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"Il Primo Amore". Il dolore e l’incanto del primo amore, tra idealizzazione e tormento, nella poesia di Leopardi. Recensione di Alessandria today
"Il Primo Amore" di Giacomo Leopardi è una delle poesie più profonde e struggenti del poeta recanatese. In questo componimento, Leopardi riesce a catturare con eccezionale maestria il tumulto interiore legato alla sua prima esperienza amorosa.
“Il Primo Amore” di Giacomo Leopardi è una delle poesie più profonde e struggenti del poeta recanatese. In questo componimento, Leopardi riesce a catturare con eccezionale maestria il tumulto interiore legato alla sua prima esperienza amorosa. La poesia riflette su come il primo amore non sia solo un evento sentimentale, ma anche un’esperienza esistenziale che travolge l’individuo, condizionando…
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Biografia in filigrana. Tanti passi leopardiani ci mostrano come egli si comportava o si sarebbe comportato in varie situazioni della vita pratica, e perciò queste annotazioni possono risultare utili a chi volesse scrivere un'opera di fantasia, ma verosimile, su di lui. Post in progress. Notes:
S'io fossi ne' suoi panni farei certo o non farei così: non comprendo come egli possa portarsi altrimenti. Se foste ne' suoi panni, lo comprendereste. Tutto giorno ci par facilissimo, verissimo ec. quel ch'è impossibile, falsissimo ec. per chi si trova nel caso. A chi consiglia non duole il capo (Crusca) dice il proverbio
Il vedere che altri prova in nostra presenza un gusto vivo, ci è sempre grave, e ci rende odiosa quella persona. E perciò è prudenza e creanza il non dimostrare in presenza altrui di provare un piacere, o il portarsi con una disinvoltura che mostri di non curarsene ec. [...] v. un mio pensiero sul far carezze alla moglie in presenza altrui, e il costume degl'inglesi che ho notato in questo proposito. Cosa spiacevolissima anche tra noi, e che m'è avvenuto di sentir condannare come insopportabile in due sposi che si facevano grandi carezze in presenza d'altri. Tanto è vero che l'uomo odia naturalmente l'uomo. Eccetto se quel gusto che ho detto è stato procacciato a quella persona da noi stessi volontariamente, nel qual caso egli ridonda in certo modo su di noi, e serve alla nostra ambizione
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"Mi vien la Musa, la magnifica cupezza, e la Ginestra. Un saluto all'amico Giacomo", di Ilaria Cino
Sola tra persone che cenano sole come a testimoniare nel pubblico una storia che non è stata uguale per tutti, mi vien la Musa, la magnifica cupezza, e la Ginestra. E così riprendendo la scrittura, il sovrumano sforzo, e la pietà di un invito […/A queste piagge / venga colui che d’esaltar con lode / il nostro fato ha in uso, e vegga / quanto è il genere nostro in cura / all’amante natura /…]. La…
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Mamma, morte e memoria
Madonna con bambino Mamma, morte e memoria, un articolo di Carl William Brown che analizza il valore della memoria, della madre e della letteratura con riferimento a Marcel Proust, con varie citazioni sull'argomento. Le tre grandi divinità madri dei popoli orientali sembra fossero generatrici e annientatrici insieme; dee della vita e della fecondità nello stesso tempo che dee della morte. Sigmund Freud Mia amata mamma, adesso sarai per sempre così. Prima di ricordare in un post specifico la figura di mia madre e dedicare alcune pagine di aforismi alla "mamma" in generale, o narrare le sue vicende sanitarie nel testo Ars Longa Vita Brevis, in occasione dell'evento doloroso e tragico che mi ha colpito in questi giorni, ovvero la sua dipartita, voglio rammentare Proust, con alcune sue citazioni e una sua piccola biografia, perché mi ha sempre impressionato quello che ha scritto a riguardo di questo argomento così emozionante. Devo inoltre aggiungere che in questo momento così triste, mi ha confortato un po', sapere che anche per lui, la perdita della madre, era stato un evento assolutamente nefasto per il suo morale, anche se da questa mancanza, nascerà poi il capolavoro della Recherche. La mamma dunque, come musa ineguagliabile, che anche nel mio caso, negli anni della mia seconda e terza infanzia, mi ha infuso l'amore per la letteratura e per la scrittura, aiutandomi sempre a comporre quelli che una volta, alle elementari, chiamavano i pensierini. Questa breve premessa per sottolineare l'importanza della letteratura e della memoria delle persone scomparse che vivranno sempre nella nostra mente per il resto dei nostri giorni. Tale nutrimento dei giardini della nostra memoria, verrà stimolato anche dalla lettura appunto di vicende simili raccontate dai personaggi creati dai vari scrittori, e ci farà rivivere tanti momenti del passato, enfatizzando sia gli aspetti più piacevoli, sia purtroppo quelli più problematici, portandoci sempre una grande malinconia e magari molti sensi di colpa. E' un processo di rielaborazione della perdita che non avrà fine se non con la nostra morte, e in questo la letteratura ci potrà aiutare un poco.
Mamma di Carl William Brown La figura della madre con bambino, che riguarda ogni persona del mondo, e ci rievoca la sublime immagine della madonna della religione cristiana, è qualcosa di unico e grandioso, da non dimenticare mai. Ci riporta alla nostra infanzia, alle nostre origini e in lei ci identifichiamo, vediamo noi stessi e la nostra mamma. Poi si cresce e poiché la vita è dolore, come diceva sempre anche il Buddha, la figura del Cristo sulla croce ci rievoca le innumerovoli sofferenze che il genere umano ha dovuto affrontare, e al tempo stesso ci consoliamo rivedendo i vari periodi della nostra vita, ora ci sembrano tutti spensierati e bellissimi, anche se all'epoca potevano essere caratterizzati da litigi, aspre discussioni e grandi arrabbiature. Come ci ricorda pure il Leopardi, la felicità infatti non è mai presente, o è passata o forse sarà futura, e da questo concetto l'arte, la letteratura, la poesia, il cinema e la fotografia traggono proprio la loro essenza rievocativa che riesce appunto a stimolare le nostre emozioni, a mitigare e confortare le nostre sofferenze, a farci meditare dando così un senso, seppur flebile, alle nostre vite. In tutto ciò la religione cattolica contribuisce a rendere la grande importanza che merita alla figura della madre, mentre nella religione islamica, la figura della Madonna non è presente come nel cristianesimo. La religione islamica è strettamente monoteista e non ammette la venerazione di figure divine o semi-divine come Maria, madre di Gesù. Nell'Islam, uno dei principi fondamentali è la fede in un solo Dio, Allah, che non ha partner, figli o consorti. La figura centrale della religione islamica è il Profeta Maometto, considerato l'ultimo profeta inviato da Allah per guidare l'umanità. Maria (in arabo, Maryam) è menzionata nel Corano come la madre di Gesù (conosciuto come Isa in arabo), ma viene descritta principalmente come una donna virtuosa e pia, senza alcun attributo divino. Per ritornare alla funzione della memoria e della letteratura, certamente non possiamo essere tutti come Proust, la cui opera è ispirata e stimolata dalla propria madre, ma in ogni caso anche tutti noi riviviamo l'esperienza cerebrale del grande scrittore francese, anche se poi non siamo in grado di generare un capolavoro come la Recherche; tuttavia anche le nostre esistenze, se pur non conosciute da un vasto pubblico, hanno certamente un valore etico ed estetico, proprio perché sono l'opera artistica dei nostri genitori, e soprattutto di nostra madre, che ci riapparirà sempre nei nostri ricordi per il resto della nostra vita.
Carl William Brown da piccolo In tristitia hilaris, in hilaritate tristis, era il motto di Giordano Bruno ed è anche il mio. Dunque con tanta malinconia e angoscia nel cuore, voglio ricordare mia mamma, mentre mi aiutava a fare i compiti di Italiano quando ero piccolo, mentre mi faceva il bagno, mentre lavava, stirava o preparava da mangiare, quando andava a fare la spesa, quando ritornava dal lavoro e doveva poi fare le faccende di casa, quando andavamo a fare compere durante i saldi, o mentre litigavamo, e infine mentre l'assistevo, durante il periodo della sua malattia mentale, durato ben più di un decennio, quando ormai era anziana, e mi faceva più tenerezza di una bambina. Last but not least, quando si è giovani non ci si rende conto dell'importanza dei genitori e spesso ci si ritrova in aspro contrasto con loro, quando poi si cresce magari non gli si dedica il tempo e le attenzioni che meritano, alcuni quando poi sono anziani e ammalati magari li scaricano anche in qualche casa di riposo e tutto questo non contribuisce di certo al nutrimento della nostra umanità, la quale si spegne a poco a poco per mancanza di cura ed interesse, ed è proprio contro queste tendenze che si concretizza l'impegno di tanti artisti, poeti, letterati, religiosi, medici e volontari di tanti settori che si prodigano per cercare di non farci dimenticare i grandi valori della nostra esistenza, e tra questi in primis quello di nostra madre. Carl William Brown Ora c'è una cosa che posso dirti: godrai di certi piaceri che adesso non potresti nemmeno immaginare. Quando avevi ancora tua madre, pensavi spesso ai giorni in cui non l'avresti più avuta. Ora penserai spesso ai giorni passati." quando l'hai avuta. Quando ti sarai abituato a questa cosa orribile che saranno per sempre gettati nel passato, allora la sentirai dolcemente rinascere, ritornare per prendere il suo posto, il suo intero posto, accanto a te. Non è ancora possibile. Lasciati inerte, aspetta che la forza incomprensibile... che ti ha spezzato ti ripristini un po', dico un po', perché d'ora in poi manterrai sempre qualcosa di rotto in te. Dillo anche questo a te stesso, perché è una sorta di piacere sapere che non amerai mai di meno, che non sarai mai consolato, che ricorderai sempre di più. Marcel Proust D'ora in poi voglio immaginarmi la morte come una tenera e affettuosa mamma che con estremo amore, stringendomi sorridente al suo seno per tutta l'eternità, invece di darmi la vita me la toglierà. Carl William Brown La vita è un paradosso assurdo. Quando avrei dovuto amare mia madre avevo in testa tutt'altro, quando poi in età avanzata si è ammalata, l'ho assistita con tutto l'affetto, la dedizione e l'amore possibile, ma ormai la sua mente non poteva che rendersene conto in maniera limitata e io per lei forse non ero più nemmeno suo figlio, ma soltanto una figura fraterna della sua infanzia, purtroppo assai sfumata e lontana, anche se comunque benevola e degna della sua riconoscenza. In questi anni il dolore e la sofferenza sono così riusciti a dare un senso alla mia esistenza; ma ora che è scomparsa non mi resta che soffrire con tutta la tristezza e la melanconia che il mio spirito riesce ad elaborare. E in questo frangente purtroppo non riesco inoltre a ricavarne alcun senso, se non che rendermi conto che la vita in fondo non è che una ruota, della tortura però. Carl William Brown Gesu' Cristo, non sembrava nemmeno una persona defunta, e la morte sembrava averle dato persino ancora un po' di vita, privandola di tutta la sua sofferenza e donandogli al contempo una mistica serenità! Ma il suo dolore non era andato lontano, bastava guardare il mio volto. Carl William Brown
Marcel Proust Difficile esprimere meglio di Proust il legame che unisce un figlio alla propria mamma. La mia vita ormai ha perduto il suo unico scopo, la sua sola dolcezza, il suo solo amore, la sua sola consolazione. Marcel Proust La mia unica consolazione, quando salivo a coricarmi, era che la mamma sarebbe venuta a darmi un bacio non appena fossi stato a letto. Ma quella buonanotte durava così poco, lei ridiscendeva così presto, che il momento in cui la sentivo salire, e poi quando nel corridoio dalla doppia porta trascorreva il fruscio leggero della sua veste da giardino di mussola azzurra, dalla quale pendevano dei cordoncini di paglia intrecciata, era per me un momento doloroso. Era l’annuncio di quello che sarebbe seguito, quando mi avrebbe lasciato, quando sarebbe ridiscesa. Di modo che quella buonanotte che amavo tanto, giungevo a desiderare che venisse il più tardi possibile, perché si prolungava il tempo di tregua durante il quale la mamma non era ancora venuta. Talvolta quando, dopo avermi baciato, apriva la porta per uscire, io volevo chiamarla, dirle «dammi un altro bacio», ma sapevo che subito ne sarebbe rimasta infastidita, giacché la concessione che faceva alla mia tristezza e alla mia agitazione salendo ad abbracciarmi, recandomi quel bacio di pace, irritava mio padre, che trovava assurdi quei riti, e lei avrebbe voluto tentare di farmene perdere la necessità, l’abitudine, ben lungi dal lasciarmi prendere quella di chiederle, quando era già sulla soglia dell’uscio, un bacio in più. Ora, vederla adirata distruggeva tutta la calma che mi aveva recato un istante prima, quando aveva chinato sul mio letto il suo viso amoroso, e me lo aveva teso come un’ostia per una comunione di pace alla quale le mie labbra avrebbero attinto la sua presenza reale e il potere d’addormentarmi. Ma quelle sere in cui la mamma finiva per restare così poco in camera mia, erano ancora dolci a confronto di quelle in cui avevamo gente a cena, e lei, a causa di ciò, non saliva a darmi la buonanotte. La gente si limitava normalmente al signor Swann che, salvo qualche forestiero di passaggio, era quasi la sola persona che venisse da noi a Combray, qualche volta a cena, come avviene tra vicini (più raramente, dopo che aveva fatto quel cattivo matrimonio, in quanto i miei non volevano ricevere sua moglie), altre volte dopo cena, all’improvviso. Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, Volume primo: La strada di Swann, 1913. Marcel Proust nasce a Parigi nel 1871 da Adrien Proust (1834-1903), medico insigne e futuro professore di Igiene alla Facoltà di Medicina e da Jeanne Weil (1845-1905), discendente di due ricche famiglie di origine ebraica. Sin da piccolo Marcel rivela una salute cagionevole il che spingerà la madre a nutrire nei suoi confronti un atteggiamento affettuosamente protettivo e talora morboso. Nel 1873 gli nasce un fratello, Robert (1873-1935), destinato a seguire la carriera paterna di medico. Nel 1987 si innamora della principessa Radziwill, ma il suo sentimento non è corrisposto e, tra l'altro, i suoi genitori decidono di allontanarlo dalla fanciulla poiché temono che le forti passioni possano essere dannose per la sua salute. Compie i suoi studi al liceo Condorcet ricevendo alcune menzioni. Nel 1888 prende corpo la sua vocazione letteraria. In quest'anno, tra l'altro, inizia i corsi di filosofia. Introdotto. fin da giovane, nell'ambiente arisiocatico, in questo periodo Proust inizia a frequentare i salotti, incontra così numerosi artisti, si interessa oltre che alla letteratura, di architettura, di pittura e di scultura e si fa apprezzare come amabilissimo conversatore. Nel 1889 ottiene il baccalaureato in Lettere e subito si arruola volontario un anno nel 76esimo reggimento di fanteria di stanza ad Orléans, al fine di risparmiarsi i tre anni di leva. Nel 1893 trova lavoro come bibliotecario, cominciando nel frattempo a preparare una seconda Licence in Lettere che otterrà nel 1895. A quest'anno risale, secondo alcuni, la sua prima vera esperienza omosessuale. Nel 1896 pubblica, con una prefazione di Anatole France, la sua prima opera (Les plaisir et le jours), in cui raccoglie scritti eterogenei e inediti. Ma non incontra molto successo. Nel 1900 inizia a collaborare al noto quotidiano Le Figaro e visita, con la madre, Venezia e Padova. Nel 1902 muore suo padre e nel 1905 gli muore la madre. Proust "cade nella disperazione più profonda della sua esistenza. Tutto gli appare perduto; è roso dai rimorsi di aver contribuito alla morte della madre facendola soffrire con la sua vita non ortodossa, sia per quanto riguarda la sopravvalutazione della propria salute (da tempo si corica all'alba e si alza nel tardo pomeriggio) sia per le sue inclinazioni affettive "particolari".
La mamma di Marcel Proust Scrive a Montesquiou: "La mia vita ormai ha perduto il suo unico scopo, la sua sola dolcezza, il suo solo amore, la sua sola consolazione". Egli ha 34 anni, ma si può dire che solo adesso, dopo la scomparsa della mamma ha fine la sua infanzia. Debolissimo, straziato dal dolore e dalla malattia, ma non povero, in quanto aveva ereditato un capitale di 42 milioni di franchi francesi, ovvero l'equivalente odierno di 6 milioni e mezzo di Euro, ora aveva un unico desiderio, quello di non mancare ad una promessa fatta a sua madre. Nel Dicembre del 1905 si ricovera così in una clinica nel tentativo di guarire dai suoi mali: l'asma, l'insonnia e l'esaurimento nervoso. Ma dopo solo sei settimane abbandona la cura e va ad abitare in un appartamento di boulevard Hausmann, appartamento che egli farà successivamente foderare di sughero per isolarlo dai rumori esterni. Ritiratosi sostanzialmente dal mondo e conducendo una vita claustrale, in una solitudine che egli definì da "Arca di Noè", iniziò a lavorare alla sua imponente opera: Alla ricerca del tempo perduto (un grande ciclo narrativo costituito da sette opere). La prima di queste (Dalla parte di Swann) Proust l'aveva già terminata nel 1911. Per essa però l'autore non riuscì a trovare un editore che fosse disposto a pubblicarla. E cos', nel 1913, la fece uscire a sue spese da Colin. I tre volumi successivi (All'ombra delle fanciulle in fiore, I Guermants, Sodoma e Gomorra) furono tutti editi da Gallimard negli anni che vanno dal 1919 al 1922. Tra l'altro, nel 1919, con all'ombra delle fanciulle in fiore ottenne il premio Goncourt. E sulla scia della sua fama letteraria, che si stava consolidando in Francia e all'estero, l'anno successivo gli venne conferita la Legion d'Onore. Le ultime tre opere del ciclo (e cioè: La prigioniera, Albertine scomparsa, Il tempo ritrovato) vedranno luce postume tra il 1923 e il 1927. Infatti Proust muore nell'ottobre del 1922 mentre stava correggendo manoscritti e dattiloscritti della sua opera, a cui aveva posto fine solo nella primavera di quell'anno. Il 1905 è stato per Montesquiou e Proust l’anno dei lutti inconsolabili. Nell’arco di pochi mesi entrambi perdono le persone più amate nella loro vita. Rispettivamente, Gabriel Yturri, segretario personale, amico fraterno e amante di Robert, e Jeanne Weil, madre di Marcel. Dall’epistolario si riproducono qui la lettera di Proust che risponde alle condoglianze del conte e la toccante, ispirata poesia che Montesquiou dedica all’amico. A Robert de Montesquiou, poco dopo il 28 settembre 1905 Caro signore, Non so come potrò mai ringraziarvi di tante gentilezze. Quando sarò, non dico meno infelice giacché non lo sarò mai, ma meno gravemente malato di adesso, appena potrò parlare e alzarmi, verrò da voi. La vostra pietà verso il mio sconforto è una interpretazione nuova e magnifica del Car la feuille de lys est tournée au-dehors. Ed è in questi momenti che voi siete «più splendido di Salomone in tutta la sua gloria». Giacché «l’ordine della carità è al di sopra di tutti gli altri». La mia vita oramai ha perduto il suo unico scopo, la sua unica dolcezza, il suo unico amore, la sua unica consolazione. Ho perduto colei la cui incessante premura mi portava, in forma di quiete e tenerezza, l’unico miele della mia vita che ancora assaporo a tratti con orrore, in quel silenzio che ella sapeva far regnare così profondamente per tutto il giorno accanto al mio sonno, e che, grazie all’abitudine dei domestici da lei istruiti, sopravvive ancora per inerzia alla sua cessata attività. Sono stato abbeverato da tutti i dolori, l’ho perduta, l’ho vista soffrire, credo che abbia saputo che stava per lasciarmi, senza potermi fare quelle raccomandazioni che per lei, forse, era angosciante tacere; ho la sensazione di essere stato, per via della mia pessima salute, il dispiacere e la preoccupazione della sua vita. La stessa eccessiva smania di rivederla mi impedisce, quando penso a lei, di percepire quel che accade sotto i miei occhi, salvo da un paio di giorni due immagini particolarmente dolorose della sua malattia. Non riesco più a dormire e se per caso mi assopisco il sonno, più prodigo di dolore della mia coscienza desta, mi opprime con pensieri atroci che, perlomeno, quando sono sveglio la ragione cerca di dosare, e di contrastare quando diventano insopportabili. Una sola cosa mi è stata risparmiata. Il tormento di morire prima di lei e di sentire l’orrore che un tale evento le avrebbe procurato. Ma lasciarmi per l’eternità, sapendomi così incapace di lottare nella vita, dev’essere stato per lei un supplizio davvero grande. Deve aver compreso la saggezza dei genitori che prima di morire uccidono i loro bambini. Come diceva la suora che la curava, per lei avevo sempre quattro anni. Perdonatemi caro signore, Esiodo ha detto che gli infelici son o chiacchieroni e ben disposti a parlare delle loro pene. Ma tra tutti i dolori s’instaura una specie di fraternità. «Così il povero è fratello di Gesù Cristo». Non dimenticherò mai la vostra dolcezza, la vostra bontà, la vostra magnanima pietà. Il vostro profondamente grato, Marcel Proust. Read the full article
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Giovanni Santese: è il turno di "Algoritmo"
Da venerdì 24 marzo 2023 è disponibile in rotazione radiofonica e su tutte le piattaforme di streaming digitale "Algoritmo", il nuovo singolo di Giovanni Santese e al via lo scorso 18 marzo da Pesaro il FOREVER VECCHIO TOUR.
"Algoritmo" racconta di un futuro distopico, in cui l'umanità è in preda agli istinti e alla follia, ma è talmente schiava degli algoritmi che anche i gesti più crudeli e disumani vengono giustificati come le risposte ai comandi di una macchina, e nessuno ormai vi si può sottrarre.
La canzone vuole portare all'assurdo la realtà di un presente in cui l'uomo non decide più nulla, si lascia guidare dagli algoritmi nei software ed ha sempre meno consapevolezza della propria vita.
Il finale è tragico e senza speranza: quando le macchine inizieranno a provare emozioni, impietosite e con le lacrime agli occhi, porranno fine al genere umano.
Il brano anticipa l'uscita del nuovo album previsto per la primavera del 2023.
Spiega l'artista a proposito del brano: "Algoritmo racconta di un futuro distopico in cui l'umanità obbedisce ciecamente ai comandi degli algoritmi, compiendo i gesti più crudeli e disumani".
Il videoclip di "Algoritmo" creato con l'intelligenza artificiale è una sequenza di immagini assurde e surreali, realizzate da differenti software generatori di arte. Inserendo come comando nel software una serie di frasi estrapolate dal testo e alcune astrazioni compiute a partire dal senso originario del brano, l'A.I. ha creato questo immaginario impossibile, in cui i leopardi e le tigri scattano selfie in piscina, i gatti piangono e i robot fanno il circo.
Guarda qui il videoclip:
https://youtu.be/SPmqlk1o82g
Dopo la data del 18 marzo a Pesaro, farà tappa sabato 1° aprile allo Spazio Porto d Taranto il FOREVER VECCHIO TOUR, lo spettacolo di canzoni e parole che porterà in giro in tutta Italia il nuovo disco FOREVER VECCHIO. La regia dello spettacolo è di Lorenzo Kruger, che ha scritto insieme a Giovanni Santese i monologhi che intervallano i brani ed ha curato il concept del concerto, la scenografia e i costumi. Il concerto è un grande trasloco di parole e canzoni, dal vecchio al nuovo e viceversa. La scenografia è un insieme di giganteschi fogli volanti con sopra appunti di canzoni.
I primi concerti (calendario in aggiornamento) saranno un'anteprima assoluta del disco che verrà suonato integralmente prima dell'uscita.
Biografia
Giovanni Santese è un cantautore italiano.
Il suo album d'esordio, prodotto da Taketo Gohara, sarà pubblicato nella primavera 2023 per Irma Records. In precedenza, ha pubblicato come non giovanni altri due album: "Ho deciso di restare in Italia" (2014 - Irma Records) finalista per l'assegnazione della Targa Tenco come Migliore Opera Prima 2015, e "Stare Bene" (2017 - Irma Records).
Ai precedenti due dischi sono seguite numerose date live in band e in acustico, che hanno toccato le principali città d'Italia e i club del circuito indipendente.
Dopo "Questo amore", "Dobbiamo fare bellezza", "Algoritmo" è il nuovo singolo di Giovanni Santese in radio e in digitale dal 24 marzo 2023.
https://www.giovannisantese.it/
https://www.instagram.com/giovanni_santese/
https://www.facebook.com/santesecanzoni
https://open.spotify.com/artist/7qkhMrcsJp0zcStjfl6ZVW?si=xw_KHvJfRpqSi0GvpddzFg&nd=1
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Elena Bono, raccontare la passione di Gesù
La scrittrice che narrò la vita di Gesù con grazia e poesia…. Elena Bono nacque a Sonnino, in provincia di Latina, il 29 ottobre 1921, il padre era uno studioso della letteratura classica e per via del suo lavoro la famiglia si trasferì presto a Recanati, dove la Bono si interessò profondamente a Giacomo Leopardi e disse di questo legame che "La notte è troppo pesante sopra il mio capo" Elena aveva 10 anni quando la famiglia si stabilì a Chiavari, in Liguria, dove il padre era preside del liceo classico e li si esercitò sui classici greci e latini, tradusse Sofocle ed iniziò a scrivere. Il primo “risveglio alla storia”, come lo definì, fu dopo l’8 settembre 1943, quando vide i soldati italiani in rotta e una vecchietta che si scagliò contro due SS che li inseguono. La Bono nell’Appennino entrò in contatto con le formazioni partigiane della zona e riportò informazioni su imminenti rastrellamenti. Una gran parte delle opere di Elena si ispira alla Resistenza, coma la trilogia Uomo e Superuomo che include Come un fiume come un sogno, Una valigia di cuoio nero e Fanuel Nuti. Ma è nelle sue poesie che questi temi assumono valenza esistenziale e universale tra le liriche di Piccola Italia e le Stanze per Rinaldo Simonetti “Cucciolo” in ricordo di un bambino fucilato. Negli anni Cinquanta la Bono fu l’autrice di punta di Garzanti insieme a Pasolini, che voleva trarre un film da un suo libro ma lei gli disse di no, come fece poi anche con Visconti. Per l’editore milanese pubblicò a breve distanza le liriche I galli notturni nel 1952, l’opera teatrale Ippolito nel 1954, i racconti Morte di Adamo nel 1956, con il racconto La moglie del procuratore, su Claudia, la consorte di Ponzio Pilato, e le poesie Alzati Orfeo nel 1958. Da allora la Bono scrisse non solo poesie ma anche romanzi, opere teatrali e, la biografia del capo partigiano Aldo Gastaldi, che conobbe durante la guerra quando era sfollata a Bertigaro sull’Appennino ligure in seguito al bombardamento di Chiavari. Ma il successo durò poco, infatti Elena, non aderì alle avanguardie letterarie di moda, rifiuta tanto l’ermetismo quanto gli sperimentalismi seguenti, scegliendo una poetica legata alla fede religiosa e la lezione stilistica dei classici greci e latini, dei poeti orientali, di Foscolo e Leopardi. Nella sua casa in Liguria accolse volentieri chi desiderava conoscerla e le scolaresche che andavano a trovarla fino alla scomparsa, avvenuta il 26 febbraio 2014 dopo una lunga malattia. Gran parte del lavoro della Bono è riemersa grazie ad un piccolo editore di Recco, Le Mani, che nel 2007 fece uscire l’opera omnia poetica e il suo teatro. Read the full article
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...alta, vagamente androgina e dotata di occhi verdi incredibilmente grandi e inquietanti, la Marchesa Casati, nata nel 1881 in una famiglia di industriali milanesi di origine austriaca, dedicò la vita intera a divenire «un'opera d'arte vivente». Ovunque andasse creava scandalo. Si abbigliava con pitoni veri intorno al collo, passeggiava con leopardi dai collari tempestati di diamanti, dava feste sfarzose nei suoi palazzi di Parigi e di Venezia (ma una volta affittò tutta piazza San Marco). Attorno a sé ebbe i maggiori artisti europei degli anni Venti e Trenta, da D'Annunzio a Cocteau, da Marinetti a Kerouac, da Man Ray a Cecil Beaton, da Boldini ad Augustus John, per i quali fu musa ispiratrice, mecenate e, spesso, amante. Autentica maga dei travestimenti, riuscì a essere il massimo della trasgressiva modernità della sua epoca. Morì nel 1957 dopo aver sperperato tutta la sua ricchezza, ma senza nessun rimpianto. E senza essere dimenticata: alla Marchesa Casati, «mito» del ventesimo secolo, Dior ha infatti dedicato una sfilata nel 1998...(dal risvolto di copertina...) #ravenna #booklovers #instabook #igersravenna #instaravenna #ig_books #consiglidilettura #librerieaperte #biografia #marchesacasati (presso Libreria ScattiSparsi Ravenna) https://www.instagram.com/p/Cotm6n8ohEJ/?igshid=NGJjMDIxMWI=
#ravenna#booklovers#instabook#igersravenna#instaravenna#ig_books#consiglidilettura#librerieaperte#biografia#marchesacasati
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“Sono un uomo senza passato
me ne infischio del mio passato
il mio passato è una bambina
di sette anni che andava in cartiera
e che io ho chiamato madre
i miei casi meschini
sono meno che merda
di fronte alla sua paura
alle sue piccole gioie così piccole
che la storia non potrà registrare
nel mio passato c’è un uomo
che ha impastato milioni di pani
e che io ho chiamato padre
il mio passato è il suo odio
per il suo padrone
il suo amore per i gatti
la sua docile morte
io amo il mio passato
Lenin Marx Giulio Cesare Mosè
sono il mio passato
Gesù Cristo e lo schiavo
che costruì le piramidi
tutti gli umiliati e gli offesi dei millenni
il pitecantropo e il suo fuoco magico
Leopardi Dante e Socrate e mia nonna
che insegnava a cantare nella sua chiesa paesana
le montagne sono il mio passato
i laghi prealpini e i loro pesci
le stelle e i loro pianeti
le candele e i loro altari
le trottole i mitragliatori
i nidi delle processionarie
il Vangelo il Corano di Vittorio
gli occhiali di Togliatti
i fuochi della Rivoluzione d'Ottobre
Robespierre e la sua ghigliottina
Gandhi e il suo fuso
Spinoza e il suo latino
Rabelais e i suoi giochi di parole
Breton Orazio Sacco e Vanzetti
Pinelli è il mio passato
la Ghirlandina e i suoi morti
San Gemignano e le sue torri
Dostoevskij primo amore
Tolstoj fiume senza parole
i bachi da seta sono il mio passato
i dinosauri Hitler Mussolini
Churchill Stalin Roosevelt Moscatelli
e persone che voi non conoscete
morti che io non ho conosciuto
tutto ciò che saprò
tutto quello che non saprò mai
e le alghe in fondo ai mari
i mari in fondo all’universo
l'universo in fondo ai suoi microbi
le lune in fondo ai loro cieli
le parole in fondo alle loro vene
i pazzi i profeti gli assassini i preti
i poeti i lebbrosi i dervisci
gli impiegati d’ordine
i manovali portatori di terra
lo zio disperso nelle Americhe del Sud
le sue ossa spolpate dalla lontananza
io sono il mio passato
il vostro presente
l’avvenire di tutti
me ne infischio del mio nome
posso perdermi senza rimpiangermi
come si perdono i capelli
sotto le forbici del parrucchiere
come si perde il sole ogni sera
come si perdono le parole
con cui si finge di vivere,
di essere un tale, quel tale,
questo tale,
questo stronzo"
(Versi di Gianni Rodari. Sono praticamente sconosciuti e furono trovati postumi dall'autore della sua biografia, Marcello Argilli, tra i quaderni privati dello scrittore)
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San Marino, 8 giugno. Mi saltano i nervi per il digiuno e la fatica come avessi scalato a piedi questa montagna. Fuori dell'albergo schiamazzi di bande alemanne. Il paesaggio è di eccezionale bellezza ma il luogo è stupidamente turistico e ha perso ogni elementare rapporto con la verità. Una Svizzera più tonta, più arida, tutta prosciugata dal denaro. Mangio senza piacere, coi congressisti ayurvedici, di malumore, con poca voglia di rimanere. [...] Il panorama sammarinese sarebbe divino se non fosse panorama se non lo guastassero tutti quegli occhi che vengono qua a guardarlo. Sono le 7 di domenica 9 giugno, c'è calma. Anzi non si vede nessuno. Circolano soltanto spazzini in tuta su macchinoni bianchi e blu. Da un'ora percorro un corretto, innocuo e superfluo deserto...[...] Una delle partecipanti al congresso mi pratica massaggiandomi con abili mani un lungo drenaggio linfatico, procurandomi grande conforto. Si parla di ficcare nel calcolatore anche tutte le informazioni sulle terapie yoga... [...]
Di Kant e del suo credere in tarda età nella reincarnazione (in vecchiaia queste cose ricompaiono, non appaiono, dunque era già in lui da più anni) mi accenna con mistero un farmacologo di Milano dall'aria ammaliata che lavora con uno psichiatra il quale si serve di un apparecchio elettrico detto Biofeedback, "Risposte interne agli stimoli esterni biologici", per valutare le reazioni cerebrali in psicologia comportamentale. Il farmacologo su Kant non si sofferma perché va rincorrendo altri fantasmi, ma eccone ugualmente evocata, all'improvviso, e agitata da un pensiero d'Oriente, la siluetta fragile col codino tabernacolo d'incomparabile. Così lo rivedo, e di Kant più ne sai più ti diventa simpatico. Qualcuno mi indica un pranoterapista di nome Romeo, esorcista e demonologo, che sta a Pisa, che parla con le entità luminose. Nella biografia del russo Arsenij Guyga lo ritrovo così: "Kant era alto 1, 57 e dall'aria fragile; alla diligenza di sarti e parrucchieri ricorreva per rendersi elegante; piaceva per i capelli biondo-chiari, gli occhi azzurri, la fronte ampia, il portamento." Al contrario di Leopardi che amava il démodé, Kant seguiva attentamente le mode. Tricorno, parrucchino incipriato, redingote color cannella con un nastro nero, galloni dorati e bottoni ricoperti di seta; panciotto e calzoni del medesimo colore, camicia bianca di pizzo, calze grigie di seta, scarpe con fibbie d'argento e spadino al fianco. Il biografo riporta una lettera galante che gli scrisse una bellezza di Konigsberg, allora di ventitrè anni (sposata da dieci) il 13 giugno 1762 per invitarlo ad un incontro. La lettera dice "il mio orologio sarà caricato". Tristram Shandy, il successo dell'epoca, parlando del padre racconta che per lui "ricaricare il pendolo" era il segnale, per la madre, dell'atto coniugale. E' una gioia sapere che Kant non sia vissuto in monaxià assoluta, appena profumata di eleganza personale, senza luce di donne e che orologi e pendoli femminili siano stati caricati e ricaricati per lui. ("L'uomo non può godere di nessun piacere nella vita senza la donna: ipse dixit). Ma forse rinunciò a quell'appuntamento... da G. Ceronetti, La pazienza dell'arrostito
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“Imitazione di Giacomo Leopardi”: un viaggio poetico tra fragilità e destino. Recensione di Alessandria today
La poesia si apre con una domanda diretta, in cui la foglia, fragile e lontana dal ramo che l’ha generata, è trasportata dal vento
“Imitazione di Giacomo Leopardi” è una poesia che incarna l’essenza dello stile leopardiano, esplorando con delicatezza il tema della fragilità umana e del destino che guida ogni esistenza. Il testo, costruito con versi brevi e musicali, offre una riflessione profonda sul senso del viaggio e sulla transitorietà della vita, usando l’immagine simbolica della foglia come metafora del pellegrinaggio…
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Una favola
Certamente la tua vita è stata una tragedia, caro Giacomo. A me però sembra anche una favola, di quelle che non ti stanchi mai di riascoltare, e che lascia una speranza dentro, perché ha una morale. Apro il pesante libro che va sotto il titolo di Puerili e abbozzi vari, ne scorro le prime pagine fino ad arrivare alle date del 1810, quando avevi 12 anni: vengo attratta dal nome di Paolina, tua sorella, che ricorre in più d'un componimento poetico scherzoso.
Vostro padre, oltre a fornirvi di una palestra in casa e di attrezzi per la ginnastica in giardino, vi fornì anche di una palestra per la mente, la famosa biblioteca, aperta anche ai concittadini. E, per motivarvi nello studio, fondò un'accademia in cui, fin da bambini, poteste fare sfoggio dei vostri progressi, ricevendo il plauso di precettori, sacerdoti e letterati. Da bambino, non soffrivi di ansia: al contrario, era gratificante per te essere riconosciuto, piuttosto facilmente e senza che lo sforzo dello studio ti sottraesse ai giochi, come un prodigio di capacità d'apprendimento e di memoria, guardato con ammirazione dagli uomini e vezzeggiato dalle signore.
Il primo componimento dedicato a Paolina, è un'istantanea della situazione in cui tu le facesti da esaminatore, sotto la supervisione di altri due personaggi, perché ella entrasse a far parte dell'accademia. Tu le rivolgi parole di elogio e incoraggiamento, con una venerazione e una delicatezza, un senso di protezione, che troverò anche in seguito, in alcune lettere che le indirizzasti da adulto. In una poesia, prendi le sue vesti e la impersoni, esprimendo la sua preoccupazione per l'esame e la sua manifesta umiltà, che è come una richiesta di clemenza. In un'altra poesia rendi, pur in tono scherzoso, il rimpianto per la sua trasformazione da bambina, con cui si può giocare spensieratamente, a signorina, che monta sulle ire per uno scherzo che passi anche di poco il segno della sua nuova suscettibilità.
Paolina, lo dicono tutti, non era bella, però era ben istruita e molto intelligente, e queste erano qualità che tu le riconoscevi, e forse enfatizzavi, proprio allo scopo di proteggerla e farla soffrire meno per quella inquieta sensibilità che la contraddistingueva. Forse sapevi che ella stessa non si riteneva bella, così, ad esempio, quando per lettera ti chiede conferma della rinomata bellezza delle contadine toscane, tu le dici che non te n'è sembrato nulla di speciale. Anche quando le descrivi la principessa Charlotte Bonaparte, da poco conosciuta, specifichi subito che non è bella, ma che è versata nelle lettere e nel disegno, e ciò la rende affascinante, suggerendo che in una donna ciò che conta non è la mera avvenenza fisica. Non le fai menzione della bellissima Fanny Targioni-Tozzetti, che in realtà è la donna che adori, al punto da ingenerare in Paolina e in tuo fratello Carlo, l'equivoco che tu sia innamorato di Charlotte. Tu sai bene chi dovresti amare per le sue intrinseche qualità, e forse ti vergogni persino un po' di amare, invece, quella donna che a Firenze è famosa per la sua bellezza e per i suoi presunti amanti. Scrivi infatti in un tuo pensiero che amare un oggetto non degno, arreca mestizia e disprezzo di sé, e biasimo altrui.
Paolina desiderava sposarsi, ma non trovò mai chi la volle. Gli uomini incostanti la delusero. Fu due volte sul punto di combinare un matrimonio e una volta persino di sposarsi, ma il tutto naufragò, e tu la consolasti con la tua filosofia, cercando di equilibrare la sua calda sensibilità con la tua freddezza stoica. Al calore del camino, nelle sere invernali, le raccontavi della gente che avevi conosciuto in quel "mondo" che "non è bello se non veduto da lontano". Ella, per effetto delle tue narrazioni e considerazioni, che assorbiva come una spugna, divenne sprezzatrice degli uomini. Ma in cuor suo dovette pensare più volte che un uomo, fra tutti, si salvava, ed eri tu, suo fratello Giacomo: avesse trovato uno come te!… Avessi tu potuto amare una come lei, una ragazza che fosse solo "d'ingegno", e non ammantata di "pericolose" bellezza e fama!…
Mi perdonino i leopardisti se nella mia narrazione non vi è la loro esattezza e citazione documentale. Non ho riaperto nessun libro per scrivere le mie poche righe: mi sono affidata soltanto alle suggestioni e al "sapore" che molte letture casuali e fatte in vari periodi mi hanno lasciato…il sapore di una favola, malinconica e perfetta, da narrare sotto altre prospettive e ricombinando elementi reali, altre centinaia di volte.
#amore#biografia#favola#leopardi#pensieri#scrittura#convenzioni sociali#congiuntivo trapassato#ripasso grammaticale#donne#uomini#sogni
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“Sono un uomo senza passato me ne infischio del mio passato il mio passato è una bambina di sette anni che andava in cartiera e che io ho chiamato madre i miei casi meschini sono meno che merda di fronte alla sua paura alle sue piccole gioie così piccole che la storia non potrà registrare nel mio passato c’è un uomo che ha impastato milioni di pani e che io ho chiamato padre il mio passato è il suo odio per il suo padrone il suo amore per i gatti la sua docile morte io amo il mio passato Lenin Marx Giulio Cesare Mosè sono il mio passato Gesù Cristo e lo schiavo che costruì le piramidi tutti gli umiliati e gli offesi dei millenni il pitecantropo e il suo fuoco magico Leopardi Dante e Socrate e mia nonna che insegnava a cantare nella sua chiesa paesana le montagne sono il mio passato i laghi prealpini e i loro pesci le stelle e i loro pianeti le candele e i loro altari le trottole i mitragliatori i nidi delle processionarie il Vangelo il Corano Di Vittorio gli occhiali di Togliatti i fuochi della Rivoluzione d'Ottobre Robespierre e la sua ghigliottina Gandhi e il suo fuso Spinoza e il suo latino Rabelais e i suoi giochi di parole Breton Orazio Sacco e Vanzetti Pinelli è il mio passato la Ghirlandina e i suoi morti San Gemignano e le sue torri Dostoevskij primo amore Tolstoj fiume senza parole i bachi da seta sono il mio passato i dinosauri Hitler Mussolini Churchill Stalin Roosevelt Moscatelli e persone che voi non conoscete morti che io non ho conosciuto tutto ciò che saprò tutto quello che non saprò mai e le alghe in fondo ai mari i mari in fondo all’universo l'universo in fondo ai suoi microbi le lune in fondo ai loro cieli le parole in fondo alle loro vene i pazzi i profeti gli assassini i preti i poeti i lebbrosi i dervisci gli impiegati d’ordine i manovali portatori di terra lo zio disperso nelle Americhe del Sud le sue ossa spolpate dalla lontananza io sono il mio passato il vostro presente l’avvenire di tutti me ne infischio del mio nome posso perdermi senza rimpiangermi come si perdono i capelli sotto le forbici del parrucchiere come si perde il sole ogni sera come si perdono le parole con cui si finge di vivere, di essere un tale, quel tale, questo tale, questo stronzo”
(questi versi abissali - che se potessi ruberei come un morto di fame vero ruba i frutti del campo a un contadino - sono di fatto semisconosciuti. mi capitarono sotto gli occhi una dozzina d’anni fa circa, leggendo una biografia su Gianni Rodari (Omegna, 23 ottobre 1920 – Roma, 14 aprile 1980), morto ieri quarant'anni or sono. un testo mai pubblicato e immagino non per caso. se non erro fu ritrovato postumo fra i suoi quaderni privati dall’autore stesso della biografia, Marcello Argilli. ma non c’è altro da aggiungere, io penso: ha detto tutto Rodari in questo suo squarcio vertiginoso scavato a suon di parole. ma davvero, tutto.]
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Che rapporto avete con Leopardi? I vostri professori sono riusciti a trasmettervi la forza e il senso delle sue poesie? Per quanto mi riguarda, fino all'università il nome Leopardi mi suscitava all'istante noia e un'idea di poesia difficile, lontana dal me ventenne. Poi, per fortuna, ho incontrato i saggi di Blasucci, in particolare quello dedicato all'Infinito, che mi hanno finalmente fatto comprendere (per quanto può comprenderlo un ragazzo del 2000) il mondo leopardiano e mi hanno fatto capire che, semplicemente, alle superiori non ero ancora pronto per i suoi scritti. Questa biografia è una delle più apprezzate su Leopardi e restituisce il valore di un poeta racchiuso nel suo mondo interiore e che dal suo mondo interiore continua a parlarci. . . . Presto su: www.seunanottedinvernounlibro.it #libro #libri #libreriaonline #libreria #book #books #bookstagram #biografia #seunanottedinvernounlibro #giacomoleopardi #libriusati #librirari #mondadori #leggere #lettura #narrativa #saggistica #saggi https://www.instagram.com/p/B6TEFh4oQXo/?igshid=1ca7e2t7i5q7j
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Mostra Antologica di Paolo Gubinelli “Segni, graffi e colore” (Carte, ceramiche, vetri e progetti in plexiglass) Opere dal 1977- 2021 a cura di Sandro Bongiani 11 dicembre 2021 - 13 febbraio 2022 Via S. Calenda 105/D, 84126 SALERNO (Italy). http://www.collezionebongianiartmuseum.it
Paolo Gubinelli
Biografia
Nato a Matelica (MC) nel 1945, vive e lavora a Firenze. Si diploma presso l’Istituto d’arte di Macerata, sezione pittura, continua gli studi a Milano, Roma e Firenze come grafico pubblicitario, designer e progettista in architettura. Giovanissimo scopre l’importanza del concetto spaziale di Lucio Fontana che determina un orientamento costante nella sua ricerca: conosce e stabilisce un’intesa di idee con gli artisti e architetti: Giovanni Michelucci, Bruno Munari, Ugo La Pietra, Agostino Bonalumi, Alberto Burri, Enrico Castellani, Piero Dorazio, Emilio Isgrò, Umberto Peschi, Edgardo Mannucci, Mario Nigro, Emilio Scanavino, Sol Lewitt, Giuseppe Uncini, Zoren.
Partecipa a numerose mostre personali e collettive in Italia e all’estero.
Le sue opere sono esposte in permanenza nei maggiori musei in Italia e all’estero.
Nel 2011 ospitato alla 54 Biennale di Venezia Padiglione Italia presso L’Arsenale invitato da Vittorio Sgarbi e scelto da Tonino Guerra, installazione di n. 28 carte cm. 102x72 accompagnate da un manoscritto inedito di Tonino Guerra.
Sono stati pubblicati cataloghi e riviste specializzate, con testi di noti critici:
Giulio Carlo Argan, Giovanni Maria Accame, Cristina Acidini, Mariano Apa, Mirella Bandini, Carlo Belloli, Paolo Bolpagni, Mirella Branca, Vanni Bramanti, Anna Brancolini, Carmine Benincasa, Luciano Caramel, Ornella Casazza, Claudio Cerritelli, Bruno Corà, Roberto Cresti, Giorgio Cortenova, Enrico Crispolti, Fabrizio D’Amico, Roberto Daolio, Angelo Dragone, Luigi Paolo Finizio, Alberto Fiz, Paolo Fossati, Carlo Franza, Francesco Gallo, Roberto Luciani, Mario Luzi, Marco Marchi, Luciano Marziano, Lara Vinca Masini, Marco Meneguzzo, Fernando Miglietta, Bruno Munari, Antonio Paolucci, Sandro Parmiggiani, Elena Pontiggia, Pierre Restany, Davide Rondoni, Maria Luisa Spaziani, Carmelo Strano, Claudio Strinati, Toni Toniato, Tommaso Trini, Marcello Venturoli, Stefano Verdino, Cesare Vivaldi.
Sono stati pubblicati cataloghi di poesie inedite dei maggiori poeti Italiani e stranieri:
Adonis, Alberto Bertoni, Alberto Bevilacqua, Libero Bigiaretti, Franco Buffoni, Anna Buoninsegni, Enrico Capodaglio, Alberto Caramella, Roberto Carifi, Ennio Cavalli, Antonio Colinas, Giuseppe Conte, Vittorio Cozzoli, Maurizio Cucchi, Milo De Angelis, Eugenio De Signoribus, Gianni D’Elia, Luciano Erba, Giorgio Garufi, Tony Harrison, Tonino Guerra, Emilio Isgrò, Clara Janés, Ko Un, Vivian Lamarque, Franco Loi, Mario Luzi, Giancarlo Majorino, Alda Merini, Alessandro Moscè, Roberto Mussapi, Giampiero Neri, Nico Orengo, Alessandro Parronchi, Feliciano Paoli, Titos Patrikios, Umberto Piersanti, Antonio Riccardi, Davide Rondoni, Tiziano Rossi, Roberto Roversi, Paolo Ruffilli, Mario Santagostini, Antonio Santori, Frencesco Scarabicchi, Fabio Scotto, Michele Sovente, Maria Luisa Spaziani, Enrico Testa, Paolo Valesio, Cesare Vivaldi, Andrea Zanzotto.
Stralci critici:
Giulio Angelucci, Biancastella Antonino, Flavio Bellocchio, Goffredo Binni, Sandro Bongiani, Fabio Corvatta, Nevia Pizzul Capello, Claudio Di Benedetto, Debora Ferrari, Antonia Ida Fontana, Franco Foschi, Mario Giannella, Armando Ginesi, Claudia Giuliani, Vittorio Livi, Olivia Leopardi Di San Leopardo, Luciano Lepri, Caterina Mambrini, Elverio Maurizi, Carlo Melloni, Eugenio Miccini, Franco Neri, Franco Patruno, Roberto Pinto, Anton Carlo Ponti, Osvaldo Rossi, Giuliano Serafini, Patrizia Serra, Maria Luisa Spaziani, Maria Grazia Torri, Francesco Vincitorio.
Nella sua attività artistica è andato molto presto maturando, dopo esperienze pittoriche su tela o con materiali e metodi di esecuzione non tradizionali, un vivo interesse per la “carta”, sentita come mezzo più congeniale di espressione artistica: in una prima fase opera su cartoncino bianco, morbido al tatto, con una particolare ricettività alla luce, lo incide con una lama, secondo strutture geometriche che sensibilizza al gioco della luce piegandola manualmente lungo le incisioni.
In un secondo momento, sostituisce al cartoncino bianco, la carta trasparente, sempre incisa e piegata; o in fogli, che vengono disposti nell’ambiente in progressione ritmico-dinamica, o in rotoli che si svolgono come papiri su cui le lievissime incisioni ai limiti della percezione diventano i segni di una poesia non verbale.
Nella più recente esperienza artistica, sempre su carta trasparente, il segno geometrico, con il rigore costruttivo, viene abbandonato per una espressione più libera che traduce, attraverso l’uso di pastelli colorati e incisioni appena avvertibili, il libero imprevedibile moto della coscienza, in una interpretazione tutta lirico musicale. Oggi questo linguaggio si arricchisce sulla carta di toni e di gesti acquerellati acquistando una più intima densità di significati.
Ha eseguito opere su carta, libri d’artista, su tela, ceramica, plexiglass, vetro con segni incisi e in rilievo in uno spazio lirico-poetico.
Eng
Paolo Gubinelli, biography.
Born in Matelica (province of Macerata) in 1945, lives and works in Florence. He received his diploma in painting from the Art Institute of Macerata and continued his studies in Milan, Rome and Florence as advertising graphic artist, planner and architectural designer. While still very young, he discovered the importance of Lucio Fontana’s concept of space which would become a constant in his development: he became friends with such artists as :
Giovanni Michelucci, Bruno Munari, Agostino Bonalumi, Alberto Burri, Enrico Castellani, Piero Dorazio, Emilio Isgrò, Ugo La Pietra, Umberto Peschi, Emilio Scanavino, Edgardo Mannucci, Mario Nigro, Sol Lewitt, Giuseppe Uncini, and Zoren, and established a communion of ideas and work.
His work has been discussed in various catalogues and specialized reviews by such prominent critics as:
Many others have also written about his work:
Giulio Carlo Argan, Giovanni Maria Accame, Cristina Acidini, Mariano Apa, Mirella Bandini, Carlo Belloli, Paolo Bolpagni, Mirella Branca, Vanni Bramanti, Anna Brancolini, Carmine Benincasa, Luciano Caramel, Ornella Casazza, Claudio Cerritelli, Bruno Corà, Roberto Cresti, Giorgio Cortenova, Enrico Crispolti, Fabrizio D’Amico, Roberto Daolio, Angelo Dragone, Luigi Paolo Finizio, Alberto Fiz, Paolo Fossati, Carlo Franza, Francesco Gallo, Roberto Luciani, Mario Luzi, Marco Marchi, Luciano Marziano, Lara Vinca Masini, Marco Meneguzzo, Fernando Miglietta, Bruno Munari, Antonio Paolucci, Sandro Parmiggiani, Elena Pontiggia, Pierre Restany, Davide Rondoni, Maria Luisa Spaziani, Carmelo Strano, Claudio Strinati, Toni Toniato, Tommaso Trini, Marcello Venturoli, Stefano Verdino, Cesare Vivaldi.
His works have also appeared as an integral part of books of previously unpublished poems by major Italian poets foreigners:
Adonis, Alberto Bertoni, Alberto Bevilacqua, Libero Bigiaretti, Franco Buffoni, Anna Buoninsegni, Enrico Capodoglio, Alberto Caramella, Ennio Cavalli, Antonio Colinas, Giuseppe Conte, Vittorio Cozzoli, Maurizio Cucchi, Milo De Angelis, Eugenio De Signoribus, Gianni D’Elia, Luciano Erba, Giorgio Garufi, Tony Harrison, Tonino Guerra, Emilio Isgrò, Clara Janés, Ko Un, Vivian Lamarque, Franco Loi, Roberto Luciani, Mario Luzi, Giancarlo Majorino, Alda Merini, Alessandro Moscè, Roberto Mussapi, Giampiero Neri, Nico Orengo, Ko Un, Alessandro Parronchi, Feliciano Paoli, Titos Patrikios, Umberto Piersanti, Antonio Riccardi, Davide Rondoni, Tiziano Rossi, Roberto Roversi, Paolo Ruffilli, Mario Santagostini, Antonio Santori, Frencesco Scarabicchi, Fabio Scotto, Michele Sovente, Maria Luisa Spaziani, Enrico Testa, Paolo Valesio, Cesare Vivaldi, Andrea Zanzotto.
CRITICAL EXCERPTS:
Giulio Angelucci, Biancastella Antonino, Flavio Bellocchio, Goffredo Binni, Sandro Bongiani, Fabio Corvatta, Nevia Pizzul Capello, Claudio Di Benedetto, Debora Ferrari, Antonia Ida Fontana, Franco Foschi, Mario Giannella, Armando Ginesi, Claudia Giuliani, Vittorio Livi, Olivia Leopardi Di San Leopardo, Luciano Lepri, Caterina Mambrini, Elverio Maurizi, Carlo Melloni, Eugenio Miccini, Franco Neri, Franco Patruno, Roberto Pinto, Anton Carlo Ponti, Osvaldo Rossi, Giuliano Serafini, Patrizia Serra, Maria Luisa Spaziani, Maria Grazia Torri, Francesco Vincitorio.
He participated in numerous personal and collective exhibitions in Italy and abroad. Following pictorial experiences on canvas or using untraditional materials and techniques, he soon matured a strong interest in “paper” which he felt the most congenial means of artistic expression. During this initial phase, he used a thin white cardboard, soft to the touch and particularly receptive to light, whose surface he cut with a blade according to geometric structures to accent the play of light and space, and then manually folded it along the cuts.
In his second phase, he substituted thin white cardboard with the transparent paper used by architects, still cutting and folding it, or with sheets arranged in a room in a rhythmic-dynamic progression, or with rolls unfurled like papyruses on which the very slight cuts challenging perception became the signs of non-verbal poetry.
In his most recent artistic experience, still on transparent paper, the geometric sign with its constructive rigor is abandoned for a freer expression which, through the use of colored pastels and barely perceptible cuts, translates the free, unpredictable motion of consciousness in a lyrical-musical interpretation.
Today, he expresses this language on paper with watercolor tones and gestures which lend it a greater and more significant intensity.
He made white and colour pottery where engraved and relief signs stand out in a lyrical-poetic space.
- Le opere su vetro realizzate per Fiam Italia Pesaro, esposte nella collezione a Villa Miralfiore
- Le opere su ceramica realizzate: Ceramiche Biagioli Gubbio, Ceramiche Bizzirri, Città di Castello
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19 apr 2021 09:45
QUALE È IL LIBRO ITALIANO PIÙ TRADOTTO AL MONDO? SE STATE PENSANDO A DANTE LA RISPOSTA È SBAGLIATA. IL PRIMATO È DI “PINOCCHIO” DI CARLO COLLODI CHE È DISPONIBILE IN ALMENO 260 LINGUE, DALL'ARMENO AL TAIWANESE, PIÙ UNA CHE IN REALTÀ È UN DIALETTO (IL MILANESE) - SUBITO DOPO C'E' IL PRIMO ROMANZO DELLA SERIE DI "DON CAMILLO" DI GIOVANNINO GUARESCHI CON 59 TRADUZIONI. TERZO GRADINO PER "IL NOME DELLA ROSA" DI UMBERTO ECO CON…
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Luigi Mascheroni per "www.ilgiornale.it"
Pinocchio's Adventures in Wonderland. Pinocchios äfventyr. Pinokkio. Pinocchiova dobrodruzstvi. Pinukyu. Thang nguòi gô. Phajonphai dek dong. Mu ou qi yun ji. L'avventuri ta' Pinokkjo... Come si dice Pinocchio in tutte le lingue del mondo? Inglese, svedese, ceco, arabo-egiziano, vietnamita, cinese, maltese...
La domanda se la sono posti in molti, molte volte. Chi è lo scrittore italiano più tradotto nel mondo? La prima risposta - Dante - è sempre sbagliata. E così, un anno fa Sergio Malavasi, il Richelieu della bibliofilia, libraio antiquario d'eccellenza e motore umano di maremagnum.com (il sito più avanzato dove cercare libri antichi, moderni, fuori catalogo e introvabili), ha provato a risolvere la questione. E grazie all'aiuto della giovane ricercatrice, Noemi Veneziani, la quale per mesi ha scandagliato la Rete, gli archivi e le Fondazioni degli scrittori, oggi ha finalmente in mano il responso, di carta ça va sans dire.
Eccolo qua: un piccolo ma eccezionale repertorio (che esce sotto la sigla MareMagnum in poche copie per collezionisti, ma scaricabile gratuitamente in pdf sul sito) dal titolo Quale è il libro italiano più tradotto al mondo? Risposta (e bisogna credere a quel bugiardo di burattino): Pinocchio. Numero totale di lingue in cui è tradotto: 260, dall'armeno al taiwanese, più una che in realtà è un dialetto. Il milanese. Fanno 261 (compresi catalano e basco, o afrikaans ed esperanto...).
Bene. Ma come si è arrivati alla classifica finale?
La prima selezione, l'ha fatta lo stesso Malavasi. Attraverso WorldCat.org, un sito che raccoglie dati dalle biblioteche nazionali di tutto il mondo e che dà l'opportunità di scegliere per titolo e autore tra le 31 lingue più diffuse sul pianeta, ha individuato gli italiani più presenti come numero di edizioni. E scordatevi i Dante-Petrarca-Boccaccio, Ariosto-Machiavelli-Tasso, Foscolo-Leopardi-Manzoni. Il risultato, ovviamente, è molto più popolare. Questo: il Pinocchio di Carlo Collodi, di cui si è detto. Subito dopo viene il primo romanzo della serie di Don Camillo di Giovannino Guareschi con 59 traduzioni. E, sul terzo gradino del podio editoriale, Il nome della rosa di Umberto Eco, romanzo di cui si contano (per ora) 51 versioni.
Nota al testo: WorldCat.org è un luogo in cui si fanno scoperte sorprendenti, tipo che Le mie prigioni di Silvio Pellico conta 31 traduzioni, anche in turco...
Comunque... Il primato quindi va a Pinocchio? Forse. Perché, come è facile immaginare, qui si contano solo le traduzioni ufficiali. Invece, come fa notare Guido Conti nella sua biografia di Guareschi uscita per Rizzoli nel 2008, è difficile quantificare le edizioni di Don Camillo in lingue particolari (si pensi ai mille dialetti africani o asiatici), eseguite normalmente da missionari in giro per il mondo su permesso a titolo gratuito dello stesso Giovannino. Senza tenere conto di un altro criterio di valutazione per quanto riguarda la popolarità di un autore. Se il libro più tradotto, dalle terre australi all'Islanda, è Pinocchio, l'autore, contando l'opera complessiva, e considerando l'intera saga di Don Camillo, è quasi sicuramente Guareschi.
Per il resto, il lavoro curato da Noemi Veneziani offre molti dati, informazioni, stravaganze. Metà delle pagine del libro sono occupate dall'elenco di tutte le edizioni straniere delle tre opere, in ordine cronologico, divise per Paese, con titolo, nome del traduttore, editore e anno di pubblicazione (tipo: Hippeltitsch's Abenteuer Geschichte eines Holzbuben, trad. G.A. Gugen Andrae, Carl Siwinna, Kattowitz, 1905; e stiamo parlando di un'edizione polacca di Pinocchio con illustrazioni di E. Chioftri...).
Ad esempio: proprio nel caso di Pinocchio occorre tenere presente che le edizioni straniere, anche perché è il testo più «antico» fra i tre, sono molto più preziose dal punto di vista bibliofilo, e quindi di maggior valore economico. Poi resta il nodo da sciogliere delle cosiddette «pinocchiate», diffusissime, ossia le versioni alternative della storia rispetto al testo classico. Vale a dire: narrazioni che hanno come protagonista il burattino, ma cambiano ambientazione, personaggi di contorno e avventure. Come Il compagno Pinocchio di Aleksej Nicolaevic Tolstoj, del 1936: è una traduzione, una riscrittura o un romanzo autonomo?
Per quanto riguarda invece l'immenso «Mondo piccolo» di Guareschi, va considerato che la popolarità di Don Camillo fu di certo amplificata dai film - intramontabili - con Fernandel e Gino Cervi (come in qualche modo Pinocchio deve parecchio al celebre cartoon della Disney del 1940). E Le petit monde de don Camillo decuplicò vendite e diffusione.
Una forma di crossmedialità ante web molto efficace. In ambito doncamillesco va poi notato che: 1) negli Stati Uniti, dove il libro uscì nel 1950 dalla casa editrice Pellegrini&Cudahy - moglie americana e marito piacentino - il successo fu tale che, grazie anche ai numerosi «Club del libro» specializzati nella vendita per corrispondenza, le vendite arrivarono in un attimo a toccare le 250mila copie; 2) durante la Guerra fredda, nella versione statunitense la figura di don Camillo fu ulteriormente santificata mentre quella del comunista Peppone resa - diciamo così - più burbera... 3) d'altro canto il libro, vietato da Mosca, conobbe innumerevoli traduzioni clandestine messe poi segretamente in circolazione in tutti i Paesi satellite dell'Urss, dove apparvero «don camilli» in estone, lituano, ungherese, ucraino... Guareschi ecumenico.
E per quanto attiene invece a Il nome della rosa, la fenomenologia editoriale è nota: da bestseller a longseller, il film-thriller di Jean-Jacques Annaud nel 1986, edizioni in una cinquantina di Paesi (il primo Paese a tradurre il libro fu la Polonia, nello stesso 1980, titolo: Imie rózy), versioni in vietnamita con in copertina i volti di Connery e Christian Slater, alla fine oltre 50 milioni di copie vendute nel mondo, di cui 7 milioni in Italia, con tanto di miniserie tv Rai nel 2019 con John Turturro e Rupert Everett...
Postilla: lo stesso Umberto Eco una volta intravide una misteriosa edizione pirata in arabo del suo libro al Cairo. S'intitolava Sesso in convento. O qualcosa del genere.
PS L'editore MareMagnum invita i lettori a segnalare integrazioni e correzioni a [email protected]. Qualche traduzione è certamente sfuggita. Si vince una copia del volumetto.
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Volevo nascondermi | Mariano Iacobellis S.I.
Volevo nascondermi, ultima fatica di Giorgio Diritti, è un film intenso che racconta la ricerca di senso di un uomo, apparentemente abbandonato da tutto e da tutti, che trova finalmente un modo per riuscire a esprimere il suo sfavillante mondo interiore con il disegno e l'arte figurativa.
L'incredibile biografia di Antonio Ligabue, uno dei principali pittori italiani del ‘900 – ma anche una persona che conosceva perfettamente cosa volesse dire soffrire e sentirsi soli nella vita di tutti i giorni – consente allo spettatore di fare un’esperienza visiva che definirei quasi una mistica del colore. Lo spettatore entra nei quadri di Ligabue, fa le stesse sue esperienze, vede con lo stesso occhio, diviene, in qualche modo, anche lui animale. Elio Germano, che aveva già vestito i panni di Leopardi, dà un volto e un’umanità indimenticabili a questo Ligabue, oltre a compiere una prova attoriale vigorosa, di rara freschezza e intensità. Come Ligabue compie la stessa catarsi che l’artista metteva in atto realizzando le sue opere. L’artista prende forma lentamente, si plasma come la creta che lavora, ruggisce come la tigre che dipinge, urla come la scimmia che trasfigura le sue urla più profonde.
La regia, tenera e coinvolgente nel modo di descrivere il mondo della Bassa coi suoi panorami e personaggi, così come poetica e folle nell’entrare nel mondo interiore di Ligabue, rimane molto didascalica e non va ad approfondire i tasselli che ne compongono la sceneggiatura. Il racconto rischia di ancorarsi troppo a una leggerezza di fondo, quasi favolistica, e non tematizza, ad esempio, la durezza degli animi di una popolazione distrutta dalla Seconda guerra mondiale.
Tuttavia il film di Diritti è di solida fattura e di solida onestà emotiva ed evita di essere piattamente illustrativo e caricaturale: non deraglia seguendo altri esempi di ritratto d’artista (Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità di Schnabel, per esempio) ma apre, invece, una finestra sull’umanità stupefacente di uno dei più singolari artisti italiani del Novecento, facendoci entrare in un mondo fatto al contempo di inquietudine, sofferenza, dolore e profonda bellezza.
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