#rivoluzione culturale
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b0ringasfuck · 2 months ago
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Lollobrigida e la rivoluzione culturale
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Educated youth must go to the countryside to receive re-education from the Poor and Lower-Middle peasants!
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copiamo solo dai grandi sbagli.
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pier-carlo-universe · 1 month ago
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Tecnologia, follia e concreta disobbedienza di Gianluca Cadeddu - Un manifesto per il cambiamento sociale e culturale
Come la tecnologia può essere strumento di emancipazione e rinascita culturale
Come la tecnologia può essere strumento di emancipazione e rinascita culturale Tecnologia, follia e concreta disobbedienza è un libro che rappresenta un manifesto contemporaneo e provocatorio, una chiamata alle armi per coloro che vogliono usare la tecnologia come mezzo per cambiare se stessi e il mondo circostante. L’autore non si limita a descrivere gli aspetti tecnici della tecnologia, ma ne…
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fabriziosbardella · 1 year ago
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Si è svolto recentemente all’Università degli Studi Link di Roma, un interessantissimo convegno sulla rivoluzione culturale della giustizia riparativa #fabriziovaleriobonanni #giustiziariparativa #riformacartabia #rivoluzioneculturale #universitalink #fabriziosbardella
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primepaginequotidiani · 3 months ago
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PRIMA PAGINA La Provincia di Oggi domenica, 08 settembre 2024
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gianlucacrugnola · 1 year ago
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Now Playing The Nineties - Playlist
Now Playing The Nineties; più di una classica playlist, nasce come percorso musicale in accompagnamento alla lettura di Now Playing the Nineties. Cronologia rock dell’ultima rivoluzione culturale https://g.co/kgs/KkocTn Un viaggio trasversale tra dischi iconici, seminali e ricordi che riportano all’ultima significativa saga del rock ma non solo, un periodo legato a grandi aspettative e mutamenti…
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falcemartello · 8 months ago
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Quella che era apparsa una rivoluzione culturale epocale..il 68.. si è rivelata essere la più grande truffa culturale ai danni degli studenti e dei giovani. Un tempo nelle Università e nei licei si contestava il potere.. oggi il potere sta dominando le menti di universitari, ormai talmente manipolati da credere che il pensiero unico sia il pensiero libero. Boni Castellane fotografa il fallimento educativo e culturale
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abr · 6 days ago
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L'AGENDA in un solo punto.
"Trump ha detto con chiarezza di voler restituire agli Stati i poteri che avevano prima, smantellando il Dipartimento federale dell'Istruzione voluto dai suoi predecessori democratici. Si tratterebbe di una grande rivoluzione nel segno di un ritorno al tradizionale liberalismo Usa. Ed è anche l’unico strumento per sradicare l’ideologia woke.
Si tratta indubbiamente di un compito difficile da realizzare e, non a caso, l’intero mondo (culturale omologato) americano, tradizionale punto di riferimento del Partito democratico, ha già annunciato una dura opposizione tanto al Congresso quanto nelle piazze. A conferma del fatto che l’etichetta di progressismo di cui si vantano è del tutto ingiustificata".
ABOLIRE.IL.MINISTERO.
#AFUERA!
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crazy-so-na-sega · 2 months ago
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– Per quanto riguarda l'Europa, quale rivoluzione vorrebbe?
– Una rivoluzione culturale che sanasse l'Europa da tutte le conseguenze dell'infezione materialistica rappresentata dalla cd. "Civiltà occidentale". Nel dominio politico, la liberazione dell'Europa dal colonialismo USA.
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francesca-fra-70 · 1 year ago
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"La morte di Giulia Tramontano era meno importante da non aver smosso nulla?
E quella di Iris Setti? E le decine prima?
Ma la sorella della Tramontano si è limitata a dire: "ti vedo in ogni ragazza bionda che passa."
E Iris Setti non sanno nemmeno chi sia. Già���"😏
On X
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Colloquio PD-Elena Cecchettin: "Diventa manifesto contro patriarcato".
Come riportato da Repubblica, il PD rappresentato da Alessandra Moretti ha fatto visita ad Elena Cecchettin.
C'è stato un colloquio di due ore, in presenza dei legali, in cui la sorella della vittima ha invitato il partito a promuovere una rivoluzione culturale:
"Sono colpita dal fatto che la morte di mia sorella abbia scosso le coscienze di migliaia e migliaia di ragazze e ragazzi. Mi aspetto tante persone alle manifestazioni di Roma e di tutta Italia. I politici devono ascoltarmi: serve una rivoluzione culturale."
Il PD ha risposto invitando Elena a diventare un simbolo:
"Sarebbe molto importante perché oggi Elena è diventata un punto di riferimento, un manifesto contro il patriarcato.
#25Novembre #ElenaCecchettin #pd #patriarcato #femminicidio #femminismo
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mezzopieno-news · 3 months ago
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EVITARE CHE IL TURISMO DIVENTI MASSA: UNA APP PER SFUGGIRE ALLA FOLLA
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Scovare luoghi insoliti o destinazioni interessanti che in pochi conoscono, magari a pochi passi dai grandi siti frequentati da orde di turisti.
L’esigenza di fare vacanze meno stressanti e predatorie è un tema sempre più sentito, tanto da parlare di overtourism, l’eccesso di turismo che rischia di ingolfare le mete più celebri. Per rispondere a questo bisogno, una startup italiana ha pensato ad un approccio che vada nella direzione opposta, proponendo una rivoluzione nel modo di visitare i luoghi e di porsi nei confronti di questi e delle persone che li vivono. “Vieni come ospite, riparti come abitante del posto” cita il sito di Unexpected Italy che mette in connessione i consigli e gli itinerari locali per vivere le esperienze autentiche di ogni posto, evitando di congestionarlo e per sfuggire alle trappole per turisti. Una applicazione permette di organizzare i contatti con i piccoli produttori locali, l’ospitalità casalinga e l’approfondimento di tradizioni e bellezze nascoste; l’inaspettato fuori dai sentieri battuti. Angoli segreti e ritrovi della gente del posto, eliminando intermediari e gruppi organizzati.
“Il turismo può essere uno strumento potente per garantire pace, scambio culturale, prosperità, crescita intellettuale e spirituale sia dei viaggiatori che della gente del posto… anche una delle principali cause di degrado ambientale e, in alcuni casi, culturale. Domare il turismo in una forza per il bene e mettere la ricerca di autenticità e armonia con le comunità locali e l’ambiente al centro del viaggio è la sfida principale che abbiamo di fronte” spiegano i fondatori.
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Fonte: Unexpected Italy; foto di Yan Krukau
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gregor-samsung · 4 months ago
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“ È bene ricordare che i vecchi politici italiani avevano un certo senso dell'umorismo. L’aveva Giulio Andreotti, capace, lui sì, di sottile ironia. E per venire a una figura più recente, penso a Marco (Giacinto) Pannella, che sapeva, tra l’altro, usare bene il linguaggio per prospettare soluzioni nuove e inaspettate. La sua era un’ironia d’assalto, senza dubbio, ma assai stimolante. E fra i leader politici non italiani penso a Gerry Adams. Quando l’ho incontrato alcune volte nei pub di Belfast si dimostrava una persona piacevolissima che faceva ridere con le sue battute quelli con cui chiacchierava con grande socievolezza. L’ironia, qualche volta almeno, ha bisogno di questa amabilità. I politici italiani oggi più noti non ne sembrano provvisti. Il problema è che non sono ironici, e non sono nemmeno divertenti. Ma ce n’erano di divertenti? Forse sì. Gramsci? Secondo me, era uno che aveva un notevole senso dell'ironia. E se Gramsci non l’aveva, ce l’aveva Gobetti. E Lenin era un tipo ironico? Penso di sì. Era capace di un’ironia impregnata di sarcasmo, e quindi era una forma di ironia violenta e aggressiva; però, Lenin l’aveva. Stalin direi meno. Malgrado la battuta che fece all'autore de Il maestro e Margherita, Michail A. Bulgakov: «Ma avvocato, com’è che Lei non mi telefona mai?». Dunque, persino Stalin qualche battuta ironica la faceva… Io credo che un analogo atteggiamento si ritrovi anche in vari altri dirigenti dei paesi detti «a socialismo reale». Curioso modo di esprimersi, peraltro. Gli altri paesi socialisti, o meglio socialdemocratici, sono invece a socialismo irreale? Gli unici che forse posso pensare che fossero ironici in modo sofisticato sono alcuni politici della Cina popolare. Per esempio, Zhou Enlai, quando gli chiesero un parere sulla rivoluzione culturale promossa dall'amato presidente Mao Zedong, dichiarò: «Siete troppo frettolosi. Volete un giudizio su qualcosa che sta accadendo adesso? Be’, con molta fatica stiamo capendo ora quello che è successo durante la Rivoluzione francese». Una battuta di notevole classe. “
Giulio Giorello, La danza della parola. L'ironia come arma civile, Mondadori (collana Orizzonti), 2019¹. [Libro elettronico]  
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raffaeleitlodeo · 1 year ago
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La controrivoluzione delle élite di cui non ci siamo accorti: intervista a Marco D’Eramo - L'indipendente on line
Fisico, poi studente di sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi, giornalista di Paese Sera, Mondoperaio e poi per lungo tempo de il manifesto. Marco D’Eramo ha di recente pubblicato il saggio Dominio, la guerra invisibile contro i sudditi (ed. Feltrinelli, 2020), un libro prezioso che, con uno stile agevole per tutti e dovizia di fonti, spiega come l’Occidente nell’ultimo mezzo secolo sia stato investito di una sorta di rivoluzione al contrario, della quale quasi nessuno si è accorto: quella lanciata dai dominanti contro i dominati. Una guerra che, almeno al momento, le élite stanno stravincendo e che si è mossa innanzitutto sul piano della battaglia delle idee per (ri)conquistare l’egemonia culturale e quindi le categorie del discorso collettivo. Una chiacchierata preziosa, che permette di svelare il neoliberismo per quello che è, ovvero un’ideologia che, in quanto tale, si muove attorno a parole e concetti chiave arbitrari ma che ormai abbiamo assimilato al punto di darli per scontati, ma che – una volta conosciuti – possono essere messi in discussione.
Ci parli di questa rivoluzione dei potenti contro il popolo, cosa è successo?
Nella storia i potenti hanno sempre fatto guerra ai sudditi, se no non sarebbero rimasti potenti, questo è normale. Il fatto è che raramente i sudditi hanno messo paura ai potenti: è successo nel 490 a.C., quando la plebe di Roma si ritirò sull’Aventino e ottenne i tribuni della plebe. Poi, per oltre duemila anni, ogni volta che i sudditi hanno cercato di ottenere qualcosa di meglio sono stati brutalmente sconfitti. Solo verso il 1650 inizia l’era delle rivoluzioni, che dura circa tre secoli, dalla decapitazione di re Carlo I d’Inghilterra fino alla rivoluzione iraniana, passando per quella francese e quelle socialiste. Da cinquant’anni non si verificano nuove rivoluzioni.
E poi cosa è successo?
Con la seconda guerra mondiale le élite hanno fatto una sorta di patto con i popoli: voi andate in guerra, noi vi garantiamo in cambio maggiori diritti sul lavoro, pensione, cure, eccetera. Dopo la guerra il potere dei subalterni è continuato a crescere, anche in Italia si sono ottenute conquiste grandiose come lo statuto dei Lavoratori, il Servizio Sanitario Nazionale ed altro. A un certo punto, le idee dei subordinati erano divenute talmente forti da contagiare le fasce vicine ai potenti: nascono organizzazioni come Medicina Democratica tra i medici, Magistratura Democratica tra i magistrati, addirittura Farnesina Democratica tra gli ambasciatori. In Italia come in tutto l’Occidente le élite hanno cominciato ad avere paura e sono passate alla controffensiva.
In che modo?
Hanno lanciato una sorta di controguerriglia ideologica. Hanno studiato Gramsci anche loro e hanno agito per riprendere l’egemonia sul piano delle idee. Partendo dai luoghi dove le idee si generano, ovvero le università. A partire dal Midwest americano, una serie di imprenditori ha cominciato a utilizzare fondazioni per finanziare pensatori, università, convegni, pubblicazioni di libri. Un rapporto del 1971 della Camera di Commercio americana lo scrive chiaramente: “bisogna riprendere il controllo e la cosa fondamentale è innanzitutto il controllo sulle università”. Da imprenditori, hanno trattato le idee come una merce da produrre e vendere: c’è la materia prima, il prodotto confezionato e la distribuzione. Il primo passo è riprendere il controllo delle università dove la materia prima, ovvero le idee, si producono; per il confezionamento si fondano invece i think tank, ovvero i centri studi dove le idee vengono digerite e confezionate in termini comprensibili e affascinanti per i consumatori finali, ai quali saranno distribuiti attraverso giornali, televisioni, scuole secondarie e così via. La guerra si è combattuta sui tre campi della diffusione delle idee, e l’hanno stravinta.
Quali sono le idee delle élite che sono divenute dominanti grazie a questa guerra per l’egemonia?
La guerra dall’alto è stata vinta a tal punto che non usiamo più le nostre parole. Ad esempio, la parola “classe” è diventata una parolaccia indicibile. Eppure Warren Buffet, uno degli uomini più ricchi del mondo, lo ha detto chiaramente: «certo che c’è stata la guerra di classe, e l’abbiamo vinta noi». O come la parola “ideologia”, anche quella una parolaccia indicibile. E allo stesso tempo tutte le parole chiave del sistema di valori neoliberista hanno conquistato il nostro mondo. Ma, innanzitutto, le élite sono riuscite a generare una sorta di rivoluzione antropologica, un nuovo tipo di uomo: l’homo economicous. Spesso si definisce il neoliberismo semplicemente come una versione estrema del capitalismo, ma non è così: tra la teoria liberale classica e quella neoliberista ci sono due concezioni dell’uomo radicalmente differenti. Se nel liberalismo classico l’uomo mitico è il commerciante e l’ideale di commercio è il baratto che si genera tra due individui liberi che si scambiano beni, nel neoliberismo l’uomo ideale diventa l’imprenditore e il mito fondatore è quello della competizione, dove per definizione uno vince e l’altro soccombe.
Quindi rispetto alle generazioni che ci hanno preceduto siamo diventati un’altra specie umana senza accorgercene?
L’idea che ogni individuo è un imprenditore genera una serie di conseguenze enormi. La precondizioni per poter avviare un’impresa è avere qualcosa da investire, e se non ho capitali cosa investo? A questa domanda un neoliberista risponde: «il tuo capitale umano». Questa è una cosa interessantissima perché cambia tutte le nozioni precedenti. Intanto non vale l’idea del rapporto di lavoro come lo conoscevamo: non esiste più un imprenditore e un operaio, ma due capitalisti, dei quali uno investe denaro e l’altro capitale umano. Non c’è nulla da rivendicare collettivamente: lo sfruttamento scompare, dal momento che è un rapporto tra capitalisti. Portando il ragionamento alle estreme conseguenze, nella logica dominante, un migrante che affoga cercando di arrivare a Lampedusa diventa un imprenditore di sé stesso fallito, perché ha sbagliato investimento. Se ci si riflette bene, la forma sociale che meglio rispecchia questa idea del capitale umano non è il liberalismo ma lo schiavismo, perché è lì che l’uomo è letteralmente un capitale che si può comprare e vendere. Quindi non credo sia errato dire che, in verità, il mito originario (e mai confessato) del neoliberismo non è il baratto ma lo schiavismo. Il grande successo che hanno avuto i neoliberisti è di farci interiorizzare quest’immagine di noi stessi. È una rivoluzione culturale che ha conquistato anche il modo dei servizi pubblici. Per esempio le unità sanitarie locali sono diventate le aziende sanitarie locali. Nelle scuole e nelle università il successo e l’insuccesso si misurano in crediti ottenuti o mancanti, come fossero istituti bancari. E per andarci, all’università, è sempre più diffusa la necessità di chiedere prestiti alle banche. Poi, una volta che hai preso il prestito, dovrai comportarti come un’impresa che ha investito, che deve ammortizzare l’investimento e avere profitti tali da non diventare insolvente. Il sistema ci ha messo nella situazione di comportarci e di vivere come imprenditori.
Ritiene che l’ideologia neoliberista abbia definitivamente vinto la propria guerra o c’è una soluzione?
Le guerre delle idee non finiscono mai, sembra che finiscano, ma non è così. Se ci pensiamo, l’ideologia liberista è molto strana, nel senso che tutte le grandi ideologie della storia offrivano al mondo una speranza di futuro migliore: le religioni ci promettevano un aldilà di pace e felicità, il socialismo una società del futuro meravigliosa, il liberalismo l’idea di un costante miglioramento delle condizioni di vita materiali. Il neoliberismo, invece, non promette nulla ed anzi ha del tutto rimosso l’idea di futuro: è un’ideologia della cedola trimestrale, incapace di ogni tipo di visione. Questo è il suo punto debole, la prima idea che saprà ridare al mondo un sogno di futuro lo spazzerà via. Ma non saranno né i partiti né i sindacati a farlo, sono istituzioni che avevano senso nel mondo precedente, basato sulle fabbriche, nella società dell’isolamento e della sorveglianza a distanza sono inerti.
Così ad occhio non sembra esserci una soluzione molto vicina…
Invece le cose possono cambiare rapidamente, molto più velocemente di quanto pensiamo. Prendiamo la globalizzazione: fino a pochi anni fa tutti erano convinti della sua irreversibilità, che il mondo sarebbe diventato un grande e unico villaggio forgiato dal sogno americano. E invece, da otto anni stiamo assistendo a una rapida e sistematica de-globalizzazione. Prima la Brexit, poi l’elezione di Trump, poi il Covid-19, poi la rottura con la Russia e il disaccoppiamento con l’economia cinese. Parlare oggi di globalizzazione nei termini in cui i suoi teorici ne parlavano solo vent’anni fa sembrerebbe del tutto ridicolo, può essere che tra vent’anni lo sarà anche l’ideologia neoliberista.
Intanto chi è interessato a cambiare le cose cosa dovrebbe fare?
Occorre rimboccarsi le maniche e fare quello che facevano i militanti alla fine dell’Ottocento, ovvero alfabetizzare politicamente le persone. Una delle grandi manovre in questa guerra culturale lanciata dal neoliberismo è stata quella di ricreare un analfabetismo politico di massa, facendoci ritornare plebe. Quindi è da qui che si parte. E poi bisogna credere nel conflitto, progettarlo, parteciparvi. Il conflitto è la cosa più importante. Lo diceva già Machiavelli: le buone leggi nascono dai tumulti. Tutte le buone riforme che sono state fatte, anche in Italia, non sono mai venute dal palazzo. Il Parlamento ha tutt’al più approvato istanze nate nelle strade, nei luoghi di lavoro, nelle piazze. Lo Statuto dei Lavoratori non è stato fatto dal Parlamento per volontà della politica, ma a seguito della grande pressione esterna fatta dai movimenti, cioè dalla gente che si mette insieme. Quindi la prima cosa è capire che il conflitto è una cosa buona. La società deve essere conflittuale perché gli interessi dei potenti non coincidono con quelli del popolo. Già Aristotele lo diceva benissimo: i dominati si ribellano perché non sono abbastanza eguali e i dominanti si rivoltano perché sono troppo eguali. Questa è la verità.
[di Andrea Legni]
https://www.lindipendente.online/2023/11/01/la-controrivoluzione-delle-elite-di-cui-non-ci-siamo-accorti-intervista-a-marco-deramo/?fbclid=IwAR0J1ttaujW9lXdoC3r4k5Jm46v3rQM_NMampT4Sd_Q-FX4D-7TFWKXhn3c
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luigidelia · 9 months ago
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Una bella notizia, cari, sputo il rospo tutto insieme. Non avevo ancora scritto niente su questa novità ma a questo punto il viaggio è cominciato e bisogna pur attirare le energie positive: SONO STATO NOMINATO CONSULENTE PER LO SVILUPPO DELLA NUOVA BIBLIOTECA DI BRINDISI, IL MEDIAPORTO. E il prossimo 22 marzo con un convegno si inaugurano i lavori per la creazione di un OSSERVATORIO DI INNOVAZIONE CULTURALE ED EDUCATIVA ATTRAVERSO LA "NARRAZIONE" E L'ARTE.
Voilà. Una piccola rivoluzione, sì. Una bellissima notizia: una biblioteca e un centro di ricerca sulla povertà culturale attraverso la narrazione. Tutto insieme. All’adrenalina del palco ora si affianca un’energia ancora diversa. E credo che mi toccherà cercare un nuovo centro di gravità "errante".
Il MediaPorto - Biblioteca di Brindisi è uno spazio multifunzionale ristrutturato con il progetto della Regione Puglia Community Library. Qualche anno fa il progetto vincitore lo scrisse Simonetta Dellomonaco e ora una cordata di istituzioni e persone speciali sono davanti a me a tirare la slitta, per dirla alla Zanna Bianca: Luigi De Luca per i #polibibliomuseali della Regione Puglia, Emilia Mannozzi, per il Polo di Brindisi, Toni Matarrelli per la Provincia di Brindisi, Giovanni Luca Aresta per #santateresaspa che di quella slitta ora tiene con energia nuova le redini in mano, il Teatro Pubblico Pugliese e un'infinità di persone laboriose che poco alla volta sto scoprendo dietro le quinte di questo luogo prezioso come l’ossigeno.
Il MediaPorto - Biblioteca di Brindisi comprende sale studio (già affollate dalla riapertura!), un auditorium, una biblioteca ragazzi, una caffetteria di prossima apertura, sale convegni, spazi di co-working e mille altri spazi fisici e immateriali che saranno dedicati ai nuovi media, al cinema, ai libri, alle mie tanto amate storie. Ma soprattutto, e qui batte il cuore, a creare uno spazio dove il potenziale creativo delle ragazze e dei ragazzi del territorio possa trovare nutrimento. Il più alto possibile. E nel massimo rispetto della sovranità e dei mondi intoccabili dei ragazzi. Chi mi conosce può capire a cosa mi riferisco.
Cominciamo il 22 marzo alle ore 17 in rete con le scuole di ogni ordine e grado della provincia, l’ufficio scolastico provinciale, le reti scolastiche più prossime, la ASL, il Comune di Brindisi (il cui sindaco Giuseppe Marchionna ha dato avvio a tutto questo prima di diventare primo cittadino), la consulta provinciale degli studenti, il consiglio comunale dei ragazzi, le reti più virtuose della città (guarda caso la nomina è arrivata da un bando dove come concorrenti eravamo tutti amici cari di mille progetti svolti in città e dintorni) e lo facciamo con un convegno che apre il percorso per la creazione di un OSSERVATORIO DI CONTRASTO ALLA POVERTA’ CULTURALE ED EDUCATIVA ATTRAVERSO LA NARRAZIONE LE ARTI. Il Convegno è aperto a tutti. Muove un primo passo significativo del progetto culturale che vorrei nascesse in questo luogo.
Ho piantato letteralmente migliaia di alberi (erano i tempi che dai miei spettacoli nascevano i progetti di forestazione partecipata) e ho ben chiaro che il bosco nasce solo quando arriva un’esplosione ormai irrefrenabile dalla Terra, dalla Pancia. Quando l’ego, colui che vuole piantare, “io”, ha fatto, forse, quello che doveva fare e poi si è tolto di mezzo. Qui voglio fare questo: ariamo un poco il terreno insieme e quando sarà il momento, se lo sarà, togliersi di mezzo e qualcosa nascerà da sola. E non sappiamo nemmeno che forma avrà.
Che dire? D’ora in poi vi racconterò anche di questo luogo che si chiama Mediaporto di Brindisi. Ovunque siate fra poco potrà valere la pena venire a trovarci. Ah, dimenticavo: l’Osservatorio che sta nascendo si chiama MINISTERO DEI SOGNI. Vi piace? <3 (In una foto io e Carolina in uno dei boschi, vero Antonio…)
Ecco il programma del convegno del 22 marzo, h 17, vi aspettiamo. Contattatemi. Cerchiamoci. ---
Mediaporto di Brindisi 22 marzo 2024, ore 17.00
MINISTERO DEI SOGNI Osservatorio d’innovazione culturale ed educativa Convegno d’apertura
Saluti istituzionali
Introduce Giovanni Luca Aresta, Amministratore Unico di Santa Teresa S.p.A. Loredana Capone, Presidente del Consiglio della Regione Puglia Toni Matarrelli, Presidente della Provincia di Brindisi Giuseppe Marchionna, Sindaco di Brindisi Emilia Mannozzi, Direttrice Polo-Biblio Museale Brindisi Angela Tiziana Di Noia, Dirigente Ufficio Scolastico Provinciale
Interventi e contributi
Luigi D’Elia, Consulente per lo Sviluppo del Mediaporto e coordinatore dell’Osservatorio Gaia D’Argenio, Presidente della consulta provinciale studentesca di Brindisi e Coordinatrice Regionale Luigi De Luca, Coordinatore Poli Biblio Museali della Regione Puglia Rosetta Carlino, Dirigente ICS “Cappuccini” Brindisi - Coordinatrice Rete delle Scuole che promuovono la Salute per la Provincia di Brindisi Mina Fabrizio, Dirigente ITT “Giorgi” Brindisi - Scuola Polo per la formazione Ambito PUGLIA BR 11 Diego Caianiello, Sindaco del CCR Brindisi Consiglio Comunale dei Ragazzi di Brindisi Maria Rita Greco, Dirigente ASL Settore psicologia clinica e pedagogia dell'età evolutiva Lucia Portolano, Dirigente scolastica Coordinatrice de Tavolo docenti per l’educazione ambientale e i “diversi” linguaggi Modera gli interventi Luigi D’Elia
Info: 0831 544301 - [email protected] Si raccomanda l’Iscrizione al link: https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSeCQzKzUy5S_gjj5wzWxZCstD2nGm25fIiuBUgnHvvrN8k8yA/viewform?usp=sf
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ginogirolimoni · 2 months ago
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Pinel fa togliere le catene ai malati mentali a Bicêtre nel 1793, dipinto di Charles Louis Müller.
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Pinel libera i malati mentali nell'ospedale della Salpêtrière nel 1795, di Tony Robert-Fleury
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Franco Basaglia, neurologo e psichiatra.
Nel 1793 Philippe Pinel toglie le catene ai malati mentali a Bicêtre, nel 1795 libera i malati mentali  dell’ospedale della Salpêtrière, inaugurando una rivoluzione in ambito psichiatrico: questi malati andavano curati e non custoditi.
Nasce la “terapia morale”, che condurrà più tardi alla psicoterapia.
Dall’esperienza presso il manicomio di Gorizia e, soprattutto di Trieste, lo psichiatra e neurologo Franco Basaglia giunge a maturare l’idea che molti dei sintomi attivi dei pazienti psichiatrici non derivino direttamente dalla loro malattia, ma sono epifenomeni della vita alienante che vivono in manicomio.
Insieme ad altre persone illuminate si batte per abolire i manicomi e per attuare una forma di terapia in cui il paziente sia quanto più possibile inserito nel suo tessuto familiare e culturale; l’idea geniale è quella di portare la cura a domicilio.
Il 13 maggio 1978 vide la luce in Italia la legge 180, che aboliva i manicomi (eccetto quelli criminali) e prevedeva il sorgere di centri di salute mentale e di diagnosi e cura in ogni quartiere cittadino, con gli operatori sanitari che si rechino nel domicilio del paziente.
Questa legge è stata considerata la più illuminata, la più all’avanguardia fra quelle che nel mondo regolamentano questa materia, da ogni parte del mondo venivano in Italia operatori sanitari dell’ambito psichiatrico e psicoterapeutico per capire come venisse attuata.
Purtroppo questa legge ebbe fin da subito un problema esiziale, voluta dalla sinistra, dalla “psichiatria democratica”, e dai movimenti riformatori più all’avanguardia del nostro paese, fu poi di fatto gestita e attuata dai conservatori, dai democristiani e dalle forze più retrive, che non l’avevano mai voluta.
Oggi c’è ancora chi vorrebbe ritornare ai manicomi, dimostrando così di essere i primi ad avere la necessità di esservi internati; io dico che non soltanto la Legge Basaglia andrebbe applicata nella sua totalità, con tutte le professionalità e tutte le strutture che prevede, ma che dovremmo anche “liberare” le persone con disagio mentale dalle catene degli psicofarmaci, che li fanno vivere in uno stato di perenne inebetimento.
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gianlucacrugnola · 1 year ago
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Now playing the nineties + aperitivo al Black Inside
Anche ieri una grande ed approfondita escursione negli anni novanta musicali, underground e non. Grazie allo staff del Black Inside per il supporto e lo spazio concesso alla mia presentazione, in particolare Paolo Zangara che ha voluto la serata. Comunque senza fantastici compagni di viaggio tutto questo non sarebbe possibile, Filippo D’Angelo e Andrea Polimadei grazie di cuore ragazzi. Keep on…
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arreton · 1 year ago
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A conti fatti, ormai, credo proprio che era inevitabile che andasse così visto il contesto socio-economico e culturale in cui sono cresciuta ed il tipo di persona a cui sono incline e che ne è venuto fuori dal contesto di cui sopra. Era inevitabile che a trentanni non avessi "qualifiche" (che facciano curriculum almeno), che non avessi una "carriera". Ma a me non pesa. Nel senso che andare a fare lavori socialmente etichettati come "umili" (che poi sono pure i più necessari: se fate i signorotti turisti di sto cazzo è perché c'è gente che si sbatte per prepararvi da mangiare, pulire la stanza, servirvi e riverirvi vendendovi l'illusione che siete importanti! E no, non potete dire nemmeno "eh ma vengono pagati", perché non vengono pagati abbastanza!) non mi pesa, non la vedo come una umiliazione né come mancanza di aspirazione. Io bado solo allo stipendio, a quante risorse di tempo e mentali mi chiedono. A parità di stipendio, ad esempio, preferirei di gran lunga fare le pulizie negli hotel piuttosto che fare la segretaria in qualche studio di staminchia, se è mentalmente meno usurante e se mi lascia più tempo libero a disposizione. A me interessa solo campare bene, tranquilla, avere i miei soldi da poter spendere in libri o roba totalmente "inutile" e queste cose non è detto che li hai solo con una "carriera" (ed infatti si è visto che fine fanno tutti sti laureati da 110elode).
Oltretutto il mio animo utopistico resta sempre rivoluzionario, crede ancora in una rivoluzione, crede ancora di poter "convincere la gente", di poterla "cambiare" e allora mi dico che vado a fare dei lavori "umili", mi unisco ad altra gente come me e facciamo la rivoluzione. Qualche giorno fa lo dicevo a proposito di un lavoro in Germania: "dai" dicevo "andiamo in Germania così vado a lavorare là e vado a fare la rivoluzione. Ché la rivoluzione deve partire dalla Germania. Realizziamo la visione di Marx".
Su questo forse voglio campare di illusione: sebbene mi renda conto che sono circondata da gente che ha i propri bias cognitivi del tutto sfasati, però voglio credere che arriverà una narrazione efficace – e dall'alto della mia umiltà sarò io ad elaborare questa narrazione efficace – e allora inizieremo tutti a lottare per la dignità ed i diritti che ci siamo fatti togliere.
E poi io sto sempre con l'idea che prima o poi mi iscriverò all'università. Pure se andrò a pulire i cessi.
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