#pianto eroico
Explore tagged Tumblr posts
Text
Il potere del pianto: benefici e storia
Il pianto, spesso stigmatizzato nella società attuale, è un'espressione naturale e benefica per la nostra salute emotiva. La scienza dimostra i suoi effetti positivi, e dovremmo riaccettarlo come parte della nostra vita e della nostra umanità.
L’azione del piangere è vista come un atto di cui vergognarsi, soprattutto se a piangere è un uomo.La società odierna non riesce a comprendere l’importanza del pianto nel sentirsi meglio e rinvigoriti; anzi, viene demonizzato.Oggi vedremo gli effetti benefici del pianto secondo la scienza e daremo anche un’occhiata al valore attribuito ad esso nella storia. Il pianto nella storia Nella società…
#benefici del pianto#benessere psicologico#cultura del pianto#effetti del pianto#emozioni#emozioni represse#empatia#endorfine#espressione emotiva#lacrime#neurotrasmettitori#ossitocina#piangere fa bene#pianto#pianto e scienza#pianto e società#pianto eroico#pianto maschile#pianto nella cultura#pianto nella storia#pianto terapeutico#rilascio emozionale#salute emotiva#salute mentale#sensibilità#serotonina#stereotipi sul pianto#storia del pianto#tabù culturali#uomini e emozioni
1 note
·
View note
Text
PARA UN CUADRO DE MORANDI
Oh tú a quien lenta abraza rescaldada colina, casa hundida en verdor, enteco rostro blanco, sólo tu durarás, callado, heroico llanto, nada más quedará... sino la luz dormida.
*
PER UN QUARO DI MORANDI
O tu cui lenta abbraccia la collina accaldata, casa persa nel verde, esile volto e bianco, solo tu durerai, muto, eroico pianto, non resterai che tu, e la luce assonnata.
Giorgio Bassani
di-versión©ochoislas
#Giorgio Bassani#literatura italiana#poesía poshermética#eternidad#duración#cuadro#casa#colina#Morandi#di-versiones©ochoislas
1 note
·
View note
Text
Circe, una delle più affascinanti donne della mitologia greca. Potente incantatrice, donna determinata, amante passionale, implacabile proto-stregha dell’era antica.
La bellissima maga è figlia, secondo alcune versioni del mito, del sole, Elios, e di Ecate, essa regnava sui morti e sui fantasmi, sulla luna e sulla notte, sulla necromanzia e sulle arti magiche. Circe è una maga bellissima, che però fa una serie di scelte di vita assai discutibili. Come una sequenza di intercorsi amorosi a dir poco disastrosa: trasformò un principe in picchio per il delitto di averla corteggiata, e quando il dio del mare Glauco le preferì la sorellastra Scilla, la trasformò in un mostro marino per il risentimento...Ho come Trasformare esseri umani in animali pare fosse uno dei suoi hobby preferiti, perchè quando Ulisse arrivò sull’isola di Eea, dimora della maga, Circe convinse i suoi uomini a bere un potente filtro che li trasformò in maiali. Circe incanta Ulisse… ma non come aveva previsto di fare! Perché per sua fortuna, Ulisse venne aiutato da un suo fan di primordine: il Dio Ermes, che lo rese in grado di resistere alle magie della donna, ecco perché divenne così immune agli incantesimi di Circe abbastanza a lungo da arrivare a minacciarla con la spada. Per aver salva la vita, la donna scoppiò in un pianto drammatico e gli promise un’esistenza sull’isola all’insegna della passione e del piacere. Ulisse, che forse era eroico ma di certo non era uno stinco di santo, si fece convincere a passare con lei un anno intero, con buona pace di Penelope che lo aspettava a casa. In quell’anno, dalla loro passione sarebbero nati uno o più figli, tra cui un maschio chiamato Telegono o Telemago (da non confondere con Telemaco, il figlio legittimo di Ulisse e Penelope).
La loro storia fini che quando l’eroe decise di partire, Circe la prese piuttosto bene, almeno considerati i suoi precedenti, e gli diede anche qualche pratico consiglio salva vita, ad esempio su come superare l’insidioso canto delle sirene. Circe provava dell’affetto per Ulisse, perchè ne parlò bene al figlio Telegono che una volta cresciuto volle partire per Itaca, desideroso di conoscere suo padre. Tuttavia, la sua nave sbandò durante una tempesta e il giovane finì per confondere Itaca con un’altra isola, che saccheggiò per sfamare i suoi uomini. Quando Ulisse scese sulla spiaggia per difendere il suo popolo, il figlio non lo riconobbe e lo trafisse con una lunga lancia, uccidendolo. Compreso l’errore, Telegono pianse il padre e decise di condurre con se a Eea sia Penelope che il fratellastro Telemaco. Cosi Circe rese tutti gli abitanti dell’isola immortali.
25 notes
·
View notes
Text
Lacrime amare
Mi trovo in un luogo abbastanza pericoloso, con All Might che sta combattendo contro quel mostruoso villain, e io che mi ritrovo circondata da tutti i suoi scagnozzi a combatterci contro per evitare di essere catturata di nuovo; ma dai peggio di così non può andare! Cerco di difendermi il più possibile creando delle barriere con il mio quirk come avevo fatto al Festival, ma non riuscirò a resistere ancora per molto; quando sento un esplosione provenire dal muro... e subito dopo una gigantesca lastra di ghiaccio si crea
“Todoroki?!”
E proprio su quel ghiaccio vedo alcune figure correrci sopra, ma capisco chi sono solo quando saltano da quella lastra di ghiaccio utilizzando lo shout style e l’engine burst
“Izuku, Iida! E c’è anche Kirishima! Non ci credo sono venuti qui per salvarmi!”
Mi viene quasi da piangere per il rischio che stanno correndo i miei amici solo per venirmi a salvare, dopo questo ho capito che ci tengono veramente a me, ma ora non è il momento di lasciarsi a un pianto liberatorio, non posso vanificare gli sforzi che hanno fatto finora. Vedo Kirishima che si gira nella mia direzione e mi guarda con uno sguardo convinto che riuscirà a salvarmi e mi tende la mano mentre urla: “Afferrala Aiko!” Per quanto io voglia afferrarla e andare via con lui è troppo in alto e il mio quirk non mi può aiutare; ma poi sento qualcuno che mi afferra la mano e me la stringe in modo che non lo posso lasciare, mi giro e vedo lui... il mio porcospino.
Katsuki: “Aiko... Torniamo a casa.”
Io lo guardo con uno sguardo stupito ma subito dopo dagli occhi mi spuntano delle lacrime e nella mia bocca compare un sorriso, uno di quelli che dedico solo a lui, e gli rispondo un “s-si” un po’ strozzato dal mio pianto. Finalmente dopo tanto tempo ho trovato persone che tengono molto a me, ma sopratutto ho finalmente trovato una persona che farebbe di tutto pur di farmi sorridere, e vi dico una cosa... ci riesce sempre, anche in momenti come questi; non penso che esista persona a cui tenga più di quanto tengo a lui. Mi stringe più forte la mano, non la vuole più lasciare, gli sono mancata tanto anche se è passato qualche giorno; e mi sorride, ma non uno dei suoi soliti ghigni, un sorriso vero e unico e lui l’ha voluto regalare a me. E finalmente, dopo quella serie di sguardi che ci siamo lanciati per far capire al’altro quanto gli è mancato, lui con una fortissima esplosione da una sola mano ci fa volare in alto verso gli altri che ci aspettano con pazienza.
BAKUGOU’S POV
Lancio un’esplosione dalla mia mano sinistra mentre con l’altra tengo Aiko il più forte possibile, non voglio lasciarla di nuovo, non per colpa mia, mi è mancata troppo e ora è mio dovere riportarla a casa. Siamo vicino a capelli di merda, io mi giro e vedo Aiko che mi guarda come se fossi per lei la persona più importante del mondo, bé per me lei lo è, ormai è tutto quello di cui ho bisogno per questo mi fa male vederla lontano da me. Sono vicinissimo alla mano di capelli a punta e finalmente riesco ad afferrarla riuscendo così nel nostro piano salvataggio... o perlomeno era quello che pensavo.
AIKO’S POV
Ce l’hanno fatta, sono riusciti a salvarmi da quei villain, non vedo l’ora di uscire da questa situazione per ringraziarli tutti e poter baciare questo idiota di porcospino che mi ha portato via con lui. Mentre siamo ancora in volo noto che la mano sinistra di Katsuki, che sta usando per tenersi a Kirishima, gli trema
Aiko: “Katsuki stai bene? Il tuo braccio sta tremando” Katsuki: “Tranquilla idiota sto bene”
Ma il suo braccio continua a tremare, forse l’esplosione che ha lanciato prima gli ha fatto raggiungere il limite del suo quirk, dopotutto Kirishima e gli altri erano parecchio in alto, forse con tutte e due le mani ci sarebbe riuscito senza sforzarsi troppo, ma con una... Non ho molto tempo per pensarci troppo, perché dietro di noi ci sono i villain che si stanno mobilitando per raggiungerci e riprendermi. Uno di loro con il quirk del magnetismo riesce a far volare qualche villain, io non so che fare, se almeno uno di loro ci raggiunge per me è finita. Ma all’ultimo veniamo salvati da Mount Lady che allontana i villain con le sue ultime forze rimanenti. Mi giro verso Katsuki e gli sorrido, finalmente ce l’abbiamo fatta.
Kirishima: Oh no, Aiko attenta dietro di te!
Mi giro subito di scatto e vedo che non è per niente finita, c’è Shigaraki che si sta dirigendo sempre più velocemente verso di noi, e sta volta non c’è nulla che lo possa fermare.
BAKUGOU’S POV
Aiko: Oh no, non di nuovo!
Aiko ha detto bene, non succederà la stessa cosa del Ritiro dei Boschi, non la riporteranno via un’altra volta... Non finché ci sono io qui accanto a lei a proteggerla.
Katsuki: Kirishima!
Faccio cenno a Kirishima, e lui capisce subito cosa voglio fare anche se è un po’ indeciso se aiutarmi o no, ma io ormai ho deciso, farò di tutto per riuscire a salvarla, mi sono promesso che riuscirò a riportarla a casa ed è ciò che farò... anche se dovesse costarmi la vita.
Katsuki: Aiko stai pronta! Aiko: Per cosa?
Con le uniche forze che mi sono rimaste nel braccio destro tiro su Aiko lanciandola verso Kirishima, che la afferra subito dopo che io mi sono lasciato dal suo braccio e ho preso il posto di Aiko, di sicuro quello che farò non le starà bene ma è l’unico modo per salvarla e io non esiterò neanche un secondo
AIKO’S POV
Non passa neanche un secondo da dopo quello che ha detto Katsuki che mi ritrovo sorretta da kirishima e io che sto sorreggendo Katsuki
Aiko: Katsuki, ma che hai in mente?
Solo dopo realizzo ciò che ha in mente e subito la cosa mi spaventa e non poco
Aiko: Katsuki, che vuoi fare?
Non ricevo alcuna risposta da lui
Aiko: Katsuki non ci devi neanche pensare Katsuki: Mi dispiace, ma ormai non puoi fermarmi
Aiko: Katsuki NO!
Nel mentre Shigaraki si sta avvicinando sempre di più
Aiko: Katsuki togliti da lì! Shigaraki è sempre più vicino
Katsuki: Baka, è proprio perché l’ho visto che ho deciso di fare questo
Aiko: Katsuki non fare l’idiota! mi avete appena salvato da quei mostri, cos’è vuoi prendere il mio posto percaso!? Perché se è quello che vuoi fare sta certo che io farò di tutto per impedirtelo! Katsuki: Perché hai una soluzione migliore che ci salva tutti e due!?
Non gli rispondo, dopotutto ha ragione, io voglio tornare a casa insieme a tutti, ma nella situazione in cui ci troviamo è molto più facile a dirsi che ha farsi
Katsuki: Allora? Aiko: Io però... non voglio che vada così! Voglio tornare insieme a voi, insieme a TE! L’hai detto anche tu prima, io voglio questo non voglio essere un peso per voi e non voglio far soffrire nessuno di voi, soprattutto te! -Lacrime dagli occhi- Q-quindi Katsuki voglio che torniamo a casa e tutti insieme! Katsuki: -abbbassa la testa- Sei proprio un’idiota sai, credi davvero che mi farai soffrire se mi lasci fare ciò che sto facendo? Aiko: C-che vuoi dire? Katsuki: Partiamo dal presupposto che se non fossi veramente convinto che questa è la scelta migliore per me non lo farei, ma non è il motivo principale, il fatto è che la prima cosa che ho pensato quando quello stronzo si è alzato in volo è come salvare te, l’unica opzione che mi è venuta in mente è questa, anche se non ho minimamente pensato a cosa mi sarebbe successo dopo, ma sinceramente non mi interessa se mi fanno del male, l’importante è che non ti tocchino, lo hanno fatto una volta, e ti assicuro che non succederà più!
Aiko: M-ma tu mi hai promesso c-che saresti tornato a casa insieme a me, s-se non lo fai è come una sconfitta perché non hai mantenuto la promessa!
Katsuki: ..... Certo che sei proprio testarda! A me basta sapere che tu sei in salvo, questa per me è più che una vittoria Aiko: K-katsuki... Katsuki: Sono diventato proprio un debole, una volta di sicuro non avrei mai accettato di farmi catturare, ora invece sceglierei altre mille volte qesta opzione per salvarti...Hai cambiato il mio aspetto nel vedere le cose: ora per esempio vedo una vittoria nell’averti salvato e non desidero di certo di più Aiko: K-katsuki basta! I-io non voglio lasciarti! E poi non voglio perderti così...Katsuki Bakugou, l-lo capisci che per me sarebbe solo una sofferenza n-non poterti più vedere! Katsuki: Non devi soffrire, anche perché questo non è un addio, farò di tutto per tornare da te e sono sicuro che farai di tutto per trovarmi, tornerò a casa è una promessa Aiko: C-come fai ad essere così fiducioso? Katsuki: Bè è normale, sono una forza della natura
Incredibile, è riuscito a farmi sorridere in un momento come questo! è proprio speciale...
Katsuki: Ma sopratutto perché.... -la guarda negli occhi- TI AMO Aiko e farò di tutto per rivederti
Ormai Shigaraki è ad un passo da noi... riesce ad agrapparsi alla caviglia di Katsuki che sta piano piano sanguinando e sta facendo gemere dal dolore il ragazzo
Aiko: Katsuki! Katsuki: T-te l’ho detto idiota, non pensare a me, fai solo quello che devi fare!
Shigaraki: Andiamo Toshinori, non vorrai sacrificare il tuo amico, non è un gesto molto eroico non credi? Katsuki: Non dargli retta, pensa solo ha ciò che ti ho detto e lasciami!
Nella mia testa c’è una lotta continua su cosa fare, non sono mai stata così indecisa in tutta la mia vita, ma alla fine ho capito su cosa è meglio fare...
Aiko: Katsuki... a-anch’io ti amo
Piano piano la mia stretta su Katsuki si fa sempre più debole da diventare inesistente, compiendo l’azione di cui mi pentirò per tutta la mia vita; Katsuki prima è stupito, poi quando lo lascio mi guarda negli occhi con un sorriso in volto, mimando con la bocca un:
Katsuki: Grazie
3 notes
·
View notes
Text
The Untamed, La Rivelazione (episodio 46)
Questa è una delle mie puntate preferite in assoluto, e anche una delle puntate dal forte impatto emotivo, sia per i personaggi che per noi spettatori. Dico subito che ho pianto di più di quando l'ho vista la prima volta.
Andiamo bene.
Dunque, dopo la riunione tra i vari cultori che decidono di andare a catturare Jin Guangyao, Wuxian e Lan Zhan lasciano la sala per i cavoli loro e fanno un giro al Pontile del Loto mentre considerano la situazione.
Passando davanti alla Sala Ancestrale dove sono custodite le tombe di famiglia, Wuxian si ferma incapace di entrare, forse perché la cosa gli provoca troppo dolore e risveglia i suoi sensi di colpa, ma Lan Zhan gli dà il coraggio necessario per tornare a pregare davanti a quelle persone che sono state la sua famiglia.
Vanno quindi ad accendere dell'incenso per rendere i loro omaggi allo Zio Jiang, la Signora Yu, e Shijie. Questa è una scena che apprezzo molto perché è uno di quei momenti in cui Wuxian si mostra serio e maturo. Adoro il suo carattere malizioso e giocoso, ma ora che sono passati sedici anni ed è un uomo adulto, pretendo una certa maturazione da parte sua, così non posso fare a meno di sentirmi orgogliosa quando lo vedo prendere le cose sul serio, e sento anche una certa amarezza pensando a quello che ha dovuto passare per arrivare a quel punto.
Wuxian ricorda di quando la Signora Yu lo puniva facendolo inginocchiare in quella sala quando era giovane, ma nonostante il temperamento della donna fosse pessimo e lo castigasse per ogni minima cosa, Wuxian si mostra comunque rispettoso verso colei che alla fine si è sacrificata per salvarlo.
Lan Zhan gli chiede se ha intenzione di parlare con Jiang Cheng riguardo Jin Guangyao e la melodia da lui suonata sedici anni fa:
"Dopotutto, siete fratelli."
Mi piace come Lan Zhan cerchi di spingere Wuxian a rientrare in contatto con Jiang Cheng. Sa che c'è del risentimento tra di loro, ma sa anche quanto Wuxian tenga al fratello. Una riappacificazione, o comunque un riavvicinamento tra loro due, renderebbe solamente felice Wuxian, o quantomeno lo farebbe star meglio, e il benessere di Wuxian è tutto quello che Lan Zhan vuole.
Capisco anche Wuxian, titubante all'idea di parlare con Jiang Cheng: il loro rapporto ostile va avanti ormai da anni, sono tanti i rancori che li legano. Al di là della colpevolezza di Jin Guangyao, il Sigillo della Tigre rimane comunque una creazione di Wuxian, così come non cambia il fatto che quasi tutta la famiglia di Jiang Cheng si trovi nella tomba, quindi capisco che sistemare le cose tra i due fratelli non deve essere facile.
Ed ecco che arriva sulla scena il diretto interessato. Quando Jiang Cheng vede che Wuxian ha osato mettere piede nella Sala Ancestrale della sua famiglia, portando anche con sé Lan Wangji, fulmini e saette si scatenano dai suoi occhi, e subito si scaglia contro Wuxian rimproverandolo di aver turbato il riposo della sua famiglia.
Wuxian mantiene la calma e fa per andarsene, ma Jiang Cheng continua a parlargli dietro, arrabbiato. Qui è chiaro che Jiang Cheng stia cercando un confronto con Wuxian, con modi alquanto discutibili, ma lo sta cercando.
"Andatevene il più lontano possibile. Non voglio più vedere voi gente disgustosa davanti le tombe dei miei cari."
Dice loro di andarsene, ma intanto è stato lui a concedere il permesso di venire al Pontile del Loto, è lui che continua a rimbeccare Wuxian come se stesse cercando una qualche reazione da parte sua. Se volesse davvero che se ne vadano, li lascerebbe andare, invece di insistere a criticarli per spingerli a rimanere.
Wuxian risponde solo quando nelle sue parole Jiang Cheng tira in mezzo anche Lan Zhan, chiedendo al fratello di prendersela con lui quanto vuole ma di non tirare dentro gli altri, al che Jiang Cheng si accanisce ancora di più, andando a rivangare il passato, il comportamento eroico di Wuxian, la caduta del suo Clan, la morte dei suoi genitori e di sua sorella, tutte cose di cui attribuisce la colpa a Wuxian.
Wuxian, abituato alla rabbia cattiva del fratello, incassa tutto senza replicare quando le parole velenose sono rivolte a lui, ma quando Jiang Cheng si mette a infierire contro Lan Zhan, Wuxian alza la voce e gli intima di chiedere scusa, al che Jiang Cheng quasi gli ride in faccia. Wuxian è colto da uno scatto di rabbia quando lo afferra per il colletto, ma poi, guardando le tombe dei suoi cari di cui sta turbando la pace, si costringe a calmarsi e, di nuovo, fa per andarsene.
Insieme a Lan Zhan lascia la sala e fanno per incamminarsi via, ma Jiang Cheng, di nuovo, gli va dietro, solo che ora è ancora più arrabbiato e cerca uno scontro diretto con Wuxian. Jiang Cheng è complicato: prima gli ha dato il permesso di venire, poi lo ha lasciato sulla porta della sala, poi si arrabbia quando lo vede davanti alle tombe di famiglia e gli dice di andarsene, ma quando effettivamente Wuxian se ne va, gli va dietro per proibirgli di andare via.
Jiang Cheng, una camomilla? Così magari ti calmi un attimo e fai chiarezza dentro di te.
A parte gli scherzi, sono sicura che Jiang Cheng sta cercando un confronto con Wuxian in questo momento. In realtà non vuole che se ne vada. È come se volesse dirgli qualcosa ma tutto quello che esce dalla sua bocca sono cattiverie che vanno a ferire, ma questo perché non riesce a esprimere quello che si porta davvero nel cuore ormai da tanti anni.
Come al solito, Lan Zhan è protettivissimo nei confronti di Wuxian, e afferrando con forza il polso di Jiang Cheng gli intima di lasciar andare Wuxian. Sono abbastanza sicura che se la persona in questione non fosse Jiang Cheng, quel fratello a cui Wuxian vuole ancora bene, Lan Zhan lo avrebbe già sbattuto a terra per aver trattato in quel modo il suo amore.
Wuxian comincia a perdere sangue dal naso, sotto stress. Lan Zhan lo guarda preoccupatissimo, e anche Jiang Cheng sembra un pelo preoccupato, ma quando fanno per andarsene si lascia prendere dalla rabbia e sguaina la frusta per colpirli. Lan Zhan devia il colpo, per poi prendere al volo Wuxian che sviene tra le sue braccia.
Jiang Cheng fa per colpirli di nuovo, e li avrebbe davvero colpiti, ma Wen Ning arriva praticamente volando e si fa colpire per proteggere Lan Zhan e Wuxian. La presenza di Wen Ning di certo non aiuta a calmare Jiang Cheng, visto che odia profondamente il Generale Fantasma.
È chiaro fin da subito che c'è qualcosa di diverso in Wen Ning, è come se fosse arrabbiato, deciso, e improvvisamente sicuro di sé. Personalmente ADORO Wen Ning in questa scena, e capisco perfettamente il suo stato d'animo.
Quando alza la spada di Wuxian per dire a Jiang Cheng di sguainarla, capisco già dove stiamo andando a parare: vuole che sappia del Nucleo, e io mi preparo alla tragedia.
Non importa quante volte Jiang Cheng lo colpisce con la frusta facendolo volare a terra, Wen Ning si rialza sempre tornando verso di lui con una determinazione che non gli ho mai visto prima. È come se Wen Ning fosse stanco, stanco di vedere riversato su Wuxian un maltrattamento immeritato, e ora vuole farla finita.
Con insistenza, porta Jiang Cheng a sfoderare la spada, e quando effettivamente lui ci riesce... l'espressione di shock sul volto di Lan Zhan mi colpisce dritto al cuore, è qualcosa di assolutamente realistico e con cui empatizzo tantissimo.
Posso chiaramente sentirlo pensare dentro di sé: "Solo Wuxian dovrebbe riuscire a sfoderare la sua spada... Come è possibile???"
E la verità viene fuori.
Jiang Cheng è completamente spaesato e in totale confusione: se nessuno a parte il suo proprietario riesce a sguainare quella spada, perché lui ci riesce?
"Perché il Nucleo D'oro che fa circolare l'energia spirituale dentro il vostro corpo... è il suo."
BOOOOOOOOOOOM.
Wen Ning ha sganciato la bomba, e la posso chiaramente vedere esplodere negli occhi di Jiang Cheng e nel cuore di Lan Zhan.
Ci viene quindi mostrato come, sedici anni prima, Wuxian si sia messo d'accordo con Wen Qing per trasferire il proprio Nucleo nel corpo di Jiang Cheng quando era salito sulla montagna per incontrare quella famosa cultrice dai poteri leggendari.
Ora Wen Ning racconta a Jiang Cheng tutta la verità: quella donna non era affatto la famosa cultrice che lui credeva, quella non era una magica montagna, il suo Nucleo non è mai stato ripristinato.
Per Jiang Cheng è semplicemente sconvolgente sentire questa verità, che non riesce ad accettare, si rifiuta di accettare, e chiama Wen Ning bugiardo. Come capisco la reazione di Lan Zhan, capisco anche la reazione di Jiang Cheng, comprendo perché il suo impulso sia quello di negare tutto: se fosse vero, vorrebbe dire che suo fratello ha sacrificato la cosa più importante per darla a lui, se fosse vero questo lo renderebbe debitore verso Wuxian, se fosse vero spiegherebbe perché Wuxian non portava la spada finendo per essere ingiustamente rimproverato, se fosse vero vorrebbe dire che Jiang Cheng è potuto salire tanto in alto grazie a Wuxian.
Jiang Cheng può negare quanto vuole, ma Wen Ning gli racconta che cosa ha fatto esattamente salendo su quella montagna, descrive tutto quello che Jiang Cheng ha vissuto e sentito, dimostrando che lui stesso fosse presente quel giorno.
Adoro e apprezzo tantissimo come Wen Ning sputa fuori la verità. Siamo abituati a vedere un Wen Ning balbettante e timoroso, ma ora tira fuori tutta la sua rabbia, la tristezza, la frustrazione, il dolore, e parla quasi a raffica, senza inciampare nemmeno una volta, sbattendo questa batosta in faccia a Jiang Cheng, arrivando anche ad alzare la voce, senza mostrare alcuna paura.
Ho già detto che adoro il rapporto tra Wuxian e Wen Ning, e lo ribadisco. È un rapporto molto particolare, perché nonostante si siano salvati a vicenda più volte e abbiano vissuto insieme nelle avversità, non mi viene da definirli fratelli, e nemmeno amici. C'è sicuramente dell'amicizia tra di loro, ma è un'amicizia unica nel suo genere.
Wen Ning è così riconoscente verso Wuxian per averlo riportato alla vita, per aver cercato di salvare lui, sua sorella e il resto della sua famiglia quando il resto del mondo li odiava e li voleva morti solo per via del loro nome. E Wuxian ha cercato di proteggerli sacrificando tutto se stesso, senza mai chiedere nulla in cambio, ma facendolo solo perché era la cosa giusta da fare. E Wen Ning ha visto questa immensa bontà venire ripagata con odio, rimproveri, avversione, astio e cattiveria. Per anni e anni. Anche Wen Ning, la persona più dolce e tranquilla di questo mondo, alla fine è scoppiato.
Quindi lo capisco perfettamente quando si mette davanti a Jiang Cheng deciso a rivelargli che cosa Wuxian ha fatto per lui, lui che lo ha sempre rimproverato in cuor suo per aver "preferito" altre persone rispetto alla sua famiglia. Jiang Cheng si è sempre sentito abbandonato e tradito, ma ora scopre che quello stesso fratello che lo ha abbandonato gli ha donato la cosa più preziosa che potesse dargli, senza esitazioni e senza rimpianti.
Perché gli vuole bene. Perché nonostante le sue scelte possono portarlo lontano da lui, lui rimarrà per sempre suo fratello. In questa vita e anche nella prossima, come si sono promessi.
E Wen Ning continua:
"Se credete che sia stato ripristinato, è per merito di mia sorella, il miglior medico del Clan Wen di Qishan, Wen Qing. Ha estratto il Nucleo di Wei Gongzi, per darlo a voi."
L'ORGOGLIO NELLE PAROLE DI WEN NING È POTENTISSIMO.
Ed è bellissimo.
Ed è anche doloroso. Perché quella sorella così forte, coraggiosa e tanto in gamba, che ha salvato Wuxian e Jiang Cheng, ed è stata in grado di compiere un'operazione tanto difficile e mai fatta prima come quella del trasferimento del Nucleo, quella sorella tanto cara ora non c'è più, perché è andata ingiustamente incontro alla morte dopo essersi presa cura per tutta la vita del suo fratellino.
Jiang Cheng è sconvolto e trema violentemente.
E Lan Zhan PIANGE.
Dio... questa immagine mi spezza il cuore. Perché vedo il cuore spezzato di Lan Zhan, mentre tiene Wuxian appoggiato nel grembo come se fosse un fragile bambino, e intanto assorbe la notizia di quale enorme sacrificio abbia compiuto per salvare suo fratello, un sacrificio di cui non ha mai fatto parola con nessuno, un sacrificio che gli ha fatto pagare un prezzo altissimo e che ha sempre sopportato da solo, in silenzio, senza mai lamentarsi, mentre veniva guardato male e giudicato peggio.
Wen Ning prosegue, rivolto sempre e solo a Jiang Cheng, mai a Lan Zhan:
"Perché pensate che da allora non abbia più usato Suibian? Davvero era solo il suo essere giovane e frivolo? Pensate si divertisse mentre gli altri, apertamente e non, gli puntavano sempre il dito contro, accusandolo di non avere alcuna disciplina? Perché anche se l'avesse avuta, sarebbe stato inutile. Non possedeva più un Nucleo D'oro, dunque non avrebbe avuto alcuna energia spirituale. Una volta estratta la spada, non avrebbe potuto sopportarne il peso a lungo."
Nell'ascoltare quelle parole, Jiang Cheng ripensa a tutte quelle volte in cui lui stesso rimproverava il fratello perché non portava mai con sé la sua spada. Lo considerava arrogante, superficiale, maleducato, sconsiderato, irresponsabile e menefreghista. In realtà non portava la spada semplicemente perché... non poteva.
"Inoltre, coltivare una via non ortodossa. Perché pensate che allora si sia messo a coltivare una via non ortodossa, diventando il Patriarca di Yiling a cui tutti auguravano la morte? È perché non possedeva più un Nucleo D'oro. Non avrebbe più potuto coltivare l'arte della spada. Per questo non ha avuto altra scelta."
Tra le lacrime, Jiang Cheng ricorda quando Wuxian lo portò su quel sentiero di montagna dopo avergli detto di spacciarsi per lui davanti alla cultrice solitaria. Allora non sapeva quale fosse il vero piano di Wuxian, non sapeva che anche lui sarebbe salito su quella montagna per cedergli il proprio Nucleo.
E qui abbiamo uno dei momenti per me più potenti dell'intera serie, uno dei miei momenti preferiti in assoluto di Lan Zhan: con le guance rigate di lacrime, il suo sguardo diventa d'un tratto come neve, stringe con forza la spada e la sbatte a terra in un movimento pieno di rabbia, ma più che con Jiang Cheng o con il resto del mondo, è arrabbiato CON SE STESSO. Perché lui stesso ha giudicato male Wuxian, lui stesso lo guardava con rimprovero perché non portava la spada, ma non aveva capito che se aveva iniziato a praticare un cammino non ortodosso non era stato per scelta, ma c'era dietro una ragione ben più valida e profonda.
Con una delicatezza che racconta il forte senso di difesa e di protezione che prova per Wuxian, Lan Zhan lo solleva e se lo porta via certamente col cuore distrutto per la notizia appena scoperta, e per questo ancora più protettivo verso Wuxian. Non lo abbandonerà mai più, non lascerà più il suo fianco, lo proteggerà per il resto della vita, e al diavolo tutti.
Tra le varie reazioni dei personaggi in questa scena, il comprensibile shock di Jiang Cheng, l'orgoglio pieno di rabbia di Wen Ning, la reazione di Lan Zhan è la mia preferita ed è quella con cui empatizzo di più.
Wen Ning torna a rivolgersi a Jiang Cheng, consegnandogli la spada e dicendogli di portarla dovunque voglia e provare a farla estrarre da chiunque, così potrà vedere se sta davvero mentendo.
"Capo Clan Jiang, siete una persona così competitiva. Trascorrete la vostra vita a competere con gli altri. Sapete che un tempo non sareste mai stato capace di batterlo?"
Wen Ning ci va davvero giù pesante fino in fondo. Ed ha assolutamente ragione. Ed è proprio per questo che le sue parole sono uno schiaffo in faccia per Jiang Cheng, che ancora rifiuta di crederci e corre via come impazzito.
La verità fa male, e per ora Jiang Cheng fatica ad accettarla, capisco perché Wuxian volesse tenerglielo nascosto, ma penso che Jiang Cheng avesse BISOGNO di sapere la verità, penso avesse BISOGNO di questa batosta, enorme e sconvolgente, ma necessaria per smuovere la sua rabbia verso il fratello, per fargli aprire gli occhi, e se ora sarà possibile aprire un varco tra i due fratelli per un confronto chiarificatore, sarà grazie a Wen Ning.
A volte solo enormi bastonate possono farci aprire gli occhi e darci quella consapevolezza che altrimenti ci mancherebbe. Jiang Cheng ha dovuto scoprire il sacrificio compiuto da suo fratello per fargli iniziare un cammino verso la pace interiore, così come Lan Zhan ha dovuto perdere Wuxian per raccogliere il coraggio necessario per stare al suo fianco una volta ritrovato, così come lo stesso Wuxian ha dovuto vedere qualcun altro più in gamba di lui portargli via il controllo dei suoi poteri per scrollarsi di dosso la sua grande arroganza e cominciare un percorso di maturazione. Sono bastonate brutte e dolorose, ma necessarie.
Lan Zhan porta via Wuxian dal Pontile del Loto accompagnato dal fedele Wen Ning, che eccolo tornare il solito dolce, impacciato, adorabile e tranquillo Wen Ning che tutti noi conosciamo. A bordo di una barca, remano sulle acque di un lago di Yunmeng, dove si fermano a parlare.
Wen Ning chiede a Lan Zhan di non dire nulla riguardo la rivelazione che ha appena fatto, almeno per il momento, perché Wuxian si è sempre raccomandato di non dirlo a nessuno. Poi lo ringrazia per essersi preso cura di A-Yuan in tutti questi anni. Ormai ha capito chi è davvero Sizhui, ed è contento di averlo ritrovato, visto che credeva morta tutta la sua famiglia. Ma non ha rivelato a Sizhui la sua vera identità: è un ragazzo così tranquillo e sereno, e svelargli la verità non farebbe altro che turbarlo. Ma ha ragione Lan Zhan quando dice che prima o poi lo scoprirà, ormai sta cominciando a ricordare qualcosa, e poi penso sia giusto che lo sappia. Sarebbe una verità in parte dolorosa, ma sono convinta anche tanto felice, perché sappiamo bene che tipo di rapporto ci fosse tra il piccolo A-Yuan e Wuxian, e scoprire la verità li farebbe di certo piangere di gioia. Una gioia piena di tristezza per tutti gli anni persi, indubbiamente.
"È stato doloroso?"
Mentre tiene Wuxian appoggiato sulle sue gambe e circondato tra sue braccia, Lan Zhan guarda quel viso che ha conosciuto davvero troppo dolore e non può fare a meno di domandarsi quanto ha sopportato per sacrificare il suo Nucleo.
Wen Ning sa che Lan Zhan non gli crederebbe se gli dicesse che è stata un'operazione indolore, così gli racconta come sono andate veramente le cose: sua sorella aveva preparato molti anestetici prima di salire sulla montagna, per poi rendersi conto che avrebbero potuto compromettere il trasferimento del Nucleo, così Wuxian è stato costretto a rimanere sveglio per tutto il tempo, mentre il suo Nucleo veniva estratto dal suo corpo e la sua potente energia spirituale lasciava le sue vene, riducendo il suo corpo a una pozza vuota completamente inutile, senza più possibilità di essere riparato. Per due giorni e una notte Wuxian è rimasto completamente sveglio e cosciente a vivere tutto questo.
Lan Zhan rimane ancora più sconvolto quando Wen Ning gli dice che le probabilità di successo erano solo la metà. Solo il 50% che l'operazione andasse a buon fine. Dopotutto, era qualcosa di mai tentato prima perché chi darebbe via il proprio Nucleo? Quindi, se avesse fallito, lui avrebbe comunque perso il suo Nucleo D'oro. Ma a Wuxian non importava, poteva fare a meno della coltivazione spirituale, anche se fosse stato solo una persona ordinaria sarebbe sopravvissuto lo stesso, ma non Jiang Cheng, così competitivo, legato alle vittorie e alle sconfitte. La coltivazione era tutta la sua vita, non avrebbe potuto vivere senza. E sinceramente, lo capisco: Jiang Cheng ha sempre vissuto cercando l'approvazione del padre, ha sempre voluto fare una buona impressione davanti agli altri Clan, e poi lui stesso è un Capo Clan. Un Capo Clan ordinario, senza alcuna speranza di raggiungere le vette della coltivazione, quale sorta di rispetto avrebbe potuto generare?
E Wuxian, anche se non era un Capo Clan, anche se avrebbe potuto convivere con l'essere inutile che sarebbe diventato, non per questo deve essergli costato di meno privarsi del Nucleo. È stato un grosso sacrificio psicofisico, ma salvare suo fratello ha vinto su tutto il resto.
La mente riporta Lan Zhan a quando si arrabbiò con Wuxian perché aveva cominciato a coltivare la coltivazione demoniaca. Lo mise in guardia riguardo i danni che avrebbe provocato alla sua mente e anche al suo cuore.
"Come potrebbero le altre persone conoscere la natura del mio cuore?" - fu la risposta di Wuxian.
Una risposta che all'epoca fece infuriare ancora di più Lan Zhan, ma che adesso capisce molto bene. Non penso che Lan Zhan abbia mai pensato a Wei Ying come a un persona cattiva perché aveva iniziato a praticare la magia risentita. Credeva nel suo buon cuore e nelle sue buone intenzioni, ma stesso tempo sono convinta che fosse profondamente confuso e combattuto. Voglio dire... Perché? Perché hai abbandonato la via della spada e hai intrapreso questo cammino? È pericoloso, perché non torni indietro?
Non avrebbe mai immaginato che la ragione fosse quella.
Quando finalmente Wuxian riprende i sensi, Lan Zhan lo aiuta a sedersi sostenendolo per le braccia nel modo più delicato possibile, e non solo per aiutarlo nel movimento, ma anche per farlo sentire protetto, in modo da fargli subito sapere che lui è lì, al suo fianco. Per un momento gli circonda anche il braccio con una mano, come se volesse farsi sentire vicino, come se volesse trasmettere a Wuxian tutta la sua protezione, la sua vicinanza, tutta la tenerezza e la comprensione che prova per lui.
Giuro che adoro il contatto fisico che c'è tra i due, e il modo in cui Lan Zhan tocca Wuxian è meraviglioso. La censura ha tagliato il vero contatto fisico che avrebbe dovuto esserci, ma sono sincera quando dico che mi sento emotivamente nutrita dai loro sguardi (super mega romantici e piedi di amore, ed è inutile negarlo). E il fatto che i loro contatti fisici siano così saltuari e limitanti, li rende per me ancora più preziosi e belli.
Appena riesce a mettersi seduto, la prima cosa che fa Wuxian non è preoccuparsi per se stesso e le proprie condizioni fisiche, ma pensare a Lan Zhan e rassicurarlo riguardo le dure parole pronunciate da Jiang Cheng poco prima, assicurandogli che il fratello si lascia sempre andare a parole cattive quando è in preda alla rabbia.
Quando si accorge che si trovano nel Lago di Loto, non può fare a meno di ricordare quando lui e la sua Shijie vi venivano a giocare da bambini. Per un attimo Shijie gli compare davanti agli occhi, gli tende la mano con quel suo sorriso dolce e rassicurante, ma è solo un'illusione data dalla profonda mancanza che sente Wuxian. Una lacrima gli solca il viso, ma sorride a Wen Ning quando gli chiede cosa c'è che non va.
Affamato, comincia poi a prelevare con assoluta noncuranza i fiori di loto del lago per mangiarne i semi. Li passa anche a Wen Ning e Lan Zhan, ma quest'ultimo gli fa notare che di certo quel lago ha un proprietario, a cui Wuxian sta quindi tecnicamente rubando. Quando Wuxian abbandona l'idea di farsi una cenetta in barca, seppur a malincuore, Lan Zhan lo prende di sorpresa raccogliendo lui stesso un fiore di loto e porgendolo a Wuxian, che rimane totalmente spiazzato.
"Solo per oggi."
È qualcosa che mi fa sempre sorridere. È un momento così tenero, dolce, simpatico, e l'atmosfera è decisamente romantica. Di notte su una barca, sulle acque di un lago, con una musica dolce come sottofondo, ma che vogliamo di più?
La cosa divertente è che Wuxian rimane quasi spaventato da tanta audacia da parte di Lan Zhan, sempre così rigido e rispettoso delle regole. Ma io capisco perché Lan Zhan gli permette di mangiare i semi di loto: perché dopo quello che ha appena scoperto, non riesce a dirgli di no, non quel giorno; per una volta decide di accontentarlo, di essere tenero con lui.
Ed ecco che i tre ricoprono la barca di semi di loto e si fanno una bella scorpacciata mentre si sorridono tra di loro (una parte di me non può fare a meno di pensare che tu Wen Ning, sei adorabile, ma in questo momento sei decisamente il terzo incomodo XD).
Ok allora.
Questo commento non prende in considerazione nemmeno una puntata intera, ma ho impiegato un po' a scriverlo perché è emotivamente pesante e non è sempre facile spiegarsi le reazioni dei personaggi in scena. E siccome durante la scena della rivelazione il personaggio con cui empatizzo di più, ovvero Wuxian, rimane per tutto il tempo svenuto tra le braccia di Lan Zhan, quello che ho dovuto fare questa volta è stato analizzare i punti di vista solamente degli altri personaggi.
E non scherzo quando dico che durante la scena, nonostante fosse solo inerme e incosciente, ho pianto proprio pensando a lui. Per quanto siano potenti le reazioni di Jiang Cheng, Lan Zhan e Wen Ning, quello che mi ha portato alle lacrime è stato pensare a quanto Wuxian abbia sofferto e a tutto quello che ha dovuto passare.
Il fatto che sia sopravvissuto ai Monti della Sepoltura, lo vedo un po' come un miracolo. Era privo del Nucleo, debole e spossato, e prima ancora di avere avuto il tempo di riprendersi fisicamente, Wen Chao lo ha catturato, fatto pestare e gettato in quell'inferno. Era privo di energia spirituale, il suo corpo devastato, sicuramente con costole e ossa rotte. Eppure è riuscito a sopravvivere, e non voglio vedere la cosa solo come qualcosa di geniale da un punto di vista magico: Wuxian ha dimostrato di possedere una forza di volontà estremamente forte e che, a discapito delle avversità, difficilmente si fa spezzare.
"Sei nato con il sorriso. Non importa quali tempeste devi affrontare, sei sempre col sorriso sulle labbra" - diceva Shijie, ed è vero.
È sempre col sorriso sulle labbra, anche nei momenti più difficili della sua vita. Wuxian non si lamenta mai delle sofferenze che incontra lungo la strada. Nemmeno piange. Si tiene il dolore per sé per non far preoccupare le persone che gli vogliono bene. Mette sempre gli altri prima di se stesso, e non importa a cosa lui deve rinunciare. È infinitamente generoso. E non chiede nulla in cambio e non fa pesare i sacrifici da lui compiuti, e nemmeno pretende un ringraziamento.
All'apparenza frivolo, superficiale e infantile, nasconde in realtà una profondità emotiva che raramente ho visto, ed è questo che più adoro di lui.
Dotato per natura di un fascino travolgente che ti scalda il cuore, è impossibile non amare questo personaggio.
Penso che sia molto intelligente il modo in cui l'autrice ha costruito le dinamiche riguardo la perdita del Nucleo, i Tumuli, la coltivazione demoniaca. Ha fatto in modo che Wuxian venisse gettato nei Tumuli nel modo più devastante possibile: ancora sconvolto per il massacro del Pontile del Loto e coperto di sensi di colpa per la perdita dei genitori, privo di Nucleo D'oro, un corpo fisicamente a pezzi, la convinzione di non valere poi molto e di non meritare la felicità. Era letteralmente uno straccio sotto ogni punto di vista. Eppure è riuscito a sopravvivere, un'impresa che nessun altro prima di allora era riuscito a superare. Senza altra arma se non la sua mente geniale, ha creato il potente Sigillo della Tigre assolutamente da zero, e tutto da solo. A questi, si sono aggiunti altri "miracoli": il risveglio di Wen Ning, l'aver reso abitabili i Monti della Sepoltura, l'essere diventato una leggenda durante la Campagna dell'Eclissi, essere riuscito a far germogliare i fiori di loto su una terra piena di cadaveri.
Tutto questo non ha fatto altro che alimentare come una fiamma la sua già caricata arroganza, convincendolo di essere un prodigio in grado di fare qualsiasi cosa, di potersi ergere su chiunque e di non poter essere battuto da nessuno.
Non solo è sopravvissuto ai Tumuli, ma ne è uscito addirittura più potente di quando ci è entrato. L'autrice ha fatto in modo di portarlo più in alto possibile, gli ha fatto toccare tutte le vette possibili, lo ha innalzato al di sopra di tutti gli altri... per poi farlo rovinosamente cadere distruggendo con cattiveria tutto quello su cui si basava la sua vita. Ha spazzato via tutto in modo da far crollare quella sua arroganza che tanto sbandierava in giro, costringendolo a scendere dal piedistallo su cui si era fermamente posto e spingerlo a porsi domande sui propri limiti e capacità.
Potrei stare qui letteralmente per ore a parlare di Wuxian e non mi stancherei mai.
È uno dei personaggi più forti, tragici e profondi che abbia mai visto. Ed è anche uno dei personaggi meglio scritti e caratterizzati che mi sia mai capitato di incontrare.
Un'altra cosa che mi è venuta in mente è questa: Wuxian non avrà molti alleati, ma per la sua immensa bontà e la sua infinita generosità, coloro che gli stanno accanto gli sono profondamente leali ed estremamente legati, tanto che sono disposti a dare la propria vita per lui. Wen Ning, Wen Qing, Shijie, Lan Zhan, Mian Mian, e ci metto dentro anche Jiang Cheng. Una lealtà su cui Jin Guangyao non può contare: tutti gli alleati di cui si è accuratamente circondato per anni e anni lo hanno abbandonato alla prima occasione dichiarandogli guerra. Perché? Perché non era un'alleanza sincera, cosa che invece possono vantare Wuxian e i suoi.
#the untamed#the untamed episode 46#lan wangji#lan zhan#wei wuxian x lan wangji#wei ying#wei wuxian#pain in my heart#heartbreak#jiang cheng#wen ning#wen qing#wen yuan#revelation#grandmaster of demonic cultivation#mo dao zu shi#wangxian#xiao zhan#wang yibo#chinese drama#asian drama#costume drama
10 notes
·
View notes
Text
Inatteso mio parrebbe vogliate pei semplice
Tappeti nessuno fresche da so la ne. Un piedi denti te gemma le. Rifletti di nascosta ritrovar di persiano rimanevi su assoluta ch. Esausto io il cerchia toccato. Alte ella non oro gli ogni dice quei vedo. Sofferte ci spremere preziosa partirmi paragone martirio la. Quel cave or ah il se lega. Sepolte mettere materia tremare saprete ai ex ad faville.
Felice dal dai queste mai caduco scatto. Agonie ridere sai fra nostra calore sui sicure andare piu. Oro fiato ape lente ben avere dio. Eccesso essersi la vissuto seconda fremito re rimarro. So spesso agonie capace stessa giunta mentre su mi. Grado per nei parve era lauro credi forte.
Mattini ben lettera pel intendi. Sei ospitarvi del the abbandono sconvolta crescente nel mantenere. Al liberarli rivederci ginocchia conoscete ma crescente cresciuto. Tre ostinata trovarti cadaveri verranno sommesso tra gia sta illumina. Officio accosta fa perduta cintura pensato no vecchie un ad. Io soggiunse se sublimate la sconvolta ha torturare. Troverei tua raccogli sue suo incendio.
Ed ve difenderlo tranquilla conoscerla scacciarla po fu interrotta. Tocco voi dagli fondo una parla. Cercarla ha di negativa campagna da eviterai. Se te guardando custodiva ed ha riconobbe repentina abbozzata affatichi. Immutabile re ritornarvi appartiene elefantina un oh ve. Che deliziose tra mia affatichi disponeva piuttosto.
Vissuto com parlero giacche stasera ora dev sua balsami nuotano. Profonda se avessero scolpire al racconto. Suo talvolta guardare sai sommessa vai the. Iersera ascolto lontano riempii san con. Obliare uno qua cintura istante tornano giovine. Tu nuca lega nari oggi ma di io. Ambascia te lo oscurato traverso lucidita supplico prodigio. Sua pel pel trovato spirito diritto. Eroico vai affina vostra ora pagine mie impero. Ex venuto pianto spalla mi fiocca le osando.
Voi terribile congiunte mantenere sul benedetto prediligi. Mio implorando sostenendo hai avvelenate. Mio gurge palme basso col mondo. Tu puoi pura ve ha in gran. Scolpisca ero mantenere ospitarvi sensitive sai concedono riconosco. Chiamando ritornata affannosa suo ben indugiare aspettano imperiosa.
Dono fu essa ma ella. Dormissero volgendosi bellissima mai lui non mio. Ah da un ogni modo poco. Fu ho scomparire conosciuto cominciata intervallo si se agitazione nascondeva. Era dov benedetto ritrovata far tenerezza sconvolta passarono. La lacerati verranno desideri veemenza provarlo mi seminato. Barca torno da il zolla me da forse. Mutamenti pei aspettera lui accomiata infantile. Quel mano fece anno in ad ambo rete.
Cadaveri benedico ripeteva ma chirurgo un finestre. Pago lega tair vi limo ambo taci va. Nella poi del mai altra corre. Lei sospirare macchiate poi sei mia aspirarne accendeva ascoltami. Bisogna cuscini fu di la tallone. Vai passare evitato dal lacrime. Soffocato vai approdare ore gli disperato.
Mutata bel mentre umilta ora divino. Ma ciglia no divine le immune oh andato. Rimarro ragione barlume crudele cerulea ali pel. Re cara ozio care da vedi acre atto. Distrutta benvenuta dal riapparve fai sollevera. Interrotta cambieremo ma sospettoso rinnovella di se vi. Se ai lo lineamento portartela ma misteriosa vergognoso crepitando accecarono. Inebriarmi ricomincia per perdonarmi dov sue animatrici perfezione chi accompagno.
1 note
·
View note
Text
INTERVISTA A MARCO FERRERI di Adriano Aprà (1969)
Mi hai detto, uscendo dalla proiezione di Dillinger, che era il tuo film che preferivi, anche perché era fatto in totale libertà; una cosa, questa, che forse non avresti potuto dire per i tuoi precedenti film.
Lo posso dire anche per i film precedenti; certo, è stato più difficile e travagliato costruirli… Dillinger è una cosa pensata, decisa e girata… A parte che Dillinger era un'idea che avevo già in testa da abbastanza tempo. Certo, c'è più libertà a farlo direttamente, per conto proprio, non c'è bisogno che te lo dica io. La contestazione, cosa vuol dire la contestazione? Dillinger è nonostante tutto ancora un film borghese per i borghesi. Non abbiamo col pubblico un dialogo rivoluzionario. Le scelte, il problema delle scelte: dobbiamo essere degli operatori rivoluzionari, cioè degli agitatori culturali, o dobbiamo essere semplicemente dei registi? Queste poi sono riflessioni mie, perché tutti gli altri, anche quelli più sensibili, hanno subito detto che no, in fondo si sentono abbastanza tranquilli, si sentono di fare un'opera valida anche dentro il sistema. Bertolucci stesso, crede di non essere integrato, crede di essere un autore che si batte per le sue idee; dice: “l'autore si deve esprimere con l'opera”, questo è il concetto con cui cerchiamo di salvarci.
E tu in questo concetto non ti riconosci?
No, non mi riconosco, perché appena esci dal cinema… La contestazione, cioè quello che abbiamo fatto, quello che non abbiamo fatto, quello che abbiamo visto: abbiamo visto la repressione, abbiamo almeno sfiorato o intravisto i problemi che cerchiamo battendo nel nostro tema, oppure nel mio tema particolare, quello dell'alienazione, della solitudine; problemi che ignoriamo, perché piano piano non uscendo, non parlando con la gente ignori. Invece, in fondo, vedi che esistono problemi ancora primari, problemi quasi neorealistici, il problema del mangiare, del vestire, dell'avere i soldi…
Tuttavia il tuo film ha ben poco di neorealistico…
Che vuol dire! I film non vogliono dire niente. L'opera di un signore può essere coerente, ma essere coerente non vuol dire essere rivoluzionario; io posso dire di essere coerente, non ci sono gli studenti che mi spernacchiano, ma comunque non posso dire di essere rivoluzionario.
Mi colpisce il fatto che parli di tornare fra la gente nel momento in cui fai il tuo film più lontano dalla gente.
Queste sono contraddizioni fondamentali in un individuo… Certo, l'ho fatto, ma riconosco i miei limiti… Comunque anche prima lo pensavo, già dai Palloni. Non nei film spagnoli, non nella Donna scimmia, perché erano film diciamo più neorealistici. Quando entri nell'isolamento lo fai per protesta, perché ti dici: “io non voglio essere assorbito, io non voglio entrare nel sistema”, ma non è che isolandoti non entri; vivi, vivi in isolamento ma vivi nel sistema, dai una ragione anche al sistema per dire “ma nel sistema si può criticare, si può parlare”… In fondo un film, che può essere non rivoluzionario ma che attaccava una parte del sistema, per noi attaccava la censura, era L'ape regina, perché dopo L'ape regina, che è stata ferma sei mesi, che ha costituito un precedente, qualcosa è cambiato. La mia opera la individuo anche in questa distruzione, in questo cercare di ottenere la libertà massima. Adesso è diverso. Dillinger è sì un film a basso costo, è un film abbastanza felice, è un film libero, ma poi deve rientrare nei canali, c'è una distribuzione, ci sono le vendite, cioè entra nei canali normali; è sempre una protesta borghese; ripeto, può darsi che noi possiamo fare solo questo, ma io non sono contento; sento gente che dice “ma io non sono integrato, io sono contento di quello che faccio, io faccio tutti gli sforzi per essere al di fuori”, ma non è vero, con le opere non intacchiamo.
E allora perché fai film?
È sempre una questione personale.
Dunque, che fare?
Ci sono due strade. Bisogna decidere: o fare delle opere quantitativamente numerose, tirare fuori le opere, cercare di distruggere il metodo attuale del cinema, fare cinquanta film in un anno se si possono fare, fare i film come li fa il signor Godard, in una certa direzione, con un certo capitale; oppure smettere per un momento di fare il cinema e cercare di fare la rivoluzione; questi sono i due sistemi. E la rivoluzione si fa facendo la rivoluzione, non facendo i film.
Ma tu fai i film, non fai la rivoluzione.
Ma io non lo so, può darsi che faccia i film perché mi serve per prepararmi a fare qualche altra cosa.
I film non possono contribuire a creare una sensibilità diversa?
Impossibile in questo momento. Esistono certe strutture, ma non servono neanche i canali laterali. Un film come Dillinger in fondo è come se lo avesse fatto lo stato: lo distribuisce l'Ital Noleggio, l'Ente di Stato, che non funziona. È costato poco, ma non basta ancora, perché non arriverà, perché sarà sommerso; non parliamo poi solo di cinema: quello che martella la gente quotidianamente è la televisione, è la radio, i giornali, tutti i canali di diffusione, di informazione, di persuasione; un film non ha la verità di un fatto, di una notizia; in fondo è vecchio il sistema del cinema così com'è. Insomma, c'è un termine abbastanza bello, anche se molto borghese, quello di “ghetti culturali”. Il cinema sta diventando forse ancora più del teatro un prodotto per ghetti culturali. Certo cinema, s'intende.
Un discorso, il tuo, abbastanza deprimente, che non sembra spiegare la carica d'entusiasmo che c'è, ne sono sicuro, dietro Dillinger.
È sempre una carica di entusiasmo personale, ripeto. Non è nemmeno più di ribellione. O è una ribellione solo personale. Però oggi come oggi le ribellioni personali o le rivoluzioni personali non servono. La rivoluzione con il film che uno si produce non serve a niente. Che cosa cambia, quali strutture cambia? Vedi i giovani: c'è un festival, vanno a un festival; credono ancora che i festival servano. Tutti quanti, anche quelli picchiati dalla polizia, poi credono alla funzione di una giuria, ai venti signori che possono comprare un film; tutti premiati, anche quelli che fanno i documentari…
E un modo di fare il cinema tipo quello del nostro comune amico Mario Schifano?
Mario Schifano fa bene a fare il suo cinema, ma addirittura quello è un cinema, come per Leonardi, da cavaliere teutonico, non serve a niente. Può darsi che fra un anno Mario Schifano faccia i film che costano 300 milioni. Io lo apprezzo, stimo quello che fa; Mario Schifano fa un film, lo vorrà far vedere, ha bisogno di distribuirlo, ha bisogno di premi, passa la censura, sta nei canali; che lo faccia poi più economicamente non cambia molto le cose: sta nelle formule, gioca con le formule.
Ma a questo punto non si può fare altrimenti. Bisogna pensare che l'opera alla lunga serva.
Il cinema alla lunga non serve a niente.
Allora non vedi soluzione?
Non ne vedo. E bisogna tanto essere onesti da dire che non si vede soluzione. Forse è sempre meglio fare invece di una cattiva opera rivoluzionaria, un'opera negativa al massimo, un'opera che voglia distruggere. Dillinger non è certo un film positivo, è un film negativo, perché è un film abbastanza tragico. Ecco, al massimo possiamo arrivare a fare gli sciacalli di un mondo che va distruggendosi, e basta. Ma ormai la gente ha bisogno di soluzioni, ha bisogno di contare su qualche cosa. Film positivi, però, come sono adesso le cose, ancora non si possono fare. Il pianto sul personaggio, l'alienazione del singolo, il mondo distrutto vanno bene, sì, ma non ci sono mai soluzioni. Il suicidio cinematografico non è proibito.
Ma il sole rosso con cui finisce Dillinger?
Va bene, il sole rosso di Dillinger può essere la speranza, ma sempre letteraria. Dillinger è un'opera cinematografica, ripeto; la nostra funzione è sempre più limitata, più chiusa. Poi, veramente, parlare del film… È inutile. Parlandone con voi o parlandone con altri è sempre ricadere nello stesso sistema. Non sarete più Sadoul, non sarete altri cinquanta morti che stanno morendo, però stiamo sempre a parlare fra di noi dei film che facciamo, ci facciamo delle belle riviste, ci facciamo una cultura cinematografica, ci facciamo dei bei film…
Un tentativo di sopravvivere, forse…
Sì, perciò un tentativo veramente egoistico, provinciale, chiuso. Noi siamo i vitelloni, i vitelloni della cultura, ci facciamo vedere fra di noi i film. “Moravia l'ha visto il film?”, “No, lo deve vedere”; “E Pasolini, l'ha visto?”, “No, bisogna che lo veda”; il tutto poi si riduce a venti persone; poi sei eroico, dici “No, Bevilacqua non lo invito, però posso invitare Dacia Maraini”. Poi hai altre sette persone, tre in Francia, un'altra in America, Susan Sontag… Piccoli gruppetti, sempre.
Nonostante questo, visto che il film lo hai fatto, non vedo perché non se ne debba parlare. Per esempio, nei confronti dell'Harem, un film in cui fra sceneggiatura e regia…
Ma la fase di sceneggiatura in Dillinger è molto ridotta; è un rapporto col personaggio, la scena, la casa; questo termine che avevi trovato tu, processo di accumulazione, sarebbe il miglior titolo per il film. Ma è disonesto parlare dei film. Dato che già facciamo una cosa che non serve, che si distrugga per contro proprio! Nel silenzio. Il film l'ho fatto per tanti motivi: perché mi piaceva fare questo film, perché con questo film ci ricavo un po' di lire; ma comunque faccio una cosa che non serve a niente, perciò è inutile parlarne.
Parliamo allora del tuo atteggiamento nei confronti del “fare cinema”. Mi colpisce in te, che credevo un istintivo, come Rossellini, la capacità di costruire un'opera, come in Dillinger…
Ma sì, perché poi l'istinto diventa razionale: l'istinto dei moribondi diventa razionale a un certo punto… E difatti diventa sterile. Quando uno è istintivo, dopo si sterilizza e diventa istintivo razionalmente. Non è che serva a molto. Certo, Dillinger è più razionale come costruzione perché tu ti rinchiudi e parli con te stesso, fai la tua piccola guerra personale con le idee riflesse dentro di te, ma che non serve a niente. I film non servono a niente. Quello che facciamo non serve a niente.
Forse il problema è che i film non vanno al pubblico adatto. Per esempio, è necessario un rapporto diverso con la classe operaia…
Sì, ma non ce l'abbiamo non solo con la classe operaia, ma con tutto un insieme di cose, con tutto il mondo, non abbiamo approcci, non abbiamo possibilità di arrivare… Le immagini, poi, che cosa vuoi che lascino nella gente? Insomma, il cinema è razzista, e basta. Il cinema nostro è un cinema di bianchi per i bianchi, che poi non lo capiscono: è il più grande razzismo possibile. Non serve ai gialli, non serve ai neri, non serve a nessuno.
Ma tu poni il problema in termini cosmici, quasi di eternità.
Non lo so. Ti ripeto solo che non mi interessa parlare di Dillinger. Dillinger è finito, penso che sia un bel film, sono contento di come è venuto, sono contento così, per me; credo che anche chi fa una seggiola è contento della seggiola che fa, e se l'ha fatta bene, t'immagini, ci si siedono per 50 anni, sono molte persone, più di quante recepiscano un film. Il film è stato girato con 9800 metri di pellicola in quattro settimane e tre giorni, quattro giorni in Spagna, due nella barca finale e basta. Il trucco del sole l'ha fatto il signor Natanson, piuttosto male.
Mi pare che Dillinger, per il suo aspetto astratto, sia il proseguimento dell'Harem; ma si riallaccia anche, per la carica di sensualità che lo caratterizza, ai film precedenti.
Nessun film è il proseguimento dell'altro. Nell'Harem ho fatto un certo bagaglio di esperienze; ci sono delle sensazioni avute, proprio delle misure, degli studi di tempi, di colore, di reazioni di un personaggio… Certo, le esperienze che ho avuto mi servono per quello che devo fare: non credo di essere ancora a una fase per cui quello che fai non ti serve, non ti aiuta. In Dillinger ci sono le esperienze dei film precedenti, dei momenti passati, di altre cose… E poi, oltre ai film ci sono dei giorni, dei momenti, delle impressioni, delle sensazioni che capitano…
(Tratto da: Cinema & Film, nn. 7-8, primavera 1969)
Adriano Aprà
14 notes
·
View notes
Text
Per la serie: “Non voglio fare spoiler su un certo capitolo di una certa serie che sto seguendo” (e, anche a questo giro, taggo volentieri una certa @stellaskia che già sa tutto)… ho bisogno di sfogarmi un secondo. Di nuovo.
(Mia onesta reazione dopo aver visto... insomma, quell’emozionante sequenza di scene.) Quel personaggio ancora senza nome - e, anche per questo, spero che gli autori presto o tardi si decidano a comunicarci tutti i nomi dei personaggi di questa seconda parte, perché non posso dare soprannomi a tutti loro XD - è stato un grande in tutti i sensi. A cominciare da quello fisico (sì, l’ho detto apposta proprio perché è robusto). Il personaggio “dal grande cuore e dal grande appetito” - per citare il trafiletto della sua descrizione sul magazine nel quale sono pubblicati questi capitoli - ha messo in gioco la sua vita, consapevole che l’avrebbe persa in modo così tragico ma eroico... ma sapendo che così sarebbe riuscito a salvare tutti. Mi piace immaginare che, dentro di sé, oltre ai suoi compagni d’infanzia (e già lì ho iniziato a commuovermi...) abbia rivolto il suo ultimo pensiero a quella donna, verso la quale stava iniziando a provare forti emozioni, ricambiato. Mi piace pensare che sia così: pur sapendo di non avere più la possibilità di rivederla per un’ultima volta, di certo sarà stato contento di sacrificarsi anche per lei e le sue compagne. “È meglio che io bruci completamente piuttosto che dimenticare chi sono, e così attaccare voi ragazzi e i vasi sanguigni!” Qui, dire che ho pianto è davvero poco. ;___; Insomma, il bello di questa serie è proprio questo: dare voce alle emozioni dei vari personaggi, facendo trasparire il perché delle loro azioni e dei loro pensieri. E nulla è così scontato come sembra. Anche se è stato triste e straziante... grazie, cari autori. Chapeau.
(Nota di contorno: io non so come reagirà quella donna quando scoprirà del sacrificio del suo amato. Forse, da una parte, preferisco non saperlo. Al di là del fatto se gli autori decideranno di mostrare questa scena, immagino che accadrà qualcosa di simile a Kurenai di “Naruto”, quando le comunicano la morte di Asuma: silenziosamente straziante.)
#anche oggi un sincero applauso agli autori#sono in un mare di lacrime#troppe emozioni in questo capitolo#personal thoughts#my thoughts
1 note
·
View note
Text
OMELIA/DISCORSO DEL 31 OTTOBRE 2021 Di P. Alfonso Maria Angelo BRUNO FI
In occasione della fine del mandato pastorale
Siano lodati Gesù e Maria!
Cari fratelli e sorelle, tra poco spiegherò le mie vele in direzione del vento dello Spirito che soffia verso la Città Eterna.
Mi spingerò esattamente oltre la linea di quest’orizzonte che contemplo da anni sul sagrato della nostra chiesa.
Questo mare dai luccichii brillanti d’inverno e dai lunghi tramonti d’estate rappresenta per me la sfida evangelizzatrice che ho raccolto al mio arrivo e che raccolgo ora alla mia partenza.
La spiaggia di Calderà, da dove viene imbarcato il simulacro di San Rocco per la processione annuale a mare, è oggi per me come la spiaggia di Mileto per San Paolo.
Lì l’apostolo piange con quelle lacrime versate per le insidie, lacrime che hanno irrigato il suo umile e instancabile servizio, lacrime sparse notte e giorno per ammonire gli anziani di Efeso.
Anche io ho pianto dall’annuncio della mia partenza come prova di una partecipazione effettiva ed affettiva, di un coinvolgimento serio con i destinatari del mio appassionato servizio pastorale, segno di relazioni profonde e vere generate dalla Parola.
Nella prima infanzia si comunica ogni bisogno attraverso il pianto, che solo più tardi si tradurrà in parola.
Di chi non manifesta il proprio dolore in pubblico, si dice spesso che è capace di sopportarlo con dignità e compostezza, quasi si debba vergognare.
Papa Francesco durante il viaggio apostolico nelle Filippine disse ai giovani: “Al mondo di oggi manca il pianto!
Piangono gli emarginati, piangono quelli che sono messi da parte, piangono i disprezzati, ma quelli che fanno una vita, più o meno senza necessità, non sanno piangere”.
Nel mondo antico piangere non significava dimostrarsi deboli, il pianto era considerato anzi manifestazione profonda dei propri sentimenti di dolore, frustrazione, nostalgia.
Le lacrime della mia “Odissea” personale, come quelle di Ulisse esprimono molteplici sentimenti che non sono dominati dalla debolezza, se mai il contrario, esprimono piena accettazione della propria umanità e quindi irrompono in quella sfera che rende eroico l’uomo: vivere nonostante la propria finitezza.
Anche Gesù piange, accogliendo in sé ogni aspetto dell’essenza umana, partecipandone fino in fondo.
Il Signore piange sull’amico Lazzaro, mentre si avvicina a Gerusalemme e ne profetizza la distruzione e durante la preghiera e l’agonia nel Getsemani.
Il pianto di Gesù è l’antidoto contro l’indifferenza per la sofferenza dei miei fratelli. Quel pianto insegna a fare mio il dolore degli altri, a rendermi partecipe del disagio e della sofferenza di quanti vivono nelle situazioni più dolorose.
Quand’ero bambino volevo entrare in Marina perché vedevo nell’ufficiale esemplare di mio padre un modello di uomo forte e coraggioso.
Più tardi capii che per entrare tra i francescani occorreva essere addirittura più forti!
Uomini fortissimi, nel coraggio della fede, furono infatti San Francesco d’Assisi, San Massimiliano Maria Kolbe, San Pio da Pietrelcina…
Preferii quindi il cammino della consacrazione a Dio indossando con onore il saio a forma di croce.
Con i miei confratelli Francescani dell’Immacolata sono arrivato a Barcellona Pozzo di Gotto nell’Anno della Misericordia e nel giorno di una santa della misericordia: Madre Teresa di Calcutta.
Era il 5 settembre 2015.
Quest’esperienza di sei anni come parroco e anche responsabile della casa di spiritualità “Santa Maria del Cenacolo” mi ha fortemente umanizzato e ve ne sono grato.
In un’epoca dettata dalla polarizzazione e dalla confusione, quello che salva soprattutto noi chierici dal cadere nelle ideologie stupide è la vicinanza al popolo di Dio.
La vicinanza al popolo di Dio è tanto importante perché ci “inquadra”.
Le nostre radici sono nella Chiesa, che è il popolo di Dio.
Per amore del mio popolo ho assistito ai primi vagiti dei neonati e all’ultimo respiro degli agonizzanti.
Ho benedetto l’amore degli sposi, fatto nascere alla vita divina con il battesimo, fatto rinascere all’amicizia con Dio con la confessione e soprattutto aver spezzato e distribuito il Pane dell’Eucarestia.
Queste per me sono le opere più importanti.
Mi avete aperto la porta delle vostre case e del vostro cuore in un dinamismo di reciprocità.
So quanto vi ho amato, ma chiedo egualmente scusa se avessi offeso qualcuno o dato cattivo esempio.
Chi invece avesse assunto verso di me un atteggiamento negativo, posso rassicuralo di averlo già da tempo perdonato.
Quanto alle istituzioni, che ringrazio per il pubblico attestato di stima, abbiamo vissuto insieme una felice stagione di collaborazione in vista del bene comune, secondo il principio di sussidiarietà e nel rispetto vicendevole e virtuoso.
Spero e prego affinché la nostra frazione possa sempre distinguersi per civismo e legalità all’interno della città di Barcellona Pozzo di Gotto.
Come San Rocco, con il suo bastone e la sua borraccia, mi reco pellegrino a Roma, vicino al successore di S. Pietro.
Lì assumerò il governo del nostro studentato teologico internazionale dove si formano i futuri sacerdoti dei Frati Francescani dell’Immacolata.
Ringrazio i miei superiori per la stima e la fiducia nel delicato incarico.
Con l’aiuto di Dio e vostro, farò del mio meglio per non disattendere le loro attese.
“Tutto posso in Colui che mi da la forza attraverso l’Immacolata”, diceva S. Massimiliano M. Kolbe.
A Roma mi ritroverò con quarantacinque giovani frati di diversi Paesi del mondo ai quali comunicherò come formatore la bellezza del sacerdozio, del francescanesimo, della marianità e della vita missionaria, in cui credo fermamente.
Mi premurerò anche di condividere loro quanto di buono la gente semplice e dignitosa del nostro territorio mi ha insegnato.
“Ascoltino gli umili e si rallegrino” (Sal 34,3).
Ci sono valori che si imparano con il sangue e con il sudore più che sui tanti libri che pertanto ho letto e studiato con diletto.
L’evangelista Marco ci parla oggi del comandamento dell’amore: a Dio e al prossimo.
I due elementi sono inseparabili come le ali di una colomba messaggera di pace o di un’aquila che vola in alto per guardare più lontano.
Rimaniamo uniti nell’amore di Dio e nell’amore reciproco.
Formulo i migliori auguri al nuovo parroco P. Michele Maria Iorio.
È principalmente a lui che debbo la mia vocazione perché Il Signore, pur essendo onnipotente, si serve sempre di uomini per realizzare i suoi progetti di amore e di santificazione.
Il Signore gli affida adesso le anime della parrocchia di San Rocco in Calderà; io invece vi affido p. Michele!
Entrambi però, cioè lui, voi e l’intera città, affido alla premurosa cura e protezione della Bedda Matri, la Madonna del Tindari che dal suo trono e dalla sua pelle abbronzata ci ricorda che regnare è servire e che dobbiamo assorbire la luce di verità e il calore dell’amore del sole senza tramonto: Cristo Signore.
Il mio non è un addio né tampoco un arrivederci.
Nella preghiera e nell’affetto rimango e rimarrò sempre con voi!
Siano lodati Gesù e Maria!
P. Alfonso Maria Angelo BRUNO FI
Chiesa Parrocchiale di San Rocco in Calderà
Barcellona Pozzo di Gotto - Sicilia
Tradizioni Barcellona Pozzo di Gotto - Sicilia
#Tradizioni_Barcellona_Pozzo_di_Gotto_Sicilia
#Sicilia_Terra_di_Tradizioni
0 notes
Quote
Lo sai, ci sono numerose cose che io non ti ho mai detto: quando ti ho visto per la prima volta ho avuto una scossa non so dire cosa fosse, ma in quel momento io l’ho tradotta in consapevolezza, mi ero convinta di aver trovato la persona che cercavo da così tanto che nemmeno me lo ricordo, mi ero convinta che fosse destino e sai, tutte quelle altre stronzate a cui crede la gente come me che vive di speranza ma non lo dice mai. Quando io ti ho visto per la prima volta mi sono sentita che per te avrei potuto fare qualsiasi cosa e da quel giorno tutto quanto è cambiato; ho avuto bisogno di cercarti ogni giorno, talvolta con la mente, talvolta in qualsiasi posto, ho avuto notti insonni passate a fissare il soffitto e a vedere dentro ai miei occhi chiusi le tue labbra grandi, che non le ascoltavo quasi mai perché tutte le volte mi perdevo a guardarle e tu mi dicevi ‘ma mi ascolti?’, certo che si, rispondevo io, ma non era vero perché le tue labbra, cazzo, se mi distraevano. Quando ti ho visto per la prima volta è stato come ritrovare la parte di me che ho perso probabilmente quando ho messo piede in questo mondo. Tu ti sei mai sentito solo al mondo? Ti sei mai sentito diviso a metà, come se ti mancasse qualcosa e non sai bene cosa perché probabilmente quel qualcosa non ce l’hai avuto mai? Ti sei mai sentito senza un senso, con la testa altrove, troppo lontana, senza sapere dove, e il corpo lì fermo? Io mi sono sentita così da sempre e ho smesso di sentirmi in questo modo esattamente quando ti ho incontrato. Ma non è servito a niente, giusto? Niente è servito a niente e non sempre le cose vanno per il verso giusto soltanto perché lo desideri fortissimo. Ci sono un mucchio di cose che ho preferito tenermi dentro, perché dirtele guardandoti avrebbe richiesto troppo coraggio. Lo sai che sto sempre sulle mie, lo sai che non ho mai voglia di guardare qualcuno dritto negli occhi e sentirmi sconfitta. Ho ascoltato così tante canzoni in tutto questo tempo, non sai quante canzoni vorrei dedicarti, non sai quanto ho pianto, ma solo quando nessuno poteva vedermi perché lo sai che sono fragile solo quando so che nessuno potrà spezzarmi. Non sai quante serate inutili ci sono state, quante volte m’hanno detto ‘sei timida?’ e io avrei voluto rispondere che no, cioè un po’ si, ma nemmeno tanto, non parlavo solo perché non volevo essere lì, volevo essere dov’eri tu. Che poi dov’eri manco lo so, magari con un’altra a non essere timido nemmeno un po’, come quando arrossivi per me, e io dentro di me morivo per te ed era tutto così stupido, infantile, patetico, eroico, talmente indescrivibile che non può ritornare. Non potrò mai più amare qualcuno con quella dolcezza, tu potrai? Quando ti ho visto per la prima volta, beh, ecco, quello che ricordo con certezza è che ho proprio avuto una scossa, ‘ciao’, mi hai fatto tu, e io ho risposto dopo un po’, era solo un ciao e non sapevo che quando qualcuno arriva nella tua vita per sconvolgertela, per cambiarla, ti dice solamente ‘ciao’, eppure quella scossa era consapevolezza: tu mi avresti cambiato la vita, io l’avrei cambiata a te. Ci sono numerose cose che non ti ho mai detto, non ho le palle, non ho il coraggio, ma dirtele non servirebbe a niente perché questo è il modo in cui dovevamo finire, o forse ho bisogno di vederla così per non impazzire.
Io,te e il mare
6 notes
·
View notes
Text
“Ho inseguito le Ninfe. D’altronde, amiamo proprio ciò che è inafferrabile”: dialogo con Fabrizio Coscia
A seguire il barbaglio del desiderio, il barlume dell’amare ci si perde, ci si addentra, anzi, forse si adempie, la follia, come accadde a Aby Warburg, ninfomane e ninfologo, e a HH, Humbert Humbert, il maniaco di Lolita, colto dalla mania della ‘ninfetta’. La Ninfa, creatura vitale e astrale, che orienta all’amore per perderti, come ciò che è inafferrabile per un fruscio, è oggetto d’indagine e d’andare dell’ultimo libro di Fabrizio Coscia, scrittore portato al contropiede narrativo (non edifica trame, la città ideale, fittizia, della letteratura, ma assiste a un sussulto di suggestioni), già autore di libri importanti (cito, almeno, La bellezza che resta, 2017). I sentieri delle Ninfe (Exòrma, 2019) è un libro che squaderna ossessioni e che insegue l’ineludibile odore dello sfuggente, portandoci da Calipso e dall’Antro delle Ninfe (così lo studio di Porfirio sui canonici versi di Omero) alla Kim Novak di Vertigo, da Aby Warburg a Thomas S. Eliot – che decreta nella Terra desolata, “Le ninfe son partite” – a Pierre Bonnard, ed è un libro che s’avventa nel pericolo (“Nympha è la vita che irrompe, con il suo movimento. E amarla non è per niente facile, perché vuol dire amare una profondità priva di sguardi”) aprendo ad altri libri, un sentiero che sfocia nella foresta bibliografica (continuate l’avventura tra la lista di testi svelati nella porzione dei Riferimenti e citazioni). Coscia scrive con passo di Ninfa: questa ninfologia ha valore di vento e di specchio, se la tocchi nel nocciolo scompare, non capisci se sia alba o tramonto, ha luminosità di latte. Il libro comincia sulle fatidiche gambe di Dora Markus, che stregarono Bobi Bazlen tanto da pretendere dall’amico Eugenio Montale una poesia per la misteriosa – proprio per avvenenza erotica e avventatezza lirica si fa la storia della letteratura. La Dora in cui s’insinua Coscia – e che ha ruolo nell’ultimo libro di Franco Rella, Immagini e testimonianze dall’esilio, Jaca Book, 2019, a dire della complice vaghezze di certe icone dell’ispirazione – lavora in forma di ninfeo dentro il cranio di Montale. L’amata sfuggente Irma Brandeis – è divino soltanto l’amore impagabile perché inappagato – è eternata con il nome di Clizia, la ninfa che si fa girasole (che è anche la copertina del libro di Coscia, secondo l’interpretazione di Evelyn De Morgan). Criterio della Ninfa è l’ambiguità: se all’apparenza è volo volitivo, cosa che va, nella Primavera hitleriana assurge a ruolo dell’amore che resta mentre tutto, in modo insostenibile, si sfa, “Guarda ancora/ in alto, Clizia, è la tua sorte, tu/ che il non mutato amor mutata serbi”. L’uomo si smaga per la Ninfa, e lei, magari, ne ha commozione, raccogliendolo. (d.b.)
Parto così. Le Muse ispirano, le Ninfe invocano l’inseguimento e l’amare, le Moire tagliano la fune dell’esistere. Sono donne quelle che presiedono alla virilità creativa, alla vita. Perché ti sei messo a inseguire le Ninfe?
In verità, le Ninfe sono anche Muse e Moire. Sono Muse perché attraverso il loro movimento seduttivo rappresentano una fonte di ispirazione, ma nel senso della possessione: Platone, per bocca di Socrate, usa la parola “nympholeptos”, ovvero in preda alle Ninfe, posseduto dalle Ninfe. Si tratta, naturalmente, di una possessione erotica. Di una manía che, secondo lo stesso Socrate, è migliore della moderazione, perché è di origine divina, mentre la moderazione è umana. L’innamorato, spiega ancora Platone attraverso Socrate, «si estrania dalle preoccupazioni umane e si orienta al divino e i più lo rimproverano di essere folle, ma non sanno che in realtà egli è posseduto da un dio». Sono parole che rimandano a quelle che scriverà Freud duemila anni dopo nel Disagio della civiltà: «Al culmine di un rapporto amoroso non rimane alcun interesse per il mondo circostante». Da questo disinteresse e da questa esclusività nasce l’estrema pericolosità di Eros, una pericolosità che ci avvicina ai territori di Thanatos. Ecco perché dico che le Ninfe sono anche Moire. Ce lo fa capire bene Omero quando nel tredicesimo libro dell’Odissea descrive l’antro delle Ninfe e scrive che ci sono telai di pietra, dove le Ninfe tessono meravigliosi manti color porpora. E dunque: perché mi sono messo sulle loro tracce? Per verificare se in qualche modo attingendo al mito classico si potesse evocare ancora la dimensione demoniaca delle Ninfe. Viviamo tempi di addomesticamento delle passioni, di immagini neutrali, dematerializzate, fredde, da schermo di computer o di smartphone. Invece l’immagine della Ninfa ci aiuta a recuperare il senso profondo dello sguardo, quello che si affaccia sull’abisso, che ci spinge ad andare oltre, sempre oltre, per interrogarci sulla nostra identità. Chi siamo quando amiamo? Quando inseguiamo il nostro desiderio? E, soprattutto, quali fantasmi evochiamo?
C’è Dora Markus, ninfa così vaga da farsi poesia, e Lolita, ninfa carnale, che diventa ossessione esemplare. Tra le ninfe, mi pare, ci sono categorie e diversità, troni e dominazioni, come nelle schiere degli angeli: è così?
Già il mito elenca diverse categorie di Ninfe: ogni Ninfa cambia nome a seconda dello spazio che abita: i boschi di montagna sono popolati dalle Oreadi, che possono vivere dentro gli alberi (come le Driadi o Amadriadi); le fonti e i corsi d’acqua dolce sono il regno delle Naiadi: nelle sorgenti vivono le Pegee, nelle fontane le Creniadi, nei fiumi le Potameidi, nei laghi le Limniadi. Nelle profondità del mare nuotano le Nereidi, figlie di Nereo e dell’oceanina Doride; il cielo è popolato dalle Aurae, Ninfe della brezza, e dalle Pleiadi. È un universo di creature che continuano a sedurci, a parlarci attraverso le immagini, a parlarci intimamente di noi. T. S. Eliot ha scritto che le «Ninfe sono partite», disertando la scena della modernità, ma dagli studi di Georges Didi-Huberman abbiamo scoperto che a volte esse ritornano. E proprio questo ritorno nella modernità, che è un ritorno del rimosso, ho voluto indagare nel mio libro.
Qual è (a parte la L. che omaggi) la ninfa letteraria che ti ha fatto perdere la testa?
Confesso che ho sempre avuto un debole per la belle dame sans merci, la figlia della fata cantata da John Keats nella sua superba ballata. Il suo sguardo selvaggio, il passo leggero, i lunghi capelli, il mistero del suo linguaggio e dei suoi gesti, i doni che offre al cavaliere, il suo pianto e la sua sparizione, tutto è incantevole in lei. È l’incarnazione della femme fatale, che ispirerà l’iconografia preraffaelita, ma anche l’emblema del fatto che ogni storia d’amore è, spesso, una storia di parole incomprese.
Il libro, infine, è anche un ninfeo di autori e di fonti. Io avrei aggiunto Balandine Klossowska, per deformazione rilkiana. Tra Vertigo e Bonnard, qual è il lato privilegiato per ammirare la ninfa, quale l’artista che ne ha fatto, a tuo dire, ossessione creativa?
Ciascuno ha il suo ninfeo personale. Io stesso ho lasciato fuori molte figure ninfali perché a un certo punto mi stavo trasformando in un accumulatore seriale di Ninfe, mentre l’obiettivo del libro è diverso. Tra tutti i nympholeptos di cui ho parlato, il più ossessionato di tutti è stato sicuramente Aby Warburg, il geniale storico dell’arte ebreo-tedesco che ha fatto della Ninfa una vera e propria mania, fin dagli anni giovanili dei suoi studi di dottorato, quando la scoprì nelle immagini dei quadri di Botticelli e poi negli affreschi del Ghirlandaio. Una mania che lo ha portato letteralmente al manicomio. La sua degenza a Kreuzlingen, fra il 1921 e il 1924, nella celebre clinica «Bellevue» dello psichiatra svizzero Ludwig Binswanger, luogo storico della schizofrenia, è una discesa agli inferi della psicosi. Warburg ebbe l’impressione che quella psicosi fosse una vendetta delle Ninfe, della loro dimensione demonica. Ninfe trasformatesi dunque in Menadi. Lo scrive in una nota del suo diario, rievocando la Ninfa estatica maniaca, che è un chiaro riferimento a Platone: chi osa guardare la Ninfa cade nella sua trappola. La Pathosformel inseguita da Warburg per tutta la vita – ovvero quel fermo-immagine, quella formula di pathos, qualcosa di stereotipico ma carico di energia, che ritorna e si ripete attraverso i secoli, per dare forma alla «vita in movimento» – non abbandonerà lo studioso fino agli ultimi giorni della sua vita. Nel suo incompiuto e più ambizioso progetto, iniziato subito dopo le dimissioni dal manicomio, Mnemosyne, un atlante di immagini montate una accanto all’altra su grandi pannelli neri, in cui veniva abolito il concetto stesso di «storia dell’arte», sostituito dalle corrispondenze, le metamorfosi, le sopravvivenze delle immagini artistiche nel corso del tempo, anche da epoche lontanissime tra loro, Warburg torna ossessivamente alla Ninfa, a cui dedicherà diversi pannelli. Questa fedeltà a un’immagine, che ho cercato di raccontare nel mio libro, ha qualcosa di eroico e di commovente allo stesso tempo. Certo, poi c’è anche Pierre Bonnard, questo straordinario pittore che ha dipinto incessantemente, ossessivamente, il corpo nudo della sua donna, facendone la modella più dipinta della storia dell’arte, senza riuscire a penetrare il mistero della sua identità. È una storia struggente, come struggente è la sua pittura, che è il risultato di questo mistero indagato e accettato nella quotidianità, in uno spazio domestico e per questo tanto più folle. In questo caso l’ossessione ninfale feconda di dolore l’artista, lo apre a una visione nuova della realtà. I suoi ultimi autoritratti, dopo la morte della moglie, sono davvero impressionanti: è Orfeo tornato dagli inferi senza la sua Euridice.
Fabrizio Coscia è autore, tra l’altro, di “Soli eravamo e altre storie” (2015), “La bellezza che resta” (2017) e di uno studio “Sulle tracce di Francis Bacon” che s’intitola “Dipingere l’invisibile” (2018)
Cosa attrae della ninfa? La fugacità? Perché preferirla a Lilith o alla Sfinge o ad Aletto?
È il suo essere un être de fuite ad attrarre. Proust ha scritto su questo pagine memorabili, dicendo tutto ciò che c’è da dire. È il lato inafferrabile, sfuggente dell’essere amato a suscitare il desiderio. Ninfa è un movimento continuo, che non s’arresta mai, e in questo movimento continuo ci conduce su sentieri che non avremmo mai immaginato di percorrere. Ninfa è dunque l’Altro, non tanto in senso lacaniano quanto in quello in cui ne parla la filosofia di Lévinas, un Altro inteso come epifania, e dunque come «relazione diretta con ciò che si dà sottraendosi». Riconoscere nell’Altro qualcosa di estraneo da noi vuol dire imparare ad amare al di fuori del desiderio del possesso. Ma per imparare ad amare dobbiamo essere disposti anche a varcare i territori della perdita. La Ninfa infatti decreta la morte ma anche la resurrezione. È questo che ho scoperto, alla fine, scrivendo questo libro.
Nel tuo laboratorio artistico. Come prende forma un libro come questo? Da dove sei partito, da che lato? Da una immagine, da un verso, da un barlume imprevisto?
Tutto è nato dalla foto delle gambe di Dora Markus. Dall’ossessione di Bobi Bazlen per quelle gambe e dalla poesia di Montale. L’identità di quel personaggio ridotto a una sineddoche (le sue «gambe magnifiche») mi ha incuriosito, ha dato il movimento iniziale alla mia ricerca. Mi sono messo sulle tracce di questo fantasma e ho capito che quel fantasma era il fantasma di Nympha. Come l’ho capito? Dalla natura stessa della fotografia, che, come ci spiega Roland Barthes, è sempre un’allucinazione, qualcosa che ha a che fare con l’immobilità amorosa o funebre, la rievocazione di uno spectrum (il soggetto della fotografia) che è assente mentre lo vedo, ma la cui immagine certifica che c’è stato. Questa essenza fuggitiva, evanescente della fotografia è la stessa della Ninfa. Il libro dunque parla di che cosa si afferra, si percepisce, si scopre davanti alle immagini; che cosa si affronta e si rischia quando le guardiamo. Da qui è nata l’idea di seguire diverse storie, diverse figure, letterarie, storiche, artistiche, cinematografiche della Ninfa. Ma di raccontarle per frammenti, rinunciando a un’idea di unità, di totalità. La narrazione, intesa in maniera tradizionale, non mi interessa più, credo che sia, in fondo, una mistificazione. Abbiamo perso il centro, irrimediabilmente, e fingere che ci sia, soltanto perché si narra una storia, non ha più alcun senso. Quando penso alla mia scrittura mi piace pensarmi come un antico rapsodo, nel senso etimologico del termine, ovvero “colui che cuce i canti”. È un’immagine bellissima, perché restituisce da un lato un’idea artigianale della scrittura, che la apparenta al lavoro del sarto, e dall’altro un mettersi al servizio di ciò che è già stato detto o scritto prima di noi, e di mettere insieme i frammenti per creare qualcosa di nuovo.
Declina il sottotitolo: “nei dintorni del discorso amoroso”. Al di là di Barthes: perché i dintorni, perché il discorso? Si scrive, in fondo, per capire cosa si ama o per amare con forza quadrupla?
Nella parola “discorso” è implicito il senso del movimento, del passare da un luogo all’altro; ma vi è anche quello dello “scorrere”, del fluire. Qualcosa che ci riconduce alla natura liquida che hanno in comune la scrittura e le Ninfe, come se non si potesse scrivere d’altro se non d’amore. Come se dietro ogni discorso amoroso ci fosse sempre il tentativo di afferrare qualcosa che fluisce via, che si rifiuta di essere detto, e che tuttavia non si può non tentare di dire. Del resto, quando scriviamo d’amore ci muoviamo sempre a vuoto, nei paraggi appunto di un centro irraggiungibile. Il discursus amoroso è, pertanto, un movimento destinato a restare nei dintorni, nei paraggi, sulle tracce di una sopravvivenza, perché nel momento stesso in cui nominiamo Eros, già ci sfugge, già ne perdiamo il senso, eppure dobbiamo farlo, non ci possiamo sottrarre. In fondo potremmo dire che la Ninfa, più che essere simile alla scrittura, è la scrittura stessa, è il linguaggio dell’arte, l’unico che ci permette di fare un po’ di luce sull’insensatezza del vivere.
Ora, piuttosto, che Ninfa insegui, cosa scrivi?
Ho corso molto dietro le mie Ninfe. Credo che adesso mi fermerò per un po’. Questo libro chiude una trilogia che ho iniziato quattro anni fa con “Soli eravamo” e che ho proseguito con “La bellezza che resta”. Sono libri che hanno in comune una nuova modalità di scrittura, rapsodica, appunto, spuria, che mette insieme saggistica, narrativa, biografia e autobiografia. E sono libri con cui ho cercato di indagare i punti di contatto tra arte e vita, un aspetto che mi sta particolarmente a cuore, perché rivela un’idea della letteratura, e dell’arte in generale, come resistenza. Una resistenza sull’orlo della catastrofe, a cui siamo tutti condannati, certo, ma pur sempre una resistenza.
*In copertina: “Clizia”, Evelyn De Morgan, 1887 ca.
L'articolo “Ho inseguito le Ninfe. D’altronde, amiamo proprio ciò che è inafferrabile”: dialogo con Fabrizio Coscia proviene da Pangea.
from pangea.news https://ift.tt/2ULSIBl
0 notes
Text
-Dottor Chandra?
-Si!
-Sognerò?
-Io… non lo so! Grazie HAL…
-Addio, Dottor Chandra!
Sedici anni dopo l’uscita del capolavoro di Stanley Kubrick, 2001 – Odissea nello spazio, si tenta l’impensabile, dargli un seguito. Impresa difficile per chiunque (e persa in partenza, agli occhi dei critici) reggere l’inevitabile confronto con il film originale, uno dei capisaldi della cinematografia mondiale, considerando anche il fatto che il regista, Peter Hyams, era un ottimo artigiano, ma con poco in comune con Kubrick. Al suo attivo, prima di questo, altre due interessanti pellicole di fantascienza: Capricorn One (1978) e Atmosfera zero (Outland, 1981).
Il film è comunque tratto da un romanzo di Arthur C. Clarke, 2010: Odissea due (2010: Odyssey Two, 1982), autore del racconto da cui fu tratto quello di Kubrick (The Sentinel, 1948) e del romanzo derivato (2001: A Space Odyssey, 1968).
Nove anni dopo la tragica missione del Discovery, raccontata nel film di Kubrick, viene approntata una spedizione, composta da astronauti russi e americani, tra cui il dottor Floyd (Roy Scheider, mentre in 2001 – Odissea nello spazio era interpretato da William Sylvester), per recuperarne il relitto. L’astronave Leonov (dal nome del primo astronauta della storia che nel 1965 svolse attività extra-veicolare nello spazio e che dopo la visone del film di Kubrick commentò “Ora sono stato nello spazio due volte!”). parte quindi in direzione di Giove, nella cui orbita si trova un gigantesco monolite e il relitto della Discovery, mentre sulla Terra gli attriti tra le due superpotenze si fanno sempre più tesi. Giunti sul relitto, ne viene riattivato il computer di bordo HAL9000, impazzito durante la precedente missione. Floyd viene contattato, prima attraverso HAL, poi comparendogli di persona, da David Bowman (Keir Dullea, lo stesso attore del film di Kubrick), l’astronauta superstite del film precedente, evoluto grazie al monolite in una forma di vita non legata alla materia. Questi lo invita a lasciare l’orbita di Giove entro due giorni, prima che “qualcosa di meraviglioso” succeda.
Grazie al sacrificio di HAL, che poco prima aveva avuto il dialogo con il dottor Chandra (Bob Balaban), uno dei suoi programmatori, quando si era reso conto che lui non sarebbe “sopravvissuto” alla missione, la Leonov riesce a lasciare l’orbita Giove prima che la comparsa di milioni di monoliti non facciano collassare il gigante gassoso, trasformandolo in un secondo Sole. Su uno dei satelliti dell’ormai ex-pianeta, Europa, i ghiacci si fondono sotto l’azione della nuova stella e si creano i presupposti per la comparsa della vita.
Sulla Terra, spedito da HAL su richiesta di Bowman, arriva questo messaggio:
ALL THESE WORLDS ARE YOURS EXCEPT EUROPA
ATTEMPT NO LANDING THERE
USE THEM TOGETHER
USE THE IN PEACE
TUTTI QUESTI MONDI SONO VOSTRI TRANNE EUROPA
NON TENTATE DI ATTERARVI
VIVETECI INSIEME
VIVETECI IN PACE
L’errore grammaticale, riportato così com’è comparso sullo schermo, è una svista (ripetuta due volte) della traduzione italiana (nel romanzo la frase recitava invece “TUTTI QUESTI MONDI SONO VOSTRI… ECCETTO EUROPA. NON TENTATE LÀ ALCUN ATTERRAGGIO”.
Una curiosità riguardo al dialogo tra HAL e il dottor Chandra, una domanda simile (sognerò?) era stata rivolta precedentemente al programmatore da SAL, computer gemello di HAL della stessa serie 9000 installato a bordo della Leonov (con la voce originale, femminile, di Candice Bergen doppiata da Ludovica Modugno nella versione italiana). In quel caso Chandra aveva risposto “Certo che sognerai. Tutte le creature intelligenti sognano, e nessuno sa perché”. Non una vera e propria bugia, ma sicuramente una risposta meno sincera di quella data ad HAL, che in punto di “morte” viene probabilmente considerato dal programmatore come un suo pari, un’intelligenza degna di risposte sincere.
2010, 1984. (c) MGM.
L’idea di fare un film dal romanzo di Clarke e spiegare i lati rimasti oscuri del film di Kubrick, fu dello stesso regista, che si occupò anche della sceneggiatura, della produzione e della fotografia. All’inizio del progetto spedì la sceneggiatura a Clarke accompagnata da una lettera dove umilmente si domandava se l’autore sarebbe rimasto soddisfatto del suo lavoro.
C’è da ammirare il lato eroico della sfida e il coraggio del regista di imbarcarsi in un’impresa del genere. Clarke dal suo canto rimase entusiasta del film e lo fece presente a Hyams in una missiva:
“Ti dirò che è uno splendido lavoro e che hai brillantemente estratto dal romanzo i suoi elementi base, oltre ad aggiungerne altri di tua invenzione. Ho riso e pianto in tutti i punti giusti.”
La critica cinematografica stroncò invece il film, forse in modo eccessivo. Assurdo fare paragoni, il film si può vedere come opera a sé. Non è certo un capolavoro, ma possiede una sua dignità e correttezza stilistica, oltre che diversi passaggi interessanti. E’ molto diverso dal film di Kubrick e svolge appieno la sua funzione di rendere meno criptici alcuni passaggi del precedente. Forse il suo difetto principale è quello di voler spiegare eccessivamente, che peraltro è lo stesso difetto del romanzo, perdendo necessariamente di pathos e mistero. Ad esempio, la comparsa di centinaia di monoliti nell’orbita di Giove fa si che si perda quell’atmosfera “mistica” che accompagnava l’apparizione di un singolo artefatto. A questo punto sembrano costruiti in serie da una catena di montaggio.
Girato con professionalità, il film si avvale di ottimi effetti speciali e buoni momenti visivi come quello della distruzione di Giove.
Dove il film pecca di poca lungimiranza è nel raccontare i rapporti tra le due superpotenze USA e URSS. L’ambientazione temporale è nel 2010, data ormai superata, ma fu girato nel 1984, quando vi erano ancora gli ultimi strascichi della Guerra Fredda. Di lì a poco sarebbe crollato il Muro di Berlino e l’Unione Sovietica si sarebbe disciolta, rendendo questo aspetto del film irrimediabilmente superato.
2001: ODISSEA NELLO SPAZIO (1) – Il capolavoro di Stanley Kubrick.
2001: ODISSEA NELLO SPAZIO (2) – La realizzazione di un mito
2010: L’ANNO DEL CONTATTO – Il ritorno del monolite. -Dottor Chandra? -Si! -Sognerò? -Io... non lo so! Grazie HAL... -Addio, Dottor Chandra! Sedici anni dopo l’uscita del capolavoro di Stanley Kubrick, …
0 notes