#personaggi pittoreschi
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La squillo e il delitto di Lambrate di Dario Crapanzano: Milano noir tra intrighi e malavita. Recensione di Alessandria today
La prima indagine di Margherita Grande, una squillo determinata a scoprire la verità
La prima indagine di Margherita Grande, una squillo determinata a scoprire la verità Recensione La squillo e il delitto di Lambrate è un romanzo noir ambientato nella Milano del 1951, firmato dall’autore Dario Crapanzano. Protagonista è Margherita Grande, una giovane squillo d’alto bordo che, in seguito all’accusa di omicidio rivolta a un’amica d’infanzia, decide di trasformarsi in…
#Ambientazione italiana#ambientazione storica#anni cinquanta#atmosfera milanese#casa d&039;appuntamenti#contessa astuta#criminalità milanese#critica sociale#Dario Crapanzano#Dopoguerra#Giallo Italiano#Giallo storico#intuizione femminile#intuizione investigativa#investigazione clandestina#investigazione improvvisata#Ironia#La squillo e il delitto di Lambrate#lettura avvincente#ligera milanese#malavita lombarda#Margherita Grande#Milano anni ’50#Milano noir#mistero e suspense#narrativa di qualità.#narrativa noir#noir classico#noir italiano#personaggi pittoreschi
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Beetlejuice (1988)
Tim Burton ci mostra la sua bizzarra visione dell'aldilà in un film folle e geniale
Delirio infernale
Beetlejuice è uno dei primi film della carriera di Tim Burton. Sebbene scegliere tra i suoi lavori sia operazione difficile e complessa, possiamo dire che sia anche uno dei migliori.
A voler essere più precisi, Beetlejuice è uno dei film più completi di Burton, nel senso che contiene già tutti gli elementi che faranno di lui un regista tra i più particolari e unici tra i contemporanei e che sarebbero stati poi sviluppati ampiamente con i lavori successivi.
Che Burton sia un ex disegnatore, è chiaro fin da subito: le sue inquadrature, i colori, i personaggi e ogni aspetto del suo lavoro portano il marchio di un artista del disegno. Inoltre la sua follia visionaria è talmente straripante da riversarsi in ogni sequenza.
Il film si apre con una panoramica del paese in cui la storia è ambientata, che si rivela poi il plastico a cui il protagonista sta lavorando, primo segnale della fusione (o confusione) tra realtà e finzione che troveremo, sia qui che in quasi tutti i film successivi dell'autore.
Beetlejuice è una miscela di atmosfere gotiche e surreali, ma allo stesso tempo ironiche ed eccessive, tanto da suscitare raramente inquietudine e deviare sempre verso la commedia, nonostante la potenzialità horror della storia. Infatti, a pensarci, l'idea dei fantasmi intrappolati nella loro casa, costretti a spaventare e cacciare via i nuovi inquilini, sarebbe potuto diventare un horror in mani diverse e con una sceneggiatura diversa.
Ovviamente Burton la affronta secondo le sue inclinazioni, si procura una sceneggiatura adatta a sfruttare il suo talento visionario (sebbene non accreditato, il soggetto dovrebbe essere anche suo) e a sua volta ne sfrutta tutte le potenzialità nel trasformarla in film.
L'ironia la fa da padrone e pervade tutte le scene di Beetlejuice, dalla splendida e delirante visione dell'aldilà in Burton Style, con il Manuale del novello deceduto e i pittoreschi deceduti in sala d'attesa, al bellissimo contrasto tra la piccola dark Lydia e la sua famiglia mondana. Il tutto culminante nella meravigliosa sequenza della cena al ritmo di Day-O di Harry Bellafonte, che da sola varrebbe il film e un oscar.
L'aldilà di Burton è un luogo infarcito di personaggi bizzarri, macabri quanto buffi, governato da una burocrazia paragonabile a quella dei nostri uffici comunali, con tanto di sala d'attesa, pratiche da affrontare e trafile da seguire.
A concretizzare la visione ironica, nonché onirica, di Burton, troviamo uno splendido e folle Michael Keaton irriconoscibile sotto un trucco che ha valso un oscar al film, assolutamente esplosivo e incontenibile, perfetto nel suo delirio e nella sua interpretazione dell'esorcista di umani, denso di una cattiveria da fumetto che solo Burton poteva portare sullo schermo con tanta efficacia, senza scadere nel volgare nonostante gli eccessi del personaggio.
Ma non sono da meno neanche gli altri caratteristi del film, da Catherine O'Hara e Jeffrey Jones, che dipingono alla perfezione i Deitz, la coppia che prende possesso della casa dei Mailands alla loro morte, a Wynona Ryder, anche lei del tutto a suo agio ed equilibrata nell'ironico ruolo della ragazzina dark e depressa, che l'ha fatta conoscere al grande pubblico, oltre a renderla attrice cult per tutta una generazione di spettatori.
Efficaci anche i due sposini-fantasmi protagonisti del film: Alec Baldwin e Geena Davis, in equilibrio tra romanticismo da coppietta e lo smarrimento della loro condizione di fantasmi inesperti.
Buoni anche gli effetti, considerando i costi contenuti dell'intero film, soprattutto il bellissimo trucco ad opera di Steve LaPorte e Ve Neill, vincitore di un premio oscar, come già accennato.
La musica è di Danny Elfman, come per quasi tutti i lavori di Burton successivi, evocativa e tinta di spettrale euforia, del tutto adatta alla regia ed alla storia.
Il lieto fine del film arriva dopo un susseguirsi di trovate di grande vivacità, lasciando il ricordo di un film frizzante, piacevole e del tutto godibile, condito da una freschezza narrativa che il Burton successivo perderà in parte a favore di temi e tempi più ragionati e maturi.
Volendo a tutti i costi trovare difetti in Beetlejuice, possiamo dire che forse Burton ha messo troppo in un unico film, spinto dalla voglia del quasi esordiente. Questo non ha reso meno bello il film, ma gli ha impedito di dare il giusto risalto alle scene migliori e di rendere il lavoro finale del tutto bilanciato.
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Dalla notte del 24 febbraio del 2022 Putin è entrato nei cuori di coloro che non si sono mai rassegnati all’epilogo della guerra fredda. L’invasione russa ai danni dell’Ucraina ha riattizzato il fuoco antico e mai sopito dell’odio per l’Occidente a guida americana. I talk show televisivi, i giornali, i social hanno contribuito a stappare un vaso di Pandora di risentimento che covava livido dal giorno della caduta del muro di Berlino. Putin ha il demerito di non essere spinto da una qualche ideologia salvifica che mira a distruggere il capitalismo. Eppure, ha riacceso una fiammella che sembrava spenta: l’odioso Occidente non l’avrà vinta.
A questo si deve lo spettacolare rovesciamento della realtà messo in scena, con la complicità del solito mediocre circolo mediatico, dove una serie di pittoreschi personaggi, piuttosto che inorridire di fronte al terrore russo, hanno continuato a concionare sulle colpe dell’Occidente e a considerare gli ucraini come burattini in mano agli americani e altre amenità.
C’è di buono che fino ad oggi la realtà dei fatti, espressa dalle azioni concrete dei governi occidentali, non si è curata più di tanto di questi odiatori e dei loro sogni distopici. Eppure, abbiamo ascoltato e letto ogni sorta di vaneggiamento sull’aggressività della Nato, sul nazismo degli ucraini, sul genocidio del Donbas. Abbiamo visto sedicenti “pacifisti” e sedicenti “partigiani” insolentire un popolo invaso e martoriato per voler continuare a combattere per la propria libertà senza mai e dico mai citare il regime criminale che ha scatenato quella guerra insensata. Ci è toccato sopportare che personaggi, presentati come accademici e studiosi, si siano rivelati megafoni della più ridicola e spudorata propaganda russa. Abbiamo visto politici con ruoli istituzionali correre in soccorso del regime criminale di Putin e puntare il dito contro l’Unione europea e la Nato di cui l’Italia è un membro fondatore.
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La 'famiglia naturale' non esiste: esistono solo i disvalori patriarcali.
La famiglia naturale NON ESISTE: la famiglia è un costrutto sociale. Riproduzione sessuale e cura, educazione di un figlio NON sono fenomeni spontanei e consequenziali negli esseri umani, ma derivanti da usi e costumi introdotti; gli esseri umani sono promiscui.
La consapevolezza di essere geneticamente promiscui e non monogami la ritroviamo non solo nella nostra istintiva attrazione verso tutti coloro che, in contemporanea, ci affascinano sessualmente nel corso della nostra vita, ma nelle stesse promesse matrimoniali di fedeltà al coniuge. Se fossimo predisposti alla monogamia, non sarebbe in alcun modo necessario promettere e/o impegnarci di non tradire sessualmente il partner o di trascorrere accanto a lui tutta l'esistenza (addirittura fino alla morte!).
Con l'avvento dei social, è ritornata in auge la retorica stucchevole su famiglia e genitorialità, rappresentata da quelle migliaia di foto e video melensi con cui comuni cittadini e personaggi famosi violano sistematicamente la privacy dei figli, postandola al mondo intero iscritto (e su ignoti server, da cui è arduo cancellare i dati personali).
Se da un lato troviamo influencer, politici, religiosi che non si fanno problemi a sfruttare l'immagine di minori per costruire e mantenere un alto tenore di vita, dall'altro abbiamo un piccolo gruppo di falliti, che resiste a tutte le intemperie, aggrappandosi a concetti astratti di 'famiglia naturale' per poter ricevere più fondi possibile dai partiti conservatori.
Da ogni lato, con qualsiasi scusante, proviene sempre e comunque la stessa identica pretesa dalla cattedra dei bifolchi: quella che le donne attivino l'incubatrice (che sfornino figli), perché quello sarebbe - secondo alcuni vip e meno vip - lo scopo della vita delle donne.
Nelle società non ancora Civili (quelle costruite su disvalori patriarcali), la promessa di fedeltà, seppur pronunciata da entrambi gli sposi, riguarda soltanto la donna: alla donna non è concessa promiscuità, per il ruolo imposto di accudimento della famiglia - talvolta anche prima di incontrare il compagno per la vita.
Qualora una donna riesca, comunque, in una comunità patriarcale, a raggiungere un buon livello di libertà personale, affrancandosi pure dalla tradizione di dover per forza uscire dalla famiglia d'origine solo in compagnia di un maschio, troverà ad attenderla quel gruppo di comari moleste che De André descrisse in Bocca di rosa.
La moralità cattolica muove ancora pressioni affinché le donne vengano educate, fin da bambine, secondo stereotipi patriarcali; il modello che incarna quell'idea di donna privata d'ogni tipo di potere e volontà, completamente sottomessa al maschio dominante, è la 'vergine maria': una figura femminile molto giovane (bambina) dal vestiario pesante, atto a togliere nell'osservatrice (nella ragazzina indottrinata al cattolicesimo), ogni riferimento alla sua libertà sessuale, alla sana vanità, al diritto all'autodeterminazione.
Il volto 'estasiato', fisso verso un punto immaginario, con cui spesso vediamo dipinta o scolpita la madonna, allude a quel dovere per le donne di allontanare da se stesse ogni pretesa di passione, di piacere umano, di recriminazione, per uniformarsi ad un gregge di donne sconfitte, dallo sguardo vuoto, e dal comportamento spesso isterico (anche nei confronti dei propri figli) causato dalla forte repressione morale.
Le donne che decidono (o sono costrette per problemi economici) di diventare suore, si conformano ai disvalori patriarcali: si vestono in modo da risultare sessualmente inappetibili e svolgono ruoli secondari nella vita della chiesa cattolica - dove ogni decisione e funzione religiosa è affidata solo a uomini, che possono indossare paramenti pittoreschi per evidenziare, man mano che la scala gerarchica sale, quale è il loro potere sugli inferiori di quella scala.
E' un mondo vecchio, retrogrado, infimo per una donna quello della chiesa cattolica: di questa lugubre, tediosa setta di sciamani, parassiti della società umana; è un mondo in declino quello cattolico, che vive di passato: che disconosce ancora l'intelligenza delle donne - ma che saranno le stesse donne a distruggere definitivamente, mettendo fine ad ogni tipo di pregiudizio anche nei loro confronti.
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Barillari annuncia uno sciopero della fame di 24 ore contro il 5G, l'ironia del web: "Complimenti per lo sforzo" Il consigliere della Regione Lazio Davide Barillari è sicuramente uno dei personaggi più pittoreschi della scena politica. Convinto negazionista del Covid (solo ieri twittava, vantandosi, di non indossare la mascherina da un anno e di abbracciare le persone), fomentatore di ogni causa che si ribelli al 'sistema' (ovviamente parteggia per i Io Apro), no-vax e no-5G. Ed è su quest'ultimo argomento che Barillari si è espresso stamattina, con un post su Twitter che farebbe molto ridere, se a postarlo non fosse stato un consigliere regionale. "SONO IN SCIOPERO DELLA FAME PER 24 ORE" scrive Barillari, accompagnando il tweet a un infografica in cui si capisce che il gesto è legato a una protesta per il 5G. Ma come in molti fanno notare, uno sciopero della fame di 24 ore non è esattamente un gesto eclatante: "Sia mai ti venisse un languorino" scrive qualcuno, "Oh, complimenti per lo sforzo" dice un altro utente. globalist
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Aggressiva e spavalda
Sulla polemica Barbero dico solo questo. Le doti per fare carriera sono aggressività e spavalderia nella sua visione del mondo.
Cercando su google il personaggio vedo che è Torinese, quindi avrà forse respirato un po’ l’aria FCA dei tempi d’oro in cui queste due doti erano esattamente quelle con cui si faceva carriera. E infatti negli anni ai vertici sono arrivati uomini di un’incompetenza imbarazzante, ma bravissimi a urlare e credersi i re del mondo (qualcuno l’ho conosciuto). Per la cronaca voci di corridoio mi dicono che Stellantis stia cercando di mettere in panchina tali personaggi coloriti e pittoreschi, ma sono solo gossip.
Dal mio modesto punto di vista credo che l’aria stia cambiando, che i nuovi modelli di leadership non premino questi atteggiamenti, ma il 62enne Barbero forse non lo sa perché credo che da un po’ non abbia più il polso del mondo del lavoro. E comunque la sua opinione sul tema vale quanto la mia, anzi meno perché io almeno sono una donna nel mondo del lavoro, con amiche donne nel mondo del lavoro, tutte ingegneri.
Però se volessi qualche info sul medioevo chiederei a lui.
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La nostra vita, la nostra quotidianità, il nostro "essere" umani raccoglie una miriade di parole, conversazioni, discorsi, incontri e scontri lessicali, schiamazzi ed urla, bisbiglii, detti e non detti, pensieri. In un unico grande calderone milioni di parole raccontano chi siamo o chi, per lo meno, vorremmo essere.
Prima della parola, siamo tutti neonati, innocenti creature che si esprimono attraverso gesti significanti che, per quanto capibili, restano interpretabili. Con il dono della parola ci posizioniamo in una determinata fascia sociale e iniziamo a dare un peso specifico al nostro lessico, diamo valore, appunto, alla parola.
Il significato culturale della parola trascende dalla parola stessa e, come ci insegnano gli antichi latini, la parola può diventare un mezzo di potere che supera l’arma più tecnologica o l’esercito invincibile; prima di diventare "fisicamente" violente, le grandi dittature Novecentesche si sono appropriate delle parole, del lessico, per far breccia negli uomini e nelle donne del tempo e per dare una spiegazione "logica" ad azioni che oggi ci sembrano determinate da pura follia; durante il regime fascista Mussolini portò avanti una vera a propria "bonifica" delle parole volta a «recuperare la purezza dell’idioma patrio» (Mussolini, 1931) ingabbiando così le parole in slogan semplici, di facile comprensione, macisti. Il Me ne frego! è un classico esempio.
Gli stessi slogan che oggi, in una società addormentata o connivente, danno la stura ad un pensiero unico (o massimalista) che riprende il gergo delle dittature e sposta il significato in base a contenuti che devono arrivare "alla pancia" delle persone, devono essere efficaci, diretti, chiari, bonificati, appunto, per tutti e tutte. L’inizio di questo spostamento, una quindicina d’anni fa circa, proprio in concomitanza con l’avvento e l’uso massiccio di internet e dei social network, con il recupero del concetto di degrado, via via diventato sinonimo di povertà, emarginazione, immigrazione (chi non ricorda l’avvento dei sindaci - sceriffi, quota PD) e il ritorno in auge del concetto, del tutto inventato e Ottocentesco, di patria declinato poi nelle varie accezioni ragionali (vedi il Paroni a casa nostra tipicamente veneto).
Il passo è stato brevissimo e l’uso delle parole, accostato ad un mondo del tutto virtuale (Facebook e Twitter su tutti), è diventato il mezzo per conquistare folle gaudenti tra selfie gioiosi e sfogatoi di massa che rasentano la grande ignoranza di un Paese assuefatto alla virtualità dell’odio e della violenza. Che poi, in breve, si è trasformata in realtà (vedi i numerosissimi atti di violenza contro migranti e minoranze che continuano a riempire le cronache italiane).
Passo breve, si diceva. Così oggi le ONG che salvano vite in mare diventano scafisti del mare («Non sarò mai complice di scafisti e ONG» Salvini, 20 gennaio 2019. Solo per portare l’ultimo degli esempi, la bibliografia in questo caso risulta troppo corposa), detto particolarmente caro ai pentastellati e sdoganato con forza dai leghisti [1]; la pacchia, simbolo dello star bene, dell’ozio punk anni Ottanta, è oggi accostata al non far nulla, al mantenimento da parte dello Stato dei migranti costretti all’interno dei centri di accoglienza; e poi, come un fiume in piena, Prima gli italiani, Sicurezza e legalità, Armi, droga e ONG e chi più ne ha più ne metta.
La parola del leader, il Capitano, per usare appunto un termine militaresco calcistico particolarmente caro agli italiani, diventa un mantra quotidiano, dal buongiorno alla buonanotte: Se voi ci siete, io ci sono, Amici che fate oggi, La Pacchia è finita, Dolce domenica Amici, Notte serena Amici (qui mi fermo per rispettabilità verso chi legge), il tutto condito da un sano vittimismo (Il povero Ministro attaccato da tutti, stacanovista d’antan), l’insita capacità di sbattere la faccia dei "nemici" al pubblico ludibrio scatenando così il circo dei parassiti da social network sempre pronti a sfogare i peggiori insulti razzisti e xenofobi.
Un fenomeno, quello della potenza della parola, che si è via via declinato nei vari territori e ha visto la salita in cattedra di personaggi beceri che, sulle orme del Capitano, hanno dato vita ad un nuovo dizionario della lingua italiana con, di pari passo, una regressione culturale, sociale, comunitaria senza precedenti.
Nel gennaio 2017 l’improbabile consigliere comunale di Casapound, Andrea Bonazza, durante una seduta in aula dichiara che «al Parco stazione di Bolzano c’è solo feccia», riferendosi direttamente alla presenza dei migranti [2]; sempre a Bolzano, gennaio 2018, un consigliere leghista, Kurt Pancheri, durante un intervento in aula, definisce «finocchi» gli omosessuali [3]. Basta una breve ricerca online per trovare migliaia di articoli con insulti, più o meno pittoreschi, a migranti e minoranze.
La stessa parola profugo è usata oggi dai più giovani con un’accezione estremamente negativa. «Sei un profugo» è la tipica frase pronunciata per offendere, per dare del nullafacente ad una persona e di fatto entrata nel gergo giovanile al posto della più datata offesa «Sei un gay».
La grande rivoluzione sottoculturale che sta attraversando la nostra società è spinta anche dall’accostamento delle parole: la cosiddetta Legge Salvini è intitolata in realtà "Legge sicurezza e immigrazione" e il messaggio subliminale è molto chiaro: dove ci sono migranti aumenta l’insicurezza, proprio per questo abbiamo scritto una nuova legge!
L’accostamento migranti, sicurezza, degrado e via dicendo (la declinazione negativa potrebbe tendere all’infinito) ricorda da vicino lo stereotipo ebrei e taccagni o nomadi (zingari) e ladri o rapitori di bambini; una volta entrato nel sentire comune, l’accostamento diventa parte integrante del pensiero sociale alimentando così una frattura a tratti incolmabile.
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Il romanzo IPOTESI di CACCIATORE di Ponci Gregorio
Il romanzo psicologico "Ipotesi di Cacciatore" di Ponci Gregorio potrebbe in realtà essere una libera trasposizione in chiave moderna della leggenda del Santo Patrono dei cacciatori Sant'Uberto.
Nato probabilmente intorno all’anno 655 d.c. in Aquitania visse come conte palatino presso la corte di re Teodorico III a Parigi. Sposò la principessa di Lovagnio e, rimasto poi vedovo, divenne predicatore fondando nelle Ardenne un’abbazia che oggi è dedicata a lui e dove riposa la salma del santo.
Dall’XI secolo Sant’Uberto è patrono dei cacciatori e il 3 novembre è noto come il giorno della caccia della festa di Sant’Uberto. Il motivo per il quale fu proclamato patrono dei cacciatori è da cercare nella seguente leggenda: Uberto fu appassionato di caccia e condusse una vita sregolata.
Durante una battuta di caccia avrebbe avuto la visione di un crocefisso tra i palchi di un cervo che lo avrebbe invitato ad abbandonare la sua vita dissoluta e a convertirsi, cosa che egli fece di seguito. Infatti, dopo l’incontro con il cervo smise di andare a caccia e condusse una vita molto semplice.
Il personaggio principale del romanzo, Viscardo, é un cacciatore della provincia pavese, della Lomellina. Trasgressivo e con tratti del carattere che potrebbero essere considerati deprecabili, compiaciuto delle sue molte conquiste amorose che accomuna alle sue prede di più stretto ambito venatorio, può attirarsi l'antipatia e forse l'invidia di più di un lettore.
Ma sarà il suo umanissimo percorso attraverso avventure che toccano i temi della famiglia, dell'amicizia, del lavoro e dell'ambiente di caccia, a farcelo maggiormente conoscere e comprendere più integralmente, insieme ad episodi spassosi ed esilaranti che rendono la trama scorrevole e divertente pur affrontando anche temi scottanti e controversi.
Un libro unico nel suo genere che merita di essere letto con la giusta apertura mentale scevra di preconcetti, gustandosi scene e personaggi pittoreschi e ben delineati. Reperibile sul web all'indirizzo www.ipotesidicacciatore.it oppure su Amazon.
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8-12-2021
Ciao a tutti Lizziers!
🔎Continuiamo con la rubrica #Lizzieconsiglia #ilmercoledìdeigialli
🔎Oggi è il mercoledì dedicato ai gialli. Vi voglio consigliare “Agatha Raisin e la Quiche Letale di M. C. Beaton” l’ho ascoltato su Storytel mentre guido per andare al lavoro, è uno dei momenti che sono riuscita a ritagliarmi nelle mie giornate impegnate per la lettura.
📖Agatha Raisin è un'agente di pubbliche relazioni di mezza età, frustrata ma interessante, trasferitasi da Londra a Carsely, nei Cotswolds, dopo aver venduto la sua società di PR di Mayfair per un precoce pensionamento. Si trova a risolvere omicidi in ogni sua avventura.
Nel primo post abbiamo approfondito sia la biografia dell’autrice che di Agatha, andate a rivedervela.
🔎Questo è il primo libro della saga se non si tiene conto del prequel che vede Agatha giovane agli inizi della sua carriera (vedi il post precedente).
La nostra PR preferita è finalmente riuscita a realizzare il suo sogno, ha venduto la sua agenzia di comunicazione ha preso il prepensionamento e ha comprato il cottage nei Cotswolds tanto desiderato.
Al suo arrivo vorrebbe da subito rendersi simpatica a tutti i paesani, che come è prevedibile la guardano con sospetto, come fanno con tutti i nuovi arrivati, e cosa c’è di meglio che vincere una gara paesana di quiche?
Lei con la sua mentalità dell’ottenere tutto e subito pensa bene che vincere è il modo migliore, e quindi decide di barare, anche perché non sapendo cucinare, l’alternativa non è pensabile.
La storia è piuttosto contorta e con la morte di un personaggio proprio a causa della sua quiche, inizierà una serie di relazioni che la riporterà alla sua passione: la Ficcanaso, aka detective dilettante.
Conosceremo i personaggi ricorrenti: Bill Wong - detective della polizia, James Lacey - militare in pensione, Mrs Margaret Bloxby - moglie del pastore, Roy Silver - ex collega di lavoro della società di pubbliche relazioni di cui Agatha era proprietaria, Doris Simpson signora delle pulizie e buona amica di Agatha, e tanti altri che con le loro manie vi faranno scompisciare dalle risate.
📖 “I Cotswolds sono, questo è certo, una delle poche bellezze artificiali del mondo: villaggi pittoreschi di case in pietra dorata, giardini graziosi, viottoli tortuosi affogati nel verde, e chiese antiche (…) ma per Agatha i Cotswolds erano tutto quello che poteva desiderare dalla vita: bellezza, pace e sicurezza. Fin da piccola, dunque, aveva deciso che un giorno sarebbe andata a vivere in uno di quei cottage graziosi, lontano dal fracasso e dal puzzo cittadino.”
❓E voi cosa ne pensate dei Gialli? Vi piacciono oppure no? Avete letto qualche libro del genere? Conoscete Agatha Raisin? Vi aspetto nei commenti.
⬇️ Vi leggo ☺️
Titolo: Agatha Raisin e la Quiche Letale
Autore: M. C. Beaton
Editore: Astoria Edizioni
Serie: Saga di 30 libri
Data pubblicazione: marzo 2011
Genere: Narrativa
Pagine: 268
Formato: digitale (euro 6,99) cartaceo (euro 16.00)
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Furiosa: A Mad Max Saga, quando Anya Taylor-Joy raccoglie l’eredità di Charlize Theron
Furiosa: A Mad Max Saga, prequel del capolavoro Fury Road che ci riporta nel mondo del franchise per conoscere le origini del personaggio, con Anya Taylor-Joy che riprende il ruolo di Charlize Theron.
Sono passati diversi anni da Fury Road, quasi un decennio da quella folgorante sorpresa che aveva travolto Cannes nel 2015. Con Furiosa: A Mad Max Saga si torna nel mondo lanciato nel 1979 con Interceptor e riportato alla ribalta da Fury Road, per fare un passo indietro rispetto al capitolo precedente e raccontarci le origini del personaggio che Charlize Theron aveva reso da subito iconico. Onore ed onere di riprendere il personaggio e riportarlo su schermo è toccato ad Anya Taylor-Joy, una delle attrici più carismatiche e riconoscibili di questa generazione.
L'Origin Story di un'icona
Anya Taylor-Joy è Furiosa
Inevitabile dopo l'impatto della Furiosa di Charlize Theron voler tornare sul personaggio, riprenderlo e riproporlo, approfondirlo con una storia che potesse tornare indietro e mostrarci la sua genesi ed evoluzione. Questo fa Furiosa: A Mad Max Saga, raccontandoci il cammino di una giovane Furiosa, strappata dal Luogo Verde delle Molte Madri per finire nelle mani di una grande Orda di Motociclisti sotto il controllo del Signore della Guerra, Dementus. Insieme a loro, Furiosa si imbatte nella Cittadella guidata da Immortan Joe mentre attraversavano le Terre Desolate. Sullo sfondo dello scontro tra i due potenti leader, Furiosa deve trovare un modo per andare avanti e sopravvivere, superando le prove che si trova a dover affrontare e radunare le forze e i mezzi per trovare la strada di case.
Nei panni di Furiosa
Mi tengo volutamente sul vago nel raccontarvi la storia di Furiosa per non anticiparvi molto dello sviluppo del personaggio, anche se l'intreccio che ci viene raccontato è più articolato e strutturato del motore rombante dell'azione del precedente Fury Road: se il film precedente, infatti, era costruito come una folle, ipercinetica e adrenalinica sequenza d'azione, Furiosa non prova a ripetere quel riuscito esperimento ma cerca una strada propria, che possa approfondire in misura maggiore mondo e protagonista.
Furiosa: A Mad Max Saga - Anya Taylor-Joy in un primissimo piano
Per tratteggiare il percorso di crescita di Furiosa, prima di arrivare alla figura forte e carismatica che abbiamo già conosciuto con il volto di Charlize Theron, George Miller si è affidato ad un'altra attrice che ha saputo dimostrare altrettanto magnetismo nel corso degli ultimi anni: la Furiosa più giovane che anima il film che da lei prende il nome è incarnata soprattutto da Anya Taylor-Joy, che lavora per creare una continuità con il personaggio che abbiamo apprezzato in precedenza, consapevole di doverne portare su schermo una versione in divenire, di dover mostrare un momento differente della sua vita e del suo percorso.
Un primo piano di Anya Taylor-Joy
L'attrice, ovviamente, non è Charlize Theron, così come la sua Furiosa non è ancora quella che segnava la storia di Fury Road, ma è sensata la scelta di Miller perché va a creare un parallelismo tra personaggio e interprete, tra due anime forti che si stanno imponendo nei rispettivi ambiti: nel mondo di Mad Max così come in quello del cinema. Unico rammarico, se di questo vogliamo parlare, è per il Dementus di Chris Hemsworth: è parso troppo sopra le righe, pur in un mondo eccessivo ed estremo come quello dispotico creato da George Miller.
Gli infiniti spazi del mondo di Mad Max
Ma è proprio il mondo di Mad Max a rendersi protagonista di Furiosa, con i suoi eccessi e i suoi personaggi a dir poco pittoreschi, i suoi veicoli e le sue armi, le derive folli e l'ampiezza degli spazi. Il regista valorizza tutto questo, lo rende parte integrante di una messa in scena potente, elaborata, creativa. Furiosa, come lo era stato Fury Road, è una gioia per gli occhi, una sorpresa continua che dà allo spettatore schiaffi decisi e convinti, anche se il ritmo è meno frenetico e i tempi più dilatati ed elaborati. Non manca l'azione, né l'avventura negli spazi sconfinati e desertici dell'Australia, ma Miller si ritaglia più tempo per ponderare characters e scelte, situazioni e impatto sull'evoluzione delle figure in gioco.
Un'immagine del film di George Miller
Se non possiamo dire che sorprende la padronanza del mezzo cinematografico dell'autore, perché ne ha dato più e più volte dimostrazione in passato, continuiamo a restare senza parole al cospetto della modernità che ne accompagna la maturità artistica: guardiamo l'opera di un autore che sfiora gli ottant'anni e dimostra la voglia di sperimentare e stupire di un giovane cineasta. �� in questa maturità accompagnata da modernità che risiede la sua forza, una caratteristica che anche in Furiosa emerge con prepotente bellezza.
Conclusioni
Furiosa: A Mad Max Saga è un film diverso da Fury Road. Non solo in termini qualitativi, ma d’intento: George Miller non cerca di replicare quanto fatto con quella corsa folle e adrenalinica per costruire un percorso più elaborato per i personaggi che animano la storia, a partire da Furiosa e la sua evoluzione. La prova di Anya Taylor-Joy è nel segno della continuità con quanto impostato da Charlize Theron sul personaggio, ma con le dovute differenze date dal diverso momento del suo percorso evolutivo. Colpisce ancora una volta la modernità che accompagna la maturità di Miller, sorprendente per un regista alla soglia degli ottant’anni.
👍🏻
La potenza evocativa del cinema di George Miller, la sua modernità che accompagna la maturità artistica.
La prova di Anya Taylor-Joy che asseconda il cammino evolutivo di Furiosa nel segno della continuità con quanto fatto da Charlize Theron.
Il mondo distopico di Mad Max, che dimostra ancora una volta di saper affascinare con i suoi eccessi.
I personaggi pittoreschi che rubano la scena e lasciano il segno.
👎🏻
La recitazione di Chris Hemsworth è troppo sopra le righe.
Chi si aspetta un altro Fury Road può restare deluso.
#mad max#furiosa#mad max furiosa#furiosa: a mad max saga#charlize theron#anya taylor joy#chris hemsworth#george miller#recensione film#recensione#review#movie review#film review
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OlliOlli World sarà disponibile da questo inverno
OlliOlli World sarà disponibile da questo inverno
Preparati a esplorare un vivace mondo con lo skate e incontrare alcuni personaggi davvero pittoreschi nella tua ricerca per scoprire le mistiche divinità dello skate e raggiungere il Gnarvana. OlliOlli World è ambientato a Radland, un vero paradiso dello skate pieno di livelli con percorsi multipli e opportunità per sfoderare i migliori trick e concatenare una serie di combo davvero folli. Metti…
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Nel percorso di ritorno a Brescia i partecipanti della Millemiglia 2018 hanno fatto tappa all'Autodromo Nazionale di Monza. Un gruppo variegato che coniuga opere d'arte di ingegneria meccanica, personaggi pittoreschi e il folkloristico mondo di appassionati e curiosi
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È curioso che il primo corto con Topolino e Gambadilegno (Building a Building, del 1933) sia ambientato sulle impalcature barcollanti di un grattacielo. Gli intellettuali europei degli anni Trenta furono affascinati dalla capacità disneyana di inventare un mondo alternativo, fantasmagoria e allegra sarabanda che aboliva il dolore e rendeva superfluo il rancore storico; ma insieme avvertirono il pericolo di un immaginario totalizzante, dove l’umano non serviva più. «Chaplin», scrive Ejzenstejn, «è il paradiso perduto, Disney il paradiso ritrovato»; ma aggiunge che «lo zuccheroso universo disneyano è in realtà un balletto di pulsioni sfrenate, che respingono chi non si abbandona alla danza macabra, al rigenerarsi delle forme, al suo azzardo verso l’infinito futuro» – e che i suoi personaggi sono «mostri che vogliono essere quello che non sono». Zoomorfismo e animismo degli oggetti, regressione al totemismo puro. Benjamin, nel suo saggio su Mickey Mouse, constata ammirato che i film di Disney «provocano una frantumazione terapeutica dell’inconscio», ma nota con angoscia che «in un mondo del genere non vale la pena fare esperienza» e che in esso «l’umanità si prepara a sopravvivere alla cultura, se questo è necessario». Parole illuminanti che di colpo mi riscattano Dubai: ecco che cosa lo Spirito dei tempi sta cercando di fare qui, all’insaputa dei potenti e dei miserabili – sta preparandosi a sopravvivere alla cultura, o almeno alla cultura come l’abbiamo conosciuta finora. Tra l’altro c’è un legame filologico che connette Disney a Dubai: Disneyland per prima ha rivelato l’essenza, il nòcciolo del neo-turismo, un turismo che va a visitare ciò che non esiste. Eliminando le contraddizioni architettoniche reali, concentrando gli elementi pittoreschi in una sintesi più vera del vero, Disneyland è stata il modello delle prime “isole pedonali” americane e dei primi mall (per esempio il Nicollet Mall di Minneapolis, del 1963); la Main Street di Disneyland era una copia infedele di quella dove Walt era cresciuto, ma a quella copia si sono successivamente rifatte le “vere” Main Street di molte piccole città. Soprattutto, alla filosofia disneyana si è ispirata Las Vegas, quel “sogno nel deserto” da cui è stato fortemente suggestionato lo sceicco Rashid (il padre dell’attuale sceicco Mohammed). Disneyland, come si sa, non è stata l’ultima frontiera per l’instancabile Walt: negli ultimi anni della sua vita tutta l’energia la spese per allontanarsi dalla finzione dei cartoon e avvicinarsi all’edificazione reale di un’utopia tecnologica (dalla leggerezza delle fiabe al Real Estate, appunto). Diede impulso alla EPCOT, acronimo di Experimental Prototipe Community of Tomorrow, e all’Imagineering Department, conglomerato di immaginazione e ingegneria. Chiamò a lavorarvi grandi architetti, da Aldo Rossi a Robert Venturi: per innalzare davvero, tra gli uomini in carne e ossa, «il Paese più felice del mondo». È a questo punto che Dumbo e Bambi, e Pippo e Clarabella e Zio Paperone, mostrano il loro lato oscuro: dove la beata fiducia nell’onnipotenza dell’estro diventa convinzione di possedere in proprio le chiavi della felicità universale; dove un crocevia di convivenze tende alla sordità asettica del plastico e del prototipo – come se il mondo, per essere felice, dovesse ridursi alla parodia di se stesso. “Per il loro bene”, certo: questo giace nel fondo della “vision”; che cos’è il Paese che sto visitando, se non una risibile parodia accelerata dell’Occidente? Nel 1955, all’inaugurazione, fu posta una targa all’ingresso di Disneyland: “qui tu lasci il presente per entrare nel mondo di ieri, di domani e della fantasia”. Lasciate ogni pensiero, voi ch’entrate.
Walter Siti, Il canto del diavolo, B.U.R., 2013 (1ª ed.ne 2009); pp. 87-89
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ERASERHEAD (1982)
Ok, salve a tutti, anche se non c’è nessuno ma va bene. Sto cercando di dare un’ordine a tutto questo, di ordinare la mia vita adesso che c’è la quarantena, sperando di non finire come in questo film. Già perché adesso è tutto alienante, grigio, fumoso, spento. Penso sia solo il quinto giorno di reclusione ma ho già perso il senso del tempo... E HO RIPRESO A SVEGLIARMI TARDI, MIO DIO MI DOVETE SVEGLIARE CON L’ELETTROSHOCK PER FAVORE. Ma basta parlare di me, parliamo di questo film problematico, a basso budget, e ovviamente di Lynch. Se qualcosa può andare storto ed esserlo al contempo, è sicuramente Lynch l’autore. Ho visto i suoi corti, sono paranoici, incomprensibili, disturbanti, ma a me non dicono nulla. Ebbene sì, la verità è che sono del tutto priva di sentimenti o di “traumi” da esternare quando si parla di Lynch. Sarà che c’è di peggio al mondo o che il senso di vuoto, di alienante, l’ansietta del disturbante l’ho già provata al estrema potenza. Questo film è ottimo, è storia, ha fatto la storia del cinema di genere nonostante sia sui generis, nonostante la sua lentezza massacrante, nonostante il vuoto cosmico in cui sono gettati i protagonisti. Ma nonostante in molti ne parlino bene, a me non ha dato niente. E un po’ mi dispiace, speravo di uscirne super infastidita, angosciata, schifata, dilaniata nelle carni e nella psiche. Però è un classico, è degli anni ottanta, in quel periodo non si vedevano cose così. Degli effetti scenici e grafici, folli, bizzarri, spiazzanti e forvianti (c’è l’alone di mistero attorno al bebè, ma che ve lo dico a fare... le creepy story si sprecano) condiscono una scena scarna seppur piena di dettagli, desolata e ansimante, come se l’industria, l’alienazione dell’uomo, tutto lo sporco del mondo la soffocassero. C’è una scenografia ricca di disagio nel suo essere priva di elementi. Ovviamente, se mi metto nei panni dello spettatore medio, la pellicola può apparire incomprensibile e disgustosa, pesante con il suo vuoto, il suo grigiore e le scene che ci mostrano un “mondo” vicino al nostro ma distorto, inquinato, da qualcosa che non si riesce bene a descrivere, è come se il pianeta fosse sporco e zuppo, come se tutti vivessero su un terreno arido ricco di pozzanghere ristagnanti. I personaggi stessi, coi loro sguardi, le loro facce quasi aliene, così pittoreschi nei modi, nelle espressioni, da essere sopra l’umano. Pupazzi rattrappiti dagli occhi sbarrati, talvolta persi, talvolta così immobili e incomprensibili da sembrare una massa di lobotomizzati, ti fanno passare la voglia di dormire, di avere una famiglia, dei genitori, dei figli. Seriamente, talvolta Lynch ci mette davanti a degli automi non dei personaggi, a simbolo di una società da sempre contestata. Il bambino. Sarà che ho un pessimo senso dell’umorismo, un pessimo legame con l’orrido (o forse un buon legame, punti di vista) ma, nonostante il suo essere alieno, la sua fastidiosa esistenza, è la cosa che più mi ha fatto ridere. Come i veri bambini, sembra farlo di proposito, sa quando infastidirti e come. E’ il ritratto di tutte quelle cose schifose e da adulti, che non ci vogliamo prendere la briga di fare, specialmente le responsabilità. Però mi ha fatto ridere, forse perché sono ancora giovane, forse perché tutti siamo stati quel bambino mostruoso per qualcuno. Abbiamo spinto gli altri sempre più su, guidati dal puro istinto o dalla sola frivola voglia di vedere fin dove uno può arrivare. Ma forse ho capito cose a caso, io, da quel bimbo mostro... che però rivedrei solo per vederlo sputacchiare cose (no in realtà sto ancora cercando di capire COME l’hanno realizzato) Essendo un film che non “mi ha presa molto” non so cosa dirvi di più. E’ come “Begotten”, molto più simile alla cine arte, che non ad un vero film, commentabile nelle sue parti tecniche e stilistiche fino ad un certo punto. E’ un’ esperienza visiva, va visto per dare un parere, come quando assaggiamo qualcosa. Colpisce il gusto dello spettatore, il suo background culturale, il suo saper osservare ed essere oggettivo. Ho sentito tanti pareri, spesso discordanti, sopratutto da chi si occupa di cinema da più tempo (e meglio) di me. Però Lynch è così, non è un regista. è un artista e ogni sua opera è una grande esposizione, un percorso museale in cuffia. (Scusate, torno nella mia grotta, giuro. )
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In questo articolo scopriremo quali sono i 10 luoghi da vedere in Normandia. La Normandia è vertiginose scogliere, graziosi villaggi fioriti, spiagge ricche di storia ma anche di poesia e molto altro ancora.
Prima di cominciare vi lascio queste righe tratte dal mio romando L’amore a Colpi di Champagne per trasmettervi le mie sensazioni sulla meravigliosa Normandia
“La culla dell’impressionismo, con affaccio sulla Manica, è un luogo bellissimo già al primo approccio. La Normandia, sconosciuta a molti, in realtà è un luogo per tutti! Per gli intellettuali e amanti dell’arte in quanto patria e buen retiro di un numero indefinito di pittori impressionisti e di scrittori, mi vengono in mente Proust, Guy de Moupassant, Gustave Flaubert, Dumas. Per i buongustai è terra di perdizione tra calvados, ostriche e strepitosi formaggi. Per gli appassionati di storia è il luogo dello sbarco più famoso della storia ma è anche la terra che ha portato al rogo Giovanna d’Arco. Per i romantici è il posto ideale grazie al meraviglioso paesaggio tra mare, natura e borghi caratteristici, con una costa ricca di località balneari e paesaggi bucolici che ti resteranno nello sguardo molto a lungo.”
Eccoli qui di seguito i dieci luoghi da non perdere in Normandia.
1. Étretat, Costa d’Alabastro
Immancabile tappa nella Costa d’Alabasto è la celeberrima e magnifica Étretat, ora luogo turistico a tutti gli effetti sempre molto suggestivo, un tempo meraviglioso villaggio di pescatori, incastonato fra le due falesie più note della costa, alle quali deve la propria fama: la Falaise d’Aval e la Falaise d’Amont.
Étretat è uno straordinario esempio di architettura naturale a cielo aperto. Vi affascinerà come ha affascinato Claude Monet. La particolarità delle falesie di Étretat è che sono costituite da un particolare tipo di gesso, il Turoniano, che ha la capacità di resistere in modo notevole ai fenomeni di erosione che altrove sono molto più evidenti. L’ideale sarebbe trascorrere almeno un giorno e una notte ad Étretat, in modo da riuscire a visitare le falesie, sul posto scoprirete che non sempre è possibile visitare la base delle falesie, lo decide la marea, consultando l’apposita tabella capirete se la marea è favorevole, da quanto si è ritirata e tra quante ore dovrebbe risalire.
Incamminatevi lungo il sentiero escursionistico che conduce alla Falesia d’Aval. Da questo punto è possibile ammirare l’Arco della Manneporte. La gigantesca volta naturale creatasi da una propaggine della scogliera che fa restare a bocca aperta. Guy de Maupassant la descrisse come un elefante che beve nel mare e Monet l’ha ritratta in un suo celebre dipinto, trascorrendo un intero inverno a immortalarla in ogni condizione atmosferica.
Per visitare la Falaise d’Amont bisogna prendere una scalinata che parte dalla battigia. Duecentocinquanta scalini più tardi, raggiungiamo la cima della Falaise d’Amont e da alcune sporgenze rocciose riusciamo ad ammirare il panorama dall’alto e, a parte la sensazione di vertigine, la vista è mozzafiato!
Tra gli altri personaggi che furono ospiti di Étretat: gli scrittori Hugo e Flaubert, il compositore Offenbach e i pittori Coubert e Boudin. Anche Maurice Leblanc, l’inventore del famoso ladro gentiluomo Arsène (Arsenio) Lupin, giornalista normanno, nato a Rouen, fece soggiornare il protagonista dei suoi romanzi qui, a Étretat. La nipote dello scrittore ha allestito nella casa di famiglia: le Clos Arsène Lupin, dedicato all’universo enigmatico del nonno.
Se siete a Étretat dovete fare visita Les Jardins d’Étretat che si affacciano sulla Falaise d’Aval, voluti da Madame Thébault, attrice degli inizi del XX secolo, amica di Monet e, appunto, iniziatrice del giardino. Il giardino è stato disegnato da Alexandre Grivko che vanta un primato da record per la progettazione di oltre 500 giardini e lo sviluppo di 100 progetti pubblici e privati su larga scala.
Scopri qui gli altri villaggi della Costa d’Alabastro da non perdere!
Étretat
2. Côte Fleurie: Honfleur, Deauville, Trouvile sur Mer e Cabourg
Da Honfleur a Cabourg la Costa fiorita regala magia ai viaggiatori sin dal diciottesimo secolo. All’epoca infatti era la meta di ricchi vacanzieri provenienti dall’intera Francia e dal sud dell’Inghilterra, che si concedevano rilassanti vacanze nelle bellissime ville fronte mare che potete ammirare in particolare a Trouville a Deauville.
Ma vediamoli uno per uno questi villaggi bellissimi: la marinara Honfleur, l’affascinate Trouville, la snob Deauville e la romantica Cabourg.
Honfleur
Un antico borgo marinaro dal fascino unico, dall’atmosfera d’antan e rarefatta, che vive attorno al porto, dove passare un paio di notti romantiche a bordo di un veliero ormeggiato. E concedervi una cena a lume di candela in uno dei tanti ristoranti affacciati sull’estuario della Senna, a sperimentare la cucina tipica nei ristoranti di pesce che servono specialità come gamberi, sogliole, capesante, sgombri e le celebri moules frites (cozze servite con patatine fritte).
La zona centrale è da percorrere a piedi, tra le stradine puntellate di porfido dei pittoreschi vicoletti con le tipiche case a graticcio, le caratteristiche botteghe e tanti bistro. Baudelaire era molto legato a questo luogo dall’aria antica e autentica e basta attraversare la piazza lastricata e raggiungere il vecchio porto per capirne le ragioni.
Pochi sono i luoghi che, come questo, hanno fatto da sfondo a tanti personaggi dell’arte, alcuni vi sono nati e altri ancora hanno trovato in queste terre un rifugio sicuro. Ogni angolo trasuda di fascino e arte.
La cittadina è stata immortalata dai più grandi pittori e, ancora oggi, esercita un incredibile fascino, su artisti che continuano a venire a Honfleur per dipingere i paesaggi e i luoghi del suo prestigioso passato storico e marittimo. Le luci cangianti della notte che riflettono sull’estuario della Senna hanno ispirato Courbet, Monet, Boudin e molti altri e ancora oggi sono numerose le gallerie che espongono opere di pittori del passato e contemporanei.
Honfleur
Trouville-sur-Mer
Per raggiungere Trouville da Honfleur è d’obbligo scegliere la Route de la Corniche, la strada panoramica che costeggia la collina e si affaccia sul mare, nel primo tratto la strada è costeggiata dalla vegetazione e oltre le siepi di recinzione lo sguardo sarà attirato dalle famose tipiche abitazioni con la chioma, le chaumerie, un tempo modeste dimore di contadini, oggi abitazioni ricercate. Ce ne sono di stupende, con giardini fioriti, tante ortensie a recintare le proprietà e in molti casi cavalli allo stato brado.
Arrivati a Trouville dall’alto della strada vedrete il mare e le bellissime ed eleganti ville di che vi si affacciano. Trouville-sur-Mer infatti conquista tutti per il suo fascino glamour e l’elegante architettura delle sue ville affacciate sul litorale dalla sabbia finissima.
L’elegante e raffinata Trouville è stata amata da scrittori come Dumas, Flaubert e Proust e se il litorale è noto per le ville dall’elegante architettura il suo centro storico è puntellato di case colorate di pescatori e da incantevoli punti panoramici, come quelli che regala l’escalier du serpent, una vertiginosa scalinata con 100 gradini.
Nella zona del porto si trova il caratteristico mercato del pesce al coperto e moltissimi locali e ristoranti dove è d’obbligo fermarsi a pranzo o a cena.
Trouville sur Mer Spiaggia
Trouville sur Mer
Deauville
Deauville è certamente più pretenziosa e snob rispetto a Trouville, due località gemelle, divise da un ponte, ma con caratteri diversi. Deauville ha boutique esclusive, un casinò frequentato da personaggi in vista, della moda e dello spettacolo. Ci ha vissuto, tra gli altri, anche Wiston Churchill. Deauville è la celeberrima località di villeggiatura, meta preferita dai parigini e per questo definita il 21 Arrondisement nonché città dove visse e operò la Mademoiselle per antonomasia: Gabrielle Bonheur Chanel.
Il lungomare si presenta ordinato ed elegante, la spiaggia con ombrelloni colorati dove non ci sarà mai la folla e l’atmosfera è incredibile, sembra di essere in un film. Les Planches è una famosa passeggiata della spiaggia di Deauville.
Altro luogo da visitare è la splendida Villa Strassburger, in stile alsaziano con dettagli normanni, fu dimora di Gustave Flaubert; una passeggiata nel suo parco infonde pace e serenità; nelle vicinanze della villa ci sono molti hotel dove soggiornare.
Altro edificio caratteristico è il Municipio, una bellissima costruzione al centro del paese con caratteristiche tipiche alsaziane e anglo-normanne, come tutte le case della piccola cittadina francese. Qui i cavalli sono un’istituzione e non è raro vedere cavallerizzi in groppa cavalcare in riva al mare all’alba come al tramonto, per gli appassionati di corse di cavalli consiglio l’Hippodrome Deauville La Tou-ques; un impianto moderno e molto curato nei dettagli.
Il giro turistico di Deauville e dei suoi dintorni si può fare anche con le Petit Train de Deauville che arriva fino in spiaggia. Acquisto il biglietto!
La spiaggia di Deauville
Cabourg
Diciotto chilometri separano Cabourg da Deauville che è situata sull’estuario della Dives. Consiglio come itinerario la strada che costeggia il mare passando per Benerville-sur-Mer, Blonville-sur-Mer, Villers-sur-Mer, Auberville, Houlgate e Dives-sur-Mer.
Cabourg è una tappa da non perdere, in quanto località balneare famosa per l’atmosfera belle epoque e ne sono tangibile dimostrazione le ville dell’alta borghesia e dell’aristocrazia parigina di inizio novecento disposte attorno al Casinò e al Grand Hotel.
Dalla spiaggia, oltre una fila ordinata di pittoreschi ombrelloni con tendine paravento a righe bianche e beige, ammirerete il maestoso Grand Hotel, che ospitò in molte occasioni lo scrittore Marcel Proust. A separare l’hotel dalla spiaggia infatti la Promenade che prende il nome dallo scrittore e che regala una passeggiata di un paio di chilometri immersi in un’atmosfera leggera a raffinata e dove ammirare il mare e il cielo si fondono in un’unica sfumatura di colore.
3. Bayeux
La carinissima Bayeux, vanta un ricco e importante passato e possiede un cospicuo patrimonio culturale e artistico, molto ben conservato, in quanto miracolosamente risparmiata dalla distruzione dei bombardamenti della seconda guerra mondiale. Questo fa sì che conservi intatto tutto il suo fascino medievale, ne sono dimostrazione le sue caratteristiche stradine, i suoi canali con i mulini, le chiese, la totale assenza di modernità, nonché la mancanza di industrie nell’imminente periferia.
Bayeux deve la sua fama internazionale al famosissimo arazzo medievale, Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. 68 metri di tela di lino dipinta, scampata miracolosamente alle razzie naziste in quanto nascosta in uno scantinato del Louvre.
La Tapisserie de Bayeux è, senza dubbio, una delle più importanti testimonianze del Medioevo: narra i principali episodi che hanno permesso al duca di Normandia, Guglielmo detto il Bastardo (in quanto figlio naturale del duca Roberto e della figlia di un conciatore di pelli) di conquistare il trono d’Inghilterra e di diventare Guglielmo il Conquistatore.
Racconta gli eventi dal 1064 al 1066, anno della decisiva battaglia di Hastings, e per farlo mette in scena 623 persone, 505 animali di specie differenti, 202 tra cavalli e bestie da soma, 55 cani, 41 imbarcazioni e 49 alberi è composto da otto elementi cuciti tra loro, con fili di lana di otto colori diversi, fino a formare una specie di fumetto del Medioevo, scritto nella stoffa, anziché su carta.
L’arazzo, che dovrebbe essere stato prodotto a Canterbury, fu tessuto tra il 1070 e il 1077 per volere del vescovo Odone, il fratellastro di Guglielmo il Conquistatore. Fu esposto, a partire dal 1476, nella cattedrale di Bayeux. Dal 1724 che l’arazzo iniziò a interessare gli studiosi e che venne prima compresa la sua importanza.
Cattedrale di Bayeux
4. Arromanches-les-Bains e le spiagge dello sbarco
Qui sbarcarono 2 milioni e mezzo di soldati, 4 milioni di tonnellate di equipaggiamento e 500.000 veicoli. Stazione balneare, incastonata tra le falesie è una delle spiagge più importanti per la liberazione dell’Europa dalla gogna nazista. Musei, cimiteri, musei e vedute panoramiche sono stati creati per far capire al visitatore che cosa ha rappresentato lo Sbarco in Normandia. La visita al Musée du Débarquement fa conoscere tutti i dettagli dell’operazione. Presso Arromanches 360, in una sala circolare viene proiettato il filmato The Price of Freedom, un’emozionante resoconto della battaglia. Nei mesi estivi c’è da fare la coda.
Omaha Beach
Lungo questi 7 chilometri di costa si è combattuta la battaglia più drammatica e cruenta dell’operazione. Il momento dello sbarco, fu un vero massacro di americani che tentavano di raggiungere la spiaggia mentre i tedeschi, dall’alto delle dune di sabbia, sparavano senza sosta.
Juno Beach
Presso la spiaggia di Berniéres-sur-mer sbarcarono le forze militari canadesi. Presso Juno Beach Centre è possibile capire quale ruolo ha avuto il Canada nell’offensiva militare in cui persero la vita oltre 45.000 canadesi.
Utah Beach
Su questa spiaggia, all’alba del 6 giugno 1944, toccarono per primi il suolo francese i soldati dell’ottavo reggimento di fanteria americani portati vicino alla riva da 20 chiatte da sbarco. In parecchi persero la vita sia a causa del fuoco nemico ma anche per annegamento a causa dell’eccessivo peso dell’equipaggiamento e delle armi in dotazione. Al Musée du Débarquement potrete conoscere tutti i dettagli di quella giornata storica attraverso fotografie e reperti autentici.
Ci sono altri luoghi da visitare dedicati allo sbarco, questi sono i più importanti.
Arromanches-les-Bains
5. La Penisola de La Hague
La Penisola de La Hague, una zona aspra e incontaminata, dove la natura è assoluta protagonista. Il paesaggio è aspro, selvaggio, con scogliere vertiginose, muretti a secco, case in pietra, i tanti animali al pascolo, perlopiù mucche e cavalli – in Normandia se ne trovano in abbondanza – che puntellano i prati verde smeraldo che ricordano appunto l’Irlanda.
La costa è spazzata dai venti e le sue fredde acque cristalline rendono le spiagge dei veri paradisi per surfisti, non è una zona battuta dal turismo di massa e questo è solo un vantaggio. Il mood è perdersi per qualche ora imboccando stradine che non si sa dove portino, salvo scoprire che regalano paesaggi e scorci stupendi e che infine conducono a spiagge, scogliere e fari lungo la costa.
Infatti incontrerete tutta una serie di splendidi borghi dove abitazioni in pietra circondate da giardini perfetti contornati da ortensie di tutti i colori sono un must, non c’è casa che non abbia straripanti siepi di ortensie.
Eccoli alcuni di questi villaggi:
Omonville-la-Petite
Qui è sepolto Jacques Prévert, in questo minuscolo comune di 128 abitanti nel dipartimento della Manica, il famoso poeta ha passato gli ultimi momenti della sua vita. Qui c’è la sua casa-museo, ma anche se non siete appassionati di letteratura – peggio per voi – i meravigliosi scorci, il paesaggio bucolico che sembra uscito da un dipinto sono motivo sufficiente per una visita, purché siate animi romantici.
Omonville-la-Petite
Saint-Germain-des-Vaux, PORT RACINE
Questo è il porto di ancoraggio più piccolo di Francia, situato nella punta Ovest più estrema del Cotentin deve il nome al corsaro Françoise Médard Racine, vassallo di Napoleone che lo costruì nel 1813, la sua idea era trovare, in questo magnifico angolo di mondo, rifugio ma anche attaccare con la sua goletta “Embuscade” le navi che passavano per questa striscia di costa. Distrutto fu poi ricostruito, tra il 1870 e il 1886, dai pescatori del posto. Un autentico angolo di paradiso, riparato dalla collina che lo avvolge che, in questa stagione, è carica di ortensie. Da Port Racine è possibile fare una passeggiata sul sentiero del Litorale gr 223.
Il piccolo Port Racine
Goury
Piccola ma molto affascinante. Il faro circondato da un arenile fatto dei tipici ciottoli (galet), venne costruito nel 1837 per segnalare la costa alle navi di passaggio che troppo spesso naufragavano a causa delle fortissime correnti marine. Nell’area circostante mucche al pascolo, cavalli allo stato brado e stormi di gabbiani che si librano in cielo.
Goury, vissta sul faro off shore
La Baie d’Écalgrain
Già percorrendo la strada tra le colline verdi si nota la baia alla base della scogliera, un’insenatura naturale che non ha visto la mano dell’uomo trasformarla. Fermatevi, anche lungo la strada senza scendere, se non avete tempo, almeno qualche minuto ad ammirare e ad assaporare dall’alto la bellezza selvaggia del paesaggio. La spiaggia, incastonata tra le falesie ricoperte da un manto erboso verde brillante, accoglie il mare in un continuo susseguirsi di onde che si infrangono sulla battigia. Con la bassa marea affiorano piacevoli cordoli rocciosi. Meraviglioso! Attraverso una passerella si può arrivare alla spiaggia.
La Baie d’Écalgrain
Jobourg – Le Nez de Jobourg
A Nez de Jobourg, le scogliere più alte dell’Europa continentale, vi troverete a osservare dall’alto dei suoi 128 metri, falesie vertiginose e sotto un mare che s’infrange fragoroso sulla costa, il vento che vi massaggia il viso, il cielo terso e il paesaggio incontaminato sono uno spettacolo autentico. Davanti a voi potete scorgere le Isole del Canale. Sul posto c’è un ristorante e si mangia pure bene. Ricordatevi per visitare la zona, anche in piena estate, è meglio essere muniti di giubbotto, io avevo il trench ma era freddino, meglio il piumino.
Vista sulla baia da Le Nez de Jobourg
6. Granville e l’arcipelago Chausey
La particolarità di Granville è sicuramente la città alta (Haute-Ville), circondata da mura a strapiombo sul mare, fu fortificata dagli Inglesi nel XV secolo e conserva ancora oggi le tracce del suo passato militare e religioso sono molto tangibili. Un tempo era patria di corsari, bucanieri e pirati fedelissimi ai re francesi.
A passeggio lungo le strade di ciottoli si respirano antiche atmosfere e si gode di un panorama fantastico sul mare e su incantevoli spiagge. La cittadella è disseminata di locali e ristoranti e le sue case di granito e i caratteristici palazzi che affacciano sugli stretti e pittoreschi vicoli la rendono davvero peculiare. Concedetevi un pranzetto o una cena in una delle tante Crêperie, magari consumando la prelibatezze locali come le crepes ma anche le galette bretonne, qui siamo molto vicini alla Bretagna, e questo è il motivo per cui ci ristoranti che propongono le tipiche pietanze bretoni.
La parte bassa della città ruota attorno al porto. In questa zona, ricca di locali e ristoranti, mentre consumate un aperitivo o una cena vi capiterà di assistere allo spettacolo che regala la marea; vedrete le imbarcazioni ormeggiate che da posante su un fianco adagiate alla sabbia perché la marea si è completamente ritirata, nel giro di dieci minuti, tornano a galleggiare perché, si sa, la marea sale alla velocità di un cavallo al galoppo.
Il porto di Granville è l’attracco delle compagnie che collegano le isole Chausey e le isole anglo-normanne di Jersey, Guernesey e Sercq e dato che vi trovate a Granville, con un breve viaggio in traghetto, vale la pena visitare le isole Chausey dove patria di foche, delfini e uccelli.
A Granville c’è la casa natale di Christian Dior, oggi diventata museo www.musee-dior-granville.com ci ha vissuto i primi anni della sua infanzia, fino al 1911, anno in cui la famiglia si trasferì a Parigi. Lo stilista è sempre rimasto molto legato alla sua casa sulla scogliera con vista mozzafiato sul mare del Nord, tanto che nella sua autobiografia Christian Dior et moi, dichiarò “la casa della mia infanzia… ne conservo un ricordo tenero e meravigliato. Che dire? La mia vita, il mio stile, devono quasi tutto alla sua posizione, alla sua architettura”.
Granville, vista dal mare. Il Casinò e la città murata
7. Le-Mont-Saint-Michel
Da qualsiasi punto di vista la baia di Mont Saint-Michel è meravigliosa. La sabbia e i pascoli erbosi, il mare e il cielo che si dividono l’orizzonte, i giochi di luce in un paesaggio che si evolve in continuazione e che rendo Le-Mont-Saint-Michel uno dei luoghi più magici della terra.
Il fascino del borgo medievale con l’imponente Abbazia che lo domina e la baia circostante con lo spettacolo straordinario e suggestivo che offrono le sue maree resteranno impressi nella mente per molto tempo, dall’alto del borgo è incredibile la vista che si gode sulla baia.
Se volete saperne di più su Le Mont Saint Michel le trovate in questo articolo.
Le Mont Saint Michel
8. Rouen
Una città che appare quasi un museo tanto da meritarsi l’appellativo di Ville Musée, un gioiello architettonico dove arte, storia e cultura si fondono magistralmente. Viene soprannominata la città dei 100 campanili e basta farci un giro per capirne la ragione, va girata assolutamente a piedi. Solo così è possibile ammirare i suoi tanti scorci differenti, restare stupiti dalle sue case a graticcio di una varietà incredibile di colori, solo così è possibile ammirare le stradine lastricate e le chiese gotiche.
Non perdetevi Place Saint-Marc e uno dei suoi mercati, dato che la Normandia è famosa per i suoi formaggi, questo è il posto migliore di Rouen dove acquistarli, anche Rue Armand Carrel è una via dove fare acquisti gastronomici, tantissime le botteghe, molte sono gastronomie tipiche francesi. Dalla piazza si arriva in Rue Martanville dove si trovano bellissime case a graticcio colorate, la via termina proprio nei pressi della Chiesa di Saint Maclau, in stile gotico domina una piazzetta dove affacciano altre bellissime case a graticcio. La chiesa merita un’occhiata è un vero e proprio gioiello.
Da vedere anche la Cattedrale di Notre Dame, la più importante dalla città, la sua guglia raggiunge i 151 metri ed è la più alta di tutta Francia. La cattedrale è stata il soggetto di più tele del pittore impressionista Monet. Impossibile non percorrere Rue du Gros Horologe, dove ovviamente oltre alle ricorrenti case a graticcio delle quali è disseminata la città troviamo la volta del Gros Horologe, l’arcata in stile gotico e rinascimentale con il celeberrimo orologio astronomico decorato a soggetti allegorici, in cima al quadrante, un oculo, ospita una sfera che indica le fasi lunari.
Se ci capitate d’estate potrete godere dello spettacolo delle luci e immagini animate che, da luglio a settembre, vengono proiettate sulla facciata della Cattedrale di Notre-Dame, uno spettacolo con musiche e colori coinvolgenti, assolutamente da vedere! A noi era capitato a Reims (Champagne) di vedere uno spettacolo simile.
Rouen
La volta del Gros Horologe
Se vi trovate in zona e siete appassionati di letteratura non perdete occasione per visitare i luoghi di Madame Bovary: Yonville-l’Abbaye nel romanzo, Ry nella realtà. Piccola e ridente cittadina a mezz’ora da Rouen di nemmeno 1000 anime, dove si sono svolte le vicende della famiglia Delamare. Il villaggio offre tante testimonianze dei suoi legami col romanzo come la Galerie Bovary Musée d’Automates che ricostruisce scene tratte dal libro o l’église Saint-Sulpice con il suo meraviglioso portico in legno e le tombe della famiglia Delamare, oltre alle diverse targhe intitolare a Gustave Flaubert disseminate per tutta la città e le insegne dei vari locali e negozi che fanno menzione di Madame Bovary.
Ry
9. Les Andelys
Sul percorso da Rouen verso Giverny, tenendo la Senna alla destra, si raggiunge Les Andelyes, un paesino che si affaccia sul fiume dove i margini sono ancora verdi e boscosi. Il villaggio è famoso per il castello, Chateau Gaillard, arrampicato a 90 metri sopra il centro abitato.
La storia racconta che la zona del Castello grazie alla sua posizione strategica, domina i meandri della Senna, attirò gli interessi di Riccardo Cuor di Leone, Re d’Inghilterra e Duca di Normandia che, desideroso di aprirsi un varco verso il mare, tra il 1196 e il 1198, fece edificare su una falesia proprio il Castello, in modo da proteggere il ducato e la sua capitale: Rouen. Il castello fu ritenuto un capolavoro d’avanguardia dell’architettura militare dell’epoca, oggi è completamente in rovina, consumato dalle battaglie, dal tempo e dall’incuria, il suo stato comunque conferisce un fascino malinconico e molto suggestivo a Les Andelys.
Dal Castello, si gode una splendida vista sul villaggio che non sembra niente male. Il villaggio appare subito pittoresco, grazie anche alla sua posizione, adagiato sulle rive della Senna, contornato da colline boscose e bianche scogliere.
Les-Andelys visto dal Castello
10. Giverny e la casa di Monet
A Giverny si va per visitare la dimora di Monet e soprattutto i suoi giardini. Giverny è un paesino di 500 anime lungo la Senna dove tutto ruota attorno a Monet, alla fondazione Monet con la casa ed i giardini del grande pittore impressionista. Sono in molti ad inserire questa tappa nel viaggio in Normandia ed è subito chiaro dalla coda che c’è… Nell’attesa potete concedervi un sandwich (carissimo) in uno dei localini della zona organizzati per sfamare i turisti.
La casa è accogliente, al piano terra un grande salotto e una bella cucina, il resto sono spazi piccoli ma curati, pieni di mobili, soprammobili e quadri. Gli interni sono color pastello. Ma sono i giardini a stupire, un‘oasi di pace nonostante i tanti visitatori, pieni di fiori e rivoli d’acqua, è facile comprendere la ragione per cui questi ambienti stimolassero la creatività di Monet.
Il termine “ninfee” è praticamente sinonimo di Claude Monet e l’artista trovò l’ispirazione per questi dipinti nel giardino della sua casa a Giverny che ora è considerato uno dei punti di riferimento del movimento artistico impressionista. La casa e i giardini di Monet sono stati conservati così come erano durante la vita del pittore. Mentre sei in città, approfittane per visitare il Museo dell’Impressionismo di Giverny.
La facciata della casa
Il laghetto del giardino
i lati del vialetto che conducono alla casa sono ricoperti di fiori
Altro scorcio del laghetto
Decidere di selezionare 10 posti non è stato facile perché molti altri villaggi e luoghi meritano la visita in Normandia, ho scelto alcuni dei luoghi più belli che lungo il tragitto vi permettono comunque di fare delle soste. Potreste vedere anche: Le Havre e alcuni villaggi della Costa d’Alabastro, Pont l’Eveque, Barfleur, Saint Ceneri le Gerei, Vernon, Beuvron en Auge, sulla Strada del Sidro.
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10 luoghi da vedere in Normandia In questo articolo scopriremo quali sono i 10 luoghi da vedere in Normandia. La Normandia è vertiginose scogliere, graziosi villaggi fioriti, spiagge ricche di storia ma anche di poesia e molto altro ancora.
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