#opere poetiche recenti
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pier-carlo-universe · 1 month ago
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Di fiore in fiore di Biancamaria Valeri: un viaggio poetico tra natura, memoria e spiritualità. Una raccolta poetica che intreccia riflessioni sull’essere, il dolore e la trascendenza, nel segno della tradizione letteraria italiana
Pubblicata nel novembre 2024 nella collana "Alcyone 2000" di Guido Miano Editore, Di fiore in fiore di Biancamaria Valeri rappresenta una raccolta poetica che attraversa temi universali e personali.
Un mosaico di emozioni e pensieri.Pubblicata nel novembre 2024 nella collana “Alcyone 2000” di Guido Miano Editore, Di fiore in fiore di Biancamaria Valeri rappresenta una raccolta poetica che attraversa temi universali e personali. La scrittura della Valeri spazia dal canto naturalistico, che richiama l’incanto della madre natura, alle riflessioni esistenziali sul dolore umano, fino a esplorare…
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carmenvicinanza · 1 year ago
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Cecilia Vicuña
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La donna di oggi è Cecilia Vicuña, artista visiva, poeta e attivista cilena, nota per le sue performance poetiche che rivendicano la sua identità femminile provando a riscrivere la storia della cultura indigena.
È creatrice di una poetica speciale che interseca arte e coscienza ecologica.
Il suo lavoro porta avanti conoscenze millenarie attualizzate con performance, film, installazioni, sculture, libri e gesti della vita quotidiana.
Ha scritto 25 libri di arte e di poesia, tradotti in sette lingue e anticipato i più recenti dibattiti su ecologia e femminismo decoloniale, immaginando nuove mitologie personali e collettive. Molte delle sue installazioni sono realizzate con materiali trovati e detriti abbandonati che intesse in delicate composizioni, nelle quali il microscopico e il monumentale trovano un fragile equilibrio, la sua arte è precaria, intima e, insieme, potente.
I suoi dipinti si ribellano alla forma, mettendo al centro l’immaginazione di una donna indigena.
Oggi le sue opere fanno parte delle collezioni di importanti musei tra cui il Guggheneim, il MoMa, la Tate, il Museo d’Arte Latinoamericana di Buenos Aires e il Museo Nazionale delle Belle Arti di Santiago del Cile.
È nata a Santiago del Cile il 27 luglio 1948 in una famiglia di artisti e intellettuali. Dal 1966, dopo aver iniziato con tele astratte, ha iniziato a lavorare a un  progetto che ancora oggi porta avanti, le precarios, sculture assemblate con materiali da recupero, esposte agli agenti atmosferici e alle maree.
Nel 1967 ha fondato il suo primo gruppo, Tribu No, che realizzava azioni artistiche collettive nella città di Santiago.
Nel 1968 ha pubblicato il suo primo poema sul periodico messicano El Corno Emplumado.
Dagli anni ’70, il suo lavoro si è confrontato visivamente e poeticamente con i rituali dell’America latina, delle popolazioni aborigene australiane, del Sudafrica e dell’Europa paleolitica. Le sue esibizioni, installazioni site-specific, quipu, sculture, dipinti, disegni e testi legano il filo rosso al sangue mestruale e alla continuità della vita.
Dopo aver esposto per la prima volta al Museo Nazionale delle Belle Arti di Santiago ed essersi laureata in Belle Arti, nel 1972 è partita per Londra per specializzarsi alla Slade School of Fine Art.
Si trovava in Gran Bretagna quando, l’11 settembre 1973, c’è stato il violento colpo di stato militare contro Salvador Allende guidato da Pinochet e ha chiesto asilo politico.
L’anno seguente ha fondato il gruppo Artists for Democracy per raccogliere fondi per la Resistenza cilena e organizzato il Festival of Arts for Democracy in Chile che ha visto partecipare 320 artisti e artiste internazionali tra cui Julio Cortázar, Christo e Sol LeWitt. Durante il Festival erano stati denunciati i soprusi commessi dalla dittatura militare di Pinochet e dalle altre dittature dell’America Latina e la violazione dei diritti umani.
Nel 1975 si è trasferita a insegnare storia dell’arte e poesia latinoamericana all’università di Bogotà, ha lavorato in ambito teatrale e condotto laboratori artistici con la comunità guambiana della Valle del Cauca, esperienza che l’ha portata ad approfondire il suo legame con la cultura indigena.
Quando al Concorso nazionale di poesia Eduardo Coté Lamus le è stato negato il premio a causa del tono erotico e irriverente della sua opera, è partita una serie di azioni artistiche di protesta che le hanno dato grande fama. 
A questo periodo risalgono le Palabrarmas, neologismo che unisce le parole (palabra) con le armi (armas), concretizzate attraverso varie tecniche artistiche che spaziano dal disegno alla performance, dalla scrittura ai film, come risposta poetica alla distorsione del linguaggio e alla violenza delle menzogne. 
Nel 1980 ha realizzato il suo primo documentario, ¿Qué es para usted la poesía? (Cos’è per voi la poesia?), oggi nella collezione del MoMA.
A New York ha collaborato con il periodico Heresies: A Feminist Publication on Art and Politics, leggendario gruppo di artiste e intellettuali femministe.
Nel 1981 ha esposto per la prima volta al MoMA, nella collettiva Latin American Video. 
Tra i viaggi in giro per l’America Latina e gli Stati Uniti, producendo reading, performance poetiche e esposizioni, non ha mai smesso di scrivere libri.
Nel 1995 ha tenuto il primo seminario con la comunità rurale di Caleu, in Cile, per promuovere la riscoperta delle conoscenze ancestrali dando origine a un metodo di educazione decolonizzatrice che ha chiamato Oysi, titolo che ha dato alla sua organizzazione senza scopo di lucro.
Nel 1997 è stata pubblicata la biografia The Precarious. The Art and Poetry of Cecilia Vicuña. L’anno successivo ha realizzato la prima mostra multimediale Cloud-net, dedicata al riscaldamento globale e all’estinzione delle specie e delle civiltà, temi che denuncia e porta avanti, instancabile, in ogni suo lavoro.
Numerose sono state le esposizioni e retrospettive tenute in giro per il mondo e le conseguenti acquisizioni da parte dei più importanti enti museali internazionali.
Nel 2015 è stata nominata Messenger Lecturer per il Dipartimento di Antropologia della Cornell University per contribuire all’«evoluzione della civiltà con lo scopo specifico di elevare lo standard morale della nostra vita politica, commerciale e sociale».
Nel 2017 ha partecipato a documenta 14, una delle più importanti esposizioni d’arte contemporanea nel mondo.
Nel 2018 ha ricevuto il premio Achievement Award assegnato da Cisneros Fontanals Art Foundation ed è stata nominata Sherry Memorial Poet in Residence 2018 per il Programma di poesia e poetica dell’Università di Chicago.
Nel 2019 ha ricevuto il Premio Velázquez di arti plastiche assegnato dal Ministero della cultura e dello sport della Spagna.
Al Centro Cultural España di Santiago del Cile, ha presentato Minga del Cielo Oscuro, convocando personalità del mondo dell’arte, astronomia, archeologia, musica ed etnomusicologia per riflettere sull’oscurità del cielo notturno e sulle molteplici conseguenze ecologiche, neurologiche e sociali della sua scomparsa.
Il 23 aprile 2022 è stata la prima artista cilena a ricevere il Leone d’oro alla carriera alla Biennale di Venezia. Per l’occasione ha realizzato l’installazione site specific NAUfraga, dedicata alla fragilità (fraga) della laguna.
Il 3 maggio 2023 ha ricevuto la Laurea honoris causa dall’Università del Cile.
Per i suoi meriti, la poetica, l’instancabile ricerca e il fervente attivismo, si può considerare tra le più interessanti protagoniste dell’arte contemporanea.
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valoriontinuit · 5 years ago
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CASTELLO RISOLO SPECCHIA, PIAZZA DEL POPOLO. Mostra di Luigi De Giovanni
Titolo: Ossimori pittorici
“Ossimori pittorici” è il titolo della mostra di Luigi De Giovanni, che si potrà visitare fino al 30 luglio ’19 al castello Risolo di Specchia. Le opere in esposizione prendono in considerazione le contraddizioni interiori dell’artista che, addentrandosi nel paesaggio, nelle nature morte o nelle angosce, trova il suo discorso: la sua pittura. È così che si perde nei colori, nell’humus dei suoi luoghi amati, dove anche un fiore ha i suoi significati, per procedere con più furia nei suoi tormenti fatti di conflitti sociali, di lotte per il potere o contro il potere troppo spesso oppressivo e ingiusto. L’artista in questa esposizione, sintesi del suo lavoro e del suo pensiero di sempre, indaga la società, con le incoerenze che la caratterizzano, trovando pace nella bellezza malinconica del breve tempo dei fiori recisi e nella poesia del paesaggio che sa suscitare poetiche emozioni in tutte le stagioni. Le sue angosce cominciano a manifestarsi nel tuffo quasi religioso nei campi di papaveri dove il rosso si accende e si adombra suggerendo pennellate intense che fanno sentire l’urlo dei caduti nei campi di battaglia dove nello spirituale oriente i comandanti lanciavano i semi di questo fragile fiore per farli rifiorire in una speranza dolorosa ma di vita: vita spezzata dall’egoismo dell’uomo che ambisce al potere. I climi lividi di segni sempre più aggressivi penetrano il supporto pittorico, tele o jeans, sino a caricarsi del pensiero dell’artista in una denuncia del suo dolore interiore che guarda alla natura anche lei tradita, sfruttata dalla forza bruta e selvaggia dell’uomo che nel suo voler essere perfetto si manifesta nella sua malvagità.   Luigi De Giovanni, in questo modo, con la sua pittura istintiva e traboccante di tracce dei percorsi delle idee, si apre all’esterno seguendo sensazioni che si palesano nel suo addentrarsi nel colore, canale delle sue elucubrazioni che trovano origine lontano quando lui riusciva a vedere l’immaginazione al potere: un sessantotto tradito e distorto nei tanti sogni. Tradito negli ideali ormai lontani ma ben descritti nelle opere intitolate “Carte” dove le ferite, ancora sanguinanti d’un rosso marcescente e raggrumato, suturate con garze e fili colorati perché il colore è conforto, brucianti ancora di delusione, sono tracciate da pennellate che lasciano segni espliciti di angoscia e di rassegnazione. De Giovanni si rasserena nella natura, che non lo tradisce mai e che gli consente di riprendere i fili del suo animo che si inoltra, oltre il reale, nella spiritualità suggerita dai luoghi amati. I suoi paesaggi, in quest’occasione, recenti e del Salento, dipinti nei mutamenti stagionali, raccontano una terra con i fusti contorti degli ulivi feriti e spogli, i muretti a secco che si vestono di bianco, la terra rossa che accende gli scorci, il mare che invita ad un bagno estivo, le fioriture primaverili che inebriano sino a far trovare l’armonia del creato. Il paesaggio prosegue il suo discorso nello studio con i fiori recisi che dalla rigogliosità piena di speranza dei boccioli di vita lasciano cadere i petali nel tramonto dei loro giorni per donare atmosfere coloristiche che sanno di poesie e malinconie: paesaggi e fiori che nel tempo si ripetono nei loro discorsi e parlano di bellezza e speranza.  Le carte con le garze che suturano ferite troppo profonde e troppo spesso nascoste nei cuori delle persone svelano fragilità e sofferenza di chi, smarrito, cerca la strada della salvezza. I jeans, nel loro racconto di lavoro e rivoluzione delle idee purtroppo deluse, ormai diventati apparenza, strappati e lisi prima d’essere usati in una finzione vuota hanno perso la loro forza evocativa per diventare oggetto consumistico e vuoto. Nei Jeans l’essere pare non avere più valore al suo posto c’è l’uomo smarrito che, ingannando sé stesso, ritiene di vivere una vita piena e giusta. La mostra è tutto questo: un’indagine profonda della società dove l’essere conta meno dell’apparire, dove la finzione è più vera del reale, dove l’artista denuncia una maggiore coerenza con il vero senso del vivere in armonia. La mostra è stata presentata da Raffaele Polo che curato il testo critico in catalogo, allestita dell’Arch. Stefania Branca e organizzata da Il Raggio Verde Edizioni, Arteluoghi e e20cult con il patrocinio del Comune di Specchia in collaborazione con la Pro Loco di Specchia.                                                                                          Federica Murgia Info: [email protected] Cell. 3292370646 www.degiovanniluigi.com
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degiovanniluigi · 5 years ago
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CASTELLO RISOLO SPECCHIA, PIAZZA DEL POPOLO. Mostra di Luigi De Giovanni
Titolo: Ossimori pittorici
“Ossimori pittorici” è il titolo della mostra di Luigi De Giovanni, che si potrà visitare fino al 30 luglio ’19 al castello Risolo di Specchia. Le opere in esposizione prendono in considerazione le contraddizioni interiori dell’artista che, addentrandosi nel paesaggio, nelle nature morte o nelle angosce, trova il suo discorso: la sua pittura. È così che si perde nei colori, nell’humus dei suoi luoghi amati, dove anche un fiore ha i suoi significati, per procedere con più furia nei suoi tormenti fatti di conflitti sociali, di lotte per il potere o contro il potere troppo spesso oppressivo e ingiusto. L’artista in questa esposizione, sintesi del suo lavoro e del suo pensiero di sempre, indaga la società, con le incoerenze che la caratterizzano, trovando pace nella bellezza malinconica del breve tempo dei fiori recisi e nella poesia del paesaggio che sa suscitare poetiche emozioni in tutte le stagioni. Le sue angosce cominciano a manifestarsi nel tuffo quasi religioso nei campi di papaveri dove il rosso si accende e si adombra suggerendo pennellate intense che fanno sentire l’urlo dei caduti nei campi di battaglia dove nello spirituale oriente i comandanti lanciavano i semi di questo fragile fiore per farli rifiorire in una speranza dolorosa ma di vita: vita spezzata dall’egoismo dell’uomo che ambisce al potere. I climi lividi di segni sempre più aggressivi penetrano il supporto pittorico, tele o jeans, sino a caricarsi del pensiero dell’artista in una denuncia del suo dolore interiore che guarda alla natura anche lei tradita, sfruttata dalla forza bruta e selvaggia dell’uomo che nel suo voler essere perfetto si manifesta nella sua malvagità.   Luigi De Giovanni, in questo modo, con la sua pittura istintiva e traboccante di tracce dei percorsi delle idee, si apre all’esterno seguendo sensazioni che si palesano nel suo addentrarsi nel colore, canale delle sue elucubrazioni che trovano origine lontano quando lui riusciva a vedere l’immaginazione al potere: un sessantotto tradito e distorto nei tanti sogni. Tradito negli ideali ormai lontani ma ben descritti nelle opere intitolate “Carte” dove le ferite, ancora sanguinanti d’un rosso marcescente e raggrumato, suturate con garze e fili colorati perché il colore è conforto, brucianti ancora di delusione, sono tracciate da pennellate che lasciano segni espliciti di angoscia e di rassegnazione. De Giovanni si rasserena nella natura, che non lo tradisce mai e che gli consente di riprendere i fili del suo animo che si inoltra, oltre il reale, nella spiritualità suggerita dai luoghi amati. I suoi paesaggi, in quest’occasione, recenti e del Salento, dipinti nei mutamenti stagionali, raccontano una terra con i fusti contorti degli ulivi feriti e spogli, i muretti a secco che si vestono di bianco, la terra rossa che accende gli scorci, il mare che invita ad un bagno estivo, le fioriture primaverili che inebriano sino a far trovare l’armonia del creato. Il paesaggio prosegue il suo discorso nello studio con i fiori recisi che dalla rigogliosità piena di speranza dei boccioli di vita lasciano cadere i petali nel tramonto dei loro giorni per donare atmosfere coloristiche che sanno di poesie e malinconie: paesaggi e fiori che nel tempo si ripetono nei loro discorsi e parlano di bellezza e speranza.  Le carte con le garze che suturano ferite troppo profonde e troppo spesso nascoste nei cuori delle persone svelano fragilità e sofferenza di chi, smarrito, cerca la strada della salvezza. I jeans, nel loro racconto di lavoro e rivoluzione delle idee purtroppo deluse, ormai diventati apparenza, strappati e lisi prima d’essere usati in una finzione vuota hanno perso la loro forza evocativa per diventare oggetto consumistico e vuoto. Nei Jeans l’essere pare non avere più valore al suo posto c’è l’uomo smarrito che, ingannando sé stesso, ritiene di vivere una vita piena e giusta. La mostra è tutto questo: un’indagine profonda della società dove l’essere conta meno dell’apparire, dove la finzione è più vera del reale, dove l’artista denuncia una maggiore coerenza con il vero senso del vivere in armonia. La mostra è stata presentata da Raffaele Polo che curato il testo critico in catalogo, allestita dell’Arch. Stefania Branca e organizzata da Il Raggio Verde Edizioni, Arteluoghi e e20cult con il patrocinio del Comune di Specchia in collaborazione con la Pro Loco di Specchia.                                                                                          Federica Murgia Info: [email protected] Cell. 3292370646 www.degiovanniluigi.com
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pangeanews · 7 years ago
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L’Alfabeto degli scrittori dimenticati (ultima parte). Ovvero: perché i grandi editori si affannano a pubblicare cretinate?
La fama è un pulviscolo che allenta di poco i cingoli dell’oblio. In realtà, i grandi scrittori non muoiono mai: restano sotto la superficie del lago, come draghi con la schiena irta di monete d’oro. A me piace ripescarli. Il fatto che siano dimenticati – dimentichi del regno di questo mondo – li rende più intimi, come cristalli dissepolti, e quei libri sembrano svelare il loro segreto soltanto a noi. Ad ogni modo, continuiamo il nostro gioco affettivo e provocatorio. Affettivo perché noi non ci scordiamo di chi amiamo. Provocatorio perché questo abbecedario è una granata di pomodori in faccia i grandi editori che hanno sputtanato i propri cataloghi editoriali. Sul punto, condivido una riflessione solitaria fatta un anno fa. “Perché oggi si pubblicano solo stronzate? Sono convinto, come Leopardi, che anche oggi sia possibile uno scrittore come Omero, un nuovo Virgilio, un redivivo Joyce. Il compito degli editori, oggi, è proprio quello: scoprire e pubblicare il nuovo Omero, il nuovo Joyce, il nuovo che sia meglio del vecchio, possibilmente. Invece, gli editori-transatlantico – cioè, quelli che vediamo in libreria – pubblicano solo stronzate. Non ci credete? Credetemi, infedeli. Se non mi credete, leggete. Pigliamo Mondadori, se non altro perché è l’editore più importante del Paese. Penetro, oggi, 7 aprile 2017 – ma se lo fate oggi pure voi cambia quasi nulla – nel sito Internet dell’editore più importante del Paese. Trovo: *un libro di cucina (Fatto in casa da Benedetta, da una, Benedetta, benedetta lei, “nata e cresciuta in campagna, e ci vivo ancora”, e chissenefrega); *un libro che racconta la vicenda giudiziaria di Mario Rossetti, direttore finanziario finito in carcere ingiustamente; *un libro in cui John Peter Sloan ci insegna la lingua inglese; *un libro di Raffaele Cantone che s’intitola La corruzione spuzza e parla di corruzione; un romanzo fantasy; un saggio storico su Mussolini; un libro da cui è tratta la fiction I fantasmi di Portopalo; un romanzo – finalmente – di Teresa Ciabatti, autrice portata in palmo di mano da Mondadori al Premio Strega, stregati dalla cecità estetica, una vera ciofeca, anzi, un carciofo, un romanzo inesistente, inutile. Questo è quanto di meglio offre il catalogo Mondadori, oggi, mentre scrivo. Ogni tanto, tra un libro di cucina, un saggio polemico e politico, un manuale, capita un romanzo. Brutto. Oggi, appunto, si pubblicano solo stronzate. Perché?”. Per farci crescere felici&cretini. Ora. Per evitare, come lettori, di morire sepolti sotto tonnellate di m***a, disseppelliamo i grandi di ieri.
Quiller-Couch Arthur. Genialoide prof all’Università di Cambridge, Quiller-Couch nella sua vita pubblica, al sole della civiltà inglese, era un sagace critico della letteratura. Commentò le opere di Coleridge e di Shelley, di Tennyson e di William Hazlitt, di Byron e di Dickens. Quando arrivò a quelle di Robert Louis Stevenson si fece prendere la mano: non pago di chiosare L’isola del tesoro ci mise del suo e terminò St. Ives, il romanzo incompiuto di Stevenson. A Quiller-Couch, per altro, i sudditi di Sua Maestà devono l’Oxford Book of English Verse, il massimo repertorio lirico d’Albione. Nella vita nascosta, Quiller-Couch si firmava “Q” e scriveva romanzi ‘di genere’, di successo. Un successo che arrivò perfino da noi, in Italia: La roccia del destino fu pubblicato da Mondadori, Lo scoglio del morto da Treves, La rosa e l’ancora da Rizzoli. Da solo, Quiller-Couch vale un collettivo di scrittori sotto pseudonimo, ma non ditelo ai Wu Ming, che non per caso hanno fatto successo con un romanzo che s’intitola Q.
Saint-John Perse. Premio Nobel per la letteratura nel 1960, Saint-John Perse – nome d’arte di Alexis Saint-Léger Léger – è tra i massimi poeti di ogni epoca, di certo “il più grande poeta del nostro secolo” (così Cesare Cavalleri su Avvenire, nel 1975, onorandone la morte). Già segretario generale del Ministero degli esteri francese, nel 1938 partecipò alla disastrosa Conferenza di Monaco: “mentre tutti gli astanti restavano succubi di fronte ai voleri del nazismo, solo Alexis Leger si levò in difesa del bene e della dignità dell’Europa. Hitler era infuriato di fronte alla imperturbabile ragione del cartesiano francese. Si temé che venissero alle mani” (Romeo Lucchese). In contatto con Paul Claudel e André Gide, pubblica nel 1911 il primo testo di pregio, Eloges, ma è nel 1924 che, con Anabase, scritto “in un tempio taoista, a un giorno di cavallo da Pechino”, durante la carriera come ambasciatore, che pubblica uno dei poemi vertiginosi e immortali del Novecento, insieme alla Terra desolata di Thomas S. Eliot e alle Elegie duinesi di Rainer Maria Rilke. Il testo sconvolge il panorama – nervoso di nevrosi e di novità – letterario europeo: viene tradotto da Giuseppe Ungaretti (“è uno dei rari esempi recenti di poesia epica”), dallo stesso Eliot (che ne parla come di un poeta che “non si inscrive in alcuna categoria, non ha in letteratura né legami né antenati”), da Walter Benjamin con la benedizione di Hugo von Hofmannsthal. Emigrato negli Stati Uniti durante l’occupazione nazista della Francia, il poeta scrive uno dei poemi più dolenti, Esilio. Cui seguirà una sequenza impressionate di opere imparagonabili, abissali, come Venti, Cronaca, Uccelli, Segnali di mare. In Italia si deve il suo approdo grazie alla dedizione di Romeo Lucchese, che negli anni Sessanta cura per Lerici le Opere poetiche di Saint-John Perse. Seguono iniziative troppo sporadiche per Se, Crocetti, Raffaelli. Pare assurdo ma in Italia è pressoché impossibile leggere il poeta che ha cantato “questa casa di vetro nelle sabbie”, “l’estate di gesso”, il “luogo fragrante e nullo come l’ossario delle stagioni”, il più vasto poeta dei secoli venuti e a venire.
Vailland Roger. Una delle esperienze più prepotenti e liberatorie dell’avanguardismo del primo Novecento fu la rivista Le Grand Jeu, che durò il getto di quattro numeri leggendari, dal 1928 al 1932, dove lo spirito surrealista si fondeva a quello mistico, la Bhagavad Gita si intingeva nell’assenzio del nonsense. A guidare quel gruppo di “angeli ingangati” – René Daumal e Roger Gilbert-Lecomte – c’era lui, Roger Vailland, eccentrico eroe delle lettere francesi. Resistente durante la Seconda guerra, militante comunista prima e poi sprezzante teorico del libertinismo, Vailland – catalogato da Gallimard tra i ‘classici’ di Francia – ha scritto romanzi sempre inclassificabili. Dal più noto, La legge (1957), storia perversa ambientata in Puglia, pubblicato in Italia da Feltrinelli, Jules Dassin ha tratto un film con Gina Lollobrigida, Marcello Mastroianni e Yves Montand, sceneggiato da Diego Fabbri. Di Vailland sono da menzionare, almeno, il libro d’esordio, che rivive con allucinata possanza gli anni della resistenza, Uno strano gioco, e poi Colpi pericolosi e 325.000 franchi, stampati da Einaudi e da Mondadori. Tutti libri desertificata dall’attuale attitudine alla modestia.
Warren Robert Penn. L’idiozia editoriale recente ha relegato Robert Penn Warren nel recinto di un libro, Tutti gli uomini del re, il cui successo è stato triplicato dalla pellicola di Robert Rossen del 1949, che ottenne l’Oscar come ‘miglior film’ (e che fu replicato nel 2006, in un remake stanco e nostalgico con Sean Penn, Jude Law, Anthony Hopkins e Kate Winslet). In assoluto, Robert Penn Warren è stato uno degli intellettuali più autorevoli degli Stati Uniti – insieme a John Crowe Ransom e a William Empson è il Lancillotto del ‘New Criticism’, nato in opposizione alla critica letteraria di scettro marxista – e un romanziere assai prolifico. Quando l’editoria italiana faceva il suo bel mestiere, di Warren si leggeva Alle porte del cielo (Baldini e Castoldi), e poi, per Bompiani, La banda degli angeli, La caverna, Chi parla per i negri?, Adam o della guerra civile, Il circo in soffitta, Nel vortice del tempo (per Mondadori). Più che altro, però, Warren è stato un poeta eccellente – lo diceva anche lui: “ho fatto un voto, quando viene la poesia tralascio ogni altra cosa…” – ornato da due Premi Pulitzer. Riguardo alla poetica di Warren – connessa al ‘modernismo’ di Ezra Pound e di Thomas S. Eliot – Sergio Perosa ha censito “l’ossessione per il Tempo e la Storia, l’Essere e il Divenire”, che lo colloca “sulla scia dei grandi scrittori filosofico-esistenziali della tradizione americana” (nella magistrale raccolta Racconto del tempo, edita da Einaudi nel 1971, ora introvabile). I versi di Warren sono un fiume vertiginoso, pieno di abbagli (“Di che parleremmo? I morti,/ Sanno tutto, oppure nulle, e/ Se non sanno nulla,/ Sopravvive la curiosità al lungo disfacimento?”), fanno slalom tra Tiberio a Capri (incipit micidiale: “Tutto è nulla, il nulla tutto:/ Così allo stanco Tiberio cantava molle il mare”), una poesia ipotizzata nel 1885, un’altra nel 1956, “fra il vizio e la vacuità della Storia”, l’altra ancora scritta “nella turpitudine del Tempo” e una dedicata a Jakob Böhme, il mistico tedesco del Seicento, con frasi di febbrile bellezza (“Ma se ora la Bestia venisse ritirata, la vita si ridurrebbe ancora/ All’ennui, al piacere, e al sudore di notte, conosciuti prima/ Che la necessità del vero avesse oppresso di dolore la terra e i nostri cuori,/ Lasciando nel buio, come un traccia, il terribile barlume della gioia”). Non leggere Robert Penn Warren è un suicidio intellettuale.
Xun Lu. Vociferano i cannibali. Il Diario di un pazzo (1918), violento capolavoro della letteratura cinese moderna, ovviamente assente nel nostro Belpaese dei beoti – lo mandò in libreria il micro, miracoloso editore Via del Vento – si chiude con un inclassificabile colpo di ironia cinica. “Non riesco a pensarci. Per tutti quegli anni ero vissuto in un luogo dove da quattromila anni si mangiava carne umana. Mio fratello aveva appena assunto la responsabilità della nostra casa quando era morta nostra sorella, e lui può averla usata per preparare il nostro cibo, facendocela mangiare a nostra insaputa. Potrebbe essere che, senza saperlo, io abbia mangiato alcuni pezzi della carne di mia sorella… Forse ci sono ancora dei bambini che non hanno mangiato uomini? Salvate i bambini…”. Lu Xun, studioso di letteratura occidentale, trita nello scannatoio del genio la politica e la società cinese, in cui uomo mangia uomo. Ci siamo presi una libertà semantica necessaria: in cinese ‘Lu’ è il cognome di Lu Xun – che è lo pseudonimo di Zhou Shuren. Tuttavia, Lu Xun è il simbolo evidente della vigliacca svogliatezza dell’editoria italiana attuale. Autore dall’opera decisiva – Erbe selvatiche, La vera storia di Ah Q, Errare incerto sono dei classici cinesi – sparpagliata lungo la faglia di piccoli, volenterosi editori, Lu Xun ci fa sognare una editoria avventurosa, capace di andare oltre i soliti nomi, i soliti noti. Vampirizzata dalla letteratura americana, inglese, francese, tedesca, l’editoria nostra non vola al di là della cortina d’Occidente. Vorremmo sapere chi sono i più grandi narratori vietnamiti di oggi, che romanzi si scrivono in Birmania e in Indonesia, quali poeti pubblicano in Congo, in Mali, in Kuwait. Le case editrici dovrebbero essere guidate da un Lord Jim o da un Corto Maltese, mica da astuti burocrati che non hanno mai letto un libro ma conoscono a menadito i bilanci – disastrosi, per altro.
Zeromski Stefan. Uno dei romanzi storici più possenti del Novecento s’intitola Ceneri. In molti lo avvicinano a Guerra e pace, più per ragioni cronologiche – si racconta, dal 1795 al 1812, la storia della Polonia sotto la razzia napoleonica – che estetiche. Probabilmente, per il lirismo, denso, e per il profilo estroso e astrale dei protagonisti, il romanzo si affianca a Migrazioni di Milos Crnjanski – che però è stato scritto dopo. Con le sue 730 pagine Ceneri dava lustro alla strepitosa collana dei ‘Narratori stranieri tradotti’ Einaudi. Nella fotografia d’ingresso, l’autore, Stefan Zeromski, è ritratto mentre si tortura i baffi, ha lo sguardo ombroso, inquieto, poco rassicurante. Nato nel 1864, dopo alterne vicende esistenziali – sperimentò una cupa povertà, fa un passaggio in prigione come affiliato a una organizzazione politica segreta, campa male come precettore finché gli amici non gli trovano un posto in biblioteca – Zeromski “grande nei suoi pregi e nei suoi difetti, ha lasciato su ogni creazione l’impronta del genio” fino “a diventare la guida spirituale della Polonia” (Giovanni Maver). Ceneri, su cui aleggiano immagini di muscolare bellezza, che assurgono a dignità di simbolo – gli abeti hanno “lividi tronchi che biancheggiavano nell’oscurità”, la foresta “con le sue misteriose braccia” è “genitrice, anima degli avi, sorella, amante”, il gelo si salda in “steli irrigidite, simili ad armi lavorate nel cristallo” – è un romanzo vertiginoso e nichilista, “vi ricorre come un lugubre tema dominatore della vasta sinfonia la biblica affermazione della vanità di ogni umana cosa, pulvis cinis et nihil, tutto è cenere” (Cristina Agosti Garosci), d’altronde, “la realtà si scioglie come un blocco di ghiaccio”. Il romanzo, necessario e perfino leggibile – non è il polpettone neosperimentalista scritto da un romanziere aureolato di gloria fasulla – giace nel cimitero sempre più vasto dei capolavori dimenticati. Insieme agli altri libri di Zeromski, un assoluto classico della letteratura polacca, i racconti Ci divorano i corvi e le cornacchie, i romanzi Storia di un peccato, La lotta contro Satana, Preannuncio di primavera.
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tmnotizie · 6 years ago
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ANCONA – Finissage online e offlline domani 1 marzo al  Museo Archeologico nazionale delle Marche per Terre in Movimento, il progetto di committenza artistica che chiuderà l’esposizione marchigiana domenica 3 marzo, prima di trasferirsi al MAXXI. Ospite speciale sarà Achille Bonito Oliva, uno dei critici d’arte più celebrati della scena internazionale. L’evento infatti sarà trasmesso in diretta streaming dal salone del Museo Archeologico e sarà visibile sui siti dei promotori www.musei.marche.beniculturali.it www.sabapmarche.beniculturali.it
Il finissage della mostra coincide con la presentazione della rivista MAPPE – edita dal Gruppo Gagliardini di Monteroberto e partner del progetto – alla quale il numero in uscita dedica un ampio speciale.
L’iniziativa di presentazione – curata da Cristiana Colli e realizzata in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio delle Marche, con il Comune di Ancona, la Fondazione MAXXI, il Museo Archeologico Nazionale delle Marche e il Polo Museale delle Marche – sarà condotta  da Nicoletta Frapiccini e si aprirà con i saluti di Vittorio Gagliardini, editore di Mappe, Valeria Mancinelli, Sindaco di Ancona, e di Carlo Birrozzi Soprintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle Marche. Alle 17 visita guidata con gli autori – Olivo Barbieri e Paola De Pietri – e per l’occasione apertura straordinaria della mostra fino alle ore 21.
La conferenza di Achille Bonito Oliva – Terrae Motus#Terre in movimento – in programma alle ore 18, allude a quell’intimità dei nessi, a quelle prossimità che connettono progetti artistici anche lontani nel tempo, ma accomunati dalla necessità di una elaborazione in chiave culturale della metamorfosi di paesaggi e comunità. E rimanda ad un tracciante della sua storia curatoriale che sempre ha cercato la contaminazione tra i linguaggi, i luoghi e le poetiche dentro ogni trasformazione.
A partire dalla relazione con il gallerista napoletano Lucio Amelio sul grande progetto Terrae Motus che nel 1980 – all’indomani del terremoto dell’Irpinia – coinvolse le personalità più importanti della scena artistica contemporanea – da Warhol a Pistoletto a Beuys, da Kounellis a Paladino a Mapplethorpe. Anche l’esperienza marchigiana, a partire dal sisma del 2016, ha cercato di interrogarsi con lo sguardo autoriale di Olivo Barbieri, Paola De Pietri e Petra Noordkamp, sulla metamorfosi del paesaggio, sulle relazioni tra costa ed entroterra, sulle nuove forme di comunità trasformate dalla inaccessibilità di molti luoghi e dalla scomparsa di tanto patrimonio storico-artistico, segno e simbolo dell’appartenenza nei secoli.
PER INFORMAZIONI
Cristiana Colli cell  +39 335 5349386 e-mail  [email protected]
Gagliardini    tel  0731702994  www.gagliardini.it ; www.mappelab.it
Achille Bonito Oliva  è un critico d’arte italiano tra i più celebrati a livello internazionale. Dopo gli studi giuridici si laurea in lettere, e partecipa alla costituzione e alle iniziative del Gruppo 63. Dal 1968 insegna storia dell’arte contemporanea all’università La Sapienza di Roma. Assertore di una funzione attiva del critico a fianco dell’artista, è stato il teorico della Transavanguardia. Ha esplorato snodi della storia dell’arte quali il manierismo, le avanguardie storiche, le neoavanguardie.
Curatore generale della Biennale di Venezia del 1993, ha promosso l’arte contemporanea con centinaia di mostre ed eventi – Contemporanea, 1973; Aperto 80, 1980; Minimalia, 1997, Le Tribù dell’Arte (2000). Tra i saggi: Il territorio magico (1971); L’ideologia del traditore: arte, maniera, manierismo (1976); L’arte fino al 2000 (1991); Le nuove generazioni (2002); Autocritico/automobile (2002); Lezione di boxe. Dieci round sull’arte contemporanea (2004); Dadada: Dada e dadaismi del contemporaneo 1916-2006.  Ricreazioni (2017). E’ curatore dell’Enciclopedia delle arti contemporanee.
E’ Chevalier pour les artes et lettres par la Republique Francaise (1992), Medaglia d’oro per la cultura della Presidenza della Repubblica Italiana (2006), Grand’Ufficiale della Repubblica italiana (2012). Tra i progetti più recenti, la trasmissione televisiva FUORI QUADRO per RAI 3 e il progetto espositivo diffuso “L’albero della cuccagna. I NUTRIMENTI DELL’ARTE”.
Gli occhi di tre grandi autori per raccontare la metamorfosi del paesaggio marchigiano: Olivo Barbieri, Paola De Pietri e Petra Noordkamp sono gli artisti coinvolti nel progetto TERRE IN MOVIMENTO – una committenza promossa dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio delle Marche che racconta il paesaggio storico, umano e naturale sconvolto dal sisma del 2016: reperti, rovine, nuovi fragili insediamenti, persone.
Il progetto, promosso e prodotto dalla Soprintendenza in partnership con il MAXXI e l’Associazione Demanio Marittimo.Km-278, ha invitato Olivo Barbieri, Paola De Pietri e Petra Noordkamp ad elaborare uno sguardo personale in una fase delicata e per qualche verso “non-transitoria”, con una prospettiva nella quale “le terre in movimento” sono un’idea della transizione e delle trasformazioni morfologiche, economiche, culturali e comunitarie del territorio marchigiano e adriatico.
I 3 artisti hanno passato lunghi periodi nelle comunità del cratere – Visso, Camerino, Arquata e Pescara del Tronto, Pieve Torina, Pievebovigliana, Muccia, Ussita tra gli altri – hanno incontrato e conosciuto persone e luoghi, visitato le zone rosse e sviluppato, ognuno con la propria poetica, progetti molto diversi per media e linguaggio. Il progetto espositivo, partito dalle Marche, verrà presentato al MAXXI in una mostra visitabile dal 10 maggio al 1 settembre 2019; successivamente le opere entreranno a far parte delle collezioni permanenti di fotografia.
L’allestimento di Ancona è il frutto di un processo di selezione che ha coinvolto i 7 gruppi che negli anni hanno realizzato, sempre per concorso, l’allestimento di Demanio Marittimo.Km-278: giovani talenti dell’architettura chiamati a interpretare senso e funzionalità per la riattivazione dello spazio pubblico della chiesa. Il progetto è raccontato in una ricca pubblicazione edita da Quodlibet, con testi di Carlo Birrozzi, Stefano Catucci, Pippo Ciorra, Cristiana Colli, Margherita Guccione, Emanuele Marcotullio.
La mostra alla Chiesa di San Gregorio Illuminatore, già San Bartolomeo è stata possibile grazie alla collaborazione essenziale della Regione Marche, del Comune di Ancona, e di un ampio gruppo di partners: Fondazione Cariverona, ANCI Marche, Carifermo, Carisap, Consulta delle Fondazioni delle Casse di Risparmio marchigiane, Contram, Cosmari, iGuzzini Illuminazione, Gagliardini, Fincantieri Spa e con il fondamentale sostegno del Consorzio di Bonifica delle Marche per i servizi di apertura, guida e sorveglianza.
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redazionecultura · 8 years ago
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sede: Passaggi Arte Contemporanea (Pisa).
Attraverso un articolato dispositivo di visione che si avvale di media diversi – video, suono, fotografia e scultura – Dark Water induce a riflettere con uno sguardo contemporaneo sulla figura di Eva e sul Giardino dell’Eden, luogo archetipico di creazione, bellezza, purezza, ma anche di tentazione e peccato, dove la deliberata volonta` soppianta l’innocente abbondanza. La possibilita` di poter ricostruire un proprio Giardino dell’Eden in una condizione esistenziale dove bellezza e caducita` coesistono e` al centro della riflessione della Binion. Dark Water, come sottolinea la teologa J. Michelle Molina nel testo scritto per il catalogo della mostra “cattura per un istante cio` che e` disperso, mutevole, dilatato e ci fa soffermare davanti alla misteriosa bellezza dell’immanente”. Tra le fonti di ispirazione del progetto, vi sono anche due giardini particolarmente cari alla Binion, quello che sua madre ha coltivato nella sua casa di Chicago per oltre sessant’anni e quello della sua amica Pia Pera, scrittrice e saggista tristemente scomparsa di recente, che ha lasciato una struggente testimonianza della sua malattia e del suo intenso rapporto con la natura nel libro Al giardino ancora non l’ho detto. Dark Water, si configura come un’installazione multimediale composta di cinque elementi interconnessi. Eva e` un’opera audiovisiva monocanale proiettata su una parete attraverso un velo trasparente, che “filtra e raddoppia” il volto in primo piano di una giovane donna contemporanea, rappresentata nel gesto di mangiare una mela; il modo in cui si rivolge allo spettatore, con uno sguardo assorto, interlocutorio, e a tratti di sfida, si presta a molteplici letture. La scultura Ramo e` un calco in bronzo di un ramo di pino trovato dall’artista; con la sua pigna sfaccettata e i ramoscelli serpeggianti, il ramo richiama l’Albero della Conoscenza: una parte per il tutto, una “reliquia” che incorpora il potere dell’originale. L’opera che da` il titolo alla mostra, Dark Water, e` una fotografia che raffigura un bacino d’acqua scura con foglie cadute sulla superficie, un’immagine potente che evoca abbandono, silenzio ma che rimanda anche alle stratificazioni fangose sottostanti, quali fonti primordiali di vita. La scultura Ragnatela consiste in una lastra di marmo statuario in cui e` incisa una ragnatela, che sembra quasi invitare lo spettatore a seguire coi polpastrelli i suoi fili; e` un puzzle tattile e attraente, laborioso e complesso, delicato ma ineluttabile come il destino in cui ogni uomo e` irretito. Il video La coppia di bagnanti e` un dittico le cui immagini di un Adamo e un’Eva non piu` giovani scorrono su un monitor posto orizzontalmente in un contenitore di marmo rosa; i loro corpi nudi, immersi in una vasca d’acqua chiara, recano i segni inesorabili del passaggio del tempo, emanando al contempo un senso di calma, di attesa e di carnale innocenza. Dark Water, al pari di altre recenti opere multimediali di Sandra Binion, quali Ennesbo, Rough Beauty e Distille´, trae ispirazione da una tematica per poi restituirla attraverso immagini altamente poetiche, in cui si intrecciano materiali, immagini, forme e significati. Piu` che indicare dei percorsi, le installazioni della Binion si configurano come opere aperte che evocano una molteplicita` di suggestioni, invitando l’osservatore a seguire le proprie associazioni.
Sandra Binion e` un artista multimediale che vive e lavora a Chicago. I temi principali su cui si focalizza il suo lavoro riguardano la “coreografia del quotidiano” e l’esame delle sfumature dei dettagli, spesso trascurati, dell’ambiente naturale e sociale. La sua carriera artistica inizia a meta` degli anni ‘70 in ambito performativo. Dopo aver studiato cinema nei primi anni ‘90, il suo lavoro si e` concentrato sempre piu` sulla realizzazione di opere multimediali. Nel corso degli ultimi dieci anni ha realizzato prevalentemente complesse installazioni multidisciplinari, utilizzando in varie combinazioni video, fotografia, pittura, scultura, suono e suggestioni olfattive. Tra i suoi lavori piu` recenti: Distille´, un’installazione multimediale basata su Madame Bovary di Gustave Flaubert, presentata all’Abbazia di Noirlac, nel centro della Francia; Rough Beauty, una meditazione sul paesaggio naturale di Tereglio, piccola localita` montana della Garfagnana, in Toscana; e Ennesbo, un progetto incentrato sulla fattoria appartenente alla bisnonna svedese dell’artista, presentato presso il Consolato Svedese e in cinque musei negli Stati Uniti. Le sue performance, fotografie, dipinti e installazioni sono state presentate in numerosi musei, gallerie, teatri e festival sia negli Stati Uniti che in Europa. Le sue opere si trovano in numerose collezioni private e in numerose collezioni museali, tra cui l’Art Institute di Chicago.
In occasione dell’inaugurazione sara` presentato il catalogo della mostra, contenente testi di J. Michelle Molina, dell’Universita` di Northwestern, Chicago; di Sandra Lischi, dell’Universita` di Pisa; e di Silvana Vassallo, direttrice della Galleria Passaggi Arte Contemporanea. Il catalogo, di 56 pagine, e` pubblicato dalla Casa Editrice ETS di Pisa. Sara` anche disponibile Aftermath, libro in edizione limitata di 68 pagine che contiene una serie di disegni di Sandra Binion collegati al progetto Dark Water.
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Sandra Binion. Dark Water sede: Passaggi Arte Contemporanea (Pisa). Attraverso un articolato dispositivo di visione che si avvale di media diversi - video, suono, fotografia e scultura – Dark Water induce a riflettere con uno sguardo contemporaneo sulla figura di Eva e sul Giardino dell'Eden, luogo archetipico di creazione, bellezza, purezza, ma anche di tentazione e peccato, dove la deliberata volonta` soppianta l'innocente abbondanza.
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livingwomen · 8 years ago
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Conosco il mondo artistico di Selena Leardini da qualche anno. Avevo visto i suoi quadri ad una piccola esposizione personale presso il negozio di abbigliamento Interno 11 a Trento. I ritratti dei “suoi bambini” mi hanno conquistata da subito, così come quell’atmosfera un po’ noir e piena di romanticismo. In questo incontro mi accompagna la fotografa e blogger Lucia Semprebon che ringrazio per aver contattato Selena e per la sua preziosa presenza.
La richiesta di Selena è stata quella di incontrarci in un territorio neutro, e di poter fare una chiacchierata informale più che una classica intervista. C’e’ il sole a Riva del Garda, non è una giornata fredda. Sono le 11 e ci infiliamo in una pasticceria. Saliamo al piano di sopra, ci sediamo ad un tavolino in fondo alla sala dove ci accoglie di persona. Selena è una donna minuta, all’apparenza timida, con occhi azzurri pieni di calore e dolcezza. Dopo i primi convenevoli l’imbarazzo si affievolisce. Cominciamo  così a chiacchierare.
Cercheremo di raccontarvi un po’ di Selena grazie al tempo che ci ha regalato, raccontandovi la sua storia.
Selena per i suoi dipinti usa quasi sempre colori ad acrilico e talvolta olio, su cartone o legno. Di rado dipinge la mattina e non ascolta musica.
La corrente in cui l’artista è stata imbrigliata e nella quale si riconosce, anche se non sempre è piacevole essere etichettati nelle categorie, è quella del pop-surrealismo. Una corrente artistica che ha origine in un movimento nato in California sul finire degli anni ’70 e che prende nome di Lowbrow  Art, che tradotto letteralmente significa sopracciglio abbassato. Un nome volutamente provocatorio in opposizione all’aggettivo inglese highbrow (sopracciglio alzato). La politica del movimento si dichiara contro le gallerie dalle opere con prezzi impossibili ed ai critici strapagati per scrivere recensioni positive sovvenzionati dagli stessi artisti.
La Lowbrow Art, conosciuta anche con il nome di Surrealismo Pop, è un movimento artistico nato alla fine degli anni Settanta nell’area di Los Angeles negli ambienti che ruotano attorno alle riviste di fumetti underground, alla musica punk e ad altre sottoculture californiane: le opere hanno solitamente soggetti figurativi, spesso caricaturali e sono caratterizzate dall’uso di colori forti e da un’ accentuata decoratività. I primi pop-surrealisti sono da individuare nelle figure di Robert Williams e Gary Panter, disegnatori di fumetti underground. L’ufficializzazione, e quindi la crescita del movimento, avviene però solo nel 1994 con l’uscita della rivista Juxtapoz diretta appunto da Robert Williams.
Il risultato è un mondo che collega il surrealismo al fumetto, ai graffiti, al mito ed ai temi sociali delle metropoli urbane. L’elemento pop si fonde con un surrealismo dalle tinte magiche dando vita ad immagini inquietanti, visioni poetiche e scene sospese fra il grottesco e il diabolico, un universo poliedrico in cui gli esponenti sono fumettisti, tatuatori, illustratori.
Il movimento ha toccato il suo apice con Mark Ryden, citato anche dalla stessa Selena. Uno dei maggiori responsabili del ritorno al figurativo nella pittura contemporanea, Mark Ryden da Los Angeles, a cui la Taschen ha appena dedicato il prestigioso volume Pinxit. Dipinge da quando era bambino, ed è stato consacrato alla fine degli anni ’90 come uno dei massimi rappresentanti del Pop Surrealismo caratterizzato da uno stile onirico e fiabesco che fa riferimento contemporaneamente alle immagini pittoriche di matrice classica.
Parliamo brevemente del Fumetto d’autore. Di Andrea Pazienza. Di Guido Crepax . Di Massimo Mattioli. Ricorda che da piccola mensilmente spendeva cinquemila lire per acquistare la rivista di fumetti L’eternauta che divorava e di cui conserva ancora qualche numero. Nei primi anni ’90 Selena frequenta un corso di fumetto, conosce Milo Manara a Verona e continua ad alimentare la sua passione attraverso la rivista  Il Grifo di cui il motto è “il fumetto è arte”.
“Il fumetto d’autore comunque è stata la mia prima passione e secondo me è da lì che mi viene il mio animo pop”
Tornando alle sue opere artistiche, ci racconta che solitamente tutto per lei parte dalla cornice. Cornici che scova solitamente recandosi ai mercatini dell’usato.
Quella per gli oggetti antichi è una passione che ha da sempre.
“Colleziono specchi e giocattoli antichi, è come se l’oggetto più vissuto portasse con se’ un’energia, una o più storie. Credo che se mi fossi trovata a fare un lavoro diverso da quello che faccio, sarebbe stato quello del rigattiere. Per qualche anno ho lavorato come restauratrice. Ho fatto anche l’ imbianchina e così ho potuto imparare a conoscere e riconoscere il materiale di cui sono fatti i muri. Ho realizzato anche diversi murales a Pinzolo, Verona e Bologna, ma in queste opere non si riconosce la mia mano trattandosi di paesaggi classici di montagna riproducenti animali che vivono la montagna.”
Le prime opere di Selena nascono spontaneamente da una fantasia interiore; nel tempo poi però impara ad usare e ad ispirarsi ad una collezione di fotografie che ritraggono bambini. La sua è una collezione privata compresa in una fascia temporale che va da fine ‘800 al 1940. Le pose sono lunghe, le immagini ombreggiate. A volte i bimbi sono rattristati, altre volte accennano a sorrisi. Ma appaiono comunque intrappolati.
In questi acrilici (solo ogni tanto Selena usa colori ad olio, come detto in principio) questi suoi bimbi hanno gli occhi cerchiati con colori scuri o freddi: grigio, marrone, blu. Spesso tengono in mano o portano con sé un compagno, un oggetto, un amico.
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Recentemente le sue produzioni sono cambiate:
“C’è stata un’ evoluzione: pur subendo il fascino delle vecchie foto, mi sentivo satura della modalità della riproduzione e, grazie ad alcune amiche, mi si è presentata l’ opportunità di auto-produrre degli scatti fotografici. Bimbe/i figlie/i di amiche mi fanno da modelle/i per queste fotografie che fungono da riferimento per la realizzazione dei miei dipinti più recenti. Sono bambini che conosco e con i quali ho confidenza.”
Questo cambiamento è notevole nelle sue ultime opere, attualmente i colori che vengono usati sono in tonalità più pastello, gli occhi cambiano forma e non sono più così rotondi.
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Chiediamo a Selena di raccontarci un po’ di lei, della sua formazione e del suo percorso tecnico e artistico.
Nata e cresciuta nella sua Verona Selena mostra il desiderio di frequentare il Liceo Artistico ma, proprio in quel periodo era ospite in una casa-studio in un paesino in provincia di Vicenza, e da lì il liceo risultava un po’ troppo lontano.
Ripiega quindi su una scuola da figurinista/grafica
Selena nel frattempo continua a disegnare. Usa moltissimo la matita. Frequenta qualche corso privato e per un periodo si esercita in una soffitta in compagnia di due personaggi un po’ originali in un’atmosfera un po’ bohemienne ma molto stimolante. Comincia a padroneggiare più tecniche e per un periodo si esercita utilizzando le opere della pittrice Tamara de Lempicka
“Copiavo le sue tele su olio. Non so perché ho scelto lei, mi piaceva l’idea del ritratto, ma anche l’effetto patinato, i contrasti.”
Dal veronese Selena si trasferisce a Pinzolo intorno al 2003, apre un suo studio. Cominciano ad arrivare le prime commissioni: Selena realizza copie su richiesta, non dipinge mai per lei
“Mettevo le mani a disposizione degli altri ma non usavo la mia testa”.
A livello tecnico/pratico tutto quello che Selena ha fatto precedentemente diventa il suo bagaglio di esperienza: un patrimonio che le ha permesso di lavorare sugli aspetti più difficili della realizzazione di un’opera. L’incarnato del soggetto, l’asse dello sguardo che deve risultare diritto per chi osserva il quadro.
“Solitamente quando arrivo a questo punto mi stacco dall’opera, la lascio decantare, vado a fare una passeggiata. Quando torno la capovolgo per capire se è fatta bene. In questo modo riesco a vedere solo le linee e la parte tecnica perché il nostro emisfero sinistro lavora diversamente; si può dire che per lavorare sull’espressività occorre mescolare la razionalità con l’irrazionalità.”
È il 2005 quando Selena, prendendo spunto da qualche rivista si ispira a fotografie di modelle  e le fonde con alcune Carte degli Arcani o Tarocchi.
Sono le prime opere nate da un’esigenza più intima e personale. Selena decide di mostrarle ad una gallerista, che smorza ogni suo entusiasmo dicendole: “è più facile che il tuo fruttivendolo diventi un’artista piuttosto che tu lo diventi.” 
“Certo è che non l’ho presa molto bene. Sono andata dal mio fruttivendolo ed ho fatto un intervento artistico su un barattolo di pelati, coinvolgendolo così nel mio stato d’animo. Volevo postarlo su Facebook, ma alla fine non l’ho mai fatto. Quella frase però mi ha bloccata per un anno intero. Niente, il buio. Ma ripensandoci ora forse ci voleva.  Con il tempo ho capito, almeno credo di avere capito che solitamente è la Galleria a contattare l’artista.”
Arriva finalmente l’ispirazione che la porta a dipingere  il primo bambino. Nato senza avere un riferimento fotografico e dipinto sopra ad un Arcano, che poi Selena cancella.
“È molto più facile non esporsi e riprodurre cose realizzate da altri. Per esporsi bisogna vincere la paura di mettersi a nudo, lavorare per trovare uno stile ma soprattutto vincere il peso del giudizio. Inizialmente ho pensato: li faccio per me; poi ho pubblicato su Facebook e c’e’ stato subito un largo consenso, vedevo un apprezzamento trasversale, con una fascia d’eta’ che va dai 5 ai 90 anni.”
Selena ci tiene moltissimo a far sapere che attraverso le sue opere non vuole trasmettere inquietudine. Alcune delle bambine che ha dipinto hanno il cuore trafitto ma osservandole a fondo si può notare come dalle ferite o dall’estremità delle frecce spuntino foglie o fiori, a significare che dal dolore si può ripartire, si può rinascere.
“Non voglio trasmettere né tristezza né dolore, i miei bambini sono sospesi in un limbo che guardano all’esterno, alcuni hanno con sé un oggetto, un amico.  Ed anche quelli che possono sembrare dei fantasmini in realtà racchiudono il concetto di farsi amica la paura. Rappresentano l’adolescenza e, soprattutto, l’infanzia dove i bambini portano dentro di sé i loro angoletti bui, le loro paure. Alcuni di loro abbozzano dei sorrisi, altri ti guardano espressivi e silenziosi ma con gli occhi pieni di domande alla ricerca di attenzione; come potevo essere anch’io da piccola. Mi è capitato solo una volta che un bambino non piccolissimo non volesse entrare in casa per via di un quadro. E’ successo anche che alcune persone trovassero le mie opere inquietanti ma che poi tornassero a prenderle perché gli era arrivato qualcosa. L’infanzia è fatta di una manciata di anni, dura poco ma segna la nostra vita e parla già di come sarà un adulto. Quello dei bambini è il mio mondo, trovo subito empatia. Il loro linguaggio è il mio linguaggio. Realizzo i miei set fotografici, le scenografie, i vestiti e gli accessori per immortalare i bambini in fotografie che poi trasformo successivamente in opere pittoriche”
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Selena ci racconta della sua quotidianità. Si alza presto la mattina in modo da dipingere con la luce naturale. Dipinge raramente nel pomeriggio, che piuttosto dedica a portare a spasso i suoi tre amatissimi cani. E aggiunge
“Quando il tempo si allunga ..sento una necessità quasi fisica di dipingere…come una dipendenza”.
Ci spiega che questo lavoro richiede costanza e dedizione, ed è ben lontano dall’essere scevro da scoramenti o da momenti di crisi in cui vorresti mollare tutto. Ci confessa:
“Recentemente ho realizzato un quadro grande che non mi ha convinto. L’ho cancellato, non l’avrei nemmeno regalato”.
Si ritiene fortunata a vivere di ciò che ama:
“La cosa bella del mio lavoro è che la mente è sempre in movimento, non sai mai che cosa ti aspetta. Ci sono però scadenze, proposte e nuovi progetti da gestire. A volte la fatica si fa sentire ma la passione vince sempre. Usando la tecnica dei colori acrilici su tela o legno liscio, riesco a finire un’opera in tempo relativamente breve e quindi a rispettare le mie scadenze”.
Le chiediamo di raccontarci il suo sentire:
“Il quadro ti porta in un’altra dimensione. Riconosci la realtà, quello che già esiste però dentro ai miei quadri accade in un modo diverso. Il processo creativo per me alcune volte è stato come avere una rivelazione: in una macchia magari ho visto qualcosa che mi ha ispirato; altre volte invece ho passato le notti sveglia pensando a qualche progetto. Sono però in grado di capire quando è necessario staccare. Allora per un paio di giorni non dipingo, non disegno. Ma quando il tempo di astinenza si allunga troppo sento che qualcosa mi manca”
Inevitabilmente finiamo con il parlare di Facebook e dei Social Networks in generale. Di come siano uno strumento potentissimo per poter fare promozione e creare una rete.
“Cerco di avere un rapporto equilibrato con i social. Alle volte ci sono, altre sparisco per un po’. Non amo pubblicare cose che riguardano la mia sfera personale. Posso dire comunque che Facebook mi ha portato contatti importanti e vendite all’estero in Paesi come Canada, Australia e Francia”
Selena ci confessa che, non amando molto volare, raramente si reca nei luoghi delle mostre e preferisce spedire le sue opere dove vengono richieste. Recentemente la sua esposizione negli USA, alla Flower Pepper Gallery di Pasadena in un collettivo con altri artisti e padri della Lowbrow Art.
Le chiediamo se c’è un posto dove si è sentita a casa più di atri e scopriamo un’altra parte di Selena. Ci parla di un viaggio in India all’ Isola di Goa con l’ associazione Officina del Sorriso nel 2009. Officina del Sorriso è un progetto internazionale di volontariato artistico ideato e curato dall’Associazione Teatro Per Caso di Nago-Torbole sul Lago di Garda (TN)  la cui missione è quella di portare bellezza, gioco, fantasia e incanto a bambini e bambine, ragazzi e ragazze (http://www.officinadelsorriso.org/blog/).
“Mi sono fermata un mese per realizzare una scenografia con dei bimbi. E’ stato un luogo che ho sentito molto vicino da subito. Sarà stato per il caldo o forse perché lì la vita nel bene e nel male si è un po’ fermata. Ho ritrovato un certo tipo di semplicità, mi sono sentita a casa. I bambini lì non hanno nulla o hanno molto poco ma sono sempre contenti e sorridenti, hanno un’energia e una manualità incredibile”.
Sono quasi le 14. Il tempo è letteralmente volato.
Chiediamo a Selena dei suoi progetti. Pur essendo una persona molto disponibile ed aperta a tutto, ci dice di trovarsi in questo momento più a suo agio nel contesto delle esposizioni collettive.
Attualmente ha in progetto di realizzare un Murales. Forse in Grecia durante l’estate, dove le piacerebbe per la prima volta rappresentare uno dei suoi bambini.
Per quanto riguarda i prezzi delle sue creazioni Selena ha fatto una scelta precisa:  renderle accessibili potenzialmente a tutti. Nell’ottica di rendere la sua arte accessibile, rispettando ciò che è la filosofia del movimento Lowbrow.
Grazie di cuore, Selena.
Pagina Facebook Selena Leardini
Profilo Instagram https://www.instagram.com/selenaleardini/.
Selena con uno dei suoi tre cani 
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      lo studio di Selena Leardini
#LIVINGARTISTS MEETS #SELENALEARDINI Conosco il mondo artistico di Selena Leardini da qualche anno. Avevo visto i suoi quadri ad una piccola esposizione personale presso il negozio di abbigliamento…
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pier-carlo-universe · 3 months ago
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degiovanniluigi · 5 years ago
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OSSIMORI PITTORICI. Chiusura della mostra
Titolo: Ossimori pittorici
“Ossimori pittorici” è il titolo della mostra di Luigi De Giovanni, che si potrà visitare fino al 30 luglio ’19 al castello Risolo di Specchia. Le opere in esposizione prendono in considerazione le contraddizioni interiori dell’artista che, addentrandosi nel paesaggio, nelle nature morte o nelle angosce, trova il suo discorso: la sua pittura. È così che si perde nei colori, nell’humus dei suoi luoghi amati, dove anche un fiore ha i suoi significati, per procedere con più furia nei suoi tormenti fatti di conflitti sociali, di lotte per il potere o contro il potere troppo spesso oppressivo e ingiusto. L’artista in questa esposizione, sintesi del suo lavoro e del suo pensiero di sempre, indaga la società, con le incoerenze che la caratterizzano, trovando pace nella bellezza malinconica del breve tempo dei fiori recisi e nella poesia del paesaggio che sa suscitare poetiche emozioni in tutte le stagioni. Le sue angosce cominciano a manifestarsi nel tuffo quasi religioso nei campi di papaveri dove il rosso si accende e si adombra suggerendo pennellate intense che fanno sentire l’urlo dei caduti nei campi di battaglia dove nello spirituale oriente i comandanti lanciavano i semi di questo fragile fiore per farli rifiorire in una speranza dolorosa ma di vita: vita spezzata dall’egoismo dell’uomo che ambisce al potere. I climi lividi di segni sempre più aggressivi penetrano il supporto pittorico, tele o jeans, sino a caricarsi del pensiero dell’artista in una denuncia del suo dolore interiore che guarda alla natura anche lei tradita, sfruttata dalla forza bruta e selvaggia dell’uomo che nel suo voler essere perfetto si manifesta nella sua malvagità.   Luigi De Giovanni, in questo modo, con la sua pittura istintiva e traboccante di tracce dei percorsi delle idee, si apre all’esterno seguendo sensazioni che si palesano nel suo addentrarsi nel colore, canale delle sue elucubrazioni che trovano origine lontano quando lui riusciva a vedere l’immaginazione al potere: un sessantotto tradito e distorto nei tanti sogni. Tradito negli ideali ormai lontani ma ben descritti nelle opere intitolate “Carte” dove le ferite, ancora sanguinanti d’un rosso marcescente e raggrumato, suturate con garze e fili colorati perché il colore è conforto, brucianti ancora di delusione, sono tracciate da pennellate che lasciano segni espliciti di angoscia e di rassegnazione. De Giovanni si rasserena nella natura, che non lo tradisce mai e che gli consente di riprendere i fili del suo animo che si inoltra, oltre il reale, nella spiritualità suggerita dai luoghi amati. I suoi paesaggi, in quest’occasione, recenti e del Salento, dipinti nei mutamenti stagionali, raccontano una terra con i fusti contorti degli ulivi feriti e spogli, i muretti a secco che si vestono di bianco, la terra rossa che accende gli scorci, il mare che invita ad un bagno estivo, le fioriture primaverili che inebriano sino a far trovare l’armonia del creato. Il paesaggio prosegue il suo discorso nello studio con i fiori recisi che dalla rigogliosità piena di speranza dei boccioli di vita lasciano cadere i petali nel tramonto dei loro giorni per donare atmosfere coloristiche che sanno di poesie e malinconie: paesaggi e fiori che nel tempo si ripetono nei loro discorsi e parlano di bellezza e speranza.  Le carte con le garze che suturano ferite troppo profonde e troppo spesso nascoste nei cuori delle persone svelano fragilità e sofferenza di chi, smarrito, cerca la strada della salvezza. I jeans, nel loro racconto di lavoro e rivoluzione delle idee purtroppo deluse, ormai diventati apparenza, strappati e lisi prima d’essere usati in una finzione vuota hanno perso la loro forza evocativa per diventare oggetto consumistico e vuoto. Nei Jeans l’essere pare non avere più valore al suo posto c’è l’uomo smarrito che, ingannando sé stesso, ritiene di vivere una vita piena e giusta. La mostra è tutto questo: un’indagine profonda della società dove l’essere conta meno dell’apparire, dove la finzione è più vera del reale, dove l’artista denuncia una maggiore coerenza con il vero senso del vivere in armonia. La mostra è stata presentata da Raffaele Polo che curato il testo critico in catalogo, allestita dell’Arch. Stefania Branca e organizzata da Il Raggio Verde Edizioni, Arteluoghi e e20cult con il patrocinio del Comune di Specchia in collaborazione con la Pro Loco di Specchia.                                                                                          Federica Murgia Info: [email protected] Cell. 3292370646 www.degiovanniluigi.com
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degiovanniluigi · 5 years ago
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OSSIMORI PITTORICI. Chiusura della mostra
Titolo: Ossimori pittorici
“Ossimori pittorici” è il titolo della mostra di Luigi De Giovanni, che si potrà visitare fino al 30 luglio ’19 al castello Risolo di Specchia. Le opere in esposizione prendono in considerazione le contraddizioni interiori dell’artista che, addentrandosi nel paesaggio, nelle nature morte o nelle angosce, trova il suo discorso: la sua pittura. È così che si perde nei colori, nell’humus dei suoi luoghi amati, dove anche un fiore ha i suoi significati, per procedere con più furia nei suoi tormenti fatti di conflitti sociali, di lotte per il potere o contro il potere troppo spesso oppressivo e ingiusto. L’artista in questa esposizione, sintesi del suo lavoro e del suo pensiero di sempre, indaga la società, con le incoerenze che la caratterizzano, trovando pace nella bellezza malinconica del breve tempo dei fiori recisi e nella poesia del paesaggio che sa suscitare poetiche emozioni in tutte le stagioni. Le sue angosce cominciano a manifestarsi nel tuffo quasi religioso nei campi di papaveri dove il rosso si accende e si adombra suggerendo pennellate intense che fanno sentire l’urlo dei caduti nei campi di battaglia dove nello spirituale oriente i comandanti lanciavano i semi di questo fragile fiore per farli rifiorire in una speranza dolorosa ma di vita: vita spezzata dall’egoismo dell’uomo che ambisce al potere. I climi lividi di segni sempre più aggressivi penetrano il supporto pittorico, tele o jeans, sino a caricarsi del pensiero dell’artista in una denuncia del suo dolore interiore che guarda alla natura anche lei tradita, sfruttata dalla forza bruta e selvaggia dell’uomo che nel suo voler essere perfetto si manifesta nella sua malvagità.   Luigi De Giovanni, in questo modo, con la sua pittura istintiva e traboccante di tracce dei percorsi delle idee, si apre all’esterno seguendo sensazioni che si palesano nel suo addentrarsi nel colore, canale delle sue elucubrazioni che trovano origine lontano quando lui riusciva a vedere l’immaginazione al potere: un sessantotto tradito e distorto nei tanti sogni. Tradito negli ideali ormai lontani ma ben descritti nelle opere intitolate “Carte” dove le ferite, ancora sanguinanti d’un rosso marcescente e raggrumato, suturate con garze e fili colorati perché il colore è conforto, brucianti ancora di delusione, sono tracciate da pennellate che lasciano segni espliciti di angoscia e di rassegnazione. De Giovanni si rasserena nella natura, che non lo tradisce mai e che gli consente di riprendere i fili del suo animo che si inoltra, oltre il reale, nella spiritualità suggerita dai luoghi amati. I suoi paesaggi, in quest’occasione, recenti e del Salento, dipinti nei mutamenti stagionali, raccontano una terra con i fusti contorti degli ulivi feriti e spogli, i muretti a secco che si vestono di bianco, la terra rossa che accende gli scorci, il mare che invita ad un bagno estivo, le fioriture primaverili che inebriano sino a far trovare l’armonia del creato. Il paesaggio prosegue il suo discorso nello studio con i fiori recisi che dalla rigogliosità piena di speranza dei boccioli di vita lasciano cadere i petali nel tramonto dei loro giorni per donare atmosfere coloristiche che sanno di poesie e malinconie: paesaggi e fiori che nel tempo si ripetono nei loro discorsi e parlano di bellezza e speranza.  Le carte con le garze che suturano ferite troppo profonde e troppo spesso nascoste nei cuori delle persone svelano fragilità e sofferenza di chi, smarrito, cerca la strada della salvezza. I jeans, nel loro racconto di lavoro e rivoluzione delle idee purtroppo deluse, ormai diventati apparenza, strappati e lisi prima d’essere usati in una finzione vuota hanno perso la loro forza evocativa per diventare oggetto consumistico e vuoto. Nei Jeans l’essere pare non avere più valore al suo posto c’è l’uomo smarrito che, ingannando sé stesso, ritiene di vivere una vita piena e giusta. La mostra è tutto questo: un’indagine profonda della società dove l’essere conta meno dell’apparire, dove la finzione è più vera del reale, dove l’artista denuncia una maggiore coerenza con il vero senso del vivere in armonia. La mostra è stata presentata da Raffaele Polo che curato il testo critico in catalogo, allestita dell’Arch. Stefania Branca e organizzata da Il Raggio Verde Edizioni, Arteluoghi e e20cult con il patrocinio del Comune di Specchia in collaborazione con la Pro Loco di Specchia.                                                                                          Federica Murgia Info: [email protected] Cell. 3292370646 www.degiovanniluigi.com
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degiovanniluigi · 5 years ago
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Titolo: Ossimori pittorici
“Ossimori pittorici” è il titolo della mostra di Luigi De Giovanni, che si potrà visitare fino al 30 luglio ’19 al castello Risolo di Specchia. Le opere in esposizione prendono in considerazione le contraddizioni interiori dell’artista che, addentrandosi nel paesaggio, nelle nature morte o nelle angosce, trova il suo discorso: la sua pittura. È così che si perde nei colori, nell’humus dei suoi luoghi amati, dove anche un fiore ha i suoi significati, per procedere con più furia nei suoi tormenti fatti di conflitti sociali, di lotte per il potere o contro il potere troppo spesso oppressivo e ingiusto. L’artista in questa esposizione, sintesi del suo lavoro e del suo pensiero di sempre, indaga la società, con le incoerenze che la caratterizzano, trovando pace nella bellezza malinconica del breve tempo dei fiori recisi e nella poesia del paesaggio che sa suscitare poetiche emozioni in tutte le stagioni. Le sue angosce cominciano a manifestarsi nel tuffo quasi religioso nei campi di papaveri dove il rosso si accende e si adombra suggerendo pennellate intense che fanno sentire l’urlo dei caduti nei campi di battaglia dove nello spirituale oriente i comandanti lanciavano i semi di questo fragile fiore per farli rifiorire in una speranza dolorosa ma di vita: vita spezzata dall’egoismo dell’uomo che ambisce al potere. I climi lividi di segni sempre più aggressivi penetrano il supporto pittorico, tele o jeans, sino a caricarsi del pensiero dell’artista in una denuncia del suo dolore interiore che guarda alla natura anche lei tradita, sfruttata dalla forza bruta e selvaggia dell’uomo che nel suo voler essere perfetto si manifesta nella sua malvagità.   Luigi De Giovanni, in questo modo, con la sua pittura istintiva e traboccante di tracce dei percorsi delle idee, si apre all’esterno seguendo sensazioni che si palesano nel suo addentrarsi nel colore, canale delle sue elucubrazioni che trovano origine lontano quando lui riusciva a vedere l’immaginazione al potere: un sessantotto tradito e distorto nei tanti sogni. Tradito negli ideali ormai lontani ma ben descritti nelle opere intitolate “Carte” dove le ferite, ancora sanguinanti d’un rosso marcescente e raggrumato, suturate con garze e fili colorati perché il colore è conforto, brucianti ancora di delusione, sono tracciate da pennellate che lasciano segni espliciti di angoscia e di rassegnazione. De Giovanni si rasserena nella natura, che non lo tradisce mai e che gli consente di riprendere i fili del suo animo che si inoltra, oltre il reale, nella spiritualità suggerita dai luoghi amati. I suoi paesaggi, in quest’occasione, recenti e del Salento, dipinti nei mutamenti stagionali, raccontano una terra con i fusti contorti degli ulivi feriti e spogli, i muretti a secco che si vestono di bianco, la terra rossa che accende gli scorci, il mare che invita ad un bagno estivo, le fioriture primaverili che inebriano sino a far trovare l’armonia del creato. Il paesaggio prosegue il suo discorso nello studio con i fiori recisi che dalla rigogliosità piena di speranza dei boccioli di vita lasciano cadere i petali nel tramonto dei loro giorni per donare atmosfere coloristiche che sanno di poesie e malinconie: paesaggi e fiori che nel tempo si ripetono nei loro discorsi e parlano di bellezza e speranza.  Le carte con le garze che suturano ferite troppo profonde e troppo spesso nascoste nei cuori delle persone svelano fragilità e sofferenza di chi, smarrito, cerca la strada della salvezza. I jeans, nel loro racconto di lavoro e rivoluzione delle idee purtroppo deluse, ormai diventati apparenza, strappati e lisi prima d’essere usati in una finzione vuota hanno perso la loro forza evocativa per diventare oggetto consumistico e vuoto. Nei Jeans l’essere pare non avere più valore al suo posto c’è l’uomo smarrito che, ingannando sé stesso, ritiene di vivere una vita piena e giusta. La mostra è tutto questo: un’indagine profonda della società dove l’essere conta meno dell’apparire, dove la finzione è più vera del reale, dove l’artista denuncia una maggiore coerenza con il vero senso del vivere in armonia. La mostra è stata presentata da Raffaele Polo che curato il testo critico in catalogo, allestita dell’Arch. Stefania Branca e organizzata da Il Raggio Verde Edizioni, Arteluoghi e e20cult con il patrocinio del Comune di Specchia in collaborazione con la Pro Loco di Specchia.                                                                                          Federica Murgia Info: [email protected] Cell. 3292370646 www.degiovanniluigi.com
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degiovanniluigi · 5 years ago
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Ossimori pittorici mostra di Luigi De Giovanni
Castello Risolo Specchia, Piazza del Popolo mostra di Luigi De Giovanni L’artista nelle opere presenti in questa mostra ha indagato la società di oggi con tutte le sue contraddizioni, la bellezza malinconica del breve tempo dei fiori e la poesia del paesaggio che sa suscitare poetiche emozioni.   La mostra è organizzata da Il Raggio Verde Edizioni, Arteluoghi e e20cult con il patrocinio del Comune di Specchia in collaborazione con la Pro Loco di Specchia
Scheda Titolo: Ossimori pittorici Artista: Luigi De Giovanni Inaugurazione: 20 luglio ore 20,30 Dal 20 al 30 luglio 2019 Orario Ingresso: dalle ore19,00 alle ore 22.00 Presenta la mostra Raffaele Polo Allestimento dell’Arch. Stefania Branca Incursioni live all’armonica Luca Nicoli, alla chitarra Davide Benegiamo Luogo: Castello Risolo Piazza del Popolo, Specchia LECCE
Info: [email protected] Cell. 3292370646 www.degiovanniluigi.com
Saluti istituzionali: Alessandra Martinucci Sindaco di Specchia; Chiara Nicole Lia Assessore alla cultura
Luigi De Giovanni con la sua pittura istintiva, traboccante di tracce dei percorsi del pensiero, si apre all’esterno seguendo sensazioni che muovono dal suo Io. I suoi soggetti sono i paesaggi, in quest’occasione, soprattutto del Salento dipinti nei mutamenti stagionali, i fiori recisi che dalla rigogliosità piena di speranza dei boccioli di vita lasciano cadere i petali nel tramonto dei loro giorni, le carte dove le garze suturano ferite troppo profonde e troppo spesso nascoste nei cuori delle persone che soffrono, i jeans nel loro racconto di lavoro e rivoluzione delle idee, purtroppo deluse: jeans diventati apparenza, strappati e lisi prima d’essere usati in una finzione vuota. La mostra è tutto questo: un’indagine profonda della società dove l’essere conta meno dell’apparire, dove la finzione è più vera del reale. Gli ossimori pittorici di Luigi De Giovanni di Raffaele Polo Da dove cominciamo, con luigi de Giovanni? Verrebbe da suggerire che è importante, più che sufficiente, scorrere i suoi dipinti, le sue creazioni, per avere una esperienza esaustiva e completa di questo artista multiforme che ci impressiona con il suo linguaggio diverso ma sempre coerente  in una sorta di ossimoro pittorico, De Giovanni convince e si fa comprendere sia che percorra le vie tradizionali del figurativo (i fiori, i paesaggi) sia che solleciti con l'intrigante astrattismo sia che ci inviti all'informale dei suoi 'jeans', messaggi espliciti di una società contemporanea anch'essa permeata di contraddizioni e nonsense. Forse, la ricerca dell'intellettuale potrebbe essere articolata nella per nulla peregrina intenzione di scoprire a quali di questi 'generi' il bravo De Giovanni si senta più portato. se, cioè, nel suo intimo artistico alligni con più radicata fermezza il testimone del secolo scorso oppure se l'uomo nuovo del XXI secolo sia quello che i suoi colori, le sue composizioni vogliono annunciare. Fatto sta che la piacevolezza riservata al fruitore dei lavori di questo artista è comunque univoca e di uguale spessore: ci si addentra negli scorci delle terre genuine del Salento e non solo, in una sorta di 'natura universale' ben codificata da colori e soggetti. oppure si sposta lo sguardo sulle spontanee composizioni floreali, percependo quasi il delicato, naturale odore dei fiori e delle erbe appena colte... o, ancora, le appena abbozzate figure femminili ci fanno partecipi di una introspezione a metà tra il drammatico e l'erotico, sintetizzando esitazioni e pudori ricchi di sfumature.   il discorso diventa più intrigante con le composizioni che utilizzano il tramite dei 'jeans', oggetto-simbolo di una planetaria rivoluzione del costume e della moda, indubbiamente capaci di comunicare messaggi sublimali e silenziosi soprattutto con le recenti scelte relative a strappi e tagli. come non ricordare la rivoluzione di Fontana, le sue ferite sulla tela tese a far vedere cosa c'è 'dietro' la tela, ancor più importante di cioè che è davanti... ma ricordiamo, così, su due piedi, le invenzioni di Enrico Bay, dedicate alla satira delle grandi uniformi militari o ecclesiastiche, campite sulla superficie con dovizia di ammennicoli, intrusioni e interventi, in un chiaro discorso dissacratorio. o, ancora, le realizzazioni con pezzi di manifesto di Rotella e, scendendo nel particolare, il materismo sempre più presente nei messaggi di tanti artisti che simboleggiano, via via nei loro lavori, le più evi- denti rappresentazioni totalitarie di scritte e oggetti, sino a raggiungere i più scalmanati writer della street art, mai sazi della propria espressività mutuata da muri e vagoni di treni... con de Giovanni, le frasi, i simboli, gli oggetti-simbolo sono mutuati in un completo contesto di interventi cromatici che scuote e denuncia, ponendo l'attenzione via via sulle tematiche prescelte per lanciare provocazioni e messaggi. un mondo pittorico colmo di pathos e movimento, che richiama, per certi versi, quello che fu il Futurismo nel secolo scorso. ma poi, senza parere, l'artista torna ai suoi soggetti ricchi di introspezione e, pur nella loro spesso evidente immobilità, al mondo di sogni, colori e atmosfere che lo chiamano a ripetere, ogni volta in maniera unica e particolare, quel groviglio di vegetazione o le canne palustri di un angolo di creato... per non parlare del mare, che affiora quasi a sorpresa, ad irradiare tutto il suo fascino e la sua maestosità, a riempire con toni immutabili di disponibile umanità, le tele paesaggistiche di grandi dimensioni che paiono voler abbattere qualsiasi confine pittorico, riversando sulle fiancate della struttura dipinta le proprie colorazioni, affermando con forza che non esistono, non devono esistere limiti, pastoie e argini tecnici per chi vuole rappresentare, pur se in uno spazio limitato, tutta la bellezza dell'universo. ancora un ossimoro: l'infinito racchiuso in uno spazio finito. ma quanta abile professionalità, frammista alla poesia di un animo sensibile, in queste fresche composizioni che coinvolgono appieno con la loro presenza e testimoniano la grande capacità affabulativa di de Giovanni. non è facile, in realtà, decifrare completamente i meccanismi che l'artista di specchia ci sottopone, quasi senza parere e ci lascia lì, guardandoci di sottecchi, attento ma con aria indifferente, quasi a scusarsi per ciò che ci sta mostrando. ma quei soggetti, quei colori entrano profondamente nel nostro animo, riescono a coprire ed annullare le ombre e le mostruosità che spesso vogliono annientare il senso positivo dell'arte, e intendono donarci pace, cultura, sicurezza nel sentimento e nella poesia. ecco allora, come per miracolo, che il caleidoscopico mondo pittorico di Luigi De Giovanni diventa una medicina miracolosa, un vero e proprio rimedio all'indifferente trascorrere di grigie quotidianità, ravviva- te spesso solo dall'indossare uno scolorito jeans... no, i jeans di luigi sono coloratissimi e ricchi di umore e sapore. i suoi messaggi sono pieni di fascino e intenzione positiva. il suo sguardo sereno e pacato è proprio lì, nei suoi quadri, nelle composizioni che, in maniera diversa ma sempre efficace, si susseguono in una infinita galleria di Bellezza e sapienza. Raffaele Polo
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tmnotizie · 6 years ago
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SAN BENEDETTO – Sabato 17 novembre 2018, alle ore 10, presso l’Auditorium “G. Tebaldini” si terrà il XIX Festival Internazionale della Poesia, promosso dal Circolo Riviera delle Palme di San Benedetto del Tronto. E’ il primo appuntamento della nuova edizione del Festival che culminerà nell’estate 2019 e avrà per tema “L’infinito”.
Saranno presenti importanti autori nazionali e internazionali, che interverranno sul tema con testi editi, inediti e appositamente composti per l’occasione: Davide Rondoni (poeta), Moira Egan (poetessa), Damiano Abeni (traduttore), Rossella Frollà (critica e poetessa), Nicola Bultrini (poeta e saggista).
Interverranno il Presidente del Circolo Riviera delle Palme, il poeta Leo Bollettini, il sindaco Pasqualino Piunti, l’assessore alla Cultura Annalisa Ruggieri ed il presidente del FAI Regione Marche Alessandra Stipa. Saranno presenti autorità locali e rappresentanti di istituzioni, associazioni, scuole e imprese del territorio.
Coordinerà e presenterà l’evento il nuovo direttore artistico del Festival, il poeta Claudio Damiani, accompagnato dall’attrice Marina Benedetto.
Il tema scelto fa riferimento alla famosa poesia di Leopardi l’infinito, di cui ricorre tra poco il bicentenario della composizione ma anche al concetto di “infinito” in generale e nelle sue varie declinazioni scientifiche, filosofiche ecc.
Con l’occasione verrà presentato il Certamen, gara di poesia (anch’essa sul tema dell’infinito) rivolta agli studenti e ai cittadini del territorio nazionale ma anche di autori stranieri, che culminerà a dine estate 2019 con la lettura pubblica dei testi selezionati e la premiazione del vincitore.
Tra la prima tappa (17 novembre 2018) e l’ultima (settembre 2019) si prevedono tappe intermedie, eventi di poesia, riflessioni e approfondimenti sul tema, a cura del Circolo Riviera delle Palme e di altre associazioni e istituzioni. Nelle scuole del territorio saranno avviati progetti specifici di laboratorio poetico che guideranno gli studenti nella produzione dei testi destinati al Certamen. Oltre ai giovani, l’iniziativa è destinata anche a adulti e anziani, e a questo riguardo verrà coinvolta anche l’Università della Terza Età di Ascoli Piceno.
Claudio Damiani è nato nel 1957 a San Giovanni Rotondo. Vive a Rignano Flaminio nei pressi di Roma. Ha pubblicato le raccolte poetiche Fraturno (Abete,1987), La mia casa (Pegaso, 1994, Premio Dario Bellezza), La miniera (Fazi, 1997, Premio Metauro), Eroi (Fazi, 2000, Premio Aleramo, Premio Montale, Premio Frascati), Attorno al fuoco (Avagliano, 2006, finalista Premio Viareggio, Premio Mario Luzi, Premio Violani Landi, Premio Unione Lettori), Sognando Li Po (Marietti, 2008, Premio Lerici Pea, Premio Volterra Ultima Frontiera, Premio Borgo di Alberona, Premio Alpi Apuane), Il fico sulla fortezza (Fazi,  2012, Premio Arenzano, Premio Camaiore, Premio Brancati, finalista vincitore Premio Dessì, Premio Elena Violani Landi), Cieli celesti (Fazi, 2016, Premio Tirinnanzi).
Nel 2010 è uscita un’antologia di poesie curata da Marco Lodoli e comprendente testi scritti dal 1984 al 2010  (Poesie, Fazi, Premio Prata La Poesia in Italia, Premio Laurentum). Ha pubblicato di teatro: Il Rapimento di Proserpina (Prato Pagano, nn. 4-5, Il Melograno, 1987) e Ninfale (Lepisma, 2013). Tra i volumi curati: Orazio, Arte poetica, con interventi di autori contemporanei (Fazi, 1995); Le più belle poesie di Trilussa (Mondadori, 2000).  E’ stato tra i fondatori della rivista letteraria Braci (1980-84) e, nel 2013, di  Viva, una rivista in carne e ossa. Suoi testi sono stati letti in pubblico da attori come Nanni Moretti e Piera Degli Esposti, e tradotti in varie lingue. Ha pubblicato i saggi La difficile facilità.
Appunti per un laboratorio di poesia, Lantana Editore, 2016, L’era nuova. Pascoli e i poeti di oggi, Liber Aria Edizioni, 2017 (con Andrea Gareffi) e recentemente, con Arnaldo Colasanti, La vita comune. Poesie e commenti, Melville Edizioni, 2018.
Davide Rondoni è nato a Forlì nel 1964. Tra i suoi libri di poesia: La frontiera delle ginestre (1985), O les invalides (1988), A rialzare i capi pioventi (1991), Nel tempo delle cose cieche (1995), Il bar del tempo(1999), Avrebbe amato chiunque (2003), Compianto, vita (2004), oltre a numerose altre opere in versi per la scena o dedicate ad opere d’arte, come Il veleno, l’arte (2005), Vorticosa, dipinta (2006) e Dalle linee della mano (2007). Ha tradotto I fiori del male di Baudelaire (1995) e Una stagione all’inferno di Rimbaud (1997). Per la saggistica letteraria e di intervento: Non una vita soltanto (2001), La parola accesa (2006), Il fuoco della poesia (2008). Ha curato diverse antologie ed è autore di testi teatrali e di programmi televisivi.
Editorialista di alcuni quotidiani, opinionista di Avvenire, è stato critico letterario nel supplemento domenicale de Il Sole 24 Ore. Saltuariamente pubblica sul Corriere della Sera. Dirige le collane di poesia di Marietti e Il Saggiatore, la rivista «clanDestino» e il Centro di poesia contemporanea dell’Università di Bologna.
Moira Egan è nata a Baltimora (USA). Suoi lavori sono apparsi in molte riviste statunitensi e internazionali, e in diverse antologie, tra cui Best American Poetry 2008, e in traduzione su Nuovi Argomenti, Poesia, e Lo Straniero. I suoi libri sono HotFlash Sonnets (Passager Books, 2013); Spin (Entasis, 2010); Bar Napkin Sonnets (The Ledge, 2009); La Seta della cravatta/TheSilk of the Tie (Edizioni l’Obliquo, 2009); e Cleave (WWPH,  2004).Con Italic peQuod ha pubblicato Strange Botany / Botanica arcana (2014) e Olfactorium (2018). Con Damiano Abeni ha pubblicato numerosi libri di traduzioni in Italia (tra gli autori ricordiamo John Ashbery, Aimee Bender, Lawrence Ferlinghetti, John Barth, Anthony Hecht, Mark Strand). Sue traduzioni da poeti italiani, realizzate a quattro mani con Abeni, sono pubblicate su numerose riviste negli USA e alcune sono raccolte nello FSG Book of 20th Century Italian Poetry (2012) e nel volume di Patrizia Cavalli My Poems Will Not Change the World (FSG, 2013).
Moira Egan ha ricevuto fellowship da prestigiose istituzioni quali la Mid Atlantic Arts Foundation; il Virginia Center for the Creative Arts; il St. James Cavalier Centre for Creativity a Malta; il Civitella Ranieri Center; la Rockefeller Foundation, Bellagio Center; la James Merrill House.
Damiano Abeni è nato a Brescia nel 1956. Ha pubblicato un centinaio di libri tradotti dall’inglese, la maggior parte dei quali dedicati a poeti nord-americani quali Mark Strand, John Ashbery, Charles Simic, Elizabeth Bishop e, tra i più recenti, a Charles Wright, Ben Lerner, Moira Egan, Frank Bidart e Anthony Hecht. Collabora con diverse case editrici e riviste letterarie. È tra i redattori di “Nuovi Argomenti” e della rivista online “Le Parole e Le Cose”. Ha ricevuto una fellowship del Liguria Study Center for the Arts nd Humanities (Bogliasco Foundation, 2008) e una delle Rockfeller Foundation Fellowship (Bellagio, 2010).
Nel 2009 è stato Director’s Guest presso il Civitella Ranieri Center. È cittadino onorario per meriti culturali di Tucson, Arizona, e di Baltimore, Maryland. Recentemente, parte di sé ha pubblicato “from the dairy of jonas & job, inc., pigfarmers” [ikonaLiber, Roma, 2017], tradotto a fronte in italiano da un’altra parte di sé.
Rossella Frollà è nata nelle Marche a San Benedetto del Tronto, dove vive. Si è laureata presso l’Università Carlo Bo di Urbino. Animata da grande curiosità intellettuale vive molteplici esperienze lavorative giovanili nel settore della ricerca sociale e della comunicazione prima di approdare alla critica letteraria e alla poesia. Nel 2012 pubblica con Interlinea Il Segno della parola, Poeti italiani contemporanei e si afferma come nome nuovo nel panorama della critica letteraria.
Sempre nello stesso anno riceve il premio Alpi Apuane per la poesia inedita. Nel 2015 pubblica con Interlinea  la sua prima opera poetica Violaine  e nel 2017 Eleanor. Non fummo mai innocenti. Dalla Bosnia alla Siria. Oggi fa della poesia la sua nuova frontiera di impegno umano e culturale. Scrive per Pelagos e altre riviste letterarie on-line.
Nicola Bultrini è nato nel 1965 a Civitanova Marche, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato le raccolte di versi La specie dominante (Aragno 2014), La coda dell’occhio (Marietti 2011),  I fatti salienti (Nordpress 2017), Occidente della sera (nell’VIII Quaderno Italiano di Poesia Contemporanea – Marcos y Marcos 2004). Scrive per il quotidiano Il Tempo e collabora con altre testate (tra cui la rivista Poesia).
È presente nell’antologia Sulla scia dei piovaschi poeti italiani tra due millenni (Archinto 2015). Come studioso della Prima Guerra Mondiale ha pubblicato vari saggi, tra cui La grande guerra nel cinema (Nordpress 2008), Pianto di pietra – la grande guerra di Giuseppe Ungaretti (Nordpress 2007), Gli ultimi – i sopravvissuti ancora in vita raccontano la grande guerra (Nordpress 2005). Da anni è ideatore e animatore di eventi culturali.
Marina Benedetto è nata a Roma, si è diplomata a Parigi presso la scuola d’arte drammatica Théâtre Ecole du Passage e ha conseguito la License in Etudes Théâtrales presso l’Università Sorbonne Nouvelle – Paris III. Come attrice ha recitato a teatro in Francia e in Italia con numerosi registi tra i quali Gil Galliot, Eloi Recoing, Grégoire Ingold, Jean-Claude Fall, Lisa Wurmser, Alessandro Marinuzzi; al cinema ha interpretato piccoli ruoli con Francesca Comencini,Giancarlo Bocchi, Mario Martone, Paolo Franchi; in televisione con Betta Lodoli, Claudio Casale. Lavora come acting coach e dialogue coach al cinema, occupandosi di attori italiani e stranieri tra i quali Valerio Mastandrea, Elio Germano, Juliette Binoche, Fanny Ardant, Barbora Bobulova, Anne Parillaud, Ksenja Rappoport, Emmanuelle Devos.
Insegnante di dizione e recitazione, ha tenuto numerosi laboratori di formazione dell’attore. Ha doppiato e/o diretto il doppiaggio d’innumerevoli programmi televisivi per Canal Plus, di cui ha preparato l’adattamento dal  francese all’italiano. Ha curato il sottotitolaggio di documentari, film, e di pièces teatrali per la regia di Peter Brook e Irina Brook. Appassionata di poesia ha tradotto dal francese e dallo spagnolo vari autori (tra questi Claribel Alegría e Aurélia Lassaque) e ha recitato in numerose letture pubbliche.
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tmnotizie · 6 years ago
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ANCONA – Agenda Estate, gli eventi dal 30 agosto al 2 settembre  2018
Giovedì 30 agosto
FESTIVAL ADRIATICO MEDITERRANEO, seconda giornata
h 6.00 Passetto- Concerto all’Alba Luciano Pompilio – Corde mediterranee
h 17.00 La Feltrinelli Ancona Presentazione di Il passo dell’acero rosso. Alberi, pecore e macerie di Matthias Canapini
Incontro h 18.15 Foyer Auditorium Mole Vanvitelliana Diritti e Rovesci, a cura del Garante dei diritti – Ombudsman delle Marche Incontro sul “Diritto al lavoro e alla dignità”  con Aboubakar Soumahoro e Stefania Prandi, autrice di “Oro Rosso”
Proiezione alle 19,15 del documentario  “L’oro blu” alla Mole, alla presenza del regista Flavio Oliva e dei ricercatori CNR-Ismar
Incontro h 19.30 FARgO – Faro del Cardeto Quartetto Se.Go.Vi.O
Concerto h 21.15 Mole Vanvitelliana  di Bombino (Gomour Almoctar) – Ingresso €12
22.30  Presentazione di La chiave di cioccolata di Enrichetta Vilella al Wine Not Hotel Palace
h 23.00 Porto Antico – Frontiere Mr Jod Concerto
44° Festival del dialetto di Varano,   alle ore 21:30  la compagnia degli Intronati di Tolentino presenta “Lu sequestru” di G.Teobaldelli, regia di G.Gesueli
A TCI PORTO Festival- Molo Rizzo, Porto Antico, ore 21, “Sulla luna, ti ci porto”, laboratorio per bambini;    ore 21,30  Incontro:   “Talk, il mondo che i ragazzi salveranno”
Venerdì’ 31 agosto
FESTIVAL ADRIATICO MEDITERRANEO, terza giornata
h 6.00 Passetto – Concerto all’Alba Giuseppe De Trizio – Flumine
h 17.00 La Feltrinelli Ancona Presentazione di Chi Brucia. Nel Mediterraneo sulle tracce degli harraga di Marco Benedettelli
Incontro h 18.15 Foyer Auditorium Mole Vanvitelliana Diritti e Rovesci, a cura del Garante dei diritti – Ombudsman delle Marche incontro “Diritto di scrivere e liberà di parlare”: Turchia 2018”   con Hakan Gunday che dialoga con Marco Ansaldo
Incontro h 19,15 alla Mole “Media e crisi dimenticate” con Loris de Filippi (Medici senza Frontiere) e i giornalisti Pierfrancesco Curzi e Barabara  Curzi e Schiavulli a cura di MSF
h 19.30 FARgO – Faro del Cardeto  Concerto di Gabriele Giuliano
Concerto h 21.15 Mole Vanvitelliana A.T.A – Acoustic Tarab Alchemy Concerto – Ingresso €8
h 22.30 Presentazione di Sulla Schiena del Drago di Enrico Mariani e Francesco Mazzanti alla Vineria Il Bugigattolo
h 23.00 Lazzabaretto – Frontiere dj Apeless Mindfields – electronic sounds colors and territories Concerto
Con replica il 1° e il 2 settembre, alle ore 18 e 18,30 DEPOSITI APERTI , visite straordinarie ai depositi della Pinacoteca civica F. Podesti . Quota di adesione: 5 euro.
Prenotazione obbligatoria al n. 071.222.5047 o scrivendo a [email protected]
Il Museo Tattile Statale Omero propone una singolare performance itinerante lungo le sale: saranno le statue a raccontare i loro ricordi, sogni ed emozioni tra vanità e ironia.
“SE LE STATUE POTESSERO PARLARE…” è il titolo di questa speciale serata in cui i visitatori potranno ascoltare quanto può essere civettuola la Venere di Milo, vanitosa la cupola di Santa Maria del Fiore, scocciato il David di Michelangelo, in crisi d’identità l’imperatore Augusto e molto altro.  A dar voce alle statue saranno gli attori dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti – sezione Ancona: Daniela Bottegoni, Luciano Carnevali, Daniele Casarola, Maurizio Mazzieri, Samuele Mazzieri, Barbara Roefaro, Stefania Terré, Lucrezia Violante; con la partecipazione di Francesca Santi, operatrice del Museo Omero.
Lo spettacolo avrà una durata di circa 20 minuti; al termine la Cantina Castrum Morisci di Moresco offrirà una degustazione dei propri vini.
L’evento è organizzato dalle volontarie del Servizio Civile Nazionale.
Ingresso libero con prenotazione obbligatoria al numero 071.2811935 o all’indirizzo [email protected]; massimo 30 persone per ciascuno dei tre turni previsti (ore 21, 21.30, 22); età minima 8 anni. Il Museo sarà aperto solo per gli spettatori della performance.
Alla chiesa di Portonovo ore 21, 30 a cura di ITALIA NOSTRA e Gruppo Speleologico Ancona,     “SERATA PER GIGLIOLA”  E  PERFORMANCE “DENTRO LA MERAVIGLIA”  DEDICATA ALLA SCOPERTA DELLA GROTTA GRANDE DEL VENTO-
44° Festival del dialetto di Varano – alle ore 21:30 la Compagnia del Gallo di Pesaro presenta “Quasta do’ la mett?”   testo e regia di Paolo Cioppi
A TCI PORTO Festival- Molo Rizzo, Porto Antico, ore 21, 30   Concerto della band Tetes de Bois
Sabato 1 settembre  
Dalle ore 19, piazza del crocifisso, Archi:  I PATTI NON HANNO COLORE …….E VANNO RISPETTATI,  manifestazione di sensibilizzazione cittadina sul congelamento di fondi stanziati e già concessi dallo Stato con il Piano Periferie, a 96 città italiane, tra le quali la Città di Ancona.   Verranno proiettati su un maxi schermo le slide ed i video relativi ai progetti di riqualificazione finanziati dal bando periferie, sono previsti interventi da parte degli amministratori locali e di alcuni cittadini dei quartieri interessati.  Nella zona pedonale  sotto gli Archi giovani musicisti suoneranno brani in acustica mentre bar e ristoratori del quartiere serviranno aperitivi e cena all’aperto.
FESTIVAL ADRIATICO MEDITERRANEO- QUARTA GIORNATA
h 6 .00 Passetto-Concerto all’Alba Sandor Szabò – Tra Oriente e Occidente
h 17.00 La Feltrinelli Ancona Presentazione di Il Silenzio del Mare di Asmae Dachan
Incontro h 18.15 Foyer Auditorium della Mole Vanvitelliana Diritti e Rovesci, a cura del Garante dei diritti – Ombudsman delle Marche Alessandro Barbano presenta Troppi Diritti
Incontro ore 19  alla Mole- Tra Europa e Libia: Il Mediterraneo, frontiera di diritti negati” a cura di AMNESTY INTERNATIONAL con Matteo De Bellis e Paolo Pignocchi
Incontro h 19.30 FARgO – Faro del Cardeto Hyper+
Concerto h 21.15 Mole Vanvitelliana Mezsecsinka Concerto – Ingresso €8
h 22.30 Presentazione di La musica vuota di Corrado Dottori
h 23,30 al Porto Antico- Frontiere- Sangennarobar dj set
44° Festival del dialetto di Varano 
h 18- Gruppo folk Canti popolari: La Pasquella di Varano”
h 19,45 Serata finale e premiazione di VARANO CANTA
A seguire la compagnia  Amici del Teatro di Loro Piceno presenta “Toccata e fuga” di D.Benfield, regia di E.Forti
Domenica 2 settembre 
FESTA  DEL  MARE  (presentazione domani alla stampa, ore 12)
44° Festival del dialetto di Varano–   h 18 La musica popolare delle Marche al sud Itali con le bambine della Compagnia del Solstizio mediterraneo (Luna Dance)
h 19,45: Premiazione compognie teatrali
Commemorazione del varanese Dino Socionovo, recentemente scomparso
A seguire la compagnia teatrale Il Focolare di Loreto (fuori concorso) presenta “Da giovedì a giovedì” di A. De Benedetti, regia di R.Papa
Mostre
Prosegue fino al 3 settembre alla Mole, sala Boxe, con il patrocinio del Comune di Ancona econ il sostegno degli Ospedali Riuniti, promosso dalla Fondazione Ospedale Salesi Onlus  l’iniziativa “Kostabi sostiene il Salesi”: si tratta della mostra personale del pittore Mark Kostabi ,  ingresso libero.
Prosegue fino al 16 settembre al Museo Tattile statale Omero FORME SENSIBILI, apertura ore 18. Paolo Annibali, Egidio Del Bianco, Giuliano Giuliani, Rocco Natale, Valerio Valeri, a cura di Nunzio Giustozzi. Cinque artisti marchigiani a significare, nell’originalità delle loro poetiche, gli orientamenti della scultura contemporanea.  Quasi quaranta le opere – tra sculture, disegni e bozzetti frutto delle ricerche più recenti – fatte di diversi materiali cui si riconosce una sorta di “vocazione formale”, un’anima sensibile.  L’argilla dipinta, il legno, il travertino, i metalli, lavorati o assemblati, ma anche carte, stoffe, spaghi di un’inedita qualità tattile, offrono, tra figurazione e astrazione, sviluppi espressivi inattesi e forma e materia si modulano vicendevolmente, raggiungendo una mirabile sintesi.
INGRESSO LIBERO- VISITE GUIDATE tutti i sabati e le domeniche alle ore 18. Costo: 4 euro a persona; gratuito: disabili e loro accompagnatori, bambini 0-4 anni.
Prenotazione consigliata:  [email protected] – tel. 0712811935.
LABORATORI CREATIVI PER FAMIGLIE
24 e 31 agosto ore 18-20;  7 settembre ore 17-19
Costo: 4 euro a partecipante; gratuito: disabili e loro accompagnatori, bambini 0-4 anni. Prenotazione obbligatoria:[email protected] – INFO  0712811935.
Fino al 24 ottobre è possibile visitare presso la Biblioteca Benincasa una nuova mostra libraria e documentaria. Si tratta della mostra “Tra editoria e letteratura: A. Gustavo Morelli editore e tipografo ad Ancona tra Otto e Novecento”, incentrata su una figura notevole nel panorama culturale cittadino tra Otto e Novecento: il tipografo editore A. Gustavo Morelli (1852-1909). La mostra è visitabile presso lo Spazio d’Ingresso della Benincasa, in Via Bernabei 30, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 19.
Durante il periodo estivo (luglio e agosto), sarà visitabile il mattino, dalle 9 alle 13.30 e di pomeriggio anche il martedì e il giovedì dalle 14.30 alle 17.La mostra espone anche tra l’altro una lettera del pittore Francesco Podesti, di cui Morelli pubblicò due opere. Della mostra è disponibile un catalogo presso la Sala di lettura e a richiesta si effettuano visite guidate.
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tmnotizie · 6 years ago
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ANCONA – Questo il cartellone degli eventi in programma ad Ancona da domani a lunedì 27 agosto
VENERDI’ 24 AGOSTO
La chiesa di Santa Maria di  Portonovo ospita un incontro dedicato a  “Ancona sotterranea- l’acqua dal Conero alla fonte del Calamo”, vale a dire dagli antichi acquedotti di Massignano all’acquedotto di santa Margherita ad Ancona.  Alberto Recanatini, storico esperto di apogei artificiali riferirà sulle ricerche spelelogiche che nell’area del Conero hanno evidenziato un antico acquedotto che dal leggendario buco del diavolo riforniva di acqua dolce gli antichi approdi di Ancona e Numana.   Inizio ore 21,30
Per Lazzabaretto Cinema 2018- alla Mole Vanvitelliana-  alle ore 21,30 GRAN RISERVA – SECRET SCREEN  Serata conclusiva con proiezione a sorpresa di uno dei “migliori film di sempre” Ingresso gratuito.
Lazzabaretto Banchina da Chio – Mole Vanvitelliana, Giorgio Montanini – Anteprima tour 2019- Stand Up Comedy Ancona  dalle 21:30 l’Onstage di Castelfidardo in collaborazione con L’Arci Ancona organizza al Lazzabaretto (presso il Canalone) il nuovissimo spettacolo di Giorgio Montanini.  Seguirà Dannato rock d’annata
44° Festival del dialetto di Varano 24 agosto alle ore 21:30 “A chi la vo’ se la pija” di Gigi Santi per la regia di Gigi Santi e Scilla Sticchi con la compagnia “Il teatro dei Picari” di Macerata;  alle ore 17:00 premiazione dei narratori dialettali marchigiani e presentazione dell’antologia dialettale “La grande Luna”,  nell’occasione verrà ricordato Dino Socionovo varanese doc.
Per Ti.Ci.Porto Festival, al Porto Antico, Molo Rizzo, a partire dalle 21.30, Venerdì 24 agosto concerto di  NADA ,  che fa il bis  dopo il concerto di stasera al porto.
Per la rassegna Tropicittà al Cinema Teatro Italia alle 21.30 si proietta   AMMORE E MALAVITA    regia: Manetti Bros.
SABATO 25 AGOSTO
“Ancona al tramonto – IL PORTO ANTICO” Sabato 25 agosto, ore 19:30 appuntamento davanti all’ARCO DI TRAIANO ultimo appuntamento con “Ancona al tramonto“. La visita guidata vi condurrà alla scoperta del porto antico: una passeggiata alle ultime luci del sole per ammirare e fotografare suggestivi luoghi e monumenti di Ancona, come l’arco di Traiano, le mura e le portelle medievali, l’arco Clementino progettato dal celebre architetto Luigi Vanvitelli. Ripercorrendo le origini della città, il percorso si concluderà al Museo della Città, dove sarà possibile degustare vino locale in collaborazione con i sommelier della F.I.S.A.R. Castelli di Jesi. Ritrovo: alle ore 19:30, davanti all’arco di Traiano (all’interno del porto). Quota di adesione € 8,00 a persona (da pagare in loco). Prenotazione obbligatoria telefonando al numero 0712225047 (negli orari di apertura) o scrivendo a [email protected]
Museo della Città – Piazza del Plebiscito 0712225037 ingresso: € 2,00
Pinacoteca “F.Podesti” e Galleria d’Arte Moderna Vicolo Foschi, 4 0712225047 ingresso: € 6,00 intero – ingresso € 3,00 ridotto maggiori 65/minori 2
44° Festival del dialetto di Varano Sabato 25 agosto  “Li parendi de Roma” di Gabriele Mancini per la regia dello stesso Mancini compagnia “La Nuova” di Belmonte Piceno di Fermo.
Per Ti.Ci.Porto Festival, al Porto Antico, Molo Rizzo, a partire dalle 21.30, Sabato 25 agosto  Alessandro Pellegrini  Concerto
Per la rassegna Tropicittà al Cinema Teatro Italia alle 21.30 si proietta     WONDER    regia: Stephen Chbosky
DOMENICA 26 AGOSTO
Prosegue con il patrocinio del Comune di Ancona, con il sostegno degli Ospedali Riuniti, promosso dalla Fondazione Ospedale Salesi Onlus  l’iniziativa “Kostabi sostiene il Salesi” si tratta della mostra personale del pittore Mark Kostabi  fino al 3 settembre  alla Mole Vanvitelliana – Sala Boxe –  apertura della Mostra con la presenza di Mark Kostabi;  ingresso libero.
44° Festival del dialetto di Varano Domenica 26 agosto, alle ore 10:00, primo raduno città di Varano organizzato da Vespa Club di Ancona, terza prova  del campionato regionale di regolarità crono Conero Memorial Gianni Paccapeli “Nebbia”;  alle 18:30 apericena con i produttori di vini locali e alle 20:00 “Varano canta”;  alle 21:30 va in scena “Chi non fa non falla” di Emanuela Corsetti regia di Fabio Ragni con la compagnia Sipario di Jesi.
Parco Belvedere– Posatora- ore 21, 30   Concerto jazz
Prosegue la festa del Covo di Candia, in programma fino al 26 agosto nella omonima frazione anconetana.
Per Ti.Ci.Porto Festival, al Porto Antico, a partire dalle 21.30 Domenica 26 agosto
Comunicare l’indicibile. Ascolto, narrazione e prevenzione nella salute mentale
Conferenza di Giuliana Capannelli e Federico Paino (centro Heta). In collaborazione con l’Università Politecnica delle Marche
Per la rassegna Tropicittà al Cinema Teatro italia alle 21.30 LAZZARO FELICE    regia: Alice Rohrwacher
LUNEDI 27 AGOSTO
“Kostabi sostiene il Salesi” : Il 27 agosto Tony Esposito e Mark Kostabi in concerto: Mark Kostabi si esibirà durante la Jam Session anche in un live painting da donare alla Fondazione Salesi; l’appuntamento è previsto per le ore 21:30 alla Mole Vanvitelliana con ingresso libero.
44° Festival del dialetto di Varano Lunedì 27 agosto  “Come ci capiamo se manco ci parlimo?” di Paolo Torrisi regia di gruppo della Compagnia Leonina Giovani Pian di Pieca San Ginesio Macerata;
Per la rassegna Tropicittà al Cinema Teatro italia alle 21.30 COME UN GATTO IN TANGENZIALE    regia: Riccardo Milani
Per Ti.Ci.Porto Festival, al Porto Antico, a partire dalle 21.30  Lunedì 27 agosto  Radio Filippì   Dj set di Enrico Filippini
MOSTRE
Prosegue al Museo Tattile statale Omero FORME SENSIBILI ore 18. Paolo Annibali, Egidio Del Bianco, Giuliano Giuliani, Rocco Natale, Valerio Valeri7 luglio – 16 settembre 2018 ANCONA, Museo Tattile Statale Omero. A cura di Nunzio Giustozzi.
Cinque artisti marchigiani a significare, nell’originalità delle loro poetiche, gli orientamenti della scultura contemporanea.
Quasi quaranta le opere – tra sculture, disegni e bozzetti frutto delle ricerche più recenti – fatte di diversi materiali cui si riconosce una sorta di “vocazione formale”, un’anima sensibile. L’argilla dipinta, il legno, il travertino, i metalli, lavorati o assemblati, ma anche carte, stoffe, spaghi di un’inedita qualità tattile, offrono, tra figurazione e astrazione, sviluppi espressivi inattesi e forma e materia si modulano vicendevolmente, raggiungendo una mirabile sintesi.
INGRESSO LIBERO
ORARIO agosto: dal mercoledì al sabato 17-20;   domenica e festivi 10-13 e 17-20
i giovedì dal 12 luglio al 16 agosto durante la rassegna Sensi d’estate anche 21-24
settembre: dal mercoledì al sabato 16-19
domenica 10-13 e 16-19
ultimo ingresso 30 minuti prima della chiusura.
VISITE GUIDATE
Tutti i sabati e le domeniche alle ore 18. Costo: 4 euro a persona; gratuito: disabili e loro accompagnatori, bambini 0-4 anni.
Prenotazione consigliata:  [email protected] – tel. 0712811935.
LABORATORI CREATIVI PER FAMIGLIE
24 e 31 agosto ore 18-20;  7 settembre ore 17-19
Costo: 4 euro a partecipante; gratuito: disabili e loro accompagnatori, bambini 0-4 anni. Prenotazione obbligatoria:[email protected] – tel.0712811935.
Museo Tattile Statale Omero Ancona Mole Vanvitelliana – tel. 0712811935 luglio e agosto: dal mercoledì al sabato 17-20, domenica e festivi 10-13 e 17-20
Fino al 24 ottobre è possibile visitare presso la Biblioteca Benincasa una nuova mostra libraria e documentaria.
Si tratta della mostra “Tra editoria e letteratura: A. Gustavo Morelli editore e tipografo ad Ancona tra Otto e Novecento”, incentrata su una figura notevole nel panorama culturale cittadino tra Otto e Novecento: il tipografo editore A. Gustavo Morelli (1852-1909). La mostra è visitabile presso lo Spazio d’Ingresso della Benincasa, in Via Bernabei 30, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 19.
Durante il periodo estivo (luglio e agosto), sarà visitabile il mattino, dalle 9 alle 13.30 e di pomeriggio anche il martedì e il giovedì dalle 14.30 alle 17.La mostra espone anche tra l’altro una lettera del pittore Francesco Podesti, di cui Morelli pubblicò due opere. Della mostra è disponibile un catalogo presso la Sala di lettura e a richiesta si effettuano visite guidate.
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