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La Stella Polare e i Suoi Possibili Pianeti: Esplorando il Cielo del Nord. A cura di Alessandria today
Scopriamo se la celebre Stella Polare, guida millenaria dei naviganti, potrebbe ospitare dei pianeti e cosa implica questa scoperta per l'astronomia.
Scopriamo se la celebre Stella Polare, guida millenaria dei naviganti, potrebbe ospitare dei pianeti e cosa implica questa scoperta per l’astronomia. La Stella Polare, nota anche come Polaris, è da sempre una figura di riferimento nel cielo del Nord, tanto da diventare un’icona per chi naviga o cerca l’orientamento sotto le stelle. Oltre a guidarci, però, questa stella potrebbe avere un altro…
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Per me l'arte nasce per strada e diventa poi altro.
-Ultimo
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Ho guardato tramontare Giove
Dall'altra parte sorge il resto del cielo
Asterismi e pianeti che si sommano alle ore di questi giorni e chiudono 365 racconti
Un anno
L'anno 2024
Come il tempo sulle scritte degli scontrini, lo consumano e cancellano inesorabilmente
Si esauriscono le date insieme alla pazienza, la voglia di aspettare, il coraggio di lasciarsi andare
La versione più classica dell'insofferenza, dell'apatia
L'immobilizzazione di una vita già sospesa
Potrà solo essere migliore
Sarà migliore.
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C'e' vita nell'universo. La musica inizia come un battito cardiaco catturato dentro un cosmo buio mentre asteroidi sibilano tra pianeti e onde sonore che si tuffano dentro enormi buchi neri. L'universo respira. Una voce s'affaccia: "Cosa vuoi?.. una risposta: "Voglio te." Ecco allora dispiegarsi quell'immensa vela che e' la mente e si parte per trovare quei frutti che sono di tutti. Poi la musica cambia, approda sulla terra e racconta desideri oltre i monti e tra vigneti. Inno all'amore di coppia? All'amore libero? All'amore universale? Una cosa e' certa: l'amore e'piu' del vino o del sesso che qualcuno e' pronto a regalarti. Lucio, un gigante emozionale, un esploratore di mondi... DueMondi.. @ilpianistasultetto
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ora io vi vedo storcere il naso, baricco qua baricco là, inventandovi cazzate sull'aria che sposta il suo ego quando cammina e vi autoconvincete pure, ché, se lo pensate, dovrà essere vero. stolti. iniziate a scrivere così, poi ne parliamo
ALESSANDRO BARICCO su CARMELO BENE, LA POESIA, LO SCRIVERE E TUTTO QUANTO
Carmelo Bene. Me l'ero immaginato definitivamente ingoiato da una vita quotidiana inimmaginabile, e triturata dal suo stesso genio, portato via su galassie tutte sue, a doppiare pianeti che sapeva solo lui. Perduto, insomma. Poi ha iniziato a girare con questo suo spettacolo anomalo, una lettura dei Canti Orfici di Dino Campana.
L'ho mancato per un pelo un sacco di volte, e alla fine ci sono riuscito a trovarmi una poltrona, in un teatro, con davanti lui. A Napoli, all'Augusteo. Scena buia, solo un leggio. Lui, lì, con una fascia sulla fronte alla McEnroe, e dei segni di cerone bianco sotto gli occhi. Un microfono davanti alla bocca, e una luce addosso. Cinquanta minuti, non di più. Non so gli altri: ma io me li ricorderò finché campo.
Non è che si possa scrivere quel che ho sentito. Né cosa, precisamente, lui faccia con la sua voce e quelle parole non sue. Dire che legge è ridicolo. Lui diventa quelle parole, e quelle non sono più parole, ma voce, e suono che accade diventa Ciò-che-accade, e dunque tutto, e il resto non è più niente. Chiaro come il regolamento del pallone elastico. Riproviamo.
Quando sono uscito non avrei saputo dire cosa quei testi dicevano. Il fatto è che nell'istante in cui Carmelo Bene pronuncia un parola, in quell'istante, tu sai cosa vuol dire: un istante dopo non lo sai più. Così il significato del testo è una cosa che percepisci, si, ma nella forma aerea di una sparizione. senti il frullare delle ali, ma l'uccello non lo vedi: volato via. Così, di continuo, ossessivamente, ad ogni parola. E allora non so gli altri, ma io ho capito quel che non avevo mai capito, e cioè che il senso, nella poesia, è un'apparizione che scompare, e che se alla fine tu sai volgere in prosa una poesia allora hai sbagliato tutto, e, a dirla tutta, la poesia esiste solo quando diventa suono, e dunque quando la pronunci a voce alta, perché se la leggi solo con gli occhi non è nulla, è prosa un po' vaga che va a capo prima della fine della riga ed è scritta bene, ma poesia non è, è un'altra cosa.
Diceva Valéry che il verso poetico è un'esitazione tra suono e senso: ma era un modo di restare a metà del guado. Se senti Carmelo Bene capisci che il suono non è un'altra cosa dal senso, ma la sua stagione estrema, il suo ultimo pezzo, la sua necessaria eclisse. Ho sempre odiato, istintivamente, le poesie in cui non si capisce niente, neanche di cosa si parla. Adesso so che c'è qualcosa di sensato in quel rifiuto: rifiuta una falsa soluzione. Quel che bisognerebbe saper scrivere sono parole che hanno un senso percepibile fino all'istante in cui le pronunci, e allora diventano suono, e allora, solo allora, il senso sparisce. Edifici abbastanza solidi da stare in piedi, e sufficientemente leggeri da volare via al primo colpo di vento.
È meraviglioso come tutto questo non abbia niente a che fare con l'idea che si ha normalmente della poesia: un poeta soffre, esprime il suo dolore in belle parole, io leggo le parole, incontro il suo dolore, lo intreccio col mio, ci godo. Palle: per anime belle. Tu senti Carmelo Bene e il poeta sparisce, non esprime e comunica niente, l'attore sparisce, non esprime e comunica niente: sono sponde di un biliardo in cui va la biglia del linguaggio a tracciare traiettorie che disegnano figure sonore: e quelle figure, sono icone dell'umano. Le poesie non sono delle telefonate: non le si fanno per comunicare. Le poesie dovrebbero esser pietre: il mare o il vento che le hanno disegnate, sono poco più che un'ipotesi.
Non spiega quasi nulla, Carmelo bene, durante lo spettacolo. Solo un paio di volte annota qualcosa. E quando lo fa lascia il segno. Dice: leggere è un modo di dimenticare. Testualmente, nel suo linguaggio avvitato sul gusto del paradosso: leggere è una non-forma dell'oblio. Non so gli altri: ma a me m'ha fulminato. L'avevo anche già sentita: ma è lì, che l'ho capita. Scrivere e leggere stretti in un unico gesto di sparizione, di commiato. Allora ho pensato che poi uno nella vita scrive tante cose, e molte sono normali: cioè raccontano o spiegano, e va bene così, è comunque una cosa bella, scrivere. Però sarebbe meraviglioso una volta, almeno una volta, riuscire a scrivere qualcosa, anche una pagina soltanto, che poi qualcuno prende in mano, e a voce alta la pronuncia, e nell'istante in cui la pronuncia, parola per parola, sparisce, parola per parola, sparisce per sempre, sparisce anche l'inchiostro sulla pagina, tutto, e quando quello arriva all'ultima parola sparisce anche quella, e alla fine ti restituisce il foglio e il foglio è bianco, neanche tu ti ricordi bene cosa c'avevi scritto, solo ti rimane come una vaga impressione, un'ombra di ricordo, qualcosa come la sensazione che tu, una volta, ce l'avevi fatta, e avevi scritto una poesia.
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Mentre pensi e accordi le sfere d’orologio della mente sul moto dei pianeti per un presente eterno che non è il nostro, che non è qui né ora, volgiti e guarda il mondo come è divenuto, poni mente a che cosa questo tempo ti richiede, non la profondità, né l’ardimento, ma la ripetizione di parole, la mimesi senza perché né come dei gesti in cui si sfrena la nostra moltitudine morsa dalla tarantola della vita, e basta.
[...]
Mario Luzi
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“ A volte penso di appartenere a un’altra specie; questo pensiero che avanza in me assurdo come una mostruosità, contraddetto dall’apparenza ordinaria dei miei tratti e dalla mappa fantastica dei cromosomi, ha il potere di rasserenarmi. Nelle rare lezioni che ascoltai quando vagabondavo per le università, le uniche che ebbero il potere di incatenare la mia attenzione, richiamandomi alla coscienza strane e diverse emozioni, mostravano il mirabile codice della specie. Di esso rimanevo stupita come se la spirale della vita fosse un’altra possibile versione della chiave musicale del violino; una sorta di vibrazione sfuggita alla deflagrazione originaria da cui ogni cosa prese forma. Non volli imparare la catena di formule che, intrecciandosi in una magica danza, non ripeteva mai se stessa e con certezza assoluta custodiva l’identità unica di ogni nuova vita. Mi sembrò sempre che la riduzione di un simile prodigio all’apprendimento sterile del nome scientifico, la sua evocazione dotta e assurda nelle luce morta dei laboratori, avrebbero aperto, attirandola su noi, la catena infinita e ottusa del dolore. Bisogna essere molto ciechi per aggiungere nuove sofferenze all’eredità di dolore lasciata da chi è passato prima di noi!
Così, quando in un paese qualunque, forse nell’emisfero australe o nel silenzio dimenticato degli Incas, qualcuno ha trovato serbata la chiave della vita nel cuore indifferente di una pietra, come se questa fosse la cellula di un corpo o la memoria atomizzata dell’unica esplosione, io ho avuto la conferma di ciò che sempre pensai. Nello spartito della vita, risuoniamo tutti con un’unica nota le cui vibrazioni mutano impercettibilmente per la materia che ci accade di essere. Allo stesso modo, ho orrore dell’onnipotenza feroce, della dogmatica sordità, che traccia il confine fra ciò che è sano e il suo contrario. Tremo di fronte all’arroganza impietosa dei corpi sani, all’oscena prepotenza della loro forza; alla sicumera gloriosa con cui avanzano nell’universo pretendendo di esserne i padroni invulnerabili. Niente è più vano e folle di questa illusione: bisogna essere un po’ di pietra e d’albero; un po’ di mare e di tuono per ricordarsi la nota originaria; bisogna essere un po’ mostri per sentire risuonare la meraviglia e l’orrore di altri mondi lontani. In me vive il dubbio che l’errore genetico, da cui prendono vita creature mostruose e tenerissime; piccoli tartari con gli occhi all’insù, dalla memoria prodigiosa di Pico della Mirandola che suonano a volte come angeli, o vecchi-bambini destinati a vivere un quarto di secolo, nascosti come ragni nelle case per non offendere la proterva salute dei normali, incarni un’altra razza. O forse creature di altri spazi; abitanti di pianeti lontani, i cui frammenti vitali caddero errando, nel luogo sbagliato. Questo spiegherebbe la malinconia commovente di certi occhi fissati nel vuoto, che guardano mondi perduti e sorridono solo a essi, resistendo a tutte le seduzioni della nostra inutile umanità. La follia infine; non so se i suoi segni siano iscritti nell’abbraccio elicoidale della vita e neanche se appartenga al codice segreto di un’altra specie precipitata sulla terra. Credo piuttosto che essa sia un tramite; un sesto senso rimasto aperto per vocazione o per destino, dove le mostruosità svelano la propria origine autentica. In altri luoghi, lontani dagli orridi tavoli vivisettori che in nome della scienza profanano oscenamente i misteri della vita e della morte; in altri tempi da quelli in cui l’angoscia ci stringe a vivere, i folli furono celebrati come creature divine, nelle quali circolava libera la sapienza onnisciente. Erano tempi e luoghi dove la sadica struttura normativa che ci conculca non aveva ancora vinto, né aveva ancora sedotto l’intera umanità al peccato originario dell’invidia e alla pestilenza della sua vanità coattiva. Così essa non tollera che una creatura fugga al giogo delle rivalità fra uguali e, attraverso i mondi della follia, scelga l’identità eversiva a cui lo destinava l’unicità della sua nascita. Con un ukàse che non ammette eccezioni, l’alieno viene piegato all’annientamento dei suoi mondi e il veleno sottile dell’invidia raggiunge il suo centro creativo distruggendone le centraline. Ridotto a un’oscurità senza mostri e a un silenzio senza presagi, finalmente appartiene alla specie. “
Mariateresa Di Lascia, Passaggio in ombra, Feltrinelli (collana I Narratori), 1995¹; pp. 116-117.
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“Non mi interessa cosa fai per vivere, voglio sapere per cosa sospiri e se rischi il tutto per trovare i sogni del tuo cuore.
Non mi interessa quanti anni hai, voglio sapere se ancora vuoi rischiare di sembrare stupido per l’amore, per i sogni, per l’avventura di essere vivo.
Non voglio sapere che pianeti minacciano la tua luna, voglio sapere se hai toccato il centro del tuo dolore, se sei rimasto aperto dopo i tradimenti della vita o se ti sei rinchiuso per paura del dolore futuro.
Voglio sapere se puoi sederti con il dolore, il mio e il tuo; se puoi ballare pazzamente e lasciare l’estasi riempirti fino alla punta delle dita senza prevenirti di cautela, di essere realisti, o di ricordarci le limitazioni degli esseri umani.
Non voglio sapere se la storia che mi stai raccontando sia vera.
Voglio sapere se sei capace di deludere un altro essere identico a te stesso, se puoi subire l’accusa di un tradimento e non tradire la tua anima.
Voglio sapere se sei fedele e quindi hai fiducia.
Voglio sapere se sai vedere la bellezza anche quando non é bella tutti i giorni.
Se sei capace di far sorgere la vita con la tua sola presenza.
Voglio sapere se puoi vivere con il fracasso, tuo e mio e continuare a gridare all’argento di luna piena: S��!
Non mi interessa dove abiti e quanti soldi hai, mi interessa se ti puoi alzare dopo una notte di dolore, triste o spaccato in due, e fare quel che si deve fare per i bambini.
Non mi interessa chi sei, o come hai fatto per arrivare qui, voglio sapere se sapresti restare in mezzo al fuoco con me e non retrocedere.
Non voglio sapere cosa hai studiato, o con chi o dove, voglio sapere cosa ti sostiene dentro, quando tutto il resto non l’ha fatto.
Voglio sapere se sai stare da solo con te stesso, e se veramente ti piace la compagnia che hai…nei momenti vuoti.”
Scritto da un’indiana della tribù degli Oriah-1890)
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Benvenuti. E congratulazioni. Sono molto contento che ce l’abbiate fatta. Arrivare fin qui non è stato facile, lo so. Anzi, sospetto che sia stata più dura di quanto voi stessi pensiate. Tanto per cominciare, per consentire a me e a voi di essere qui in questo momento, trilioni di atomi, che vagavano ognuno per conto proprio, hanno avuto la gentilezza di assemblarsi in una combinazione molto complicata, e questo appositamente per creare noi. Si tratta di una configurazione molto particolare, mai sperimentata prima e che non potrà mai più ripetersi. Per i prossimi anni (ci auguriamo che siano ancora molti) queste minuscole particelle si impegneranno a cooperare senza mai lamentarsi in una serie di sforzi che richiederanno tutta la loro abilità, e questo al solo scopo di mantenerci integri e darci la possibilità di provare in prima persona quella particolare condizione, estremamente gradevole anche se spesso poco apprezzata, nota con il nome di esistenza.
Perché gli atomi si prendano questo disturbo resta ancora un enigma. Dal loro punto di vista, essere me o voi non è un’esperienza molto gratificante. In fondo, per quanto ci concedano la loro più devota attenzione, agli atomi non importa nulla di noi, anzi, non sanno neanche che esistiamo. Per la verità, non sanno di esistere nemmeno loro. Dopotutto, sono solo delle stupide particelle e non sono neanche vive. (È curioso notare che, se potessimo usare una pinzetta per scomporre il nostro corpo atomo per atomo, non otterremmo altro che un mucchietto di polvere – un mucchietto di atomi – i cui singoli granelli non sono mai stati vivi, ma, presi nel loro insieme, costituivano il nostro corpo.) Eppure, per l’intera durata della nostra esistenza, non faranno altro che rispondere, in qualche maniera, a un unico rigido impulso: fare in modo che noi continuiamo a essere noi.
Il brutto è che gli atomi sono creature volubili e la loro devozione è da ritenersi transitoria, molto transitoria. Una vita umana, per quanto lunga, raggiunge appena le 650.000 ore. E quando si trovano a sfrecciare nei pressi di quella modesta soglia, o in qualsiasi altro punto lì intorno, per ragioni assolutamente sconosciute, i nostri atomi decidono di spegnerci. Poi, silenziosamente, si slegano e se ne vanno ognuno per conto proprio, a diventare qualcos’altro. E per noi tutto finisce lì.
Eppure dovremmo essere contenti che ciò accada. In linea di massima, e per quanto ne sappiamo, è una cosa che non si verifica altrove, nell’universo. E questo è davvero un fatto strano, giacché gli atomi che qui sulla Terra si aggregano fra loro in modo spontaneo e naturale formando gli esseri viventi sono esattamente gli stessi che si rifiutano di farlo altrove. A prescindere da cosa altro possa essere, a livello chimico la vita è estremamente banale: carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto, un po’ di calcio, un goccetto di zolfo e una spolverata di altri elementi molto comuni. Nulla che non si possa trovare nella farmacia sotto casa. Tutto qui, non serve altro. L’unica particolarità degli atomi che costituiscono il nostro corpo è appunto il fatto che costituiscono noi. E questo, ovviamente, è il miracolo della vita.
Indipendentemente dal fatto che gli atomi diano luogo alla vita anche in angoli dell’universo diversi dal nostro, è pur vero che fanno moltissime cose: anzi, per la verità, fanno tutto il resto. Senza di loro non ci sarebbero né acqua né aria, né rocce né stelle. E nemmeno pianeti, lontane nubi gassose, o nebulose a spirale: nessuna di quelle cose, insomma, che rendono l’universo un luogo così gradevolmente concreto. Gli atomi sono talmente numerosi e necessari da indurci facilmente a dimenticare che in realtà potrebbero benissimo non esistere. Nessuna legge costringe l’universo a riempirsi di particelle di materia o a produrre luce, gravità e tutte quelle altre caratteristiche fondamentali per la nostra esistenza. Non è che l’universo debba esistere per forza. E infatti per un tempo lunghissimo non c’è stato. Non esistevano atomi e non esisteva nemmeno un universo in cui essi potessero fluttuare. Non c’era niente, niente di niente, da nessuna parte.
Sarà quindi il caso di rallegrarci per l’esistenza degli atomi. D’altra parte, il fatto che noi abbiamo i nostri atomi e che essi siano tanto determinati ad assemblarsi è solo una parte del processo che ci ha portati fin qui. Trovarci qui adesso, vivi, nel ventunesimo secolo, e così intelligenti da esserne consapevoli, significa essere stati i beneficiari di una straordinaria dose di fortuna biologica. Soppravvivere sulla Terra è una faccenda sorprendentemente complicata. La maggior parte (qualcuno sostiene il 99,9 per cento) dei miliardi e miliardi di specie viventi esistite dall’alba dei tempi, oggi non esiste più. La vita sulla Terra, come si vede, non è soltanto breve, ma anche terribilmente precaria. Una curiosa caratteristica della nostra esistenza è che veniamo da un pianeta adattissimo a promuovere la vita, e ancor più efficiente a portarla all’estinzione.
In genere, le specie presenti sulla Terra durano all’incirca solo quattro milioni di anni. Quindi, se uno ha intenzione di rimanere in circolazione per miliardi di anni, dev’essere mutevole tanto quanto gli atomi che lo compongono. Occorre essere pronti a modificare tutto di se stessi: forma, taglia, colore, specie di appartenenza. Tutto insomma. Ed essere pronti a farlo ripetutamente. Tutto questo è più facile a dirsi che a farsi, poiché il processo di trasformazione è assolutamente casuale. Per evolvere da «primordiale globulo atomico protoplasmico» (come dice la canzone di Gilbert e Sullivan) a esseri umani moderni, eretti e senzienti, abbiamo dovuto mutare, escogitando caratteristiche nuove, e abbiamo dovuto farlo in una sequenza temporale precisa e per un tempo estremamente lungo. In momenti diversi, negli ultimi 3,8 miliardi di anni dapprima abbiamo aborrito l’ossigeno e poi l’abbiamo amato alla follia; ci siamo fatti spuntare ali, pinne ed eleganti vele dorsali; abbiamo depositato uova e falciato l’aria con lingue biforcute; siamo stati lisci o pelosi, abbiamo vissuto sottoterra e sugli alberi; siamo stati grandi come cervi e piccoli come topi, e milioni di altre cose ancora. Una minima deviazione da ciascuno di questi processi evolutivi e adesso ci ritroveremmo a leccare alghe dalle pareti di una grotta, a ciondolare su una riva rocciosa alla maniera dei trichechi o ancora a sfiatare da un’apertura sopra la testa prima di immergerci a diciotto metri di profondità per concederci un boccone di quei deliziosi vermi che vivono affondati nella sabbia. La nostra fortuna, d’altra parte, non si è limitata al fatto di essere inclusi fin dai primordi in una linea evolutiva favorita dalla selezione: siamo stati anche estremamente, diciamo pure miracolosamente, fortunati per quanto riguarda il nostro albero genealogico personale. Consideriamo che per 3 miliardi e 800 milioni di anni – un periodo di tempo superiore all’età delle montagne, dei fiumi e degli oceani – ognuno dei nostri avi, per parte di padre e di madre, è stato abbastanza attraente da riuscire a trovarsi un compagno; abbastanza sano da essere in grado di riprodursi; e a tal punto benedetto dal fato e dalle circostanze da vivere abbastanza per farlo. Nessuno dei nostri diretti progenitori è stato schiacciato o divorato; nessuno è morto affogato, di fame, trafitto a tradimento, ferito anzitempo, o in qualsiasi altro modo distolto dal fondamentale compito della sua vita: quello di consegnare, al partner giusto e al momento giusto, quella minuscola quantità di materiale genetico necessaria a perpetuare l’unica possibile sequenza di combinazioni ereditarie che alla fine, incredibilmente, e per un tempo così breve, avrebbe prodotto ciascuno di noi.
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Ho raccolto l'energia necessaria per condividere con babbo l'addobbo dell'albero di natale; gli piace fare questa cosa, fin da piccolo è stato così, faceva anche un grande presepe. A me non interessa. In queste parole "a me non interessa" c'è tutto e niente. Tutto e niente. Non credo in dio, vorrei credere nell'uomo. Non ho studiato le religioni, non le pratico, di striscio m'appaiono tentativi tesi a salvarsi, mascherarsi, liberarsi, tentativi, palliativi. Gli esseri umani fanno fatica, soffrono, combattono e lo fanno spesso per la cosa sbagliata. Quest'anno abbiamo fatto quello grande, l'anno scorso no, papà era stato da poco operato e non se la sentiva. Io meno di lui, non l'ho assecondato. Abbiamo fatto quello grande e mamma non voleva perché lei è peggio di me. Ho portato giù un pezzo d'albero alla volta, lo abbiamo aperto bene, incastrato i pezzi, mamma con le mani nei capelli, cadono aghi di plastica dappertutto poi devo pulire e non ce la faccio con la schiena. Incastriamo tutto e allunghiamo bene i rami, recuperiamo le piccole pigne, mio padre da ordini bruschi, come se ogni mio movimento fosse un'idiozia, io rispondo a tono, sto facendo del mio meglio, guarda, ho fatto, e poi non è una gara, stiamo facendo un albero di natale, stiamo facendo una cosa assieme, non una gara. Si alzano i toni, urliamo un po', mia madre apre il sipario del dramma, ecco lo sapevo, per favore non fate così, non fate baruffa, io lo sapevo, ogni anno è la stessa cosa. Le rispondo che non si deve preoccupare, la nostra è solo una messa in scena. Ci scorniamo, alziamo la voce, esibiamo debolezze. In realtà il dramma è sempre dietro l'angolo. Guerra mentre si prepara l'albero di natale, è l'immagine perfetta del cortocircuito. Quest'anno ho deciso per sole luci bianche. Papà ha detto che a lui piacevano anche quelle colorate ma si è adeguato. Un bell'albero. Sotto un piccolo presepe di pasta di sale, molto vecchio, fatto da una zia. Papà, come mettiamo le luci io te nessuno mai...davvero, siamo la perfezione. Ride di gusto, ci crede, a me comunque piacevano anche quelle colorate. Accende la televisione, infastidito dalla musica, si guarda intorno ma da dove viene sta musica?
"Un giorno il denaro ha scoperto la guerra mondiale Ha dato il suo putrido segno all'istinto bestiale Ha ucciso, bruciato, distrutto in un triste rosario E tutta la terra si è avvolta di un nero sudario"
"Un'isola intera ha trovato nel mare una tomba"
"E presto la chiave nascosta di nuovi segreti Così copriranno di fango persino i pianeti Vorranno inquinare le stelle, la guerra tra i soli I crimini contro la vita li chiamano errori!"
Ogni anno se non ascolto Pierangelo Bertoli mentre faccio l'albero di natale non riesco a fare l'albero di natale.
Papà soffre. Mamma sadicamente ascolta in un misto di dolore e commozione.
"È nato, si dice, poi fu crocefisso (astro del ciel) Aveva diviso il mondo in due parti (pargol divin) E quelli che l'hanno trattato più male (mite agnello re–) Son quelli che hanno inventato il Natale"
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Extraterrestre, portami via
Rino era stanco della vita sulla Terra. Il traffico, il lavoro, gli influencer...
Aveva sentito parlare di un'agenzia intergalattica che offriva pacchetti vacanze su pianeti esotici, oppure erotici o anche apotropaici. Così, un po' per scherzo e un po' per disperazione, aveva compilato il modulo online.
"Destinazione preferita?" aveva chiesto il chatbot alieno identificato con il codice: R0TT0 D3N7R0.
"Un posto tranquillo con suoni a bassa frequenza e foreste con colori fluorescenti... come quelli in Avatar e magari una stella tutta mia," aveva risposto Rino, sognando a occhi aperti.
Il chatbot alieno non rispose. Sembrava non curarsi di Rino, fu li che Rino ebbe il sospetto che in realtà R0TT0 D3N7R0 non si curava davvero di lui. Una sensazione a cui era maledettamente abituato, poveRino. (licenza poetica dell'autore ndr)
Qualche giorno dopo, alla sua porta si presentò una creatura alta due metri, con tre occhi e una tentacolare appendice al posto del braccio.
"Signor Rino?" chiese la creatura con una voce metallica. "Salve mi chiamo Pdor e sono venuto a prelevarla. La sua navetta è pronta per la partenza."
Rino sgranò gli occhi. "Ma... ma davvero?", balbettò, "lei è il grande Pdor figlio di Kmer della tribù di Instar?"
"Certamente," rispose l'alieno.
"Non ci posso credere", urlò Rino agitando le mani.
"No che non lo sono", ribatté l'alieno evidentemente seccato, "ma tutte le volte che mi presento con voi umani in terra italica è sempre la stessa battuta. Comunque bando alle ciance, abbiamo trovato un pianeta perfetto per lei. Colori fluorescenti, spiagge di sabbia rosa, zone dove il vento crea suoni a bassa frequenza per il relax e soprattutto una pizzeria gestita da robot, che sono stati costruiti e brevettati a Napoli."
Con un po' di timore, Rino salì a bordo della navicella spaziale. Il viaggio fu più breve del previsto. Quando arrivò sul nuovo pianeta, rimase sorpreso. Era tutto come gli era stato promesso: colori, suoni, pizza... e una stella personale, proprio come aveva richiesto.
Ma dopo qualche giorno, Rino iniziò a sentire la nostalgia di casa. La sabbia rosa era scomoda per prendere il sole, le pizze fatte dai robot erano poco sapide e la stella, pur essendo tutta sua, era un po' solitaria. Si sentiva come il Piccolo Principe nelle illustrazioni.
"Senta," disse all'alieno, che lo aveva accompagnato nel suo viaggio, "mi scusi, ma vorrei tornare a casa."
L'alieno alzò un sopracciglio, una delle sei sopracciglia. "Ma... ma lei ha appena iniziato la sua vacanza!"
"Lo so, lo so," sospirò Rino, "ma la Terra mi manca. E poi, la pizza è migliore, gli influencer posso sempre bloccarli, in fondo la vita lì non è poi così male. Lì esiste Alberto Angela e Alessandro Barbero, vuole mettere?"
L'alieno annuì, comprensivo. "Nessun problema, signor Rino. La riporteremo a casa. Ma la prossima volta, la prego di leggere attentamente il contratto. C'è una clausola che vieta il rientro anticipato a causa della nostalgia."
Rino tornò sulla Terra, un po' più saggio e con una nuova prospettiva sulla vita. Aveva imparato che, a volte, l'erba del vicino non è sempre più verde, che la casa è sempre il posto migliore e che fondamentalmente esiste sempre uno 'sticazzi' per qualsiasi cosa.
Capì anche che una strategia per affrontare le giornate, quelle peggiori, era quella di attendere silenziosamente che finissero.
Capì che un posto migliore nel mondo si poteva sempre trovare, come per esempio in una enoteca davanti a un calice di vino. Con il motto "comunque vada, andremo a bere".
Capì anche di apprezzare meglio quando qualcuno, giudicandolo, usa frasi come: "Non ho parole". Perché vuol dire che davvero non le ha, non sa neanche cosa pensare. Sciocco.
E così, mentre riprendeva la sua routine quotidiana, non poté fare a meno di sorridere al pensiero della sua avventura spaziale. Dopotutto era stata un'esperienza indimenticabile, anche se un po' troppo breve, perché gli e servita a capire molte altre cose.
Immagine: web
Musica negli auricolari: Extraterrestre di Eugenio Finardi
P.s. per questo racconto nessun Rino è stato maltrattato
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Mi appoggio sui miei dubbi tanto son sempre gli stessi.
-Ultimo
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“L’uomo ha capito e poi dimenticato che la sua mente, la sua carne, la sua vita e i suoi movimenti sono fatti della materia delle stelle, del sole, dei pianeti.” DORIS MAY LESSING ********************* “Man understood and then forgot that his mind, his flesh, his life and his movements are made of the matter of the stars, the sun, the planets.” DORIS MAY LESSING
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Amore è pietà, è voglia di salvare qualcuno. Essere non solo rilevante, ma fondamentale nella sua vita. Farla diventare, da notte, giorno.
È porsi al di sopra delle sue più grandi paure: la malattia, la morte, il dolore insensato. È additargli il cielo e farsi cielo.
Come disse Leopardi, amore è "alta pietà". Professori sorridevano sul fatto che lui alle donne chiedesse pietà e di questa si contentasse.
Se avessero capito, avrebbero avuto un brivido o sarebbero caduti a terra come morti.
Non tutti tollerano la luminosità della luce di Dio. Altri la respirano e giocano con gli atomi e l'energia nel suo paradiso come i bambini immemori fanno castelli di sabbia.
La pietà di Gesù per l'uomo, il suo scandaloso amore che non tutti comprendono, è lo stesso amore che pervade il tutto come una legge chimico-fisica.
L'amore chimico, l'amore fisico: quale vergogna? Atomi e molecole si organizzano, pianeti gravitano. Non sei tu dissimile da loro, tu che vuoi restituita la tua vita da altri, che puoi vivere solo in loro unione.
Pavese che si dispera di non riuscire ad essere autonomo e accontentarsi della solitudine e della meschina rivalità, è più né meno una particella nel vuoto che tenta di organizzarsi in una forma di vita.
Io che nutro i piccioni e faccio per loro la differenza, che ho quest'impudenza di voler essere la vita per qualcuno, sono come tutto il resto. I bisogni, i disagi, i dolori sono fatti per far emergere la pietà dell'amore e dell'unione, sono l'anti-decomposizione dell'esistente.
Il bello in tutto ciò è che la fuga nella morte - la morte vera, la dimenticanza - non è contemplata. L'essere è e non può non essere. E non ha che un'unica soluzione, un unico stato di riposo, come ogni piccolo atomo, molecola, formica e uomo che contiene.
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Non mi interessa che cosa fai per vivere.Voglio sapere che cosa desideri davvero, e se sogni di realizzare ciò che il tuo cuore brama.
Non mi interessa quanti anni hai. Voglio sapere se avrai il coraggio di rischiare, di essere giudicato folle per amore, per il tuo sogno, per l’avventura di essere vivo.
Non mi interessa quali pianeti siano in quadratura con la tua Luna. Voglio sapere se hai toccato il centro del tuo dolore , se le delusioni della vita ti hanno ampliato i tuoi orizzonti o se ti sei ripiegato su te stesso per paura di soffrire ancora. Voglio sapere se sopporti il dolore, mio o tuo, senza cercare di nasconderlo, attenuarlo, eliminarlo.
Voglio sapere se sopporti la gioia, mia o tua, se puoi danzare selvaggiamente e lasciare che l’estasi pervada ogni tua cellula senza raccomandarti di essere prudente, realistico e di ricordare i limiti della condizione umana.
Non mi interessa se la storia che mi stai raccontando è vera. Voglio sapere se riesci a deludere qualcuno per mantenerti fedele a te stesso; se sai sopportare l’accusa di tradimento e non tradire la tua anima, se sai essere senza fede e perciò degno di fede.
Voglio sapere se sai vedere la bellezza, anche quando non è piacevole, ogni giorno, e se riesci a trovare la sorgente della tua vita dalla sua presenza.
Voglio sapere se sai accettare i fallimenti, tuoi e miei, e restare ancora sulla riva di un lago e urlare “ Sì! “ all’argento della luna piena.
Non mi interessa sapere dove vivi o quanti soldi hai. Voglio sapere se sai alzarti, dopo la notte di travaglio e disperazione, stanco e ammaccato, fino all’osso, e fare il tuo dovere per sfamare i tuoi figli.
Non mi interessa sapere chi conosci o come sei giunto qui. Voglio sapere se resterai al centro del mirino insieme a me senza tirarti indietro.
Non mi interessa dove o che cosa o con chi hai studiato. Voglio sapere che cosa ti sorregge dentro quando tutto il resto crolla.
Voglio sapere se sai stare solo con te stesso e se davvero ti piace la compagnia che ti fai nei momenti di vuoto.
-Oriah Mountain Dreamer
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Ho l'anima incrinata di sogni, una voce candida come neve che racconta il silenzio, come acqua abissale che custodisce segreti, mentre il vento sussurra verità dimenticate e l'universo si riflette nelle profondità del mio essere. - Leizha D. Danae
"She's like the moon"
Per aspera ad astra. Asta inclinant, sed non obligant 🦢
Pugnare cum diis cumque fortuna, grave est. [Nessuno può sfuggire il proprio destino]
Se una cosa è destinata ad essere non importa quanti ostacoli ci siano di mezzo, ritornerà sempre — Leizha D. Danae
Figlia del Destino, sei l'organo muto del Caos. Ti lasci piegare dal vento, come un filo d'erba, inganni tutti, fingendo spalle fragili. Con i tuoi capelli tessi filigrane d'oro e di ombre, in cui nascondi la promessa di un nuovo mondo, di un giorno in cui il fuoco inghiottirà di nuovo il cielo. Tu sai cosa sogna il vulcano mentre dorme, nel silenzio profondo della terra che pulsa. (Credit to: Machi __polariss_)
"A priestess is a woman who owns her power. She is the embodiment of divine feminine energy. Her existence is alchemy. She is a healer. She is an oracle."
"lo sono la volontà degli Dei, io sono la vita. Io sono la Signora del plenilunio, colei che ritorna per ricordare ai Figli del Cielo l'Antica Arte. Io sono la Dea dell'amore che stende un mantello di stelle sopra la notte. lo annuncio l'alba e saluto il tramonto. lo possiedo il segreto di ogni incantesimo. Io sono colei che comanda la folgore. lo sono la rugiada che scende sui prati fioriti, la linfa che scorre nei boschi, che anima i venti e le acque, che sposa e feconda la terra, che nasce nel fuoco e alimenta la fiamma perenne che grida giustizia agli Dei. lo sono colei che sconfigge la morte e spezza le catene della paura, io sono lo Spirito puro della Natura, lo Spirito libero dell'universo. Io sono la Gloria immortale della verità mai tradita. Io sono l'amore, io sono la vita. Io sono la figlia della Luce infinita". — Canto di Aradia di G.G. Leland
“On snowy days like this my heart dances, as if something might appear at any time to take advantage of this white stillness.”
“I love this cruel, ridiculous, beautiful world.”
"Thank to these eyes... I came to understand how cruel and despicable people can be...but that also allowed me to appreciate true beauty. All you have to do is look at things from a different perspective. Once I realized that the things we usually take for granted are really miracles. I came to see everything in its preocious, emphereal beauty. I love this world"
Ciò che pensavi fosse un dato di fatto è in realtà un prodotto di miracoli. Io... amo questo mondo.
— Lacie Baskerville, Pandora Hearts
“C’è splendore in ogni cosa, io l’ho visto. […] Ciao faccia bella, gioia più grande. Il tuo destino è l’amore. Sempre. Nient’altro” —Mariangela Gualtieri
"Gli altri sono troppi, per me. Ho un cuore eremita. Sono impastata di silenzio e di vento. Sono antica. [...] E se sfreccio a volte sulla modesta moto, è per cantare a gola stesa l'ultimo del paradiso fare il mio guizzo pericoloso con tutto quel vento nel petto seminare parole beate nel panorama nervoso. — Mariangela Gualtieri da "Acqua rotta”, in “Senza polvere senza peso", Einaudi, Torino, 2006
Nella serenità del mio femminile moto perpetuo, trovo la forza di amarmi per ciò che il cielo ha voluto che io fossi. Sono la combinazione perfetta dei pianeti opposti a se stessi....Polvere di fata e di stelle.... [...] - Mariangela Ceci
"She doesn't speak too much but she leads the most intelligent conversations. She is a thinker. She has her coffee and books and music. She has her style. There's something so deep in her eyes. That's why everybody stares at her. She has a beautiful soul. She has a power and she is not afraid to be different. She is the art." (Credit to joytri)
She's a dreamer, and a badass, and a romantic to the bones. She's the moon, stars, earth, water, and fire. She's fierce, and soft, fabulous, and forever. - Mark Anthony
"She did not want to move, or to speak. She wanted to rest, to lean, to dream. She felt very tired." — Virginia Woolf, The Years
She is kind and very beautiful. But she can be so cruel and it comes so suddenly and such birds that fly, dipping and hunting, with their small sad voices are made too delicately for the sea. — Ernest Hemingway
"She is the virgin-harlot. She is vulgar, witty, knowledgeable to a depth that terrifies, cruel when she is most kind, unthinking while she thinks, and when she seeks to build she is as destructive as a coriolis storm." — Dune Messiah by Frank Herbert
"I was one of the insatiables. The ones you'd always find sitting closest to the screen. Why do we sit so close? Maybe it was because we wanted to receive the images first. When they were still new, still fresh, before they cleared the hurdles of the rows behind us, before they'd been relayed back from row to row, spectator to spectator, until worn-out, secondhand, the size of a postage stamp it returned to the projectionist's cabin." — The Insatiables
Habent sua fata libelli. [I libri hanno un loro destino]
"La morte è l'ignoto in cui tutti noi siamo vissuti prima di nascere. Nulla è più creativo della morte perché essa è l'intero segreto della vita. Ciò significa che il passato va abbandonato, che l'ignoto non può essere evitato, che l' io non può continuare, che niente può essere fissato per sempre. Quando un uomo sa questo, vive per la prima volta nella sua vita. Trattenendo il respiro lo perde. Lasciandolo andare lo trova." — Alan Watts, La saggezza del dubbio
Ascolta, è proprio perché ho nuotato negli abissi che ho iniziato ad amare l’abisso della quale sono fatta
Io canto la mia canzone solo a quelli che vengono con me a danzare in un bosco pieno di fate e lupi selvaggi. — Fabrizio Caramagna
Il violino – il più umano di tutti gli strumenti… — Louisa May Alcott)
Un poeta è un uomo che mette una scala su una stella e vi sale mentre suona un violino. — Edmond de Goncourt
“After all, [the world] is on my side. That is, I’m a part of it. Not separate from it. I walk on the ground and the ground’s walked on by me, I breathe the air and change it, I am entirely interconnected with the world.” — Ursula K. Le Guine, the Lathe of Heaven
Io sono completa 🦋 - Leizha D. Danae
"Lord Visnu said: 'Since your heart is filled immovably with trust in Me, you shall, through My blessing, attain freedom from existence.'" (Vishnu Purana, 1.20.28)
Leizha's core 🦋🩵🦚🎼🪞✨️🦢
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