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"Il Primo Amore". Il dolore e l’incanto del primo amore, tra idealizzazione e tormento, nella poesia di Leopardi. Recensione di Alessandria today
"Il Primo Amore" di Giacomo Leopardi è una delle poesie più profonde e struggenti del poeta recanatese. In questo componimento, Leopardi riesce a catturare con eccezionale maestria il tumulto interiore legato alla sua prima esperienza amorosa.
“Il Primo Amore” di Giacomo Leopardi è una delle poesie più profonde e struggenti del poeta recanatese. In questo componimento, Leopardi riesce a catturare con eccezionale maestria il tumulto interiore legato alla sua prima esperienza amorosa. La poesia riflette su come il primo amore non sia solo un evento sentimentale, ma anche un’esperienza esistenziale che travolge l’individuo, condizionando…
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Dal prof. Giovanni Giolo
L’ULTIMO LEOPARDI E LA GINESTRA
Benedetto Croce giudica la poesia di Giacomo Leopardi in base alla sua teoria estetica “poesia/non poesia” e condanna la sua posizione pessimistica, che attribuisce alla sua “vita strozzata”: si sentì premuto, avvinto e sopraffatto da una forza brutale, da quella che egli chiamò la “nemica natura”, che gli spezzò gli studî, gli proibì i palpiti del cuore, e lo rigettò su se stesso, cioè sulla sua offesa base fisiologica, costringendolo a combattere giorno per giorno per sopportare o lenire il malessere e le sofferenze fisiche che lo tormentavano invincibili. Questa “forza brutale”, questa violenza e questa sopraffazione, secondo il critico, scavarono in fronte a Leopardi quel “solco di dolore e di nobiltà”, per il quale fu ben presto riconosciuto in Europa come essere assunto nella pleiade degli altri spiriti straziati e sconsolati.
Bisogna però riconoscere che il pessimismo leopardiano coesiste con una natura schietta e nobile, trepida, aperta alla vita, al desiderio e alla speranza. La condanna di Croce è duplice e riguarda non solo la poesia ma anche il suo pensiero filosofico, in quanto, per lui, “ la filosofia non è né pessimistica né ottimistica”. Ottimismo e pessimismo rispecchiano stati d’animo e umori personali, sono interpretazioni soggettive di circostanze e situazioni della realtà: *la filosofia, in quanto pessimistica od ottimistica, è sempre intrinsecamente pseudofilosofia* e Leopardi non offre se non sparse osservazioni, non approfondite e non sistemate: a lui mancava disposizione e preparazione speculativa, e nemmeno nella teoria della poesia e dell’arte, sulla quale fu condotto più volte a meditare, riuscì a nulla di nuovo e importante, di rigorosamente concepito. Ma per Leopardi il male e il dolore non erano “sparse osservazioni non approfondite e non sistemate”, erano “la sostanza di tutta la filosofia” (Operette Morali, dialogo di Timandro ed Eleandro).
Il 1947 è l’anno in cui il panorama critico cambia radicalmente per opera di Walter Binni (La nuova poetica leopardina) e di Cesare Luporini (Leopardi progressivo). La poesia del recanatese viene vista, al contrario di Croce, come tensione speculativa, esaltazione del vitalismo e dell’agire come supremo rimedio alla noia, disprezzo della politica e celebrazione del nulla (Leopardi è, come nota Karl Vossler, il religioso amante del nulla). Ne nasce un nesso sempre più stretto, nel periodo post-fiorentino e in quello napoletano, fra poesia e pensiero, che segna il suo apice nella Ginestra. Leopardi è un intellettuale legato al materialismo illuministico (per questo il tergo / vigliaccamente rivolgesti al lume / che il fe’ palese) che lo induce a invitare gli uomini, come in un estremo appello messianico, ad allearsi “in social catena” contro la natura madre di parto e di voler matrigna. Ma, giustamente notano i critici, il nesso poesia-pensiero era presente già nelle canzoni del ’21-‘22 fino alla rottura del concetto di natura benefica che trova la sua proclamazione nell’Ultimo canto di Saffo.
Cesare Luporini sostiene che Leopardi sia un filosofo “moralista” “ed è soltanto sotto questo riguardo che egli conta”, “non è un filosofo tecnico della politica e della società”, anzi si oppone a chi vuol considerarlo un filosofo politico “tra i massimi del nostro Ottocento”, come Luigi Baldacci. Andrea Rigoni inoltre lo paragona ai veri teorici della politica e della società quali Rousseau, Montesquieu, Tocqueville e Schmitt. Altri, in effetti, potrebbero sostenere, alla stessa stregua, che Leopardi sia un metafisico e un filosofo dell’estetica, visto che la sua “riflessione storico-politica risulta coordinata e solidale” con quella metafisica ed estetica.
Ma Croce rifiuta questo giudizio e nota che in questo campo egli non approdò ad alcun risultato. Ma la critica successiva lo dichiara sia poeta che filosofo moralista e afferma che come moralista è il più grande che l’Italia possa vantare, come Nietzsche è il più grande moralista che possa vantare la Germania. Può Croce confutare la tesi leopardiana – si chiede Sossio Giametta - del male e del dolore della vita, della vanità e della nullità dell’esistenza? Può negare l’eterna distruzione ad opera della natura dei suoi figli e di tutte le cose umane: giovinezza, salute, bellezza, speranza, affetti, gloria, virtù, poesia? Certamente no: tutto questo è inconfutabile, e inconfutabile è il destino di miseria, vecchiaia, malattia e morte di tutti gli esseri.
Nel ’21 Leopardi si chiede: come si fa la poesia? E risponde che gli spiriti sommi potranno vincere qualsiasi ostacolo ed essere sommi poeti e sommi filosofi, anche se questo accade molto raramente. Nel ’23 sostiene che la poesia cerca il bello e la filosofia il vero e che il bello e il vero si conciliano nel grande filosofo e nel grande poeta. Nel periodo napoletano il poeta acquista maggior sicurezza di sé e le Operette morali concludono l’esperienza di un’altissima prosa poetica in chiave autobiografica-filosofico-etica che decreta il fallimento delle illusioni ed esprime il rimpianto dell’essere vissuto invano e il mito dolce-amaro della ricordanza. L’ultimo Leopardi della *Ginestra* si misura sul presente, si erge in lotta col suo tempo, con il secol superbo e sciocco, sente la sua infinita superiorità rispetto alla filosofia ottimistica e spiritualista dei *nuovi credenti,* è cosciente *di possedere un senso più alto della vita e approda a una concezione eroica della poesia, come detentrice di una verità diversa e superiore rispetto all’egoismo, all’utilitarismo e alla vuota retorica verbosa ed inerte, alla viltà di fronte alla morte e al Dio crudele: *sempre / codardi e l’alme / ingenerose, abbiette, / ebbi in dispregio.*
Nel ’36 rivendica l’originalità della sua filosofia che si oppone “ai preti, i quali qui e in tutto il mondo, sotto un nome o sotto un altro, possono ancora e potranno eternamente tutto." Nella Ginestra il pensiero leopardiano acquista una nuova ed estrema sicurezza di persuasione della assolutezza della sua verità. Egli si proclama illuminista, materialista, ateo e deride i sogni e i deliri della mente umana. Per lui l’uomo è il corpo, la materia sente e pensa, lo spirito è flatus vocis e nella materia *tutto* è male. Le sue “persuase” certezze sono la caducità e la fragilità dell’uomo, l’infinita vanità del tutto, la malvagità della natura, il naturale egoismo dell’uomo e l’opposizione degli uomini dabbene *contro la lega dei birbanti.*
Egli entra in polemica con gli intellettuali del suo tempo arretrati e *regressivi* (nella Ginestra li chiamerà astuti o folli), mentre nella Palinodia denuncia: *sempre il buono in tristezza, il vile in festa / sempre e il ribaldo.* Leopardi appare uno “sradicato”, un “ribelle”, un “democratico” per la sua scelta dello “stato franco” di una repubblica fondata sulla sovranità popolare che nella Ginestra diviene una organizzazione comunitaria di tanti uomini confederati nella lotta con la *inimica natura*. Egli da malpensante, come dice Leporini, è su un’onda più lunga degli uomini del suo tempo. La Ginestra, la più grande poesia dell’epoca moderna, può essere paragonata ai massimi capolavori dell’umanità per l’assoluta tenuta di ritmo, per la sconvolgente impetuosità, per l’invito a una gioia che è libertà e fraternità fra tutti gli uomini. Come scrive Natalino Sapegno: “Nella Ginestra il lirico, il solitario, maturatosi attraverso la passione, si è fatto degno di parlare ai fratelli, di erigersi profeta di una civiltà e umanità nuova. Anche il linguaggio è veramente nuovo, non il linguaggio vago, indefinito, tenero, nostalgico degli Idilli, ma una lingua intensa e vibrante, una sintassi concitata e piena di spezzature, una musica senza morbidezze e squisitezze melodiche, energica e piena di slancio, una poesia che lascia l’impressione di un’esperienza tutta aperta, non esaurita nella immobile perfezione, ma protesa verso il futuro”. Il poeta presenta la ginestra come un modello per il comportamento dell’umanità. Essa, fiore gentile, soffre senza orgoglio e senza viltà il destino che le è dato in sorte, commisera i danni altrui e prova compassione per tutti i viventi dei quali condivide la sofferenza, la debolezza e la sorte mortale. Essa non si comporta come l’uomo che stolto, nato a perir, nutrito in pene, / dice ; - A goder son fatto, - / e di fetido orgoglio / empie le carte, eccelsi fati e nove / felicità, quali il ciel tutto ignora, / non pur quest’orbe, promettendo in terra /a popoli che un’onda / di mar commosso, un fiato d’aura maligna, un sotterraneo crollo / distrugge sì che avanza / a gran pena di lor la ricordanza. Il suo comportamento è ben diverso da quello degli intellettuali spiritualisti del tempo di Leopardi che si ritengono destinati alla felicità terrena e ultraterrana, non vogliono riconoscere la loro mortalità, la sofferenza, l’estrema debolezza di fronte alla catastrofi naturali come quella del Vesuvio nel 79 che distrusse Pompei, Ercolano e i paesi circostanti. Leopardi sa quanto questi intellettuali sono interessati alla collaborazione con le forze reazionarie del suo tempo che vogliono lasciare il volgo nell’ignoranza e gli propinano menzogne, volgo che ha il diritto di conoscere la verità, nulla al ver detraendo, che è il blasone araldico più alto di Leopardi, verità denunciata con forza dalla sua suprema poesia della estrema fase della sua esistenza: via la speranza, via la felicità, via le illusioni sulla natura e sulla natura degli uomini, che sono prodotti della natura e della natura portano in sé istinti bassi, crudeli, egoistici, via il passato spiritualistico, teocentrico, geocentrico, antropocentrico, via le ideologie che detengono il potere del suo tempo, ma la proclamazione del vero e dell’amore per gli uomini generosi e saggi in lotta con la natura.
“Il pessimismo cosmico di Leopardi – scrive Binni – raggiunge ormai la sua meta combattiva e propositiva in un’apertura verso il futuro, in una offerta di “buona, amara novella”, priva di ogni afflato trionfalistico, ma sostenuta da un’energica persuasione di una via stretta e ardua, chiusa nei limiti di un destino di morte e sofferenza, di rinnovate stoltezze, di catastrofi naturali e cosmiche: “eroica” nella sua volontà di resistenza e contrasto, di non rassegnazione, nel doveroso tentativo di rifondare nelle sue amare verità una *polis* comunitaria, nell’alleanza prioritaria tra i veri intellettuali, portatori di verità e volgo pieno di forze potenziali autentiche, ben capace di “virtù” (la parola moralmente suprema mai abbandonata da Leopardi)”. La Ginestra – conclude il critico – propone una lotta contro la natura, “lotta il cui successo non ha nessuna garanzia e che è tanto più doverosa proprio nella sua ardua difficoltà, mentre attualmente sull’umanità incombe la minaccia della catastrofe nucleare”.
(Gianni Giolo)
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Si tratta di un romanzo storico e autobiografico (anche se in realtà alcuni non sono d’accordo con la prima definizione), ambientato in Sicilia durante il periodo in cui vi è il passaggio dal regime borbonico al futuro Regno d'Italia, con lo sbarco dei Mille come evento cruciale.
Il protagonista è don Fabrizio Corbera, principe della dinastia dei Salina (sullo stemma di famiglia vi è un gattopardo, da qui il titolo dell'opera), una sorta di pater familias.
L'intero romanzo ruota attorno al tema del cambiamento sociale epocale, in particolare don Fabrizio assiste alla decadenza della classe nobiliare con la conseguente ascesa della nuova borghesia.
Il principe attende la fine del ‘suo mondo’ con un certo disincanto, in contrasto con l’ambizioso nipote Tancredi (secondo protagonista), colui che pronuncia la celebre espressione se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi: i tempi cambiano e ciò è indispensabile, ma si arriva ad accettare il cambiamento solo perché si spera di poter mantenere i propri poteri / privilegi (in questo caso nobiliari) e dunque non cambiare nella sostanza.
Ciò che mi ha sempre colpito della narrazione? L’intravedere quel senso di nostalgia / malinconia, accompagnato da una certa ironia e da un pessimismo che ricorda quello leopardiano. Le ispirazioni letterarie sono ben visibili, nonostante ciò c’è quel tocco personale che lo rende un’opera unica nel suo genere.
La figura di don Fabrizio è affascinante, specialmente nel suo essere il tipico protagonista dall’animo travagliato dei romanzi novecenteschi (la coscienza al centro della produzione prosastica e poetica del secolo passato).
Consigliatissimo anche il film di Luchino Visconti degli anni ’60!
Piccole curiosità
Lo stesso Giuseppe Tomasi di Lampedusa possedeva alcuni titoli nobiliari (l'autobiografismo a cui mi riferivo all'inizio), inoltre si è ispirato a un suo bisnonno per la figura del principe.
Il romanzo è stato ultimato poco prima della sua morte e pubblicato postumo. Molto triste, specialmente perché si tratta del suo magnum opus.
'The Leopard' / 'Il Gattopardo' is such a difficult book to adapt, and there is already a movie that is great.
But the new Netflix production looks promising, now I have high expectations!
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“Perì l'inganno estremo,
ch'eterno io mi credei.”
-G. Leopardi.
#giacomo leopardi#a me stesso#la vita è così fragile#citazioni#poesia#poetry#letteratura#pessimismo leopardiano#the best writer#love poetry
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c’è una cosa che mi tormenta più di tutte: l’esplosione del rapporto con la donna che stavo iniziando a frequentare da qualche mese. Si è consumato tutto in 5 minuti, facendo emergere malesseri, incomprensioni che fino a quel momento non avevo visto (o voluto sentire), alla sola mia comunicazione “sono positivo... lascia tutto e corri a farti un tampone”. Un “apriti cielo” inaspettato che ha tirato fuori di colpo la fragilità e inconsistenza di quel che stavo giudicando come “questa è la volta buona”. Ne deduco quindi che: - il mio metro di giudizio sulle donne è totalmente inattendibile - mi convinco, a questo punto, di avere seri problemi relazionali col gentil sesso (ma forse anche col resto del mondo) - che i tempi per disvelare l’inconsistenza ed incompatibilità dei miei rapporti si accorciano ad ogni nuova storia sempre di più (da anni a mesi) Oltre all’esser preoccupato sull’idea formulata “questa è la volta buona” (a questo punto mi devo ritenere fortunato per non essermi gettato in un altro rapporto “esplosivo”) perché denota miei “facili entusiasmi”, poco rassicuranti (nessuno mi dia la gestione di un sito nucleare... il mio facile ottimismo amoroso ci porterebbe all’estinzione di massa, meglio quindi il mio pessimismo cosmico leopardiano), devo cominciarmi a porre domande serissime, allontanando da me il pensiero assolutorio del “non ho fortuna” e chiedendomi cosa c’è che non va in me.
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Vede Manzani, anche nello scritto lei ha dimostrato una notevole verve, ma mi è uscito completamente fuori tema: è partito sulla traccia del pessimismo leopardiano e si è smarrito completamente in una incomprensibile polemica sul turismo di massa, i traghetti. Poi sembra che ce l’abbia in particolare con quelli che vanno in Corsica. Io francamente non so cosa pensare…
Ovosodo
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A volte mi sembra di vivere nella prima fase del pessimismo leopardiano dove lo stesso pensava che la vita gli avesse dato un trattamento differente, che la vita gli avesse tolto la speranza e dato solo la sofferenza.
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26 marzo 2020
probabilmente oggi è il diciottesimo giorno di quarantena. diciottesimo come il compleanno che tanti ragazzi stanno passando con i propri familiari... nulla che non vada, certo... ma il diciottesimo compleanno è fatto per far festa, divertirsi, ubriacarsi e sclerare con i propri amici. Diciotto come i compagni di classe che, nonostante tu abbia detestato per tanto tempo, vorresti vedere e passarci del tempo insieme il prima possibile. Diciotto come gli amici della compagnia con cui non vedi l’ora di andare a ballare in discoteca, con cui non vedi l’ora di fare festa per nessun motivo e di fumare fino a che anche l’aria diventa “fatta”.
Fine del sogno.
Continuando di questo passo, anche la persona più positiva di questo mondo si farà contagiare da quel fottutissimo pessimismo Leopardiano, quello della seconda fase, in cui la natura è considerata matrigna nel contesto esistenziale.
Quella sorta di pessimismo che ti fa sperare nella felicità solo in due casi: quando si esce da un’infelicità ancora più grande e quando si assapora la speranza di provare una futura felicità.
Benissimo io sono tra questi.
Sono colei che vede il lato peggiore delle cose, ma anche colei che cerca sempre pretesti per vedere del buono anche nel diavolo in persona.
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Ero immerso in un pessimismo leopardiano individuale e cosmico, poi mi hanno fatto leggere le frasi motivazionali di noti scrittori in vetta alle classifiche. Erano frasi che mi esortavano a prendermi cura della mia anima. Ora sono pessimista anche sul futuro della letteratura.
— L’Ideota
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La bayadere
La bayadere
Ruolo da protagonista ricco di energia, etica e pessimismo cosmico leopardiano. Decide lei di non vivere l' amore col suo amato, perché troppo sofferente. Romanticismo a gogò. Il ruolo maschile risulta vile per non aver fermato la macchina da guerra, realisticamente, ma il suo amore è folle quanto lei, sono complementari, e nemmeno tentano il coraggio. Ma lei è così ambiziosa, carnale, oltre tutto, totalmente spirituale. Forse era vero, non vi era scampo. Bellissimo. Io ho guardato la versione di Nureyev, lo scorso Capodanno su rai5. Passione.
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Una poesia di Simonide di Ceo
Una poesia di Simonide di Ceo
Simonide canta la “nobile fine” come mezzo per affrancarsi da una vita vissuta con le sue angosce e i suoi rovesci. E lo fa con un pessimismo di fondo quasi leopardiano ed uno scetticismo da filosofo sofista. Celebre è la sua definizione della poesia, citata da Plutarco: “La poesia è una danza cantata, la danza è una poesia muta”. Poeta lirico greco vissuto tra il VI e il V secolo avanti…
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GIUSEPPE LANESE
per la campagna per la Parità di Informazione Positiva #mezzopieno
Giornalista, comunicatore e formatore. Responsabile della comunicazione dell’Ufficio Scolastico del Molise. Componente del Comitato scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Comunicazione Digitale. Fa Parte della Rete dei Referenti MIUR sui temi della Legalità, Scuola Digitale, Erasmus Plus, Comunicazione e Media education. Formatore SMAU e docente nei corsi di formazione per l’Ordine Nazionale dei Giornalisti. Collabora con l’Università Telematica Pegaso per il corso di “Comunicazione digitale e social media” e con l’Università LUMSA per il corso di “Educazione degli adulti” come cultore della materia. Ha scritto “Non è mai troppo tardi - l'ABC della scuola buona che comunica” (Magi 2016) e “Storie Digitali – dal sovranismo psichico alla sindrome di hikikomori” (GEDI 2019)
Qual è per lei il ruolo dell'informazione sul benessere della società?
L'informazione ha un ruolo fondamentale per il benessere della società. Oggi vediamo spesso, quando si parla di società, il mostrare solo questioni negative, mentre l'informazione deve far capire che esistono anche gli aspetti positivi, anche se come sappiamo prendono meno spazio.
La notizia deve mostrare tutte le sfumature di colore, non solo il nero ma anche il bianco.
A me piace usare l'espressione “informazione eticamente efficace”, che non va a toccare l'emotività dell'opinione pubblica, ma va a stimolare le corde positive delle persone.
Cos'è per lei una buona notizia?
È una notizia che dà speranza, come fa Mezzopieno con le notizie sul blog. È importante mostrare non solo il nero, ma far capire che la nostra società esprime tutto l'arcobaleno. Il senso è proprio quello di dare speranza anche nelle situazioni negative.
Può il giornalismo rappresentare uno strumento per aumentare la fiducia e ridurre la conflittualità?
Sì. Recentemente sono stato a Rondine, la città della pace dove si è creato un laboratorio di educazione alla pace, un luogo dove i 'nemici' possono conoscersi per vedere la persona al di là di barriere e nazionalità. A Rondine, le persone che provengono da realtà in conflitto si incontrano per un'esperienza di condivisione e di superamento della conflittualità. Questo progetto, candidato al Nobel per la Pace del 2015, ha mostrato l'importanza del lavoro di informazione e del lavoro educativo nel superamento dei conflitti. E così anche il giornalismo ha il dovere, nel proprio settore, di contribuire e informare per il superamento dei conflitti.
Qual è il suo contributo per una buona informazione?
Sono un docente, oltre ad essere un giornalista, e, in quanto educatore, informare dando notizie positive è fondamentale. Ed è mio compito informare e contribuire ad una comunicazione gentile, come dice anche Mezzopieno.
Viviamo quotidianamente la deriva sui social, ma è compito di ognuno di noi contribuire con i propri mezzi, invertire la tendenza e sostituire il linguaggio di odio con una comunicazione positiva. Abbiamo l'esempio di Greta Thunbegr che ha cambiato strada, ha usato il suo potere comunicativo per inviare messaggi importanti per la società. Ecco, tutti possono fare comunicazione positiva, tramite i propri canali e con gli strumenti a propria disposizione. Se tutti faranno la propria parte, e i giornalisti hanno ancora di più la responsabilità in questo senso, allora riusciremo davvero a cambiare il mondo.
Io sono tra i fondatori insieme ad altri giornalisti di Digital Media, un'associazione che fa formazione e informazione anche presso le scuole e con cui abbiamo realizzato “Resto al Sud”, un periodico in cui raccontiamo l'eccellenze del Sud Italia. Certo, senza negare le cose che non vanno. Perché parlare di aspetti positivi non vuol dire mettere la testa sotto la sabbia e ignorare che esistano difficoltà, conflitti o aspetti negativi, ma significa proporre alternative e mostrare che in ogni cosa esiste un aspetto positivo.
Cosa vuol dire per lei vedere il bicchiere mezzo pieno?
Io sono un ottimista cosmico! A differenza del pessimismo cosmico leopardiano, vedo sempre il bicchiere “mezzo pieno”. Perché abbiamo sempre con la nostra energia e la nostra positività la possibilità di spostare le montagne. Vedere il bicchiere mezzo pieno permette di trovare la soluzione a qualunque tipo di problema.
Leggi le altre testimonianze per la campagna Parità di Informazione Positiva #mezzopieno
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Pedigree
Da ragazzo, appena fatta la maturità, fui istintivamente leopardiano, non foss’altro per onorare il giorno del nostro comune compleanno (coincidenze astrali), poi vennero i giorni bui della depressione che azzerarono tutto e infine la ripartenza con Nietzsche, il quale poi mi venne a noia dato quel suo eccesso di enfasi e di romanticismo, nel senso della corrente culturale. Venni poi in contatto con il pensiero di Severino che mi quietò l’animo, mi appassionai agli stoici e infine lessi per gioco Schopenhauer e mi ci ritrovai appieno, il suo lucido pessimismo mi sembrò più ricevibile del disperato seppur vitalistico “cozzare contro un muro” nietzschiano. Detto questo, ogni buon filosofo fa bene alla salute al di là delle preferenze personali, con la Genealogia della morale bisogna pur fare i conti. Non citerò il Capitale perché non sono né marxiano né marxista. Non credo al libero arbitrio, riconosco il fato, penso che più che soggetti agenti attraverso la volontà ne siamo le vittime (”Vittime della volontà”, buon titolo per un libro), questo è tutto.
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Ho sempre amato Leopardi, la sua filosofia di vita e il suo essere. Quando tempo fa lo studiammo passavo ore a parlare con la professoressa di letteratura di lui. Mi spiegò bene ciò che cercava di trasmetterci attraverso la sua poesia e il perché del suo "Pessimismo" che poi diventò "Pessimismo Leopardiano". Non potrei essere più d'accordo con lui. E sono contenta che c'è ancora qualcuno che lo apprezza davvero.
Felice di averti reso contenta ^-^ comunque se cerchi poeti famosi ed introspettivi come Leopardi ne trovi alcuni, quello che a mio avviso può arrivare ad un livello psicologico molto elevato è sicuramente Pirandello, adoro ogni sua poesia, il suo mettere in crisi l'identità dell'essere, il conflitto tra l'individuo, quindi la persona singola in sé, e il mondo esterno, ovvero come gli altri ritengano che sia quella persona o come la costringono ad essere. Ora mi sento realizzato😂Ps. Ragazzi sono veramente euforico😂😂
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Dal 2013 – vale a dire da quando ho ricominciato a girare con costanza i campi d’Italia – avrò fatto migliaia di foto e visto centinaia di stadi e tifoserie. Oltre ad aver conosciuto una miriade di personaggi (forse l’aspetto più stimolante del tutto). Non nego che attualmente mi trovo spesso in difficoltà nello scegliere una partita sapendo che per muoversi, inevitabilmente, van via dei soldi e se il gioco non vale la candela rimpiango amaramente il tempo e il denaro sottratto magari ad altro.
Mi trovo così a restringere di molto il campo delle mie scelte. Soprattutto rispetto a un paio di anni fa, quando l’importante era partire, vedere e farsi un’idea. Certo, di imparare non si finisce mai, tuttavia posso tranquillamente asserire che oggi quando consulto il calendario, lo faccio con due soli criteri in mente: qualità o campo non visto.
Poi, nel momento di piattezza e disincanto che sto attraversando, non nego di tendere troppe volte al pessimismo cosmico, il che mi porta sovente a guardare le gradinate con occhio sin troppo critico e leopardiano. Finisce così che quando becco il match a cui ho effettivamente poco da rimproverare, ma – anzi – mi fa tornare a casa soddisfatto, quasi non mi godo quanto di bello visto, andando a cercare involontariamente la macchiolina o il pelo nell’uovo.
Foggia-Lecce è stata una di queste partite. Una di quelle che se ci ragioni un attimo per bene realizzi che l’Italia del tifo è fondamentalmente ancora viva e ancora in grado di mangiare in testa a tante realtà estere iper decantate nell’ultimo decennio. Che guarda caso, vengono ancora a scuola nella nostra Penisola.
Poi ci sono le perversioni mentali degli ultras e di molti loro osservatori, a sviarmi in tante occasioni. Le critiche gratuite, quelli a cui fa tutto schifo a prescindere e non riescono a tessere un discorso obiettivo e di senso compiuto perché troppo presi ad ingrossare le proprie teorie. Oppure quelli che a causa di scontri generazionali debbono per forza vomitare veleno su quanto “passa il convento” oggigiorno. E infine coloro i quali ragionano con il più oltranzista degli “è tutto finito”. Che magari erano gli stessi, vent’anni fa, a stare con le braccia conserte sulla balaustra senza smuovere un dito per aiutare la curva dentro e fuori.
C’è chi guarda oltralpe e indica tutto quello che vede come migliore. Come “rivoluzionario”. O addirittura duro e puro. Quando di duro e puro, anche nei mondi che noi crediamo tanto liberi e riottosi come quelli dell’Est Europo, c’è ben poco. Anzi, se andassimo ad analizzare situazione per situazione, scopriremmo con molto stupore quanto determinate tifoserie siano veramente “serve” del sistema, almeno nella maniera qualunquista e generalista con cui tale affermazione viene utilizzata in Italia.
Dunque, senza voler uscire troppo dal seminato, possiamo parlare della gara disputata allo stadio Zaccheria. Tra giallorossi e satanelli è un derby, ma senza rivalità. Anzi, le due tifoserie in passato hanno avuto rapporti più che conviviali e attualmente – almeno a giudicare dall’atteggiamento tenuto dentro lo stadio – vige la più classica delle indifferenze.
In Salento sono stati venduti 1.300 tagliandi. Un segno tangibile dell’entusiasmo leccese per il ritorno in cadetteria e per l’ottimo avvio di campionato che ha proiettato la squadra di Liverani in piena zona playoff. Entusiasmo che di certo non manca nemmeno a Foggia dove, malgrado i punti di penalizzazione, la tifoseria si è stretta attorno alla squadra facendo registrare gli ormai consueti numeri importanti sia dentro che fuori.
Lo Zaccheria presenta dunque un ottimo colpo d’occhio e quando le squadre stanno per fare il loro ingresso in campo, la Nord e la Sud foggiana si esibiscono nelle più classiche coreografie del repertorio italiano: sciarpata, cartata e due fumogenate a dir poco mozzafiato. L’odore acre dei fumogeni si espande su tutto il manto verde, arrivando alle narici degli spettatori seduti nelle tribune e regalando il gusto retrò dello stadio. Purtroppo questi spettacoli sono sempre più rari e quando si manifestano vale la pena respirarli a pieni polmoni.
La pirotecnica sarà un tratto distintivo anche per il contingente ospite, che a più riprese si metterà in mostra con torce e fumogeni.
Ecco, in merito a quest’ultima frase ci saranno in tanti – quelli dalla critica ossessiva, eccessiva, petulante e pedante – che contesteranno il non riuscire a far entrare materiale da parte di molte altre curve. E poi ci saranno quelli pronti a dire che foggiani e leccesi (faccio questo esempio utilizzando le tifoserie in oggetto, ma potrei davvero traslare queste parole su altre decine di casi) sono “amici del sistema” e per questo non vengono controllati. Oppure qualche genio dirà che è stato tutto autorizzato e che è meglio non portare nulla dunque. Insomma, una serie di supposizioni idiote e sfiancanti che fanno parte di quel dedalo di atteggiamenti a me avversi che ho sopra elencato e che spesso mi hanno fatto scendere sotto i tacchi la voglia di fare tutto.
Sempre per continuare con la sincerità, voglio ricordare che pure vent’anni fa agli ingressi si veniva perquisiti e molto spesso striscioni, torce e fumogeni passavano con il benestare della polizia. Quindi sì, ok, ci saranno anche Questure più elastiche di altre (grazie a Dio), ma questo non vuol dire assolutamente niente. Quando si vuol utilizzare la parola “colluso” credo vada fatto in altri ambiti. Invece noto che negli ultimi anni, alcune terminologie un tempo usate di rado e solo in casi di “necessità”, vengono snocciolate a cuor leggero. Purtroppo anche da chi ha diversi scheletri nell’armadio.
Tornando al tifo, complessivamente il mio giudizio promuove a pieni voti entrambe le tifoserie. Con particolare “lode” alla Nord foggiana e al settore ospiti. Manate, rabbia nei cori, compattezza e sincronia sono i marchi di fabbrica di questo pomeriggio. Assieme all’ottima partecipazione di tutto il pubblico. Lo Zaccheria si conferma un grande stadio per il calcio, concepito in tempi non sospetti e con una logica ben più normale e prestante rispetto agli impianti ultramoderni e ammazza-tifo cui siamo purtroppo abituati oggi.
Un ultimo pensiero lo voglio dedicare ai leccesi, autori dopo il fischio finale di numerosi cori in ricordo di Stefano Cucchi. Non era il solito coro partito dalla zona centrale, ma un bel boato eseguito da tutti i presenti. Qualcuno si è chiesto – e si chiede ancora – se sia giusto che le curve esaltino così il suo ricordo e la battaglia della sorella Ilaria. Per me sono questioni di lana caprina. Le tifoserie organizzate – composte spesso da gente attiva nel sociale o proveniente dai bassi strati delle nostre città – conoscono bene l’argomento in questione. E il giorno in cui cominceranno a porsi il dubbio se spalleggiare o meno determinate battaglie, forse sarà meglio chiudere baracca e burattini e darsi ad altro nella vita.
Lo dico perché già in diversi ambienti attigui o addirittura addentrati al movimento ultras mi è capitato di percepire scetticismo. Più che altro menefreghismo nei confronti di un qualcosa facile da giudicare con boria e ignoranza, difficile da perdonare o analizzare quando capita personalmente o al “compagno di banco”. Ecco, parlo fortunatamente di una minoranza, così come sono cosciente di quanto le curve – essendo lo specchio della società – siano composte anche da capre e asini di rara portata.
Ma io continuo a confidare nella maggioranza di questi ragazzi, che in 31 anni di vita mi hanno spesso insegnato come affrontare e combattere queste situazioni. E da cui mi aspetterò sempre il sostegno e il voler evidenziare un sistema che in questo caso si è dimostrato marcio non semplicemente negli aguzzini di Stefano Cucchi, ma anche in tutto quello che ha circondato la vicenda e, ahinoi, compone quotidianamente l’essenza più brutta e selvaggia del nostro Paese.
Testo di Simone Meloni. Foto di Simone Meloni e Pierpaolo Sacco.
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Foggia-Lecce, Serie B: vincere disincanto e pessimismo per giudicare con obiettività Dal 2013 - vale a dire da quando ho ricominciato a girare con costanza i campi d'Italia - avrò fatto migliaia di foto e visto centinaia di stadi e tifoserie.
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