#romanzi apocalittici
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pier-carlo-universe · 7 days ago
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Tramonto d’Inferno di Antonella Di Martino: l’umanità al limite della sopravvivenza. Recensione di Alessandria today
Antonella Di Martino racconta un conto alla rovescia verso la fine, tra emozioni e riflessioni profonde
Antonella Di Martino racconta un conto alla rovescia verso la fine, tra emozioni e riflessioni profonde Recensione: “Tramonto d’Inferno” di Antonella Di Martino è un romanzo che si snoda come un crescendo drammatico, ambientato in un mondo in cui il tempo sembra scorrere inesorabilmente verso la catastrofe. La frase di copertina, “Mancano poche ore alla fine”, introduce immediatamente il…
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giulianafacchini · 1 year ago
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No Borders, come nascono le mie storie
Esisteranno sempre ragazzi rivoluzionari e ragazze rivoluzionarie perché solo loro sanno mostrarci il domani migliore. No Borders è il secondo capitolo di una storia iniziata con Borders. Fin da subito sapevo che sarebbe stato un romanzo lungo, anche se non sono una che inizialmente pensa troppo alla struttura. Era più un sentire, un bisogno lungo di raccontare, pieno di domande senza risposte,…
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m2024a · 11 months ago
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https://notizieoggi2023.blogspot.com/2024/02/la-poesia-deve-alzare-le-proprie.html La poesia deve alzare le proprie barricate contro l'invasione dell'antiumanesimo Soltanto chi come me, o come qualcuno dei miei lettori, ama davvero la letteratura si rende conto, senza ipocrisia, che nella società odierna e per le attuali classi dirigenti la letteratura è diventata un impiccio, un residuato, qualcosa da portare in cantina a riempirsi di polvere. Oggi è, o sembra, tutto finito. Inutile ricordare agli uomini della politica e dell'economia, qualunque sia il loro colore politico, che se l'Italia non è rimasta una espressione geografica, ed è nata in quanto entità storica e statuale è stato soprattutto perché l'hanno sognata, preconizzata, amata i poeti, da Dante a Petrarca, da Foscolo a Manzoni al giovane Leopardi, da Carducci a D'Annunzio, da Ungaretti a Pasolini. Inutile ricordare che l'Italia è prima di tutto la sua lingua meravigliosa e dorata, è il suo patrimonio inesauribile d'anima, d'arte, di poesia, di musica. Sembra che sia chiaro soltanto tra i pochissimi grandi uomini rimasti in Italia, penso a Riccardo Muti. Sono venuti in odio i modelli eccellenti, erosi da un falso egualitarismo straccione, e dal dominio dei social, dove «uno vale uno» e il primo pirla può impunemente apostrofare un premio Nobel: fenomeno che condannò anche Umberto Eco, non sospettabile certo di simpatie per gli «apocalittici» nemici della modernità. La scuola, disastrata in maniera equanime da governi di sinistra e di destra sino all'abominio grillino dei banchi a rotelle, ha ridotto lo studio della letteratura a pochi autori, spesso soltanto del Novecento, ignorando i classici e il loro splendore e, di fronte ad ancora tanti bravissimi insegnanti, c'è sempre qualcuno (a volte ministri come il non rimpianto Franceschini) che preme per dare più spazio a fumettisti, saltimbanchi, cuochi, comici, rapper, trapper, cantautori, dj, influencer: seguendo pedissequamente ogni moda. Si è inventato il binomio scuola lavoro, come se l'insegnamento invece di formare prima di tutto esseri umani nella loro interezza dovesse formare pizzaioli, con tutto il rispetto per la categoria. Il lavoro della scuola era far crescere il sapere e l'anima del ragazzo, la sua comprensione di se stesso, della società, della storia, del mondo. E niente poteva farlo meglio di quell'antico ma sempre nuovo sistema di conoscenza che è la Letteratura. Niente formava di più e più in profondità che leggere poesie e romanzi, grandi strumenti di educazione al destino. Niente formava di più che il pensiero dei grandi, da Machiavelli a Galileo, da Vico a De Sanctis. Intendiamoci, non è che oggi non ci siano più quelli che scrivono poesie e romanzi. Ormai il 90 per cento degli italiani ha pubblicato un romanzo, i social diffondono a piene mani poesia, e chiamano poesia anche ogni incolpevole vagito e belato sentimentale. Ci sono in giro migliaia di sedicenti autori che scrivono tutti allo stesso modo, carino e insignificante, quasi sempre lontani da ogni scossa metafisica, da ogni senso del mistero, da ogni empito fantastico, e riducono il romanzo a qualche bella frase, a qualche trovata, o a tanto lacrimoso patetismo autobiografico. Eppure in questo mare magnum, dove nessuno distingue più niente da niente, ci sono ancora libri appassionanti e autori veri. Fiorisce la letteratura di genere, dove almeno persistono i temi eterni del male, della giustizia, della verità, e che il mercato premia (cosa che è vano vituperare): io leggo con piacere per esempio Donato Carrisi, e quando mi è capitato di conversare con Maurizio De Giovanni ho toccato con lui temi a me cari come il mito con più vivacità che con autori snobbetti e un po' premiati, magari usciti dalla celebratissima scuola Holden. Poeti veri e grandi, penso ad esempio a Milo De Angelis, esistono ancora. E ogni giorno ricevo testi di giovani che credono nella poesia e scrivono in cerca di nuove forme del vivere e di assoluto. Scrittori di alta qualità ci sono, Sandro Veronesi, Antonio Scurati, Eraldo Affinati, per esempio. E ci sono i critici, penso a Giorgio Ficara, a Alfonso Berardinelli, a Massimo Onofri, a Silvio Perrella, per altro saggisti e scrittori in proprio: ma esiste sempre di meno lo spazio editoriale e istituzionale per esercitare l'importantissimo compito della critica, vagliare la produzione letteraria, individuare i valori più forti, non transeunti, seguire gli autori, sostenere una tendenza. Oggi tutto è effimero, volatile, virtuale. Leggero: ma non si dica con criminale menzogna che è la leggerezza di Italo Calvino: tutt'al più è quella di Luciana Littizzetto. A cui preferisco le giovani tiktoker, che quando cinguettano innamorate di un titolo possono anche riservare sorprese, magari stanno rileggendo e rinverdendo un classico... Il vuoto è prima di tutto un vuoto sociale, culturale, spirituale. Ed è da connettersi al crollo dell'umanesimo, che dalla Firenze del Rinascimento sino all'esistenzialismo di Sartre e di Camus aveva innervato la cultura europea. Per molti esponenti del mondo intellettuale l'essere umano non è più al centro della società, l'essere umano intero, in carne ed ossa, con i suoi bisogni, i suoi desideri, le sue debolezze, la sua follia, la sua capacità di ribellione, di autodeterminazione del proprio futuro. Ed è caduto a picco il senso della Tradizione, che è da modaioli imbecilli vedere come passato e polvere, mentre è conoscenza attiva e critica delle radici e insieme forza propulsiva per proseguire nella costruzione di una civiltà. La letteratura è stata a lungo il midollo spinale (l'espressione è di Jacques Attali) di una Nazione. E certamente di quella Europa che per primo Victor Hugo sognò come «Stati Uniti d'Europa». Senza letteratura, senza poesia, senza il primato dello spirito si configura una società non liquida, come vuole una celebre definizione sociologica, ma smidollata, un'Europa vaso di coccio tra le Potenze del nuovo ordine mondiale, prona di fronte alle insidiose idiozie nichiliste della cosiddetta cancel culture che ha soffiato dall'America in questi anni e alla fine si è rivelata una cultura della cancellazione, o del tentativo di cancellazione, guarda caso, proprio della parte gloriosa della cultura europea, oggi indifesa, incapace di reagire, di ritrovare l'orgoglio e l'amore di se stessa. Per la prima volta nella storia dell'umanità al vertice dei valori, come potere assoluto e incontestabile, è rimasta l'economia, declinata come finanza e profitto. E per la prima volta nella storia dell'umanità tutto il resto viene considerato un ingombro, qualcosa di attardato e inutile: il sacro, l'ideale, la gratuità, il valore, l'onore, la bellezza spirituale, la ribellione: il tesoro millenario della letteratura, da Omero a Borges. Il primato totalitario del profitto non ha niente a che fare col liberalismo che conosco io, quello di Benedetto Croce, Panfilo Gentile, Salvador De Madariaga. È in realtà un feticcio, un idolo, un Vitello d'Oro senza nessun Mosè in vista pronto ad abbatterlo: una irresistibile forza disumanizzante. Il pericolo, senza un nuovo umanesimo per il XXI secolo, è che si corra verso un'era di uomini-macchina, in balia di piccoli desideri indotti dalla pubblicità (e non so ancora per quanto dai miserabili imbonitori elettronici detti influencer), un'era di esseri privi di carne, di anima, di sesso, di radici, di sogni, vacui consumatori di tempo libero, prodotti deperibili e altrettanto deperibili ideologie. Uno strumento di opposizione, di resistenza e forse di contrattacco rispetto alle forze dell'antiumanesimo è la voce legislatrice (anche se mai riconosciuta come tale) della poesia, quell'antico e attualissimo sistema di conoscenza dell'anima e dell'universo che chiamiamo letteratura. Per questo nel disegno dei dominatori tecnologici ed economici del mondo poesia e letteratura non devono valere più niente, non devono avere spazio né ascolto. O, come ho appreso interrogando Chat GPT, opere poetiche e narrative potranno essere prodotte, pulite e anestetizzate, dalla IA, «assolutamente sì». Non so se un disegno così riuscirà. Dico soltanto che se riuscirà, quando saranno abbattute le statue di Virgilio, Dante, Shakespeare, Michelangelo, Goethe, Beethoven, Voltaire, Tolstoj la civiltà europea sarà finita. A me questo disegno non piace, e sono disposto, cari lettori, ad avversarlo sino all'ultimo sangue. All'ultima pagina.
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geniac · 4 years ago
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Tina. Storie dalla Grande Estinzione
E’ uscito in questi giorni (27 ottobre 2020), il romanzo collettivo dell'Antropocene, Tina. Storie dalla Grande Estinzione (in cui ho contribuito nello spirito e con un mio scritto).
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La Grande Estinzione. La fine dell'Antropocene. Il collasso climatico, economico, infrastrutturale, sanitario, cognitivo che incombe sulle nostre fragili e complesse civiltà. La radicale messa in discussione del nostro status biologico e culturale sul pianeta: è il tema fondamentale del nostro tempo, il tema che ha ispirato TINA, l'autore-collettivo di questo libro. Un progetto che ha coinvolto più di 100 fra artisti e scrittori, per una raccolta di micro-romanzi e illustrazioni ispirati a scenari apocalittici, trasformazioni epocali, shift tecnologici e culturali. Dal Collasso dell'Età del Bronzo alle nanotecnologie, dalla Peste di Atene alla geoingegneria passando per la Brexit, l'ultimo albero sull'Isola di Pasqua, l'incontro tra Montezuma e Cortés, ?ernobyl'. Decine e decine di eventi X e cigni neri collegati tra loro da snodi tematici, connettivi logici, squarci visionari, inneschi di una reazione a catena fra scienza, narrativa, immaginario, capacità di pensare l'impensabile. TINA è un autore collettivo coordinato da Matteo Meschiari e Antonio Vena. Il nome ricorda e omaggia Tina Michelle Fontaine (1999-2014), una ragazzina nativa del Canada uccisa a 15 anni: una microapocalisse che fa parte dei tanti genocidi a bassa intensità con i quali scompaiono individui, lingue, tradizioni, mondi, possibilità. TINA è anche un acronimo: There Is No Alternative, rovesciamento dello slogan usato da Herbert Spencer, Margaret Thatcher e Francis Fukuyama per giustificare il regime neoliberista che ci ha condotti sulla soglia dell'abisso, alla fine della storia. 
Esce per Aguaplano e tutti i diritti saranno donati a Extinction Rebellion Italia
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pangeanews · 6 years ago
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“L’italiano prosciugaticcio di certi romanzi contemporanei mi lascia perplesso, noi siamo gente folle, è con il Barocco che abbiamo fatto il cu*o al mondo”: dialogo eccentrico con Fabrizio Patriarca
Fabrizio Patriarca, solida formazione letteraria e filosofica, è quanto di più lontano dalla schiera di ominicchi, delusi dal burosauro accademico, che accusano il sistema e i prosivendoli insensibili al talento per giustificare la propria frustrazione. Eppure era sulla buona strada, dopo laurea, specializzazione e dottorato, due opere di critica letteraria, Leopardi e l’invenzione della moda, del 2008 e Seminario Montale, del 2011, usciti entrambi per Gaffi. Classe ’72, non fa parte della generazione degli apocalittici, marginali che amano definirsi emarginati e che odiano Lagioia e Cognetti solo perché loro hanno raggiunto fama e ricchezza.  Fabrizio percorre orgoglioso la propria strada. Si sbatte, apre partita iva, approfitta del regime forfettario e sfodera nel 2016 un romanzo che fa discutere, Tokio Transit, per 66thand2nd. Chi lo legge non rimane indifferente: o lo odia, o lo saluta per la libertà e il caustico realismo che nulla concede all’aurea mediocritas. Tutto è eccessivo, enfatico, spericolato. Poi, il 7 febbraio 2019, quando Annamaria Franzoni, contemporanea Medea, ritrova la libertà, Minimum Fax pubblica L’amore per nessuno, che sulla figura della Medea Pop Annamaria Franzoni costruisce l’ossessione del protagonista e la chiave d’innesco della trama. Non avevo alternative: l’ho incontrato.
Mi sono divertito: il tuo è un libro spassoso, scorre via senza momenti di stanca, ottimo per l’autobus o la metro. Personalmente mi è bastato un volo d’aereo e l’attesa al gate. Eppure. Mi chiedo, e ti chiedo: ma com’è possibile? Il fatto è che L’Amore per nessuno non fa nulla per rispettare le regole del romanzo, seppure esplicitamente le citi continuamente, da Campbell-Vogler alle regole della buona sceneggiatura. Il plot scimmiotta eventi scatenanti e viaggi dell’eroe, ma depotenzia ogni possibile escamotage narrativo, lo svuota. Si tratta in realtà di un gigantesco collage di elzeviri, erudito, pieno di citazioni pop: digressioni, pezzi di costume, gossip. Come sei riuscito a farmi sorbire d’un fiato dodici capitoli (più l’epilogo) di un blob che tu stesso riconosci essere costituito da genuine seghe mentali? Parlaci dei tuoi segreti.
Sono cresciuto all’università in mezzo a falangi di fanatici heideggeriani, leggevo Walter Benjamin di nascosto, come un ladro, nel discreto cono d’ombra di un paio di cattedre compiacenti (Estetica, Mario Perniola; Letterature Comparate, Rosalma Salina Borello) – trattenevo frammenti di pensiero: l’arte può supporre la natura degli esseri umani ma non la loro attenzione. Rovesciando fruttuosamente il concetto per i miei lerci scopi: il romanzo suppone tutta una serie di regole – alcune codificate, altre ancora da codificare – ma non necessariamente la loro osservanza, e siamo al punto. Frequento il romanzo perché mi sembra resistere come forma libera, nonostante sia stretto d’assedio dai militanti dello schema, i maledetti “plottisti”. La buona architettura, in narrativa, non è una faccenda che puoi delegare solo agli intrecci, o alla funzionalità della singola pagina, altrimenti il barbuto George R. R. Martin l’avrebbe sempre vinta sul baffuto V. L. G. E. Marcel Proust. Credo insomma che la forma romanzo sia ancora abbastanza accogliente da permettere una sana biodiversità degli scrittori. Le analisi alla Campbell-Vogler sono entusiasmanti, perché ti svelano un arco, e sono senz’altro efficaci, finché non diventano manualistica. La manualistica al massimo produce replicazione dello schema, variazioni sullo schema, qualche saltuaria e apertamente intenzionale rottura dello schema. Agli estremi delle concezioni-circa-la-letteratura hai il mistico, che proclama il suo fervore per il Sacro-Fuoco-Dell’Arte, e il sacerdote, che celebra le Lettere da un’altana storico-critica, quando non da un pulpito. Preferisco il mistico, che tutto sommato è innocuo, perché mosso da una Fede. Il sacerdote tende a fare Chiesa. Dunque sarei tentato di suggellare il tutto con una massima da arti marziali: quando sei padrone della tecnica puoi dimenticartela o buttarla via. Non è così. Mi sembra che si scrivano romanzi “alla ricerca” della propria tecnica – così come si scrive inseguendo l’ispirazione, non in-seguito-a. Bruce Lee, Jeet Kune Do: nessuna via come via, nessuno stile come stile. Ora penso alle scuole di scrittura, ai loro saldi precetti, alla diffusione di forme narrative come il serial-tv (che non a caso è la chimera al centro della mia storia): il serial, in particolare, è visto da molti scrittori come punto di riferimento contemporaneo, il competitor. Mi domando perché non i videogame. Se guardi bene la narrativa si è sempre messa in competizione. Col cinema, prima, con la televisione, più tardi. Ogni volta ha finito per riscoprire sé stessa – in una dimensione che riusciva a includere alcuni meccanismi mutuati dai linguaggi dei competitor, ma prendendo in definitiva strade autonome. Se insomma vuoi leggere il mio romanzo come un inno all’autonomia della narrativa rispetto al mondo dei media non mi offendo. L’aspetto blob potremmo riferirlo agli albori del romanzo: la satira menippea, le “anatomie” da cui viene fuori un Don Chisciotte, il gusto di mescidare l’alto e il basso, prosa e versi (Satyricon), realismo e grottesco (ancora Cervantes: la grotta di Montesinos, che poi è il luogo dove veramente si libera lo spirito romanzesco moderno).
Il pezzo forte del tuo repertorio è il linguaggio. Non nego di aver consultato spesso i dizionari on line per la gretta curiosità di conoscere parole nuove. Ma non si tratta solo di esattezza: il tuo stile è acrobatico, densissimo di figure metriche e di suono, sintattiche e semantiche, salti mortali di metonimie e metafore. Anche qui, esattamente l’opposto di quanto suggerito dai manuali di buona scrittura, per lo più costruiti sul modello della letteratura americana. Ci sono modelli propriamente tuoi?
Esistono modelli straordinari, soprattutto nel romanzo americano, ma considerarli come l’esclusiva della letteratura mi sembra possa nuocere alla letteratura stessa, nel senso che non le rende un buon servizio, né riguardo alle possibilità (parolaccia) poietiche, né tantomeno dal punto di vista storico. Posso godermi entrambi, Hemingway e Nabokov, senza sentirmi condizionato da nessuno dei due (anche visti i mezzi che al confronto risulteranno sempre poverissimi). Forse conviene l’onestà di giocare il gioco che sappiamo giocare meglio, stare nella luce giusta. La domanda è se questa, che declina, sia luce di raccordo o di cesura. Visto? Ho fatto due endecasillabi. Il problema è che l’italiano non è una lingua nata per il romanzo: è fatta per la lirica, per i versi, per i poemi – la lingua dell’amore. Una lingua fantastica che dà il massimo quando deve gonfiare una misura stabilita – un’ottava, un paragrafo, un capitolo. A me l’italiano prosciugaticcio di certi romanzi contemporanei che viene osannato perché richiamerebbe il “nitore” di alcuni modelli americani – sempre gli stessi – lascia sempre un po’ perplesso: ci vedo un abbandono della “strada folle” di dantesca memoria. Noi italiani siamo gente dantescamente folle. Il Barocco, disciplina in cui rompiamo il culo al mondo, ci ha insegnato che non esiste solo il nitore di “sottrazione”, ma pure un nitore fatto di aggiunte e superfetazioni, di enfietà, flogosi, metastasi. Viva Stefano D’Arrigo e Gesualdo Bufalino! Ovviamente, oggi come oggi, non puoi seguire un’ideale espressionista da “nipotino di Gadda”, perché il mercato ti castiga. Per me ho risolto intellettualizzando variamente l’espressionismo, verso forme fredde – come già in Tokyo transit – che trovo particolarmente adatte a rappresentare il mondo dei miei personaggi dalle emozioni desertizzate. Nel realismo intellettualistico della mia prosa – così lo chiama il mio editor – c’è tutto il mio amore per gli anaffettivi – un amore evidentemente mal riposto.
Non è facile scrivere di sesso, soprattutto nell’era del porno universalmente accessibile. Eppure ti cimenti con disinvoltura. La tua prosa è satura di odori e liquidi corporei. Lo sfondo è maschilista e misogino. Direi: senza autocensure, libero. Non ti fermi di fronte agli stereotipi, al gratuitamente scurrile, neppure di fronte al compiacimento del dettaglio per scatenare lo scandalo (o i pruriti, che abbisognano di subitaneo sollievo). Usi senza parsimonia anche l’indicibile parola con la “n”.
Il sesso è sempre un banco di prova per lo scrittore, e non mi riferisco alla solita metaforizzazione su cui senti spendere tante parole in giro, quando appunto si parla di sesso e scrittura. Idiozie come «entrare nel profondo della carne» o ancora peggio «la scrittura che si fa corpo stesso». Il sesso è difficile perché ormai è organizzato e diviso in una serie di linguaggi autonomi che la gente conosce a puntino: codificati, stratificati, acquisiti al bagaglio dei singoli linguaggi. Quando senti “il capezzolo turgido” o “il membro muschiato” sai già di essere in una certa enciclopedia culturale – quella della rivista hard-core o del giornaletto da edicola: è un linguaggio definito, sai come funziona e puoi prevederlo, dietro alla “patta che sembra scoppiare” c’è sempre un “glande tumido” in agguato, che finirà per soffocare qualche sventurata. Poi esistono altre enciclopedie culturali, dove il sesso è ugualmente collocato a una precisa altezza di registro: il sesso televisivo, quello cinematografico, il porno-amateur online ecc. A me piace giocare con questi linguaggi ormai acquisiti, farli confliggere con le orbite mentali dei miei personaggi, evaderli, talvolta, irriderli, sempre.
Che posto ha nel tuo universo il politicamente corretto?
Il che?
L’amore per nessuno parla in modo dichiarato, fin dal titolo, di alessitimia. Il tuo protagonista Riccardo è un campione di analfabetismo emotivo, sembra concepito direttamente dalle pagine dell’ICD 10. Su questo piccolo insight si costruisce tutto il resto. Il cinismo, l’incapacità di relazioni empatiche, la superficialità consapevole, la falsità un po’ snob sono le matrici di un’intera generazione, cresciuta con la tata TV. Esiste dunque un profondo trattato di analisi psico socio cazzica sotto alle tue storielle di narcisi, maniaci, famiglie disfunzionali e relazioni evitanti? Un ritratto impietoso della bistrattata generazione X? Oppure ancora mi stai fregando, e non c’è alcun progetto simile?
Più che all’analisi psico socio cazzica inclino, in genere, al cazzeggio psico socio anal, ma è chiaro che parliamo di punti di vista. Nei romanzi è importante mettere i fatti, questo lo sai bene – le analisi stanno nel calderone delle idee ed è meglio che non agiscano direttamente sulla pagina. Ovvio però che dietro al racconto puoi sistemare a piacimento una sociologia sarcasmo-pamphlet, un j’accuse rivolto al cinismo del mondo televisivo, un pianto per mia madre ecc. Tutto lecito, per carità. La questione che mi preme è un’altra, e te la sottopongo rivoltando la domanda: può darsi un ritratto, un vero ritratto, che non sia impietoso?
Hai ragione, «ritratto impietoso» è fastidioso come «innumerevoli costellazioni». Meglio sarebbe trovare un contrario per «accondiscendente» o ancor meglio per «auto assolutorio». Tokyo Transit dopo poche pagine dichiarava esplicitamente la propria poetica: «Dalla solitudine ci aspettiamo tonnellate di enfasi, è giusto. Enfasi e la dovuta porzione di disincanto». Anche in L’amore per nessuno enfasi e disincanto ci sono, inoculate a dosi massicce. Allora è a solitudine la colpa che dobbiamo espiare, o da cui ci dobbiamo assolvere?
Sì, l’enfasi della solitudine, attesa nella solitudine è una convinzione che mi porto dietro dal romanzo precedente – anche come enfasi linguistica naturalmente. È bello che alcune condizioni particolari passino da un libro all’altro, un po’ come le coblas capfinidas delle canzoni medievali, che si richiamano di stanza in stanza attraverso termini chiave. La solitudine è stata, fino a questo libro, un orizzonte fondamentale, perché mi permetteva di far viaggiare in simultanea il panorama interno e il panorama esterno. Espiazione-assoluzione mi sembrano altresì una coppia notevole, almeno come funzioni propulsive in un romanzo, e sono contento che tu abbia voluto sottolinearle: entrambe richiedono un “percorso”, rispetto al quale i miei personaggi, che desiderano molto, sono sempre riottosi. Non è – credo – una banale meccanica del “tutto subito”, è proprio mancanza di strumenti, quelli “umani” diciamo così, quelli che Vittorio Sereni vedeva «avvinti alla catena / della necessità». Come vedi c’è un enjambement tra «catena» e «necessità»: dire le cose negandone il fondamento, affermare con la semantica mentre spezziamo con la metrica – che grande lezione!
Non sembra proprio che ti interessi l’immortalità. Il tuo romanzo è irrimediabilmente radicato nell’attualità, annacquata se vogliamo da ruffiani EasterEgg anni ottanta. Penso che possa risultate assolutamente incomprensibile da chi non frequenta la cultura pop italiana della contemporaneità. Ma chi è il lettore perfetto de L’amore per nessuno?
La prima volta che mi hanno messo in bocca un’ostrica non sapevo assolutamente cosa fosse, ero un bambino. Il sapore mi ha lasciato perplesso, però ne ho mangiate altre tre-quattro, senza troppe conseguenze, e anzi con una certa gioia dell’inatteso. Siamo sicuri che il punto sia la comprensibilità? Forse è la digeribilità, o l’apporto calorico. O, perché no, il semplice gusto. Martin Amis ha scritto che gli scrittori «competono per l’Universale», per questo sono destinati a odiarsi tra loro, a cercare la rissa. In questa allegra competizione fra tagliagole entrano a viva forza i lettori, che come diceva Debenedetti sono dei veri e propri strozzini: ti concedono il loro tempo, a patto di esigere un tasso di interesse altissimo. Il mio lettore ideale – quello che tu chiami perfetto per il mio libro – è uno abbastanza stanco di prestare il proprio tempo a un romanzo e ancora abbastanza in credito da permettersi di passare del tempo con un romanzo.
Scrivi in modo talmente intelligente e scopertamente arrogante da risultare antipatico. Ti chiedo tre ragioni, nonostante questo, per cui vale la pena leggere il tuo libro.
Con questa domanda mi hai messo in un cul-de-sac dialettico. Qualsiasi risposta mi sforzi di pensare verrà recepita non “nonostante”, ma in ordine ai tuoi argomenti. Colpa mia, ho peccato di leggerezza. Presentarmi con un coltello a uno scontro a fuoco. È comunque dimostrato che in generale i romanzi sopra le trecento pagine a) distruggono la massa grassa a beneficio del core addominale, b) potenziano la libido del soggetto leggente; c) sterminano le spore terrapiattiste e arredano vivacemente il paesaggio urbano quando deposti e disposti in simmetrie goffrate. Il mio in particolare impedisce l’uptake della dopamina nei neurotrasmettitori, prolungando la caratteristica sensazione di euforia, ed è un ottimo presidio contro il traduttese.
Non credo di aver capito proprio tutto, ma devo ammettere che sei convincente.
Simone Cerlini
L'articolo “L’italiano prosciugaticcio di certi romanzi contemporanei mi lascia perplesso, noi siamo gente folle, è con il Barocco che abbiamo fatto il cu*o al mondo”: dialogo eccentrico con Fabrizio Patriarca proviene da Pangea.
from pangea.news http://bit.ly/2JBpQbU
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giornalepop · 3 years ago
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IL MUTEVOLE FUTURO DEI FUMETTI MARVEL
IL MUTEVOLE FUTURO DEI FUMETTI MARVEL
Provare a immaginare il futuro è un espediente narrativo utilizzato spesso in romanzi come 1984 di George Orwell e La svastica sul sole di Philip K. Dick, dove vengono ipotizzati futuri distopici, oppure in film come Blade Runner di Ridley Scott e Mad Max di George Miller, che ci hanno mostrato scenari cyberpunk o apocalittici. Anche il fumetto si è cimentato nel tema, e la Marvel non ha fatto…
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levysoft · 4 years ago
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L'importanza della preparazione nell'accumulo di scorte alimentari o strumentali si ritrovano in alcune espressioni in uso nel mondo del prepping o survivalismo.
"Nove pasti dall'anarchia" (nell'originale "Nine meals from anarchy"), espressione attribuita al politico britannico Lord Cameron of Dillington[6][7] e tesa a evidenziare come un ipotetico collasso dell'ordinaria logistica distributiva di beni e servizi porterebbe a disordini sociali in capo a tre giorni (ovvero 9 pasti dopo l'evento). Il contesto più ampio e diversificato da cui origina l'espressione è comunque ben sintetizzato nella stessa, la quale concretizza difficoltà di reperimento di beni di prima necessità (nell'esemplificazione in riferimento solo al fattore alimentare) a pochi giorni da un evento avverso di rilevante portata.
La cosiddetta "regola del 3". Questa ha lo scopo di ordinare le necessità primarie di un individuo in modo da disporre in ordine di rilevanza le risposte da attuare o di strumentazione da predisporre in una ipotetica situazione emergenziale.
La "regola del 3" statuisce che "Si può sopravvivere 3 minuti senza aria (ovvero ossigeno), 3 ore senza riparo, 3 giorni senza acqua, 3 settimane senza cibo".
[...]
Il survivalismo[1][2] è un movimento di persone o gruppi (chiamati survivalisti o prepper) che si preparano attivamente per le emergenze, future o eventuali, comprese possibili interruzioni o profondi mutamenti dell'ordine sociale o politico, su scale che vanno dal locale a quella internazionale. I survivalisti hanno spesso una formazione che riguarda le emergenze mediche, l'auto-difesa, l'approvvigionamento di scorte alimentari e acqua, l'autosufficienza logistica tramite la costruzione di strutture per sopravvivere o nascondersi (ad esempio, un rifugio sotterraneo) e la preparazione di equipaggiamenti da sopravvivenza.
[...]
Le origini del movimento moderno del survivalismo hanno avuto luogo nel Regno Unito e negli Stati Uniti dopo le politiche del governo a seguito delle minacce di guerra nucleare, per convinzioni religiose, e dopo la diffusione di varie opere letterarie, narrative e saggistiche, come romanzi post apocalittici o articoli su probabili collassi sociali o economici a seguito di stravolgimenti dell'ordine sociale.
[...]
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il-lato-nerd-della-forza · 5 years ago
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Borne: AMC Studios trasformeranno i romanzi post-apocalittici in una serie TV
Borne: AMC Studios trasformeranno i romanzi post-apocalittici in una serie TV
Gli AMC Studios hanno acquisito i diritti della serie di libri di fantascienza post-apocalittica di Jeff VanderMeer, Borne, e li trasformeranno in una serie TV.
I libri della serie includono Borne, The Strange Bird e Dead Astronauts, e sono tutti ambientati nello stesso misterioso universo.
Per quelli di voi che non hanno familiarità con la storia, ecco una descrizione: “Fra le macerie di una…
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universalmovies · 7 years ago
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L'evoluzione del virus Simian nella featurette di The War - Il Pianeta delle Scimmie
L'evoluzione del virus Simian nella featurette di #TheWar - Il Pianeta delle Scimmie
20th Century Fox ha rilasciato questa notte una nuova featurette da The War – Il Pianeta delle Scimmie, il terzo ed ultimo capitolo della trilogia sci-fi tratta dai romanzi post-apocalittici firmati da Pierre Boulle. Nel nuovo video si testimonia l’evoluzione del virus Simian che ha decimato la popolazione mondiale, reso le scimmie intelligenti e portato allo scontro finale tra queste ultime e…
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becomixdatabase · 5 years ago
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[Vendetta contro l'umanità - Intervista a Mavado Charon](https://blog.becomix.me/vendetta-contro-lumanita-intervista-a-mavado-charon/ "https://blog.becomix.me/vendetta-contro-lumanita-intervista-a-mavado-charon/")
Disclaimer: questo articolo è per un pubblico maturo. Perbenisti, maschietti repressi e rompicazzo in generale alla larga, please.
frontespizio di Dirty_L’arte di Mavado Charon è consacrata alla ricerca dell’eccesso e della libertà assoluta. Rientra in quella letteratura libertina che vede il Machese de Sade come capostipite (non a caso _Dirty ha vinto nel 2018 il prestigioso Prix Sade come libro d’arte). Prendiamo le scene finali di Salò, riportiamole in un futuro post apocalittico e dilatiamole ad libitum. Ci ritroveremo in un inesorabile e implacabile caos di sessualità deviata e violenza estrema. L’opera di Mavado Charon è un festino continuo. Il primo lavoro, Whore, è stato realizzato nel 2016 per United Dead Artist ma non è mai uscito ufficialmente. Homojustice (Hirnplatz) è del 2017 e verrà ristampato da ManiaPress nel 2021. Dopo il premiato Dirty (ManiaPress), l’autore ha realizzato le 208 pagine di Sluts, in uscita a settembre 2020. Attualmente Mavado Charon sta lavorando a Thurd. Seguivo il suo blog da un pezzo, ma per questioni che vertono su sadismo e omopornografia (dico solo Burroughs Quest) io e Mavado Charon siamo entrati in contatto. Dopo esserci scambiati libri e autoproduzioni, è nata questa intervista.
Sluts – AutoproduzioneMavado Charon è un nom de plume, vero? Ha qualche significato?
Sì, esatto! Ho inventato questo nickname quando stavo creando questo stile di disegno, ovvero per questi “affreschi” omo-pornografici e post apocalittici. «Mavado» è un ricordo del mio personaggio preferito dal videogioco Mortal Kombat V_, e Charon sarebbe il Caronte della mitologia greca. È lui il traghettatore di anime dell’Ade, che attraversa lo Stige o l’Acheronte._
Whore – AutoproduzioneLa tua arte è mai stata (senza considerare i social network) censurata o ostacolata? Per esempio da femministe radicali?
No, mai. Sono io a censurare i disegni nei post di Facebook e Instagram perché penso che quei social network non meritino di avere le mie opere integre! Inoltre il mio scopo non è quello di offendere, e sono sicuro che ci sia un sacco di persone pronte ad offendersi che passano tutto il loro tempo su FB e Instagram. Non parlo con loro…
Nel tuo lavoro c’è critica politica? Ci vedi della critica al capitalismo? I tuoi lavori rientrano in un discorso LGBT?
Mi piace l’idea che i miei disegni possano essere interpretati come critica politica. Per quel che mi riguarda, tutti quegli uomini gay che uccidono e torturano compiendo una sorta di vendetta contro l’umanità. I miei eroi sono felici, orgogliosi e pericolosi, e questo può essere un messaggio per il popolo LGBT: reagite e contrattaccate! Ma principalmente, per me è davvero molto divertente disegnare quelle scene.
_Thurd_ (wip) – p. 131C’è un lettore ideale dei tuoi lavori?
No, spero che siano per tutti coloro che amano i disegni in bianco e nero. Molto spesso i miei fan sono fumettisti. Fin da quando ho iniziato, la mia arte ha avuto grande successo nella scena gay: sono stato intervistato dalla mitica Butt magazine_, e i miei libri nella libreria LGBT_ Les mots à la bouche di Parigi vendono molto bene. Ma per rispondere bene alla tua domanda, il mio lettore ideale è qualcuno che capisce la parte umoristica che c’è nel mio lavoro. Questo è essenziale!
5 – In Homojustice l’umorismo e più riconoscibile. Cosa mi dici di Dirty****?
Non so. Io volevo solo che Homojustice fosse la storia di supereroi più assurda mai raccontata: questi ragazzoni usano i loro super poteri per stuprare e uccidere ragazzi giovani, questo è tutto. Come se i supereroi fossero dei serial killer psicopatici. Dal mio punto di vista Homojustice è il mio fumetto migliore che ho realizzato finora, forse per questo ci possono essere molte interpretazioni di questa storia.
_Homojustice_ – p. 53Nei tuoi primi lavori come il già citato Homojustice, Whore e Sluts c’è una sorta di plot. In Dirty la situazione si “dilata”. Ciò nonostante, se il fumetto è narrazione e l’illustrazione contemplazione, Dirty per quel che mi riguarda è un fumetto, perché si sente una sorta di plot. Cosa ne pensi?
Quando ho iniziato a disegnare i miei “affreschi” come Mavado Charon volevo solo fare dei disegni eccitanti, ma dato che sono un narratore nato ho cercato subito di fare qualche fumetto ambientato in questo oscuro universo. Ma immediatamente ho capito che per me è molto difficile raccontare le storie in questo modo. Forse Homojustice è un bel fumetto proprio perché è un po’ diverso: è una storia di supereroi e non una storia post apocalittica. Dirty è, in ogni caso, il mio libro migliore perché il mix tra disegni e storia è perfetto (grazie all’editor di Mania Press, il grande Sylvain Gérand, che mi ha aiutato). Ma devo ammettere che il fumetto in Dirty nasce da un fallimento: volevo fare un libro di 500 pagine intitolato Thurd_, e ho fallito. Il mio libro successivo_ Sluts è stato un altro tentativo di realizzazione di questo fumetto enorme. In questi giorni sto tentando di nuovo di disegnare questa grande opera da 500 pagine, ma forse sarà un altro fallimento. Anche se ho trovato delle nuove interessanti idee, come quella di non disegnare i personaggi nello stesso modo da una pagina all’altra. Sarà sorprendente, vedrete!
Nei tuoi fumetti ci sono solo ragazzi. Questa scelta mi ricorda quella dei registi italiani Ciprì e Maresco – gli ultimi registi del cinema italiano – dove anche nei loro film ci sono solo uomini. Inoltre tra il tuo lavoro e il loro ci sono altre analogia – la ripetizione, ambientazione apocalittica, la fine dell’umanità. Il “cinema cinico” di Ciprì e Maresco deriva dal Teatro dell’Assurdo, Carmelo Bene, Antonin Artaud e in linea generale dal radicalismo del XX secolo. Li conosci? Credi che la tua arte sia legata agli artisti radicali del 900? Penso anche a William Burroughs.
No, non conoscevo Ciprì e Maresco, ma le loro opere sembrano davvero molto interessanti! Non sono molto legato al teatro o al cinema, ma leggo molti romanzi e libri e vengo maggiormente ispirato dalla prosa rispetto al fumetto. William Burroughs è certamente una delle mie principali fonti di ispirazione. Adoro il modo unico e assurdo in cui mischia violenza e omosessualità. Di solito amo tutti quei libri “fuori di testa” che raccontano storie di sesso, morte, storie bizzarre, queer e di universi oppressi, come Hubert Selby Jr (_The Demon), Samuel Delany (Hogg) e gli autori gay francesi come Pierre Augérias, Tony Duvert, Pierre Guyotat… e certamente il Marchese de Sade!_ Aggiungo ancora che nella nostra società contemporanea il corpo della donna è considerevolmente mercificato e non disegnare le donne per me è un modo per evitare questo gioco. Credo che sia questo il motivo per cui non sono mai stato criticato da gruppi femministi radicali (molti dei miei amici parte di questi gruppi!). Ovviamente si può rintracciare femminilità (che è la metà di tutti noi) nei miei disegni, incarnato in transessuali e travestiti. Ma il corpo della donna è troppo “prostituzionalizzato” (come dice l’autore francese Pierre Guyotat) nella nostra società consumista, ed è per questo che preferisco escludere il corpo femminile nelle mie opere.
_Sluts_ – p. 16-17Quanto è importante il coinvolgimento emotivo e l’eccitamento sessuale del lettore?
Il piacere del lettore è molto importante per me, ma per me è ancora più il importante il mio, quando disegno i miei fumetti! Quando li immagino mi fomento molto, mi fa sentire molto eccitato. Ma la sensazione di aver realizzato un bel disegno, anche se non mostra nessuna pratica sessuale, è il piacere che voglio maggiormente raggiungere. Spero che le mie opere possano procurare piacere e eccitamento sessuale, ma per me è ancora più importante godere esteticamente nell’osservare disegni ben realizzati.
Per autori come Hayami Jun, la rappresentazione della violenza sulle donne ha una valenza catartica e di denuncia. C’è della denuncia nei tuoi lavori? Senti mai il peso del male sulle tue spalle per i fumetti che rappresenti?
Ahah, no, non ho mai sentito il “peso del male” sulle mie spalle! Dal mio punto di vista, l’arte è separata dall’etica. Questo mi permette di disegnare tutto, anche le peggiori scene di torture che si possono immaginare, con delizia… previsto che nella mia vita sono una persona gentile, onesta e amichevole! Cerco di essere esemplare nella vita di tutto i giorni, perché questa è la mia vera natura, ma voglio essere libero di disegnare nelle mie opere le cose più oscure, pazze e sporche. Non voglio particolarmente che il mio lavoro sia qualcosa di catartico, o di denucia delle violenze del mondo! Voglio solo fare disegni divertenti, unici ed eccitanti.
Immagine di copertina di Dirty De Sade ha posto il limite alla letteratura occidentale di cosa può essere narrato. Vuoi sfidare questo limite? Hai mai provato il senso di delusione di non aver raggiunto e superato quel limite?
Come fumettista, so perfettamente che non posso competere con De Sade. Fumetti e letteratura sono molto diversi, sotto tanti aspetti. Forse posso disegnare delle storie che ricordando certe scene che ho letto ne Le centoventi giornate di Sodoma_, per esempio, ma il risultato sarà necessariamente molto diverso. Io cerco solo di padroneggiare al meglio la mia arte, di raccontare le storie che voglio raccontare tenendo in testa la convinzione che De Sade non potrà mai venire superato, in ogni caso. Detto ciò, cerco di spingermi il più in là possibile, e immaginare scene di sesso e torture che neanche Sade aveva immaginato. Bella sfida, vero?_
Quali sono i tuoi artisti preferiti? E quali hanno influenzato di più le tue opere?
La mia principale fonte di ispirazione sono i romanzi, ma apprezzo molto anche molti fumettisti di universi che sembrano molto lontani dal mio! Per esempio, adoro Benjamin Marra, e considero il suo fumetto O.M.W.O.T. un capolavoro degli anni ‘10. Mi piacciono molto anche i manga di Yokohama Yuichi, sono così originali, così forti! In linea generale amo il pop e la outsider art, come le fanzine, i film di serie B degli anni 90, il wrestling, ecc.
Puoi consigliare ai nostri lettori qualcosa da ascoltare?
No, mi dispiace! Non ascolto musica! Ascolto molti podcast sulla permacultura, wrestling, videogiochi o fumetti, ma niente musica!
_Whore_ – p. 11L'originale è stato pubblicato su [https://blog.becomix.me/vendetta-contro-lumanita-intervista-a-mavado-charon/](https://blog.becomix.me/vendetta-contro-lumanita-intervista-a-mavado-charon/ "Permalink")
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thebookwormsnest · 6 years ago
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Un’adorabile cliché. La mia recensione di UN’ADORABILE IMPERTINENTE.
Dopo VOX (la cui recensione trovate qui), sono ritornata alle origini. Un bel romance dopo i drammi distopici ed apocalittici ci stava tutto. Così mi sono fiondata su Un’adorabile impertinente, partorito dalla penna di Sariah Wilson e pubblicato in Italia dalla (sempre sia lodata) Newton Compton.
«Be’, lo sai come si dice, no? La vita è una scatola di cioccolatini». «E non sai mai quale ti tocca?» «No, mangiateli tutti prima che qualcuno te li freghi».
Il romanzo è il primo della serie #Lovestruck, anche se gli altri due romanzi risultano dispersi in chissà quale limbo. Il secondo, #Moonstruck, è inedito in Italia ed ha una trama davvero simile a quella di questo romanzo; il terzo, invece, è inedito anche negli Stati Uniti.
Aprii la porta e lì sul mio porticato c’era Chase Covington. «Ciao. Non passavo di qui e così ho pensato…». Feci l’unica cosa che potessi fare. Gli sbattei la porta in faccia.
La copertina mi faceva pregustare un bel protagonista maschile, anche se la trama si prestava a quanti più cliché da romance possibili: ex rompiscatole? Check. Migliore amica gatta morta? Check. Solo tu puoi salvarlo? Che ve lo dico a fare? E ne sto giusto citando tre! Pertanto le aspettative non erano per nulla alte. Mi serviva qualcosa per distendermi e distrarmi, e devo dire che ce l’ha fatta.
La ragazza accanto a me mi disse: «Sei la tipa più fortunata di tutto l’universo. Come hai fatto tu a farti notare da Chase?». Mi stava praticamente insultando, però in realtà non lo sapevo nemmeno io.
La trama, per l’appunto. Zoe Miller è una studentessa universitaria squattrinata dai molti ideali: femminista, ambientalista e… vergine. Ma per sua scelta, eh, mica per quella degli altri. Zoe �� stata cresciuta in un ambiente religioso, inoltre ha sempre avuto degli esempi di bei matrimoni a cui aspirare, pertanto ha stabilito che sarebbe rimasta casta fino al fatidico sì, lo voglio.
Ricordai a me stessa che probabilmente sparava frasi del genere un giorno sì e uno no. Anzi, di sicuro diceva cose molto più esplicite a donne con molta più esperienza di me. Eppure mi fece sentire confusa e nervosa. Come una ragazzina del liceo la prima volta che va al ballo della scuola. E così feci proprio quello che avrebbe fatto una qualsiasi ragazzina del liceo, imbarazzata e con un minimo di rispetto per se stessa. Mi nascosi in bagno. E mi lavai i denti. Non si sa mai.
Chi non è d’accordo con questa sua scelta è Chase Covington, attore hollywoodiano giovane, famoso, ricco, con un Oscar in tasca ed una carriera ventennale che Leo scansate. Chase è il tipico attore che macina un film di successo dietro l’altro, ma che comunque riesce a cadere nel cliché della star annoiata, piena di soldi, stanca della sua fama, della falsità che gli gira intorno, delle donne arriviste e dei falsi scoop, e chi più ne ha più ne metta.
Poi un suo tweet mi mandò nel pallone. Il bacio migliore è quello che viene annunciato mille volte negli sguardi prima di arrivare alle labbra. Era una sorta di messaggio subliminale? Voleva che prima ci baciassimo con lo sguardo? Un bel problema dato che il mio modo di flirtare prevedeva perlopiù espressioni d’imbarazzo. Ero assolutamente incapace di pomiciare con gli occhi. E invece… Sei nei miei pensieri più inopportuni. #Z Pensieri inopportuni? Si stava immaginando addirittura un abbraccio?
Ma come possono entrare in contatto due persone così diverse? Twitter! L’ultimo film di Chase è appena uscito e Zoe, sua fan sfegatata insieme alla sua amica Lexi, anziché osannarlo come il resto delle sue fan, gli scrive un semplice tweet: “Hai fatto di meglio”. A chi non è mai capitato di scrivere un tweet pensando che nessuno l’avrebbe letto? Ecco, a me non ha mai cagato nessuno, ma questi sono dettagli. Ed invece Chase lo nota. E la nota. È incuriosito dalla bizzarra ragazza che traspare dai tweet di @zoepiùomeno.
Erano anni che fantasticavamo su come sarebbe stato incontrarlo – solitamente la scena prevedeva urla, saltelli e lacrime a rigarmi il volto – ma stranamente non sentivo il bisogno di fare nulla di tutto ciò. A quanto pareva ero in grado di conservare un minimo di dignità anche se c’era Chase di mezzo. Era una bella sorpresa.
Con l’aiuto del fato (e di una amica che agisce quasi ai limiti dello stalking), Zoe e Chase si incontrano dal vivo. L’intelligenza e l’ingenuità di una si scontra con l’ironia pungente dell’altro, e comincia così la loro conoscenza, fatta di una proposta di lavoro come assistente, piccoli equivoci iniziali, tante resistenze e qualche viziuccio qui è lì.
Cominciai a fantasticare. «Giusto. Giusto. E io vado… non qui». Finalmente riuscii a muovermi e ad avvicinarmi alla porta. «Sai, una brava assistente si offrirebbe di lavarmi la schiena», disse con una voce scherzosa che mi fece diventare le ossa di gelatina. «Un’ottima assistente ti ricorderebbe che le leggi sulla molestia sessuale in California sono abbastanza rigide». Rise. Ed era una risata sincera, piena di calore e magia. Mi fece capire che tutte le volte che rideva in televisione o nei film fingeva. Perché non aveva mai riso così. Mi colpì al cuore. «Avevo ragione. Non hai un briciolo di pietà per un povero ragazzo…». «Invece sì. In fondo ho avuto pietà di Una-Effe, no? Mi sono limitata a spezzargli un piede». E con quella frase a effetto feci la mia uscita di scena. Me ne andai e chiusi la porta, con la sua risata che mi seguiva fino al parcheggio.
Conoscenza che si trasforma in amicizia. Amicizia che si trasforma in amore. Ed amore che si trasforma in equivoco.
Mi faceva sentire speciale in un modo che non avevo mai provato prima. E voleva far colpo su di me. Non si rendeva conto che non era necessario?
Nonostante il mio odio viscerale per le eroine dei romance (e per un personaggio di nome Zoe, di un’altra serie, che mi ha rovinato il nome per sempre) e dei malintesi dovuti ad una scarsa comunicazione, devo dire che entrambi i personaggi mi sono piaciuti, anche se Zoe se è troppo, troppo, troppo insicura e Chase è schifosamente dolce. Ci sono stati dei momenti in cui i personaggi hanno assunto uno spessore, salvo poi ritornare subito alla piatta normalità. E ci sono stati anche momenti in cui avrei voluto prenderli a ceffoni per reazioni eccessive, seghe mentali potentissime, e per come hanno gestito determinate cose. Ma tutto sommato gli si vuole bene.
Come al solito mi ero esaltata per una cosa che alla fine si era rivelata una vera sciocchezza. Tipico. Perché tutti cercano sempre di rovinarti ogni momento piacevole? Senza darti nemmeno il tempo di godertelo?
Anche i personaggi secondari sono stati scritti davvero bene. Ho adorato i fratellini di Zoe e Gavin, il manager Una-Effe e perfino Lexi, la migliore amica della protagonista, sua coinquilina ed iniziatrice al culto di Chase Covington. Zoe dovrebbe ammettere che, tweet o no, se non fosse stato per la capacità di Lexi di essere sempre nel posto giusto al momento giusto, e dello spirito di sacrificio di Una-Effe, la sua favola moderna non si sarebbe mai avverata.
«Cosa c’è di così divertente?», chiesi alla mia coinquilina che ridacchiava, mentre appoggiavo la borsa. «Hanno iniziato a scrivere le barzellette sui pacchetti di Oreo? Senti qui: “Si consiglia di non eccedere con gli zuccheri”. Troppo divertente», disse Lexi e poi si infilò tutti i biscotti della confezione in bocca.
La trama, come avrete capito, è un po’ la solita minestra riscaldata, pertanto non posso dire che l’idea è buona. È un bel romanzo, un buon esempio di romance con un finale ben chiuso (osanna! osanna!), ma mentirei se dicessi che è un libro fantasmagorico.
È bello? Sì. C’è di meglio? Oh, sì.
Cos’hai fatto oggi? Sono andata a correre. Davvero? Be’, sì, in gelateria. Avevamo finito l’Haagen-Dazs. Ah, ora riconosco la mia ragazza.
Inoltre, il romanzo era cosparso di talmente tanti refusi che volevo rompere l’eReader. C’era un intero capitolo pieno di errori di grammatica e di ortografia che hanno reso la lettura poco piacevole.
«Voglio che tu sappia che quello che è successo tra noi stasera a casa di Austin… è stato addirittura meglio che incontrare Alex Trebek». Mi lanciò uno dei suoi sorrisi più affascinanti, e non fu facile resistere all’impulso di tornare in macchina e gettarmi tra le sue braccia. «Lo dici solo perché quando vi ho presentati l’hai guardato e hai chiesto l’aiuto del pubblico». In effetti era stato parecchio imbarazzante. Le mie guance diventarono di un bel rosso acceso. «Quando smetterai di prendermi in giro per questa storia?» «Probabilmente mai».
Nota a piè di pagina.
Il fatto che io abbia continuato a scrivere “Un adorabile bugiardo” anziché “impertinente” per tutta la recensione, salvo poi servirmi di “Trova e sostituisci” per salvare il salvabile vi fa capire un po’ tutto.
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biblioteche · 8 years ago
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Stanchi dei soliti romanzi post-apocalittici tutti uguali? http://www.diggita.it/v.php?id=1589874
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universalmovies · 8 years ago
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La guerra è l'unica soluzione nel nuovo spot di The War - Il Pianeta delle Scimmie
La guerra è l'unica soluzione nel nuovo spot di #TheWar - #IlPianetadelleScimmie
La 20th Century Fox ha rilasciato oggi un nuovo breve spot commerciale relativo a The War – Il Pianeta delle Scimmie, terzo (ed ultimo) capitolo della trilogia tratta dai romanzi post-apocalittici firmati da Pierre Boulle. Nel nuovo spot tv intitolato “Fight” viene ancora una volta sottolineato che l’unica soluzione è la guerra tra uomini e scimmie. The War – Il Pianeta delle Scimmie è stato…
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pangeanews · 5 years ago
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“Creo mondi inaspettati, dove Mad Max si mescola a elfi in completo elegante”. Dialogo con David Fivoli, che ha scritto il romanzo che unisce molti generi, unico nel suo genere
“La fantascienza finge di guardare dentro il futuro ma in realtà guarda il riflesso della verità che è davanti a noi” diceva Ray Bradbury. Leggendo “Hunter. Disconnettiti o muori”, romanzo d’esordio di David Fivoli uscito per Rizzoli, non si può che sentire la potenza di questo aforisma, specie da quando la quarantena ci ha resi un po’ più allenati alla solitudine introspettiva e alla virtualità sociale. Un romanzo veloce, senza tregua, sempre tra realtà e immaginazione, cinematografico, ricco di citazioni letterarie e musicali, vera promessa per un genere storicamente sottovalutato e invece in continuo rinnovamento, come quest’opera prima dimostra.
Di cosa parla Hunter?
Hunter è un romanzo ambientato nel 2050, in un mondo in cui buona parte dell’umanità vive connessa a New Life, un sistema di realtà virtuale dove tutto è reale, morte compresa. Nel sistema ci sono diversi scenari, e ogni scenario ha dei requisiti di accesso e un’abilitazione specifica per armi, tecnologia e magia. All’interno di questo universo si muove il protagonista, in una classica avventura di ricerca e crescita, ricca di colpi di scena e condotta con una narrazione dal ritmo serrato.
Quando si parla di fantascienza è d’obbligo citare i padri nobili del genere: Asimov, Dick, Bradbury, Gibson… quali di questi autori ti hanno ispirato, e come?
Da un punto di vista squisitamente narrativo, pur apprezzando molto il genere ammetto che le mie influenze letterarie sono più orientate verso il fantasy che la fantascienza. Non il fantasy classico (Tolkien, per intenderci) quanto a un fantasy più favolistico o di cappa e spada. Per il favolistico, è impossibile non citare La storia infinita di Ende (che definirei un fantasy favolistico “bianco”) e Universo Zotique di C.A. Smith (decisamente più “nero”); per quanto riguarda il fantasy di cappa e spada, l’inarrivabile Il mondo di Newhon di Fritz Leiber, autore tedesco dello scorso secolo più noto per i suoi romanzi di fantascienza che per le incursioni nell’universo fantasy, e La torre nera di Stephen King, che per me rappresenta un caposaldo del genere. Se invece si parla di influenze concettuali, dirette o indirette che siano, tra i grandi autori sci fi citerei senz’altro Asimov e Gibson. Ma questo credo sia fisiologico, perché Asimov è stato il primo a confrontarsi compiutamente con il concetto del rapporto uomo-AI, e a porsi domande sulle AI che risultano attuali anche oggi; Gibson, invece, con Neuromante (romanzo comunemente e universalmente riconosciuto come il manifesto del cyberpunk) si è dimostrato un precursore di quella che poi sarebbe diventata la fantascienza 2.0. Nessun genere come la fantascienza restituisce il “senso del presente”. Sembra paradossale, ma è così.
Che cosa intendi?
La prima fantascienza proiettava l’uomo verso la scoperta e la conquista di mondi lontani. Non solo perché erano tempi di grande speranze per il futuro dell’umanità, ma perché il progresso stesso era “proiettato all’esterno”. In fondo, non si era fatto altro che proiettare il mito della frontiera oltre i confini non solo degli Stati Uniti, ma della Terra stessa. Questa fenomeno ha avuto il suo apice sia nella narrativa fantascientifica che parlava di viaggi spaziali e di conquista di nuovi mondi che al cinema, con Guerre Stellari. Poi, tra gli anni ’80 e gli anni ’90, è iniziato a cambiare qualcosa. Il progresso ha iniziato a guardare non più verso l’esterno, verso l’infinito, verso il cielo, verso mondi lontani da immaginare o conquistare, ma verso l’interno, verso i processori, i computer. La nuova fantascienza non proietta l’uomo oltre i confini dell’universo conosciuto, ma lo fonde con i sistemi digitali, lo upgrada, in un certo senso, e si pone sempre più spesso domande proprie di nuovi movimenti culturali o discipline filosofiche, come il transumanesimo.
E infatti il tuo romanzo parte proprio da questo concetto, anche se poi durante la narrazione quasi ci scordiamo di essere all’interno di un sistema di realtà virtuale.
Credo che questa sia l’originalità del romanzo. Essere partito da un classico dell’immaginario fantascientifico e averlo poi contaminato in ogni modo possibile. C’è sicuramente sapore di Urban Fantasy, visto che maghi e magie sono presenti e importanti. Ma non definirei il romanzo un Urban Fantasy: si spazia da scenari post apocalittici a scenari con gli zombie, da scenari gotici a scenari western, da scenari futuristici a scenari fiabeschi e neri. Lo stile e il ritmo rimangono gli stessi, ma ogni diversa ambientazione ha in sottofondo un richiamo alla cinematografia di genere, ai fumetti, ai giochi di ruolo, alla narrativa. Anche la musica è importante. Il protagonista ha scelto di chiamarsi Deb Aser perché, come me, ama quel brano dei Pixies. E porta sempre con sé un vecchio iPod, unico ricordo del padre, sul quale sono caricate le canzoni della vecchia era. Quelle che ascolta durante il romanzo sono presenti in coda al libro. Si va dai Beatles ai Pink Floyd, dai Clash ai Rancid.
Sembra un esperimento tanto interessante quanto azzardato. In un mercato dove predomina la tendenza a specializzarsi in un determinato genere in modo quasi ossessivo per arrivare al target di riferimento, non rischi di scontentare tutti?
In effetti, sono riuscito nella formidabile impresa di aver scritto un romanzo che di generi ne unisce molti, riuscendo a fare torto a tutti. Vi piace solo la fantascienza classica? Bene, non c’entra nulla. Vi piace solo il fantasy classico? Scappate a gambe levate. Qui ci sono elfi in completo elegante dietro scrivanie di agenzie immobiliari, vampiri psicopatici alla presidenza di importanti team sportivi, punk che guidano l’auto di Mad Max ascoltando Nevermind The Bollock dei Sex Pistols. La forza del romanzo, però, è proprio questa. A suo modo, Hunter è unico nel suo genere. Da questo punto di vista, lo considero un romanzo d’avanguardia, e credo la sua uscita con Rizzoli sia un segnale importante. Certo, in Italia c’è ancora tanto, tantissimo da lavorare per riuscire a farsi notare e farsi prendere sul serio scrivendo narrativa di genere. Qui se scrivi qualcosa che odora di fantastico hai un grande handicap in partenza. È come correre i cento metri partendo dagli spogliatoi, mentre gli altri partono dai blocchi. La narrativa di un certo genere è sempre vista come narrativa di serie B.
Sbaglio o c’è un tono polemico, in quest’affermazione?
Non sbagli. Sono fermamente convinto che in quanto a fantasia e a capacità narrativa non siamo secondi a nessuno. Siamo semmai culturalmente schiavi di certi cliché autoimposti. Fantasia e italianità non sembrano più convincere nessuno. Il che è paradossale, considerando che abbiamo dato i natali a Dante e Calvino. E così i nostri scrittori di genere, anche i più capaci, continuano a essere visti con diffidenza sia dalla grande editoria che dagli addetti ai lavori. Eppure negli Stati Uniti nessuno si vergogna di scrittori come Poe e Lovecraft: autori di genere conosciuti soprattutto per i racconti. E tanto per fare un esempio narrativo… qualche settimana fa stavo leggendo una raccolta di racconti di Stephen King. Lui ha questa pregevole abitudine (almeno, io la adoro) di presentare i racconti con qualche riga che ne spiega la genesi; da scrittore, trovo meraviglioso sbirciare nella mente dell’autore attraverso le sue parole. Ora, nella prefazione di un certo racconto spiegava che quel racconto era uscito la prima volta per uno dei più grandi quotidiani di New York e… stop. Mi sono dovuto fermare. Ho chiuso il libro. Sono stato cinque minuti immobile, a riflettere. Uno dei più letti quotidiani americani che presentava un racconto di genere, per di più a tinte horror. Da noi sarebbe semplicemente impensabile. Ecco, io credo che dovremmo sprovincializzarsi, perché la narrativa di genere può essere grande narrativa. Non sempre, ma può esserlo.
Se un lettore di questa intervista ti dicesse che vuole regalare il tuo romanzo a qualcuno, quale categoria di lettore consiglieresti?
A un ragazzo. Bisogna regalare i libri ai giovani. Bisogna sommergerli di libri, libri che li facciano viaggiare e sognare. Libri di fantascienza o fantasy… per il mainstream ci sarà sempre tempo dopo, se diventeranno lettori forti. Che poi sia il mio o un altro poco conta, quello che risponderei è: comprate romanzi di questi generi per i giovani. E quando li scarteranno e rimarranno un po’ sorpresi a osservarli, cercando magari una porta USB o il pulsante d’accensione, voi dovete essere lì a spiegare che quello strano oggetto di carta è un supporto che si connette direttamente al più grande e potente processore che esista: la mente umana. Basta sfogliarlo e leggerlo. E si apriranno mondi inaspettati.
Viviana Viviani
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becomixdatabase · 5 years ago
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[Vendetta contro l'umanità - Intervista a Mavado Charon](https://blog.becomix.me/vendetta-contro-lumanita-intervista-a-mavado-charon/ "https://blog.becomix.me/vendetta-contro-lumanita-intervista-a-mavado-charon/")
Disclaimer: questo articolo è per un pubblico maturo. Perbenisti, maschietti repressi e rompicazzo in generale alla larga, please.
frontespizio di Dirty_L’arte di Mavado Charon è consacrata alla ricerca dell’eccesso e della libertà assoluta. Rientra in quella letteratura libertina che vede il Machese de Sade come capostipite (non a caso _Dirty ha vinto nel 2018 il prestigioso Prix Sade come libro d’arte). Prendiamo le scene finali di Salò, riportiamole in un futuro post apocalittico e dilatiamole ad libitum. Ci ritroveremo in un inesorabile e implacabile caos di sessualità deviata e violenza estrema. L’opera di Mavado Charon è un festino continuo. Il primo lavoro, Whore, è stato realizzato nel 2016 per United Dead Artist ma non è mai uscito ufficialmente. Homojustice (Hirnplatz) è del 2017 e verrà ristampato da ManiaPress nel 2021. Dopo il premiato Dirty (ManiaPress), l’autore ha realizzato le 208 pagine di Sluts, in uscita a settembre 2020. Attualmente Mavado Charon sta lavorando a Thurd. Seguivo il suo blog da un pezzo, ma per questioni che vertono su sadismo e omopornografia (dico solo Burroughs Quest) io e Mavado Charon siamo entrati in contatto. Dopo esserci scambiati libri e autoproduzioni, è nata questa intervista.
Sluts – AutoproduzioneMavado Charon è un nom de plume, vero? Ha qualche significato?
Sì, esatto! Ho inventato questo nickname quando stavo creando questo stile di disegno, ovvero per questi “affreschi” omo-pornografici e post apocalittici. «Mavado» è un ricordo del mio personaggio preferito dal videogioco Mortal Kombat V_, e Charon sarebbe il Caronte della mitologia greca. È lui il traghettatore di anime dell’Ade, che attraversa lo Stige o l’Acheronte._
Whore – AutoproduzioneLa tua arte è mai stata (senza considerare i social network) censurata o ostacolata? Per esempio da femministe radicali?
No, mai. Sono io a censurare i disegni nei post di Facebook e Instagram perché penso che quei social network non meritino di avere le mie opere integre! Inoltre il mio scopo non è quello di offendere, e sono sicuro che ci sia un sacco di persone pronte ad offendersi che passano tutto il loro tempo su FB e Instagram. Non parlo con loro…
Nel tuo lavoro c’è critica politica? Ci vedi della critica al capitalismo? I tuoi lavori rientrano in un discorso LGBT?
Mi piace l’idea che i miei disegni possano essere interpretati come critica politica. Per quel che mi riguarda, tutti quegli uomini gay che uccidono e torturano compiendo una sorta di vendetta contro l’umanità. I miei eroi sono felici, orgogliosi e pericolosi, e questo può essere un messaggio per il popolo LGBT: reagite e contrattaccate! Ma principalmente, per me è davvero molto divertente disegnare quelle scene.
_Thurd_ (wip) – p. 131C’è un lettore ideale dei tuoi lavori?
No, spero che siano per tutti coloro che amano i disegni in bianco e nero. Molto spesso i miei fan sono fumettisti. Fin da quando ho iniziato, la mia arte ha avuto grande successo nella scena gay: sono stato intervistato dalla mitica Butt magazine_, e i miei libri nella libreria LGBT_ Les mots à la bouche di Parigi vendono molto bene. Ma per rispondere bene alla tua domanda, il mio lettore ideale è qualcuno che capisce la parte umoristica che c’è nel mio lavoro. Questo è essenziale!
5 – In Homojustice l’umorismo e più riconoscibile. Cosa mi dici di Dirty****?
Non so. Io volevo solo che Homojustice fosse la storia di supereroi più assurda mai raccontata: questi ragazzoni usano i loro super poteri per stuprare e uccidere ragazzi giovani, questo è tutto. Come se i supereroi fossero dei serial killer psicopatici. Dal mio punto di vista Homojustice è il mio fumetto migliore che ho realizzato finora, forse per questo ci possono essere molte interpretazioni di questa storia.
_Homojustice_ – p. 53Nei tuoi primi lavori come il già citato Homojustice, Whore e Sluts c’è una sorta di plot. In Dirty la situazione si “dilata”. Ciò nonostante, se il fumetto è narrazione e l’illustrazione contemplazione, Dirty per quel che mi riguarda è un fumetto, perché si sente una sorta di plot. Cosa ne pensi?
Quando ho iniziato a disegnare i miei “affreschi” come Mavado Charon volevo solo fare dei disegni eccitanti, ma dato che sono un narratore nato ho cercato subito di fare qualche fumetto ambientato in questo oscuro universo. Ma immediatamente ho capito che per me è molto difficile raccontare le storie in questo modo. Forse Homojustice è un bel fumetto proprio perché è un po’ diverso: è una storia di supereroi e non una storia post apocalittica. Dirty è, in ogni caso, il mio libro migliore perché il mix tra disegni e storia è perfetto (grazie all’editor di Mania Press, il grande Sylvain Gérand, che mi ha aiutato). Ma devo ammettere che il fumetto in Dirty nasce da un fallimento: volevo fare un libro di 500 pagine intitolato Thurd_, e ho fallito. Il mio libro successivo_ Sluts è stato un altro tentativo di realizzazione di questo fumetto enorme. In questi giorni sto tentando di nuovo di disegnare questa grande opera da 500 pagine, ma forse sarà un altro fallimento. Anche se ho trovato delle nuove interessanti idee, come quella di non disegnare i personaggi nello stesso modo da una pagina all’altra. Sarà sorprendente, vedrete!
Nei tuoi fumetti ci sono solo ragazzi. Questa scelta mi ricorda quella dei registi italiani Ciprì e Maresco – gli ultimi registi del cinema italiano – dove anche nei loro film ci sono solo uomini. Inoltre tra il tuo lavoro e il loro ci sono altre analogia – la ripetizione, ambientazione apocalittica, la fine dell’umanità. Il “cinema cinico” di Ciprì e Maresco deriva dal Teatro dell’Assurdo, Carmelo Bene, Antonin Artaud e in linea generale dal radicalismo del XX secolo. Li conosci? Credi che la tua arte sia legata agli artisti radicali del 900? Penso anche a William Burroughs.
No, non conoscevo Ciprì e Maresco, ma le loro opere sembrano davvero molto interessanti! Non sono molto legato al teatro o al cinema, ma leggo molti romanzi e libri e vengo maggiormente ispirato dalla prosa rispetto al fumetto. William Burroughs è certamente una delle mie principali fonti di ispirazione. Adoro il modo unico e assurdo in cui mischia violenza e omosessualità. Di solito amo tutti quei libri “fuori di testa” che raccontano storie di sesso, morte, storie bizzarre, queer e di universi oppressi, come Hubert Selby Jr (_The Demon), Samuel Delany (Hogg) e gli autori gay francesi come Pierre Augérias, Tony Duvert, Pierre Guyotat… e certamente il Marchese de Sade!_ Aggiungo ancora che nella nostra società contemporanea il corpo della donna è considerevolmente mercificato e non disegnare le donne per me è un modo per evitare questo gioco. Credo che sia questo il motivo per cui non sono mai stato criticato da gruppi femministi radicali (molti dei miei amici parte di questi gruppi!). Ovviamente si può rintracciare femminilità (che è la metà di tutti noi) nei miei disegni, incarnato in transessuali e travestiti. Ma il corpo della donna è troppo “prostituzionalizzato” (come dice l’autore francese Pierre Guyotat) nella nostra società consumista, ed è per questo che preferisco escludere il corpo femminile nelle mie opere.
_Sluts_ – p. 16-17Quanto è importante il coinvolgimento emotivo e l’eccitamento sessuale del lettore?
Il piacere del lettore è molto importante per me, ma per me è ancora più il importante il mio, quando disegno i miei fumetti! Quando li immagino mi fomento molto, mi fa sentire molto eccitato. Ma la sensazione di aver realizzato un bel disegno, anche se non mostra nessuna pratica sessuale, è il piacere che voglio maggiormente raggiungere. Spero che le mie opere possano procurare piacere e eccitamento sessuale, ma per me è ancora più importante godere esteticamente nell’osservare disegni ben realizzati.
Per autori come Hayami Jun, la rappresentazione della violenza sulle donne ha una valenza catartica e di denuncia. C’è della denuncia nei tuoi lavori? Senti mai il peso del male sulle tue spalle per i fumetti che rappresenti?
Ahah, no, non ho mai sentito il “peso del male” sulle mie spalle! Dal mio punto di vista, l’arte è separata dall’etica. Questo mi permette di disegnare tutto, anche le peggiori scene di torture che si possono immaginare, con delizia… previsto che nella mia vita sono una persona gentile, onesta e amichevole! Cerco di essere esemplare nella vita di tutto i giorni, perché questa è la mia vera natura, ma voglio essere libero di disegnare nelle mie opere le cose più oscure, pazze e sporche. Non voglio particolarmente che il mio lavoro sia qualcosa di catartico, o di denucia delle violenze del mondo! Voglio solo fare disegni divertenti, unici ed eccitanti.
Immagine di copertina di Dirty De Sade ha posto il limite alla letteratura occidentale di cosa può essere narrato. Vuoi sfidare questo limite? Hai mai provato il senso di delusione di non aver raggiunto e superato quel limite?
Come fumettista, so perfettamente che non posso competere con De Sade. Fumetti e letteratura sono molto diversi, sotto tanti aspetti. Forse posso disegnare delle storie che ricordando certe scene che ho letto ne Le centoventi giornate di Sodoma_, per esempio, ma il risultato sarà necessariamente molto diverso. Io cerco solo di padroneggiare al meglio la mia arte, di raccontare le storie che voglio raccontare tenendo in testa la convinzione che De Sade non potrà mai venire superato, in ogni caso. Detto ciò, cerco di spingermi il più in là possibile, e immaginare scene di sesso e torture che neanche Sade aveva immaginato. Bella sfida, vero?_
Quali sono i tuoi artisti preferiti? E quali hanno influenzato di più le tue opere?
La mia principale fonte di ispirazione sono i romanzi, ma apprezzo molto anche molti fumettisti di universi che sembrano molto lontani dal mio! Per esempio, adoro Benjamin Marra, e considero il suo fumetto O.M.W.O.T. un capolavoro degli anni ‘10. Mi piacciono molto anche i manga di Yokohama Yuichi, sono così originali, così forti! In linea generale amo il pop e la outsider art, come le fanzine, i film di serie B degli anni 90, il wrestling, ecc.
Puoi consigliare ai nostri lettori qualcosa da ascoltare?
No, mi dispiace! Non ascolto musica! Ascolto molti podcast sulla permacultura, wrestling, videogiochi o fumetti, ma niente musica!
_Whore_ – p. 11L'originale è stato pubblicato su [https://blog.becomix.me/vendetta-contro-lumanita-intervista-a-mavado-charon/](https://blog.becomix.me/vendetta-contro-lumanita-intervista-a-mavado-charon/ "Permalink")
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pangeanews · 5 years ago
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“Meglio gli ideali di ieri dell’irriducibile mediocrità di oggi”. “Ma cosa dici! La nostra generazione ha perso e a Eco preferisco Veronesi”. Dialogo serrato tra Filippo La Porta e Gianni Bonina sul valore della cultura. Nel segno di Sciascia
L’anno scorso, per il trentennale della scomparsa di Leonardo Sciascia, nelle pagine culturali di “Repubblica” apparve un articolo di Filippo La Porta che diede spunto per uno scambio di email tra il critico letterario romano e il giornalista culturale catanese Gianni Bonina. Oggetto: il primato della cultura di oggi su quella di ieri sostenuto da La Porta e contestato da Bonina. Pubblichiamo il dialogo che si ebbe a distanza.
***
Ciao Filippo, ho letto e apprezzato la tua nota su Sciascia: condivisibilissima, benché mi lasci perplesso l’idea che la sua eredità sarebbe stata raccolta dal migliore giornalismo d’inchiesta e che oggi il pensiero critico non alberghi in un individuo o in una casta ma sia per dire diffuso persino nei social. Sei ottimista e positivo, ma mi chiedo chi interpreti mai questo giornalismo d’inchiesta che non sia nondimeno fazioso e chi siano oggi i nuovi opinion-maker o grilli parlanti che a loro volta non costituiscano una nuova casta quale si vede nelle conventicole o cordate editoriali e nelle piattaforme web. Ad ogni modo, fornisci – come sempre – materia di riflessione.
Un caro saluto
Gianni
*
Carissimo, grazie. Però la tua perplessità mi perplime (si dice?).
La mia è una reazione credo sacrosanta ai tanti amici che definirei ‘apocalittici integrati’ (tengono il broncio al nostro tempo, come diceva Musil, però lo abitano abbastanza confortevolmente), che pensano che finiti loro finisce il mondo!
40 anni fa c’era più pensiero critico nella società? Scherziamo! I miei maestri Rossana Rossanda e Lucio Magri inneggiavano alla Rivoluzione Culturale cinese (un milione di morti), Fortini parlava del Comunismo come della Città Celeste di sant’Agostino e i nostri discorsi erano infarciti di slogan. Gli eretici poi erano i più ortodossi di tutti. Oggi invece – parlo solo di minoranze ma sempre sono le minoranze a spingere la realtà ��� c’è un pensiero forse meno colto, più slabbrato e confuso, ma anche più libero, antidogmatico, anti-ideologico… Nei social trovo sia il narcisismo aggressivo e la supponenza degli asini, sia esperienze di condivisione e collaborazione che la mia generazione ha solo teorizzato!
Non rimpiango le inchieste di ieri, mentre oggi in Rete se hai buona volontà puoi raggiungere la verità su un qualsiasi fatto solo incrociando le fonti (come dice la filosofa Franca d’Agostini).
 F
*
Caro Filippo, ho troppa stima di te e ho letto non poche cose tue, sempre con ammirazione, per non esprimertene di nuova circa la tua singolarità. Hai vissuto gli anni degli ideali e magnifichi quelli attuali ispirati alla più irriducibile mediocrità. E ora scopro che un intellettuale educato al vecchio credo inneggia al nuovo.
è vero quello che dici: furono anni apocalittici, ma per colpa della troppa ideologia messa in circolo. Tolta quella, come è successo, è rimasto il vuoto: colmato da pensatori i cui nomi sarebbe decisamente indegno accostare agli stessi che tu ricordi. Fortini, Fofi, certo, anche loro appaiono oggi dei mostri sacri, benché fossero allora detestabili e discutibili. Ma ci sono stati Sciascia, Pasolini, Calvino, Manganelli: letterati, Filippo, letterati pressoché in permanente conflitto col potere e su posizioni non certo di inferiorità, diversi dai pifferai che vedo oggi in giro. Chi eserciterebbe il pensiero critico? Saviano forse, Scalfari? La D’Agostini? Cacciari? Travaglio? Non ti viene da ridere?
Citi i social come nuova fonte della verità e io rabbrividisco. Credi davvero che, incrociando termini, si giunga alla conoscenza? Forse a una mera informazione da catalogo Vestro o da vecchio Leonardo degli anni Sessanta. Beato te, caro Filippo, che vedi a colori dove è solo grigio.
Gianni
*
Caro Gianni, la stima è interamente ricambiata!
Sì, come metti le cose tu sembra che non ci siano vie d’uscita. Ma sei sicuro che quando muore uno scrittore o regista o poeta si debba necessariamente scrivere che è morto l’ultimo scrittore, l’ultimo regista, etc.? Manganelli è un gigante ma anche un romanziere semifallito, e sul piano del romanzo Veronesi gli è superiore. Calvino un intellettuale strepitoso ma, anche qui come romanziere Doninelli lo sopravanza. Gli ultimi libri della Ginzburg sono imbarazzanti. Se scorri i vincitori dello Strega degli anni ’60 e ’70 i più sono dimenticati o dimenticabili.
Le nuove generazioni: vedo i rischi di impoverimento culturale e linguistico, la perdita della memoria, la svalutazione della fatica (per raggiungere un risultato), il prevalere della fretta, etc. ma vedo anche che diffidano della cultura perché la cultura per la mia generazione è stata uno strumento di carriera e di potere, e soprattutto che danno più importanza alla relazione tra ciò che dici e ciò che fai. Per loro devi essere ‘credibile’. Ti pare poco?
Guarda che la cultura nel ’900 ha fallito: il nazismo è nato nella culla del romanticismo e nel paese più istruito d’Europa! Non ti fa venire degli interrogativi? L’umanesimo in sé ahinoi non umanizza!  Le nuove generazioni provano a sostituire l’umanesimo con una umanità concreta, la cultura libresca con esperienze di condivisione. Chi custodisce l’umanesimo della tradizione, i miei amici professori ordinari di letteratura italiana, sempre al sicuro e al riparo di tutto, impegnati a costruire le loro confortevoli carriere accademiche o i giovani che tentano – anche confusamente – di mettere in pratica il ‘ben fare’ di cui parla Dante (l’Italia è il primo paese in Europa quanto al volontariato)? La filosofa Roberta De Monticelli parla dei suoi colleghi universitari, impegnati a criticare il sistema dell’università ma complici delle “opacità” consortili e dei conformismi di quel sistema. Gianni, l’umanesimo preme su di noi con le sue domande e le sue promesse, dobbiamo sapergli rispondere.
La filosofa Franca d’Agostini (altro che Cacciari!) scrive in Introduzione alla verità che certo in Rete tutto risulta vero, ma il fatto che la verità non segnala mai con chiarezza la sua presenza lo sapevamo dal tempo dei sofisti, e anzi la circostanza interessante oggi è che sappiamo tutto ciò e sappiamo che da qualche parte il vero c’è “e possiamo fare una grande quantità di confronti incrociati per reperirlo”. Pensi davvero che 30 anni fa la situazione era più favorevole alla ricerca del vero?
Filippo
*
Caro Filippo, “Ultimo scrittore” o “Ultimo regista” sono slogan dei maggiori giornali, in riferimento ad autori che appartengono alle generazioni passate per celebrare “il nuovo che avanza”. I danni che “la grande stampa” sta producendo sono incalcolabili. Veronesi, dici, superiore a Manganelli? Spero ti rendi conto, caro Filippo, che basta solo fare il nome di Veronesi (assurto a un barlume di visibilità solo grazie a un film su un suo libro di stentata sufficienza) o quello di Doninelli per capire che parliamo di persone sconosciute già oggi nel clou della loro attività, figuriamoci domani, mentre Manganelli e Calvino saranno noti anche dopodomani come lo sono tutt’oggi. I vincitori Strega degli anni Sessanta e Settanta li trovi ancora oggi nei manuali di letteratura e molti vengono ripubblicati, altro che dimenticabili. Oggi dominano le classifiche i Volo e gli influencer, i cuochi, i conduttori televisivi che scrivono romanzi e i ragazzini rap. Lo Strega lo vincono i Giordano e altri di un solo libro, tutti illeggibili, tutti già dimenticati.
La differenza tra ieri e oggi è che se la cultura è stata uno strumento di potere e di carriera – in parte cosa verissima e inevitabile nei meccanismi della civiltà occidentale: anche Platone venne a Siracusa per fare politica – oggi lo è lo spettacolo, l’intrattenimento, il talk show. Con la differenza che gli uomini di cultura di ieri diventavano statisti. Hai fatto caso che da vent’anni nessuno pronuncia più la parola “statista”? Non sarà perché è impossibile trovarne uno che possa esserlo?
La cultura del Novecento si è troppo imbevuta di postmoderno da essere chiamata “novecentismo”, ma senza il novecentismo non avremmo avuto nemmeno il Sessantotto, cioè l’immaginazione al potere. I “dominanti” di oggi sono quelli che hanno tradito lo spirito del Sessantotto e risposto al riflusso degli anni Ottanta, alle illecebre della società dello spettacolo e della globalizzazione. Ma viva comunque quell’età quando per strada noi, tu e io, scendevamo a marciare per ideali che nemmeno ci chiedevamo se fossero giusti o sbagliati, e tuttavia eravamo lì, con gli altri, in tutte le città, anche su schieramenti opposti, ma gonfi di valori e ideali. Meglio un ideale sbagliato che la mancanza anche del più misero. Oggi i giovani stanno su internet e hanno perso ogni ideale. Non leggono e vedono serie Tv. Protestano per il clima non perché ci credono ma per seguire una foga passeggera, non sanno nemmeno cos’è il sacco a pelo e non hanno né passioni né valori né hobby. Tutto in nome del pragmatismo imperante voluto dalla società postideologica che ha in odio pure la distinzione tra destra e sinistra, discrimine sul quale molte generazioni hanno speso la vita. Noi leggevamo romanzi all’età in cui mio figlio mi ha chiesto perché non impiegassi semmai il mio tempo a leggere un manuale su come riparare un lavandino, servendomi molto di più: non capendo che senza la letteratura non ci sarebbe stata la filosofia e senza la filosofia non ci sarebbero state le idee e dunque non ci sarebbe stata la storia e infine l’umanità organizzata.
L’umanesimo ha nutrito l’Europa per quasi sei secoli, così tanto da fare parte oggi del carattere continentale, degli italiani in particolare. Se oggi lo sguardo sul passato è stato distolto è stato per il prevalere del mito del presente, un totem che il mondo adora e i cui sacerdoti sono i pragmatici, ovvero gli opportunisti, i Salvini, i Berlusconi, i Di Maio, i Renzi, i Grillo: la “nostra classe dirigente”. Per fortuna, dico io, che l’umanesimo continua a fare da antidoto contro l’avvelenamento invalente anche del pupulismo e del sovranismo. Per fortuna che ancora c’è gente che guarda alla tradizione almeno con sentimento di rimpianto e la colpa di aver tentato di demolirla. Dici che è un bene che la cultura libresca sia stata sostituita da esperienze di condivisione. Dunque dovremmo approvare il primato di Internet e di facebook sul modello di cultura che da Aristotele in poi è stato alla base della nostra civiltà? Ti inviterei a leggere a caso qualsiasi libro dell’Ottocento e poi qualsiasi libro degli ultimi dieci anni, non solo di narrativa ma anche di saggistica, campo questo nel quale è del tutto impossibile trovare chi meriti un minimo di attenzione. Non c’è oggi un solo settore nel quale operi una sola eccellenza che non sia frutto del suo tempo effimero e che non durerà. Per fortuna, il vuoto totale di scrittori, di cantautori, di artisti, pure di calciatori, spinge a rinverdire e tenere presenti i nomi del passato, sicché si continuano ad ascoltare “i nostri” De Gregori e Venditti, si continuano a leggere Umberto Eco e Sciascia. Un solo merito concedo alle nuove generazioni della condivisione: il fatto che conoscano l’inglese. Ma quello che per la nostra generazione era visto come un vantaggio da conseguire per condividere cultura internazionale oggi è considerato un mezzo per stare nottate intere applicati nei giochi di ruolo.
Il fatto poi che i nostri riferimenti debbano essere le D’Agostino e i D’Agostino mi pare una eloquente chiave di interpretazione del tempo che viviamo. A me basta ricordarti una frase di Sciascia in fatto di ricerca epistemologica: “Che cos’è la verità? Sarei tentato di rispondere che è la letteratura”.  La letteratura Filippo, non la condivisione, il pragmatismo, il post-umanesimo e il post-ideologismo. E permettimi, non la letteratura dei Doninelli, che è l’equivalente della politica dei Toninelli.
Gianni
*
Carissimo, mi fa piacere la tua – oggi insolita – volontà dialogica. I temi che sollevi sono molti, e cruciali. Certo, la pietas verso il passato culturale, l’amore per la tradizione, sapere di cosa siamo fatti, etc. ma nel momento in cui il passato culturale è diventato museo e accademia, repertorio di citazioni multiuso, oggi tendo a dare molta importanza alla parte migliore della cultura di massa, che tenta di rileggere criticamente quel passato: Caparezza che riprende genialmente Dante con “Argenti vive”, Woody Allen che rilegge Delitto e castigo, i Simpson che mettono in scena Shakespeare, i Coen e la letteratura yiddish…Va bene, il punto è non fermarsi lì, non fermarsi alla “mediazione” (la cultura di massa può essere solo un ponte) e dunque a un certo punto i classici prenderli in mano, leggerli direttamente. Però i classici dobbiamo pur farli parlare, dobbiamo esporci alle loro domande urgenti, drammatiche. L’arte moderna, è stato osservato, ha perso il pungiglione. Ecco, in che modo può ritrovare quel pungiglione? Forse deve anche percorrere strade meno istituzionali, meno prevedibili.
Quanto a Eco, e lo dico con tutto il rispetto verso il semiologo, beh il fatto che oggi si leggano con godimento i romanzi-videogame di Eco è per me – dovresti saperlo – quasi una iattura. Appunto: con il loro aroma culturale nobilitano i lettori e li fanno sentire più intelligenti senza sforzo. Un saggista messicano, Elizondo, scrisse un delizioso commento su una indigestione di Eco a Capodanno, dicendo che era una metafora della sua bulimica narrazione! Su Manganelli: lo adoro, mi leggo e rileggo i suoi strepitosi reportage e articoli, ha adoperato la nostra lingua con una creatività insuperabile. Ma come romanziere mi sembra fiacco, algido, privo di ritmo. è uno stilista, ha un talento retorico superbo, ma è come sigillato dentro la lingua, in modo claustrofobico, non sento attrito (curioso: sia Eco che Manganelli ebbero uno scontro feroce con Pasolini!). Nel genere del romanzo io preferisco gli affabulatori, appunto Veronesi o Doninelli, con i loro romanzi anche imperfetti o frananti, ma che comunque costruiscono un mondo credibile, in cui abiti per un po’. E non capisco la battuta sprezzante sulla D’Agostini, filosofa rigorosa e di grande energia argomentativa (assai meglio del liricizzante Agamben). E neanche quella su D’Agostino! Va bene, jolly rutilante dell’universo del gossip… ma sai che quando parla del costume è spesso più acuto dei sociologi delle prime pagine dei quotidiani?
Comunque sono convinto che il vero nemico della cultura è la cultura stessa, che ha tradito le proprie promesse e non il digitale o la Rete o il mercato o i videogiochi. Mio figlio legge pochissimo, ma ha una intelligenza meno dogmatica e meno ideologica di quella che avevo io alla sua età. Ha messo l’immaginazione al lavoro, per creare comunità, legame sociale, saperi condivisi, senza volerla “mandare al potere” (cosa per me raggelante). Non mi illudo sulla sharing economy o su un Terzo Settore che confina con il business, però vedo che mio figlio con amici e semplici coetanei si scambia in Rete, che so, anche i sottotitoli della fiction americana… Realizzano, senza proclami, tutto quello che la mia generazione si è limitata a teorizzare, predicare, raccomandare etc.: la condivisione, la messa in comune. Nel gruppo di lettura della biblioteca sotto casa – credo molto nei gruppi spontanei di lettura, in Italia ne sono stati censiti circa 400, è in essi e non nell’università o nella scuola che si forma un lettore più esigente e responsabile – i classici sono più amorevolmente coltivati rispetto a 30 anni fa. No, caro Gianni all’apocalisse preferisco la genesi!
Filippo
*In copertina: Leonardo Sciascia (1921-1989) a Racalmuto, photo Rcs Periodici/Dolcetti
L'articolo “Meglio gli ideali di ieri dell’irriducibile mediocrità di oggi”. “Ma cosa dici! La nostra generazione ha perso e a Eco preferisco Veronesi”. Dialogo serrato tra Filippo La Porta e Gianni Bonina sul valore della cultura. Nel segno di Sciascia proviene da Pangea.
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