#non gliene va una giusta
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I'm starting to believe that Binotto broke every mirror available in Maranello on his way out when he left the team. Like... There's unlucky and then there's whatever curse Ferrari has going on
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Jimmy Eat World - Jimmy Eat World, traduzione testi
La testa bassa, deluso
Non c’è mai in giro nessuno quando ho più bisogno
(da: Patches)
1. Jimmy Eat World – Chachi, traduzione
Chachi
Prendimi e buttami giù dalla torre alta 40 piani, così mi spiaccico per terra
Devo confessare che non sono rimasto colpito dalla tua corda infinita
Dai un po’ un’occhiata
Guarda che da uomo mi sciolgo in un ragazzino
E sono sempre nell’associazione ad honorem
Con tutto quello che c’è in giro
Ma senza attirare l’attenzione
Sono proprio curioso di sapere come e perché non ci dovremmo stupire (quindi non chiedere perché)
Coperte rimboccate, tirate indietro, infarto
Eppure sembra che non gliene frega niente a nessuno
Prendimi e buttami giù dalla torre alta 40 piani, così mi spiaccico per terra
Devo confessare che non sono rimasto colpito dalla tua corda infinita
Ho visto la scadenza che influenzava la ventilazione
Obbligami, dolcezza (quindi non chiedere perché)
Addio
2. Jimmy Eat World – Patches, traduzione
Toppe
Non sono preoccupato per la mia vita, è troppo tardi
Macchie per terra sul tappeto
E penso di aver trovato una via d’uscita
Giù dalle scale, gira l’angolo
Svegliami, mettimi sottosopra
La testa bassa, deluso
Non c’è mai in giro nessuno quando ho più bisogno
Adesso rimbalza
Non sono preoccupato per la mia vita, è troppo tardi
Macchie per terra sul tappeto
E pensavo di aver trovato una via d’uscita
Giù dalle scale, gira l’angolo
Svegliami, mettimi sottosopra
La testa bassa, deluso
Non c’è mai in giro nessuno quando ho più bisogno
Adesso rimbalza, rimbalza
3. Jimmy Eat World – Amphibious, traduzione
Anfibio
Mi sentivo solo e trentadue volte sono finito in galera
Adoro rubare, adoro sentirmi osservato da voi
E non ci andrò mai in centro città
E starò sempre con la testa bassa
Te lo vedo negli occhi, va tutto a fuoco
Mi sa che ce l’ho fatta
Che ti guardi?
Schiacceranno il pedale
Non è un gioco
Sporco, sporco, sporco, sporco mi vedrai
Non è che posso sempre guardarmi le spalle, è una trappola
E non ci andrò mai in centro città
E starò sempre con la testa bassa
Te lo vedo negli occhi, va tutto a fuoco
Mi sa che ce l’ho fatta
Che ti guardi?
Schiaccerà il pedale
Non è un gioco
E non ci andrò mai in centro città
E starò sempre con la testa bassa
4. Jimmy Eat World – Splat Out of Luck, traduzione
Sfortunato forte
Le mie intenzioni crescono ma non vanno da nessuna parte, proprio da nessuna parte
L’ho già visto una volta, ma l’ho perso dentro a qualcosa
Mi hanno fatto fermare il cuore
E pensi di aver visto tutto ormai
Ma ti domandi dove vado
Sto crescendo dalla parte giusta del torto
È troppo tardi, arrivi troppo tardi
“Che succede?” è la mia domanda
Sono proprio sfortunato, sfortunato forte?
E pensi di aver visto tutto ormai
Ma ti domandi dove vado
Sto crescendo dalla parte giusta del torto
È troppo tardi, arrivi troppo tardi
5. Jimmy Eat World – House Arrest, traduzione
Arresti domiciliari
Non riesco a piegare le braccia e le gambe
Per favore, firmami il gesso oppure rimani senza di me
E lo vedrò il giorno che potrai venire a casa mia a giocare con me
Ci vediamo domattina
Non vedi che sono in castigo?
Sto sottoterra
Faccio il matto dopotutto perché i bambini lo possono fare
Lo sappiamo tutti che in parole povere non mi gira mai bene niente
E lo vedrò il giorno
E lo ammazzerò il giorno, il giorno
E lo vedrò il giorno che potrai venire a casa mia a giocare con me
Ci vediamo domattina
Non vedi che sono in castigo?
Sto sottoterra
Faccio il matto dopotutto perché i bambini lo possono fare
Lo sappiamo tutti che in parole povere non mi gira mai bene niente
6. Jimmy Eat World – Usery, traduzione
Usura
Non voglio stare sveglio il venerdì sera
Però non voglio stare sveglio lì il sabato sera
Non voglio stare sveglio il venerdì sera
Però non voglio stare sveglio lì il sabato sera
Non voglio stare sveglio il venerdì sera
Non voglio stare lì
Quando è finita, quando muoio di fame
Te lo potrebbero strappare via di mano?
Sì, sono proprio io, tutto quello che hai visto e sentito
E tu invece?
Sei solo la ragazza della porta accanto
Per cui adesso sei lì che aspetti di scoprire che è qualcosa
Speri di metterci sù la tua faccia ad ogni modo
Mollalo, prendilo di petto
Adesso riprenditelo, adesso sollevalo
Riportalo indietro adesso ancora una volta
Quando è finita, quando muoio di fame
Metti a riposo la mano insieme alla testa
Sì, sono proprio io, tutto quello che hai fatto e visto
Steso per terra alle 6:30 e ci sei tu
Di’ che vuoi così, così
Tu dillo giusto, dillo
7. Jimmy Eat World – Wednesday, traduzione
Mercoledì
Vi presento una parte di me che ha la sensazione che un giorno sì e uno no viene vista nelle foto e nei vicoli
La vedi attraverso le tue pareti
La vedi attraverso le tue cadute
La vedi sul tuo pavimento, direzione sbagliata
Alza quella testa, mercoledì
È quasi troppo tardi
Quando cominciano a crollare le pareti, ti troveranno per ultimo
Va bene così, liquore di malto
Puoi promettermi un giorno
Di’ che lo farai, di’ che lo farai e poi non lo fai
Vi presento una parte di me che ha la sensazione che un giorno sì e uno no viene vista nelle foto e nei vicoli
La vedi attraverso le tue pareti
La vedi attraverso le tue cadute
La vedi sul tuo pavimento, direzione sbagliata
Alza quella testa, mercoledì
È quasi troppo tardi
Quando cominciano a crollare le pareti, ti troveranno per ultimo
Va bene così, liquore di malto
Puoi promettermi un giorno
Di’ che lo farai, di’ che lo farai e poi non lo fai
8. Jimmy Eat World – Crooked, traduzione
Storto
Come mai pensi che ti voglio solo perché non mi basta mai?
Se la conclusione è finita, perché ne vuoi ancora?
Può diventare una vera scocciatura
Ti faccio girare intorno
Sei falsa
È un reato?
È finita, non ho altro da perdere
Mollami, vattene in fretta
Ti sei chiesta perché?
Mi piacerebbe poter sorridere
Chiudi bene il coperchio con tutta la tua forza
Chi primo arriva meglio alloggia
Sarà giusto?
Sei falsa
È un reato?
È finita, non ho altro da perdere
Mollami, vattene in fretta
9. Jimmy Eat World – Reason 346, traduzione
Motivo 346
Ci ignorano dicendomi che sono cieco, cercando di leggermi nel pensiero
E nella peggiore delle ipotesi, mi sa che sarò il primo a non essere più lo stesso
Non è colpa nostra
Io non c’ero
Le vanno i capelli e non gli occhi e non è costato nulla
Sono caduto in ginocchio
Attaccato come le pulci
Visto in TV e ha fatto effetto
E chi erano loro per giudicare?
Poteva andare molto peggio
Non doveva per forza essere uno sforzo tale
Ci hanno costretti a dormire, che non voleva dire nulla
Passo di lì gratis
Stufo di essere triste risollevandomi da una caduta
Io me ne voglio chiamar fuori
Non è colpa nostra
Io non c’ero
Le vanno i capelli e non gli occhi e non è costato nulla
Sono caduto in ginocchio
Attaccato come le pulci
Visto in TV e ha fatto effetto
Vieni giù
Vieni giù
Di te non è rimasta nemmeno una traccia
Sogni e la mia Circle K
Sogni e la mia Circle K
Sogni e la mia Circle K
Ecco dove ti può recuperare tua mamma adesso
10. Jimmy Eat World – Scientific, traduzione
Scientifico
A 20 milioni di miglia di distanza c’è qualcosa in arrivo
Un maremoto dallo spazio, ed è vicinissimo
Esci un attimo, è in avanzamento, ti conviene stare in guardia
Un difensore è scomparso e lo rivogliamo indietro
Come saranno i ragazzi nella storia?
È uguale, fortunato a esserci ancora
Lo sa spiegare la scienza
Ho capito tutto quanto male
Le nostre menti si sono focalizzate sul 18 in 86
Svegliati, prendi sù, uccidici tutti, sono cresciuto
Sali un attimo, è in avanzamento, ti conviene stare in guardia
Un difensore è scomparso e lo rivogliamo indietro
Come saranno i ragazzi nella storia?
È uguale, fortunato a esserci ancora
Lo sa spiegare la scienza
Ho capito tutto quanto male
11. Jimmy Eat World – Cars, traduzione
Macchine
“Okay, Tom, devi bere qualcosa”
Ommioddio, puoi salvarmi la vita?
Non vuol dire per forza che devi badare a me
Ma guardati un po’
Gran figo, eh? Puntuale
Non c’è spazio per mamacita, non c’è spazio per mamacita
Non c’è spazio per mamacita, non c’è spazio per mamacita
Tieniti forte
“Benone”, ecco cosa dirai cadendo per terra
Le vanno le foglie tra i capelli
Ma guardati un po’
Gran figo, eh? Puntuale
“Hey, hey ragazzi, hey, secondo me, hey
Senti… senti…
Riff di Scientific”
#jimmy eat world#chachi#patches#amphibious#splat out of luck#house arrest#usery#wednesday#crooked#reason 346#scientific#cars
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"Ecco Bomba!” Annunciò Sergetto, indicando una figura massiccia che proveniva ciondolando dal corso. Non aveva un bell'aspetto, almeno da lontano. Sembrava stanco, o triste, o incazzato, o tutte e tre le cose insieme. Camminava curvo, con lo sguardo a terra e le mani insaccate per bene nelle tasche dei pantaloni. Non era uno spettacolo che trasmettesse proprio allegria. “Che ti succede, Bomba? hai una faccia!” Chiesi. “Mi girano i coglioni!” “Allora non è un gran danno. Con quelle palline piccole che ti ritrovi, nemmeno dovresti farci caso.” Lo punzecchiò Tonino. Bomba non lo degnò di una risposta, neanche di uno sguardo. La situazione doveva essere grave. Si sedette pesantemente sugli scalini e si prese il viso tra le mani, sprofondando in pensieri che sembravano belli pesanti. Era il momento di farci sentire. Di dimostrargli che il branco era con lui e che non l'avrebbe lasciato solo. Di qualsiasi cosa si trattasse. “Cosa c’è che non va, amico?” Chiesi di nuovo. “Niente va!” rispose rabbioso, “Ieri sera sono tornato a casa mezzo morto dalla fatica. Mezzo morto, ma felice. Sapevo che stavo facendo la cosa giusta. Che stavamo facendo la cosa giusta. Ero fiero di me stesso come non lo sono mai stato e volevo che anche mia madre lo sapesse. Volevo che, in qualche modo, anche lei fosse fiera di me. Di me e di voi, amici miei. Sono entrato in casa e lei era lì, è sempre lì, tutto il santo giorno!” “Lì dove?” Domandò il Tasso per tutti noi. Bomba si voltò a guardarlo, come se fosse la domanda più stupida del mondo, poi realizzò che noi non potevamo sapere, così ce lo spiegò: “Davanti all'altarino di mia sorella, quella che è morta. Ci passa quasi tutta la giornata, sembra sia l'unica cosa che le interessi. E ci parla pure! Parla più con lei che con me. Anzi, con me, evita proprio di parlare, quasi fossi io il morto!” Iniziò a singhiozzare, il pianto stava prendendo il sopravvento, ma non aveva ancora finito di parlare. C'era altra merda da far venire a galla. “l'ho salutata, ho provato a dirle qualcosa, ma, non appena ho aperto bocca, lei mi ha fissato con aria di rimprovero e mi ha fatto segno di tacere. É tornata a parlare con la mia sorellina, le sorrideva anche. In quel momento, incazzato com'ero, sono stato quasi contento che fosse morta. Poi però mi è subito dispiaciuto e mi è venuto da piangere.” “Lo dico sempre che tua madre è una stronza!” disse soddisfatto il Tasso. “Piantala, coglione!” Lo rimproverai cattivo. “No, no, lascialo stare, Pietro, forse ha ragione lui. Poi non ho finito.” Tirò fuori dalla tasca uno di quei fazzoletti di stoffa che, ora, non esistono più, perché estinti a causa di quelli di carta, si asciugò, alla meglio, le lacrime, si soffiò rumorosamente il naso e proseguì:“ Visto che non mi cagava, me ne sono andato in cucina e mi sono preparato un bel panino. mi era venuta una fame della Madonna.” “Cazzo, Bomba, quando ti hanno fabbricato, si sono dimenticati di farti il fondo!” Lo rimproverò Sergetto. “Ma come avevi fame? A casa del Maremmano, se non scappavano, ti mangiavi anche i suoi genitori!” rincarò la dose il Tasso. “Avevo fame e basta! Non mi va di discutere, ora! Avevo appena dato il primo morso che entra in cucina quella testa di cazzo di mio padre. Ogni volta che ti vedo, stai con qualcosa in bocca! Guardati come sei diventato, sei grasso come un maiale. E sei pure sporco e sudato come un maiale, si può sapere dove sei stato? Mi ha detto, con aria schifata. Io non ci volli far caso, nonostante tutto, ero ancora troppo contento per come era andata la giornata. Avevo ancora voglia di raccontare e lo feci, ora so che non è stata una buona idea. Lui si versò un bicchiere di vino e ascoltò tutto, senza fiatare…” “Un bicchiere di vino? Un altro?” Commentò Schizzo. Lo fulminai con gli occhi, avevo proprio voglia di dargli una bella strigliata, sapevamo tutti come stavano le cose, non dovevamo, per questo, sbattergliele in faccia. Era da stronzi. Fui stoppato da Bomba stesso, che mi aveva capito al volo. “Lascia stare, Pietro, Schizzo ha ragione. Sono stanco di far finta di niente e non ho più voglia di difenderlo. Non si merita niente! Ha ascoltato per intero e, quando ebbi finito di parlare, mi ha guardato con compassione e disprezzo. Si è acceso un sigaro e mi ha detto: siamo sicuri che sei figlio mio?” “Ma che bastardo!” mi scappò detto. Me ne pentii subito, in fondo, era sempre suo padre. Bomba non se la prese affatto, mi sorrise, mi cinse le spalle con uno dei suoi enormi braccioni e confermò: “Proprio così: un vero bastardo! Ha anche aggiunto che avrei fatto meglio a starmene zitto, perché solo un idiota come me poteva essere felice di lavorare senza essere pagato. Come me e come voi. Ha concluso dicendo che sarebbe andato a cercare il padre del Maremmano e gliene avrebbe dette quattro a quello sfruttatore di ragazzini.” Aveva ripreso a piangere. Ormai aveva rotto gli argini e, tra le lacrime, arrivava a valle anche una montagna di rabbia repressa. “E tu cosa hai detto?” Chiese Sergetto. “Mi sono incazzato come un lupo! Ero triste, ero deluso, ero impaurito, piangevo anche, ma soprattutto ero incazzato nero! Gli ho urlato che non aveva alcun motivo per trattarmi così e che ci sarei tornato pure oggi. Che nessuno me lo avrebbe potuto impedire. Al che lui mi si è fatto sotto e mi ha mollato una sberla in faccia, dicendomi che io potevo fare solo quello che decideva lui. E lui aveva deciso che non sarei più tornato dal Maremmano, altrimenti sarebbero stati cazzi miei. E anche vostri, visto che mi ci avevate trascinato voi.” “E tu cosa gli hai risposto?” “Niente, non me ne ha dato il tempo. Fatta la sua predica se ne è andato, convinto di aver sistemato le cose.” “Quindi non puoi venire?” “Certo che vengo! E’ questa la mia risposta! Che se ne vada affanculo, lui e i suoi ordini!” Concluse, alzandosi in piedi, determinato come non l'avevamo mai visto prima. Lo abbracciammo tutti, complimentandoci con lui e ripetendogli che era un grande. Stavamo trasformando il senso di impotenza e la rabbia in festa, come solo i ragazzini sanno fare. Fu proprio abbracciati, che ci trovarono il Maremmano e suo fratello quando arrivarono inattesi. “Possiamo unirci anche noi?” Disse Antonio, sovrastando il nostro vociare scomposto. Ci bloccammo all'istante, la nostra attenzione, ora, era tutta per i nuovi arrivati. Non ricordo se fossimo più stupiti, o più felici di vederli. “Cosa stavate festeggiando?” “Non stavamo festeggiando, stavamo consolando Bomba.” Rispose Schizzo. “Consolando? Per cosa?” “Perché suo padre è un pezzo di merda.” Schizzo si guardò in giro con fare distratto, si guardò a lungo le mani, poi aggiunse: “ Anche se, pure il mio, non scherza!” Antonio rimase perplesso, logico, non poteva capire. Mica lo sapeva come stavano le cose, così esortai Bomba a raccontare tutto anche a loro; dovevano sapere, c'entravano anche loro. In principio fece resistenza, non voleva starci, si vergognava, aveva paura che si arrabbiassero, o, peggio ancora, che si offendessero. Insistemmo e, alla fine, cedette, si decise a spifferare tutto. Alla fine del riepilogo, Antonio abbozzò un lieve sorriso, anche se, a me, sembrò triste e amareggiato; e aveva tutte le ragioni per esserlo. Abbracciò Bomba, probabilmente facendo attenzione a non stritolarlo, e disse: “Su, caccia via quelle lacrime, amico mio, non dare troppo peso a questa faccenda. Forse tuo padre era stanco, o già arrabbiato per motivi suoi e non ha capito. Io sarei stato fiero di te! Io sono fiero di tutti voi. E sono convinto che il mio fratellino non avrebbe potuto trovare amici migliori.” “Grazie, Antonio, io solo questo volevo. nient'altro. Non c'era neanche bisogno che dicesse qualcosa, figurarsi se mi aspettassi un complimento, o una parola buona..da mio padre. Mi sarei accontentato di una faccia soddisfatta. Una faccia che mi avesse fatto capire che… insomma, che ero stato bravo. Tutto qui. Sono sicuro che i loro padri, quella faccia, l'hanno fatta.” Concluse, indicandoci con il mento. Ci fu un momento di imbarazzo, chi per un motivo, chi per un altro, non avevamo tanta voglia di rispondere; ma ci aveva chiamati direttamente in causa, non potevamo sottrarci. “In effetti, mio padre, mi ha abbracciato e mi ha detto che ero stato in gamba.” Disse sottovoce Tonino, non voleva ferire ulteriormente Bomba, il confronto tra i loro genitori era improponibile. “Il mio, per la prima volta da quando mi ricordo, ha detto che era orgoglioso di me. E di voi. mi dispiace, Bomba.” Sussurrai, quasi a scusarmi del privilegio. “Non devi dispiacerti, Pietro, tuo padre è uno in gamba. Anche tu devi essere orgoglioso di lui.” Rispose, ma si vedeva bene che era ancora triste. “Io con il mio non ci parlo mai. non ho detto niente, tanto sarebbe stato come parlare al vento.” Confessò Sergetto. E lo fece col tono di chi dice qualcosa di scontato, qualcosa che, in fin dei conti, non lo riguarda più di tanto. Il tono del Tasso, invece, viaggiava a metà tra l'esagerato ed il divertito, quando disse: “Adesso ti tiro su io il morale, Bomba! Ieri sera, anch'io, come tutti voi, ero felice e non vedevo l'ora di tornare a casa per raccontarlo a qualcuno. Raccontare di quanto ero stato bravo. Sono entrato di corsa in cucina, ma mia madre non c'era, c'era solo mio padre, stravaccato sulla poltrona, davanti al televisore. Beh, meglio di niente, ho pensato e gli ho detto: papà, lo sai dove sono stato oggi? E lui, senza neanche guardarmi: no! E non lo voglio sapere! Ora togliti dai coglioni, che devo guardare il telefilm! Che dici, Bomba? Si fa a cambio? Mio padre in cambio del tuo, ci stai?” La spontanea e travolgente risata di Bomba fu la più bella delle risposte. Era rimasto solo Schizzo. Era naturale che rivolgessimo la nostra attenzione verso di lui. Schizzo ci guardò ad uno ad uno, poi chiese a bruciapelo: “ E allora? Che cazzo volete da me, adesso?” Inutile dire che ridemmo di nuovo. Tutti, anche il Maremmano e Antonio, che doveva aver iniziato a capire come era fatto quello strano essere. “Su, dicci di tuo padre. Che ti ha detto?” Lo incalzò Tonino. Schizzo fece un salto improvviso e andò a nascondersi dietro l'albero più vicino. Si guardò furtivamente intorno poi chiese a bassa voce: “Dove sta mio padre? Dove l'avete visto? Non posso farmi vedere insieme a voi. Dice che non ci state tanto con la testa e che, se continuo a frequentarvi, va a finire che divento scemo pure io!” “Allora vieni qua, idiota, che il danno già è stato fatto!” Gli gridò contro il Tasso. “E sembra pure irreparabile!” Aggiunse Tonino. Antonio se la rideva come fosse uno di noi e dava certe manate sulla pietra della fontana che sembrava volesse ucciderla. D'un tratto si fece serio, ci chiamò a raccolta, aspettò che rientrassimo nei ranghi e ci parlò. “Ho delle cose da dirvi, ragazzi. Il nostro vecchio è rimasto molto impressionato dal vostro gesto. Avete fatto centro. Era davvero commosso e ha deciso di togliere, a Pietro, la punizione. Avete saldato il debito. Non solo, visto che avete lavorato sodo, ha anche deciso che meritate di essere pagati. La paga di un giorno di lavoro nei campi.” Mise una mano nella tasca posteriore dei pantaloni, tirò fuori il portafoglio e ne estrasse un mazzetto di banconote da mille. “Ecco, lui dice che duemila a testa dovrebbero andare bene. altrimenti non vi resta che rivolgervi ai sindacati.” Cazzo, duemila lire? Ciascuno? erano una fortuna! Nessuno di noi aveva mai posseduto quella cifra tutta insieme. A Natale, forse, sommando le mance. Mance che, regolarmente, ci passavano sotto gli occhi e messe via subito dopo dai nostri genitori, per quando ci sarebbero serviti, dicevano. Pure se, a noi, sicuro, sarebbero serviti immediatamente. Restammo a bocca spalancata ed occhi sgranati per un bel po’, offrendo un inaspettato, forse anche gradito, ricovero a tutti gli insetti di passaggio in quel momento. Il primo a riaversi dalla sorpresa fu il Tasso, che si avvicinò ancor di più ad Antonio e disse:“ Fammi capire bene, gigante, tuo padre ti ha dato quei soldi per noi?” “Esattamente, mio giovane amico.” “Duemila lire a testa per quella stronzata di lavoro?” “Questo è ciò che ha stabilito il grande capo bianco. Se vi sembra poco prendetevela con lui, non con me. Io non c'entro, ho solo fatto una commissione.” “Prendermela con te? Ma tu: ti sei mai guardato allo specchio? Cazzo, sarò stupido, ma non fino a questo punto! Non ti direi niente neanche se uccidessi mio padre. Anzi, pur di non farti arrabbiare, ti farei anche i nomi di tutti i miei parenti. Anche i loro indirizzi ti darei! Volevo soltanto dire che, se il tuo vecchio paga così bene, abbandono subito la scuola e vengo a lavorare da voi. Tanto più che la scuola mi fa cagare.” E sembrava che stesse valutando sul serio la possibilità. Antonio si inginocchiò, gli lisciò la testa quadrata e gli disse calmo: “Forse è meglio che continui la scuola, giovanotto, per lavorare c'è sempre tempo. Devi studiare e mettici impegno, così, da grande, non ti farai fregare da quelli che hanno studiato. Ora avvicinatevi tutti, ho da darvi quello che vi spetta. Su, non fatevi pregare!” Certo che non ci facemmo pregare, in mezzo secondo eravamo appiccicati ad Antonio, pronti a ricevere la nostra, inaspettata parte. ci strinse la mano, uno per uno, e ci diede le duemila lire pattuite. L'ultimo era Bomba, quando toccò a lui, il gigante lo fissò, si alzò in piedi, rimise in tasca i soldi e:“A te niente.” Disse. Bomba fece una faccia che… che erano cento facce insieme, con la sorpresa che dominava su tutte le altre. Anche noi eravamo stupiti non poco, come? A Bomba niente? Antonio ci lasciò in sospeso per qualche istante, godendosi le nostre facce smarrite, poi prese il nostro amico per mano e gli parlò. “Andiamo, anche tu, chiaramente, come gli altri, ti sei meritato la tua parte, ma voglio dartela davanti a tuo padre, che sappia anche lui quanto sei stato in gamba.” Fece per muoversi, ma si bloccò subito dopo. si guardò in giro con aria smarrita e domandò: “ Dove lo troviamo tuo padre? Dov'è che lavora?” “Lavorare? Il padre di Bomba? Cazzo, Antonio, questa si che fa ridere di battuta!” lo prese in giro il Tasso. “Piantala, coglione!” Ruggì Bomba, recuperando, vai a capire da dove, un pizzico di amore filiale. “Visto che ti piace fare lo stronzo, perché non ci dici dove lavora il tuo di padre?” Il Tasso non rispose subito, si grattò la testa, poi il mento, poi le orecchie, con tutte due le mani, voleva farci credere che ci stesse pensando su, ma, a noi, sembrò soltanto che avesse la rogna. Il Tasso che pensava, chi mai ci avrebbe creduto! “Un po’ qui e un po’ là.” rispose, “Ma la maggior parte del tempo la passa con tuo padre. Diciamo pure che sono colleghi!” “E dove li posso trovare?” Insistette Antonio. “Al loro cantiere preferito. Al Bar di Piazza. Tressette e vino bianco, si fanno certe sudate!” “Bene, allora andiamo dal tuo genitore, giovanotto. Sistemiamo questa faccenda.” Disse ancora il gigante, avviandosi e tenendo sempre Bomba per mano, che sembrava un filo imbarazzato. “Possiamo venire anche noi?” Chiese Schizzo con una vocetta supplicante. “Grazie dell'aiuto, ma non è necessario. Possiamo farcela anche da soli.” “Eccome se è necessario!” si intromise di nuovo il Tasso, “Casomai tu, per spiegargli bene le cose, fossi costretto a suonargliele, io voglio esserci!” “Ma io non devo picchiare nessuno. Voglio soltanto far capire al papà di questo ometto che figlio in gamba che ha.” “Si, ma ammettiamo che proprio sia duro, che proprio non voglia capire e tu debba aiutarti con qualche sganassone, io devo esserci, non ci sono santi! Devo perché, almeno, potrei indicarti anche mio padre, vorrei che spiegassi la stessa cosa anche a lui. E con lo stesso metodo!” “Bene, mi arrendo, non posso farcela contro di voi. Ma avete la mia parola che non ci saranno violenze. Non servono. Tra persone civili, bastano le parole.” E ci fece segno di seguirlo. Certo, facile per uno come lui, pensai, chi era quel matto che avrebbe voluto farci a pugni? Meglio parlarci, perdio! Molto meglio! Come previsto, li trovammo al bar, a giocare a carte. C'erano sia il padre di Bomba, che quello del Tasso, più altri due anziani che conoscevamo solo di vista. Purtroppo Antonio aveva ragione: niente violenza. niente cazzottoni, o tavoli sfasciati in testa, come nei film di Bud Spencer. Bastò la sua ingombrante presenza a far si che si cagassero sotto; tutti e quattro. Non potevo certo dar loro torto. Il gigante si presentò, strinse loro le mani e, credo, esagerò un po’, vista la faccia sofferente che fecero. Ci venne da ridere, ma ce ne guardammo bene dal farlo. Una volta ottenuta l'attenzione, si piazzò di fronte a quel fifone tremolante del padre di Bomba, elogiò a lungo il nostro amico e lo ringraziò pubblicamente, il messaggio era chiaro: chi lo toccava avrebbe dovuto, necessariamente, fare i conti anche con lui. Alla fine, a scanso di equivoci, pretese di pagarlo. Lì, di fronte a tutti. Non ci furono obiezioni. Salutò cordialmente, offrì un giro di bevute ai presenti e uscì con molta calma dal locale. Noi dietro, come fedeli cagnolini, scodinzolando festosi e al sicuro. “Certo, Bomba, che tuo padre ha fatto una gran bella figura di merda!” Sibilò, felice, il Tasso. “Perché il tuo, invece, che figura ha fatto?” “Di merda! Anche il mio! Ma, a me, fa più ridere quella che ha fatto tuo padre!"
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La consapevolezza di non saper scegliere - Malcolm&Marie
In quei film che portano con sé un certo peso, un peso che va oltre le distinzioni socio-culturali, oltre quelle storiche, filosofiche o morali, talvolta, il tema portante che può essere sì inscritto in una sola parola, può anche non essere il perno nel significato.
Marie è una donna, una affermazione che potrebbe sembrare ovvia.
Dove li avrò mai gli occhi? direte voi.
So bene ciò che dico e questa sentenza è la risposta al film.
La risposta geniale, sottile, lineare che ogni uomo dovrebbe darsi alla frase che spesso viene pronunciata con leggerezza “Ma sei pazza?”.
Marie non è pazza, anche se il suo partner l’addita come tale, circa per una decina di volte, rispondendo probabilmente al suo stesso ego. E, sebbene, qualunque essere senziente si sarebbe rivoltato di fronte un modo di fare e di dire così terribile da parte del proprio partner (“verbally insulting”), lei va oltre tutto questo, lo fa per sé stessa, se lo deve e se lo merita.
Non le importa, sa di non essere pazza, ha la sua ragione in tasca e la sfoglia, come si fa con un libro da cui non si riesce a distogliere la propria attenzione.
Marie è presa dalla sua ragione, ne è succube e no, non l’ha partorita in una sera, nella notte del trionfo dell’uomo che le sta accanto. Marie ha ben in mente questa idea da tanto tempo, forse dal primo giorno in cui ha detto di amarlo o ancor prima, tornando agli albori, forse al primo giorno in cui ha capito chi aveva di fronte.
Non è sprovveduta non è sbandata non è frivola, e, per chi non l’avesse capito, a lei del suo vestito sexy e luccicante, non gliene è fregato mai nulla.
Lei vede tutto chiaro, senza sfumature o vie di fuga, come un film in bianco e nero che ti permette sì di fantasticare, sui colori che potrebbe avere quella tazza o quella stoffa, ma non di sapere, perché il film non te lo rivelerà mai, ti devi accontentare, rassegnare.
Marie ha la ragione con sé: la consapevolezza di non saper scegliere, di non averne il potere o la forza. Sa chi ha di fronte, sa chi è, com’è fatto e perché è fatto così, perché la tratta così, perché quella sera non ha prestato minima attenzione a nessun altro se non a lui stesso.
Intorno a lui poteva cadere chiunque e lui non se ne sarebbe accorto, non avrebbe battuto ciglio.
Ma Marie, sebbene ferita, non è caduta, ha aperto la tasca e ne ha cacciato fuori quella ragione che da tempo coltivava, cercava solo l’espediente, il momento giusto o la scusa giusta per alleggerire il peso del suo cuore. Meditava da tempo e in una sera ha avuto le conferme che aspettava alla sua domanda.
Quel “Thank you” non sarebbe mai arrivato, lo sapeva bene Marie, sapeva che quell’uomo non l’avrebbe mai ringraziata o ricordata ma, cara Marie, chi non lo fa durante il giorno, il pomeriggio, la notte, non lo farà di certo nella serata più importante della sua vita.
Lui voleva solo tornare a casa e scopare, per auto celebrarsi, quasi a ricordare gli imperatori in trionfo dopo una battaglia combattuta. Una battaglia che lui, per quanto si dibatta e si aggrappi a scuse, non ha vissuto sulla sua pelle. Lui quella Imami non ha idea di chi sia, non l’ha mai davvero guardata, se non come un pezzo di storia da trasformare, da sfoggiare per ricavarne un suo trionfo personale.
Quel discorso che fa Marie, quei “Grazie per...”, le parole che pronuncia a lui sono solo il riflesso della sua anima: pregava e implorava, fra sé e sé, di ritrovarle nell’uomo con cui aveva condiviso tutto, ma era consapevole che non le sarebbero mai arrivate, sapeva di non avercele mai viste.
Come quei vetri così puliti e quelle superfici così lisce e immacolate, in una casa fredda ed impersonale, così i due personaggi scivolano via insieme alle loro vite, alternandosi a granelli di polvere che incontrano di tanto in tanto.
Si arrabbiano e si baciano, si odiano e si cercano, si vogliono poi si respingono, cantano canzoni per esternarsi all’altro che però non vengono mai ascoltate. Non pensano per un secondo all‘ amore, sebbene lo dicano appena l’occasione lo richiede, a ricordarsi forse del perché condividono un letto, pur sapendo che il loro rapporto non si avvicina minimamente all’immenso significato di quella parola.
L’amore distorto si cela probabilmente dietro ogni coppia e che solo chi lo vive lo sa descrivere o categorizzare e riunisce due anime sotto uno stesso tetto, ma non è tutto, non può e non deve esserlo. Un sentimento malato, narcisista ed egoista che si fa chiamare Amore, ma che non gli si avvicina minimamente.
Lo stesso amore che Marie non prova più.
Dare per scontato la presenza dell’altro, dare per scontato uno sguardo, un abbraccio, una parola nel momento giusto, un aiuto quando necessario non è amore, è prepotenza.
Pretendere è un’arte, come quella di illudersi che la notte porti consiglio, che la luce possa rischiarare un rapporto marcio nelle fondamenta, che l’alba assicuri la pace e la serenità.
Una serenità distrutta sul nascere, nel giorno in cui si è palesata l’indifferenza genuina di chi non ha e non avrebbe mai avuto cura o premura, lo stesso giorno in cui la consapevolezza- la ragione- è stata deposta in quella tasca e lasciata lì ad aspettare il momento giusto per essere sfoderata e per ricordare che no, nessuna alba ti darà mai indietro ciò che non è mai esistito.
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Abbiate paura dell'amore, perché non segue le regole, non guarda in faccia a nessuno e se ne frega se siate pronti o no, non le interessa se avete l'ombrello aperto per ripararvi da questo diluvio che tutto inonda e porta via qualsiasi sicurezza vi siate posti.
Vi sveglierà di notte per ricordarvi di chi non avete al fianco e vi porterà da quella persona persino a piedi scalzi, perché il vero amore è silenzioso e non disturba chi ancora non l'ha provato, in fondo è solo vostro e non dev'essere condiviso con nessun altro.
Non gliene frega niente neppure del vostro vestito, l'amore non è una moda per apparire, ma è trovare quell'anima che calza a pennello, dove non stringe e non sta nemmeno largo, è esattamente della giusta misura che coglie la forza di un pugno colmo di sapore appoggiato alle proprie labbra, pronto a dischiudersi per ritrovare quell'immagine che ripetutamente martella in testa.
Abbiate paura dell'amore, perché lei arriva e caccia via i vostri pregiudizi, come una bussola impazzita riunisce tutti i punti cardinali, gira veloce vorticosamente e fa impazzire chi si imbatte in essa. Eppure prova più follia chi ne rimane solo a guardare e non entra in questo vortice, forse perché in fondo solo i matti sanno perdere la ragione per vivere un'emozione senza paura di cadere nel baratro, nel tunnel di un sorriso che eleva alle stelle.
Pazzi sono quelli che amano colori diversi, che si fondono in un mondo parallelo che si convergono nel piacere più blasfemo e controverso, ma sono quelli che amano davvero e smettono di credere ad un filo creato da chi non vede lontano un palmo dal naso. L'amore nasce, percorre strade ancora sconosciute dall'essere o per di più le rinnega, lei le percorre e fa nascere quei fiori che spesso vengono calpestati.
Abbiate davvero paura dell'amore, perché davvero non guarda in faccia nessuno, è l'amore più strano è quello più bello, quando nessuno lo vuole e lei invece vuole esserci a tutti i costi, come una cascata che va al contrario, come un senso mai sentito, è lì invece che trova la sua forza.
Non vergognatevi e non ripudiate l'amore, quando si innalza fra qualcosa che voi vedete diverso, il cuore non sente ragione e le bocche si devono cercare, quando due mani si prendono in due non si cade, l'amore arriva e travolge, non esiste coppia perfetta per tutti, l'uomo può amare l'uomo e la donna può fare altrettanto, questa vostra fobia buttatela assieme ai vostri rifiuti.
Voi che siete così regolari, abbiate davvero paura dell'amore, perché vi sconvolgerà e vi lascerà senza fiato, e sarebbe anche bello se vi lasciasse senza parole. Aggrappatevi alle nuvole e lasciatevi trascinare, questo sentimento con la maiuscola prima o poi vi farà ricredere, sappiate che l'amore non è bianco o nero, ma contiene tutti i colori dell'arcobaleno e da quello aggrappatevi e iniziate a vivere, ma specialmente lasciate vivere chi al posto vostro non ha paura dell'amore.
Andrea Talignani scrittore
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The one with the fight and the “I love you”
Quando Ermal aveva saputo che Fabrizio sarebbe stato a Milano per ultimare la produzione dell'album, avrebbe voluto come minimo riempirlo di insulti.
Perché proprio non era possibile che Fabrizio non trovasse mai il tempo di andare a Milano, che pur di stare un po' insieme dovesse sempre essere lui quello che si spostava, e che l'unica volta in cui Fabrizio muoveva il culo da casa sua - certo, per lavoro e non per piacere ma questo era un insignificante dettaglio - lo faceva proprio mentre lui era in tour.
La fortuna, però, sembrava girare almeno leggermente dalla sua parte visto che proprio quella sera avrebbe suonato a Cremona. Non era esattamente dietro l'angolo, ma avrebbe potuto raggiungere Milano in meno di due ore.
Così alla fine, nonostante fosse problematico per entrambi, avevano deciso di vedersi a casa di Ermal. Vedersi nell'albergo in cui alloggiava Fabrizio sarebbe stato troppo rischioso, chiunque avrebbe potuto vederli.
L'appartamento di Ermal - facilmente raggiungibile ma abbastanza lontano dal centro per garantire la giusta privacy - era la scelta migliore.
Quando Ermal arrivò a casa sua - ormai a notte inoltrata - le luci della camera da letto erano accese, segno che Fabrizio era arrivato prima di lui.
Mai come in quel momento, la scelta di dare a Fabrizio una copia delle chiavi di casa sua - che mesi prima gli era sembrata avventata e l'aveva fatto restare in pensiero per giorni, a domandarsi se fosse la cosa giusta da fare o no - gli sembrò così sensata.
Entrò nell'appartamento senza preoccuparsi di non fare rumore, consapevole che Fabrizio lo stesse aspettando sveglio, e abbandonò in un angolo la giacca e la valigia. Avrebbe dovuto usare quel poco tempo che aveva per farsi una doccia, riposarsi, magari svuotare la valigia e mettere qualcosa in lavatrice prima della partenza per Tirana il giorno seguente, ma l'unica cosa che voleva fare era vedere Fabrizio e stare con lui.
"Bizio?" lo chiamò mentre si sfilava le scarpe e le abbandonava accanto alla porta.
"In camera!" rispose Fabrizio.
Ermal sorrise sentendo la risposta.
Adorava il fatto che, almeno in quelle poche occasioni in cui Fabrizio stava a Milano, si comportasse come se quella fosse casa sua. Si era ritagliato i suoi spazi con calma, senza risultare invadente. Ermal gliene era grato perché dopo la rottura con Silvia era stato difficile vivere in quella città, ma la presenza di Fabrizio glielo rendeva molto più facile.
Percorse il corridoio lentamente, sentendo improvvisamente tutta la stanchezza accumulata.
Avrebbe semplicemente voluto dormire per un giorno intero, ma sapeva che non sarebbe stato possibile.
"Ciao" disse entrando in camera e vedendo Fabrizio, con addosso semplicemente i boxer e una maglietta, seduto sul lato del letto che occupava ogni volta che stava a casa sua.
Fabrizio sorrise e, indicando il lato del letto vuoto, disse: "Ehi. Vieni subito qui vicino a me."
Ermal non se lo fece ripetere. Si tolse velocemente la camicia e i pantaloni, restando con addosso solo i boxer, e si buttò a peso morto sul letto, a pancia in giù e con la faccia affondata nel cuscino.
Fabrizio si mise a ridere. "Stanco?"
"Cosa te lo fa pensare?" disse Ermal ironico sollevando leggermente la testa.
Fabrizio gli passò una mano tra i capelli, massaggiandogli dolcemente la testa come era abituato a fare ogni volta che cercava di farlo rilassare. "Il concerto è andato bene?"
"Sì, ma qui sto molto meglio" disse Ermal sospirando e godendosi quelle piccole attenzioni.
"Forse non è stata una grande idea venire qui. Hai bisogno di riposarti" disse Fabrizio.
"Posso riposarmi anche se ci sei tu" borbottò Ermal, affondando di nuovo la faccia nel cuscino.
Fabrizio fece un sorriso malizioso e disse: "Sicuro?"
"Sicuro. Non ho le forze per fare qualcosa di diverso dal restare sdraiato qui e dormire" rispose Ermal.
Era ovviamente dispiaciuto di non avere più le forze per stare un po' con il suo compagno, soprattutto visto che non si vedevano da un po', ma nel momento in cui il suo corpo aveva toccato il materasso si era sentito come se la stanchezza avesse preso il sopravvento, portandogli via la voglia di fare qualsiasi altra cosa.
Fabrizio sorrise comprensivo. Conosceva bene quella sensazione di stanchezza post-concerto, che si insinua in ogni muscolo appena l'adrenalina se ne va.
"Allora dormi. Ne hai bisogno" disse accarezzandogli la schiena.
Ermal sospirò sotto la sua carezza, sentendo improvvisamente un po' di quella stanchezza scivolare via.
Fabrizio si sistemò meglio accanto a lui, continuando ad accarezzargli lentamente la schiena e soffermandosi poi sulle spalle, stringendole leggermente tra le dita.
"Ti prego, non smettere" mormorò Ermal con gli occhi chiusi.
"Hai la schiena rigida. Ti sei riposato un po' in questi giorni?" disse Fabrizio mettendosi seduto a cavalcioni su di lui e cercando di massaggiarlo meglio.
Ermal non rispose ma gemette appena sentì le dita di Fabrizio premere sulle sue spalle.
"Male?" chiese Fabrizio preoccupato. In fondo, non aveva la minima idea di come si facesse un massaggio e aveva il terrore di peggiorare la situazione.
"No, continua."
Fabrizio continuò a massaggiargli le spalle per qualche minuto, poi fece scorrere lentamente le mani lungo la schiena. Lo massaggiò per un po', come se con le sue mani potesse portare via tutta quella stanchezza, fino a quando Ermal disse: "È meglio che ti fermi, Bizio."
Fabrizio sollevò le mani di scatto, allarmato. "Ho fatto qualcosa che non va?"
"No, tutt'altro" si lamentò Ermal.
Era esausto, voleva solo dormire. Non era proprio il momento adatto per farsi venire un'erezione.
E per cosa poi? Solo perché il suo fidanzato gli aveva massaggiato la schiena per qualche minuto.
Si sentiva come un adolescente in piena tempesta ormonale.
Fabrizio sorrise rendendosi conto dell'effetto che le sue carezze avevano avuto su Ermal.
Si chinò su di lui, spalmandosi sulla sua schiena, e gli baciò il collo mentre con le mani gli stringeva leggermente i fianchi.
Ermal si lasciò sfuggire un verso a metà tra un gemito e un lamento e Fabrizio - comprendendo la sua frustrazione, il suo voler semplicemente riposare - disse: "Non ti preoccupare, faccio tutto io."
A quel punto, Ermal non ebbe più la forza - né la voglia - di dire di no.
Quasi non si accorse che Fabrizio gli aveva sfilato i boxer.
Ciò di cui invece, nonostante la stanchezza, si era accorto fin troppo bene erano le mani di Fabrizio che erano passate dal massaggiargli innocentemente la schiena a palpeggiargli le natiche.
Sospirò sentendo le mani di Fabrizio su di sé e strinse il bordo del cuscino tra le dita, mentre sentiva la sua erezione premere contro il materasso.
Fabrizio tornò a sdraiarsi su di lui - facendo leva sulle braccia per non pesargli troppo addosso - e iniziò a lasciare una scia di baci dalle sue spalle, seguendo poi la linea della spina dorsale da cima a fondo.
Ermal sotto di lui continuava a sospirare - complice anche il fatto che, quando Fabrizio si era sdraiato su di lui, aveva sentito chiaramente la sua erezione premere contro di lui - e a desiderare un contatto maggiore.
Non ebbe nemmeno il tempo di finire di pensarlo, che Fabrizio si era cosparso le dita di lubrificante - Ermal era talmente stanco che non si era nemmeno accorto che Fabrizio si fosse allontanato da lui per recuperare la boccetta nel cassetto del comodino - e aveva iniziato a massaggiare lentamente la sua apertura.
Un gemito scappò dalle sue labbra sentendo Fabrizio penetrarlo lentamente con un dito e poi aggiungerne un altro poco dopo.
Superato il breve fastidio iniziale, Ermal si ritrovò ad andare incontro alle sue dita, sollevandosi leggermente e tenendosi appoggiato sugli avambracci.
"Calmo. Ho detto che avrei fatto tutto io, cerca di avere pazienza" disse Fabrizio divertito.
In realtà, anche lui avrebbe voluto di più. Anche Fabrizio non vedeva l'ora di fare l'amore con Ermal, ma vederlo così succube delle sue attenzioni lo stava divertendo - e anche un po' eccitando - più di quanto avrebbe creduto possibile.
"Bizio, ti prego" mormorò Ermal.
"Addirittura mi stai pregando?" disse Fabrizio, allontanandosi da lui giusto il tempo di sfilarsi la maglietta e i boxer che aveva ancora addosso.
Ermal affondò la faccia nel cuscino, evitando di rispondere.
Lo metteva in imbarazzo quella situazione, il fatto di essere ridotto a supplicare il suo fidanzato di fare l'amore con lui perché non riusciva più ad aspettare. Lui non era così, non lo era mai stato.
Eppure con Fabrizio forse un po' era cambiato. Fabrizio era diventato una dipendenza, un qualcosa di cui proprio non poteva fare a meno, ed Ermal non poteva negare di essere spaventato da tutto ciò che provava per lui, al punto da non averglielo mai detto chiaramente.
Gli aveva fatto capire di tenere a lui, di provare qualcosa di forte, ma non glielo aveva mai detto perché nel momento in cui avrebbe deciso di dirlo ad alta voce sarebbe diventato reale e le cose reali fanno molta più paura di quelle che rimangono confinate nella testa e nel cuore.
Risollevò la testa, rendendosi conto che Fabrizio si era allontanato da lui da molto più tempo di quanto gliene servisse effettivamente per spogliarsi, e quando puntò lo sguardo su di lui rischiò di venire all'istante.
Fabrizio se ne stava in piedi davanti al letto e lo fissava con gli occhi liquidi di eccitazione, masturbandosi lentamente mentre cospargeva la sua erezione di lubrificante.
"Cazzo, Fabri" si lasciò sfuggire Ermal.
"Tu non hai la minima idea dell'effetto che mi fai" disse Fabrizio, ritornando a letto e posizionandosi dietro di lui.
Ermal sospirò sentendo la punta già umida dell'erezione di Fabrizio appoggiarsi alla sua apertura e trattenne il respiro quando lo sentì scivolare facilmente dentro di sé.
Fabrizio rimase immobile per un attimo, aspettando che Ermal si abituasse, poi appena sentì Ermal muoversi contro di lui, affondò maggiormente strappandogli un gemito sorpreso.
"Scusa" disse, mentre però continuava a spingersi in lui allo stesso modo.
"No, continua" sussurrò Ermal tra i gemiti.
Fabrizio gli strinse un fianco, mentre portava l'altra mano tra le sue cosce e iniziava a toccarlo al ritmo delle sue spinte.
Ermal si morse il labbro inferiore trattenendo un gemito, mentre Fabrizio affondava dentro di lui sempre più velocemente e con più forza, fino a quando Ermal venne nella sua mano.
Sentendolo stringersi attorno alla sua erezione, Fabrizio non riuscì a trattenersi e poco dopo venne dentro di lui.
Quando la sua schiena toccò il materasso, un attimo più tardi, un sospiro rilassato uscì dalle sue labbra. Poi si voltò verso Ermal e disse: "Sei ancora stanco?"
Il più giovane si girò su un fianco per guardarlo meglio e rispose: "Più di prima, in realtà. Ma non importa."
Fabrizio sorrise e lo attirò a sé, facendogli appoggiare la testa sul suo petto e stringendolo in un abbraccio.
No, non importava.
Nulla era importante quando erano insieme.
La mattina seguente, Fabrizio fu il primo a svegliarsi.
La sveglia che aveva impostato sul cellulare suonava già da almeno mezzo minuto, ma Ermal accanto a lui non dava segno di averla sentita.
Allungò una mano sul comodino per prendere il cellulare e spegnere la sveglia, poi si alzò dal letto cercando di non fare troppo rumore.
Ermal era esausto e poteva permettersi di dormire ancora qualche minuto.
Si trascinò fino alla cucina sbadigliando e stropicciandosi gli occhi ancora assonnati. Aveva dormito non più di tre ore e non si sentiva minimamente pronto ad affrontare la giornata. Probabilmente, appena tornato in albergo, si sarebbe rimesso a dormire.
Stava riempiendo la caffettiera, quando sentì Ermal entrare in cucina.
"Buongiorno. Potevi dormire ancora un po', ti avrei svegliato più tardi" disse Fabrizio voltandosi per un attimo verso di lui.
Ermal scosse la testa e si sedette a tavola. "No, ho troppe cose da fare. Devo svuotare la valigia, rifarla buttandoci dentro qualche vestito pulito... Ammesso che sia rimasto qualcosa nell'armadio. Ah, e poi devo assolutamente fare la lavatrice. Tutto prima di andare in aeroporto."
"Adesso la devi fare la lavatrice? Poi te ne stai lontano da casa per almeno altre tre settimane, non mi pare che sia così urgente" disse Fabrizio mettendo la caffettiera sul fornello.
"Bizio, dopo quello che è successo stanotte non esiste proprio che lascio quelle lenzuola dove stanno" rispose Ermal sbuffando.
Fabrizio si voltò verso di lui con un sorrisetto malizioso dipinto in faccia, poi disse: "Ti stai lamentando di quello che è successo?"
Ermal sorrise e abbassò lo sguardo imbarazzato. "No. Ovviamente non mi sto lamentando, anzi..."
"Sai, abbiamo ancora un po’ di tempo..." disse Fabrizio spegnendo il fornello - consapevole che di quel passo il caffè non lo avrebbero bevuto - e avvicinandosi pericolosamente a Ermal.
Come previsto, non era passato molto prima di ritrovarsi di nuovo nudi e aggrovigliati tra le lenzuola.
"Sei ancora in tempo per l'aereo, vero? Non ti sto facendo fare troppo tardi?" chiese Fabrizio, mentre Ermal se ne stava ancora sdraiato addosso a lui dopo l'amplesso.
Ermal scosse la testa. "No, tranquillo. Ho ancora qualche minuto. Dovrò saltare la colazione e probabilmente dovrò infilare in valigia le prime cose che capitano, senza nemmeno guardare cosa pesco dall'armadio, ma è per un buon motivo."
Fabrizio sorrise e si sporse verso di lui per baciarlo ma, proprio quando le loro labbra stavano per toccarsi, il cellulare di Ermal iniziò a squillare.
Il più giovane allungò una mano verso il comodino e, dopo aver gettato una rapida occhiata al display, sorrise e rispose dicendo: "Ciao, mamma!"
Colpito dall'improvvisa voglia di comportarsi come un ragazzino - cosa per altro gli capitava spesso da quando frequentava Ermal, e allo stesso modo anche Ermal aveva iniziato a comportarsi più come un adolescente che come un uomo di quasi quarant'anni - Fabrizio si sporse verso Ermal e, rivolto al telefono, disse: "Salve, signora!"
Ermal gli lanciò un'occhiataccia, mentre posava una mano sulla sua bocca nel tentativo di zittirlo.
"Scusa, ma sono un po' impegnato ora. Ti richiamo più tardi" disse continuando a tenere la mano ferma sulla bocca di Fabrizio.
Solo quando fu certo che sua madre avesse riattaccato, spostò la mano sospirando.
Fabrizio lo fissò in silenzio per un attimo, mentre Ermal ne approfittava per controllare un paio di messaggi che gli erano arrivati. Poi disse: "Mi hai zittito."
Ermal sollevò lo sguardo, abbandonando il telefono sul letto accanto a lui.
Fabrizio lo stava fissando con la fronte aggrottata e uno sguardo che gli aveva visto raramente, forse solo quando sgridava i suoi figli per qualcosa di veramente grave.
Così si affrettò a dire: "No. Cioè sì, l'ho fatto. Ma non perché mi vergogno di te. È che non voglio che mia madre lo venga a sapere così."
"Pensi che non le piacerò? O che magari non approverà perché sono un uomo?" chiese Fabrizio.
"No, niente di tutto questo. Solo che non voglio che venga a sapere di te mentre sei nudo nel mio letto" rispose Ermal con un sorriso, cercando di alleggerire la situazione.
Fabrizio sospirò, poi si alzò dal letto e, dopo aver recuperato i suoi vestiti, disse: "Tranquillo. Ora non sono più nudo nel tuo letto."
Non diede nemmeno il tempo ad Ermal di rispondere.
Si chiuse in bagno e quando uscì qualche minuto più tardi - perfettamente vestito e pronto per iniziare la giornata - si limitò a gettare un'occhiata veloce ad Ermal mentre recuperava il portafoglio e il cellulare dal comodino.
"Vai via?" chiese Ermal con un filo di voce, preoccupato che Fabrizio se ne stesse andando per colpa sua.
Aveva capito che Fabrizio non aveva preso bene il fatto che sua madre ancora non sapesse di loro, ed Ermal lo capiva.
Ma non era semplice per lui dire a sua madre che stava uscendo con qualcuno, soprattutto perché in quel caso avrebbe dovuto ammettere i suoi sentimenti per Fabrizio e non sapeva se si sentiva pronto a farlo.
"Sì. Torno in albergo, magari riesco a riposare qualche ora. Tanto tu tra poco devi andare in aeroporto" rispose Fabrizio.
Ermal annuì e lo seguì fino alla porta. Poi, mentre Fabrizio usciva, disse: "Allora ti chiamo quando arrivo a Tirana."
"Ok, ciao" rispose Fabrizio, iniziando a scendere le scale del palazzo di corsa.
Non lo aveva nemmeno baciato prima di andarsene, e quello per Ermal era un campanello d'allarme sufficiente.
Nei giorni seguenti, le cose tra Fabrizio ed Ermal sembravano essere cambiate radicalmente e allo stesso tempo non essere cambiate affatto.
Ermal l'aveva chiamato appena arrivato a Tirana, ma Fabrizio aveva rifiutato la chiamata e gli aveva mandato un messaggio dicendo che proprio non poteva rispondere. E così si erano solo scambiati qualche messaggio in cui Fabrizio sembrava sempre il solito, ma allo stesso tempo Ermal capiva che c'era qualcosa che non andava.
Tornato in Italia - per il concerto a Bari - Ermal aveva pensato che sarebbe stato più semplice mettersi in contatto con Fabrizio, che forse la sua mancanza di tempo per stare al telefono con lui era una cosa limitata ai giorni passati. Ma ovviamente dovette ricredersi.
Fabrizio non rispondeva alle sue chiamate, si limitava a mandargli messaggi veloci con qualche frase banale e non gli aveva chiesto nemmeno una volta come stesse.
Quel giorno, mentre se ne stava sul balcone a casa di sua madre a fumare l'ennesima sigaretta, Ermal per un attimo ebbe paura che qualunque cosa ci fosse tra lui e Fabrizio stesse volgendo al termine.
"Tutto bene?"
Ermal si voltò sentendo la voce di sua madre. Abbozzò un sorriso e disse: "Sì, tutto bene."
"Sicuro?"
Ermal abbassò lo sguardo. Non poteva mentire a sua madre, e non solo perché probabilmente si sarebbe sentito in colpa fino al giorno della sua morte. Non poteva farlo perché lei riusciva a capire quando mentiva.
"Ho un po' di pensieri per la testa. Niente di grave" disse buttando il mozzicone nel posacenere e appoggiando gli avambracci sulla ringhiera.
Sua madre rimase in silenzio, ma non se ne andò.
Ermal aveva bisogno di parlare, di sfogarsi su qualcosa, era chiaro. E lei non aveva intenzione di forzarlo, ma allo stesso tempo voleva essere lì quando finalmente lui avrebbe deciso di aprirsi.
"Sto frequentando una persona" disse Ermal, continuando a guardare fisso davanti a sé.
"In effetti, mi sei sembrato più sereno ultimamente. A parte oggi" disse sua madre sorridendo.
"Abbiamo avuto una piccola discussione, qualche giorno fa. Cioè, in realtà non so nemmeno se definirla discussione. Lui continua a dire che va tutto bene, ma a me non sembra."
Alla madre di Ermal ovviamente non era sfuggito il fatto che suo figlio si fosse riferito a un uomo, e in realtà non era nemmeno stupita.
Aveva notato un attaccamento sempre maggiore tra suo figlio e Fabrizio ed era certa che prima o poi tra loro ci sarebbe stato qualcosa.
A conti fatti, sarebbe stata molto più sorpresa se avesse scoperto che quel lui nominato da Ermal non era Fabrizio che il contrario.
"Lui, eh?" disse giusto per provocarlo un po', con il tono di chi in realtà ha già capito tutto.
Ermal si voltò di scatto, gli occhi spalancati e un po' di ansia nello sguardo.
Sua madre sorrise ancora, cercando di rassicurarlo, e disse: "Fabrizio?"
Ermal annuì senza parlare.
"Credo che sia una brava persona. E ti fa stare bene, lo ha sempre fatto" disse lei.
Ermal sospirò, sentendosi un po' più tranquillo. Poi disse: "E se fossi io quello che sbaglia? Lui fa stare bene me, ma non è detto che io faccia stare bene lui."
"Te l'ha detto lui questo?"
Ermal scosse la testa. "No. Solo che a volte mi sembra che lui sia un passo più avanti di me in questa relazione e io non riesco a raggiungerlo, rimango sempre bloccato un po' più indietro. Prima che partissi per Tirana, abbiamo discusso perché io non ti avevo ancora parlato di lui e della nostra relazione. Non lo so, mami, mi sembra che lui si sia buttato in questa storia senza nemmeno pensarci, ma io non sono così."
"Hai solo paura di ammettere che ti sei innamorato di nuovo. Sei stato talmente male l'ultima volta che hai amato qualcuno, che ora hai paura che succeda ancora" disse sua madre, capendo in un attimo ciò che Ermal provava.
Ermal abbassò lo sguardo, mentre sua madre aggiunse: "Però non devi farti fermare dalla paura. Tu non sei così, non ti fai sconfiggere così facilmente. Quindi digli semplicemente quello che provi e vedrai che si risolverà tutto."
Ermal sapeva che sua madre aveva ragione, che l'unico modo per risolvere le cose con Fabrizio era parlare chiaro.
Doveva dirgli cosa provava e doveva dirgli per quale motivo non glielo aveva detto prima, per quale motivo era così spaventato all'idea di amare di nuovo e per quale motivo non aveva parlato a sua madre della loro relazione.
Fabrizio meritava di saperlo.
Le settimane seguenti furono un inferno per entrambi.
Un inferno piacevole - pieno di concerti per Ermal e di riprese del nuovo videoclip e l'uscita della nuova canzone per Fabrizio - ma pur sempre un inferno.
Se prima di quel momento telefonarsi era stato praticamente impossibile, durante quelle settimane era diventato difficile anche solo sentirsi per messaggio.
In realtà, Ermal credeva che fosse un bene. Entrambi avevano bisogno di pensare a fare al meglio il proprio lavoro, senza distrazioni.
Ma non poteva negare che Fabrizio gli mancasse e che un misero messaggio al giorno non fosse sufficiente a fargli sopportare quella mancanza.
Forse era per quello che quando Fabrizio aveva annunciato l'uscita del suo nuovo singolo, Ermal aveva commentato il post con un: "Daje Fabri!" seguito da un cuore. Le interazioni tra loro erano talmente poche che Ermal cercava di trovare un pretesto qualsiasi per parlargli.
Eppure, nonostante quello, avevano continuato a sentirsi poco.
Certo, Fabrizio aveva risposto al commento scrivendo: "Bello compare mio" e aggiungendoci a sua volta un cuore rosso, facendo notare a tutti quanto ancora lui ed Ermal fossero uniti. Ma la realtà era ben diversa, e questo Ermal lo sapeva bene.
L'ultima data del tour era arrivata velocemente e allo stesso tempo con una lentezza estenuante, perché sembravano passati secoli da quando Ermal aveva visto Fabrizio nel suo appartamento a Milano.
Sentiva la mancanza di Fabrizio farsi sempre più forte, al punto che gli sembrava di avere un buco nello stomaco. Non riusciva a mangiare, a volte gli sembrava di non riuscire nemmeno a respirare.
Cantare era l'unica cosa che ancora, nonostante tutto, gli riusciva bene.
Ed era proprio per quel motivo, proprio perché ormai si sentiva come se non fosse in grado di fare niente se non cantare, che in quel momento si trovava davanti a casa di Fabrizio.
Era mattina presto, il sole era appena sorto e lui non aveva dormito. Si era messo in macchina appena finito l'instore a Torino e aveva guidato per tutta la notte, facendo una sosta ogni tanto giusto per non addormentarsi.
Marco lo aveva sgridato come una mamma premurosa quando aveva saputo le sue intenzioni, dicendo che avrebbe dovuto almeno dormire qualche ora prima di partire. Ma Ermal non poteva più aspettare.
Doveva parlare con Fabrizio e doveva farlo al più presto.
Suonò il campanello, fregandosene del fatto che fosse presto e che forse Fabrizio stava ancora dormendo, e attese pazientemente.
Quando la porta si aprì poco dopo e il suo sguardo incrociò quello di Fabrizio, Ermal sospirò.
Gli era mancato così tanto che ora che lo aveva di fronte a sé gli sembrava di non riuscire più a respirare.
Fabrizio si stropicciò gli occhi, convinto che non fosse ancora del tutto sveglio, ma quando spostò la mano dalla faccia Ermal era ancora lì.
Non stava sognando. Era davvero davanti a lui.
Senza dargli il tempo di parlare, Ermal fece un passo in avanti costringendo Fabrizio a spostarsi per farlo passare e farlo entrare in casa.
Fabrizio sospirò chiudendo la porta. Non aveva idea di cosa aspettarsi da quella visita improvvisa.
Le cose con Ermal erano diventate strane dopo la discussione di qualche settimana prima, e in realtà Fabrizio non sapeva nemmeno perché.
Ovviamente non poteva negare di essersi sentito un po' ferito sapendo che Ermal non aveva parlato di lui a sua madre, nonostante si frequentassero da mesi. Dall'altra parte però, dopo un po' di fastidio iniziale, aveva dovuto riconoscere che non era un motivo valido per allontanarsi così tanto.
Il problema era che se n'era reso conto quando ormai sembrava essere troppo tardi. Ed ora non sapeva come comportarsi e, come se non fosse abbastanza, aveva paura che Ermal si fosse presentato a casa sua per dirgli che era finita.
"Ti amo."
Fabrizio si votò lentamente verso Ermal, convinto di aver sentito male.
Non glielo aveva mai detto. Anche se si frequentavano da mesi, anche se entrambi avevano dimostrato di provare quei sentimenti.
Ermal chiuse gli occhi per un attimo, poi sospirò e disse: "Non ho parlato di te a mia madre perché lei è la persona più importante della mia vita e prima di dirle una cosa del genere dovevo essere sicuro."
"Sicuro di cosa?"
"Del fatto che tu sei importante almeno quanto lei. Ho sempre saputo che saresti stato una persona importante per me, fin da quando ci siamo conosciuti, ma non riuscivo ad ammettere che lo fossi così tanto. L'ultima volta che mi sono innamorato di qualcuno, che ho fatto progetti con qualcuno, non è andata bene. Avevo paura che potesse succedere di nuovo" disse Ermal.
Aveva parlato velocemente, quasi senza prendere fiato tra una frase e l'altra, e aveva lasciato Fabrizio senza parole.
Era troppo, tutto insieme. Sapere che Ermal lo amava, che non glielo aveva mai detto perché aveva paura di soffrire di nuovo, lo aveva lasciato a bocca aperta, senza sapere cosa dire.
E così, Fabrizio non disse niente.
Percorse la stanza velocemente, fino a raggiungere Ermal, e lo baciò.
Ermal sorrise contro le sue labbra, felice che le cose tra loro si fossero rimesse a posto.
Non aveva dubbi che Fabrizio lo amasse tanto quanto lo amava lui, ma non era mai stato del tutto convinto che l'amore vincesse su tutto e aveva avuto paura che la discussione di qualche settimana prima avesse incrinato il loro rapporto.
"Mi ami davvero?" chiese Fabrizio allontanandosi leggermente da lui ma continuando a circondargli il viso con le mani, quasi avesse paura che altrimenti sarebbe svanito nel nulla.
Ermal annuì sorridendo e Fabrizio lo baciò di nuovo, questa volta più appassionatamente spingendolo contro il muro del salotto e premendo il corpo contro il suo.
"E tu non me lo dici?" disse Ermal scostandosi improvvisamente.
Voleva sentirselo dire, non poteva negarlo.
Fabrizio sorrise e disse: "Tra un po'. Preferisco lasciarti un po' in sospeso."
Poi riprese a baciarlo ed Ermal non protestò.
In fondo, avevano una vita intera per dirsi ti amo.
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Prompt della maggggica @brandyamber : Ho pensato che la storia d'amore fra Ermal e Fabrizio si svolge in questo spazio-temporale che racchiude i giorni nostri. Vivono entrambi a Milano. Hanno faticato molto per stare insieme, ma adesso eccoli qui, capaci di vivere una quotidianità piena di piccoli gesti e tanto amore. Succede però che tutta questa bellissima dimensione viene rotta da un evento poco felice: Ermal scopre di avere l'AIDS perché una sera in cui era in trasferta per lavoro finisce a letto con un'altra persona, non riuscendo a trattenere i propri istinti. Fabrizio la prende malissimo: non solo per la sua spiccata ipocondria, ma soprattutto perché ha sentito benissimo il suo cuore rompersi, fragile come una goccia di cristallo.
With the lights out it's less painful.
Stava lì, semisdraiato sul divano un po’ mangiucchiato dal tempo e dai bottoni dei jeans che tiravano i fili della trama, si sentiva stanco e non aveva voglia di mettere qualcosa sotto i denti. Giocava con gli anelli che portava alle dita mentre alla tivù passava una replica di quegli sketch comici della Hunziker e De Luigi, si chiedeva perché la sua storia d’amore non fosse mai stata come la loro.
A dire la verità, a volte lo erano. Stavano bene, si divertivano e si sentivano innamorati persi senza chiedersi il perché o il come determinati eventi prendevano piede nelle loro vite e li scaraventavano in realtà sporche e torbide.
Ermal sentiva come un disturbo sotto la pelle, nelle viscere che lo faceva sentire nervoso: da qualche anno si svegliava spesso di notte colto da crisi di ansia e panico ma Fabrizio ha sempre fatto in modo che il più giovane mantenesse la lucidità e non si lasciasse sovrastare dalle emozioni. Non sempre andava bene, non sempre Ermal manteneva la lucidità necessaria per tenere a bada gli istinti e nuove crisi ancora più forti delle precedenti e si trovava in bilico sul davanzale della finestra o con le mani spaccate, lacerate a forza di tirare pugni ai muri e agli infissi.
Fabrizio portava pazienza, sapeva che queste crisi passeggere lo facevano essere fuori di sé e doveva solo saperlo calmare, prenderlo con le pinze e tenerlo un po’ al sicuro, al caldo senza farlo sforzare troppo.
“Ermal, ti va l’arrosto?” si affacciò Fabrizio dalla cucina. Il più giovane scosse la testa curvando le labbra in una smorfia di disgusto, “Non puoi non mangiare, ti rendi conto che sei dimagrito troppo nell’ultimo periodo.” sbottò l’altro piccato.
“Sto bene, stai tranquillo.” tossicchiò sistemandosi meglio sul divano con la consapevolezza che no, non stava affatto bene. “Non me la racconti giusta.” ridacchiò leggero il compagno togliendosi il guanto da forno e lanciandoglielo per gioco.
“No Bi, fidati.” e mise quella faccia da ti prego credimi, ti scongiuro sperando ardentemente che l’altro facesse spallucce e se ne tornasse sui suoi passi. Non fu così, gli si accomodò in parte e lo guardò come se fosse un’opera d’arte. Osservava attentamente ogni dettaglio del suo volto, ogni piccola cosa che lo rendeva unico: le pagliuzze dorate in quegli occhi color nocciola, i ricci che cadevano morbidi davanti ad essi nascondevano quello sguardo stanco e maledettamente profondo, quello che riusciva a raggiungergli l’anima.
“Sei bello” soffiò poi scostandogli i capelli dal viso e sistemandoli dolcemente dietro l’orecchio di sinistra. “Ma che cosa dici Fab!” rispose quasi scioccato, come se gli avesse confessato un segreto oscuro e torbido. Come se non ci credesse, come se non lo sapesse.
“Sei bello Ermal, sei molto bello” ripetè schiarendosi la voce. “Sono bello?” e Fabrizio annuì appena curvando le labbra in un sorrisetto genuino. “Posso essere bello quanto vuoi, però dimmi: se tu fossi cieco, riuscirei ad impressionati ancora?”
Fabrizio fece per pensarci su un po’ ma la risposta la sapeva già, la custodiva nel cuore. “Certo che sì!” sussurrò poi.
“Come fai ad essere così sicuro?”
“Ne sono sicuro perché ogni tua piccola attenzione, ogni tuo atteggiamento e pure quel sorrisi nascosti mi farebbero sentire meno cieco.”
“Tu sei un pazzo visionario” ridacchiò Ermal posando le mani sulle guance dell’altro accarezzandogli gli zigomi con i pollici. “Non sono un visionario, ho solo detto la verità” e si avvicinò all’altro posando un bacio leggerissimo sulle labbra.
Ermal sentì una fitta al cuore, una di quelle che si sentiva quando capiva perfettamente cosa stava per succedere di lì a pochi minuti. Tremò leggero tra le braccia di Fabrizio con la consapevolezza che forse non avrebbe retto più di tanto con quel segreto che gli opprimeva il petto da mesi ormai. “Ermal, stai bene?” sussurrò con tono preoccupato accarezzandogli dolcemente il viso.
Parigi era bella, la amava e amava specialmente quell’atmosfera strana ma piacevole seduto su quella seggiola di paglia fuori ad un bistrò gustandosi del pain au chocolat e una tazza di caffè lungo. Sapeva che non avrebbe dovuto berlo, sapeva che poi avrebbe passato la notte insonne ma non gliene importava affatto. A Parigi c’era per lavoro, aveva un paio di report da organizzare e degli articoli da redigere per una nota testata giornalistica italiana, nulla di particolarmente diverso da ciò che faceva di solito.
Prese in mano il telefono, sbloccò lo schermo usando l’impronta digitale sperando ardentemente di trovare un messaggio o una chiamata da Fabrizio, non gli rispondeva da ore né ad una chiamata né ad un messaggio. Sentì un moto di ansia torturargli lo stomaco ma la represse prontamente, starà sicuramente lavorando.
“No Fabrizio, niente va bene” sussurrò allontanandosi da lui per osservare al meglio il suo volto. L’altro si allarmò, gli posò però una mano sulla coscia come per dirgli dimmi, dimmi cosa ti turba. “Fabrizio, vorrei fosse facile dirti tutto.” e il cuore gli si incrinò nel petto.
Si svegliò sentendo il cellulare squillare, gli faceva troppo male la testa per pensare con lucidità. Aprì piano gli occhi e accarezzò piano il soffice piumone bianco sentendosi così stanco e affaticato, si guardò intorno cercando la sua fidata bottiglietta di acqua e le sue pastiglie ma effettivamente quella in cui aveva passato la notte non era la sua camera.
Si tirò a sedere di scatto sperando di trovare una spiegazione valida a quel casino: il letto era sfatto, segno che un’altra persona aveva dormito con lui quella notte. La finestra era leggermente aperta e uno sbuffo di aria gelida raffreddava l'ambiente, spostò le coperte e, nudo, si alzò in piedi avvicinandosi all’infisso e chiudendolo. C’erano vestiti ovunque, le sue cose sparpagliate per la camera e della memoria nemmeno l’ombra.
Il telefono riprese a squillare, era Marco.
“Ermal, così mi fai preoccupare. E’ un’altra delle tue crisi, non è così?” e il tono urgente di Fabrizio, gli occhi nocciola piantati nei suoi luccicavano di preoccupazione con un velo di tensione a coprire quella brillantezza che li contraddistingueva. “Fabrizio, mi spiace.”
Marco lo strattonava giù per le scale di quell’albergo in Pigalle sibilando imprecazioni e mannagge al genere umano. “Che cosa ti è saltato in mente Ermal? Sei pazzo? Chi era quel ragazzo con cui sei andato via ieri sera?” ma la memoria non voleva aiutarlo, la testa girava all’impazzata e la nausea gli attanagliava la gola. “Quanto hai bevuto ieri sera?” fu la domanda urgente dell’amico. “Non lo so.” rispose percependo il nervoso e l’ansia pungere sotto la pelle.
“Cosa è successo a Parigi?” fu la domanda pacata di Fabrizio, Ermal non poteva e non riusciva a guardarlo negli occhi dopo aver accennato di quel soggiorno. Vedeva e percepiva che l’altro era fuori di sè ma preferiva non urlare, sbraitare e lanciare qualche piatto.
Si era arrabbiato, Fabrizio non rispondeva al telefono e una crisi lo colse senza che nessuno potesse calmarlo, era convinto che lo stesse tradendo. Andrea, quell’Andrea che lavora con lui in studio. Si sentono spesso, mi tradisce. Mi fa schifo. Lo odio. Bevo. Voglio dimenticare. Il resto erano solo le luci soffuse di quel bar e i bicchieri che si portava alle labbra per svuotarli in due sorsi abbondanti. E poi quel ragazzo, da lì in poi il nulla.
Ermal si alzò dal divano e si avvicinò al mobile poco distante da lì, dal cassetto estrasse una busta e su di essa, stampato, il logo di un distretto ospedaliero. “Ermal, che cosa è?”
Era tornato a casa con un fardello enorme sul cuore, era tornato al suo lavoro e alla sua vita come se nulla fosse. Trascorse mesi e mesi così: allontanando dalla sua memoria i sensi di colpa. Accusava strani sintomi: era stanco anche dopo una giornata a non fare nulla sul divano, anche quando con Fabrizio passavano la domenica a letto. Mal di gola, febbre, linfonodi ingrossati e la rapida perdita di peso. Fabrizio si era preso un po’ male, gli aveva ordinato di fare qualche esame, aveva chiamato il medico ma Ermal l’aveva sempre rassicurato. Che cosa mai può essere?
“Fabri, sono positivo.” disse ma si tradì e la voce gli si incrinò sull’ultima sillaba. “Che cosa Ermal? Che stai dicendo?” le mani gli tremavano. Non l’aveva mai visto così, sapeva benissimo che quello che stava per dire l’avrebbe ferito a morte. Quel Fabrizio che nonostante tutto l’amava, lo stringeva e lo calmava. “Sono risultato positivo all’HIV.”
Il medico gli aveva prescritto dei cicli di cura, non si può sconfiggere questa malattia autoimmune, semmai la si controlla. Gli aveva detto che era fortunato, l’avevano capito abbastanza in tempo. Era risultato positivo all’HIV ma c’era ancora qualcosa da poter fare. Si era rovinato con le sue stesse mani.
“No-noi…” balbettò il moro, di colpo si trovò senza parole.
That's all it is, there is no other way. It's over.
“Fabrizio, io davvero non…”
“Ermal.” la voce roca e bassa dell’altro chiamò il suo silenzio. Vedeva solo tanta delusione negli occhi. Si torturava le mani, tremavano e sentiva gli occhi pizzicare. Fabrizio era pallido, scosso e visibilmente a disagio, con lo stomaco ingarbugliato, i muscoli tesi e gli occhi sbarrati. “Ermal, sei stato con un’altra persona?”
“Pensavo mi stessi tradendo.” riuscì solo a soffiare.
It too much, it's so heavy. There is no peace.
“Tu pensi, pensi e basta!” fece l’altro con un ringhio. “Ermal che cazzo ti è saltato in mente?” gli occhi ridotti una fessura ora più scavati. “Fabrizio mi hai risposto in tutto il giorno, che cosa dovevo pensare?” si adirò Ermal battendo il pugno sul bracciolo imbottito del divano.
“Ermal.” alzò la voce. “Io? Pensavi veramente che io potessi tradirti? Pensavi veramente che io potessi andarmene con un altro? Un altro come Andrea?”. Ermal si spaventò, la rabbia gli fece brillare gli occhi. “Ermal, perchè hai fatto questo?”
“Non lo so Fabrizio, ero fuori di me, ero ubriaco e…”
“Ubriaco?!” e si passò una mano tremante sugli occhi, Ermal sapeva che si stava trattenendo. Sapeva che aveva mille domanda che gli frullavano per la testa, sapeva che sentiva la paura nelle ossa. “Ubriaco Ermal? Ma ti senti?”
“Quanto tempo fa l’hai scoperto?” e Ermal fece un tre con le dita. “Tre cosa Ermal?” la voce si alzò di un’ottava, roca e bassa più del solito. “Tre settimane, Fabrizio.” pronunciò tremante.
“Sei mesi fa sei stato a Parigi! In tutto questo tempo non mi hai mai detto nulla? Non hai mai avuto niente da dirmi?” era fuori di sé, lontano da Ermal. Spaventato, illuso, ferito.
“Abbiamo anche avuto dei rapporti!” e si alzò dal divano sfatto, le mani tra i capelli corvini. Mosse un paio di passi per non sentire la tensione avanzare nel suo corpo. “Fabri, erano protetti.” ma non lo guardò negli occhi, Fabrizio già si stava allontanando da lui. Già sentiva che qualcosa si era rotto irrimediabilmente. Lo sentiva nervoso, teso, sentiva il suo terrore.
“Ermal, ma che diavolo ti è preso?” il riccio sentiva le lacrime agli occhi, non percepiva nulla se non il suo cuore battere all’impazzata nel petto. “F-Fabrizio io...” ma non sapeva seriamente che dire o che fare.
Fabrizio toccò l’interruttore, spense la luce del soggiorno e sospirò forte mentre il buio li avvolgeva, solo la tivù accesa su quelle repliche proiettava lame di luce blu per la stanza e toccava il volto di entrambi. Ermal si permise di guardarlo e ammirare il profilo perfetto dell’altro, gli occhi chiusi e le lunghe ciglia che sfioravano gli zigomi alti e pronunciati.
“Che cosa fai Fabrizio?” sussurrò Ermal tremante, l’altro non si mosse ma pronunciò solo: “Con il buio fa meno male, almeno non rischio di cadere nei tuoi occhi.”
Grazie come al solito per aver letto questa cosa, spero di essere stata abbastanza brava e di aver trattato la tematica in modo decente. Grazie per il prompt (sempre felice di sviluppare❤), grazie anche alla maggica @haipresoilcuoredistriscio che beta e che mi sopporta (te amo.) Grazie al fandom che amo incondizionatamente.
Detto ciò, vi abbraccio.❤
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Speaker: Dicono che l'anima, ritrova sempre la strada di casa. Non importa quanto tempo è passato, non conta se il momento è quello giusto. L'anima torna. Ma quello che mi chiedo è quale è la sua casa? Questa città? Questa gente? Siamo davvero noi la casa dell'anima o piuttosto la sua gabbia? E questi pensieri che ci girano in testa forse sono le sue catene? Speaker: Volete sapere la mia sull'anima? L'anima non invecchia. E' questa la fregatura, che a una certa età ti ritrovi ancora smanioso, non stai più nella pelle ma devi aspettare di tirare le cuoia per ricominciare! Siamo nella ruota della vita amici! Speaker: Siamo nel circolo vizioso della morte e della rinascita! Ci siamo dentro da secoli e non riusciamo proprio a venirne fuori! Sempre le stesse anime riciclate in mille sacchetti diversi, viviamo mille volte e mille volte siamo da buttare. Ah, se almeno potessimo ricordare ciò che siamo già stati!!! Antonia: Facciamo così, mi porti in un posto che le piace. Anzi, in un posto che le ricordi qualcosa! Sergio: Ma lei davvero non ha una meta? Antonia: Ho solo una grande confusione in testa e un grande vuoto. Sergio: E allora siamo in due. Speaker: Non c'è più tempo per l'ordinario, per i giorni che si danno il cambio senza che cambi niente. Ecco cosa, i giorni sono la nostra gabbia! Antonia: Preferisco farmi guidare, ho già fatto troppe scelte sbagliate. Alfredo: Tu non smettere di suonare, mi raccomando. Sergio: Lo sai che non mi piace suonare da solo, mi mette tristezza. Alfredo: Ci sono tanti musicisti anche più in gamba di me, lo sai benissimo! Quindi non cercare giustificazioni. Non piangerti addosso. Sergio: Sei uno stronzo. Questo viaggio non ha senso, torna a casa tua. Alfredo: Se scopro che hai preso la licenza di tassista da zio Luciano, mi incazzo davvero. Non buttare il tuo talento, fratellino! Sergio: Se si tratta della mia vita, faccio quello che mi pare. Speaker: Se abbiamo già vissuto mille vite, se è già da così tanto tempo che siamo al mondo, allora vuol dire che ci conosciamo già da un bel pezzo! Ci conosciamo tutti! Se siamo sempre gli stessi a popolare questo mondo, svegliamoci! Rallegriamoci! Abbracciamoci! Alfredo: Non è facile da spiegare, però è una cosa importante. E' importante per me. Alfredo: Sergio!!! Sto cercando di comunicarti una cosa importante, una mia esigenza! Sergio: E io invece ho bisogno di fare musica! Ho bisogno di buona musica intorno a me e tu invece mi passi cattive vibrazioni! Alfredo: Ma va, va! La buona musica allora è solo quello che piace sentire a te! Sergio: Esatto!!! Esatto!!! Alfredo: Beh ascolta quello che ti dico allora, se avere orecchio per la musica vuol dire essere sordo a tutto il resto, allora io ho chiuso con la musica. Nando: Me ne capitassero a me di occasioni così! Sergio: Ma tu non sei sposato? Nando: Eh si, ma perché quella è l'unica occasione che ho avuto! Che facevo, me la lasciavo scappare?! Alfredo: Insomma ora sei un tassista. E la musica? Sergio: E' nell'anima. Alfredo: Cerca di fare quello che più ti rende felice. Robert Thurman: Il karma è un concetto biologico, non è solo un principio mistico. E' un concetto biologico molto importante, perché secondo il karma abbiamo tre geni non solo due. Tre tipi di geni: quelli di nostra madre, quelli di nostro padre e quelli della nostra vita precedente. E proseguiamo verso la prossima vita, non come anime statiche e immortali, ma come un continuum come "geni spirituali" come dicono i buddisti. Questo significa che quello che facciamo, tutto quello che facciamo, è per sempre. Come nell'idea di Nietzsche, per esempio. Il concetto di Eterno Ritorno, secondo il quale ripetiamo le stesse cose in eterno e non dovremmo fare qualcosa che non siamo disposti a ripetere per sempre. Luciano: A me già l'odore di muffa delle Chiese, per non parlare dell'incenso, mi fanno venire il nervoso. Ma come si puo' concepire la Casa del Signore così inospitale! Un luogo così tetro con tutte quelle immagini angoscianti. Come puo' una pecorella smarrita ritrovarsi inmezzo a tutti quei fronzoli barocchi! Sergio: Zio Luciano, è che io non ricordo più chi sono. Luciano: Che vuol dire "Non ricordo"? E' come se uno chiedesse "Scusi, si ricorda che ora è?" Siamo qui! Siamo ora! Siamo quello che possiamo, quello che ci riesce meglio! Sergio: E si vede che la cosa che mi riesce meglio è ricordare. Questi ricordi mi ossessionano, ma sono tutto quello che mi resta. Gallerista: Il punto è questo, la gente cerca sempre cose nuove e butta via quelle vecchie. Ma se la felicità fosse questa, ci troveremmo presto senza più un soldo e seppelliti dalla monnezza. Pinotta: Tutti salutisti so diventati. Ma io mica voglio morire in salute! Pinotta: Quelli volevano solo i miei soldi, ma i soldi sono tutto quello che mi resta di mio marito. Mica glieli do' a loro i miei soldi. Pinotta: Crescere da soli è come giocare a pallavolo contro il muro. Speaker: Il senso delle cose sta tornando. E noi torneremo a capire! Ma, il punto è, ci piacerà quello che capiremo? Sergio: Sono confuso perché ci vedo chiaro. Erika: Ecco. Queste sono parole di un uomo confuso. Sergio: Erika, cosa vuoi? Perché sei ancora qui? Erika: Voglio capire, almeno! Sergio: Chi vuol capire tace, perché non provi anche tu. Erika: Le persone normali domandano, quando vogliono capire! Antonia: Non riporre alcuna aspettativa è una buona alternativa, per evitare delusioni. Sergio: Vi siete chiesti chi cazzo sono io??? Ditemi! Cosa me ne frega a me delle vostre storie, se poi ognuno se ne va per i cazzi suoi. Che cazzo mi venite a raccontare gli affaracci vostri se poi mi dovete lasciare solo!!! Sergio: Vaffanculo a quelli che si sfogano con me e poi di me non gliene frega un cazzo. Vaffanculo a tutti quelli che si curano solo del loro fottutissimo orticello e poi mi vengono a fare discorsi sull'umanità malata!!! Voi siete l'umanità malata!!! Sergio: Vi lamentate di quello che la gente, lo Stato, il mondo non vi dà. Mettete la vostra famiglia sopra ad ogni altra cosa, come se fosse davvero un valore. La famigghia! La corruzione, le raccomandazioni non vi stanno bene, ma se si tratta dei vostri figli però eh! Saresti disposti pure a farmi un buco in fronte. Ci sputo sui vostri figli che vi destano tanta preoccupazione, perché cresceranno più brutti di voi grazie a voi! Speaker: C'è gente che ha talento in giro e sta per strada ad elemosinare. O chiusa in casa a piangersi addosso, oppure in giro a leccare il culo da anni a un vecchio professore universitario aspettando che crepi. Ma in questo paese i vecchi, anche quando crepano, restano incollati alle poltrone. Io non so come facciano! Questo è un mondo per vecchi, amico. Un migliaio di vecchiacci avidi e decrepiti sparsi per il mondo hanno in mano tutto il capitale, tutto il potere, non hanno una cazzo di idea di cosa sia il futuro dell'umanità. E nemmeno gliene frega più tanto. Ci dobbiamo svegliare, mi dico. Ma non ci sveglieremo. Speaker: Sto solo cercando di capire, se si puo' essere felici anche senza un futuro. Sergio: E si puo'? Speaker: Si puo' essere felici col pensiero che più nessun'altro sorriderà dopo di te? La gente ha perso la speranza. E' rassegnata, chiedi in giro. Sono tutti convinti che domani andrà peggio di oggi. Parlano come se loro non c'entrassero niente, come se il mondo non gli appartenesse e neppure il futuro. E il punto è che è così. La strada è dritta e punta verso il baratro. Chi di noi singolarmente, puo' cambiare davvero qualcosa? Chi puo' invertire la rotta? Sergio: Non pensi che, a un certo punto, qualcuno si ribellerà? Speaker: Solo se qualcun'altro gli toglie i telefilm. Sergio: E insomma, come va a finire l'ultima puntata della storia dell'umanità? Speaker: Finisce così. Staremo seguendo la nostra serie preferita alla TV, nella nostra gabbia dorata. E l'infelicità ci coglierà e sarà tardi capire perché siamo infelici. Perché il problema dell'infelicità è che non ha ragioni, non ha motivi, non ha proprio niente da dire l'infelicità. Speaker: Finché i musicisti non scendono dai taxi, finché i poeti servono ai tavoli, finché gli uomini migliori lavorano al soldo di quelli peggiori, la strada corre dritta verso l'Apocalisse. Papà: Io ti capisco, ti sarò sembrato sempre un po' distante come se non avessi nessuna considerazione di te. Ma il punto è che tu mi stupivi, è qualcosa che non mi è familiare. Sei più di quello che ti ho dato, più di quello che conosco. Magari qualche volta avrai pensato che la mia fosse diffidenza, ma non è così. Io ero ammirato per ciò che eri, ma non era merito mio. Sergio: Io capisco tutto Pà, ma non per questo la pioggia smette di cadere. Io li capisco i vostri discorsi, siete tutti così logici, ragionevoli. "Ne convengo", "Senz'altro", "Ma bisogna considerare che", "La vita è fatta così", "...è fatta colì". Bravi. Siete tutti così vicini al vero, che la realtà non si scosta di un centimetro dai vostri discorsi. Ma il punto, è che i vostri discorsi non spostano la realtà di un centimetro! Amo mille volte di più le menzogne, le cazzate, i buffoni, i ciarlatani, le favole per i bambini, le promesse da marinaio! Amo quelli che non si conformano, quelli che le vostre ovvietà non le tollerano! Perché io non voglio vederle. Io non l'ho votata questa realtà. Io voglio pensare le cose che non si sono mai pensate! Voglio vivere cose mai vissute! Vedere cose mai viste! Voglio la musica!!! La musica giusta al momento giusto!!! Voglio l'impossibile, l'improbabile!!! Alfredo: La verità è un'altra, perché la menzogna è un'altra. Alfredo: I pensieri sono fatti della stessa materia dei sogni. Un pensiero felice vale come un pensiero triste. La tristezza te la danno per poco, ma pure la felicità non costa nulla! Allora tu che scegli? Quando rovisto nel passato trovo dolore e morte. Quando cerco nel futuro ansia e illusioni. Ma quando frugo nel presente, trovo questo presente. Questo qui.
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Mia sorella.
Oramai lascia la casa in cui andammo a vivere perché "non c'è la fa più col peso delle bollette e dell'affitto addosso", il giorno dopo dette queste parole, ha fatto una torta, le persone povere non fanno le torte, io quando non c'è la facevo per il peso delle bollette e dell'affitto, per colpa del suo menefreghismo nel andare a vivere con quello e quell'altro e lasciarmi inculata con tutto da pagare, vivevo di cibo in scatola, i miei soldi principalmente li spendevo per comprare da mangiare ai cani;
Il giorno in cui mi parlò di questa sua decisione, vista la mia futura convivenza decisa e confermata, preceduta da una accaduta "per caso", il benessere psicofisico trovato mi fa capire che è la scelta giusta, essere così tranquilli, senza persone in casa che non vorresti avere, senza litigi, senza odio, ha influenzato la mia scelta e portata a comportarmi proprio come lei ha fatto con me varie volte.
In più, se lei si fosse comportata decentemente, non avrebbe mai avuto di questi problemi;
Sì, io sto con una persona con cui cominciai a parlare tempo tempo fa, ma che la mia poca autostima mi portò ad allontanare; poco dopo cominciò a uscirci mia sorella, andarono varie volte a letto insieme, poco dopo, lei, si stancò e partì verso il sogno del suo amore platonico e lontano, lasciando questo ragazzo nella delusione, trattandolo male; durante questa frequentazione lei presentava la situazione, alle amiche, con leggerezza, come se avesse trovato solo un cazzo da poter avere vicino casa in una situazione di chiusura totale che era la prima quarantena;
Dopo la sua partenza e la mia totale asocialità, trovai facile passare del tempo con questo ragazzo, oramai abituata alla sua presenza in casa per via della frequentazione con mia sorella, di cui non mi dispiaceva la compagnia e con cui trovavo davvero tanti punti in comune su sensibilità, pareri e sofferenza;
Il giorno prima che tornasse mia sorella, accadde, andammo a letto insieme, lo dissi subito a lei, che mi consigliò di allontanarlo, perché dal suo punto di vista lo fece solo per far fastidio a lei, io, presa dai miei dubbi e insicurezze, che ho sempre nel conoscere una persona, sentire da altri parole che avevo già pensato, mi fece capire che i miei pensieri avevano un fondamento.
È da tenere presente che durante la compagnia di questa persona, non ci fu mai una parola, mai uno sguardo, mai un gesto che non andasse oltre alla conoscenza; per dirla in parole semplici, se una persona mi tocca la mano per sbaglio, mi da fastidio.
Tenendo conto della situazione, prendendo in considerazione tutti i fatti e tutte le ipotesi, tentai di allontanarlo, benché non vedessi oggettivamente delle motivazioni per farlo; il mio orgoglio e il mio senso del dovere nei confronti di mia sorella, mi portarono a farlo, benché lei non avesse mai proclamato nessuna forma d'amore o allietamento da questo ragazzo, di cui invece parlava in modo così crudo e duro;
"Mi fai schifo" mi disse, "sino a che stai con lui non contare su me", affermò; (queste parole me le disse dopo circa un mese dal mio tentativo fallito e dalla mia sincerità nel par gliene subito) dico solo che se qualcuno ha qualcosa da dire lo fa subito, non dopo un mese, quindi pensai fosse solo frutto della sua insoddisfazione personale e vaginale e non diedi tanto peso alle sue parole, ma anzi, feci finta di niente, senza agitarmi più di tanto;
Poco tempo dopo, indovinate un po', un nuovo cazzo in casa con cui lei andava a letto, prima ci fu una convivenza molto corta, poi lo portò in casa nostra (perché hey, non deve sempre essere lei quella che va a vivere a casa degli altri), quindi, a quel punto, loro due vennero a vivere a casa mia e di mia sorella, in cui vivevamo io e il ragazzo numero 1 (lo chiameremo così in quanto è il primo della lista, ne proseguiranno altri) il suo ragazzo (che chiameremo ragazzo numero 2) non trovava gradevole la presenza del ragazzo numero 1 in casa, quindi dopo un susseguirsi giorni e litigate, io e il ragazzo numero 1 andammo a vivere definitivamente a casa sua (cosa che prima facevamo a giorni alterni); a questo punto non successe nulla per un po', sino a che lei un giorno, presa in pensiero dalle litigate con ragazzo numero 2 e dalla sua vita insoddisfacente, riversa la sua tristezza nel risentimento e nel pentimento delle sue azioni scrivendomi che avrei dovuto avere più rispetto nei suoi confronti, che se anche le lumache sono difficili da mangiare non vuol dire che a lei non piacciano e cose del genere, che identificavano un cambio di idea su come si comportò col ragazzo numero 1; cosa che mi fece disperare nel pianto e nell'autocommiserazione per due giorni, per come mi ero comportata e per come l'avevo fatta sentire e per tutta la sofferenza che le avevo creato; la cosa durò il tanto da ricordarmi di tutti i giorni che ho passato da sola a piangere nel pavimento in cucina e tutta l'indifferenza che avevo trovato da parte sua. Quindi presi in mano tutta la mia tristezza e la trasformai in rabbia e rancore, il tutto finì come sempre in un limbo di litigate e discussioni che non abbiamo mai portato a termine;
(Stiamo per finire, non preoccupatevi)
Il mese scorso mi dice che vuole andare via dalla casa in cui sta, che ha lasciato il ragazzo numero 2 e che va a vivere da nostro padre, le dico che va bene, di farmi sapere una data, così vengo a prendere la mia roba, perché tanto anche io e ragazzo numero 1 andavamo a vivere in una casa poco più avanti di questa, ma col giardino;
Settimana scorsa mi dice che è in cinta, perché un giorno il ragazzo numero 2 è tornato a casa fatto e si è lasciata scopare, benché le sue insistenze nel non volerlo fare (cosa a cui credo, ma difficile vista la sua capacità di non fare quello che non vuole fare, ma soprattutto perché ci dormi ancora insieme, ma perché lui è ancora lì, ma perché non me ne hai parlato), lei a quel punto, anziché parlare con sua sorella (me), ha preferito chiamare questo ragazzo numero 3 e andare a dormire a casa sua (sto risparmiando davvero tanti particolari) e sino ad ora la situazione si è stabilizzata così, con me che vado a dare da mangiare ai suoi cani e lei che si fa i cazzi suoi perché è provata dell'aborto che sta per fare.
In data odierna, visto che la futura casa mia e di ragazzo numero 1 sarà ancora occupata quando avremmo dovuto andarci, le ho chiesto che data avesse dato al proprietario di casa, per poter avere un idea più ampia della situazione è trovare la soluzione migliore; mi risponde il 18 di questo mese. Il 18. Anche solo scriverlo mi lascia ancora basita dal menefreghismo e dall'odio e dalla rabbia; se non le avessi chiesto nulla, non mi avrebbe detto nulla;
Il tutto accade nel mentre che lei vive insieme a questo "ragazzo numero 3", perché col ragazzo numero 2 non si sente più al sicuro in casa, per via, anche, di una litigata accesa (vi assicuro che non sarà intelligente, ma quando si tratta di litigare è una delle più brave, quindi non giustifico l'alzata di mani, ma capisco come possa essere accaduta)
Io, ora non so che emozioni provare per una persona così; mi devo dispiacere della situazione? Questo tipo di situazioni le si crea da soli e da soli si decide cosa è bene sopportare in virtù di chissà quale ideale;
Il fatto è che una parte di me non si sente dispiaciuta; come può interessarmi lo stato di una persona che si è comportata tanto male nei miei confronti in tutti questi anni?
L'altra parte di me giustifica le sue azioni col suo basso quoziente intellettivo, per cercare rassicurazione in un emblema di intelligenza che non credo obbiettivamente d'avere.
Ed eccomi qui, che al 30 di marzo dormirò sotto un ponte e che non credo di voler più vedere mia sorella.
Vi assicuro che tutto questo rancore è giustificato, dal modo in cui mi tratta, dal modo in cui parla di me agli altri, dalle cose che fa; la cattiveria la ha dentro; quindi, anche se dovesse vincere la parte soddisfatta da questa sua sofferenza, non mi pentirò del mio menefreghismo.
Il tutto si conclude con me, che come massima forma di vendetta, incapace di farle del male, trovo la sola soluzione di negarle la mia presenza nella sua vita.
Domande dubbi perplessità?
Com'è che si dice? Lascia un commento e like e ci rivediamo alla prossima puntata
#ogni parere è ben accetto#vorrei solo capire chi è in torno e chi ha ragione#continuo a vivere nell'insicurezza di essermi comportata male nei suoi confronti
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“Persi nel labirinto, siamo diventati il Minotauro”. Enzo Fontana parla del libro di Giuseppe Culicchia su Walter Alasia
C’era una volta in Egitto un certo Giuseppe detto il Sognatore che si ritrovò in prigione con la falsa accusa di tentato stupro della moglie del suo padrone. Con Giuseppe vennero a trovarsi imprigionati due cortigiani del faraone che gli si rivolsero affinché interpretasse i loro sogni. Giuseppe li ascoltò, lesse nei loro sogni e disse ad uno che sarebbe stato impiccato, mentre all’altro disse che sarebbe ritornato a porgere il calice al suo signore. Giuseppe pregò costui di non dimenticarlo, una volta ritornato libero e felice, e il coppiere del faraone, in qualche modo, lo promise. Le cose andarono proprio come Giuseppe aveva svelato, ma il coppiere del faraone dimenticò la promessa. Così sono fatti gli uomini: per la maggior parte dimenticano le promesse. Però non tutti gli uomini, grazie a Dio. Non Giuseppe lo Scrittore. Lo scrittore Giuseppe Culicchia infatti ha mantenuto la promessa che fece da bambino, quando il giovane brigatista Walter Alasia, suo amato cugino, di più, suo fratello maggiore, fu ucciso: la promessa di diventare uno scrittore per scrivere un libro su di lui, per ricostruirne i lineamenti umani che gli avvoltoi della stampa e della televisione avevano sfigurato più della morte. In genere i parenti scomodi si rimuovono, si occultano, si finge di dimenticarli. Altri, una volta diventati scrittori di successo, si sarebbero ben guardati dal rischio di compromettere la propria immagine. Altri avrebbero finto di dimenticare la promessa. Giuseppe lo Scrittore invece non ha l’animo dei cortigiani del faraone o dei salotti letterari e non si è dimenticato la promessa, non tanto per via del senso dell’onore, penso, ma per amore. E ne è venuto fuori un libro vero. Uno dei rari libri su quegli anni che valga la pena di leggere, e non solo perché Giuseppe Culicchia ha familiarità con la tragedia.
Aprire questo libro per me è stato doloroso. L’ho letto d’un fiato e mi ha tolto il sonno, anche questa notte in cui ho ritrovato la forza per scriverne. È stato come riaprire una ferita, come viaggiare sulla macchina del tempo e ritrovarmi nella Milano degli anni ’70, “nel fiore dei miei peccati”. Non farò il benché minimo tentativo di fingermi uno scrittore o un critico al di sopra delle parti, semplicemente perché da ragazzo stavo dalla stessa parte di Walter Alasia, dalla stessa parte della barricata, intendo dire, anche se non nello stesso gruppo. Noi si scelse, eccome, la parte per cui batterci. Era la parte dei “dannati della terra”, come scriveva il terzomondista Franz Fanon, o degli “ultimi”, come più saggiamente dice anche il più terzomondista dei successori del Pescatore del Mar di Galilea (papa Francesco, che propone però ben altri mezzi per curare i mali del mondo, e raccoglie comunque gli sputi e l’odio “urbi et orbi” di tutti i fascisti, razzisti, suprematisti, nonché le lodi di tanti ipocriti, anche sinistri, ai quali dei poveri non gliene frega niente, il che è peggio). Era la parte degli operai, degli sfruttati, a cominciare dalla parte più sfruttata dell’umanità, la parte femminile. Insomma, noi si fece una scelta di campo. Dico questo per fare subito chiarezza, non certo con un fine apologetico, affinché nessuno possa dire, se non in malafede: “Certo, di buone intenzioni sono piene le fosse…”
Allora, secondo molti santi storici degli anni successivi, secondo sociologi, psicologi, scrittori di successo e, peggio di tutto, secondo tanti piccoli inquisitori o giornalisti dell’eretica pravità, l’Italia era percorsa e posseduta dai demoni, in tutto e per tutto simili a quelli descritti da Dostoevskij. Questi demoni avevano smesso le insegne dei guelfi e dei ghibellini, e, per essere al passo con la moda del tempo, si erano travestiti da guelfi neri o da guelfi rossi. Questi ultimi avevano tracciato persino la stella a cinque punte, pensando di copiarla dai Tupamaros, mentre i diritti d’autore del Pentacolo andrebbero attribuiti a Salomone. Così, evocati, i demoni erano apparsi a legioni e si erano impossessati di migliaia e migliaia di giovani. La visione di Dostoevskij pareva essersi avverata anche in Italia, non solo un secolo prima nella Russia zarista. Solo che questi giovani – dei quali, ripeto, faceva parte anche chi va scrivendo queste righe – non erano angeli caduti, ma perlopiù semplicemente giovani che desideravano di tutto cuore un mondo nuovo, come lo desiderava Walter Alasia. Giovani tipo quelli di cui il grande scrittore de I demoni aveva fatto delle caricature destinate alla deportazione in Siberia. Ovviamente c’erano anche dei vecchi, pochi ma c’erano, soprattutto del tipo intellettuale, e questi erano un po’ più rassomiglianti ai padri spirituali dei demoni di Dostoevskij, in genere del tipo parolaio e un po’ vigliacco. Ignoro se esistesse davvero un Grande Vecchio. In buona fede posso dire e affermare solo di aver visto il Grande Vecchio coi lunghi capelli e la barba bianca affrescato sulla volta della Cappella Sistina. Però ha un alibi: è lì da secoli, dai tempi di Michelangelo.
Walter Alasia e il cugino, Giuseppe Culicchia
A Dostoevskij aveva risposto un altro grande scrittore, Tolstoj, dicendogli che non era bello quello che aveva scritto dei rivoluzionari, e che in essi egli vedeva e isolava solo il momento della violenza, e che se avesse guardato nel loro animo ci avrebbe trovato anche l’abnegazione e la sete di giustizia, e, in fondo al tunnel, avrebbe visto Dio. Ora io non so se nel buio tunnel si potesse intravedere anche qualche traccia di zoccolo caprino, ma certo un demonietto nel cuore doveva avercelo anche Dostoevskij. In quanto a Tolstoj, cui un giovane semisconosciuto avvocato indiano di nome Gandhi scriveva dal Sudafrica come al maestro della “non resistenza al male”, in quanto a Tolstoj dicevo le tracce erano piuttosto evidenti e da lui stesso dichiarate. Nelle Confessioni egli scrive di avere ucciso degli uomini (probabilmente nelle incursioni caucasiche) e di avere sfidato altri uomini a duello, al fine di ucciderli. Ciononostante nel suo ambiente, racconta Tolstoj, era considerato un uomo “relativamente morale”. Con ciò voglio dire che il male, che noi vediamo e cerchiamo soprattutto negli altri, è anche in noi stessi, latente, pronto a cogliere la prima occasione. E questo vale per i santi, i santoni e persino per i grandi scrittori. Vale per ogni essere umano. Ma i falsificatori dicono il contrario. Però io credo e sono convinto che la frode sia più grave della violenza, e che la frode più spiaccia a Dio, “e per questo stan di sotto li frodolenti”, come debitamente spiega Virgilio a Dante nell’XI dell’Inferno. L’attuale, più che allora, è un’epoca fraudolenta, per certi versi più bassa, vile e cattiva, come sempre nei confronti dei più deboli, dei poveri cristi. Non solo è una miserabile epoca fraudolenta, ma è anche più violenta. Basta guardare ad un palmo dal nostro naso, basta guardare alla guerra, che è terrorismo su scala industriale.
Mi si perdoni la digressione, anche se non penso di essere uscito fuor di tema. Qual è il ritratto di Walter Alasia che affiora dal libro? Come una foto d’altri tempi ai sali d’argento, ne è venuto fuori il ritratto umano di Walter Alasia visto con gli occhi di un bambino, che sono gli occhi di Dio, anche se poi, per darcene un’idea, si affida alla mano e alla penna dell’adulto diventato scrittore. Ma la mano che muove questa penna è veramente l’Amore, l’amore che non giudica, l’amore che è più forte della morte. L’amore e il dolore. Ne è emerso un ritratto di Walter Alasia come di un ragazzo fondamentalmente buono e generoso, come certamente era, prima e anche dopo la scelta della lotta armata. L’indole fondamentale di una persona si mantiene anche nelle circostanze più drammatiche. Ma allora che cosa accadde? Come fu possibile che un ragazzo di indole buona e che aveva scelto la parte dei poveri e degli sfruttati bruciasse la sua e un’altra vita? Forse perché visse “al tempo de li dei falsi e bugiardi”? Non più falsi e bugiardi degli idoli dei giovani d’oggi. Forse perché si fece sedurre da una dottrina ingannevole e fallace? Che fosse una dottrina che vale poco è ben dimostrato dagli esiti della Rivoluzione d’Ottobre, rivoluzione in cui tanti spiriti generosi misero tutte le loro speranze. 1917: “Proletari di tutto il mondo, unitevi!” 1989: “Proletari di tutto il mondo, perdonateci!” 2021: “Mafiosi di tutto il mondo, uniamoci!” A cosa è servito fucilare i Romanov per ritrovarsi, cent’anni dopo, coi Putinov? Tanti sacrifici, tanto dolore per niente. Ma questo è accaduto dal principio del mondo, è accaduto a milioni e milioni di esseri umani, con l’ausilio di molte e differenti dottrine. E anche senza dottrina alcuna. Il tempo di vivere con te di Giuseppe Culicchia non nasce da una scuola di scrittura creativa dove, al massimo, si possono apprendere le tecniche e qualche trucco del mestiere. Questo libro nasce dalla scuola del dolore. Non è scritto per giudicare né per giustificare, ma è una ricerca nel profondo di un’epoca e di un essere umano tanto amato, per capire. Per capire e per sperare che quanto è accaduto non accada ancora.
Ci sono tanti aspetti di questo libro che mi hanno colpito, ma soprattutto la profonda pietà per tutti gli esseri umani coinvolti in questa tragedia. Ciò mi ha ricordato quel rapsòdo cieco che la tradizione tramanda col nome di Omero, che cantò con imparziale pietà le sofferenze dei vinti e dei vincitori.
La lettura di questo libro mi ha confermato nel sentimento che la migliore causa del mondo, la più giusta e santa, non vale la lacrima di un bambino, le lacrime di Giuseppe il bambino che piange l’amatissimo cugino o le lacrime di un orfano che non rivedrà più suo padre. Io vidi una di queste lacrime scendere sul viso di una ragazza tanti e tanti anni fa, durante un’udienza nel corso di un processo. In questo processo c’ero entrato quasi di mia volontà solo per stare accanto a una persona a me cara e dovevo rispondere di un reato minore (detenzione di arma). Per una volta, ero innocente, anche se, come da copione, non lo dissi e non mi difesi. Con mio dispiacere, i giudici, più furbi di me, giustamente mi assolsero, impedendomi così di restare a Milano per l’appello. Era il processo alla “Colonna Walter Alasia”, una colonna oramai allo sbando, una colonna di prigionieri intenti spesso a beccarsi l’un l’altro, come i capponi di Renzo, “come accade troppo sovente tra compagni di sventura”. La ragazza della lacrima sedeva a fianco di un avvocato di parte civile e penso che fosse la figlia di un uomo che era stato ucciso. Questa lacrima caduta in una bolgia processuale mi colpì e mi fece più male di una pallottola. Così, la sera, ritornato nella mia cella, cominciai a scrivere qualcosa. All’udienza del giorno successivo chiesi e ottenni la parola e parlai di un tale che si perdeva in un labirinto come quello di Cnosso, e di come costui, a furia di vagare, forse trovasse infine il Minotauro, e cioè uno specchio, l’immagine di se medesimo. Questo eravamo diventati, chi più chi meno, nessuno escluso. Il cielo ci aveva donato un lume per orientarci nel labirinto del mondo e della vita, ma noi l’avevamo perduto. Sia resa lode agli dèi di Menandro, che avevano caro Walter Alasia e gli risparmiarono lo spettacolo.
Enzo Fontana
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Sono le 3:33 di notte. Stasera ho staccato all'una e mezza da lavoro eppure sono ancora in piedi. Tralasciando il casino che è successo a lavoro, oggi sono successe un po' di cose. Mi ha scritto un amico di Simone. Speravo mi chiedesse o dicesse qualcosa su di lui e invece mi ha solo offerto da bere una di queste sere. Io ho risposto un po' ironicamente con un "si si va bene" ma non credo abbia afferrato. Io adesso ho Simone per la testa, tra l'altro sono amici. Questo mi fa pensare che lui gli abbia dato il via libera e vorrebbe dire che non gliene frega niente di me. In più stasera una mia amica che cercava il suo ragazzo (cugino di simone) ha dovuto chiamarlo perché gli dava irraggiungibile. Appena ho sentito dirle: "simo" il cuore mi è andato in gola. E da lì sono andata in crisi. Ho iniziato a pensare di scrivergli, ma mi sono resa conto che è passato troppo poco tempo, solo due settimane, anche se a me sembra un'infinità. Arrivata a casa dal lavoro mi sono buttata sul divano, ho pensato, sono andata 81818748 volte sulla sua chat, ma sono riuscita a resistere. Però mi manca, avevo trovato la persona giusta, ne sono sicura, e mi è venuta quella voglia matta di scrivergli e di vederlo. Ma devo resistere ancora. Solo che lui non mi aspetta, sono sicura che sta bene senza di me. E tutte queste cose devo tenerle per me, non ho nessuno a cui raccontarle e a cui posso chiedere consigli. Non voglio rompere alla gente. Per staccare dai pensieri allora mi sono messa a ordinare casa, mi sono accorta di aver perso due rossetti a lavoro. Adesso sono le 03:44 e sto scrivendo questo post sul letto. La mia vita non è un film.
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Posso capire. Allora fai una cosa, tu prova ad andarci poi se vedi che non ti trovi bene allora lo dici ai tuoi e gliene parli, gli dici che non ti trovi bene, che non riescono ad aiutarti e che non fanno altro che aumentare i tuoi problemi. Loro capiranno e vedranno cosa fare. Tu comunque digli sempre tutto. Se pensi che questa sia una cosa inutile allora diglielo e provate a trovare un’altra soluzione
Ma io voglio pensare che magari questa volta possa essere quella giusta, non lo so..
Magari finalmente mi dicono cosa c'è che non va, o perché non riesco a fare come fanno gli altri
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5 Consigli per Illustratori e Illustratrici
Cosa dobbiamo tenere a mente quando collaboriamo con le piccole aziende
1. Non sanno quello che fate
é proprio così, i piccoli imprenditori che si affacciano al mondo della grafica non hanno minimamente idea di cosa facciate, conoscono i prodotti finali di cui hanno usufruito alcuni colleghi e nella maggior parte dei casi è la prima volta che si rivolgono a una figura di questo tipo. Non sanno cosa comporta il vostro processo lavorativo, quindi siate chiari su tutto anche su cose che vi sembrano ovvie, posso garantirvi che scenderanno dalle nuvole neanche gli stesse spiegando la scissione nucleare mostrandogli una fotografia del cortile di una centrale. Rendeteli partecipi del lavoro svolto (senza eccessi, devono sapere cosa fate, non entrare nel vostro studio è indicarvi la giusta disposizione del portamatite!), comunicategli le variazioni e le motivazioni per cui sono fatte, ma soprattutto mantenete chiarezza su eventuali lavori aggiuntivi che hanno un costo a parte (i piccoli imprenditori sono molto sensibili su questo argomento...moltissimo!)
2. La trattativa del VUCUMBRA’
se sperate che ci sia un trucco per saltare questo passaggio, mi dispiace deludervi...non c’è, questa fase non si può saltare, tranne in rarissimi casi, chi commissiona tirerà sempre sul prezzo, soprattutto in questa categoria ( fa parte del loro DNA). Se siamo fortunati, trattiamo con imprenditori preparati, che hanno già una loro proposta, quindi dobbiamo solo decidere se ci sta bene o no. Molto più frequentemente ti sentirai dire questa frase “quanto ti prendi per questo lavoro?” (ho scelto la formula più gentile che mi è stata rivolta in questi anni). Arrivate preparati a questa fase, armatevi di listino. Nei primi tempi, quando trovare risposta a questa domanda sembrava un’impresa titanica e nessuno sapeva darti una risposta, neanche il saggio google, intervistai i miei colleghi (illustratori ma anche grafici, pittori, artigiani) e mischiai le info ricevuto per crearmi un listino personalizzato che rispettasse due criteri: la qualità del lavoro e il tempo impiegato. Da qui ci si può assegnare un forfait orario da moltiplicare per le ore di tempo stimate che ti porterà via quella commissione, abbondate, perché per quanto sarete precisi nel considerare il tempo impiegato ne impiegherete sempre di più! Scrivete il preventivo, dividendolo in voci che descrivano le fasi di lavoro (bozze, studi, definitivo etc) con i relativi importi, inseriteci anche lo sconto che applicate dopo la trattative (la differenza tra quello che chiedete e quello che sono disposti a darvi) sempre per il principio di chiarezza del punto uno, e infine distinguete il totale al netto di imposta dal lordo. Tutti i preventivi, che voi siate muratori, idraulici, avvocati o illustratori hanno una scadenza...quindi anche il vostro ne dovrà avere una, consiglio di non andare oltre il mese dalla stesura. Di seguito un fac-simile da cui poter prendere spunto:
3. Firmi qui!
MAI mettere la matita sul foglio se non hanno firmato un contratto! (questo errore capita almeno una volta nella vita dell’illustratore o illustratrice). Ogni illustratore dovrebbe avere tra i suoi doc-file dei prototipi di contratto da modificare ed adattare al cliente del momento. In questo modo si ha qualcosa di scritto, che chiarisce quali sono i doveri e i diritti di entrambe le parti, anche l’imprenditore ne è tutelato, ma spesso non lo sa e messo davanti a un contratto si sente spaesato e confuso, cercherà di procrastinare la firma, sperando che ve ne dimentichiate, perché tanto “loro sono persone di parola non servono queste cose”, quindi fatelo subito e accompagnateli verso questo passo con gentilezza. Cominciate a lavorare solo dopo aver ricevuto il documento, vi aiuterà a rispondere a frasi dai seguenti incipit “ ma io avevo capito..”, “non è compreso anche...”, “ma puoi passarmi i file originali per...” etc etc
4. Comunque vadano le cose...
Rimanete in rapporti pacifici con chiunque collaboriate, almeno provateci, non è semplice e non sempre si riesce, ma aiuta a non avere situazioni pendenti. Un cliente insoddisfatto di una collaborazione non parlerà positivamente dell’esperienza, e non beneficeremo del passaparola, molto utile all'inizio della carriera, quindi conservate una cisterna di gentilezza anche per chi pretende di usare il vostro lavoro a caso senza darvi i giusti corrispettivi (ditegli gentilmente che non è una cosa che siete disposti a fare!). Rispettare il punto 3 ci aiuta a non trovarci in questa spiacevole situazione.
5. Come dire di no
Illustrare è un lavoro, qualcuno fa ancora fatica a capirlo, e per tanto va remunerato. Spesso si accettano tutte le commissioni che ci arrivano, travolti dalla voglia di guadagnare facendo ciò che si ama, ma questo appesantisce il lato creativo di un onere che non gli compete (farci mangiare) perché all’io-creativo, dei soldi non gliene importa niente. Per fare l’illustratore/l’illustratrice, soprattutto agli inizi, bisogna avere un entrata economia alternativa, può derivare da un lavoro (rigorosamente part-time perché ci deve dare il tempo di coltivare la nostra vocazione) o da un'entrata automatica (investimenti o fitti). In questo modo, oltre a poter finanziare la nostra vocazione (i materiali artistici hanno un costo) alleggeriamo il nostro io-creativo, che in realtà vuole solo divertirsi, e acquisiamo la libertà di dire di no a offerte di lavoro a rischio, a budget ridicoli o che non sono in linea con il nostro stile. Così facendo avremo la possibilità di crescere artisticamente evitando situazioni spiacevoli.
Ed ora non mi resta che augurarvi buon lavoro! ;)
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Il dolore di un amore.
15 settembre 2015, ero alla fermata del pullman, il primo giorno di scuola e aspettavo di andare a casa,non conoscevo nessuno, era stato il giorno più difficile della mia vita. Stavo sola per i fatti miei,quando,a un certo punto,ti sei avvicinato a me,assieme a un altro ragazzo,e hai detto "piacere vito",ho alzato lo sguardo e ho incontrato i tuoi occhi verdi,mi ci sono persa. Dopo le presentazioni,era arrivato il pullman e ci siamo seduti vicini. A parlare a raccontarti da dove venivo eccetera il pomeriggio siamo scesi e mi hai presentato gli altri ero imbarazzata non sapevo mai cos'era la cosa giusta da dire. Passava il tempo, passavano i giorni e la nostra amicizia o menta va sempre di più. aumentavano le risate, i momenti divertenti, tutto. Stavo bene non avevo mai avuto un amicizia così. Eri speciale. Fondamentale. C'eri sempre, quando piangevo, quando stavo male, quando mi lasciavo,e tu mi avevi scritto un messaggio dicendo che ero speciale,che prima o poi avrei trovato qualcuno giusto per me, che mi avrebbe fatto sorridere... ma non hai capito che io quel "qualcuno" avrei tanto voluto che eri tu. Tu e nessun'altro. Ricordo,le mattine,quando andavamo a scuola,io e te seduti vicini,con una scusa mi appoggiavo a te,e tu con una scusa mi abbracciavi, io appoggiata a te che facevo finta di dormire ma in realtà sentivo il tuo cuore, il tuo profumo, che ti immaginavo sempre con me, eri la mia casa.. un giorno Marion ci guardò e disse "dal più profondo del cuore insieme siete bellissimi" in quel momento ci credevo veramente che poteva succedere qualcosa tra di noi. arrivò il giorno che mi ero decisa di dire alla mia migliore amica, un tempo, ora non più,avevo deciso di dirgli tutto di dirgli che finalmente per una volta mi ero innamorata.. innamorata di un amore folle, che si chiamava Vito. ma quando glielo stavo per dire lei mi ha detto che il giorno prima loro due si erano baciati, ho fatto un sorriso, il più finto del mondo avrei voluto piangere forte senza mai smettere ma non l'ho fatto,mi sono costruita una maschera e non sono ancora del tutto sicura che ora non la indosso più. Piano piano si stava distruggendo tutto, non dissi niente, non ci riuscivo mi tenevo tutto dentro e giorno per giorno andavo sempre più giù, come una montagna russa solo in discesa. Passarono 10 mesi,i più brutti della mia vita, 10 mesi in cui non riuscivo a scordarlo, in cui facevo la finta amica ma a volte non ci riuscivo,mi veniva da piangere e tutto peggiorava. avevo perso lui avevo perso anche lei non riuscivo più a parlargli e a fidarmi come prima, perché quando parlavo con lei avevo sempre lui nella testa come una fotografia impressa nella mente. faceva male non lo nego ma volevo andare avanti... 9 dicembre 2016 il mio compleanno forse il migliore che abbia mai fatto. Quella sera Jessica mi fece regalo più bello, ci fece baciare. Lo aspettavo da un anno e mezzo.. in quel momento mi era uscito un sorriso, il migliore, il più vero le farfalle nello stomaco, il cuore che batteva forte,mille pensieri ma ero la persona più felice del mondo. ma il giorno dopo, a lui non gliene era importato niente. era stata una cosa banale senza significato e io stupida che ci speravo, stupida che mi ero illusa che un ragazzo come lui poteva amare una ragazza come me. io non avevo niente di speciale.. andando avanti col tempo peggiorava tutto, ci parlavamo di meno, finché arrivo il giorno in cui siamo tornati a scriverci e il pomeriggio mi disse "scendi che vieni via con me" siamo andati dietro la gelateria e dopo un po' di tempo quando gli altri se ne erano andati lui mi ha preso in braccio ci siamo guardati ed io ho sorriso, erano tornate le farfalle allo stomaco, i sorrisi veri ,tutto. e dopo quell sorriso ti ho baciato.. siamo stati abbracciati seduti sul muretto a sorridere ed io a illudermi il giorno dopo siamo scesi di nuovo sotto i garage quando se ne sono andati via Daniele e Angelo eravamo solo io e te, tu seduto ed in braccio a te, le mani Unite e i miei sorrisi. non c'era un posto migliore di quello,eri tutto ciò che volevo, le mie mani unite alle tue, noi che ci baciamo e la canzone all of me che sostitutiva il silenzio. Eri tutto quello che volevo, ciò che mi poteva salvare da tutto. ma i giorni dopo non ci siamo più sentiti ho saputo che hai iniziato a dire cose in giro ,che mi hanno ferita ,fatta piangere,soffrire di nuovo.. tutte quelle bugie che hai detto,tutte le cose brutte.. forse non hai pensato a me, al dolore che mi facevi ,o forse sì ,ma non te ne importato niente ,perché è sempre stato così giusto? non te n'è mai importato niente e dopo quasi due anni sono ancora qua, a dire che ancora un po' mi manchi, ma che ti schifo. che mi hai fatto troppo male e non hai mai fatto nulla per evitare di farmi soffrire. volevo solo essere felice, e speravo che tu potevi diventare la mia felicità. povera illusa. avevo così paura di perderti all'inizio, che poi ti ho perso per davvero. mi hai spezzato il cuore talmente tante volte.... ho accettato tutto quello che mi hai fatto perché ti volevo, mi hai fatto sorridere e poi piangere, mi hai fatto sentire bene e poi male, mi hai fatto credere di essere amata e poi te ne sei andato... e piangere in silenzio faceva un immenso rumore di solitudine.. il mio cuore era in mille pezzi e ora che sto riuscendo a ricostruirli tu non ne fai più parte, perché tu, ora, per me sei soltanto lividi . e io me ne vado via in silenzio pronta a non tornare più..
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Ciao, scusa l'ask un po' random. Hai detto che hai la PCOS, io ho lo stesso problema (capelli, irsutismo e acne) e non riesco a trovare un medico che mi prenda sul serio: il ginecologo è partito in quarta col prescrivermi la pillola senza valutare gli ormoni prima, l'endocrinologo (che adesso mi ha fatto smettere la pillola) mi ha preso per il c*lo perché secondo lui sono troppo magra e dunque anoressica (davvero, battutine a raffica per tutta la prima ed ultima visita) 1/2
e io non so che fare perché nella mia città di ginecologi bravi non ce ne sono e il fenomeno è l'unico endocrinologo, anche nelle città vicine alla mia non conosco nessuno specialista che possa essere d'aiuto. La PCOS mi sta creando moltissimi problemi di autostima e ho paura che se trascurata mi darà anche problemi di salute in futuro. Tu come te la sei cavata? C'è davvero qualcuno in Italia che capisce qualcosa di questa patologia? 2/2
eh allora io me la sto cavando ma non faccio testo perché quando si è scoperto che l’avevo ero finita dal medico pseudogenerico che mi stava a trattare per un altro problema e tldr mi sono rovinata perché questo non ci capiva un cazzo, quando s’è messo d’accordo con la ginecologa era troppo tardi e la cosa è risultata in ‘ciao mi si è bloccato il ciclo per tre mesi e manco se se ancora mi sono ripresa ed è successo quando avevo ventuno anni yeeey’, e insomma dopo quel disastro ero andata dall’endocrinologo bravo che mi aveva dato la pillola e finché l’ho presa stavo divinamente ma ad un certo punto non puoi farla tutta la vita. poi ci so casi e casi (per dire io alcuni degli effetti più rognosi non li ho per fortuna) ma diciamo che generalmente non ci sta il trattamento unico. mo, come sto campando io lo dico alla fine perché NON E’ ASSOLUTAMENTE COSA CHE CONSIGLIEREI A TUTTI per *motivi* che si capiranno tra poco. in generale:
non so in che regione stai o che città è, ma lasciando stare la tua città, cercati se ci fossero specialisti in merito nella regione e alla peggio prendi il treno e provi fuori. ti direi punta più all’endocrinologo che al ginecologo - o almeno a me all’epoca la pillola giusta l’aveva azzeccata l’endocrinologo e non la ginecologa, ma vedi un attimo perché uno specialista ci starà e se non ci stesse in tutta la regione vedi se trovi un endocrinologo bravo pure se non specializzato in pcos e quando prendi l’appuntamento sentilo prima al telefono e vedi se ti prende sul serio. se non ti prende sul serio passi a quello dopo e così via. io almeno di gente che non lo prendesse sul serio non ne ho mai trovata per fortuna :/
ps: se ti dicono ‘vabbe risolvi il problema rimanendo incinta’ come prima cosa puoi passare a quello successivo sull’elenco.
intanto lo so che non ti risolve tanto ma se già non lo fai, cerca di fare esercizio quanto più possibile e/o andare in palestra e/o correre o quello che ti pare ma se poi ti trovi la cura giusta già stai due passi avanti. e comunque aho stai meglio. lo dice una che odia anda in palestra, ma ti tocca.
conta che qualsiasi cosa ti danno se non è la pillola non vedi i risultati subito quindi non buttarti giù quando per due/tre mesi succede un cazzo o almeno sembra che non succeda.
vediti pure un attimo che analisi ti escono per l’endocrinologo perché se hai tutto a posto non contando il pcos è molto più scialla come cosa. soprattutto fatti due conti che i problemi di salute futuri dipendono anche da come hai gli altri valori, se stai bene su tutto il resto già ti tranquillizzi un attimo.
unica cosa: NON METTERTI MAI MAI MAI NELLE MANI DI UN MEDICO CHE NON E’ GINECOLOGO O ENDOCRINOLOGO O SPECIALISTA o che pensa di risolvere la cosa a colpi di farmaci diversi che non siano la pillola o al massimo due pillole a botta altrimenti finisci come me che me l’ha curata il medico generico e vedi com’è andata a finire.
ora, qui lo dico e qui mi contraddico: io ad un certo punto la pillola ho dovuto smetterla per Motivi TM e insomma per vari giri so andata a finire dall’omeopata della genitrice che c’ha una mezza specializzazione su sta cosa.
ora, PREMESSA: io non ero per niente convinta MA PER NIENTE e comunque per curarmi per cose molto più serie mai e poi mai andrei dall’omeopata, ma questo qui è uno che fa una specie di metodo misto cioè per dire mia madre deve prendere dei farmaci per la tiroide e questo glieli ha lasciati/credo gliene abbia prescritti altri e comunque va da altri medici per cose più specifiche quindi insomma non è di quelli integralisti. vabbe insomma sono andata da questo e ho fatto la cura che diceva lui pensando che alla peggio se era acqua fresca non cambiava niente e morale della storia, in realtà negli ultimi due anni la situazione pare che è rientrata/che le dimensioni di sti cazzo di follicoli sono diminuiti di grandezza in maniera considerevole, quindi a sto punto boh che ne so, finché funziona continuo. ma visto che in generale gli omeopati non sono una razza di cui mi fido in generale ASSOLUTAMENTE NON FARLO SPECIALMENTE SE E’ DEL TIPO CHE OMG I FARMACI NORMALI ASSOLUTAMENTE NO STA COSA PUO’ ESSERE CHE HA FUNZIONATO CON ME MA NON E’ ASSOLUTAMENTE UNA SOLUZIONE CHE PUO’ FUNZIONA CON TUTTI. questo dove vado io sta a roma e in un’altra città del lazio, se sei di qui e vieni off anon ti posso dì chi è ma davvero non prenderla come cosa risolutiva perché non è detto. e soprattutto io ho un caso abbastanza leggero, per dire a parte i disastri del medico di cui sopra io il ciclo l’ho avuto sempre regolare come l’orologio e tutti i miei problemi sono relativi ad altre cose, ma se tu ce l’hai pesante non me la sento di dirti di andare dall’omeopata se non come ultimissima spiaggia e in ogni caso ASSOLUTAMENTE NON QUALCUNO CHE PENSA CHE CURI IL CANCRO CON I FARMACI OMEOPATICI. comunque se vuoi veni off anon in privato non ho problemi a parlarne (anche se per le prossime due ore sto tipo in eclissi da DEVO FINI FANFIC quindi dopo che rispondo qui scompaio da tumblr XDDDDD comunque per di domani quando te pare) ma l’unica che posso dirti è cercati uno specialista o ginecologo o endocrinologo anche nella regione e non farti buttare giù troppo da sta cosa, l’avessi saputo a sedici anni avrei avuto molti MENO problemi di autostima :PPP nel senso se mi dicevano ‘beh non perdi peso perché HAI UNA CAZZO DI DISFUNZIONE ORMONALE’ la prendevo molto meglio ecco, ma davvero non vale la pena fregarsi l’autostima per una cosa che non puoi controllare. :(
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9 lug 2018 16:42
NON C'È PIÙ LA NOSTALGIA DI UNA VOLTA - L'INTERVISTA DI DOTTO A VANZINA (2015): ''MI FA INNERVOSIRE QUANDO MI CHIAMANO 'MAESTRO'. MAESTRO DEI MIEI COGLIONI. MONICA BELLUCCI? L’HO LANCIATA IO IN UN FILM DI MARCO RISI. MAI AVREI PENSATO CHE SAREBBE DIVENTATA UNA STAR INTERNAZIONALE, NON È CERTO MERYL STREEP'' - ''SERVILLO? TEMO SIA UNO SNOBBONE E CI VEDA COME IL DIAVOLO'' - ''ECCO LA MIA CAZZATA PIÙ MEMORABILE''
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Giancarlo Dotto per ''Diva & Donna'' (2015)
Figli di Steno, alias Stefano Vanzina, che vuol dire figli della commedia all’italiana. Tenuti in grembo da Totò e da Alberto Sordi, come dire tenuti in grembo dal destino, hanno inventato in quasi quarant’anni, tra gli altri, Diego Abatantuono e Jerry Calà e reinventato Gigi Proietti, miracolato Massimo Boldi e Christian De Sica, ma anche Raoul Bova, lanciato Claudio Amendola e Isabella Ferrari, Enrico Brignano e Vincenzo Salemme, scoperto Ricky Memphis e, questo lo sanno in pochi, Monica Bellucci.
In quanto a nazionalpopolarità, i fratelli Vanzina se la battono in Italia con i fratelli Abbagnale e i fratelli Bandiera. Come campioni di box office non hanno rivali. Che siano cineombrelloni o cinepanettoni, piacciono a tutti o quasi, agli spettatori che si sganasciano, agli attori che girano in fretta e ai produttori che con loro risparmiano. Non piacciono a certa forforosa saccenza. Carlo è il regista, Enrico lo sceneggiatore. Inchiodo l’iperattivo Carlo Vanzina a Porto Rotondo con la famiglia, la moglie Lisa e le figlie Isotta e Assia, in una pausa di lavoro. Sta ultimando il montaggio di “Torno indietro e cambio vita”, il suo ultimo film.
“E’ la storia di una coppia esemplare all’apparenza. Stanno insieme da quando erano ragazzi. Poi, un giorno, a letto, lei, Giulia Michelini, dice a lui, Raoul Bova: “Mi voglio separare”. Lui si confida con l’amico, Ricky Memphis: “Col cavolo che mi risposerei se tornassi indietro”. Mentre lo dice, viene investito da una macchina e si risveglia nel cortile della scuola. L’occasione di riscrivere la sua vita. Una storia all’americana”.
E’ grazie alla ditta Vanzina che Raoul Bova ha trovato la sua dimensione come attore.
“L’ho lanciato più di vent’anni fa con “Piccolo grande amore”. Quando era un ragazzo di bell’aspetto e poco più”.
Vent’anni dopo?
“Raoul è un ragazzo riflessivo e scrupoloso. Cosciente che questa sua popolarità va sfruttata in maniera professionale. Cerca personaggi positivi. Lui non si sente per niente un latin lover. Ha trovato questa chiave di prendersi un po’ in giro”.
Ricky Memphis, un altro che si può definire tuo. Lui sì è una faccia.
“Ha iniziato con me. Protagonista con Amendola e la Bellucci de “I mitici”. Anche qui, roba di vent’anni fa. Ricky è fantastico. Lui, come attore, è il contrario del metodo. Ma ha questa faccia che dice tutto, questa sua malinconia di fondo”.
Come succede per molti attori importanti, faccia monouso. Faccia iconica e laconica.
“Ricky è così. Parla poco ma, quando, lo fa sono sentenze”.
I fratelli Vanzina. Carlo ed Enrico sono per l’Italia, insieme ai fratelli Taviani, quello che i fratelli Coen, ma direi soprattutto i fratelli Farrelly sono per l’America e i fratelli Ardenne per il Belgio.
“Ce ne sono tanti altri nel cinema. Aggiungerei i fratelli Wachowski, quelli di “Matrix”. Andy e Larry. Solo che Larry nel frattempo è diventato donna e ora si chiama Lana”.
Di questi tempi si è, cinematograficamente parlando, già a Natale.
“Produrremo insieme a Andrea Occhipinti un film scritto a sei mani con Neri Parenti che scombinerà gli equilibri classici del Natale, fondati sulla triade De Laurentiis, Medusa e Rai Cinema”.
Suona come una sfida temeraria.
“Una scommessa vera. Siamo partiti con i soldi nostri, senza finanziamenti. Potremmo scompaginare il mercato o prendere una batosta”.
Il futuro sta finalmente diventando presente? Si aprono nuove frontiere e nuovi mercati anche nel cinema.
“Sta cambiando tutto. La tecnologia è andata talmente avanti. La pay tv è la nuova frontiera. C’è un grande bisogno di contenuti. Purtroppo, noi autori commerciali siamo stati colpevolmente miopi”.
Sarebbe a dire?
“Cedere i diritti delle nostre opere ai vari De Laurentiis, Medusa e Rai. Oggi il mondo è globale, avere delle tue cose è decisivo. La gente pensa che noi Vanzina siamo miliardari...”.
Lo pensavo anch’io.
“Invece non lo siamo. Anzi, se me ne trovi tu uno che vuole investire nel cinema”.
Tempi di rievocazioni. Il remake del vostro celebre “Sapore di mare”.
“Più che un remake, abbiamo tentato un nuovo capitolo ambientato negli anni Ottanta. Un buon film che non ha avuto l’attenzione giusta. Ci sono rimasto male. Chissà, forse il titolo sbagliato, “Sapore di te”. Forse, non è scattata la nostalgia”.
Non c’è più la nostalgia di una volta.
“Oggi la gente è tutta proiettata nel futuro, se ne frega del passato”.
Quanto sono importanti i titoli?
“Sono più importanti i trailer. I ragazzi li guardano e scelgono, anche se vanno sempre di meno al cinema. Le mie due figlie, di quindici e sedici anni, non ci vanno proprio”.
Lavorate sempre con Enrico nello studio di papà Steno?
“Che poi era il salotto di casa. Scrivevano le sceneggiature e registravano con un vecchio Geloso a bobine. A quel tavolo si sono seduti Totò, Alberto Sordi, Aldo Fabrizi, Ettore Scola, Scarpelli. Tanti altri. Una factory continua”.
Enrico e tu. Quasi quarant’anni di cinema insieme.
“Un giorno, mi chiama un giornalista e mi fa: “Sono trent’anni che stai facendo il regista”. Non me n’ero accorto. Mi sono sentito vecchio improvvisamente. Adesso, sono quasi quaranta. Una cosa che mi fa innervosire è quando mi chiamano “maestro”.
Perché?
“È brutto. Maestro dei miei coglioni”.
A quale sei più affezionato, tra i personaggi inventati?
“Penso a Donato, il tifoso milanista di Diego Abatantuono. Un personaggio di culto. Come il Mandrake di Gigi Proietti in “Febbre da cavallo”, inventato da mio padre e riproposto da noi”.
Un Gigi Proietti meraviglioso nella parte del cialtrone che s’inventa la vita.
“La cosa meravigliosa di Gigi è che, dopo Gassman e Bene, è il nostro attore teatrale più completo. Passa da Shakespeare alle barzellette. Un grande attore che non disdegna il basso”.
C’è chi lo considera il suo limite.
“Per me è il suo più ammirevole talento”
È l’ultimo dei mohicani. Non così capito dal cinema.
“Sembrava sempre che dovesse esplodere, ma non ce la faceva e allora si rifugiava nel teatro. Gigi è sempre stato schivo con il cinema. Aveva una faccia, come dire, “facciosa”. Una faccia troppo importante. Talmente bravo che non risultava credibile”.
Percorsi stupefacenti tra gli attori da te lanciati.
“Diego Abatantuono. Da macchietta da cabaret è diventato un attore importante. Ha dimostrato uno spessore che neanche immaginavo. Diego ha una presenza scenica dominante. È un affabulatore. Ma, anche un accentratore. Gli piace comandare tutto”.
Altre storie sorprendenti.
“Monica Bellucci. L’ho lanciata io in un film di Marco Risi. Lei, devo dire, me l’ha riconosciuto pubblicamente e gliene sono grato. Mai mi sarei aspettato che sarebbe diventata una star internazionale. È una brava attrice, ma non è Meryl Streep”.
Un grandissimo attore che ha non ha avuto la storia che meritava.
“Maurizio Micheli. Attore meraviglioso che, non so perché, non è mai riuscito a fare la carriera che gli spettava”.
Ritorni, dopo tanti anni, a lavorare con Massimo Boldi.
“Massimo ha tentato la strada di una sua casa di produzione. E’ andata male. Potevamo fare ancora tante cose insieme. Succede solo da noi che gli attori, a un certo punto, s’inventano di voler fare tutto, gli agenti, i registi, i produttori. Fai l’attore? Basta e avanza”.
Sono noiosi i comici?
“Sono per lo più malinconici e invidiosi. Fanno eccezione, tra quelli che conosco, Christian De Sica e Carlo Verdone”.
Roberto Benigni resta il nostro unico attore esportabile?
“Da quando l’ho detto, però non ha fatto più niente. Mi ha sconfessato. Come se gli fosse venuta l’angoscia da Oscar, di non essere più all’altezza di quel film”.
Il film di Paolo Sorrentino ti è piaciuto?
“Molto. Con qualche lungaggine, ma mi è rimasto dentro. La scena sulla terrazza, il ballo, la faccia di Toni Servillo”.
Toni Servillo con i Vanzina. Questa sì, sarebbe un’accoppiata sorprendente.
“Mi piacerebbe tanto averlo con me. Potrebbe fare il comico benissimo”.
L’ho visto a teatro in uno spettacolo goldoniano. Bravissimo.
“Non lo conosco di persona. Mi sembra uno snobbone. Mi sa che i Vanzina per lui sono come il diavolo. Troppo commerciali”.
Assegna i tuoi Oscar alla commedia italiana.
“Monicelli, Risi, Age e Scarpelli, Ettore Scola. Per il film scelgo “I soliti ignoti”. L’Oscar per l’attore lo spartisco ex-aequo tra Sordi, Gassman e Totò”.
Ti rumina l’idea di suggellare una storia importante con un capolavoro, tipo “C’era una volta il West” di Sergio Leone, anche lui fin lì considerato un regista di genere?
“Ti confesso, è proprio quello che c’è nella mia testa. Ci ho anche provato in passato. Un film con Gian Maria Volontè, quando era già un mostro sacro. Ma, in Italia l’etichetta ti condanna. Ho idee importanti, ma mi autocensuro. Dovrei trovare uno pseudonimo per fare un film fuori dal cliché dei Vanzina”.
I Vanzina. Siete, nel bene e nel male, un marchio.
“Ci vorrebbero un’idea internazionale, finanziamenti stranieri. Il vero guaio è che il nostro cinema è molto piccolo. Qui da noi è una palude, tutto stagnante, fermo”.
Checco Zalone ti piace?
“Tantissimo. Mi diverte. E’ un comicone”.
Diversi film con Enrico Brignano. Poi, più nulla.
“Aspirava a fare l’assolo. Anche lui, questa ambizione di voler fare tutto. Faccia pure. E’ cambiato. Non è più allegro, né pacioccone. E’ diventato cicciotto. Del resto, ognuno ha la faccia che ha. Certo, Brignano non può fare Mastroianni”.
Tra te e tuo fratello chi affronta meglio il tempo che passa?
“Non ce la siamo mai detta questa cosa. Forse io. Sai, l’idea che potrò sopravvivere nella mia famiglia, che qualcosa di me resterà, un piccolo seme”.
La famiglia. Il tuo ancoraggio.
“Che poi non è solo la mia, ma quella molto estesa della tribù Melidoni. In questi giorni è il compleanno di Gianni, famoso giornalista e padre di Lisa. In queste occasioni ci riuniamo tutti. Un esercito. Posti in piedi”.
Il tuo spazio sacro. Dove ci sei solo tu. Niente mogli, figli, fratelli.
“La fedeltà a me stesso. Del successo non me ne frega niente. M’importa solo essere quello che i miei genitori si aspettavano da me. Una persona rispettosa, educata, perbene. Questo non me lo può togliere nessuno”.
Una cazzata memorabile, da inserire nell’enciclopedia delle umane cazzate.
“Tante. Come l’imbarcata che presi a diciotto anni per una svedese conosciuta in Sardegna. Una ragazza da sogno. Partii come un pazzo per la Svezia in macchina e scoprii che era fidanzata. Una batosta, ma quel viaggio mi servì a farmi sentire un po’ Kerouac”.
Il tuo cast ideale pensando al futuro.
“Un sogno mai realizzato. Lavorare un giorno con Carlo Verdone. Mi dispiace l’idea di chiudere la mia storia senza poterlo fare. Mi troverei bene, sono sicuro, anche con Checco Zalone”.
Il tuo cast ideale pensando al passato.
“Ho un grande rammarico. Mi farebbe piacere, prima di andare all’ospizio, fare di nuovo un film con Boldi e De Sica insieme”.
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