#orologi senza tempo
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intotheclash · 4 months ago
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Molto recentemente abbiamo saputo che la natura si stanca, come noi, suoi figli: e abbiamo saputo che, come noi, può morire assassinata. Ormai non si parla di sottomettere la natura: ora perfino i suoi carnefici dicono che bisogna proteggerla. Però nell'uno o nell'altro caso, natura sottomessa o natura protetta, essa è fuori di noi. La civiltà che confonde gli orologi con il tempo, la crescita con lo sviluppo, e la mole con la grandezza, confonde anche la natura con il paesaggio, mentre il mondo, labirinto senza centro, si dedica a rompere il suo stesso cielo. (Eduardo Galeano)
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libero-de-mente · 1 month ago
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L'ora solare che mi ha tolto il sonno
Questa mattina Leo si è palesato. Ero ancora mezzo addormentato, avvolto nelle calde coperte, quando ho sentito il suo miagolio acuto. Ho cercato di fingere un sonno profondo, io che il sonno l'ho perso da tempo, non riuscendo nel mio intento di dissuadere il micio rosso. Così Leo è passato alle maniere spicce, usando la zampetta, mi ha ripetuto con dolcezza sulla nuca. Un "toc toc c'è qualcuno" gattesco.
Stropiccio gli occhi e metto a fuoco Alexa, è mattina. Intendo mattina presto, mi ero dimenticato dell'ora solare.
Mi trascino fuori dal letto, barcollando come un robot senza batteria. Apro le imposte della cucina, rivolte dove il sole sorge la mattina. Credo che in quel momento mi sia sentito come un vampiro costretto a uscire dal suo rifugio. Temendo i raggi del sole.
Mentre preparo il cibo al peluche rosso il mio cervello ripensa alla sera precedente. Una serata a base di jazz, swing e balli di Charleston.
Di giacche imbottite, bretelle e cappelli fedora; ma anche di vestiti sfrangiati a vita bassa, di modelli “maschili” alla garçonee e i capi che ricalcavano la moda orientale. Che belli i vestiti morbidi e leggeri con tessuti come lo chiffon, il tulle, l'organza e la seta; le gonne plissè o a pieghe.
Lo Champagne, le sigarette col beccuccio e i sigari accompagnati da Whisky.
Il gatto mangia, anche Milly l'altro micio di casa, ieri ha compito 14 anni, approfitta per fare colazione. A questo punto non mi resta che un caffè, per cercare di svegliare anche l'ultima porzione di cervello; quella che si rifiuta il risveglio questa mattina.
Ho un pensiero: "la vita è una tortura e il risveglio la mattina ne è la prova".
Penso ironicamente con quale delusione inizierò la giornata, ma c'è tempo... sono un'ora in anticipo e posso attendere.
Mentre attendo il caffè, continuo a imprecare contro l'ora solare. "Ma che senso ha anticipare l'ora? È come svegliarsi un'ora prima e non aver dormito lo stesso!", esclamo rivolgendomi alla macchinetta del caffè, che mi guarda impassibile e per tutta risposta inizia a borbottare. Credo che abbia ragione lei nel suo borbottare.
Il risveglio un'ora prima mi fa sentire stranamente giovane, anche se consapevole che al primo affanno comincerò ad ansimare come nelle televendite asmatiche del baffo Roberto da Crema.
La tecnologia non necessità più della correzione degli orologi, oggi tutto si aggiorna automaticamente. Ogni volta penso al potere che avevo di portare indietro le lancette degli orologi analogici, potessi tornare indietro io. Tirerei indietro le lancette di trent'anni.
Oggi è domenica i gatti sono soddisfatti, manca la chihuahua che necessità della passeggiatina per lasciare i suoi ricordini, che ovviamente raccoglierò con dovizia. A lunedì ci penserò più tardi, per ora vivrò ancora al tempo della Belle Époque.
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vefa321 · 1 year ago
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☀️Sono giorni caldi, dal sapore dell'estate, gusto anguria e granita al caffè.
Sono giorni di sabbia nelle borse di paglia, di zaini in spalla, di libri da leggere, di musica da ascoltare, di falò e baci rubati sotto la luna.
Sono giorni di treni, di chilometri da srotolare lungo le strade dell'avventura, di messaggi in attesa di uno sta scrivendo, di segnale carente e tacche al massimo.
Sono giorni da vivere prima di ricordarli, sono tempi senza orologi, senza appuntamenti, senza scadenze. Sono giorni che non torneranno come non torna mai nessuno giorno, brutto o bello che sia stato.
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Prendili per mano e facci un pezzo di strada, calca i loro passi, insegui il loro tempo, non dare loro tregua, è l'estate dei tuoi vent'anni...
Prendili senza indugio e vivi ogni minuto senza contare le ore, è l'estate dei tuoi trent'anni...
Prendile con parsimonia, prenotati e programmati, sono giorni ben organizzati, è l'estate dei tuoi primi quarant'anni...
Prendili con pazienza, senza fretta e senza tentennamenti, sono giorni che aspettavi, è l'estate dei tuoi cinquant'anni...
Prendili con filosofia, come un anticipo del tuo tempo, sono giorni da assaporare con il tempo di chi ha memoria di altri giorni, è l'estate dei tuoi sessant'anni...
Prendili e vivi, è l'estate che non conosce le stagioni dell'uomo, gli anni non contano più, conta come si vivono, è l'estate che splende per te...
J.D
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be-appy-71 · 8 months ago
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La mia alba..
Che delizia svegliarsi è meraviglioso ritrovarsi nudi e poter passeggiare, lasciando sul nostro corpo una scia di baci e centinaia di carezze che ci fanno rabbrividire..Che sensazione amarsi a volontà, spegnere il fuoco che scorre dentro di noi, lasciare scorrere la passione e perdersi senza orologi, senza tempo che minaccia ciò che sta per accadere sotto le lenzuola...Sentire la tua pelle, accarezzarti e dissetarmi con i tuoi baci è semplicemente qualcosa che non sono disposto a perdere, amarti con questa follia trasportato fino all'alba è qualcosa di veramente bello quando all'alba mi sveglio impregnato del tuo essere...Amarti è sempre una fantasia realizzata, è fare con te tutto ciò che ho immaginato, perché siamo entrambi fuoco che vuole ardere sulla nostra pelle...Amami come solo tu sai fare, riempi le mie labbra con le tue, dammi la tua passione e preparati a godere anche tu, perché di una cosa sono sicuro è che voglio sempre che tu sia sempre la mia alba ... ♠️🔥
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(Autore Gioele Nigh )
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viviween · 1 month ago
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Simbolicamente, il campanile serve a richiamare i fedeli: non siamo tutti fedeli, non siamo tutti cristiani e la fede non è un elemento indispensabile all'esistenza - quindi, i cristiani, devono imparare a inviarsi via telefono, tra di loro, i messaggi religiosi, senza disturbare.
Il suono delle campane non è necessario: abbiamo orologi e telefoni per sapere che ore sono da molto tempo: rappresenta solo disturbo della quiete pubblica e inquinamento acustico.
I cristiani, in tutti questi millenni, devono ancora imparare cosa sia il Rispetto per gli altri.
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pettirosso1959 · 4 months ago
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Ero arrivato all'indirizzo e avevo suonato il clacson. Dopo aver aspettato qualche minuto, suonai di nuovo. Visto che quella sarebbe stata la mia ultima corsa del turno, pensai di andarmene, ma invece misi la macchina in parcheggio, mi avvicinai alla porta e bussai. 'Un attimo,' rispose una voce fragile e anziana. Sentii qualcosa trascinarsi sul pavimento.
Dopo una lunga pausa, la porta si aprì. Davanti a me c'era una piccola donna sui novant'anni. Indossava un vestito a fiori e un cappellino con un velo appuntato, come qualcuno uscito da un film degli anni '40.
Accanto a lei c'era una piccola valigia di nylon. L'appartamento sembrava disabitato da anni. Tutti i mobili erano coperti da lenzuola.
Non c'erano orologi alle pareti, né soprammobili o utensili sui ripiani. In un angolo c'era una scatola di cartone piena di foto e oggetti di vetro.
'Potresti portare la mia valigia alla macchina?' disse. Presi la valigia e la portai al taxi, poi tornai ad aiutarla.
Mi prese per il braccio e camminammo lentamente verso il marciapiede.
Continuava a ringraziarmi per la mia gentilezza. 'Non è niente,' le dissi. 'Cerco solo di trattare i miei passeggeri come vorrei che trattassero mia madre.'
'Oh, sei un bravo ragazzo,' disse. Quando salimmo in taxi, mi diede un indirizzo e poi chiese: 'Potresti passare per il centro?'
'Non è la strada più breve,' risposi rapidamente.
'Oh, non importa,' disse. 'Non ho fretta. Sto andando in un hospice.'
Guardai nello specchietto retrovisore. I suoi occhi luccicavano. 'Non ho più famiglia,' continuò con voce dolce. 'Il dottore dice che non mi resta molto tempo.' Spensi il tassametro in silenzio.
'Quale percorso vuoi che faccia?' chiesi.
Per le successive due ore, guidammo attraverso la città. Mi mostrò l'edificio dove aveva lavorato come operatrice di ascensori.
Passammo per il quartiere dove lei e suo marito avevano vissuto da novelli sposi. Mi fece fermare davanti a un magazzino di mobili che un tempo era stata una sala da ballo dove andava a ballare da ragazza.
A volte mi chiedeva di rallentare davanti a un particolare edificio o angolo e restava a fissare nel buio, senza dire nulla.
Quando l'alba iniziava a intravedersi all'orizzonte, disse improvvisamente: 'Sono stanca. Andiamo ora.'
Guidammo in silenzio fino all'indirizzo che mi aveva dato. Era un edificio basso, simile a una piccola casa di riposo, con un vialetto che passava sotto un portico.
Appena arrivammo, due inservienti uscirono dal taxi. Erano premurosi e attenti, osservando ogni suo movimento. Dovevano aspettarla.
Aprii il bagagliaio e presi la piccola valigia. La donna era già seduta su una sedia a rotelle.
'Quanto ti devo?' chiese, mettendo mano alla borsa.
'Niente,' dissi.
'Devi guadagnarti da vivere,' rispose.
'Ci sono altri passeggeri,' replicai.
Quasi senza pensarci, mi chinai e la abbracciai. Mi tenne stretta.
'Mi hai regalato un piccolo momento di gioia,' disse. 'Grazie.'
Le strinsi la mano e poi mi allontanai nella luce fioca del mattino. Dietro di me, una porta si chiuse. Era il suono della chiusura di una vita.
Non presi più passeggeri per quel turno. Guidai senza meta, perso nei miei pensieri. Per il resto della giornata, riuscii a malapena a parlare. Cosa sarebbe successo se quella donna avesse avuto un autista arrabbiato o impaziente di finire il turno? E se avessi rifiutato la corsa, o avessi suonato il clacson una volta, poi me ne fossi andato?
Ripensando a tutto, non credo di aver fatto nulla di più importante in vita mia.
Siamo abituati a pensare che le nostre vite ruotino attorno a grandi momenti.
Ma spesso i grandi momenti ci sorprendono, splendidamente avvolti in quello che altri potrebbero considerare un piccolo gesto.
LE PERSONE POTREBBERO NON RICORDARE ESATTAMENTE COSA HAI FATTO, O COSA HAI DETTO MA RICORDERANNO SEMPRE COME LE HAI FATTE SENTIRE.
In fondo a questa grande storia c'era una richiesta di inoltrarla - ho eliminato quella richiesta perché se hai letto fino a questo punto, non avrai bisogno di essere invitato a passarla oltre, lo farai spontaneamente...
La vita potrebbe non essere la festa che speravamo, ma mentre siamo qui possiamo anche ballare...
Da Marco Gigli.
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valentina-lauricella · 4 months ago
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ALLEN GINSBERG
NOTA A URLO
Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo!
Il mondo è santo! L’anima è santa! La pelle è santa! Il naso è santo! La lingua e il cazzo e la mano e il buco del culo sono santi!
Tutto è santo! tutti sono santi! dappertutto è santo! tutti i giorni sono nell’eternità! Ognuno è un angelo!
Il pezzente è santo come il serafino! il pazzo è santo come tu mia anima sei santa!
La macchina da scrivere è santa la poesia è santa la voce è santa gli ascoltatori sono santi l’estasi è santa!
Santo Peter santo Allen santo Solomon santo Lucien santo Kerouac santo Huncke santo Burroughs santo Cassady santi gli sconosciuti mendicanti sodomiti e sofferenti santi gli orrendi angeli umani!
Santa mia madre nel manicomio! Santi i cazzi dei nonni del Kansas!
Santo il sassofono gemente! Santa l’apocalisse del bop! Santi gli hipsters di jazz & marijuana pace & streppa & tamburi!
Sante le solitudini dei grattacieli e delle strade! Sante le cafeterias piene di milioni! Santi i misteriosi fiumi di lacrime sotto le strade!
Santo il juggernaut senza compagni! Santo il vasto agnello della borghesia! Santi i pazzi pastori della ribellione! Chi capisce Los Angeles È Los Angeles!
Santa New York Santa San Francisco Sante Peoria e Seattle Santa Parigi Santa Tangeri Santa Mosca Santa Istanbul!
Santo tempo nell’eternità santa eternità nel tempo santi gli orologi nello spazio santa la quarta dimensione santa la quinta Internazionale santo l’Angelo in Moloch!
Santo il mare santo il deserto santa la ferrovia santa la locomotiva sante le visioni sante le allucinazioni santi i miracoli santa la pupilla santo l’abisso!
Santo perdono! pietà! carità! fede! Santi! Nostri! corpi! sofferenza! magnanimità!
Santa la soprannaturale ultrabrillante intelligente gentilezza dell’animo!
Berkeley 1955
Traduzione di Fernanda Pivano
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forgottenbones · 2 years ago
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Cose che sono ormai virtualmente obsolete
• Scrivere con inchiostro su carta
• Fruire di media da un supporto fisico (cd, cassette, dvd, Blu-ray, libri)
•Parlare al telefono e mandare sms
• Scaricare dati se non nella memoria temporanea
• Usare innumerevoli servizi senza una app (chiamare un taxi, prenotare un hotel, farsi consegnare qualcosa a domicilio, amministrare le proprie finanze, lavorare in team)
• Gli orologi da polso (già da molto tempo)
• Tu ed io
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sciatu · 1 year ago
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Madam Effie e la formula della felicità - seconda parte
I NOSTRI INCUBI CI CONOSCONO MEGLIO DI CHI AMIAMO
Il professore Ferdinando Gugliotta illustre, rinomato professore di matematica in uno dei licei più rinomati di Messina, era confuso. Malgrado ateo, e convinto assertore della logica e del raziocinio, tanto che teneva sempre sul comodino il Candido di Voltaire e i libri di Beltrand Russel, era stato convinto dalla cugina, l’unica persona di cui avesse un qualche rispetto, a visitare Madam Effie, una cartomante che secondo i registri del comune non esisteva. Madam aveva fatto qualcosa ai suoi occhiali dicendogli che da quel momento avrebbe potuto vedere sua figlia Beatrice, la figlia che non era mai nata. Uscito dal caseggiato vivente di Madam, si fermò a guardare le sue mani. Non capiva perché ma ci vedeva meglio. Le rughe, i peli delle mani gli apparivano nitidissimi, pieni dj particolari mai notati. Alzò gli occhi al cielo e vide le nuvole come volare, scivolando velocemente da un capo all’altro del cielo. Uno stormo di fenicotteri passo velocemente nella direzione opposta alla corsa delle nuvole. Guardò per strada e vide che vi erano tanti passanti. Alcuni camminavano lentamente, altri apparivano e sparivano in un lampo. Altri ancora attraversavano alberi e macchine come se questi non esistessero. Si levò gli occhiali. La strada era semivuota, con le case dai colori anonimi e qualche raro passante. Il cielo era senza nuvole e nessun uccello, in quelle calde ore del pomeriggio, si azzardava a mostrarsi. Si mise di nuovo gli occhiali e le case diventarono subito di un colore intenso, la strada tornò a ripopolarsi di figure e ombre sfuggenti, riapparvero le nuvole che si inseguivano in un cielo dal colore mutevole. Si sentì disorientato, con la testa che gli girava. Doveva sedersi. Vide un bar con dei tavolini sul marciapiede. Si sedette in quello più isolato e cercò di raccogliere le idee. Cosa era successo? Pensava di poter controllare la situazione e smascherare Madam Effie come una delle solite false maghe. Invece … “Prende qualcosa ?” Disse improvvisamente una figura bianca accanto a lui “Un’acqua tonica con dentro della granita al limone.” L’ombra bianca si dileguò. Anche la storia del tempo che nella stanza di Madam si fermava poteva essere spiegato – si disse convito – bastava creare un campo magnetico e tutti gli orologi si sarebbero fermati. Poi la storia che aveva tradito la moglie, chissà quanti andavano li perché avevano tradito. Non ci voleva molto a capire chi aveva capito e chi no … Insomma tutto si poteva spiegare, tutto poteva essere ricondotto a dati e situazioni tangibili e concrete. Fu soddisfatto della sua valutazione. “Buongiorno Gugliotta tutto bene?” Una persona con un impermeabile grigio, e un cappello alla Borsalino passò velocemente salutandolo “Buongiorno – rispose velocemente il professore cercando di capire chi fosse e riconosciutolo aggiunse – Buongiorno signor preside tutto bene grazie” Rispose contento di vedere il professore Saija, che aveva avuto come dirigente molti anni prima La sua contentezza duro ben poco, ricordando che il preside forse era venuto a mancare anni prima. Non ne era sicuro, ma gli sembrava di essere stato anche al funerale. Si appoggiò allo schienale della sedia, osservando i passanti, cercando di capire se fossero reali o meno. Osservò un vecchio alto e allampanato che gli sembrava reale e due signore camminare lentamente impegnate in una discussione intensa che le obbligava a fermarsi ogni tre passi per spiegare dettagliatamente il loro pensiero sottolineandoli con gesti degni di un direttore d’orchestra. Notò una ragazza che camminava sul marciapiede opposto, avvolta in un elegante soprabito rosso. Stava parlando al cellulare e sorrideva felice muovendo i suoi lunghi capelli rossicci che le coprivano le spalle con lunghe e morbide onde. Il professore sottolineò con un sorriso quella bellezza fresca e gioiosa così diversa dall’inverno che sentiva nella sua anima. Guardò meglio e notò che la ragazza aveva dei tratti che gli ricordavano qualcuno, forse un’ alunna degli anni passati o una parente della moglie. La ragazza si fermò dall’altro lato della strada, guardò nella sua direzione e sorrise. Continuò a parlare velocemente al cellulare, poi chiuse la chiamata e mettendosi il telefono in tasca attraversò la strada. Il professore girò la testa per non dare l’impressione che la stesse fissando come un maleducato, ma la ragazza si diresse verso di lui e spostando la sedia che aveva di fronte si sedette sorridendo. “Ciao – gli disse felice – come stai?” Lui l’osservò stupito “Ci conosciamo?” Chiese disorientato “Certo papà, sono io, …, Beatrice, tua figlia.” Lui la guardò stupito “Ma …” Cercò di dire che non era possibile, che sua figlia era morta nella pancia di sua madre ed il suo corpo era stato bruciato. Era stato lui a chiedere che fosse trasformato in cenere. quello che nella vita non sarebbe più stata una primavera. Ma ora la primavera lo guardava. Sorridendo. Felice di vederlo, come se da sempre lo avesse quotidianamente frequentato restituendogli quegli incontri che lui aveva con lei nei suoi pensieri più tristi.  In quei pensieri senza speranza e voglie in cui riassumeva in modo impietoso e cattivo, tutta la sua vita. Ma lei ora era li e di fronte a lui, occhi simili a quelli di sua moglie e labbra tenere come quelle di sua madre chiuse dentro un ovale del volto che era il suo, lo guardavano felici, mentre i capelli oscillavano rossicci e mossi come quelli che sua moglie aveva quando si erano conosciuti. Era Beatrice, sua figlia, ne aveva l’assoluta certezza e tutta la sua logica, il raziocino illuminato che aveva scelto come senso della sua vita, non riuscivano a spiegare perché lei fosse li, non riusciva a trovare una valida, lucida e fredda ipotesi che chiarisse perché la stesse osservando. La sua razionalità, come stava capitando alle sue emozioni, era in silenzio e non voleva fare alcuna valutazione: silenziosamente ammirava l’imponderabile e l’inspiegabile fatto che Beatrice, la figlia che non era mai nata, fosse li, di fronte a lui. “Beatrice” Disse di getto e allungò la mano per toccare quella che lei teneva sul tavolino ma sentì solo il freddo della nera lava con cui era fatto il tavolino. Lei sorrise “Papà, io esisto solo nel tuo Karma, non puoi toccarmi” “Scusa non lo sapevo rispose sorridendo - ma lasciò la sua mano dove vedeva quella della figlia. -Vuoi dire che sei una mia illusione?” “No, sono tua figlia, la tua vita unita a quella della mamma, per questo non sono ne una tua, ne una sua illusione, ma quel destino che poteva essere e non è stato” “Ma ci sono migliaia di destini che si possono sviluppare da un singolo evento” “Ma io sono solo quello che tu e la mamma avete pensato, immaginato, desiderato,  e che vive nell’Akasha. Io sono una parte di voi e voi, pensandomi e immaginandomi, mi fate vivere. Non perdere tempo però, non posso essere presente a lungo di fronte a te, alle volte la tua energia emotiva non è sufficiente a far si che tu mi veda a lungo” “Sei razionale e precisa come a me – disse orgoglioso il professore – ecco, in breve: mi sento perso. Con tua madre non riesco più a parlare anche lo vorrei. Ora mi manca, ma quando è con me, mi da fastidio. E lo stesso sentimento ho con me stesso, con la vita, con il lavoro. Non riesco pensare più a niente, ripeto gli stessi gesti ogni giorno e la sera, quando vado a dormire mi rendo conto che non mi ha lasciato nulla se non la fatica e l’inutilità di vivere” Si fermò stupendosi di  aver detto tutte quelle cose d’un fiato. La faccia di Beatrice lo guardava seria, quasi arrabbiata “Papà per favore, finiscila di dire tutte queste minchiate! Mi fai incazzare quando ti metti a fare l’esistenzialista sfigato!! Come puoi pensate di dire tutte queste cose quando sai che sono solo i pensieri di un borghese idealista frustrato.” Vide le labbra della figlia diventare una fessura e quasi impallidire dalla rabbia “Tu sai che dici queste cose solo per non affrontare il problema vero” Lui la guardò seccato che sua figlia potesse avere un pensiero diverso dal suo “E qual è allora il problema vero?” “Che tu e la mamma non vi parlate! Da quando io sono morta vi siete chiusi nei vostri silenzi e avete fatto solo casini” “Beatrice, per favore: stai esagerando!” “Non sto esagerando – fece lei piccata con la stessa passione e cipiglio con cui lui difendeva le sue idee nelle discussioni politiche della sezione di partito – È così! Lei si sente una donna fallita, tu hai pensato bene di consolarti altrove” Lui arrossì “Che ne sai tu? Non puoi giudicare….” “Perché? Perché non sono viva? O perché sono giovane e per te essere giovane vuol dire non poter giudicare.” Si girò sulla sedia guardando da un'altra parte e continuò “Io posso giudicarvi, perché sono la parte migliore di entrambi. Se fossi nata, la vita mi avrebbe corrotto, avrei imparato le ipocrisie, i compromessi, i giudizi egoistici con cui vivete. Ma sono rimasta come voi mi desideravate, con l’amore,  il coraggio e la chiarezza che voi avete perso giorno dopo giorno per poter vivere la follia dei vivi.” Si voltò di nuovo a guardarlo “Papà pensaci: secondo te la mamma non sapeva nulla di te e di quell’altra? Secondo te ha tentato di fuggire nella morte alla sensazione di fallimento della sua vita solo perché io ero morta? Secondo te, adesso si stordisce di liquore perché pensa a me o è angosciata, come lo sei tu, di vivere con te senza però sentire di vivere nei tuoi pensieri, nel tuo amore?” Il Professore la guardò e dopo qualche secondo abbassando la testa disse semplicemente “Ho capito, ho capito, abbiamo fatto un errore dietro l’altro. E ora cosa dovremmo fare se siamo ormai alla fine di tutto” Appoggio una mano sulla fronte, quasi a coprire gli occhi che si stavano riempiendo di lacrime e con il gomito appoggiato sul tavolino quasi come se stesse pensando continuò “Io ti volevo. Tua mamma ti voleva, avevamo rinunciato a tante cose, e avevamo fatto tanti progetti e ora tu non c’eri più. A stare insieme, anche nella stessa stanza sentivamo e sentiamo ancora l’uno il dolore dell’altra. Tu non eri una semplice figlia era la vita che si manifestava, eri il nostro amore che si incarnava. Morta tu sono morti entrambi” “Papà non rincominciare a compatirti, non serve a niente - disse lei con dolcezza – la vita non può finire è parte del fluire dell’Akasha, l’amore non è morto: perché hai fatto questa cosa per te assurda di andare da Madam se non per amore? Dovevi essere disperato per farlo” “Lo sono ancora” “E allora usa questa tua disperazione alzati e vai contro questo vuoto che provi. Sei andato contro i padroni, la mafia, i dittatori, a maggior ragione puoi andare contro quella tua parte che si nasconde dietro questo vostro vivere l’uno nascosto all’altra. Parlale. Finche vi parlate sarete vivi. Io sono qui perché entrambi mi avete parlato ogni giorno della vostra vita. Per questo puoi vedermi, gli occhiali, sono solo un mezzo non il motivo per cui sono ancora con voi.” Lui la guardò. Si, era sua figlia, quella che avrebbe voluto vivere. Aveva la sua logica e la tenerezza di sua madre. Pensava queste cose il professore e capì che avrebbe fatto quello che lei gli aveva detto. La vide sfuocarsi. “Cosa succede, non ti vedo bene … gli occhiali …?” “No, non ti preoccupare, è la tua energia emotiva che mi materializza. Ora dentro di te hai deciso e questa decisione ti rassicura, ti calma, per questo l’energia sta diminuendo, non mi vedrai, ma sarò sempre accanto a te.” Scomparve “Va bene, ti aspetto. Dobbiamo parlare ancora.” Disse il professore come se vedesse ancora Beatrice di fronte a se Non si mosse. Sentiva che lei era ancora li intorno a lui. Voleva gustare l’idea che sua figlia non era morta, che non fosse finita, persa per sempre. Ma che invece fosse sempre accanto a lui e con lui vivesse una vita parallela, al di la della materia e del senso consolatorio che gli poteva dare il pensarla presente. Presente e viva grazie ad un sentimento quale l’amore, a  cui aveva creduto in modo marginale, un sentimento funzionale per la riproduzione, che non si poteva pesare o misurare e che nessun grande matematico aveva tradotto in una formula matematica. Uno di quei sentimenti piccolo borghesi che aveva sempre contestato, un illusione o un sogno che ora gli dimostrava che comandava le vite e ignorava la morte. Si alzò e si incamminò verso casa pensando a cosa doveva dire a sua moglie Maria, in che modo iniziare nuovamente a parlarle, parlarle veramente, non come fino ad allora avevano evitato di fare “Devi dirle la verità” Gli disse improvvisamene una voce dentro di se. Tanto improvvisamente che gli sembrò strano averlo pensato. Poi capi. Era stata Beatrice a dirglielo, a far nascere in lui un’idea che non arrivava dopo nessun altro suo pensiero. “Ma allora sei ancora qui” Le disse e capi che non poteva essere altrimenti, che lei non lo aveva mai lasciato e che sarebbe stata con loro anche a casa. Per un attimo, piccolo e intenso, fu felice.
Entrò in casa fischiettando e andò in cucina per mettere in frigo un vassoio di dolci che aveva comprato. La moglie era seduta vicino la porta finestra ad osservare il cortile dove alcuni bambini giocavano. Lo guardò sorpresa. “Come mai?” Chiese stupita “Ho pensato che era tanto che non ne mangiavamo, cosi li ho presi” Si levo il soprabito e tornando in cucina disse “Lo sai? Mi è sembrato di vedere il preside Saija, quello del ciclo precedente, ma mi devo essere sbagliato perché è morto mi sembra, te lo ricordi” “Si è morto tre anni fa, sei andato al funerale con la scuola” “Ecco vedi, questo non me lo ricordavo e per un po' mi sono chiesto se fosse proprio lui …” E continuò a parlare, tranquillamente ricordando il giorno del funerale, e quindi dei colleghi, passò poi a parlare della figlia del collega Carmelo che gli avevano detto si fosse sposata a Milano e di come dovevano andare anche loro a Milano a vedere il Duomo e il Cenacolo, come avevano sempre desiderato. E continuava a parlare, a parlare, mentre tagliava i pomodorini e aggiungeva le zucchine e la menta. Mentre metteva su la pasta e disponeva sul tavolo della cucina la tovaglia per cenare. La moglie lo ascoltava senza guardarlo. Metteva dritte le posate e piegava i tovaglioli di carta ma non lo guardava ne rispondeva alle sue domande, ne commentava i suoi pensieri. Il professore dentro di sé era contento di sentire la sua voce, di rivolgersi a sua moglie riuscendo a stare nella stessa stanza con lei senza sentirsi disperato a angosciato. Non accese neanche il televisore, tanto era il piacere di parlarle, di aver cambiato qualcosa che sembrava ormai tristemente eterno. Mise la pasta nei piatti e si sedette di fronte alla moglie e augurandole buon appetito incominciò a zappare nel piatto con la forchetta. La moglie spostò a destra e a sinistra qualche filo di pasta e poi lo guardò seria in volto “Cosa vuoi dirmi?” “Come?” “Tutta questa sceneggiata, i cannoli, il preside, tutto questo tuo parlare, a quale scopo? Per quale motivo?” La guardò finendo di masticare la pasta. Non la vedeva com’era il giorno prima, con le rughe intorno agli occhi e la ricrescita bianca dei capelli poco curati. La vedeva come era anni prima, gli occhi nocciola pieni di luce, i capelli lunghi ed ordinati, le labbra rosse come se avesse passato poco prima il rossetto. Appoggiò la forchetta al piatto “Volevo solo parlarti, scambiare con te qualche parola, riuscire a vincere la solitudine che ci circonda.” Lei lo guardò seria e diffidente “E perché? - Chiese acida – perché dovremmo parlare? Cosa dobbiamo dirci?” “Ad esempio che in fondo ci vogliamo bene” “Proprio tu parli di volere bene, tu che in tutti questi anni mi hai ignorato, che hai pensato solo a te stesso” “ci è successo qualcosa di brutto, all’inizio di questi anni. Qualcosa che per noi è stato tanto terribile che non l’abbiamo saputo gestire. Ora dobbiamo reagire, dobbiamo trovare un’altra strada, un altro modo di stare insieme. Io ho fatto tanti errori, tanti sbagli che mi hanno allontanato ma che non mi hanno mai fatto andare via da te. Mi sono chiesto cosa potevo fare e mi sono risposto che dovevo ricominciare almeno a parlarti” “Per dirmi cosa? Per giustificarti? Ma come puoi essere cosi … cosi ipocrita e falso da dirmi queste stupidate, queste banalità inutili, mentre dentro di noi tutto è già morto.” La guardò. Non era una cosa semplice come diceva Beatrice. Nel pensarla lei apparve, entrò in cucina e si sedette tra di loro, guardando preoccupata la madre. Capì che era preoccupata per lei, perchè sua moglie, anche chiusa nel silenzio e in una sprezzante indifferenza, stava soffrendo e che quello era, come gli aveva detto Beatrice, il momento di dire la verità. “Non devo giustificarmi, non servirebbe a niente – rispose il professore lentamente – devo chiederti scusa, è vero, ma anche questo, non servirebbe a niente.” Restò qualche secondo in silenzio “È inutile che ci giriamo attorno, abbiamo fatto degli sbagli enormi, tu hai cercato di …. – per quanto si sforzasse non riusciva a dire che aveva cercato di morire – io ho fatto i miei errori facendomi illudere e cercando una illusione consolatoria. Alla fine siamo diventati dei sopravvissuti incapaci di ricostruire una nuova vita.” “Sei tu che mi hai lasciato tra dolore e sangue, tu non mi hai fatto piangere sulla tomba di mia figlia e ora te ne vieni, a fare il brillante a dirmi, è finito tutto, rincominciamo come se nulla fosse, come se nostra figlia non fosse mai morta e tu non mi avessi fatto le corna” “Lei vorrebbe cosi!” “Ah lei vorrebbe cosi? E te lo ha detto lei?” “Si, me lo ha detto lei” Lei lo guardò seria “Tu sei pazzo, pazzo ora è tutto chiaro” Il professore scosse la testa “Io non posso vivere senza di te per questo ho fatto una cosa che non avrei mai fatto ne mai pensato – esitò nel continuare – sono andato da Madam Effie” “Non dire quel nome – disse subito spaventata la moglie – attira il diavolo” Poi si fermo a ragionare e seriamente gli chiese “E che ti ha detto?” “Che dovevo parlare con Beatrice” “E come? se lei non c’è mai stata” Il professore esitò ancora poi lentamente si levò gli occhiali e li mise sul tavolo “Con questi … con questi la vedo … e vedo tante altre cose che non dovrebbero esistere” “La vedi? e dove?” “Dove devo vederla, - fece seccato di doverle spiegare tutto – ora è qui, seduta di fronte a te” Maria lo guardo poi afferrò gli occhiali e tenendoli per le aste li osservo e quindi li indossò guardando le sue mani. “Ma ..  vedo bene” fece stupita ed alzò la testa guardando la sedia dove era seduta la figlia. Trasalì nel vedere qualcuno che in realtà non c’era Il professore sentì come in sibilo o un fruscio e capì che Beatrice stava salutando sua madre “Ma ….” Fece la donna e dopo qualche attimo si lanciò ad abbracciare il vuoto piangendo. Da madre non si era chiesta chi fosse quella ragazza che non aveva mai visto. Il suo parlarle ogni giorno, ogni ora del giorno, ogni istante che creava il passare del tempo, le avevano fatto capire che davanti a lei c’era la figlia che non aveva mai conosciuto. Il professore avrebbe voluto dire qualcosa ma vedendo la moglie abbracciare il vuoto e piangere decise che non era necessario, che in quel momento, in cui l’impossibile era reale, non bisognava fare e dire nulla e bisognava lasciare che venisse vissuto, amato e ricordato. “Come sei bella” disse la moglie distaccandosi e guardando il vuoto attraverso gli occhiali del marito “Si, è vero” Continuò mettendosi a posto una ciocca dietro l’orecchio come per cercare di rendersi presentabile “Ma sono successe tante cose per questo … Lo so, … ma… “ Abbasso la testa e cattiva fece dandogli un’ occhiata obliqua piena di ostilità. ”è colpa sua … lo sai che lui …ah si?” Alzò la testa a guardare la sedia con un’aria stupita “Davvero? …. “ Sorrise “È sempre il solito” Scosse la testa e lo guardò sorridendo. Si rasserenò, poi continuò verso l’angolo vuoto del tavolo “È che senza di te ….” Si fece seria ascoltando il vuoto che aveva davanti “Hai ragione è proprio così “ Abbassò la testa “ mi sentivo sola e abbandonata” Restò ancora ad ascoltare con il viso serio finché non sorrise “come dall’inizio … che vuoi dire?” I suoi occhi erano fissi sulla sedia vuota “Si, anch’io, ma tu…” Fece una faccia felice “Veramente? …. Ma allora …” Ascoltò ancora in silenzio poi abbraccio il vuoto “Anch’io, tantissimo  .. mi manchi .. sempre …” E da dietro gli occhiali uscirono delle lunghe lacrime. Il professore osservava la moglie parlare con quel vuoto che l’amore di madre aveva riempito. Quando vide che lentamente si levava gli occhiali e con cautela li appoggiava sul tavolo le si avvicinò e le diede un tovagliolo di carta per asciugarsi gli occhi “Hai visto che bella ragazza che è” Lei sorrise “Con me era una bambina. Ma lei cambia mi ha detto, a seconda di chi la guarda. Aveva i miei capelli lunghi e rossicci – gli disse felice – era come l’ho sempre immaginata: allegra, positiva, volitiva.” “E che ti ha detto ?” Chiese curioso il professore “Mi ha detto …. – si fermò e sorrise gli prese la mano – vieni” E se lo portò dietro in salotto, fermandosi al centro della grande stanza. Lo lasciò li in piedi e corse dove c’era lo stereo, cercò qualche secondo e poi fece partire un lento degli anni sessanta. Tornò da lui e lo abbraccio e incominciò a muoversi come a ballare un lento “Ha detto che dobbiamo rincominciare da capo. … Ti ricordi? Tutto è  iniziato così” Lui la guardò. Ora lei aveva sedici anni, i capelli raccolti in una lunga coda, una gonna che arrivava sotto il ginocchio e un maglioncino rosa. Intorno a loro lo stanzone vuoto e buio si popolò dei loro compagni di classe e di luci soffuse. Sentiva anche l’odore di qualche spinello. Ma era lei, lei per come gli era entrata la prima volta nel cuore che riempiva tutta la stanza. “Cosa vedi ?” Chiese lei curiosa “Tu che ha sedici anni, i compagni di classe, la stanza come era allora” Lei lo strinse e appoggiò la testa contro il suo petto, chiudendo gli occhi e facendosi portare dalla musica. Quando la musica finì lei gli prese ancora la mano “Vieni” Ripetè andando verso la zona notte. Entrò in quella che era la sua stanza quando era ragazza e si sedette sul piccolo letto con lui e l’osservò nella penombra “E ora?” “Ora sei vestita come la prima volta che abbiamo fatto l’amore, con la camicetta e i jeans” E la guardò stupito sentendo persino il profumo di limoni che usava allora. A quel punto fece quello che aveva fatto allora, si avvicinò lentamente e appoggiò le sue labbra su quelle di lei, aspettando che la sua lingua andasse incontro alla sua per raccogliere il miele della vita. Incominciò a sbottonarle la camicia, e lei incominciò a fare lo stesso. Quando le levò la camicia lei gli levò gli occhiali e lui l’osservò stupito. Era quella che vedeva ogni giorno, con i capelli scomposti, piccole rughe intorno agli occhi, il corpo smagrito e la pelle ringrinzita e con le prime macchie Lei notò il suo sguardo. “Cosa c’è? Come mi vedi ora?” “Come sempre, bellissima” Sorrise “Beatrice ha ragione: non sai dire le bugie” “Dico solo la verità allora” Rispose sorridendo. Si misero sotto le coperte e lei si strinse a lui. “Tu dici che ci sta vedendo?” “Probabilmente” Lei sorrise. “Mi ha detto che ti ha visto anche con quell’altra” “Ha visto ben poco allora” “Ha detto che le parlavi sempre di Marx - E sorrise di gusto – poverina l’avrai annoiata a morte” Si fece serio “Perché dobbiamo parlarne, mi fa sentire a disagio” “Dobbiamo farlo, dice Bea, dobbiamo ricostruire gli anni in cui ci siamo persi.” “Che senso ha parlare del passato?” “Perché dobbiamo vivere il presente e dobbiamo evitare gli errori di allora” “Parli come la collega che insegna storia” Sorrise “Domani mi porti da qualche parte?” “Domani andiamo a Taormina, ci sediamo al caffè dei tedeschi e ci prendiamo un aperitivo” “Non l’abbiamo mai fatto” “Infatti, dobbiamo fare tutto quello che abbiamo perso “ ed incominciarono ad elencare cose che avrebbero voluto fare finchè lei non si addormentò stretta a lui.
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scorcidipoesia · 2 years ago
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Si incrociarono un breve istante
il tuo sguardo e il mio. E seppi all’improvviso
- non so se anche tu -
che in un tempo
senza anni né orologi,
un altro tempo,
i tuoi occhi e i miei
si erano incontrati,
e quella di allora
non era che un’eco,
l’onda che ritorna,
attraversando mari,
all’antica spiaggia.
Meira Delmar
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io-rimango · 2 years ago
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Oggi durante la mia giornaliera passeggiata con il cane, decido di fare il giro più lungo, vista la bella giornata. Ebbene, c’è una casa lungo la via che, da anni ormai, ha appesi sul balcone tre orologi, con sopra orari diversi; mi sono a lungo chiesta il motivo per cui qualcuno dovrebbe mettere tre orologi con tre differenti fusi orari e in balcone per di più, ma oggi in particolare il mio pensiero è corso oltre.
Mi sono chiesta “quali sono i tre tempi della mia vita?”
Sicuramente il primo lo so dire con certezza, è quello più sereno, dove avevo la sicurezza che niente e nessuno avrebbe mai potuto farmi del male, ero a casa, nella mia fortezza indistruttibile, ero al sicuro e felice, anche se ancora non lo sapevo.
Il secondo, invece, potrei farlo coincidere col momento in cui la mia fortezza è crollata, sgretolandosi insieme a ogni mia certezza. Mi sono ritrovata senza corazza e ho dovuto rimettere insieme i pezzi, certo, non è stato facile ma alla fine piano piano ce l’ho fatta, sono qui, no?
Il terzo, infine, è il tempo in cui ho deciso consapevolmente di essere io stessa la mia armatura, di non avere timore del mondo, di scegliere di seguire i miei desideri, di vivermi tutto ciò che c’è da vivere, anche se a volte è troppo, anche se fa male, anche se spesso e volentieri mi costa solitudine, tristezza, mancanza. Oggi so come prendermi cura io di me stessa.
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intotheclash · 2 years ago
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Molto recentemente abbiamo saputo che la natura si stanca, come noi, suoi figli: e abbiamo saputo che, come noi, può morire assassinata. Ormai non si parla di sottomettere la natura: ora perfino i suoi carnefici dicono che bisogna proteggerla. Però nell'uno o nell'altro caso, natura sottomessa o natura protetta, essa è fuori di noi. La civiltà che confonde gli orologi con il tempo, la crescita con lo sviluppo, e la mole con la grandezza, confonde anche la natura con il paesaggio, mentre il mondo, labirinto senza centro, si dedica a rompere il suo stesso cielo.
(Eduardo Galeano)
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libero-de-mente · 2 years ago
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- Papà per prepararmi al mondo della medicina andrò a fare uno stage in una Farmacia.
- Uh! Davvero? Molto bene.
- Ti piace l'dea?
- Si, appena ti diranno luogo e orari fammelo sapere. Verrò lì.
- No dai, non venire da me. Che vergogna.
- Vergogna?! Ma cosa dici, ma scusa tu pensi che io entrerò in farmacia urlando "quello è mio figlio"?
- Po' esse.
- No che non po' esse. Anzi. Sarà essenziale l'anonimato tra me e te.
- In che senso?
- Ti spiego tutto, ascoltami bene. Io mi apposterò fuori dalla farmacia, quando vedrò che sarà piena di gente entrerò e quando sarà il mio turno ti chiederò una scatola di preservativi.
- Cosa?!
- Aspe', fammi finire... appena te li avrò chiesti, tu dandomi sempre del lei perché facciamo a non conoscerci, mi dirai "signore, la solita taglia XL?", capito?
- Ma cosa te ne fai con una scatola di preservativi XL? No aspetta ritiro la domanda, non voglio saperlo.
- Ma no tranquillo li butterò via, che vuoi che ci faccia.
- Io chiederò di essere mandato in un'altra città, te lo giuro papà.
- Ma perché sei così ostico nei miei confronti? Va beh, allora facciamo così, niente preservativi. Magari entrerò e ti chiederò se è vero che con il tempo passano tutti i mali. E tu mi risponderai "Si, anche".
- E poi?
- E poi io ti chiederò se allora li vendete gli orologi.
- Papà, mica l'ho capita.- Ma come, tempo=orologio... eh - allargo le braccia come a dire "suvvia ci arriva anche un bambino delle elementari".
- ...
- ...
- Papà io chiederò al titolare della farmacia se posso abbattere le persone inopportune con del Tavax via cerbottana.
- Tavax? Che cos'è?
- Un miscuglio tra Tavor e Xanax. Lo preparerò con le mie manine.
- Ma sei una persona senza ironia!
- Po' esse.
- Se ti chiedessi, una volta, solo una volta delle supposte alla nitroglicerina?
- No!
- Della tintura di odio?
- No!
- Della pomata Una Tantum?
- Noo!
- L'Aspirina fluorescente?
- Ti prego...
- Un test gravitazionale per mia moglie?
- Alla tua età, ma fammi il piacere.
- Dei profilattici vivi? Un misto tra i fermenti e il lattice?
- Ma sei sicuro che tu sia mio padre?
- Della soluzione analogica da analare nel naso?
- Perché non nell'ano già che ci sei?
- Dici che così sarà più divertente?
- Non c'è nulla di divertente in tutto questo papà.
- Allora chiederò un antidolorifico per mio figlio che si è rotto due dita.
- Io non mi sono rotto le dita.
- Tra poco si, se non la smetti di essere così severo. Comunque se fossi in te farei dei controlli per l'insorgenza prematura della Demenza Frontotemporale, che annulla l'ironia in una persona. Sallo.
Mio figlio è già proiettato nel mondo della medicina, per questo motivo è serio. Eppure sarebbe stato bello uno scambio di battute, magari senza darmi del lei e in confidenza con il proprio padre:
- Che ti do?
- Ketadol!
Ma ci pensate?
Invece niente, un figlio serio e l'altro che pensa ai numeri e progetti.
Io che sono nato con fantasia e creatività, con il sorriso sulle labbra. E loro musoni.
Avrei voluto tanto anche una femmina, da bimba le avrei comprato Barbie divorziata con i vari accessori: la casa di Ken, gli alimenti di Ken e i Rolex di Ken.
Pazienza.
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luigifurone · 1 day ago
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94. (L'orologio)
A nove anni me lo regalò mio nonno. Glielo aveva dato suo padre. Non credo suo padre sapesse che quell’orologio avrebbe attraversato tante generazioni. Mio nonno invece ci sperava. Mi aveva aspettato per darmelo. Forse non aspettava neanche me, aspettava più quel qualcuno che potesse tenerlo. Degnamente, si capisce.
Non era un semplice orologio. Era un orologio in edizione limitata, chiuso in una scatola confezionata per l’occasione, una scatola di metallo, con dei motivi a sbalzo e tutte le scritte del caso. La scatola era sigillata, non l’aveva aperta mio nonno, non l’aveva aperta suo padre, e quindi probabilmente non avrei dovuta aprirla neanche io.
Conservavo la scatola nella piccola cassaforte di famiglia, dietro ad un quadro di argomento ippico. Quand’ero piccolo, e non ancora in possesso della combinazione e dell’accesso libero allo scrigno, potevo guardare la scatola in occasioni speciali o quando, raramente, mi veniva da chiederlo. Mio padre avrebbe voluto aprire la confezione, mio nonno non voleva e sorvegliava che la sua volontà fosse rispettata. Quando poi mio nonno morì, la sua volontà diventò la mia.
Ero diventato un ragazzo, ma il veleno di quell’oggetto mi era stato già iniettato, già da qualche anno. Dico veleno, ma potrei dire malia, non so. Sarà stato forse soltanto perché era vecchio di anni, o forse perché ero stato prescelto come suo custode, non so. Pensare a cosa ci fosse dentro, alle vite che lo avevano protetto dall’aria e dalla volgarità di un contatto, e poi via via anche al valore che strada facendo si stava accumulando sulla sua identità, insomma, tutto complottava.
Lo lasciavo a casa dei miei quando mi allontanavo per qualche viaggio, fosse con gli amici o per lavoro, perché ovviamente non avrei voluto perderlo come uno sciocco, magari dimenticarlo chissà dove. Rimase a casa dei miei fino a quando non mi sposai, dopo mi dovette seguire, non c’era altra opzione possibile. Mia moglie lo accolse in casa come se fosse un mio ricordo affettivo. Ma io lo sapevo che era qualcosa di più.
Ogni giorno, ogni mese che passava senza che mi decidessi ad aprire la scatola, si andava ad accumulare su tutti gli altri, e il peso di questi giorni, di questi mesi non faceva altro che aumentare la sua aura mitica. Il tempo passava e l’ostrica si ingrossava, diventava superba, il peccato di violarla si faceva sempre più grande. Era quasi una follia.
Mio padre, morto mio nonno, era diventato sempre più esplicito al riguardo. Secondo lui la scatola andava aperta e l’orologio goduto o venduto, ma credo che lui non sopportasse gran che mio nonno. Del resto, ne rispettava la mia proprietà e quando poi l’orologio prese la via della mia casa coniugale se ne scordò. Anzi, ne parlò ancora una volta, era un Natale, finì tutto in due parole ed un borbottare modesto. Poi morì anche lui e restai solo con lo strano destino di quel possesso.
Ne ero diventato geloso. La mia primogenita non aveva alcuna passione per gli orologi, e il secondo pareva non subisse alcun fascino da quella confezione metallica. Forse avrei dovuto aspettare un nipotino anche io. Francamente ero un po’ stufo. Mi sembrava così illogico che nessuno della mia stirpe avrebbe mai goduto di quel segnatempo. Quanto doveva aspettare? Cento anni ancora? E perché non potevo essere io il profanatore? A quale divinità stavo sacrificando?
Eppure, non mi decidevo. Mi prendeva come una specie di nausea, la stessa che inesorabilmente mi toglieva il fiato quando c’era qualche decisione difficile da prendere. Almeno l’orologio lo potevo lasciare lì, non erano soldi da versare, avvocati, se mai potevano essere soldi da prendere, un giorno. E poi lui non parlava, se ne stava zitto e tranquillo, Il potere ce l’avevo io. Pensavo.
Un giorno maledetto arrivò la diagnosi del medico. Senza speranze. E senza speranze vissi quei mesi, tra i dolori, l’angoscia, la sensazione orrenda del tempo che scivola via dalle mani come una saponetta bagnata, che più la stringi e maledetta più scivola via. Non c’erano più speranze. Oramai passavo i giorni a letto, nella mia stanza, tra medicinali, visite, ricordi, pensieri. Niente che mi salvasse. L’orologio s’era un po’ nascosto, dal mio orizzonte.
Un pomeriggio ero rimasto in camera da solo. Non stavo particolarmente male, ma un brivido gelato nella pancia che non avevo mai sentito mi sommerse di angoscia. La paura fu tanto grande che non riuscii a chiamare nessuno, ma chissà perché i miei occhi incrociarono il cassettino del mobile dove tenevo l’orologio. Ebbi come uno spasmo. Senza alcuna volontà cosciente andai a prenderlo. Dimenticai tutto, gli anni dei custodi passati al suo servizio, il suo valore sacrale, le parole consumate su di lui, i progetti. Dimenticai anche il mio male. Presi la scatola, strappai la guaina che la teneva sigillata.
“Non è un granché”. Il vetro opaco, il cinturino smorto. Puzzava. “Non è un granché”, mormorai. Poi caddi a terra, morto.
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myreplicashop · 3 months ago
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Dove acquistare Rolex Replica in Italia ?
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Non tutti possono giustificare il prezzo di un Rolex autentico, il che ha portato all'ascesa degli orologi Rolex "prima copia". Ma cos'è esattamente un Rolex prima copia? Questo articolo si addentra nel mondo degli orologi prima copia, concentrandosi in particolare sul fascino e sulle insidie ​​associati a queste imitazioni.
Orologi Rolex Replica
Cosa significa prima copia? Gli orologi Rolex prima copia, spesso indicati come "repliche" o "imitazioni" Rolex, sono copie di alta qualità di orologi Rolex originali. Queste repliche sono progettate per sembrare quasi identiche all'originale, fino ai dettagli intricati del logo, del quadrante e del design generale. Il termine "prima copia" implica che questi orologi siano le repliche di qualità più elevata disponibili, a volte affermando di essere così ben realizzati che solo un occhio esperto può distinguerli dall'articolo originale.
L'artigianalità dietro i Rolex prima copia La produzione di orologi Rolex prima copia comporta un livello significativo di artigianalità. Queste repliche sono spesso realizzate utilizzando casse in acciaio inossidabile, vetro zaffiro e talvolta persino movimenti automatici che imitano il funzionamento degli orologi Rolex autentici. I produttori di queste repliche prestano molta attenzione a dettagli come il peso, la sensazione e la finitura degli orologi per garantire che assomiglino il più possibile agli originali.
Tuttavia, nonostante l'elevato livello di artigianalità, i Rolex di prima copia non eguagliano la durata, la precisione e l'affidabilità a lungo termine degli orologi Rolex originali. I materiali utilizzati, sebbene simili nell'aspetto, sono generalmente di qualità inferiore e i movimenti all'interno di queste repliche sono spesso meno precisi e meno durevoli nel tempo.
Il fascino degli orologi Rolex di prima copia Convenienza Uno dei motivi principali per cui le persone optano per orologi Rolex di prima copia è la convenienza. Gli orologi Rolex originali possono costare migliaia, persino decine di migliaia di sterline, rendendoli inaccessibili per molti. Al contrario, i Rolex di prima copia sono significativamente più economici, spesso costano solo una frazione del prezzo di un Rolex autentico. Ciò li rende un'opzione interessante per coloro che desiderano l'aspetto e il prestigio di un Rolex senza il prezzo elevato.
Estetica e percezione sociale Un altro motivo della popolarità degli orologi Rolex di prima copia è l'attrattiva estetica e la percezione sociale associata all'indossare un Rolex. Queste repliche consentono alle persone di godere del design e dello stile di un Rolex e dei vantaggi sociali di essere visti indossare un marchio prestigioso. Per molti, la possibilità di indossare quello che sembra un orologio di lusso può aumentare la loro sicurezza e posizione sociale, anche se l'orologio non è autentico.
Proprietà temporanea Alcune persone optano per orologi Rolex di prima copia come soluzione temporanea. Potrebbero risparmiare per un Rolex autentico e scegliere di indossare una replica nel frattempo. Ciò consente loro di sperimentare l'aspetto e la sensazione di un Rolex mentre lavorano per possedere un pezzo autentico.
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1karaofficial · 4 months ago
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