#riformisti
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" [Giacomo Matteotti] Non ostentava presunzioni teoriche: dichiarava candidamente di non aver tempo per risolvere i problemi filosofici perché doveva studiare bilanci e rivedere i conti degli amministratori socialisti. E così si risparmiava ogni sfoggio di cultura. Ma il suo marxismo non era ignaro di Hegel, né aveva trascurato Sorel e il bergsonismo. È soreliana la sua intransigenza. La concezione riformista di un sindacalismo graduale invece non era tanto teorica quanto suggeritagli dall'esperienza di ogni giorno in un paese servile che è difficile scuotere senza che si abbandoni a intemperanze penose. Egli fu forse il solo socialista italiano (preceduto nel decennio giolittiano da Gaetano Salvemini) per il quale riformismo non fosse sinonimo di opportunismo. Accettava da Marx l'imperativo di scuotere il proletariato per aprirgli il sogno di una vita libera e cosciente; e pur con riserve poco ortodosse non repudiava neppure il collettivismo. Ma la sua attenzione era poi tutta a un momento d'azione intermedio e realistico: formare tra i socialisti i nuclei della nuova società: il Comune, la scuola, la Cooperativa, la Lega. Così la rivoluzione avviene in quanto i lavoratori imparano a gestire la cosa pubblica, non per un decreto o per una rivoluzione quarantottesca. La base della conquista del potere e della violenza ostetrica della nuova storia non sarebbe stata vitale senza questa preparazione.
E del resto, troppo intento alla difesa presente dei lavoratori, Matteotti non aveva tempo per le profezie. Più gli premeva che operai e contadini si provassero come amministratori, affinché imparassero e perciò nei varii Consigli comunali soleva starsene come un consigliere di riserva, pronto a riparare gli errori, ma voleva i più umili allo sperimento delle cariche esecutive. Non ebbe mai in comune coi riformisti la complicità nel protezionismo, anzi non esitò a rimanere solo col vecchio Modigliani ostinato nelle battaglie liberiste, che per lui non erano soltanto una denuncia delle imprese speculative di sfruttatori del proletariato, ma anche una scuola di autonomia e di maturità politica concreta nella sua provincia. Così procede tutta la cultura e tutta l'azione di Matteotti, per esigenze federaliste, dalla periferia al centro, dalla cooperativa al Comune, dalla provincia allo Stato. Il suo socialismo fu sempre un socialismo applicato, una difesa economica dei lavoratori, sia che proponesse sulla "Lotta" di Rovigo o nella Lega dei Comuni socialisti dei passi progressivi, sia che parlasse dall' "Avanti!" o dalla "Giustizia" a tutto il proletariato italiano, sia che come relatore della Giunta di Bilancio portasse nella sede più drammatica e travolgente il suo processo alle dominanti oligarchie plutocratiche. "
Piero Gobetti, Matteotti, Piero Gobetti Editore, Torino, 1924, pp. 25-27.
NOTA: il brano è tratto dall'opuscolo pubblicato alla fine del luglio del 1924, nel vivo della crisi politica ed istituzionale scatenata dalla tragica scomparsa del deputato Matteotti. Il testo riproduceva integralmente un lungo articolo comparso un mese prima con lo stesso titolo sulla rivista di Gobetti La Rivoluzione liberale, così come erano tratti da questa pubblicazione i Cenni biografici sullo scomparso posti in calce all'opuscolo.
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PRIMA PAGINA Tirreno di Oggi domenica, 11 agosto 2024
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I commenti da sinistra alla serie M che sto leggendo in giro sono francamente desolanti. C'è un punto storico che a quanto sembra non si vuole proprio vedere e che invece sia il libro sia la serie evidenziano in modo importante, ed è che Mussolini non si è fatto da solo, manco per niente. Mussolini è stato scelto, è stato scelto dallo Stato liberale, ed è stato scelto dal padronato dell'epoca, ed è stato scelto perché Mussolini aveva tradito il socialismo, nessuno meglio di un traditore poteva fare il loro gioco. Mussolini non sarebbe mai stato Mussolini se non avesse prima di tutto fatto carriera nel Partito socialista, di cui non era mica un galoppino qualsiasi ma un dirigente in esplosiva carriera, per poi tradirlo e diventare un fervente strumento dell'antisocialismo. Trovo un po' penoso sentir parlare di M soltanto attorno a Marinelli, che non fa altro che un lavoro spettacolare né più né meno, e non rispetto al grande valore di questa serie cioè sottrarre la figura di Mussolini al mito dei busti e delle effigi per rimetterla dove avrebbe sempre dovuto stare, nei processi storici, e farlo in modo popolare, non solo non accademico ma anti-accademico e dio solo sa quanto abbiamo bisogno di cultura anti-accademica in questo Paese. I processi storici son trattati fra l'altro in modo esteticamente interessantissimo dalla serie, perché la grande Storia è una Storia di scenari e in M gli scenari, quasi teatrali, sono di primaria importanza, esprimono le energie, e tutta la Storia umana è una storia innanzitutto di energie. Mussolini coi Fasci di combattimento non sarebbe arrivato da nessuna parte se non ci fosse stata una classe dominante che aveva bisogno della violenza organizzata per sedare le spinte rivoluzionarie fra le masse. E le spinte rivoluzionarie le spegni molto meglio se a trascinarti è l'odio, Mussolini era odiato fra le masse socialiste perché aveva tradito, e dunque le odiava, perché per loro c'erano in quel momento altre teste pelate da seguire, in una Russia vicina più che mai e che faceva tantissima paura, ai reazionari e non di meno ai riformisti di tutta Europa. Mussolini fu un anti Lenin a modo suo, la funzione storica che giocò fu esattamente quella. E fu anche uno come Mussolini ad aiutare un successivo traditore antiLenin di altra natura, come Josep Stalin, a portare avanti la causa dell'antisocialismo a sua volta. Il figlio del secolo è stato il figlio che si è messo al servizio delle esigenze controrivoluzionarie delle classi dominanti, in un'epoca in cui le masse erano in movimento, la borghesia che affollava il Parlamento le temeva, e solo attraverso la violenza si poteva obbligarle a cambiare direzione. Mussolini fu l'organizzatore di violenza più abile della prima metà del secolo in questo Paese. Il fascismo non ottenne consenso fra le masse, il fascismo ottenne consenso fra le classi dominanti, e poi alle masse si impose, non certo si propose. Qui sta il parallelo, l'unico a mio avviso seriamente pregnante, e di radicale attualità, con il presente. Parliamo di questo, per favore. Non lo esige la serie, lo esige il tempo in cui siamo. Esige decisamente qualcosa di più che commentucci sagaci e compiaciuti da posizioni molto più simili a quelle degli imbelli che obbedirono ai voleri di M a suo tempo, che non certo alla battaglia coraggiosa di Matteotti. Federica D’Alessio, Facebook
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L'idea della democrazia targata DEM
Su Strisciarossa Nadia Urbinati scrive: «Infine, ma questo tema richiederebbe una riflessione a parte, i territori e gli amministratori hanno dimostrato di contare e di rendere il Pd concretamente presente e capace di buon governo. Un dato importante, tenendo anche conto di come era nata la candidatura Schlein alla guida del Pd, con una lacerazione tra dentro e fuori del partito, tra partito degli amministratori e della leader. La lacerazione è stata superata e ricomposta. Nel senso che gli amministratori hanno dimostrato di essere una componente aggregativa sul territorio che Schlein ha intelligentemente valorizzato e sostenuto. Dopo il voto europeo, al Pd resta l’arduo compito di preparare con sistematica ragionevolezza un’alleanza contro la destra, con l’obiettivo di raddrizzare la politica del paese, riportando lo stato di diritto e la democrazia al centro».
La Urbinati scrive cose ragionevoli sul rapporto tra riformisti e radicali nelle file del Pd che potrebbe ridare capacità di movimento alla sinistra. Poi però concentra la sua attenzione non sulla sfida tra proposte liberalconservatrici e socialiste-liberal, ma sulla “difesa della democrazia”, parola d’ordine che in questo trentennio ha sempre determinato una guida politica dall’alto dell’Italia, cioè a una diminuzione della democrazia.
* * *
Su Startmag, a proposito di un’intervista corrierista al cardinal Camillo Ruini, Francesco Damato scrive: «Invitato dall’intervistatore a dire se davvero nell’estate del 1994, come raccontato in un libro edito dallo stesso Corriere della Sera, Scalfaro lo avesse invitato a cena con il cardinale Angelo Sodano e monsignor Jean-Louis Tauran per chiedere loro di essere “aiutato a far cadere il governo Berlusconi” raccogliendone un “silenzio imbarazzato”, Ruini ha testualmente risposto: “Effettivamente andò così. La nostra decisione di opporci a quella che ci appariva come una manovra – al di là della buona fede di Scalfaro – fu unanime”».
Un Quirinale che trama con i vescovi per far cadere un governo scelto degli elettori, sarebbe questo l’esempio di quella “difesa della democrazia” che invoca la Urbinati?
Via tempi.it
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Essere il segretario del PD è come essere Giulio Cesare alle idi di marzo del 44 a. C. e trovarsi in senato a Roma, circondato da coloro che egli riteneva i suoi più devoti ammiratori e gli amici più fedeli.
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La porta stretta della sinistra - di Giovanni Cominelli
L’esito delle elezioni amministrative ha confermato la débacle del PD e ha riacceso, nel buio della sinistra, i fari sui cosiddetti “riformisti”, dentro e fuori il PD. I quali, tuttavia, anch’essi brancolano nel buio. I giudizi sono simpatetici, ma desolati: “Hanno la ragione, ma non la forza”; “sono capaci di vincere le battaglie, ma perdono sempre la guerra” ecc…. ecc… Di questa condizione di…
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Se non ci fosse stato l’inaudito quanto delirante attacco di Mosca a Sergio Mattarella molto probabilmente né la sinistra italiana e neppure i riformisti ex terzopolisti che sul tema mai si spesero troppo, con rare eccezioni, avrebbero aperto bocca sui propositi trumpiani di regalare Donbas e Crimea al dittatore del Cremlino, arraffando per sé cinquecento miliardi sotto forma di terre rare. Senonché appunto ieri questi del campo largo si sono tutti palesati, da Elly Schlein a Italia Viva passando per l’eurodeputato Giuseppe Antoci, ché figuriamoci se Giuseppe Conte criticava di persona il Cremlino, per difendere il nostro Presidente della Repubblica che in splendido isolamento, o quasi, aveva detto a Marsiglia ciò che andava detto: Mosca reinterpreta oggi il ruolo di Berlino nel ’38. Sergio Mattarella, in quel discorso del 5 febbraio, aveva osservato giustamente che «furono guerre di conquista» quelle del Terzo Reich in Europa come lo è «l’odierna aggressione russa all’Ucraina». Lo stesso progetto.
Ci voleva il proditorio attacco di Maria Zakharova a Mattarella per svegliare il Partito democratico dal sonno in cui è piombato, per un’inspiegabile coincidenza da quando Mar-a-Lago detta legge, per far dire a Schlein che «la comunità democratica si riconosce pienamente nelle parole e nell’azione del Capo dello Stato», una comunanza di vedute (Putin come Hitler nel ’38) che non avevamo sentito dopo il discorso di Marsiglia. Meglio tardi che mai, certo. Prima di ripiombare nel letargo.
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Iran al voto: chi sono i sei candidati?
Sei candidati, cinque conservatori e un riformista, si contendono la presidenza dell'Iran per il voto alle elezioni anticipate del 28 giugno, convocate dopo la morte dell'ex presidente ultraconservatore Ebrahim Raisi in un incidente in elicottero a maggio. Solo loro sono stati approvati dal Consiglio dei Guardiani, l'organo che supervisiona le elezioni nella Repubblica Islamica. Iran al voto ed i candidati: Said Jalili 58 anni, è considerato uno dei politici più estremisti del Paese. Ex segretario del Consiglio Supremo di Sicurezza, ha guidato i negoziati sul nucleare e si è opposto alla ripresa dei colloqui per ripristinare l'accordo del 2015, dal quale gli Stati Uniti sono usciti unilateralmente sotto la presidenza di Donald Trump. Nato a Mashhad come Khamenei, ha conseguito un dottorato all'Università Imam Sadegh, fucina ideologica del regime. Soprannominato il "martire vivente" per aver perso una gamba nella guerra Iran-Iraq come membro dei basij, la forza paramilitare iraniana sotto il controllo dei pasdaran, è membro del Consiglio per il Discernimento, principale organo consultivo della Guida Suprema. Ha fallito la corsa alla presidenza nel 2013 e nel 2021, ma potrebbe contare sul sostegno di alcuni dei collaboratori più stretti di Raisi. È uno dei due favoriti alla presidenza. Alireza Zakani Nato nel 1966, ha tentato di candidarsi nelle elezioni del 2013 senza successo, venendo poi ammesso nelle presidenziali del 2021, che hanno visto la vittoria di Raisi. Critico dei negoziati sul programma nucleare iraniano quando era parlamentare, è noto come il "carro armato rivoluzionario" per la sua retorica aggressiva e gli attacchi ai riformisti. Questo stile combattivo lo ha mantenuto anche come sindaco della capitale, ruolo che ha iniziato nel 2021, ottenendo notevoli risorse finanziarie e una certa indipendenza dal governo. Ha guidato la recente campagna di repressione per imporre l'hijab alle donne ed è soggetto a sanzioni dal Regno Unito per gravi violazioni dei diritti umani. Amir Hossein Ghazizadeh Hashemi 53 anni, medico di formazione, è un ex membro del Parlamento ed ex primo vicepresidente. Esponente della destra radicale, si è candidato alla presidenza nel 2021 senza successo. Raisi lo aveva poi nominato vicepresidente e capo della Fondazione per gli Affari dei Martiri e dei Veterani, una fondazione parastatale soggetta a sanzioni per aver indirizzato risorse a organizzazioni come Hezbollah. Tra i conservatori pragmatici o moderati sono inclusi Ghalibaf e Mostafa Pourmohammadi, come notato dal sito Amwaj. Mohammad-Bagher Qalibaf Nato nel 1961, è alla sua quarta candidatura a presidente ed è il grande favorito di queste elezioni. Ex sindaco di Teheran, ex comandante dei pasdaran durante la guerra Iran-Iraq e capo della polizia, Qalibaf si è vantato di aver represso manifestazioni con la violenza nel 1999 e di aver ordinato di sparare sui manifestanti durante le proteste del 2003. Appoggiato dai pasdaran, ha legami con la cerchia ristretta della Guida Suprema, Ali Khamenei, e gode del sostegno anche tra i centristi. È coinvolto in vari scandali per corruzione. Mostafa Pourmohammadi 64 anni, nato nella città santa sciita di Qom, è l'unico religioso ammesso alle presidenziali e ha poche possibilità di vittoria. Membro del "Comitato della Morte" che ha approvato l'esecuzione di migliaia di prigionieri politici alla fine degli anni '80, è stato ministro della Giustizia sotto Ahmadinejad e Rohani. Vanta un notevole pedigree nell'apparato, dalla burocrazia all'ufficio di Khamenei, passando per la magistratura e l'esecutivo. È stato squalificato quest'anno dalle elezioni per il rinnovo dell'Assemblea degli Esperti. Massoud Pezeshkian L'unico riformista ammesso alla corsa alla presidenza, 70 anni e di origine azera. Ha cresciuto tre figli da solo dopo la morte della moglie in un incidente. Parlamentare da due decenni, oltre a moderati e riformisti, la sua candidatura si rivolge anche ai circa 18 milioni di azeri. Pezeshkian si è espresso contro la mancanza di trasparenza del governo durante le proteste innescate dalla morte di Mahsa Amini nel 2022, mentre era in custodia della polizia morale. Medico esperto, è stato ministro della Sanità sotto il presidente riformista Mohammad Khatami (1997-2005) e ha criticato esplicitamente il governo sulla questione dell'hijab obbligatorio. Foto di jorono da Pixabay Read the full article
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Grandi sogni e rassegnazioni
Sono anni che lo pigli al culo e qualcuno ti ha persuaso che ti regalerà la svolta (niente accise, niente Fornero, meno tasse, un buon lavoro, sanità efficientissima grazie alla concorrenza...).
Se l'alternativa sono i "sacrifici" dei riformisti tanto vale sognare.
Ti convincono a essere un bastardo, a odiare gay, immigrati, neri, musulmani, donne, comunisti, i tuoi compagni di lavoro, quelli che scioperano, gli attivisti contro il cambiamento climatico, medici ed esperti...
Ti senti dalla parte del giusto e pensi che grazie ai tuoi superpoteri innati ti meriti qualche cosa e per magia arriverà grazie alla lotta all'enorme emergenza sostituzione etnica.
Trovano i tuoi amicici a rubbare e tu, nonostante i tuoi superpoteri non becchi un cazzo, anzi sei pure vittima del furto.
Nonostante ti abbiano convinto che ti aspetta un futuro radioso esci fuori con "ma rubano anche gli altri, è sempre andata così".
BRAVO. STRONZO.
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RIFORMISTI PER CASERTA CHIEDONO UN ATTO DI CORAGGIO DEL SINDACO – AppiaPolis – News in Tempo Reale | www.appiapolis.it
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Come la reazione contro l’azione per il clima sta rimodellando le elezioni europee L’Europa investe nell’energia pulita ma rischia di rimanere indietro Rystad Energy ha sottolineato che l’Unione Europea potrebbe rimanere indietro rispetto agli Stati Uniti nonostante l’investimento di circa 125 miliardi di dollari nella tecnologia dell’energia pulita. Politici europei ed il Green Deal Il Partito popolare europeo si appropria del Green Deal come un successo, anche mitigando disposizioni impopolari come quelle sull’agricoltura per accontentare gli elettori e ridurre la dipendenza europea dalla Russia. I Conservatori e Riformisti europei, più a destra, critici alcune politiche del Green Deal, sostenendo che danneggino gli agricoltori e promettendo di esaminarle da vicino. I Verdi promuovono il
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PRIMA PAGINA Il Riformista di Oggi venerdì, 26 luglio 2024
#PrimaPagina#ilriformista quotidiano#giornale#primepagine#frontpage#nazionali#internazionali#news#inedicola#oggi anno#euro#contenuti#riformisti#niente#scorciatoie#fantasma#cresce#tentazione#voto#anticipato#solo#crisi#governo#dietro#teniamoci#pronti#resa#obbligata#cosi#sogna
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Elly Schlein firmerà i referendum della Cgil per abolire il Jobs Act. Renzi: «Il suo Pd è per i sussidi, ora i riformisti vengano da noi»
L’annuncio della segretaria Dem dalla festa dell’Unità di Forlì: «Non potrei fare diversamente. Ma la nostra battaglia è sul salario minimo» La segretaria del Pd Elly Schlein firmerà per i referendum della Cgil che chiedono l’abrogazione di parti chiave del Jobs Act, la legge sul lavoro voluta dal Pd dell’allora leader e premier Matteo Renzi. Lo ha annunciato la stessa segretaria oggi da Forlì.…
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La Cgil rivendica una centralità politica nel campo progressista
I temi del lavoro e dei lavoratori possono attendere. Maurizio Landini e compagni hanno deciso di impegnarsi per riempire il vuoto politico che si è creato a sinistra, anche se questo potrebbe significare che, sui temi del lavoro e dello sviluppo, si potrebbero perde i compagni di viaggio moderati e riformisti che ancora vivacchiano tra i Dem. Le priorità sindacali possono attendere. Ma come…
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Questura di Agrigento, l'annuncio del movimento Poliziotti democratici e riformisti: "In arrivo 23 agenti"
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Questura di Agrigento, l'annuncio del movimento Poliziotti democratici e riformisti: "In arrivo 23 agenti" Sono in arrivo 23 nuovi agenti in servizio alla Questura di Agrigento.... #SiciliaTV #SiciliaTvNotiziario Read the full article
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«Nella tesi del Manifesto, ciò che viene messo al primo posto, non sono piú solamente le classi sfruttate ecc., ma la lotta delle classi. Questa tesi si rivela subito decisiva per il marxismo-leninismo. Essa traccia infatti una linea di demarcazione radicale tra rivoluzionari e riformisti. Cercherò di semplificare la cosa al massimo senza tradire l'essenziale. Per i riformisti (anche se si dichiarano marxisti), non è la lotta delle classi che occupa il primo posto: sono le classi. Prendiamo un esempio semplice, e supponiamo che non esistano che due classi. Per il riformista, le classi esistono prima della lotta di classe, un po' come due squadre di rugby esistono, ciascuna dalla sua parte, prima della partita. Ogni classe esiste nel suo proprio campo, vive nelle sue peculiari condizioni di esistenza: una classe può anche sfruttare l'altra, ma questo non costituisce ancora la lotta delle classi. Un giorno, le due classi si incontrano, si affrontano, e solo allora comincia la lotta di classe. Esse si scontrano, la battaglia diventa aspra e finalmente la classe sfruttata ha il sopravvento sull'altra: è la rivoluzione — oppure soccombe nella lotta: è la controrivoluzione. Si rivolti la cosa come si vuole, vi si troverà sempre presente lo stesso concetto: le classi esistevano prima della lotta delle classi, indipendentemente dalla lotta delle classi e la lotta delle classi sopraggiunge soltanto in un secondo momento Per i rivoluzionari, al contrario, non si possono separare le classi dalla lotta delle classi. La lotta delle classi e l'esistenza delle classi costituiscono un'unica realtà. Perché vi siano delle classi in una ‘società’, bisogna che la società sia divisa in classi: questa divisione non si opera a cose fatte, è lo sfruttamento di una classe da parte dell'altra, cioè la lotta delle classi, che costituisce la divisione in classi. Lo sfruttamento è già lotta di classe. Bisogna dunque partire dalla lotta delle classi per capire la divisione in classi, per comprendere l'esistenza e la natura delle classi. Bisogna dunque mettere la lotta delle classi al primo posto.»
-L. Althusser, Umanesimo e stalinismo
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