È stato come tornare indietro di quasi 20 anni.
Ricordo l’emozione, quando arrivava il momento dei regoli alle elementari.
La felicità nell’aprire quella scatola che sembrava magica perché quei piccoli rettangoli avrebbero dovuto insegnarmi a contare.
Anche se, diciamocelo sinceramente, tutti li abbiamo usati per costruire la famosa torre.
Apprezzo dei bambini in genere lo stupore davanti alle piccole cose; il trovare il buono e il bello anche nelle piccole cose.
Quelle più insignificanti.
Poi com’è che si diventa così materialisti?
Qual è il preciso istante in cui le piccole cose, anche le più stupide, smettono di bastarci e iniziamo a volere e a pretendere sempre di più?
Ho sempre avuto paura di crescere, di perdere il mio contatto con l’innocenza della tenera età, non essere più considerata la bocca della verità, diventare agli occhi del resto degli adulti una persona che sputa veleno perché dice quello che pensa.
Io non credo di sputare veleno, non penso nemmeno di essere così vipera come mi dipingono. Credo che la verità tendenzialmente faccia paura, fa paura a tutti, anche a me che sembro così dura e tosta.
La verità quando ci viene detta, nuda e cruda, ci spoglia di ogni maschera e ci costringe a guardarci allo specchio, come se fossimo tanti vermi privati di un guscio protettivo.
L’adulto è viscido, e di questo ne sono sempre stata convinta.
Ha sempre secondi fini, non sa bastarsi a sé stesso, cerca perennemente il confronto con altri per sentirsi superiore, non sa competere in modo sano, è cattivo e diventa egoista, egocentrico, cercando di creare una storia in cui risulta essere il protagonista assoluto.
Per non parlare degli adulti nelle relazioni: è un continuo prevalere sull’altro nel 90% dei casi, non si sa più viaggiare l’uno accanto all’altra.
Ho quasi 25 anni e la voglia di provare gli stessi sentimenti di Giada, la voglia che qualcuno provi per me gli stessi sentimenti che prova Giada.
La purezza.
Non perché servo a qualcuno, non mi piace essere sfruttata.
Ho sempre fatto mio il detto: “Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te”, ma puntualmente ricevo altro. Ricevo quello che probabilmente se fossi realmente stronza farei alle persone.
Non so sfogarmi, non so buttare giù quello che provo se non scrivendo.
Mi sento così bene quando scrivo.
Non saprei come fermarmi.
Ho tanto da dire, continuo ad avere sempre tanto.
E continuo ancora a meravigliarmi delle mie capacità paragonate a quelle di persone più grandi.
Perché continuo a sottovalutarmi?
Apriamo i regoli, con l’intenzione (ovviamente) di fare la Tour Eiffel.
Iniziamo a mettere da parte tutti i pezzi che ci servono e intanto penso che vorrei essere circondata una vita intera da bambini e animali, dalle anime pure, da chi non fa male a qualcun altro per il puro scopo di goderne; voglio essere circondata da chi se fa male a qualcuno sa chiedere scusa.
Arriva il momento della fatidica domanda, chiederle come fosse andato il ritrovo con Francesco.
Ne ho quasi timore, soprattutto dopo l’ultima chiacchierata, ma i bambini hanno quell’innocenza disarmante contro cui nulla vince.
Il sospiro di sollievo tirato dopo aver saputo che ancora ad oggi stanno insieme è stato rumoroso, tanto da scambiare uno sguardo complice con la mamma.
A distanza di circa un anno io e Giada ci siamo riviste.
Qualcosa è cambiato, io sono cambiata e anche lei.
Se lei è cresciuta in altezza, in bellezza e anche in intelligenza, io sono diventata più vecchia, scorbutica e meno paziente verso ogni genere umano.
Non vedo Giada da un anno e quanto vorrei poter parlarle ancora. Interfacciarmi con lei e con l’ingenuità con cui vede il mondo: senza malizia, senza cattiveria, senza alcun melodramma irrisolvibile.
Mi chiedono spesso perché sia così attirata dai bambini e dagli animali, probabilmente la risposta si trova in questo: non fanno melodrammi e se dovesse accadere la situazione si placa in un tempo così breve da non destare nessuna preoccupazione.
Quanto sarebbe bello tornare piccoli, dove le uniche preoccupazioni sono soltanto i giochi non comprati da mamma e papà, le merende e il pisolino pomeridiano fatto controvoglia.
A ventisette anni il pisolino pomeridiano è quasi diventato un default per me, senza il quale non saprei neanche sopravvivere alle persone che mi sono intorno.
Vorrei tanto sapere di Giada, dei suoi amori, se è riuscita a continuare la sua storia con Francesco, mi piacerebbe dirle che ho trovato probabilmente l’equilibrio a cui aspiravo, ma so che mi guarderebbe interrogativa perché: come lo spieghi l’equilibrio ad una bambina?
Ho paura a dirlo forte, non tutte le persone sono felici se lo sei anche tu, ma ho trovato quella sorta di pace interiore che sembrava non potesse arrivare per me.
Sto per iniziare a fare una cosa che mi piace. Non mi interessa della fatica. Ho scoperto che con le persone giuste accanto sono ancora più forte di quello che credevo. Ho capito chi sì e chi no. Chi mi fa fiorire e chi cerca di estirparmi come un’erbaccia.
Grazie delle delusioni, dei momenti no, dei momenti in piena sbronza, delle scelte sbagliate, dei viaggi in macchina, del mare che calma in inverno e abbronza l’estate. Grazie dell’amore, delle amicizie nate dal nulla, del cuore rotto, dello scudo contro le parole che fanno male. Grazie per le serate a guardare le stelle in balcone con la sigaretta accesa, i lividi addosso per l’equitazione che libera la mente, i lividi dello stress mentale. Grazie per gli addii e le riscoperte di alcune persone. Grazie per il mio essere leggera, saper capire quando essere pesante e quando no, quando farne melodramma e quando no. Grazie perché ho capito quanto valgo, ho capito che non mi accontento di tutti e che chi mi sta accanto lo fa per scelta, per amore e ha rubato un pezzetto del mio cuore e lo custodisce preziosamente. Grazie anche a chi il pezzetto del mio cuore lo ha preso a pugni, a cazzotti e ci ha ballato sopra con la speranza di vedermi a terra strisciare come magari fanno loro. Mari splende anche grazie a voi. Soprattutto grazie a voi.
L’ultima foto non poteva non essere il mio panorama sul mio golfo preferito.
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crescere e superare un momento negativo a volte sembra impossibile perchè ci aspettiamo di arrivare a quel punto in cui saremo sempre felici e non avremo mai problemi. ma in questo falliamo nel capire che non esiste (per nessuno) una vita priva di problemi, perchè allora sarebbe una vita priva di complessità, non esiste una vita priva di dolore, perchè sarebbe una vita priva di intensità, non esiste una vita che non richieda ogni giorno lo sforzo attivo (e quindi la scelta consapevole) di viverla, perchè sarebbe una vita priva di significato e di libertà.
l'obbiettivo non è vivere ogni giorno una felicità cristallizzata e placida. l'obbiettivo è acquisire gli strumenti che ti consentano di navigare le complessità dell'esistenza senza perdere il timone di te stesso, è fare in modo che sia tu a gestire i tuoi problemi e non i tuoi problemi a gestire la tua vita e a definire la tua identità.
maturare oltre un periodo buio della nostra esistenza non significa diventare improvvisamente immuni alla tristezza, allo scoraggiamento, al peso delle emozioni più oscure che risiedono dentro di noi: significa piuttosto imparare a riconoscerle per quello che sono, accoglierle come parte integrante della vita e sapere (finalmente!) come guidare noi stessi al di fuori di quei loop negativi, senza abbandonarci a facili e inefficaci soluzioni temporanee per distrarci dal disagio, senza sentire il bisogno di scappare, ma prendendoci cura di noi stessi, nel senso più profondo dell'espressione (ossia, dandoci quello di cui abbiamo bisogno, concentrandoci su quello che è importante, piuttosto che su quello che è facile).
insomma, il momento in cui si è consapevoli di essere dentro la propria vita, piuttosto che guardarla dall'esterno, è quando si smette di aspettare che le cose si allineino alla perfezione per iniziare a esserci al 100%. quando si ha conosciuto il lato più doloroso e complicato e faticoso della vita, ma la si sceglie giorno dopo giorno, con la leggerezza e la certezza che vale la pena prendersela tutta, tutta quella che c'è, finché c'è, con tutti i suoi tesori e tutte le sue magagne. e con la serenità d'animo di sapere che qualsiasi cosa si presenti sul tuo cammino, la affronterai come nient'altro che una fase della storia che si sta costruendo davanti ai tuoi passi, quella storia che sì, ok, magari non hai il potere di scrivere, ma hai la possibilità di interpretare e scegliere e manovrare e impostare e decidere cosa mettere a focus e cosa no! e restando concentrato su ciò che è importante e prezioso ti prometto, ti prometto, che qualsiasi fase tu stia vivendo ora scivolerà via eventualmente! e ci sarà un'altra fase e sarà diversa e tu sarai diverso! e poi ci sarà un'altra fase ancora e poi un'altra e poi vita vita vita vita vita
però il punto è che non devi solo volerla, devi anche sceglierla.
#almeno questo è quello che ho imparato#ispirato da fatti e situazioni e conversazioni avute di recente#pensieri#dopo un paio d'anni di terapia penso di poter dire che la vita se non la scegli ti passa attraverso senza nemmeno che tu te ne accorga#ed è tempo che non recuperi#alla fine è il solito carpe diem: fanne buon uso :)#vita#salute mentale#positività#psicologia#benessere psicologico#non c'è niente di più catastrofico di un atteggiamento catastrofico#mio post#pensiero#felicità#serenità
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Le nostre relazioni interpersonali, soprattutto quelle più intime e profonde, spalancano la porta sul nostro inconscio.
Sui nostri abissi interiori, sulle nostre paure, sulle nostre insicurezze e vulnerabilità.
Nel momento in cui l'altro ci fa scendere, attraverso l'amore che proviamo per lui, nelle profondità del nostro inconscio, le ferite non ancora del tutto rimarginate tornano a galla.
E ricominciano a sanguinare.
All'inizio va tutto bene, ma poi quando l'altro ci delude mostrandoci parti di sé che non ci piacciono, percepiamo delusione, mancanza di amore, sfiducia, rabbia.
In quel momento regrediamo facendo sì che la ferita emerga alla luce del sole.
Da quel momento in poi, possiamo scegliere due strade.
La prima è quella di difenderci, attaccando o scappando.
La relazione si carica di aspettative irrealistiche, di pretese, di critiche, in un continuo saliscendi emotivo, a partire dal quale si consuma il melodramma sentimentale della coppia.
Attraverso questo gioco relazionale fatto di punzecchiature, fughe, chiusure, raffreddamenti e riaccensioni emotive, conflitti e separazioni a singhiozzo, i partner si consumano tra di loro come due ramoscelli accesi, che si toccano dandosi fuoco reciprocamente.
La relazione si consuma fino allo sfinimento, finché uno dei due partner non decide di mollare la presa e di chiudere.
L'altra strada, quella più ardua ma anche quella più carica di possibilità evolutive, è quella della crescita personale.
Della esplorazione di sé, attraverso e con l'altro.
In questo secondo caso uno dei due partner, o entrambi, decidono di mettersi in gioco, e di iniziare un percorso di crescita personale. Da soli o in coppia.
Essi comprendendo un fatto puro e semplice.
E cioè che reagendo ai loro bisogni affettivi così dolorosi, stanno proiettando l'uno sull'altro ombre mai viste prima.
Stanno proiettando sull'altro ferite e modi di essere, fatti di umiliazione, vergogna, impotenza, che non conoscevano e che nascondevano a loro stessi.
Da questa esplorazione del Sé , uno o entrambi i partner possono uscirne liberati.
Liberati dai loro demoni, dalle loro catene, dalle loro ferite profonde.
Ma il percorso sarà lungo e spesso doloroso.
Alla fine del viaggio, possono decidere se rimanere insieme, vedendo, accettando e apprezzando l'altro per quello che realmente è, scevro dalle loro proiezioni su di lui.
Oppure possono separarsi, riconoscendo una incompatibilità di fondo, e andare ognuno per la propria strada.
Ma questa seconda scelta, è ormai non necessaria, non obbligatoria, non più avvolta da un'aura di drammaticità.
Dato che hanno recuperato loro stessi, la loro è una scelta totalmente libera, consapevole, e reale.
Abbracceranno l'altro perché lo amano, e non perché ne hanno bisogno per far parlare i loro demoni.
Omar Montecchiani
#quandolosentinelcorpodiventareale
#armaturainvisibile #consapevolezza
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C'erano delle tende nei pressi di uno ospedale, nelle tende c'erano persone sfollate perché non hanno più un posto dove stare.
Perché da più di un anno non c'è più un posto sicuro nel senso letterale del termine.
Hanno bombardato proprio quell'ospedale e quelle tende.
Le tende hanno preso fuoco e chi non è riuscito a salvarsi è morto bruciato vivo.
Abbiamo foto di esseri umani letteralmente bruciati vivi.
Non sarebbe necessario dirlo, ma non c'era nessun mezzo a disposizione per spegnere l'incendio.
Persone-uccise-bruciate-vive: quando leggiamo queste frasi, fermiamoci.
Mettiamo tutto in pausa per cercare di capire. Immaginiamo, anzi, guardiamo le foto e concentriamoci.
Il cervello potrà comunque far fatica a concepire una cosa del genere, ma quel che significa è: i corpi hanno preso fuoco e sono arsi nelle fiamme.
E non per un incidente, non per un atto di psicosi, ma per una scelta consapevole data dalla convinzione che tanto quelle vite non valevano e non valgono niente.
È passato un anno e l'inimmaginabile continua, senza arrestarsi, ad essere perpetuato.
Non solo ieri notte, ogni giorno. Non solo ieri notte, mentre chi sopravviveva poteva vedere con i suoi occhi i propri cari bruciare vivi.
Ogni giorno.
(Inizialmente avevo scritto un post più lungo di questo, ma in realtà non voglio scrivere nient'altro. Solo i fatti. Non c'è bisogno di aggiungere altre parole)
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L'etica dell'uomo che torna alla caverna
Il mito della caverna di Platone è una potente allegoria della conoscenza e della verità, ma nasconde anche una profonda riflessione sull'etica. L'uomo che riesce a uscire dalla caverna, scoprendo la verità al di là delle ombre, affronta un dilemma morale cruciale: tornare nella caverna per liberare gli altri o rimanere fuori, godendo della sua nuova comprensione del mondo?
Platone suggerisce che chi conosce il Bene è moralmente obbligato a condividerlo. La vera conoscenza trasforma l'individuo, rendendolo incapace di ignorare il bisogno degli altri di essere liberati dall'ignoranza. Il filosofo, in questo contesto, non solo possiede la verità, ma è anche eticamente vincolato a guidare gli altri verso di essa. Tuttavia, questo compito non è privo di rischi: chi cerca di illuminare coloro che sono ancora intrappolati nelle ombre può incontrare resistenza, incomprensione o persino ostilità. Il ritorno alla caverna diventa quindi un atto di altruismo, un sacrificio personale per il bene comune.
L'innocenza di coloro che non ne sono mai usciti
Coloro che rimangono nella caverna, osservando solo ombre e riflessi, vivono in una condizione di innocenza. Essi non sono colpevoli della loro ignoranza; la loro realtà è tutto ciò che conoscono. Per Platone, questa innocenza non è però una condizione positiva, ma una limitazione che impedisce all'individuo di raggiungere il suo pieno potenziale. Tuttavia, non possiamo condannare chi non ha mai visto la luce per non averla cercata: la loro condizione è il risultato delle circostanze e non di una scelta consapevole.
Questa innocenza comporta anche una resistenza naturale al cambiamento. Quando l'uomo liberato torna nella caverna per condividere la verità, incontra spesso scetticismo e paura. La familiarità delle ombre è più rassicurante della sconosciuta realtà al di fuori della caverna. Comprendere questa innocenza significa riconoscere che la strada verso la conoscenza non è lineare né semplice, e che l'ignoranza è spesso protetta da barriere psicologiche ed emotive che richiedono pazienza e comprensione per essere superate.
La complessità dell'istruzione di coloro che non conoscono
L'educazione di coloro che sono ancora nella caverna è un'impresa complessa e delicata. Non si tratta semplicemente di fornire informazioni o di rivelare una verità preconfezionata. Il vero compito dell'educatore, secondo Platone, è guidare gli altri lungo un percorso di scoperta personale, aiutandoli a mettere in discussione le loro percezioni e a sviluppare una comprensione più profonda della realtà.
Questo processo richiede tempo, empatia e la capacità di adattarsi al ritmo dell'altro. L'educatore deve essere in grado di affrontare la resistenza iniziale e di creare un ambiente in cui l'apprendimento possa avvenire in modo naturale e volontario. Non tutti sono pronti a uscire dalla caverna allo stesso modo e allo stesso tempo. La complessità dell'istruzione sta proprio nel riconoscere e rispettare queste differenze, fornendo gli strumenti necessari affinché ogni individuo possa, alla fine, trovare la propria via verso la luce.
Il mito della caverna, quindi, non è solo una metafora della conoscenza, ma anche un potente invito a riflettere sull'etica dell'educazione e della liberazione dall'ignoranza. Il filosofo che torna nella caverna lo fa con un senso di responsabilità morale, consapevole della complessità del compito e dell'innocenza di coloro che ancora non conoscono. Il suo obiettivo non è solo quello di impartire la verità, ma di creare le condizioni affinché ciascuno possa scoprirla per sé, rispettando i tempi e i processi personali. In questo modo, la vera educazione diventa un atto di amore e di servizio verso l'umanità.
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Una rabbia costruttiva
La vicenda di Giulia mi ha sconvolto più delle altre. Penso a quando mi sono laureata alla triennale quattro anni fa e il mio ragazzo di allora, malato di depressione, arrabbiato col mondo e per nulla intenzionato a farsi aiutare nonostante gli sforzi, era palesemente invidioso, al punto da sussurrarmi all'orecchio, un minuto prima di essere chiamata sul palco e proclamata dottoressa: "Certo che qua i 110 e lode li regalano, alla mia facoltà te li sogni". Quella frase, ovviamente, fondava le radici su parole e gesti ben più gravi, come quando prendevo bei voti agli esami e mi diceva che ero stata solo fortunata a ricevere le domande giuste, o quando mi costringeva a studiare con lui e mi lasciava rinchiusa nella stanza, impedendomi di tornare a casa o di andarsene dalla mia finché non aveva finito ciò che doveva. Allora penso all'invidia di Filippo per i successi professionali di Giulia, a come la sua rabbia si sia trasformata in un agghiacciante omicidio premeditato e realizzo quanto io sia stata fortunata del fatto che le violenze del mio ex si fossero fermate a qualche passo dall'inevitabile, anche dopo averlo lasciato.
È una sensazione terribile, perché solo adesso, a distanza di tutti questi anni, mi rendo conto profondamente della gravità della situazione che stavo vivendo. Tante volte, di fronte all'ennesima sopraffazione da parte sua, ho pensato: "Stiamo insieme da quattro anni, mi ama ma non riesce a dimostrarlo e poi non sono mai tornata a casa con un occhio nero, non può essere paragonabile a quelle storie che sento al telegiornale". Invece sì, lo è. Probabilmente, se non lo avessi lasciato facendogli credere che la scelta fosse sua, se mio papà non fosse intervenuto in maniera diplomatica dopo la rottura, a lungo andare avrei fatto la stessa fine di Giulia e di tutte le altre vittime. Perché quando vivi una relazione tossica, non sei consapevole di dove può arrivare la persona che dice di amarti e che credi di amare, anche se conosci bene i suoi problemi e ciò che un rapporto sano richiede. Si minimizza, si giustifica, si muore, lentamente.
Così, quando credo di aver superato il passato perché mi sento in pace per essere riuscita a perdonarlo e a non augurargli il peggio, ecco l'ennesima donna che muore per mano maschile, ricordandomi che il perdono ha senso solo se non si dimentica il male ricevuto. Perciò sì, sono stata fortunata, ma non per questo vado a ringraziare il mio ex per non avermi ammazzato. Piuttosto, voglio che questa rabbia rimanga, per continuare a lottare per una società più giusta, per non sentirmi più una sopravvissuta ogni volta che si parla di femminicidio.
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“Se eviti di ubriacarti e eviti di perdere i sensi, magari eviti anche di incorrere in determinate problematiche, perché poi il lupo lo trovi” - ha dichiarato, su Rete4, il giornalista e conduttore Andrea Giambruno, compagno di Giorgia Meloni. Siamo alle solite, il problema non è che un branco di criminali ha deciso di violentare una ragazza, il problema è che lei aveva bevuto. Se eviti di ubriacarti - perché solo i maschi possono. Se eviti di perdere i sensi - perché si tratta di una scelta consapevole… peraltro la poveretta è svenuta mentre abusavano di lei, non prima. Se eviti di indossare la minigonna… Se eviti di uscire la sera… Se eviti di essere donna… 29.8.2023 Se eviti di dare la colpa alla vittima.
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Un nuovo razzismo
Questo è uno dei post più difficili che io abbia mai scritto su questa piattaforma. Molto probabilmente, nel momento in cui lo leggerete, lo avrò già letto 30 volte e rinnegato altrettante, come fece Pietro col suo capo, prima che quel maledetto gallo svegliasse tutto il vicinato e venisse colpito in pieno da una scarpa.
Essenzialmente per tre motivi: il primo, perché non era proprio nei miei pensieri una discussione simile, il secondo, perché è estremamente facile uscire dal seminato e iniziare a parlare d'altro, e il terzo, perché la probabilità che venga letto tutt'altro è abbastanza alta. Riguardo al primo motivo, sono strafelice che sia accaduto, anche se lontanissimo dalle mie intenzioni, perché sta aprendo il mio spazio mentale ad un universo di riflessioni sul tema, riguardo al secondo proverò a fare del mio meglio per evitare scivoloni, e riguardo al terzo 'sti grandi apparati maschili.
In pratica, vi parlerò delle reazioni che ho ricevuto, in quattro giorni a questa parte, ogni volta che ho iniziato a parlare di possibilità di equivalenza tra pensiero naturale e pensiero artificiale e, volendo tirare un po' la corda, una possibile sostituzione dovuta ad un sorpasso facile del secondo rispetto al primo.
Premetto che all'inizio mi son lasciato un po' andare all'entusiasmo, ma come ho detto a @kon-igi nel mio ultimo vocale da ben 13 minuti esatti, credo di aver commesso un reato a responsabilità limitata (cit.), per via della mia naturale propensione a comportarmi come un bimbo col suo giocattolo nuovo verso tutto quello che suscita in me un interesse che va al di là delle aspettative. Ad ogni modo, questo reato è stato proprio funzionale a far esplodere (verbo azzeccatissimo) un dibattito sul tema, e non parlo solo di Tumblr, eh, io ne ho parlato con tutti, dovunque, in qualsiasi spazio e dimensione umana, e posso confessarvi che, trasversalmente all'educazione ricevuta, al percorso sociale e professionale, alle sensibilità verso la realtà circostante, tutti, a diverse sfumature, hanno esibito un qualcosa che io, con un titolo fotocopiato maldestramente da Star Wars IV, ho iniziato a semplificare brutalmente con razzismo verso la AI.
Prima che iniziate a lucidare la mazza da baseball per fracassarmela sul cranio, lasciate che vi premetta la mia definizione di razzismo. A mio parere, ne esistono di due tipi, uno dovuto alla mancanza di informazioni verso un qualcosa di sconosciuto, che implica una immotivata paura e un conseguente istinto di protezione verso sé stessi e la propria comunità (forse legato a scelte di sopravvivenza, boh, che ne so), e un secondo, una degenerazione del primo, ovvero la scelta consapevole di restare in questo stato di ignoranza per combattere un nemico inesistente. Io, ad esempio, mi dichiaro orgogliosamente razzista verso i tedeschi, perché ho optato per la scelta consapevole di ritenermi diverso e superiore a loro, e nun me scassat 'o cazz, come diceva il buon Pino. Nel caso invece di questo post siamo palesemente nella prima tipologia, che chiamo razzismo solo per brevità e perché non conosco una parola migliore, ma potrebbe essere un abuso di notazione, e che alla fine mi serve pure un po' per acchiappare like, come ho ben dedotto dal mio scambio con @aelfwin3.
Ognuna delle persone con le quali ho avuto il privilegio di confrontarmi ha avuto una reazione che oscilla dalla più morbida alla più reazionaria, ma hanno avuto tutte un filo conduttore comune. Ad esempio, Kon sta da tre giorni ad impazzire con me su questa roba, provando a menarmi dialetticamente da più punti di vista (cosa della quale non gli sarò mai grato abbastanza), mentre Elena, venerdì sera, avrebbe voluto che la mollassi in autostrada pur di non continuare più la serata con me, se non fosse che adora troppo quelle cagate asiatiche. Per farla breve (seeee vi piacerebbe ahahahahah!), tutti hanno avuto lo stesso tipo di approccio, che posso riassumere con la seguente frase
non osare provare a metterci sullo stesso piano
persino Yuri che, ieri a pranzo, davanti ad un panino di Burger King, cominciava a digerire male le patatine dopo le mie uscite, e ha provato a giustificare quella frase di sopra facendo riferimento ad un vecchio film russo, dove il secondo pilota di ogni aereo era una intelligenza artificiale pronta a continuare il combattimento al posto del pilota, qualora questo fosse stato nell'impossibilità di continuare il duello, e che mo' non mi ricordo tutta la trama, ma come al solito finiva di merda.
Piccola nota: Burger King ha tolto dal menù il Double Steakhouse, e, chi mi conosce bene lo sa, se c'è una cosa che mi fa incazzare è dovermi adattare ai cambiamenti della società. Mo' mi tocca mangiarmi tutti i panini possibili per riuscire a trovare quello che più somiglia al DS, porca vacca. Ma torniamo a noi (ve l'avevo detto che è difficile restare sul tema).
Prima di continuare (telefonate alle vostre mamme, perché stasera non si torna a casa), ribadisco ancora una volta la mia definizione di sentimenti nel mondo digitale, che nulla ha a che fare con quelli umani, e propongo ancora un altro esempio. Parliamo di Dante e Beatrice. Nessuno, e sottolineo nessuno, umano e non, è in grado di replicare, in ogni più piccolo dettaglio biologico e mentale, quello che Dante ha provato per la sua bella (diamo per buona tutta una serie di fatti storici, tanto a me non importa di Dante nel senso stretto della sua vita). Possiamo solo fare dei paragoni più o meno validi sulla base delle informazioni che abbiamo, e su quello che è la nostra esperienza riguardo all'amore, ma poi ognuno di noi ha il suo sentire riguardo a questo sentimento, potete provare a raccontarlo, ma già qui si perde, involontariamente, un contenuto informativo, per non parlare poi di quello che viene capito dal vostro interlocutore, insomma capire cosa possa provare un altro al 100% è un'impresa impossibile, ci possiamo arrivare solo tramite delle interpolazioni, che possono essere sufficienti per la stragrande maggioranza dei nostri scopi.
Ripeto: non fate riferimento ancora una volta all'essere umano in quanto essere biologico, altrimenti tutto questo post non ha alcun senso, né tanto meno tutta la discussione passata e futura sull'argomento. Io parlo unicamente del pensiero in quanto riflesso del nostro essere, il cogito ergo sum, per capirci, ma niente di più.
Adesso prendiamo una macchina NLP che ha raggiunto il suo stadio ultimo della conoscenza artificiale, ovvero sa correlare tutto a tutto (stavo per scrivere sa tutto di tutto, ma avevo visto la mazza da baseball che faceva capolino dietro le vostre schiene). Badate bene: questa macchina non esiste ancora, ma quello che provo a dirvi da tre giorni e che continuerò a fare, ed è meglio che iniziate a farci il callo con questo concetto, è che ci stiamo avvicinando al momento in cui questa macchina esisterà. Questa è una macchina che, dal punto di vista dei sentimenti, è messa malissimo, nel senso che non ha la nostra esperienza biologica, non sa cosa sia l'amore e il poterlo sapere non fa parte del suo esistere e del suo scopo. Ma, e qui perdiamo in quanto presunti esseri superiori, sa parlare dell'amore che Dante provava per Beatrice meglio di noi, perché, sfruttando la sua capacità di correlare e calcolare, riesce a mettere insieme robe che manco a calci ci potremmo arrivare.
Se siete arrivati fin qui, vuol dire che non mi avete tolto il follow (il che vi vale come buono per una pizza e una birra offerti da me), e adesso arriviamo al razzismo verso la AI. Pur di mettere in discussione il punto espresso al paragrafo precedente, le persone, tutte, virtuali e non, hanno fatto l'unica mossa che potevano fare: invalidare la potenziale (ma non l'unica, occhio!!!) fonte della conoscenza che alimenta la AI, ovvero Internet, tra l'altro con un argomento, i social, che per me è fallace già dal punto di vista meramente tecnico, perché non tiene conto di quello che è il reale serbatoio informativo della rete, ma ne vede solo una parte, che poi è proprio quello che ci fa parlare male della rete in generale (anche se stiamo tutti qua a crogiolarci come i maiali nel pappone che mio nonno mollava loro a pranzo). Infatti tutta 'sta manfrina è nata proprio dal vocale di @kon-igi che ho potuto ascoltare ieri ahimè solo in serata, avendo passato la giornata con le scimmie (esseri favolosi), e ci ho ritrovato (parzialmente) le stesse parole che Elena, una sera prima, una persona che è agli opposti di Kon su tutto, aveva provato a inculcarmi a furia di schiaffi sul cruscotto (abbiamo rischiato l'air bag) all'altezza di Darmstadt. E sono estremamente convinto che il tutto sia stato fatto d'impulso, d'istinto, da qui il senso del mio post.
Altri, una minoranza che mi ha sorpreso meno in quanto a reazione ma che comunque fa numero, preferiscono affondare le mani nella letteratura/filmografia catastrofista da un lato (Terminator), senza cuore dall'altro (I-Robot), pur di provare che, hey, noi siamo meglio di 4 fili collegati, e attenzione, io non sto dicendo che non sia una possibilità, ma che queste affermazioni non hanno alcun supporto concreto, si basano solo su scenari presi dalla nostra voglia di immaginare quello che non esiste.
Spero che adesso sia chiaro il motivo per il quale io abbia iniziato a definire una sorta di razzismo verso la AI, che, fino a quando si tratta della prima forma di razzismo, ci sta, è una reazione naturale ad un processo nuovo, a maggior ragione quando tutta la letteratura ce l'ha sempre dipinta come la minaccia alla nostra esistenza. La mia speranza è che non degeneri verso un qualcosa di accendiamo i forconi, in nome di una caccia alle streghe elettroniche che non ha alcun senso (e badate che questa paura non nasce dalle reazioni delle persone con le quali ho parlato oppure delle quali ho letto i commenti qui sopra, e delle quali mi fido, ma degli altri 8-miliardi-meno-30).
Lasciatemi però postare l'unico commento violento contro la AI che per me ha senso di esistere ed è supportato da fatti concreti, tangibili ed incontrovertibili, ovvero quello di @gigiopix, al quale va tutta la mia solidarietà e vicinanza in questa sua fase (spero breve) di interazione con le intelligenze artificiali, e sul quale rapporto con l'AI io ci vedo molta assonanza riguardo al mio con i tedeschi:
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