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L'utopia dell'amore di Rainer Werner Fassbinder: una riflessione sull'esperienza umana.. Recensione di Alessandria today
La ricerca disperata dell'amore e l'inutilità dell'esperienza nei pensieri di un genio controverso.
La ricerca disperata dell’amore e l’inutilità dell’esperienza nei pensieri di un genio controverso. Recensione:Le parole di Rainer Werner Fassbinder, “Non conosco altra persona, oltre a me, che insegua con tanta disperata ostinazione quell’utopia probabilmente infantile e impudente che si chiama amore…”, racchiudono l’essenza del suo pensiero e della sua arte. Con questa dichiarazione,…
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Qualche volta mi vesto elegante 👀
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🤍
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Non dare mai peso alle parole che vengono dette, valuta sempre la bocca da cui escono
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Molti sottovalutano il potere delle parole. Una frase può salvare un’anima, ecco perché non smetterò mai di scrivere.
-Credevoinquellostupidotiamo
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“Ci vuole grazia a rimanere gentili in situazioni crudeli.”
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Bello perdersi nelle memorie......
-Che è 1 ritrovarsi
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"Averte mai sentito l’espressione «la bellezza salverà il mondo?» Vi siete mai chiesti cosa significa?
Questa è una delle più celebri frasi di Dostoevskij. La potete leggere ne L’Idiota, ma pochissimi ne hanno compreso il vero significato. In tanti credono che queste parole siano un semplice omaggio alla bellezza. Ma non è così. Che cosa vi sta dicendo in realtà Dostoevskij?
Ecco, pensate a cosa provate quando guardate un dipinto di Caravaggio o di Michelangelo. Quando osservate un tramonto. O un paesaggio talmente bello che vi toglie fiato. Sentite una sensazione di benessere, di piacere, ma anche qualcos’altro. Un sentimento più profondo ma anche più sottile. Guardate questa Venere di Botticelli: guardate i suoi occhi, i suoi capelli, il suo volto. Che emozioni vi trasmette? Una soave, irresistibile dolcezza che vi spezza il cuore. Vi sentite incantati, stupiti, commossi.
La grande bellezza ha sempre il potere di commuovere. «Dove c’è bellezza, c’è anche compassione, per la semplice ragione che la bellezza deve morire». Ogni momento può essere l'ultimo per noi, perché siamo mortali. Quando guardiamo un’alba che si specchia nelle acque del mare, quando vediamo nel viso di un uomo o di una donna una bellezza irresistibile, dentro di noi sappiamo che quel momento non tornerà. È questo che vi sta dicendo Dostoevskij. È la compassione che nasce in noi grazie alla contemplazione della bellezza che salverà il mondo. O meglio salverà l’uomo.
La bellezza che i media ci vendono invece è una bellezza plastificata, prodotta in serie, perché l’uomo per essere un buon consumatore deve innanzitutto credere di essere immortale. In una società che ha fatto dell’egoismo una moda e del consumismo un’arte, non c’è più spazio per la poesia, per pensare all’altro, per sentire. Non c’è più il tempo per vivere. Ma se voi invece di lasciarvi vivere, come fanno tanti, vi fate inebriare dalla bellezza della natura, dell’arte, della poesia, non troverete in queste cose soltanto una mera bellezza estetica ma la radice più profonda della vita stessa."
G. Middei, anche se voi mi conoscete come Professor X (Cari amici, con un senso di commozione vi comunico che il mio romanzo Clodio è alla sua ultima ristampa. Se vi piacciono la storia e la filosofia, vi lascio il link per leggerne un estratto gratuito: https://www.amazon.it/Clodio-G-Middei/dp/8832055848
#letteratura #cultura #istruzione #dostoevskij
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"Siamo fatti per vivere. I lutti ci gettano nel vuoto, ma in quella disperazione c’è la luce del passato".
Da quello che alcuni suoi allievi raccontano, sarebbe stata questa l’ultima parola di Jacques Lacan.
Fine dei giochi, azzeramento, sparizione.
Non a caso l’ultimo dei suoi celebri Seminari porta come titolo premonitore Dissoluzione. Annuncio non solo della fine della sua Scuola
– che egli scioglierà, appunto, poco prima di morire.
–ma anche della fine della sua presenza in questo mondo. Annuncio, appunto, della sua imminente scomparsa.
Scomparire è una forma radicale della separazione.
Quando mancano le parole, quando c’è troppo dolore, quando tutto appare compromesso, quando tutto è divenuto impossibile da sopportare, quando si è alla fine delle nostre forze, quando è accaduto l’irrimediabile, quando muore qualcosa in cui abbiamo profondamente creduto, allora la separazione può assumere la forma netta e gelida della sparizione.
«Scompaio» significa interrompere per sempre i legami con il mondo così come l��ho conosciuto.
L’ascia del tempo ha tagliato d’un solo colpo la corda che ci legava alla vita.
Non resta che scomparire, farla finita, spegnere tutto.
Nel caso della morte questa scomparsa non è – fatta eccezione per i soggetti suicidari, che decidono di darsi la morte – l’esito di una scelta, ma quello di una condanna, di un’imposizione subita.
Non sono mai “io” che decido di scomparire, ma è la legge della morte che lo esige. Non c’è più tempo per me, non c’è più tempo per la mia vita.
La morte ci costringe a scomparire, a dissolverci, a ritornare, come direbbe ancora il Qoèlet biblico, alla polvere dalla quale proveniamo.
Il cerchio si chiude: l’essere, uscito dal nulla, ritorna nel nulla. Accade agli uomini, come ci ricorda sempre il Qoèlet, allo stesso modo in cui accade ai cavalli, ai cani, alle formiche, ai leoni, agli uccelli nel cielo.
Quante volte abbiamo sentito dire:
«È scomparsa», «È scomparso», come a sottolineare che chi se n’è andato ha sciolto ogni legame con noi, non è più reperibile, raggiungibile, non può più essere contattato.
E quante volte abbiamo avuto difficoltà a trovare le parole giuste per commentare questo
annuncio.
Impossibile, infatti, trovarle. Meglio tacere.
Non a caso Roland Barthes, in Frammenti di un discorso amoroso, ha descritto la separazione come l’allontanamento nello spazio di due navicelle che non possono più intercettare i messaggi dell’una verso l’altra.
Allontanamento siderale, distanza incolmabile, scomparsa dal radar.
Si scompare come l’aereo precipitato a Ustica o come l’inquietante colonnello Kurtz in Apocalypse Now di Francis Ford Coppola. È vero:
la scomparsa, se vuole essere davvero tale, deve occultare la traccia, deve impedire il ritrovamento o il ritorno.
-Prova a scomparire seguendo questa modalità anche il protagonista di un noto romanzo di Georges Simenon dal titolo La fuga del signor Monde, che dall’oggi al domani decide di lasciare bruscamente l’ordine borghese e indifferente della sua famiglia. Ritira tutti i soldi che ha sul conto e prende il primo treno, senza dare spiegazioni a nessuno.
-Accade al protagonista di Dissipatio H.G. di Guido Morselli che, dopo aver tentato di suicidarsi, ritorna nella sua città pronto a ricominciare a vivere ma, beffardamente, non trova più nessuno: tutto il genere umano (H.G. sta per Humani Generis) si è nel frattempo dissolto, si è dissipato senza alcuna ragione, è sparito dalla faccia della terra.
La scomparsa è una separazione che viene spinta verso il suo fondo più oscuro. Non ci sono più tracce di chi se n’è andato, non ci saranno più contatti, non ci sarà più alcuna possibilità di ritrovamento.
Questo significa che chi scompare se n’è andato davvero senza lasciare nulla di sé, senza desiderio di ritornare né speranza di essere ritrovato, con la volontà determinata di non appartenere più al mondo cui apparteneva.
Tutto questo sembra risuonare nell’ultima parola attribuita a Lacan: «Scompaio». Trascinare via con sé tutto quello che si è stati, nessun resto, nessuna traccia, nessuna nostalgia.
--La vita come separazione--
La morte fisica del nostro corpo non è la sola esperienza che noi possiamo fare della morte.
Esistono infatti innumerevoli morti che costeggiano le nostre vite.
Questo significa che ciascuno di noi ha fatto molteplici esperienze di cadute, separazioni, scomparse, abbandoni, perdite.
La nostra vita appare circondata da tutte le perdite che l’hanno segnata, dalle ferite che le separazioni le hanno impresso, dai fantasmi dei nostri morti.
Per la psicoanalisi le esperienze che annunciano quella della morte sono associate all’angoscia di castrazione.
Non a caso Freud descriveva il divenire della vita umana come una serie successiva di tagli:
-dalla placenta
-dal cordone ombelicale
-dal seno
-dalle proprie feci
-dalla propria madre
-dal proprio corpo infantile, eccetera.
In ognuno di questi passaggi evolutivi qualcosa è destinato a perdersi irreversibilmente.
Per questa ragione nel mito biblico l’umano (Adam), per poter entrare in un legame con l’Altro (Eva), deve essere in primo luogo tratto fuori da se stesso, deve poter perdere una parte di sé (la famosa “costola”), deve esporsi alla propria mancanza e alla dinamica del desiderio che lo conduce verso l’altro da sé.
Ma come accade, per esempio, nello svezzamento, non è solo l’oggetto (il seno) che si stacca dal soggetto, ma è anche un pezzo del soggetto che in questo tempo
di separazione si perde a causa della perdita dell’oggetto.
Ogni taglio ha topologicamente due bordi:
+la separazione non si limita a dividere il soggetto dall’oggetto perduto, ma lo divide altresì da una parte di se stesso. Precisamente quella parte che aveva aderito di più all’oggetto confondendosi con esso. Ecco perché quando finisce un amore ci si sente perduti.
Non si perde, infatti, solo l’oggetto amato, ma si perde, insieme a quell’oggetto, il senso del mondo e, di conseguenza, una parte significativa di noi stessi.
Qualcosa muore, si spegne, si stacca, non esiste più.
-Sicché la perdita dell’oggetto trascina con sé anche il soggetto, spogliandolo di una porzione del suo essere.
Di qui lo sguardo smarrito, vuoto e angosciato che vediamo sul volto di chi sta vivendo il lutto di una separazione. Al vuoto lasciato dalla perdita dell’oggetto che si è aperto nel mondo corrisponde il vuoto che si è aperto simultaneamente nel soggetto.
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Alda Merini: Il dolore dell’anima come eco universale. Recensione di Alessandria today
Un viaggio tra sofferenza e poesia nelle parole di una delle voci più intense della letteratura italiana.
Un viaggio tra sofferenza e poesia nelle parole di una delle voci più intense della letteratura italiana. Biografia dell’autrice.Alda Merini (1931-2009) è una delle poetesse più amate e significative della letteratura italiana contemporanea. Nata a Milano, inizia a scrivere giovanissima, attirando l’attenzione di personalità come Eugenio Montale e Salvatore Quasimodo. La sua vita è segnata da…
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- Cristian Bragaglio.
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Essere innamorati dell'amore è sempre un rischio.. le aspettative quando si incontra una nuova persona son spesso molto alte.. la si idealizza.. si colgono spesso solo i lati positivi.. durante i primi incontri si prende solo il meglio dell'altra persona.. ma è nella vita quotidiana.. che si comprende se la persona che si ha al proprio fianco è quella con la quale si potrà condividere gran parte dell'esistenza..
Alain de Botton
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“Quale momento della vita non sarebbe triste, difficile, brutto, insipido, fastidioso, senza il piacere, e cioè senza un pizzico di follia?” (Erasmo Da Rotterdam)
“Siate affamati, siate folli” (Steve Jobs)
“Elogio della follia” (Moriae encomium), scritto nel 1509, è una delle opere più celebri di Erasmo da Rotterdam. Questo saggio satirico, pubblicato per la prima volta nel 1511, si presenta come un discorso pronunciato dalla Follia stessa, che si fa portavoce di una critica pungente alla società del suo tempo, denunciandone le contraddizioni e le ingiustizie.
Il testo è scritto in un periodo di grande fermento culturale e religioso in Europa, caratterizzato dalla nascita dell'Umanesimo e dai primi segnali di riforma religiosa. Erasmo, figura centrale di questo movimento, si opponeva alle pratiche corrotte della Chiesa e alla superstizione popolare. “Elogio della follia”riflette queste tensioni, utilizzando l'ironia per mettere in luce le ipocrisie della società.
L'opera è strutturata come un discorso in cui la Follia, personificata, elogia se stessa e i vantaggi che porta agli esseri umani. La Follia si rivolge direttamente al lettore, creando un senso di intimità e coinvolgimento. Utilizza un linguaggio vivace e provocatorio, ricco di giochi di parole, paradossi e riferimenti classici. La narrazione è caratterizzata da un tono ironico e spesso sarcastico, che invita il lettore a riflettere sulle norme sociali e sui valori condivisi.
Erasmo utilizza la Follia per mettere in discussione le convenzioni sociali, la corruzione della Chiesa, l'ipocrisia dei nobili e la stupidità dei cittadini comuni. Sotto il velo della Follia, l'Autore critica i teologi dogmatici, i filosofi razionali e gli ecclesiastici, evidenziando il loro distacco dalla realtà e dalla vera saggezza. La Follia afferma che molti dei più rispettati membri della società sono, in effetti, i più folli.
L'opera elogia la follia come una condizione che porta alla gioia e alla spensieratezza, mentre razionalità e saggezza spesso portano alla sofferenza. La Follia sostiene che vivere senza il peso della razionalità e delle aspettative sociali consente di apprezzare la vita in modo più profondo. Erasmo esplora, dunque, l'idea che la follia possa essere una forma di saggezza. Questo paradosso invita il lettore a riconsiderare il valore della razionalità in contrapposizione alla libertà di pensiero. L’Autore sottolinea la vulnerabilità e le contraddizioni dell’essere umano. La Follia mette in luce come tutti, in un modo o nell'altro, siano soggetti a follie e illusioni. Questo riconoscimento dell'umanità comune serve a smantellare la presunzione di superiorità dei "saggi" e a promuovere un senso di umanità condivisa.
“Elogio della follia” ha avuto un impatto significativo sulla letteratura e sul pensiero occidentale. La sua critica sociale e religiosa ha ispirato generazioni di pensatori e scrittori, contribuendo al dibattito sulla ragione e la follia. La sua pubblicazione ha anche suscitato reazioni contrastanti, da ammirazione a condanna, soprattutto da parte dei sostenitori della Chiesa.
“Elogio della follia”è un'opera fondamentale che combina satira, filosofia e critica sociale. Con il suo stile incisivo e la sua profonda introspezione, continua a essere rilevante nel contesto contemporaneo, invitando il lettore a riflettere sulla natura della follia e sulla società in cui vive. La Follia, con la sua ironia, rimane una figura potente che ci sfida a riconsiderare le nostre convinzioni più radicate.
La Follia non è solo un tema, ma un invito a esplorare nuove prospettive, a riconoscere la bellezza del vivere e a considerare che, in fondo, tutti portiamo un po' di follia dentro di noi.
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