#olio e biodiversità
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pier-carlo-universe · 1 month ago
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Sergio Mattarella si congratula con Anita Casamento
La socia Cia a Roma per l’eccellenza del suo olio eco “Unico” – primo olio in Piemonte premiato con il massimo dei voti, ha incontrato il Presidente della Repubblica Ha ricevuto le congratulazioni dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella : Anita Aquilino Casamento , socia Cia e titolare dell’Azienda Agricola Oliviera ad Olivola, ha partecipato alla cerimonia di attestazione del…
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olitaly · 3 months ago
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pettirosso1959 · 8 months ago
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Ma la regione Puglia non è quella cosa che è in mano al csx da vent'anni a questa parte?
Sì, con (S)Vendola dal 2005 eletto con quell'obrobrio politico che si chiamava PRC-Ecologia e Libertà, quella latrina che sancì l'inizio della fine di RC.
È dal 2005 che i compagni iniziarono già a fregarsi le mani e aprire il portafoglio prevedendo la pioggia di milioni di € che poi gli cascò sulla testa.
Povera Puglia, che fine che hai fatto, ma un po' te lo meriti anche, eh? Ti hanno devastato il territorio e permetti ancora di farti governare da affaristi della politica? Complimenti! Penso che da questa deprecabile situazione sarà difficile che la Puglia potrà uscirne indenne, basta vedere con le immagini satellitari le distese di FV che ha distrutto ampi pezzi di territorio.
Però una domanda la voglio fare perché mi torna difficile darmi una risposta:
Ma gli agricoltori che hanno permesso tutto questo? Perché lo hanno fatto? Non credo che siano tutti sinistrati, ma allora anche loro si sono fatti ammaliare dal soldo? Il sospetto è che un ettaro di oliveto renda, tramite incentivi, molto meno di un ettaro a FV o eolico. Allora è anche la politica agricola tutta prostrata all'Europa il problema?
Copio e incollo (d'accordo anche sulle virgole) dal mio amico Fernando Arnò:
Da giorni alcune persone, purtroppo anche una solamente è di troppo, osservano senza battere ciglio alla distruzione degli ulivi pugliesi che dovranno far posto alle energie alternative, quali eolico e solare FV.
Per i pugliesi onesti è l'ennesima beffa, dopo la distruzione già avvenuta di frutteti e vigneti, oltre alla perdita di gran parte degli alberi di ulivo migliori, perché certa magistratura ha preferito dare ascolto a falsa scienza, facendo sì che la xylella prendesse piede irrimediabilmente.
Queste persone che quasi inneggiano all'abbattimento, eradicazione perenne degli ulivi, probabilmente sono le meno adatte a parlarci di ambientalismo, di rispetto della natura e di biodiversità.
Queste persone sono tra i primi complici del disfacimento della natura e di quello economico del sistema-Italia, che ha già bruciato 400 miliardi di euro in nome del clima e delle energie alternative.
Uno scempio alla natura, uno scempio all'economia, uno scempio tecnologico, un insieme di insulti alla logica e buonsenso, che distruggono irrimediabilmente il tessuto produttivo; agricolo e industriale.
Agricolo, perché si perderanno per sempre i migliori frutti della terra che rendono l'Italia unica al mondo per le sue produzioni: olio di oliva, vino pregiato, frutta della migliore qualità.
Dall'altra, si provoca la desertificazione industriale, perché si rende l'energia un bene sempre più meno accessibile, con costi proibitivi ed una stabilità della rete sempre più precaria.
Complimenti alla vostra imbecillità, evidentemente siete i soliti bravi e buoni sul divano con i soldi della collettività.
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bones39 · 2 years ago
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Se vuoi boicottare le baleniere e contribuire alla protezione dei mari, ci sono alcune azioni che puoi intraprendere:
1. Informarti: Familiarizzati con la situazione delle baleniere e la caccia alle balene nei diversi paesi. Scopri quali sono le regioni che praticano ancora la caccia alle balene e quali sono le organizzazioni che lavorano per fermare queste pratiche.
2. Scegli prodotti sostenibili: Evita di acquistare prodotti derivati dalle baleniere, come prodotti a base di olio di balena o souvenir realizzati con parti di balene. Opta per alternative sostenibili come prodotti a base di piante o materiali riciclati.
3. Supporta organizzazioni: Contribuisci finanziariamente o come volontario a organizzazioni e associazioni che si dedicano alla conservazione marina e alla protezione delle balene. Puoi fare donazioni o partecipare a programmi di volontariato per monitorare e proteggere specie marine vulnerabili.
4. Scelta di prodotti ittici sostenibili: Scegli pesce e prodotti ittici che sono stati pescati in modo sostenibile. Cerca etichette di certificazione come MSC (Marine Stewardship Council) che garantiscono che il pesce sia stato pescato in modo responsabile e non danneggi gli ecosistemi marini.
5. Divulgazione e sensibilizzazione: Parla agli amici, alla famiglia e alla tua comunità dell'importanza di proteggere le balene e gli oceani. Condividi informazioni e notizie sulle problematiche riguardanti la caccia alle balene e spiega perché è importante preservare la biodiversità marina.
6. Partecipare alle petizioni: Sostenere petizioni online o iniziative di sensibilizzazione volte a fermare la caccia alle balene e ad adottare misure di conservazione marine. Puoi firmare petizioni dedicate e diffonderle attraverso i social media per raggiungere un pubblico più ampio.
Ricorda che la protezione dell'ambiente e degli animali marini è una responsabilità condivisa. Ciascuno può fare la propria parte nell'adozione di scelte sostenibili e nel sostenere organizzazioni che lavorano per la conservazione marina.
Ecco alcuni esempi di associazioni di volontariato e organizzazioni che si occupano della pesca intensiva e lavorano per promuovere pratiche di pesca sostenibile:
1. Oceana: È la più grande organizzazione internazionale focalizzata esclusivamente sulla conservazione degli oceani. Oceana lavora per combattere la pesca illegale, la sovrappesca e la distruzione degli habitat marini.
2. Greenpeace: Un'organizzazione internazionale ben nota per i suoi sforzi nella protezione dell'ambiente, inclusi gli oceani. Greenpeace lavora per ottenere una pesca sostenibile e promuove la creazione di riserve marine.
3. Marine Stewardship Council (MSC): Il MSC è un'organizzazione internazionale indipendente che collabora con pescatori, scienziati e aziende per stabilire standard di pesca sostenibile. Assegna il proprio marchio di certificazione a prodotti ittici e pescherecci che soddisfano i criteri stabiliti.
4. Sea Shepherd Conservation Society: Un'organizzazione no-profit internazionale che utilizza tattiche dirette per proteggere la vita marina. Sea Shepherd opera attraverso campagne oceaniche per prevenire la caccia alle balene, la pesca illegale e altre minacce agli ecosistemi marini.
5. Shark Trust: Si concentra sulla protezione degli squali e delle razze, lavorando per fermare la pesca intenzionale delle specie più vulnerabili. L'organizzazione promuove anche la conservazione degli habitat e la sensibilizzazione del pubblico.
6. Blue Ventures: Un'organizzazione internazionale che si impegna per la protezione degli ecosistemi marini e per migliorare la sostenibilità dei mezzi di sussistenza delle comunità costiere. Blue Ventures lavora in collaborazione con le comunità locali per promuovere la gestione delle risorse marine in modo sostenibile.
Questi sono solo esempi di organizzazioni che lavorano per promuovere pratiche di pesca sostenibile e proteggere gli ecosistemi marini. Ce ne sono molti altri in tutto il mondo che possono essere coinvolti e sostenuti nella loro importante missione.
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personal-reporter · 2 years ago
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Festival dei Sapori 2023 a Brescia
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Nel weekend del 2 e 3 luglio 2023 al Castello di Brescia torna il Festival dei Sapori,  l’annuale appuntamento organizzato dall’Assessorato al Turismo del Comune di Brescia, che fa incontrare cittadini e turisti coi migliori ristoratori e produttori del territorio bresciano e non solo. L’evento sarà nel contesto del palinsesto di We Love Castello e quest’anno, dato che è collegato a Bergamo-Brescia Capitale Italiana della Cultura, durerà due giorni con un mercato, degustazioni e laboratori il primo giorno. La prima giornata, nell’area della Locomotiva, avrà  la collaborazione del mercato dei produttori bresciani di East Lombardy, delle biblioteche del Sistema del Bibliotecario Urbano e di Slow Food TerreAcque Bresciane con due laboratori per i bambini. Dalle 10.30 ci sarà il Mercato dei produttori bresciani di East Lombardy, dove sarà possibile acquistare e degustare direttamente dai produttori il meglio delle tipicità del nostro territorio tra salumi, formaggi, confetture, farine, olio, vino, birra e molto altro. Alle 10.45 il Bibliobus arriva in Castello con una serie di letture gustose per bambini dai 3 ai 6 anni ed esposizione di libri a tema a cura del Sistema Bibliotecario Urbano. Verso le 11.30 ci sarà Alla scoperta del territorio con i sensi… allenati alla biodiversità, un laboratorio a cura di Slow Food TerreAcque Bresciane sul tema dei cinque sensi in relazione ai prodotti della terra rivolto a bambini ed adulti Inoltre ai bambini presenti sarà offerto uno spuntino a cura dei panificatori di Richemont Club Italia. Alle 16 ci sarà La merenda di Slow Food: prepariamo una piadina con grani evolutivi e marmellata, un laboratorio a cura della condotta TerreAcque Bresciane rivolto ai bambini tra i 6 e i 12 anni L’iniziativa è su iscrizione, con un massimo 15 bambini  all’indirizzo: [email protected] Per informazioni  si può scrivere a  [email protected] o telefonare al numero 0302977844. In caso di pioggia la manifestazione è rimandata al weekend successivo, quello del 9 e 10 luglio. Read the full article
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agerolivaitaly · 2 years ago
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Idee regalo dipendenti natale
Ageroliva.com offre di idee regalo natalizie ecosostenibili per dipendenti che sono perfette per mostrare la tua gratitudine al tuo staff e all’ambiente e la biodiversità al tempo stesso. Questi regali a base di adozione di ulivi abbandonati, includono olio d'oliva di alta qualità e compensazioni di CO2 per un valore pari a 61kg per ulivo. Scegliendo questi regali, puoi sostenere gli uliveti abbandonati, recuperarli e dare loro nuova vita e al tempo stesso dare ai tuoi dipendenti un assaggio della cultura e dell'heritage italiano. Le idee regalo natalizie per dipendenti di Ageroliva.com sono un modo pensato e unico per ringraziare il tuo team per il loro duro lavoro e dedizione durante l'anno. Adotta un campo di ulivi in Toscana e partecipa al Pic Nic in campo con i dipendenti.
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lfk74 · 6 years ago
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Olio di lentisco, alla riscoperta de s’ollu ‘e stincu con Agricura In sardo si chiama "s'ollu 'e stincu", in italiano olio di lentisco ( o lentischio).
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corallorosso · 4 years ago
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In 13 anni di deforestazione distrutta un’area grande come la California. In 13 anni è stata cancellata un’area estesa come la California e circa due terzi della deforestazione globale, tra il 2000 e il 2018, è avvenuta in aree tropicali e sub-tropicali. È quanto emerge da uno studio pubblicato dal WWF, ‘Fronti di deforestazione: cause e risposte in un mondo che cambia’, nel quale si analizzano, appunto, i 24 principali fronti di deforestazione concentrati in 29 Paesi tra Asia, America Latina e Africa. In tutto una superficie forestale di 377 milioni di ettari (circa un quinto del totale). Tra il 2004 e il 2017 oltre il 10% di questo patrimonio è andato perduto: si tratta di circa 43 milioni di ettari. Per avere un’idea, l’Italia è grande circa 30 milioni di ettari. E quasi la metà della foresta ancora in piedi (circa il 45%) ha comunque subito frammentazioni. (...) L’agricoltura rimane la prima causa di deforestazione, soprattutto in America Latina e in Asia, dove predominano – spiega lo studio – l’espansione delle coltivazioni arboree e dell’agricoltura legata sia alla domanda mondiale che ai mercati interni. Aumenta anche la pressione dei piccoli coltivatori, specialmente in Africa. L’estrazione del legname – sia in forma legale che illegale – rimane un fattore significativo, anche se in forma ridotta rispetto al passato, e spesso precede la deforestazione per altri scopi. Una causa sempre più ricorrente è la crescente espansione delle reti stradali, che collegano le zone di sfruttamento a quelle adibite all’esportazione e al rifornimento dei mercati interni. “Ma i fronti si espandono anche a causa della pressione delle operazioni minerarie non industriali e dell’aumento degli insediamenti umani all’interno degli ecosistemi naturali”, scrive il WWF. Tra le cause c’è anche l’accaparramento di terreni di proprietà pubblica, guidato dalla speculazione. (...) Secondo lo studio le risposte arrivate da singoli territori, pur contribuendo ad arrestare la deforestazione “non hanno potuto evitare il trasferimento delle pressioni su altri ecosistemi, come savane e prateria”. Le misure che hanno riguardato la produzione di materie prime o intere filiere, invece, “non raggiungono ancora un livello di diffusione capace di modificare la situazione” soprattutto a causa della limitata partecipazione di chi è all’apice di queste filiere. Ma queste risposte, applicate singolarmente, non bastano: le soluzioni più efficaci sono quelle combinate tra loro e che spesso vedono una collaborazione tra pubblico e privato. Il report rileva anche l’importanza del ruolo dei cittadini “che non posso ignorare il rapporto tra i loro comportamenti e la deforestazione”. “Vanno ridotti i consumi di carne e di prodotti contenenti le materie prime incriminate, come soia e olio di palma, sottolinea l’organizzazione, e vanno preferiti quelli che dimostrano in etichetta una provenienza estranea alla deforestazione. Diverse le azioni urgenti da mettere in campo, come la tutela delle popolazioni indigene. Ma non solo, anche la conservazione delle aree ricche di biodiversità e un impegno più concreto da parte di aziende e istituzioni finanziarie per un obiettivo ‘zero deforestation’, sono da applicare. Il WWF chiede che il blocco della deforestazione sia riconosciuto anche come strategia per la lotta al cambiamento climatico, insieme a un nuovo patto (un New Deal for Nature and People) “che avvii la ripresa della natura e definisca il percorso per un vero sviluppo sostenibile, una società equa e un’economia che non produca arricchimento di carbonio nell’atmosfera”. di Luisiana Gaita
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aitan · 4 years ago
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Erigiamo ogni giorno muri e steccati tra noi e il mondo, ma le sostanze stupefacenti scorrono fluidamente dappertutto, senza confini, limiti e ripensamenti.
E, di certo, in queste vacanze cocaina e derivati inonderanno il mercato con il loro carico di danni e tragedie quotidiane, attraversando trasversalmente classi sociali e zone rosse, gialle e arancioni.
Né si tratta solo di quello che è qua sotto i nostri occhi o alle nostre spalle.
Il problema ha una portata vasta e planetaria.
Ogni chilo di coca porta al disboscamento di centinaia di ettari di foresta colombiana; ogni raccolto inquina interi bacini di falde acquifere per l’uso indiscriminato di solventi e pesticidi necessari per la raffinazione. Una tremenda spirale viziosa, visto che poi buona parte del denaro proveniente dai traffici illeciti viene reinvestito in zone via via più ampie di foresta tropicale trasformate in distese di coca che annullano la biodiversità di interi paesi del Centro America.
Ogni partita importata in Italia è bagnata col sangue dei cartelli colombiani, dei corrieri brasiliani e venezuelani, dei criminali nostrani, delle forze dell’ordine e di chi si trovava per caso a passare in mezzo ai fuochi. E quando la polvere arriva a destinazione, comincia la trafila dello spaccio all’ingrosso e al dettaglio col suo ulteriore carico di violenza e delitti (mentre le palline passano dal buco del culo di un brasiliano al buco del culo di un nigeriano prima di finire nel naso di un avvocato milanese igienista e xenofobo).
Ogni grammo toglie ai consumatori (ed alle loro sfortunate famiglie) dai 50 agli 80 euro; ma ci sono anche piazze in cui la cocaina può arrivare a più di 100 euro al grammo, come pure centri di spaccio in cui si vende a ragazzini e adulti con meno disponibilità roba più economica tagliata malissimo con sverminatori, lassativi, olio per motori, anfetamine e altre sostanze di minor valore di mercato.
Ogni striscia rende i consumatori più soli e lontani dal mondo dei propri affetti.
Ogni sniffata aumenta il tasso di aggressività, violenza e delinquenza delle nostre città.
Vi state tirando il pianeta su per il naso!
__________
Quello che avete appena letto, è un adattamento di questo mio testo di tre anni fa.
Perché certe cose, purtroppo, non cambiano o cambiano poco. Troppo poco.
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fondazioneterradotranto · 5 years ago
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Biodiversità nell’oliveto del Salento, agli inizi del XX secolo
di Gianpiero Colomba
In Terra d’Otranto, tra la fine del XVIII° e per tutto il XIX° secolo, come conseguenza dei continui dissodamenti dovuti alla nascita di nuovi impianti con piante che per la prima volta colonizzavano il territorio (olivo, gelso, fichi, tabacco, ecc.), c’era poca disponibilità di nuovi terreni coltivabili. Una chiave per l’equilibrio produttivo fu l’intensificazione del livello di coltivazione nei terreni in genere ma soprattutto negli oliveti, con cereali e legumi spesso in rotazione tra loro. La parcellizzazione del territorio salentino e la coesistenza di colture diverse nello stesso fondo è stata una caratteristica delle comunità tradizionali che ha garantito nel tempo l’autosussistenza delle famiglie.
L’olivo quasi sempre era all’interno di possedimenti nei quali condivideva lo spazio con coltivazioni come i cereali, la vite, gli ortaggi e altre colture arboree come il gelso, il mandorlo o il fico. La distanza tra le piante di olivo permetteva di intercalare colture che consentivano al contadino di avere un reddito diversificato e quindi pressoché costante nel tempo.
Alla fine del XVIII° secolo il medico e agronomo salentino Giovanni Presta, indicava una distanza conveniente tra le piante di olivo di circa 65 «palmi», il che corrispondeva a poco meno di 50 piante per ettaro, la stessa densità indicata un secolo dopo dal cavaliere Gennaro Pacces, il quale si riferiva al dato medio dell’intera provincia di Terra d’Otranto. Intorno agli anni trenta del XX secolo si stima con maggior precisione una densità media di 62 piante per ettaro. Per fare un confronto: in Andalusia, regione leader nel mondo in quanto a produzioni di olio, nello stesso periodo potevano esserci tra le 90 e le 100 piante per ettaro. Per inciso, attualmente nella provincia di Lecce si stimano 112 piante per ettaro e un minimo livello di consociazione.
Per avere un riscontro rispetto alla reale condizione delle colture intercalate nell’oliveto in epoca preindustriale, prendiamo come rappresentativo il classico lavoro del professore Attilio Biasco di inizio XX secolo:
Gli oliveti specializzati, se non mancano del tutto, sono sicuramente molto rari. La consociazione arborea è abitualmente con la vite, la mandorla e il fico. La consociazione è talmente rilevante che l’olivo si considera la coltivazione secondaria.
Esiste dovunque una rotazione in cui spesso figurano le cereali e scarseggiano le leguminose: le prime sono rappresentate dal frumento, dall’avena, dall’orzo; le seconde dal lupino, dalla fava e il trifoglio incarnato.
Ma quali colture erano intervallate nell’oliveto e in quale proporzione? I dati che permettono un’analisi più precisa sono quelli in calce al Catasto Agrario del 1929. Per la prima volta in Italia nel su indicato Catasto, si descrivevano le aree coltivate differenziandole tra superficie cosiddetta «integrante» ovvero specializzata e superficie «ripetuta» ovvero associata ad altre coltivazioni prevalenti. L’oliveto integrante, a sua volta, era definito «esclusivo» laddove non vi era alcuna promiscuità con altre coltivazioni, o «prevalente» laddove la coltivazione associata occupava non oltre il 50% della superficie dell’oliveto.
Secondo la definizione data nel Catasto Agrario quindi, all’interno della categoria integrante potevano ricadere oliveti con all’interno fino al 49% della superficie occupata da altre colture. Per semplificare, poteva esserci un ettaro di oliveto con intercalati 3 mila metri quadri di mandorlo. Quindi, non solo esisteva una quota parte di olivi associati in altre coltivazioni, ma, vi era anche un certo livello di promiscuità colturale all’interno dell’oliveto definito integrante.
L’analisi dei dati permette un’interessante ed inedita valutazione: poco più del 33% dell’oliveto specializzato (50.591 ettari su 149.947 ettari nel 1930) aveva al suo interno coltivazioni in rotazione (principalmente, grano duro, avena, orzo, fave e lupini). Questo significa che esisteva ben un terzo dell’oliveto specializzato al cui interno vi era un certo livello di promiscuità, ed era quello che si definiva come oliveto prevalente. Di queste colture, il 44% erano cereali, il 21% piante da foraggio (trifoglio, veccia, …), il 13% fave, il 7% lupini e il 13% altri legumi. Si avverte che questa è una fotografia sul territorio in un dato momento storico e che, secondo quanto enunciato nel catasto, queste rilevazioni erano dati medi riferiti al sessennio 1923/28. Data inoltre la ciclicità annuale delle coltivazioni, l’analisi che ne può derivare riveste un significato di sola tendenza.
A questo punto se consideriamo la totalità della superficie dell’oliveto, cioè sia la superficie di associato che di specializzato, osserviamo che in percentuale l’oliveto esclusivo «puro» senza alcuna associazione, rappresentava in Provincia una quota poco più alta della metà di tutto l’oliveto ossia il 54%. Per altro verso, era pari al 18% la superficie occupata dagli olivi in associazione ma, se includiamo la categoria prevalente, non indicata nelle statistiche ufficiali ma qui calcolata, vediamo che la percentuale sale al restante 46%. Quindi, in poco meno della metà della superficie totale dell’oliveto (associato + specializzato), esisteva una qualche forma di associazione colturale. Riassumiamo il tutto nella figura sotto.
Tipologia dell’oliveto in Terra d’Otranto nel 1930. (Ettari). Fonte: propria elaborazione.
  Alcune riflessioni. In alcune zone d’Italia e in particolar modo nel Salento, c’era poca disponibilità di territorio supplementare per le nuove colture. Infatti, già nel 1929 la quota di terra forestale (pascoli permanenti e boschi) si era progressivamente ridotta a poco meno del 10% su tutto il territorio della provincia di Lecce. Inoltre, l’alta densità di abitanti obbligava a rendere altamente efficienti tutti i terreni disponibili. Una chiave per l’equilibrio produttivo per tutto il XIX secolo e anche nei primi decenni del XX, fu l’intensificazione del livello di coltivazione nella stessa area con cereali e legumi, a dimostrazione di una più compiuta razionalità ed efficienza contadina, e rappresentando quindi un esempio di land-saving strategy. Le consuete rotazioni tra fave o lupini da un lato e avena, grano duro o orzo dall’altro, consentivano il soddisfacimento dei bisogni familiari in condizioni di sostenibilità per l’oliveto. L’associazione tra colture è uno dei segnali che rafforza l’idea di una strategia agraria basata sull’autoconsumo.
Questa tendenza si sarebbe poi evoluta nel giro di alcuni decenni in direzione della monocoltura e della specializzazione. Nel 1980 l’Istat riportava circa 1 milione di ettari d’olivo in consociazione su tutto il territorio italiano, circa 1,4 milioni di ettari nel 1950 e a circa 1,7 milioni nel 1910. Secondo stime più recenti del progetto europeo di agro-selvicoltura Agforward (2014-17), in Italia circa 200.000 ha di olivo sono attualmente gestiti in consociazione. Il trend quindi è in calo. Assistiamo a una lenta evoluzione in direzione della specializzazione colturale.
Sebbene quindi intorno al 1930, abbiamo calcolato un consistente livello di diversità colturale negli oliveti, verosimilmente questa quota era in diminuzione e con esso diminuiva progressivamente la biodiversità al loro interno. Ed è altrettanto plausibile che per l’oliveto, il quale per chi scrive ha rappresentato il classico esempio di coltura promiscua in epoca contemporanea, l’uscita dalla crisi produttiva iniziata alla fine del XIX° secolo fu rappresentata proprio dal percorso di avvicinamento alla specializzazione. Tutto ciò coincise anche con la globalizzazione dei prodotti e il conseguente ingresso di cereali a basso costo provenienti da altre parti del mondo. Tutta questa complessa e simultanea concomitanza di eventi, condizionò l’abbandono delle tradizionali strategie contadine, le quali consideravano l’associazione tra le colture come sistemi agronomici efficienti e in ultima analisi, forzò il percorso di semplificazione degli agro-ecosistemi. Negli ultimi decenni, l’utilizzo massivo di agro-chimici negli oliveti si sta realizzando senza controllo, contaminando il suolo e le acque, e originando, da un lato una forte perdita di sostanza organica e dall’altro una minaccia alla biodiversità.
Bibliografia
Biasco A., L’olivicoltura nel basso leccese, Napoli 1907.
Casella O., L’Ulivo e l’olio: manuale pratico ad uso degli agricoltori e dei proprietari, Napoli 1883.
Cimato A., Il germoplasma olivicolo in provincia di Lecce: recupero, conservazione, selezione e caratterizzazione delle varietà autoctone, Matino (LE) 2001.
COLOMBA G., Transición socio-ecológica del olivar en el largo plazo. Un estudio comparado entre el sur de Italia y el sur de España (1750-2010), Tesi di dottorato, Siviglia 2017.
Pacces G., Inchiesta agraria sulle condizioni della classe agricola in Italia, Monografia circa lo stato di fatto dell’agricoltura e della classe agricola dei singoli circondari della provincia di Terra d’Otranto, Lecce 1880.
Presta G., Degli ulivi, delle ulive e della maniera di cavar l’olio, Napoli 1794.
Tombesi A. et al., Recommendations of the working group on olive farming production techniques and productivity, «Olivae», 63, Madrid 1996.
  Colomba Gianpiero, indirizzo mail: [email protected]
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olitaly · 3 months ago
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biotoscana · 6 years ago
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Amici di BioToscana questa sera non abbiamo un video per voi, ma desideriamo rendervi partecipi delle nostre collaborazioni, si BioToscana non è solo cibo sano e biologico, ma è anche biodiversità e questo vino proviene da uno dei vitigni più antichi del territorio di Pitigliano il “Procanico Rosa”, assolutamente da provare, prodotto in esclusiva dall’azienda Villa Corano😋 queste foto stanno a indicare quanto sia bella e ricca di biodiversità questo angolo di Maremma, tutti i prodotti presenti sul tagliere provengono dal territorio di Pitigliano, le bruschette con il nostro olio Bio, il pane fatto dal panificio Celata con le farine di grani antichi di nostra produzione, il bambù dell’azienda Marroni Daniele, i salumi dell’azienda Mario Lapi, il miele dell’azienda Fratenuti, il vino dell’azienda Villa Corano, tutti nel raggio di pochi km dal centro di Pitigliano, cosa significa? Che siamo fortunati..... questa è la Maremma ragazzi e per chi non la conosce vi invitiamo a venire a scoprirla, a Pitigliano potrete trovare tutto questo e molto altro ancora😉#graniantichi #relax #pitigliano #panificiocelatapitigliano #villacorano #viverebio #maremma #toscana #poderebello #biotoscana #biologico #tagliere #salumi #formaggi (presso Pitigliano) https://www.instagram.com/p/Bya0wU_Afkh/?igshid=4db5amct5gjt
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cinquecolonnemagazine · 2 years ago
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Piantine asparagi selvatici: il simbolo della primavera
Le piantine di asparagi selvatici sono uno dei simboli più vivaci della primavera. La stagione della raccolta dipende dalle varietà e dalle condizioni climatiche della zona in cui si trovano. Disponibili in natura, possono essere anche coltivati e sono un ingrediente delizioso e versatile per numerose preparazioni culinarie. Qual è la stagione degli asparagi selvatici? La stagione degli asparagi selvatici può variare leggermente a seconda della zona geografica e delle condizioni climatiche locali. La stagione di raccolta degli asparagi selvatici inizia in primavera e si protrae fino all'inizio dell'estate, quando le piante raggiungono la massima maturità. È importante osservare attentamente le piante per individuare il momento giusto per la raccolta, quando gli asparagi sono abbastanza grandi e sodi da essere consumati. La raccolta degli asparagi selvatici avviene in primavera, tra marzo e maggio, quando le piante sono in crescita e gli steli degli asparagi raggiungono la giusta consistenza per essere raccolti. Tuttavia, in alcune zone e a determinate condizioni climatiche, possono essere raccolti anche in estate o in autunno. In determinate zone la raccolta degli asparagi è regolamentata o addirittura vietata per proteggere la biodiversità e l'ambiente. Come si coltivano le piantine di asparagi selvatici? Gli asparagi selvatici sono una prelibatezza che si trova in natura, ma possono essere coltivati ​​anche in giardino o in vaso seguendo alcuni passi: - Scegliere il luogo: gli asparagi selvatici crescono bene in terreni ben drenati e soleggiati, preferibilmente con pH leggermente acido. Il terreno deve essere ricco di sostanza organica, quindi è importante lavorarlo a fondo e aggiungere compost o letame. - Piantare i semi: gli asparagi selvatici si possono coltivare partendo dai semi o dai rizomi. Se si sceglie di seminare, si può fare in primavera o in autunno, distanziando le piante di almeno 30 cm. Si può piantare un singolo seme per buca a una profondità di circa 5 cm. - Prendersi cura delle piante: gli asparagi selvatici richiedono poche cure, ma è importante mantenere il terreno umido durante la stagione di crescita. Inoltre, è importante rimuovere eventuali piante infestanti vicino alle piante di asparagi. - Raccolta: gli asparagi selvatici richiedono tempo per crescere e svilupparsi, quindi non è consigliabile raccoglierli nei primi due anni. In genere, si può iniziare a raccogliere gli asparagi a partire dal terzo anno, quando le piante sono ben sviluppate. Si possono raccogliere gli asparagi con una lama tagliente, facendo attenzione a non danneggiare le piante. - Conservazione: gli asparagi selvatici devono essere consumati freschi, quindi è importante conservarli in frigorifero e consumarli entro pochi giorni dalla raccolta. Come si cucinano Gli asparagi selvatici sono i re della cucina primaverile. La loro versatilità li rende l'ingrediente ideale per tanti piatti: - Bolliti in acqua salata per circa 5-7 minuti, fino a quando risultano morbidi, si possono poi servire con una salsa a piacere o condire con olio extravergine d'oliva, sale e pepe. - Si prestano perfettamente alla cottura sulla griglia. Basta lavarli e tagliarli a metà, poi condire con olio, sale e pepe e grigliarli per 2-3 minuti per lato. - Saltati in padella con olio e aglio, aggiungendo eventualmente una spruzzata di vino bianco e un pizzico di sale, si apprezza particolarmente il loro sapore dolce e leggermente amaro. - Possono essere aggiunti a una frittata, insieme ad altri ingredienti come formaggio, prosciutto o funghi. Basta cuocere gli asparagi in padella con un po' di olio per qualche minuto, poi aggiungere le uova sbattute e cuocere fino a quando la frittata è dorata e cotta al centro. Gli asparagi selvatici si prestano anche per preparazioni invernali, in zuppe calde o insieme ai legumi. In copertina foto di Couleur da Pixabay Read the full article
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umbriasud · 2 years ago
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Lugnano, il primo "Olea Mundi" prodotto dall'uliveto che raccoglie tutte le specie
Lugnano, il primo “Olea Mundi” prodotto dall’uliveto che raccoglie tutte le specie
Sarà presentato per la prima volta al pubblico sabato prossimo il primo olio Olea Mundi proveniente dalla collezione mondiale di ulivi di Lugnano in Teverina. Ne dà l’annuncio il vice sindaco di Lugnano Alessandro Dimiziani che illustra l’iniziativa del 3 e quella del 4 dicembre. “Sabato – spiega – sarà un vero ed interessante inno alla biodiversità con tutti i protagonisti di questo attrattore…
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ageroliva · 3 years ago
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Come puoi salvare la Toscana adottando un ulivo a distanza?
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La Toscana è rinomata per i suoi splendidi paesaggi, borghi storici e industrie tradizionali. Infatti, il famoso periodo rinascimentale iniziò in Toscana grazie allo splendido scenario e all'abbondanza di risorse naturali. Oggi il turismo è una delle attività economiche più importanti della Toscana con oltre 15 milioni di visitatori annuali.
Gli ulivi toscani sono un importante simbolo di questa regione, ma ultimamente abbiamo assistito a statistiche preoccupanti sul loro abbandono. Ti consigliamo di andare a vederli di persino, ma se non puoi ancora andarci, ecco alcune cose che puoi fare da qualsiasi luogo per sostenere gli ulivi. 
➢ Cosa minaccia attualmente gli ulivi della Toscana?
Le nuove generazioni non sono più in grado di coltivare i terreni ricevuti in eredità dai nonni per mancanza di tempo, soldi o competenze tecniche. Di conseguenza questi campi di ulivi sono lasciati abbandonati a loro stessi e comportano tanti rischi come:
- Incendi estivi
- Rischio idrogeologico (smottamenti) 
Un rischio legato alla produzione di olive è invece la riduzione della popolazione di api selvatiche, che impollinano i fiori. Il problema è globale e non specifico della Toscana, ma nella regione la riduzione è maggiore che in altre aree mediterranee.
Le ragioni di questa riduzione sono ancora allo studio e l'ipotesi principale punta all'uso di pesticidi.
➢ Come puoi aiutare a salvare gli ulivi della Toscana?
Uno dei modi migliori e più semplici per aiutare è adottare un albero. Con una piccola quota annuale, puoi scegliere la zona ed il singolo ulivo, dargli un nome che sarà scritto sopra un cartellino ed appeso alla pianta e riceverai via email un certificato di adozione personalizzato, la foto del tuo albero e un link con la posizione per visitare il tuo albero in Toscana. Aiuterai a preservare questo patrimonio naturale e a promuovere un’agricoltura 100% sostenibile.
La quota che si paga per l'adozione di un olivo sarà reinvestita in attività per il loro recupero e la loro conservazione e per recuperare paesaggio e territorio. Adottare un olivo non è solo un gesto simbolico; è un modo per sostenere la cultura millenaria degli ulivi e la biodiversità.
• Acquistare olio d'oliva da coltivatori biologici certificati
• Evitare l'uso di pesticidi sugli ulivi
• Sostieni le organizzazioni che stanno lavorando per salvare gli ulivi abbandonati.
➢ Adotta un olivo a distanza per salvare la  biodiversità secolare Toscana
Quando adotti un ulivo, diventi parte di un meraviglioso gruppo di persone che la pensano allo stesso modo provenienti da tutto il mondo.
La Toscana è un luogo magico e dobbiamo fare tutto il possibile per salvaguardarne le bellezze naturali. L'olivo fa parte del paesaggio da migliaia di anni e dovrebbe essere amato, ammirato e preservato.
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leparoledelmondo · 3 years ago
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Deforestazione
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ill36 miliardi di tonnellate di anidride carbonica (CO₂) immesse ogni anno nell’atmosfera causate delle attività umane, hanno ad oggi portato all’aumento di circa 1,1°C della temperatura media globale, rispetto al periodo preindustriale. Per quanto l’uomo possa adoperarsi per mitigare gli effetti del cambiamento climatico, sarà difficile limitare il riscaldamento globale a +1,5 °C entro metà del secolo – come previsto dall’Accordo di Parigi – senza preservare la capacità delle foreste e di altri ecosistemi naturali, come le savane e zone umide, che riescono ad assorbire ingenti quantità di CO₂ dall’atmosfera.
Proprio dell’importanza delle foreste per il clima parla il report WWF, pubblicato in occasione della nella Giornata internazionale delle foreste “Deforestazione e cambiamento climatico: l’impatto dei consumi sui sistemi naturali” . Le foreste sono, a livello globale, il secondo maggior serbatoio di carbonio dopo gli oceani: trattengono complessivamente ben 861 miliardi di tonnellate di carbonio e ogni anno assorbono circa un terzo delle emissioni antropiche di CO₂, evitandone l’accumulo in atmosfera. Inoltre, forniscono tanti altri servizi connessi con il clima, come la produzione di ossigeno e la regolazione del regime delle piogge. Questi cruciali servizi forniti dal nostro Pianeta vengono però compromessi quando ecosistemi naturali, come le foreste, vengono distrutti o degradati.
Considerando che gli alberi sono costituiti per circa il 20% del proprio peso da carbonio, parte della CO₂ assorbita dalle foreste, tramite la fotosintesi, viene riemessa in atmosfera quando gli alberi vengono tagliati. Da essere parte della soluzione le foreste diventano parte del problema: la deforestazione rappresenta infatti la seconda fonte umana di CO₂, con ben 8 miliardi di tonnellate di CO₂ emesse ogni anno dal 2000 ad oggi. Oltre ai problemi legati al clima, la deforestazione mette a rischio la sopravvivenza delle popolazioni indigene che dipendono strettamente da questi ecosistemi e provoca la perdita dell’habitat di molte specie animali e vegetali, causandone spesso l’estinzione.
Tutelare foreste e altri habitat è quindi indispensabile per il futuro dell’umanità, della biodiversità e dell’intero Pianeta, e ognuno di noi può contribuire, magari consumando meno. Secondo il report del WWF, quasi il 90% della deforestazione a livello globale è dovuto all’espansione dell’agricoltura. Gli allevamenti di bovini insieme alle coltivazioni di palma da olio, soia, cacao, gomma, caffè e legno sono stati responsabili del 57% della deforestazione connessa con l’agricoltura tra il 2001 e il 2015, portandoci via un’area di foreste grande quanto la Germania. In questo contesto, l’Unione europea risulta essere il secondo maggiore importatore al mondo di questi prodotti, generando con le sue abitudini di consumo enormi impatti sulle foreste tropicali di tutto il Pianeta, ma anche su praterie, zone umide, savane e tutti quegli ecosistemi ricchi di biodiversità che vengono distrutti per fare spazio a coltivazioni, piantagioni e pascoli.
Fonte wwf Italia
Illustrazione di Andy Singer
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