#poesia con sospensione
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pier-carlo-universe · 5 days ago
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Sto cercando la mia anima di Laura Neri – La poesia di un’anima errante tra luce e dolore. Recensione di Alessandria today
Informazioni bibliografiche:Autore: Laura NeriAnno di pubblicazione: non specificatoGenere: Poesia contemporanea, introspettivaValutazione: ★★★★★ Recensione: Con Sto cercando la mia anima, Laura Neri ci consegna un frammento poetico profondamente intimo e universale, in cui l’anima si fa viandante, alla costante ricerca di sé stessa tra i contrasti della vita. La poesia si apre con una…
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vividiste · 1 year ago
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Oggi è il primo febbraio. In Spagna chiude la caccia e per migliaia di levrieri la vita finisce, miseramente così come era inziata. Le atrocità a cui sono sottoposti per la loro breve vita e infine per la loro morte, sono inaccettabili e tuttavia la cultura spagnola ancora le sostiene. È la tradizione.
In loro onore riportiamo un magnifico e toccante testo di Rafael Narbona, perché sappiate, perché rifiutate, perché combattiate.
Los Galgos Ahorcados - I levrieri impiccati
La Spagna è il paese dei levrieri impiccati.
La Spagna è il paese che non apprezza la tenerezza inconcepibile
di un animale che si intreccia con l'aria, disegnando acrobazie impossibili.
La Spagna è il paese degli alberi con i rami assassini,
dove una corda infame spezza una vita leggera come schiuma.
La Spagna è una terra sterile che seppellisce la poesia nel suo grembo morto.
I levrieri sono poeti in agguato nel vento, levigano gli spigoli in silenzio,
scivolando via come un filo d'acqua dal fondo di un fosso.
I levrieri sono poeti che si stagliano alla luna, componendo sagome senza eguali.
I levrieri accavallano le parole, ci saltano sopra, evitano gli accenti, così arroganti e inflessibili.
L'accento è un signore ridicolo che si infila nelle parole come una spina.
I levrieri turbano la sua routine, gettandola al vento, giocandoci finché si stufano.
Così riceve lezioni di umiltà e accetta la sua dolorosa insignificanza.
Le impronte dei levrieri non lasciano traccia. Sono veloci, alati, quasi eterei.
Non influenzati dalla gravità nè dalla durezza della pietra.
I levrieri accelerano la rotazione della terra, quando la follia si impadronisce di loro.
Lo sguardo riesce a malapena a seguire il loro galoppo vertiginoso,
ma grazie alle loro corse percepiamo la musica celeste.
I levrieri prendono in giro l'ortografia tendendo o piegando le orecchie.
Le orecchie di un levriero possono trasformarsi in una X, Y o LL.
Sforzandosi un poco sono in grado di delineare la Ñ o il numero Phi,
il numero aureo in cui è nascosto Dio,
giocando con una serie infinita che lascia con un palmo di naso gli insegnanti.
Gli insegnanti della scuola non capiscono Dio, nè i levrieri.
Dio è un bambino che utilizza i puntini di sospensione per attraversare i fiumi.
Li genera uno ad uno e salta in avanti. Quelli che avanzano, se li tiene in tasca.
I levrieri non sono mai separati da Dio,
perché sanno bene che hanno bisogno di non perdersi sulla strada,
dove si nasconde l'uomo con il forcone in mano.
Ci è stato detto che Dio è un vecchio con la barba bianca e la pelle rugosa,
ma Dio è un bambino malato
che calma il suo dolore accarezzando la testa ossuta di un levriero.
I levrieri vigilano sul mondo, mentre Dio riposa.
Ogni volta che viene commessa una malvagità, lanciano un grido e Dio si sveglia,
ma Dio non può fare nulla,
perché nessuno presta attenzione ad un bambino
che in punta di piedi non raggiunge lo spioncino della porta.
Gli uomini che impiccano i galgos hanno perso la loro anima molto tempo fa.
In realtà, la loro anima è fuggita inorridita quando ha scoperto le loro mani insanguinate.
Gli uomini che impiccano i levrieri nascondono gli occhi dietro gli occhiali scuri,
perché gli occhi li tradiscono.
Basta guardarli per capire che dietro non c'è nulla.
Gli uomini che impiccano i levrieri sono gli stessi che fucilarono García Lorca.
Non gli è importato sradicare dal nostro suolo un poeta
che dormiva tra camelie bianche e piangeva lacrime d'acqua.
Non gli è importato seppellirlo in una tomba senza nome,
con gli occhi aperti e uno sguardo di orrore sul viso.
Gli uomini che impiccano i levrieri parlano a malapena. Non amano le parole.
A loro non piace giustificare le proprie azioni ed esprimere le proprie emozioni.
Lasciano una scia di dolore e paura.
Ridono dei poeti che passano notti insonni
cercando di trovare un verso alla fine di un sonetto.
Ridono degli sciocchi che vogliono un futuro senza bombe o rovine nere.
Ridono delle promesse fatte ai bambini,
delle rassicurazioni sull'eternità che placa la morte e ci impedisce di cadere nell'oblio.
Ogni volta che muore un levriero, un bambino rimane orfano.
I levrieri prestano la luce dei propri occhi ai bambini malati.
Li accompagnano nelle notti di febbre piene di incubi.
Li svegliano dolcemente, parlandogli all'orecchio del giorno che arriva,
con la sua freschezza e la luce rosata dell'alba.
Gli parlano della primavera e dello sbocciare dei fiori.
Parlano delle mattinate torride d'estate, quando il mare è calmo
e il sole sembra una pietra gialla che non smetterà mai di brillare.
Gli dicono che l'inverno si è nascosto dietro un cespuglio e si è addormentato.
I bambini malati sono i bambini che il giovane Rabì scelse
per mostrare al mondo la bellezza nella sua forma più pura.
Il giovane Rabì si presentò di fronte al potere delle tenebre
con un ragazzo paralizzato ed un levriero affamato,
senza ignorare che la compassione è uno strano fiore.
Un fiore che cresce solo su pendii ripidi e in profonde solitudini,
dove le preghiere fremono di paura al pensiero di risuonare in una cantina vuota.
Certe mattine mi alzo presto ed i cani sono già sulla spianata che chiamano piazza,
con la sua triste chiesa dalla facciata imbiancata a calce, e un albero dal tronco nodoso.
Raggruppati per lunghe catene, tutti sono giovani e non sanno cosa li aspetta.
Non sanno che quel giorno diversi di loro resteranno sul campo,
sopraffatti dalla crudeltà umana.
Potrei avvertirli,
ma gli uomini che preparano la loro morte vanno in giro con fucili da caccia e lunghe corde,
ed i loro occhi sembrano braci ardenti di un odio antico.
Gli occhi dei galgos svolazzano come colorate farfalle.
Blu, marrone, viola, forse un debole bagliore d'oro.
Alcuni sono seduti, altri sdraiati, assopiti. Alcuni sono in piedi, altri scomposti.
Alcuni sono così sottili che sembrano quasi levitare.
Alcuni sembrano d'argilla, altri d'argento, altri sono bianchi come l'alba.
Come l'alba che avanza nella piazza e li fa sembrare in movimento.
Si sentono le catene, le grida, le risa.
Via tutti insieme, aggiogati a un destino ingiusto.
Mi sento come Don Chisciotte alla vista dei galeotti,
condannati a spingere un enorme corazzata con un remo:
"Perché fare schiavi coloro che Dio e la natura hanno creato liberi?"
Mi sono seduto su una panchina di pietra e li ho guardati andarsene.
Un levriero bianco, dall'andatura rassegnata, si voltò e mi guardò con umanità,
con gli occhi stanchi e vagamente speranzosi.
Sapevamo entrambi che le nostre vite sono una scintilla,
un momento di chiarezza in un buio infinito,
ma ci siamo sforzati di pensare che ci saremmo rincontrati sotto un altro cielo,
vagando per una sconfinata pianura,
distanti da quel mattino omicida che si sarebbe preso le vite dei più goffi
e di quelli rimasti indietro.
Ci rincontreremo in una mattina di pienezza e splendore, senza tristezza o negligenza,
una mattinata perfetta, libera da paure e lavoro.
Guarderemo indietro, come due vecchi amici che hanno scoperto la gioia di essere altrove.
I suoi occhi nei miei occhi, i suoi sogni nei miei sogni e i nostri battiti all'unisono nel vento.
RAFAEL NARBONA😪
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Quanta inutile cattiveria 😡
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valentina-lauricella · 1 year ago
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Per me Leopardi non costituisce studio, ma pura evasione. Può sembrare un paradosso, cercare - e trovare - la felicità in un noto pessimista (sebbene ri-valutato) e la serenità in un personaggio complesso, imprendibile, frustrante per chi esiga una totale tomografia fenomenica. Per quanto sia auspicabile che la biografia degli artisti non sia più ingombrante della loro opera, la vita di Leopardi, la sua persona, sono entrate nell'immaginario popolare e in quello di altri artisti, che hanno così creato, dal nucleo originario del dato reale, una costellazione di ampliamenti, interpretazioni, corresponsioni.
L'ombra di Leopardi perdonerà il verosimile, pensa Giampaolo Rugarli, autore del libro Il bruno dei crepuscoli, perché è meglio il verosimile che abbia un'anima, e giunga al pubblico, piuttosto che l'arido vero, illuminato da una cruda luce, che non commuova altrettanto o addirittura per nulla. Perché non rendere la stessa vita di Leopardi una poesia (revisionata, balbettata, enunciata con una voce ch'è quasi un fiato, ma tesa e tenuta insieme da un filo di senso superiore)? Sembra quasi cosa dovuta, piuttosto che intento per il quale ci si debba scusare.
Rugarli in questo intento riesce benissimo; con risultati esteticamente altalenanti, ma compensati dall'altalena di emozioni che riesce a generare nel lettore. Qui e lì, la carenza di materiale biografico certo, si rende evidente, non sufficientemente coperta dall'invenzione letteraria, che pure si mantiene sempre coerente; non tradisce la logica né la psicologia; non rompe l'incanto della sospensione dell'incredulità.
Il primo capitolo è costituito dal monologo della cugina di Leopardi, Geltrude Cassi Lazzari, giovane e robusta donna maritata che si sorprende ad essere turbata dal cugino molto più giovane di lei, sgraziato e deforme, che però fa baluginare intelligenza e carisma tali da trasformare la pena e il fastidio iniziali in un delirio che la tiene sveglia.
Il secondo è anch'esso un monologo, scritto come personale orazione funebre, dalla prostituta romana Dafne, che ricorda, probabilmente a un passo dalla morte per colera, il periodo in cui la sua vita s'intrecciò, in modo impalpabile e inesplicabile, ma persistente, alla vita del ragazzo Leopardi, ospite dello zio Antici.
Il terzo è costituito dagli appunti del giovane nobiluomo Papadopoli, allievo di latino e greco del Leopardi. I due diventano amici, e il ragazzo diventa preoccupato spettatore della vicenda in cui Leopardi cercherà l'umiliazione prostrandosi ai piedi della rotondeggiante, umoralmente labile dea Teresa Carniani Malvezzi.
Nel quarto capitolo, Ranieri accenna, in una lettera alla sorella, ai tumulti sentimentali del periodo fiorentino di Leopardi, in cui egli passa dalla venerazione della virago Fanny Targioni Tozzetti all'abbandono a lui, testimoniato dalle famose letterine amorose con cui lo implorava di tornare a Firenze, manifestando la volontà di quel "sodalizio" che poi si protrasse ben oltre il volere dei suoi contraenti.
L'ultimo capitolo, redatto dal medico Mannella, testimone del periodo più aspro della malattia di Leopardi, quello napoletano, è il più drammatico e torbido, in cui le ambiguità, le menzogne, le manipolazioni operate dai fratelli Antonio e Paolina Ranieri, sembrano isolare il fragilissimo Leopardi in un precoce sudario di morte, desiderata e provocata, che infine si compie.
È un viaggio a più voci attorno alla psiche di Leopardi, che riesce a restituire un ritratto profondamente armonico e credibile della sua personalità, dal quale lo scaturire della sua opera sembra naturale, quasi necessario. Questa non è una mera biografia, ma un'opera letteraria parallela, a sé bastante, che paradossalmente potrebbe funzionare anche se Leopardi non fosse mai esistito come persona reale, ma fosse stato, da sempre e per sempre, un personaggio padrone dell'immaginario, e la sua vita una parabola archetipica in cui ciascuno può rispecchiarsi e provare a interpretarsi.
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pastrufazio · 2 years ago
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Nelle notti insonni, e questa è una di quelle, guardo uno scaffale della mia libreria, ne osservo un altro, trascuro ostentatamente gli ultimi della fila in alto. So cosa vi ho deportato, di conseguenza non si attenua il senso di colpa che mi viene dalla trascuratezza con la quale tratto quei volumi. Ma questo l’ho riportato vicino e, insieme con molti altri, costituisce lo scaffale in cui da più di un anno frugo tra le pagine che sorregge alla ricerca delle parole che mi hanno reso quello che sono. Sono convinto di aver preso in certi momenti della mia vita da adolescente rischi immensi. Questo di Fëdor Sologub è stato forse uno dei maggiori (ci metto anche Nietzsche e Kierkegaard).
Ho appena finito di leggere L’invidia e la società di Helmut Schoeck (liberilibri) e il tema della nota deformazione umana che va sotto il nome di invidia mi gira ancora in testa. Il demone meschino è un piccolo trattato sull’invidia e il Diavolo – con qualche cattiveria in più del Bulgakov del Maestro e Margherita e, infatti, anche Peredònov è un maestro. E allora il rischio si è rivelato essere un pharmakon. Ma come spesso mi succede, al libro, a quella carta, a quella copertina sono legati ricordi e circostanze indelebili, come tutto ciò che mi accadde in quegli anni, trascorsi – oggi, guardando indietro, è quasi una consolazione dirlo – come fossi Alice nel paese delle meraviglie trasformato in incubo da cappellai malvagi e stupidi. Il libro mi fu consigliato da un mio compagno di classe e mi permise, per non so quale strana alchimia premonitrice di abbandonare in fretta e furia lo sguardo incline e sbieco di una ragazza, terrorizzato dalla dimensione Inafferrabile del potere che esercitava sui miei poveri sensi di ometto poco avvezzo al femminile.
Al ricordo di allora si aggiunge il rimpianto e l’angoscia della certezza che oggi – spero qualcuno mi smentisca – ben pochi ragazzi seguono quel lento, inesorabile, incalzante, struggente richiamo delle parole che dai libri chiamano alla vita e alla sua comprensione nel cuore di quella sospensione della realtà che è la lettura.
P.S. Era pubblicato in una collana popolare! URLO: il popolo leggeva questo!!! Lo capiva o non lo capiva fino in fondo… ma lo leggeva!!! E poi cosa significa capire fino in fondo? Charles Péguy ha criticato ferocemente la pretesa dei letterati di “esaurire” il senso di un libro, di un romanzo, di una poesia, con una pletora soffocante di informazioni su dettagli biografici, compositivi, cronologie ecc. Ma su Péguy sarà il caso, nei prossimi giorni, che ci torni su… sì… credo proprio che ci tornerò sopra… e non per esaurirlo…
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claudiotrezzani · 7 months ago
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Riflessi, strutture.
Ed impreveduti incantamenti.
Il là lo diede Oscar Luparia (in "Gli argentini").
E qui, l'imaginifica poesia continua.
Che siano edifici architettonicamente studiati per autonomamente esprimere, oppure Non Luoghi come li definirebbe Marc Augè, è l'occhio del fotografo a generare liriche suggestioni.
Così Oksana Bardiyer.
Nuvola massaggia uomo.
Uomo partecipa all'icastica grafica musicalità della composizione.
Colori contrappuntano, di vivida pregnanza.
Così Pascal M. Cardon.
Qui, è seducente fusione.
E virtuosa reificazione.
Perché la donna, nell'arazzo, è paritetica parte, nella sinfonia cantando.
Così Carole Hurel.
Il viaggio funzionale diviene viaggio metafisico, con Carole.
Destini uniti da vettoriali trame.
Calda sospensione tinta d'intima struggenza.
Grazie Oksana Pascal Carole.
Perché ispiratamente trovate connessioni.
E vigorosamente le vivificate.
All rights reserved
Claudio Trezzani
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adrianomaini · 8 months ago
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Angelo Oliva si vide invece attribuire il primo premio
Angelo Oliva si vide invece attribuire il primo premio https://ift.tt/D36Zefu Bordighera (IM): la sede attuale dell'Unione Culturale Democratica (Via al Mercato, 8) Angelo Oliva, premio Cinque Bettole 1961 Enzo Maiolino e Giorgio Loreti - queste pagine non possono che iniziare dai loro nomi - hanno svolto per decenni un'opera di raccolta e salvaguardia delle memorie culturali del Ponente ligure e specialmente delle stagioni più intense di iniziative che ebbero come centro Bordighera nel cuore del secoloscorso e a cui hanno loro stessi contribuito. Negli archivi che Maiolino e Loreti hanno radunato e preservato si possono infatti ritrovare, rispettivamente, tutte le iniziative organizzate nell'ambito dei Premi Cinque Bettole, la cui parabola va dalla fine degli anni Quaranta ai primi anni Sessanta, e le numerose attività del circolo creato alla fine degli anni Cinquanta e denominato a partire dal 1960 Unione Culturale Democratica. Il presente fascicolo e la riscoperta dell'esordio letterario di Angelo Oliva ci riportano precisamente all'incrocio tra queste due traiettorie, la manifestazione delle Cinque Bettole e il dinamismo dei giovani aderenti all'UCD, all'inizio di un decennio che si era aperto già in modo turbolento con il governo Tambroni e la contestazione antifascista al congresso nazionale del Movimento Sociale Italiano indetto a Genova, città medaglia d'oro della Resistenza. Con l'edizione 1961 dei Premi, dopo la "gara estemporanea" organizzata nel 1958, lo svolgimento in una sola giornata di un concorso di pittura nel 1959 e la sospensione nel 1960, si tentò di rifondare quella che era stata per diversi anni la rassegna di punta delle estati bordigotte proprio coinvolgendovi nuove generazioni. [...] Angelo Oliva si vide invece attribuire il primo premio per il racconto Una grossa porcheria che si può infine rileggere in questo volume nella versione edita, come previsto a compimento della manifestazione, sulle pagine de "L'Eco della Riviera". [...] A distanza di più di sessant'anni è comunque difficile dire quanto possa avere influito nelle determinazioni della giuria il fatto che Oliva fosse già conosciuto come uno dei fondatori dell'UCD e tra i principali animatori del "giornale dell'Unione Culturale Democratica", dove i suoi articoli erano regolarmente affiancati da quelli firmati dagli stessi Seborga e Biamonti. La pubblicazione, realizzata in ciclostile dai giovani democratici, nacque, si sviluppò e fu poi interrotta proprio tra il 1960 e il 1961. L'ultimo numero, doppio, uscì a ridosso di quell'estate con in prima pagina uno scritto di Biarnonti in morte di Maurice Merleau-Ponty e uno di Oliva su Fidel Castro, in terza pagina una poesia inedita di Seborga che presentava più oltre alcuni versi del poeta cubano José Luis Galbe (che fu uno dei suoi traduttori). La ricchezza dei contributi raccolti nei fascicoli di questo giornale corrispondeva alla varietà di interessi dei giovani fondatori del circolo in virtù dei quali la cessazione delle pubibblicazioni, a metà del 1961, non coincise con una flessione delle attività del gruppo: nel giro di pochi mesi, presso il locale denominato "la Buca" perché seminterrato al n. 171 (l'attuale 187) di via Vittorio Emanuele di Bordighera, l'UCD organizzò infatti mostre personali di Enzo Maiolino, Mario Raimondo e Sergio Gagliolo, conferenze di Seborga sulla poesia civile in lingua spagnola o del maestro Raffaello Monti su Musorgskij, per poi festeggiare a ottobre l'anniversario della sua sede "rinnovata" con esposti alle alle pareti "quadri di pittori di Bordighera fra i quali: Maiolino, Truzzi, Gagliolo, Raimondo, Ciacio, Porcheddu e della pittrice Eny
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elmas-66 · 1 year ago
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Domenica in poesia, pubblicazione di Elisa Mascia da San Giuliano di Puglia -Campobasso
Foto di Elisa Mascia “Rilassante sospensione dell’anima nella Natura sorretta da dolce melodia.” Elisa Mascia 13-5-2023 Da un pensiero nasce una poesia Dolce melodia. L’anima in una rilassante sospensionenella Natura alitata da dolce melodiaintrisa di quell’ ardente passionecol passare del tempo non s’oblia. Con più forza ogni dì si rinnovaanche se ogni istante è alla provain nuove sfide e…
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sardies · 1 year ago
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Un 8 marzo milanese per la Fondazione Maria Carta
Venerdì scorso 8 marzo, nella Giornata internazionale della donna, al Teatro Dal Verme di Milano è ritornato dopo una lunga sospensione (dal 2008) il Premio internazionale di poesia in lingua sarda, promosso dal locale Centro Sociale Culturale Sardo, con il sostegno della FASI (Federazione Associazioni Sarde in Italia) e con il patrocinio del Municipio Uno e del Comune di Milano. Una…
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claudioparentela · 1 year ago
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PROGETTO DI MAIL ART :’’STOP BORDER VIOLENCE-ART. 4: STOP ALLA TORTURA E AI TRATTAMENTI DEGRADANTI ALLE FRONTIERE D’EUROPA’’
L’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea afferma: “Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. Negli ultimi anni si assiste nei confronti dei migranti a un’escalation di violenza intollerabile per le coscienze europee, in aperto contrasto con i principi fondamentali della UE. I rapporti delle organizzazioni quali UNHCR, Amnesty International e Human Rights Watch, le inchieste giornalistiche, le numerose testimonianze delle vittime raccontano di torture, stupri e minacce nei centri di detenzione della Libia, paese con il quale l’Italia ha stretto accordi per controllo delle partenze; di condizioni di estremo degrado nei campi in Grecia e in Bosnia, dove sovraffollamento, assenza di sevizi igienici e di assistenza mettono a rischio la vita dei soggetti più vulnerabili; dell’uso spropositato della forza e di episodi ripetuti di vera e propria tortura da parte della polizia croata nei confronti di richiedenti asilo alla frontiera con la Serbia e la Bosnia; di situazioni di detenzione illegale di migranti in diversi paesi della UE o finanziati dalla UE, di respingimenti violenti lungo tutte le frontiere d’Europa, di sospensione di fatto del diritto a richiedere asilo.
Tema: ’’STOP BORDER VIOLENCE-ART. 4: STOP ALLA TORTURA E AI TRATTAMENTI DEGRADANTI ALLE FRONTIERE D’EUROPA’’
Tecnica :Libera(Grafica,Collage,Disegno,Fotografia,Pittura)
Dimensioni:A4(21cm x 30 cm)-A5(15cm x 21cm)su Carta e Cartoncino.
Poesia e Poesia Visiva o Brevi Testi(da poter essere stampati ed esposti)
Scadenza:24 APRILE 2024
Tutte le opere devono essere originali e firmate sul retro con Nome,Cognome,Paese dell’Artista.
APERTO A TUTTI GLI ARTISTI DI TUTTE LE ETA’ E DI TUTTO IL MONDO.
Nessuna giuria ,nessuna vendita,non si accettano opere pornografiche,razziste,sessiste,ecc.
I LAVORI NON SARANNO RESTITUITI E FARANNO PARTE DI UNA MOSTRA ITINERANTE IN CONCOMITANZA CON LA RACCOLTA FIRME PER L’ICE(INIZIATIVA DEI CITTADINI EUROPEI) A SOSTEGNO DELL’ART.4
Le opere devono essere spedite esclusivamente per posta ordinaria,senza valore commerciale,o come piego di libro.Le spese di spedizione sono a carico dell’artista.
Inviare a :SILVIA GALIANO-VIA FRANCESCO CRISPI 79-88100 CATANZARO
LA MOSTRA SI TERRA’ IL PRIMO MAGGIO A RIACE(RC)-ITALIA
DOCUMENTAZIONE DELLA MOSTRA E DI TUTTI I PARTECIPANTI SARA’ PUBBLICATA ONLINE
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MAIL ART PROJECT:’’ ’’STOP BORDER VIOLENCE-ART. 4: STOP TORTURE AND DEGRADING TREATMENT AT EUROPE’S BORDER’’
Article 4 of the Charter of Fundamental Rights of the European Union states: ‘No one shall be subjected to torture or to inhuman or degrading treatment or punishment’. In recent years, there has been an escalation of violence against migrants that is intolerable to European consciences, in open contrast to the fundamental principles of the EU. Reports from organisations such as UNHCR, Amnesty International and Human Rights Watch, journalistic investigations, and numerous testimonies from the victims themselves tell of torture, rape and threats in the detention centres of Libya, a country with which Italy has made agreements to control departures; extremely degrading conditions in camps in Greece and Bosnia, where overcrowding, lack of medical care and assistance put the lives of the most vulnerable at risk; the disproportionate use of force and repeated incidents of actual torture by the Croatian police against asylum seekers at the borders with Serbia and Bosnia; situations of illegal detention of migrants in several EU or EU-funded countries, violent rejections along all borders of Europe, and de facto suspension of the right to seek asylum.
Theme: ’’STOP BORDER VIOLENCE-ART. 4: STOP TORTURE AND DEGRADING TREATMENT AT EUROPE’S BORDER’’
Technique: Free (Graphics, Collage, Drawing, Photography, Painting)
Size:A4(21cm x 30 cm)-A5(15cm x 21cm)on Paper or Cardboard.
Poetry or Visual Poetry or Short Texts (can be printed and displayed).
Deadline: 24 APRIL 2024
All works must be original and signed on the back with the Artist's Name, Surname and Country.
OPEN TO ALL ARTISTS OF ALL AGES AND FROM ALL OVER THE WORLD.
No jury, no sales, pornographic, racist, sexist, etc. works are not accepted.
THE WORKS WILL NOT BE RETURNED AND WILL BE PART OF A TRAVELING EXHIBITION IN CONCOMITENCE WITH THE COLLECTION OF SIGNATURES FOR THE ICE (EUROPEAN CITIZENS' INITIATIVE) IN SUPPORT OF ART.4
The works must be sent exclusively by ordinary mail, without commercial value, or as a booklet. Shipping costs are the responsibility of the artist.
Send to:SILVIA GALIANO-VIA FRANCESCO CRISPI 79-88100 CATANZARO-ITALY
THE EXHIBITION WILL BE HELD ON MAY 1ST 2024 IN RIACE (RC)-ITALY
DOCUMENTATION OF THE EXHIBITION AND OF ALL PARTICIPANTS WILL BE PUBLISHED ONLINE
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stillucestore · 2 years ago
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Nel 1997, Ingo Maurer crea un lampadario a sospensione capace di trasmettere ricordi ed emozioni, dando vita a un affascinante gioco di luci e ombre in costante evoluzione. Il suo nome deriva dal tedesco “Zettel” che significa foglietto di carta per note.
Così il suo creatore parla di questa lampada: "È la luce che si diffonde tra le carte, accompagnata da poesie, messaggi - forse per l'amata o l'amato - disegni dei bambini, immagini seducenti, enigmi misteriosi, ricette, note personali."
Avrai a disposizione 40 "Zettel" già decorati, oltre a 40 fogli bianchi da personalizzare con i tuoi pensieri o con messaggi da dedicare alle persone a cui vuoi bene.
La luce si amplifica attraverso la texture della carta, mettendo in risalto pensieri, ricordi e sogni 😍 I fogli possono essere disposti liberamente grazie a sottili bracci di acciaio che si estendono fino a 80 o 120 cm, consentendo di creare una sospensione completamente personalizzata.
Questa lampada rappresenta una perfetta sintesi tra poesia e design, tanto da essere stata soprannominata "il lampadario Post-it" 😉
Su Stilluce troverai anche Zettel’z 5 Laughing Buddha, un'edizione limitata di 200 pezzi che presenta immagini del Buddha che ride, appositamente scattate a Monaco per questa occasione. Ricordati di aggiungere al tuo carrello HAPPYSTORE codice di extra sconto per festeggiare i nostri primi 13 anni! 🎉
Zettel’z ❤️ Qual è il tuo messaggio?
La Casa comincia dalla Luce.
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pier-carlo-universe · 8 days ago
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"Arrivi tu a turbare questa notte" di Rosalba Di Giacomo: il dialogo con la poesia nel silenzio dell'oscurità. Recensione di Alessandria today
Informazioni bibliografiche Autore: Rosalba Di Giacomo Anno di pubblicazione: Contemporanea Genere: Poesia lirica Valutazione: ★★★★★ (5/5) “Arrivi tu a turbare questa notte” di Rosalba Di Giacomo è una poesia che esplora il rapporto tra il tempo, il buio e la parola poetica, intrecciando sensazioni di sospensione e inquietudine con la ricerca di un senso che possa colmare il vuoto…
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occhietti · 3 years ago
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Sono attratta dai puntini di sospensione,
dal non detto, dalla suggestione,
dal silenzio eloquente e deliberato.
Il non detto,
per me, esercita un grande potere:
spesso vorrei che si potesse fare
un'intera poesia con questo vocabolario.
- Louise Elisabeth Glück - American Poetry Review
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vefa321 · 4 years ago
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Quanto?
Di quante parole è fatto un fiore?
Che strana domanda vi chiederete?
Ma la cosa strana è se non l'avete mai chiesto, anche solo una volta tanto tempo fa...
I bambini hanno quella lungimiranza di sapere di non sapere, la versione sintetica di ciò che da grandi ignoriamo per non avere avuto il coraggio di chiedere o la voglia di scoprirlo.
Di quanti versi è composto un arcobaleno?
Di quanti punti di sospensione ha bisogno la spiaggia per aspettare la risacca?
Di quante note di musica è fatta una primavera?
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Potrei scriverne tante...ma quante servirebbero a ridarmi l'innocenza dell'infanzia, la primizia di vedere un'alba con gli occhi assonnati di sogni ma colmi di stelle.
La scoperta di quanto dura l'attesa, di come le minuti diventino lunghe quando il tempo si fa aspettare.
Di quanti buongiorno è fatta una vita intera?
Ecco ora che sono tra i grandi so anche alcune risposte.
Certo non sarà perfetta, anzi, sarà precisissima, sarà così semplicemente vera, che tornerete bambini.
Ora, immagino che vogliate saperlo, trepidanti e forse anche giustamente spaventati, la verità è bella quanto temibile e fragile.
Non andrò oltre a tirare la corda tesa dei vostri dubbi, scioglierò la penna come fosse una lingua e in meno che non si dica, saprete del tempo che non si conta.
Ci vogliono tutti i buongiorno che siete pronti a ricevere, a dare, ad auspicare, che le domande importanti hanno sempre le risposte più ovvie.
Il buongiorno è... poesia scritta al presente per il futuro.
@vefa321
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centroscritture · 4 years ago
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RIPARTIAMO, FINALMENTE
Dopo quasi un anno di silenzio, in sospensione insieme al resto del mondo, torna il Centro di Poesia e Scritture Contemporanee, con un nuovo nome, una nuova veste, un nuovo sito e un programma didattico e culturale già a partire da questa primavera.
Cominceremo con un corso breve a maggio, "6 autori 6 libri 6 tappe della poesia italiana contemporanea" e un evento a giugno, "Adriano spatola e la Poesia Totale", un progetto editoriale, ora in fase di raccolta di proposte, e tante nuove idee che realizzeremo per voi e insieme a voi.
Continuiamo a credere che il segno linguistico, il gesto della parola, i caratteri su una pagina - essenziali, discreti, silenziosi - siano il più potente atto di resistenza in una "civiltà dell'immagine" che sembra condannarci ad una continua ed estenuante esposizione, che annebbia il pensiero dietro una coltre di figure mute che illustrano solo sé stesse.
Vi aspettiamo. Per resistere.
https://www.centroscritture.it/
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danielegreco82 · 4 years ago
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ANNIE ERNAUX, Gli armadi vuoti, (traduzione di Romana Petri), Rizzoli, 1996.
Il primo romanzo di Annie Ernaux, pubblicato nel 1974 in Francia e nel 1996 in Italia, Gli armadi vuoti (un verso da una poesia di Paul Eluard, «Come due gocce d'acqua») inizia con una ragazza che sforbicia in aria con le gambe, mentre una mammana le sta praticando un aborto. Potrebbe essere un aggiornamento - e chissà che non lo sia - de L'origine del mondo di Courbet, per non concedere nulla alla finzione, semmai solo il nome di fantasia della protagonista, Denise Lesur, che a ben vedere è nient'altro che l'alter ego di Ernaux.
Figlia di due droghieri, Denise vive a stretto contatto con l'umanità varia di avventori della bottega dei suoi, ma resta sempre defilata. I genitori vogliono che non serva mai al banco, che badi solo a studiare, e così accade. Denise si iscrive in una scuola privata, scopre un altro mondo rispetto a quello del negozio dei suoi, coi fornitori e i clienti più o meno molesti che vanno e vengono.
Dallo scontro tra questi due mondi ha origine l'iniziazione alla vita che passa per l'affrancamento da una famiglia dove lei si sente sempre più estranea, dunque la scoperta della letteratura, degli uomini e una gravidanza che la lascia sola nel mondo degli adulti.
Ma il processo di maturazione non è lineare, segue proprio lo scontro non solo tra i due mondi sopra citati, ma tra due lingue: quella cruda appresa in casa e quella libresca appresa a scuola, a partire dalla quale Denise coglie di avere gli strumenti per tornare su quanto accadutole fino a quel punto.
Non potendo io giudicare l'originale francese, trovo che la voce di Ernaux, per quello che capisco dalla traduzione di Romana Petri - che mi pare di alto livello - ricordi un altro francese, anch'egli figlio di piccoli commercianti, cresciuto in un passage parigino, quale Louis Ferdinand Céline. La sintassi di Ernaux mima il parlato, anche quello gergale, con frequenti anacoluti e anche i tre puntini di sospensione; il tutto con una cifra di odio e risentimento che animano la giovane, specie negli strali verso i genitori e le compagne di scuola, e ce la mostrano sempre in fuga da qualcosa.
Denise fugge da un passato recente che non smette di guardare, come fosse la propria casa in fiamme. E il resoconto di questa fuga è fatto di frasi brevi, come stoccate, in cui si deve annotare tutto - dagli stati d'animo, agli episodi salienti, agli oggetti, alla musica, agli eventi della Storia, - ma senza una tradizionale cornice narrativa. La confessione sulla pagina è un corpo a corpo tra scrittura e memoria che diventano letteratura.
Se Gli anni (2008) è il suo libro più celebre, forse la summa di quanto scritto da Ernaux, Gli armadi vuoti è la prova generale: lo sguardo di Denise-Annie si poggia ovunque, perché se è necessario "dover dimenticare tutto" (p. 236) è ancora più importante riconoscere che "Tutto è andato in fumo. Tutto da ricominciare" (p. 237).
La sua opera-prima permette a Ernaux di abortire la sua vita adolescente, e gli ultimi versi della poesia di Eluard, che dà il titolo all'opera, sono la clausola migliore per immaginare Denise-Annie in una terra di nessuno dove sta per cambiare pelle, straniera a sé stessa e agli altri:
(...) "Sì ho sperato tutto/ E di tutto ho disperato/Della vita dell'amore del sonno dell'oblio/ Delle forze delle debolezze/ Nessuno mi conosce più/ Il mio nome la mia ombra sono lupi".
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internazionalevitalista · 5 years ago
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Note a margine dello scandalo Agamben
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Brecht pensa all'epoca senza storia di cui dà un'immagine la sua poesia agli artisti figurativi, e di cui alcuni giorni dopo mi ha detto che egli ritiene l'avvento più probabile della vittoria sul fascismo. Ma poi Brecht aggiunse ancora qualcos'altro per giustificare l'inserimento dei Canti infantili nelle Poesie dell'esilio, ed espose questo motivo - in piedi davanti a me, sul prato - con una veemenza che ha solo di rado. "Nella lotta contro quelli non si deve tralasciare nulla, Essi non si propongono cose da poco. Pianificano per trentamila anni, mostruosità. Picchiano su tutto. Ogni cellula si contrae spasmodicamente sotto i loro colpi. Per questo non bisogna dimenticarne nessuna, Essi storpiano il bambino nel grembo materno. Non non dobbiamo assolutamente dimenticare i bambini". Mentre egli parlava così, io sentivo agire su di me una forza non inferiore a quella del fascismo; una forza, voglio dire, che scaturisce da strati della storia non meno profondi di quella fascista.
Walter Benjamin, dall'appunto da Svedborg del 3 agosto 1938, Conversazioni con Brecht
Dove la riflessione critica attuale di Giorgio Agamben sulla pandemia e l'eccezione ci pare irriti maggiormente e persuada meno, nel profondo, è nel suo restituire l'immagine di un consenso passivo allo stato di eccezione imposto nella pandemia del coronavirus. Un'immagine che si presenta come una manifestazione di normalizzata adesione alla ingiunzione del primato assoluto della nuda vita, della vita fatta coincidere con la sua mera riproduzione, priva di ogni attributo di esperienza della libertà. L'immagine di questo consenso significherebbe che la nuda vita si rivela il solo orizzonte, o valore, rimasto all'esperienza umana, il che equivale a dire che l'umano si nega ormai ogni esperienza: si rivela dunque si intuisce come un fatto, un dato che emerge in questa circostanza ma che le preesiste.
Per inciso, occorre annotare che qualcosa d'altro sembra a sua volta rivelarsi come preesistente o proemiale alla gestione della pandemia: e che vale per il proletariato storico, id est industriale, quanto per tanta parte della sua demografia presente, ossia la maggioranza di anziani lasciati morire a casa sotto la legittimazione della protezione sociale dal contagio, mentre la verità è che mancano i posti letto e per questo veniamo chiusi in casa tanto quanto viene lasciato peggiorare chi ha contratto il virus - proprio allo stesso modo di come la demografia del paese non per giovani è determinata qui dalla distribuzione miserabile del reddito, ergo dalla miseria del welfare, ovvero dalla sua predazione. Quest'altro preesistente è, diversamente da una sia pur ingiunta promessa di garanzia della riproduzione biologica, la sua assoluta relatività: su scala globale relatività alle latitudini rispetto al privilegio, su scala locale relatività alla convenienza della riproduzione sociale della macchina economica, su scala temporale relatività di ogni forma di vita e dell'esistente stesso alla forza distruttiva della predazione. Esperienza, dunque, del potenziale tanatologico custodito dalla presente società umana.
Eppure nella situazione presente l'immagine restituita da Agamben, ossia quella nella quale apparirebbe che il cemento sociale al quale sembriamo oggettivamente aderire si rivela essere il comando della sola nuda vita, non è inesatta: almeno fin tanto che si conferma un consenso diffuso alla sospensione o alla disincarnazione di ogni relazione sociale, sotto la minaccia per la riproduzione biologica rappresentata dalla pandemia. Ma cosa significa questo?
Vi è in una conferenza di Georges Canguilhem del 1955, contro qualsiasi identificazione dell'organizzazione sociale umana con l'organismo vivente, un passaggio molto significativo. Canguilhem in sostanza argomenta che la società umana, ogni società umana o meglio la società umana in generale, pur avendo a che fare con il vivente perché composta di umani viventi, non ha nulla a che fare dal punto di vista della sua funzionalità con l'individuo, in quanto non obbedisce alle leggi di omeostasi di un organismo biologico singolare, né con la specie, in quanto non è confondibile con l'umanità che (e qui fa un ricorso formidabile a Bergson) resta sempre aperta alla ricerca della sua socievolezza specifica, mentre la società è per definizione chiusa (e qui si comprende che per società umana in generale va intesa ogni società costituita per esclusione e come singolarità astratta, trascendente corpi e affetti). La società è un mezzo, uno strumento, dice Canguilhem, esige regole ma non ha in sé stessa alcuna capacità di autoregolazione, anzi il suo solo presumibile stato di normalità è il disordine, dunque la regolazione le proviene da altrove - e qui, sempre per il tramite di Bergson, Canguilhem risale ancora più sorprendentemente a Platone sullo stesso tema dal quale Walter Benjamin era risalito per pervenire alla sua critica del corpo sovrano e della legge disvelandone filologicamente la finzione: la giustizia. Canguilhem usa la giustizia secondo Platone, forma suprema della società e al contempo ad essa superna, irriducibile ai suoi corpi, per fare funzionare la contrapposizione bergsoniana tra saggezza ed eroismo: non vi è nella società, diversamente dall'organismo vivente, alcuna saggezza e la prova che il suo stato normale è la crisi è il suo bisogno di eroismi e di eroi che sullo sfondo di una situazione di crisi emergono e vengono invocati a darle soluzione - legittimati da una rappresentazione di estremo pericolo che è lo specchio del permanente senso di minaccia percepito dalla società nella sua natura precaria.
È chiaro che, in barba ad alcuni forzati quanto marxianamente stupefacenti sincretismi, che hanno purtroppo corso nel dibattito teorico, qui si tratta della riproduzione sociale nella sua materialisticamente determinata distinzione dalla riproduzione semplice.
Proviamo a fare funzionare a sua volta Canguilhem in quella che può apparire la contraddizione di Agamben tra la sua cattura della verità politica sullo stato d'eccezione e una aporia del suo discorso attuale quanto alla normalità, alla regola dell'eccezione come insegnata dalla tradizione degli oppressi - per dire con il Benjamin dell'VIII tesi Sul concetto di storia. Quale natura particolare ha l'adesione presente all'eccezione formale di fronte a questa pandemia? O meglio: perché è in questa circostanza che si afferma l'ingiunzione alla nuda vita?
Questa pandemia non è la dengue, che tuttora fa più contagi e vittime del coronavirus in America Latina, o la febbre gialla che ha fatto nuove stragi negli ultimi due anni dal Sud Est asiatico all'Africa: questa pandemia è globale perché minaccia i rapporti globali determinati della società capitalista. Parte dalla metropoli del comparto globale dell'edilizia come rifugio dei capitali in seguito alla crisi finanziaria del 2008 e investe principalmente, oltre agli stati petrolieri e del conflitto sul petrolio in Medio Oriente, la Cina, l'Europa e gli Usa. Ciò dà conto della rappresentazione del pericolo ma non ancora dell'adesione sociale che essa ottiene: per afferrarla occorre forse pervenire a porsi il dubbio se questa stessa adesione non si presenti in realtà se non come apparente. Il che non esime dal constatare la forza di reificazione storica dell'immagine apparente e dunque dal constatare, come fa Agamben appunto catturando la verità dell'immagine di questo momento, che l'adesione alla garanzia della nuda vita come fondamento del patto sociale è la forma con la quale il momento stesso si presenta alla storia. Ma sappiamo, proprio con Agamben e da Benjamin, che quella garanzia e quel patto, entrambi, sono finzione. Ovvero una falsa sintesi di opposti: tale quale, in stretta parentela, quella della legittimità sovrana in rapporto a giustizia e legge. Che cosa l'esperienza degli oppressi insegna sul rapporto tra la forma-di-vita della società capitalista e la riproduzione semplice se non che questo rapporto semplicemente è nullo? Che la missione della società capitalista, inverata nel trentennio della globalizzazione, è precisamente l'esclusione, il disinteresse, la libertà del comando, ossia del profitto, da ogni garanzia di riproduzione biologica? Ora è questa verità, affermata nella pratica del comando e introiettata dagli oppressi, che appare come nudità: si accetta l'ingiunzione del comando all'isolamento e alla sospensione della vita sociale proprio perché nell'istante del massimo pericolo per la società e, coincidentemente ma non insieme, per la vita biologica si condensa tutta l'esperienza del divorzio tra le due. In altre parole affiora istantaneamente alla coscienza degli individui che a deporre la finzione del patto sociale è stato già il potere stesso: e dunque a presentarsi nuda è la realtà della società, è la sua coincidenza col potere, è la sua impotenza a produrre qualsiasi omeostasi, autoriparazione delle ferite ai corpi, protezione della vita.
Vero è che in questa registrazione istintiva della verità sulla società e sul potere si riproduce di fatto l'ingiunzione ad aggrapparsi alla nuda vita quale unico orizzonte dei comportamenti sociali: ma sarebbe meglio dire che vi si riflette. Per un verso infatti il potere ingiunge la sospensione della vita sociale come condizione necessaria alla propria rilegittimazione: per l'altro invece questa stessa sospensione trova adesione tra le persone solo come una condizione consapevolmente forzata dall'assenza evidente di qualsiasi potenza di difesa efficace della vita da parte del potere e della sua organizzazione sociale. In tale dicotomia e oltre l'immagine istantanea di una forzata convergenza possiamo intravvedere il bivio tra forme-di-vita che si prepara. Meglio ancora: il bivio tra una emergenza di forma-di-vita che a partire da questa nudità della società e del potere ne seceda per affermare il valore della vita come incontro e mutuo aiuto dei corpi negli affetti e riapra così l'orizzonte di un'esperienza libera - e una forma-di-vita invece imposta come riproduzione della società e del suo comando, riconfigurati esattamente sull'accettazione della verità della loro im-potenza sostanziale alla protezione della vita, dei corpi e degli affetti come nostro comune, e anzi sull'accettazione del loro destinarci alla separazione al cospetto di una distribuzione di morte. E questo tanto più quanto più - come pare proprio il caso della nostra situazione presente - la riconfigurazione della società capitalista e dei suoi rapporti generali di potere prende la forma di un predominio del capitalismo digitale, della cattura dei dati e di una funzione predittiva dei dispositivi del controllo: ossia di una presa totale sul biologico che al contempo lo mineralizza.
In questo senso, per quanto altrettanto sconvolgente dell'immagine restituita da Agamben, l'anonimo Monologo del virus diffuso da Lundi Matin appare un'operazione discorsiva dotata di una diversa efficacia e potenza: proprio nel suo rivolgersi alla forma attuale - colta in questo istante - del comportamento sociale medio per porlo di fronte a quella scelta. Una scelta che sembra prendere fin da ora globalmente corpo in molti e diversi segnali di vita conflittuale, che tendono a sfatare l'immagine cristallizzata di una decisione comune sulla vita stessa paralizzata nella cattura da parte della nuda tanatocrazia cui corrisponde l'automa che è pervenuto ad essere il Leviatano.
Comitato Corrispondenza e Traduzione - Sezione romana dell’Internazionale Vitalista.
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