#niente me li farà mai superare
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Mahmood, Blanco e Michelangelo
🖤🤍🚲💎✨️
@mariborneo su ig
#mahmood#blanco#blahmood#michelangelo#brividi#eurovision#esc#esc 2022#sanremo#raga vi prego ma che belli#niente me li farà mai superare#niente#🖤🤍🚲💎#ma quanto sorridevano vi pregooooooo#🥹❤️❤️❤️
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Riassunto per niente breve e conciso della giornata di ieri:
Ore 6 e qualcosa del mattino. Mia mamma sveglia a fare faccende e io pure per fare palestra prima del lavoro. Mentre mamma guarda le sue serie tv passa la pubblicità dei biscotti Balsen, i preferiti di persona X, con lo slogan "fatti per stare insieme".
Io: Ma dio cristo... Ok, non mi importa.
Ore 7:55. Sono in Palestra mentre Spotify, impostato sulla playlist di Gazzelle ovviamente, ha la MERAVIGLIOSA idea di mettere completamente a caso "la musica non c'è" di Coez le cui parole, in parte, sono finite in una lettera per persona X.
Io: oh ma Dio, vita, destino, caso ok... Ma mo basta.
Ore 10 circa. Leggiamo sul giornale al lavoro del world tour di Billie Eilish che farà tappa a Milano l'anno prossimo di venerdì. Ho chiesto con largo anticipo il giorno libero (poi magari ad andare a luglio dell'anno prossimo magari [e spero] muoio). Mia sorella se ne esce con "ehy sai chi è che su facebook ha messo che è interessata all'evento?" Ovviamente chi poteva essere?
Io: ok, questa era scontata perché so che anche lei la adora.
Ore 11:20. Stiamo ultimando le pulizie e sistemando la sala per il servizio quando mia sorella riesuma dal fondo del cassetto dei tovaglioli, uno di natale dell'anno scorso. Quei tovaglioli li avevamo quella famosa domenica (domenica come ieri tra l'altro) in cui io andai a Trieste dopo lavoro a trovarla.
Io: ok è solo un caso,magari ha visto del bianco tra i tovaglioli rossi e si è incuriosita anche se vi prego basta perché sto cominciando ad avere paura.
Ore 14:47. Finito il servizio il cuoco ci manda alla gelateria di fronte per prendere il gelato. Andiamo io e mia sorella e lungo la pedonale troviamo per terra uno di quei libretti che mettono all'interno dei cd, aperto sulla seconda pagina. Ha delle figure un po' creepy e molto satan (robe che a mia sorella ama alla follia) e proprio mentre sto per raccoglierlo lo fa lei. Gira la prima pagina e ci troviamo scritto "Epica - The phantom agony". Raga, voi ci credete se vi dico che gli Epica sono il gruppo Symphonic metal preferito di persona X? CAZZO CI FACEVA LÌ QUEL LIBRETTO PORCO DIO?
Io: (ovviamente sotto shock) porco di quel dio cane e Gesù crocefisso ma mi state prendendo per il culo??? CE VOI STATE FACENDO SERIAMENTE? MA CON TUTTI I PORCA MADONNA DI GRUPPI METAL (E VI ASSICURO CHE SONO UN FOTTUTO PORCO IL CLERO, FOTTIO) IO VADO A TROVARE GLI EPICA???????? DITEMI DOV'È LA TELECAMERA CAZZO PERCHÉ STO SBROCCANDO MALE.
Ore 15:30. Andiamo in gita al Castello dove solitamente io e il mio amico del cuore prefe organizziamo eventi e giustamente mia sorella, che non ci era mai stata, mi fa notare che era qui che avrei dovuto portare Persona X l'8 Dicembre l'anno scorso...
Io: ok, vita fa di me ciò che vuoi. Perculami, mettimi davanti tutto quanto sto cercando di superare e annientami (Ovviamente il tutto soffoforma di pensieri ulterioriormente ingigantiti da quel fottuto cd del quale, ancora ADESSO, io non riesco a capacitarmi).
Ore 17:35. Con la testa piena di pensieri che me la stavano facendo scoppiare, sotto l'ennesimo attacco d'ansia vado a vedere la chat con persona X. La prima volta che lei mi rispose era il giorno 29....
Io: ahahahahahahahhahahaha (risata isterica ben oltre la media) oggi è il 29... Dio cane ahahahahahahahhahahaha
Ore 22:00. Io guardo mia sorella Abbastanza disperata e lei mi dice "ora capisco cosa intendevi quando ti riferivi alle "coincidenze". Non posso nemmeno dirti che siano cazzate perché questa del CD è stata davvero creepy..."
Io: 😭💔
Ore 22:30. Mia sorella, che prima era scettica e riteneva questi piccoli riferimenti solo casualità e coincidenze, adesso ha più hype di me e si è auto proclamata quella che "farà da tramite per la nostra riappacificazione".
Le ho espressamente detto, in prenda ad un'attacco d'ansia enorme, di fare ciò che vuole. Io non ne voglio più sapere perché se no mi ammazzo...
Ecco spiegato perché ieri ero a tanto così dallo scriverle... Ah spoiler a tutti: alla fine ho ascoltato Gazzelle piangendo fino alle 2 di notte ma non le ho scritto... Ancora non so se sia stato un bene o un male...
Allego foto prova.
Fine del per niente breve riassunto.
#vi assicuro che più racconto sta cosa più non riesco a crederci#io sono convinta che questa non sia la mia vera vita#in realta questo è tutto un sogno e la vera me è in coma farmacologico perché ha tentato il suicidio#raga io boh#come fa uno ad andare avanti? COME?#ora capite perché è stata una giornata pesante?#sto di merda anche oggi e ancora non ho realizzato a pieno cosa sia successo ieri....#io boh#vasto insieme di ansie ed emozioni discordanti...
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PensandoTi💜
Ciao amore, sto nel letto e stavo pensando a te, come un bel po’ di volte quando mi metto a pensare...
Ma anche come un bel po’ di volte quando non mi metto a pensare, perché finisco per pensarti lo stesso, senza farci apposta.
Mi sento così piccola in questo letto così grande lo sai?
Sono intrappolata fra le coperte anche se vorrei esserlo in mezzo alle tue braccia.
Ora è tutto silenzioso, filtrano pochi spiragli di luce dai buchini della tapparella: sono ancora le 8:26.
Già, probabilmente dovrei dormire, di certo ne avrei bisogno, perché sono stanca, e ieri sono crollata senza neppure aver messo la sveglia, sono andata in bagno ed è stato già tanto.
Ma è così bello pensarti, pensare di averti accanto a me ora, mentre mi sussurri con quella tua “esse” strana che a me fa sorridere, che sono la tua piccola e che ami solo me, e nient’altro che me.
Odio dovermi girare dalla tua parte e vedere lo spazio del letto vuoto, senza il tuo corpo accanto al mio, senza poter accarezzare ogni linea del tuo viso e contemplare l’opera d’arte che sei.
Perché sai, l’arte secondo me non la vediamo mai in noi stessi, o perlomeno, è molto difficile che questo accada, o magari è difficile per me...
Mi spiego meglio: possono esserci giorni in cui mi vedo più carina, e giorni in cui non mi piaccio, ma non ci sono mai giorni in cui mi vedo “arte”.
Un po’ come i quadri, i paesaggi, le canzoni...
Loro sono lì, fermi/e, ad aspettare che qualcuno li/le guardi, ascolti, contempli.
Perché così si fa con l’arte: la si ammira, la si vive.
E per me è un po’ la stessa cosa, tu mi susciti rabbia, amore, dolcezza, malinconia, gioia, spensieratezza, freddezza, felicità, gelosia, e altre mille sensazioni ancora.
E tutte queste sensazioni che mi fai provare ti rendono la mia opera d’arte preferita: perché in te non c’è nulla che non vada, nulla che vorrei cambiare, sia fisicamente che interiormente, perché altrimenti non saresti tu.
E anche se a volte sei insicuro di te stesso, non importa da quale punto di vista, ti prego, io ci sono.
Ci sono per farti rendere conto di quanto bello sei, da tutte le prospettive.
Saró una cazzo di lunatica, in me vivranno 13902 emozioni pronte ad uscire anche tutte insieme per sopraffarmi, ma niente mi farà mai scordare quello che provo per te, niente.
E hai presente quella frase
“Non puoi amare nessun’altra persona se prima non ami te stesso/a”, beh secondo me non è necessariamente così.
Perché noi esseri umani siamo creature fragili, anche se molti non lo ammettono, ma ci spezziamo facilmente, ci sgretoliamo come granelli di sabbia, voliamo via con un soffio di vento e ci lasciamo trasportare in balia delle onde, pensando di non essere abbastanza, non importa per chi, ma MAI abbastanza ., pensiamo di non riuscire a superare quell’ostacolo che tanto ci spaventa, poi ci guardiamo allo specchio e troviamo sempre un nuovo difetto, un qualcosa da voler cambiare, rimediare, camuffare...
Ed è per questo che quando accanto a noi abbiamo una persona che ci ama davvero, anche e soprattutto nei momenti più brutti e bui, ci facciamo forza con lei.
Perché nessuno di noi si può amare completamente da solo, l’essere umano ha il costante bisogno della presenza dell’altro, che sia un bene o un male per noi, ma è così.
E tu, amore mio, sei il mio “altro”.
Ti amo, incondizionatamente, anche se certe volte non sembra perché esce da me il mio lato peggiore, quello insopportabile, acido, e stronzo...
Beh, io ti amo.
Tutto questo da parte della sorridente, triste, nervosa, malinconica, sognante, pensierosa, acida, gelosa, dolce, coccolona, timorosa, ansiosa,tenera, premurosa, sensibile, fragile, emotiva,
Serena.
@laragazzadiicartapesta
#loveislove#amore#amore vero#amore a distanza#amore puro#citazione amore#frasi italiane#frasi tumblr#frasi amore#citazioni#art#poesia#photography
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Certe volte pensi che una cosa non la supererai mai
E poi quando finalmente ce l'hai fatta a superarla nemmeno te ne rendi conto
Oggi me ne sono davvero resa conto
Sapere che quella persona mi aveva comunque cercata non mi ha fatto né caldo né freddo
Non mi ha dato nemmeno tanta rabbia, solo un po', ma è passata subito
Perché io quel capitolo, che in questi anni era diventato un libro, l'ho davvero chiuso
L'ho riposto nell'angolo più profondo e dimenticato della mente
E soprattutto lontano dal cuore
Ho ritrovato la forza di rifarmi una vita, di tornare a sorridere e ridere con spensieratezza
Ho ritrovato la forza di superare i momenti bui pieni di ricordi anche con molti graffi, ma ce l'ho comunque fatta
Ho ritrovato la forza di credere di nuovo nei sentimenti, scoprendo che prima non li avevo mai davvero conosciuti
Ho ritrovato la forza di andare avanti anche se è significato allontanarmi da molte persone che erano come veleno per la mia felicità
E faccio una promessa a me stessa: niente mi farà tornare tra le braccia di quella gente
Ho ritrovato la forza e continuerò a lottare
#pensieri per la testa#persa tra i miei pensieri#ho ritrovato la forza#capito chiuso#vita#gente#persone false#pensieri#sentimenti#lottare#promessa
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Dolce Flirt Campus Life - Trailer e anticipazioni
Lo so, sono in ritardo con questo post, ma non potevo mancare con le mie opinioni che non interessano a nessuno x’D
Visto che ci sono veramente tanti punti da analizzare, partiamo subito dal trailer che sicuramente avrete visto tutte.
Dai primi fotogrammi ritroviamo 6 dei personaggi che ci accompagneranno in questa nuova storia. Da sinistra ritroviamo Alexy, la sostituta di Kim, AMBRA???, Nina (??), un fuckboy con cui spero si possa flirtare, la tumblr girl della situazione, e infine la nostra amata Rosalya, il cui seno è magicamente gonfiato. Tralasciando il fatto che Alexy abbia spudoratamente rubato i vestiti del nostro caro Dake, devo dire che è cresciuto proprio bene e che spero che Armin abbia seguito il suo esempio mlmlml Per quanto riguarda gli altri personaggi c’è davvero poco da dire considerando che ancora non sappiamo nulla di concreto. La sostituta di Kim sembra essere una ragazza perennemente di cattivo umore per qualche motivo, e a giudicare da una piccola anteprima che vi mostrerò più avanti, è possibile che sia la nostra futura compagna di stanza insieme alla tumblr girl. Ambra è sempre presente peggio di una palla al piede, stranamente questa volta non è vestita da prostituta ed è già qualcosa di positivo... Però a giudicare dalla sua espressione, sembra essere la stessa stronza di prima. E chissà che fine avrà fatto la sua carriera da spogliarellista, che abbia abbandonato il suo sogno? :c A seguire, come avevano supposto già in molti, la biondina con le code potrebbe essere la nostra vecchia amica Nina Yandere. A prima vista sembra una persona normale ed equilibrata, quindi deve aver passato questi 4 anni in manicomio lol. Scherzi a parte, credo che questa possibilità sia davvero plausibile, in fondo in questi 4 anni Nina avrebbe potuto benissimo superare la sua fase goth ed entrare al primo anno di università. Continuando, alcune hanno ipotizzato che il fuckboy potesse essere Kentin, ed effettivamente la posizione del corpo e l’espressione da morte cerebrale sembrano combaciare, ma i colori dei capelli e degli occhi sembrano diversi, quindi a meno che non abbiano deciso di cambiarli, potrebbe essere un nuovo personaggio. Si vedrà. La ragazza successiva rispetta tutti i requisiti per essere definita uno stereotipo di tumblr girl alternativa, ma ammetto che mi piace tutto sommato.
Proseguendo troviamo una delle possibili prime illustrazioni con la nostra dolcetta (che indossa una fedora da “nice guy”, la cosa mi preoccupa abbastanza) e Priya. Come vedremo più avanti è stato confermato che Priya farà parte dei nostri flirt, e la cosa mi mette in crisi esistenziale perché non saprò mai chi scegliere. Le due sembrano piuttosto affiatate e potrebbero essere rimaste in contatto dopo tutto questo tempo. Da notare come Priya non abbia più tagliato i capelli dai tempi del liceo lol
Questi dovrebbero essere i nostri nuovi professori, tutti bruttissimi, non saranno mai all’altezza del mio amato Faraize o di Boris. Almeno sembrano essere persone mentalmente sane, una preoccupazione in meno. Ma questi non sono i professori che ci interessano di certo.
Noi preferiamo questo qui, non quei vecchiacci incapaci di vestirsi decentemente. Guardate quanta concentrazione di ormoni attorno a lui, ogni volta che entra in una stanza si sentono le ovaie delle studentesse che scoppiano peggio di una bomba atomica.
Ma andiamo avanti e vediamo subito chi saranno i nostri primi possibili flirt.
Partiamo dall’esaminare lo sfondo e il grembiule di questa immagine. Da quanto si vedrà più avanti nel trailer, sembra che la nostra dolcetta troverà lavoro al “Cosy bear cafe” e che il primo flirt sarà un suo collega di lavoro dal nome molto originale. Giuro, non esiste un solo coreano su internet che non si chiami Hyun... Andiamo, un po’ di fantasia, ci sono trecentomila nomi disponibili, cercateli su internet. Temo a conoscere il suo cognome. Ma non importa, io lo perdono perché è stato amore a prima vista, mi piace un sacco. Sarà che si è risvegliata quella parte di me ossessionata dai kdrama, what can I do? Dalla frase che accompagna il suo nome, deve essere un personaggio piuttosto dolce, calmo e gentile. Mi sta bene, basta che non sia un poeta maledito anche lui. Per ora devo dire che è il ragazzo che mi ispira di più, ma prima di decidere voglio vedere la sua testa senza cappellino, per quanto ne sappiamo potrebbe nascondere qualunque cosa là sopra x’’D
Qui scopriamo che il nome del professore che sembra uscito da un episodio di Paso Adelante è Rayan, un uomo che “dovrebbe rappresentare l’autorità, ma se proprio deve scegliere, preferisce buttarsi sulla patata���. Il professore con cui flirtare è un cliché che esiste dai tempi di Cristina D’avena, ma se gestito bene è molto interessante, e personalmente mi piace... Però l’aspetto di questo nuovo personaggio non mi fa impazzire, sarà la carnagione da “cadavere dopo tre giorni”, o la barba, non so esattamente cosa non vada. Ma nel dubbio, io flirterei pure con lui perché l’harem è sempre importante.
Qui troviamo Priya che è bellissima li mortacci sua, perché la nostra dolcetta non è come lei? Nulla da dire su di lei, è un flirt, le piace divertirsi e niente. Flirtiamo pure con lei e facciamoli ingelosire tutti perché siamo delle persone orribili hahahahah
Arriviamo finalmente alla parte più discussa di questo trailer: Castiel e la sua faccia da reduce di incidente stradale. Perdonatemi, ma è veramente brutto, non so come abbiano fatto a non accorgersene. Ovviamente è pieno di tatuaggi e sembra uno dei Green Day, ma non mi aspettavo diversamente. Dalla frase che lo accompagna, si direbbe che la relazione con la dolcetta sia finita, che si siano lasciati o abbiano preso una pausa non si sa, ma sembra che la decisione sia comunque partita dalla nostra dolcetta. La chiave di tutto sta nei 4 anni che sono passati dalla fine del liceo, ma ne parlerò dopo. Ad ogni modo, sembra che anche Castiel continui ad essere un flirt, quindi non preoccupatevi ragazze. Per quanto riguarda tutti gli altri ragazzi, sarebbe assurdo non includerli e mettere solamente Castiel, per cui come dicevano in molte, la scelta di inserire solo Castiel nel trailer potrebbe essere dovuta al fatto che comunque è il più popolare ed in un certo senso rappresenta un po’ tutti i flirt passati.
Prima di concludere il trailer riusciamo a vedere un’altra possibile illustrazione dei primi episodi che mi fa venire il cringe... Poteva mancare la situazione in cui la protagonista inciampa come una decerebrata sulla buccia di banana, e il ragazzo salva prima che si spacchi la faccia... Tutto questo mantenendo il vassoio con l’ordinazione in perfetto equilibrio perché lui è un figo. Anche se da come sono messi quei due sembra che glielo abbia improvvisamente buttato in culo hahahahahahah Scusatemi x’’D
Qui si conclude il trailer, ma le informazioni non finiscono qui. Ecco alcune informazioni sui personaggi reperibili sull’anteprima della beta del sito americano, vi lascio le traduzioni qui sotto.
“Hyun lavora in città come cameriere al Cosy Bear Café. Nonostante possa inizialmente sembrare un “bravo ragazzo”, ciò non significa che non gli piaccia far festa. E’ un ragazzo gentile che potrebbe diventare un ottimo sostegno dinanzi ai problemi quotidiani.”
“Rayan Zaidi è un professore di storia dell’arte moderna e contemporanea dell’univerità Anteros. Il suo metodo di insegnamento è sì intrigante, ma anche destabilizzante per gli studenti. Lontano dai banchi è abbastanza amichevole, nonostante cerchi di nascondere la sua natura torturata.”
“Castiel è il leader dei Crowstorm, un famoso gruppo rock. Fedele al se stesso del liceo, è sfrontato, piuttosto difficile da avvicinare e possiede un senso dell’umorismo sconcertante. E’ molto impegnato con le sue tournée, ma ogni tanto viene all’università Anteros per seguire gli studi di musicologia.”
“La personalità della tua vecchia amica del liceo è ancora più forte di prima. Brillante e determinata, Priya frequenta la facoltà di Giurisprudenza. E’ entusiasta di ritrovarti e ci sarà sempre per aiutarti. Potrebbe persino diventare più che una semplice amica...”
Qui sopra invece ecco la sagoma completa che avrà il nostro avatar, con due mani disegnate con molto impegno e due cosce che finalmente hanno preso un po’ di forma. Sarà possibile scegliere sempre tra i capelli lunghi che abbiamo già visto, i corti con boccoli che sarebbero quelli dello screen qui sopra, e quelli corti lisci. Certo che mettendo a confronto la nostra dolcetta con Priya, sembra una ragazzina, altro che donna adulta ._.
Ad ogni modo, oltre queste piccole informazioni sui personaggi, è disponibile una veloce descrizione della trama dei primi due episodi:
Da quanto si capisce dal primo episodio, siamo state “assenti” per 4 anni... Ma che cavolo avremo combinato nel frattempo? Avremo studiato fuori? Ci saremo prese una vacanza? Dalla descrizione sento anche delle reminiscenze del primissimo episodio di Dolce Flirt e della nostra iscrizione... Bei tempi :’) Come vedete, l’immagine della tumblr girl e della versione antipatica di Kim sembrano anticipare che una delle due diventerà la nostra compagna di stanza, forse la decisione dipenderà dalle nostre scelte, o magari sarà totalmente random, questo non possiamo saperlo.
In questo episodio incontreremo anche la proprietà di questo famoso Café, “Clemence”, probabilmente la signora di mezza età nell’anteprima che crede di essere più attraente indossando magliette con la fantasia da ghepardo pls. A quanto pare dovremo cercare di fare una buona impressione su di lei, e sono pronta a scommettere che non andrà proprio benissimo e che sbloccheremo l’illustrazione con Hyun che abbiamo visto nel trailer. A quanto pare in questa palestra incontreremo qualcuno che si allena... Che sia Kentin o Priya? Oppure un nuovo personaggio?
E questo per ora è tutto quello che è possibile reperire riguardo a Dolce Flirt all’università. Da quanto si è visto finora, è difficile capire se saremo ancora fidanzate con i nostri vecchi boy o meno, e dubito che riusciremo a capirlo immediatamente, possiamo sperare solo in qualche riferimento casuale. Tuttavia io continuo ad essere sempre più convinta che la relazione col nostro boy sia finita dopo tutti questi anni, magari riusciremo a incontrare nuovamente i nostri ex e ci verrà data la scelta di provare a rimetterci con loro. Personalmente dopo aver visto Hyun non c’ho più capito nulla, so solo che la mia Dolcetta ci proverà con tutti i maschi che le si presenteranno davanti perché l’harem è d’obbligo.
Un’altra domanda che mi pongo è che fine abbia fatto Lysandro, non tanto perché è il ragazzo della mia dolcetta, ma perché essendo stato in gruppo con Castiel, potrebbe far parte dei Crowstorm insieme a lui? Oppure le loro strade si sono separate?
Sono sicura di aver dimenticato la metà delle considerazioni che avevo intenzione di fare, per cui se vi viene in mente qualcos’altro, scrivetemelo pure. Sono ben accette anche le vostre teorie, vi aspetto con impazienza nel mio ask.
Per ora passo e chiudo, e vi do appuntamento alla prossima novità sul gioco.
-Dorothy
#le teorie di dotty#dolce flirt#dolce flirt all'università#spoiler#dolce flirt castiel#dolce flirt priya#anteros academy#beemoov
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Perdere la testa
"Mi raccomando, Dani: lava il pavimento in cucina e stendi i panni!" è l'unico saluto di mia madre mentre corre spettinata giù per le scale, terribilmente in ritardo, come al solito. "D'accordo" le rispondo, senza aspettarmi un 'ciao', vista la fretta con cui è partita. Ah, che bello stare a casa da sola! È davvero liberatorio: puoi fare quello che ti pare quando ti pare, senza nessuno che venga a sgridarti... Ok, detto così, sembra che i miei genitori siano tiranni inumani, ma alla fine suppongo che siano come tutti gli altri: sono io che me la prendo per un niente, me lo dicono tutti.
Vado in cucina e inizio a spostare le sedie per liberarmi il prima possibile dell'odiosa corvée e - tempo dieci minuti - riesco a lavare il pavimento, così acchiappo il cellulare e do un'occhiata alle notifiche: ancora nulla d'interessante. Va bene, sarò onesta: è inutile preoccuparsi, perché so già che la notifica che mi interessa non arriverà mai, visto che lui non mi nota nemmeno quando gli sono di fronte, ma questo non mi impedisce di sperare! Per chi non lo sapesse, lui è Marco, un mio compagno di classe che occupa i miei pensieri troppo spesso perché si tratti di un caso: mi piace. Da un anno. Purtroppo, abbiamo la solita, banale relazione tra persone che si vedono ogni giorno e che non si parlano mai, anche se oggi mi sono offerta per dargli una mano in chimica, sfruttando la sua totale incapacità nelle materie scientifiche. Lui mi ha risposto - Oh mio Dio, sorrideva! - che mi avrebbe fatto sapere, ed eccomi qui ad aspettare un messaggio, nonostante 'Ti farò sapere' sia la frase universale per dire gentilmente: 'Capisco che tu ci stia provando ma mi fai più schifo dei cavolini di Bruxelles, quindi toglitelo dalla testa'. Lo so: sono senza speranze... Posso persino ricordarmi il momento in cui ha iniziato a piacermi: era stata una giornata da dimenticare - due ore di verifica di francese e tre di noia pura... - e per di più stava piovendo a dirotto; io ero appena uscita da scuola, insultandomi mentalmente per non aver portato uno straccio di ombrello e chiedendomi come tornare a casa senza che il dizionario per la verifica, nella sua misera borsina di carta, si bagnasse completamente, quando dal parcheggio della scuola arrivò il timido ruggito di un motorino. Immagino abbiate già capito che era Marco, altrimenti perché ve lo starei raccontando? Ebbene, per farla breve, mi ha portato lui, nonostante casa mia fosse dall'altra parte della città. Mi ero comunque bagnata un po', ma a casa ero così sollevata che non me ne fregava nulla: per una volta non mi ero dovuta sorbire la mezz'ora di autobus per tornare e - non so se fosse per il suo gesto gentile o perché finalmente qualcuno che non fossero i miei genitori o le mie amiche si era preoccupato per me - non riuscivo a smettere di pensare a Marco, a come mi avesse offerto quel passaggio, alla sua espressione indefinibile, alle sue spalle robuste, ai suoi occhi così espressivi... In classe non lo avevo mai notato, ma non è affatto male: me ne sono accorta quel giorno e da lì in poi è stata tutta un'agile discesa verso l'inferno di una cotta non corrisposta, perché io, sciocca come sono, costruisco film mentali sul primo essere di sesso maschile non totalmente repellente che mi dedica un gesto gentile. L'inferno è proseguito per un anno, tra tentativi di conversazione caduti nel vuoto e sguardi imbarazzati, fino al momento in cui, oggi, dopo innumerevoli tentativi maldestri, ho finalmente trovato il coraggio di gettare tra noi un ponte che spetta a lui continuare. Immagino che non lo farà, o che comunque non sarà più che per l'aiuto in chimica, ma almeno potrò parlargli e magari... Basta, è inutile rimuginarci troppo: ha già il mio numero, ora la decisione spetta a lui! Meglio andare a stendere i panni - prima che mi dimentichi -, invece di fantasticare su Marco. Una volta terminato, non posso impedirmi di controllare il cellulare per l'ennesima volta: non trovo il messaggio che aspetto, ma scopro che qualcuno mi ha scritto su Fling; strano: di solito non risponde quasi nessuno... Fling è un'applicazione che permette di mandare una foto o un messaggio in giro per il mondo a un numero limitato di destinatari casuali che hanno, loro stessi, l'applicazione, in modo da conoscere persone anche molto distanti dal proprio paese; di solito più della metà sono pervertiti che chiedono foto spinte, ma ci sono anche persone carine: una volta un ragazzo cinese laureato in matematica mi ha dato una mano a venire a capo di un esercizio che non riuscivo a risolvere; oppure un'altra volta ho conosciuto una signora dell'Ecuador con cui ho scambiato la ricetta del pesto alla genovese per quella delle banane fritte: era adorabile! Queste sono solo due delle mie conoscenze a distanza, ma ci sono veramente tante persone interessanti... Apro il messaggio, un po' impaziente e vedo che è da parte di un ragazzo italiano, nonostante il suo nickname sia 'Ned Stark'. Si tratta di una foto, in risposta a quella che io ho mandato a dieci sconosciuti - il paesaggio nebbioso fuori dalla mia finestra, con la didascalia "Brace yourselves..." -: la sua rappresenta una foglia coperta di brina, e commenta: "...winter is coming"; se mi risponde così, lo amo già! Sono fan del Trono di Spade in modo assurdo, ma purtroppo a nessuno piace, tra i miei amici, quindi appena fiuto un altro fan mi entusiasmo in un secondo... - Ciao Ned, tutto bene? Gli chiedo; troppo freddo, come esordio? Forse, ma trattandosi di Ned Stark, dovrebbe apprezzare! Blocco il telefono e mi metto finalmente a fare quello che mi ha chiesto mia madre; quando ho finito, trovo già la sua risposta: - Insomma, così così... Mmm, me lo aspettavo un po' meno moscio... Comunque non posso perdere un'occasione per parlare finalmente di GoT con qualcuno: - Dai, Eddard, non dirmi che ti stai scongelando! - Beh, ridimmelo quando avrai perso la testa anche tu... Replica lui immediatamente; ok, questo devo concederglielo, ma l'ho persa anch'io; certo, solo metaforicamente, però il fatto resta! - L'ho già salutata, per citare il Cappellaio Matto. - In che senso? - In senso figurato: si è messa a gironzolare dietro ad un ragazzo, e adesso non la trovo più! - Siamo sulla stessa barca... Pensa che dopo anni che sono rimasto a guardarla in silenzio, paralizzato dal terrore ogni volta che mi si avvicinava - sì, sono piuttosto timido, in realtà... -, lei mi ha proposto di incontrarci. Io non riuscivo a crederci e le ho chiesto un attimo per pensarci, ma, indovina un po'? Mi sono accorto oggi pomeriggio di aver perso il numero! - Almeno tu le interessi... Io invece non ho speranze: mi ignora costantemente! - Mi dispiace, però immagina come mi sento io! Che figura ci faccio a chiederle il numero dopo che me l'ha già dato una volta? - Potresti semplicemente dirle la verità e sono convinta che, se vuole davvero uscire con te, ci passerà sopra... - In realtà non sarebbe proprio 'uscire': mi ha solo offerto un aiuto con lo studio... "Che bizzarra coincidenza!" direi, se mi trovassi in un libro; ma siccome la mia vita non è un libro, non credo sia il caso di iniziare con i film mentali. Poi lui continua: -Comunque per te è facile dirlo! Vorrei vedere te! E poi sono abbastanza timido, te l'ho detto... - Poi dicono che siamo noi donne a crearci paranoie su paranoie: alla faccia della timidezza! Senti, se mi dici il suo nome, le scrivo io con un pretesto e le chiedo il numero. - Davvero? - Se ti dicessi quello che penso, probabilmente ti offenderesti. - Ma lo faresti sul serio? - No: come dicono gli inglesi, 'grow a pair and ask yourself!' (Provvediti di un set di attributi sessuali maschili e trova l'ardire di chiederglielo personalmente! N.d.A.) Che razza di Ned Stark vuoi essere, se non hai nemmeno il coraggio di superare inezie come questa? - Preferirei affrontare un branco di Lannister da solo... - Codardo! - Senti chi parla! Se lui ti ignora, fai tu la prima mossa, no? - Non credere che non ci abbia già provato... Anch'io gli ho proposto di dargli una mano con i compiti di chimica e lui mi ha liquidato con un "Ti farò sapere...": insomma, neanche un 'grazie'...
Visto che non risponde subito, metto giù il cellulare e mi metto straordinariamente a fare i compiti: oddio, non starò mica male? Di solito mi riduco a farli dopo le dieci di sera! (Sempre che li faccia, naturalmente...) Apro il libro di matematica e scrivo uno degli esercizi, ma - guarda un po' - non riesco a concentrarmi. D'accordo, lo ammetto: aspetto ancora un messaggio; o meglio, due messaggi: mi sono già affezionata a Ned e non capisco perché non risponda. Beh, non è il caso di stare in ansia: avrà qualcosa di urgente da fare... Oppure gli si è scaricata la batteria... Oppure stava guidando e si è schiantato contro un albero per leggere il mio messaggio. Com'è tragico: inizio a sentirmi in colpa! Oppure gli sta bruciando la casa... Altrimenti può darsi che sia stato aggredito da una belva scappata da un circo di passaggio... Se no sua madre ha avuto un infarto e lui non può rispondere perché sta chiamando l'ambulanza! Però è strano: ci sta mettendo un po' troppo a chiamare i soccorsi: più probabilmente ha lasciato cadere il cellulare nel water per sbaglio! Ok, basta prendermi in giro: è evidente che sono pesa e sgradevole, quindi se non mi trova abbastanza simpatica, me ne farò una ragione e tutte le solite balle... Il mio telefono vibra, presago e io mi precipito con scatto felino a controllare: mio Dio, è lui, Ned! Ha risposto! Sblocco lo schermo, sollevata e... - Daniela, sei tu?
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Uno sguardo dal ponte, due interventi “autorevoli”su Facebook: Minini e Barrese
Sono profondamente indignato, sono stupefatto, non ho parole per esprimere cosa provo 1.
. Non seguo i social, non so maneggiarli, una certa nausea mi prende a vedere sempre gattini o cagnolini conditi da discorsi che vogliono essere mordaci o spiritosi e non lo sono affatto e che nel migliore dei casi, raro, sono intelligenti (alcuni amici malati di facebook lo sono e quindi i loro interventi, a volte interessanti, leggibili, ma mi rifiuto di cadere nella trappola del cattivo gusto della pagina, la distribuzione grafica delle immagini senza nessun criterio estetico, pura informazione, puro spiattellamento di colori e forme volgari, frammisti a frasi e lettere demenziali che le intersecano senza alcun intento compositivo, il tutto condito da faccette infantili che sorridono idiote e da like impersonali di massa.
Bene, sono snob e me ne vanto. E sono anche uno stronzo perché approfitto del penchant piuttosto deprimente della mia dolce metà verso il pettegolezzo digitale per lasciare a lei il compito di segnalarmi se per caso pescasse qualcosa di interessante: sono snob, ma non cretino.
Ieri lo ha fatto e che cosa ha pescato? Toh, l’intervento di un antico conoscente (di circa 30 anni fa), che stimo come grafico, sull’articolo di un gallerista non certo dei peggiori sulla piazza (anche se con la sua bellissima moglie, dalla capigliatura imperiale che mi ricordava il magnifico Ritratto (di una non meglio specificata Signora col generoso petto in primo piano) di Palma il Vecchio, oggi al Poldi Pezzoli di Milano, ha generato una figlia che ahinoi ne ha seguito le orme certamente in peggio). Antonio Barrese risponde a Massimo Minini! Udite udite (andate a leggerli su Facebook o se preferite aprite questi link: [email protected] e poi [email protected] ).
Sono profondamente indignato, stupefatto, depresso al punto che vorrei non aver mai seguito la vocazione di scultore. Vorrei avere la voce di un leone e mettermi a ruggire all’indirizzo di questi personaggi, ambedue noti e affermati nel piccolo mondo che li riguarda. Mi affido a questo foglio per calmare i bollenti spiriti, per dare uno sfogo alla mia aggressività, repressa da una situazione che ha tappato la bocca a tutti e in cui tutti, chi colpevolmente, chi per debolezza, chi per impotenza obiettiva, sono vittime. Il Grande Gallerista (andate a rileggervi i nomi dei suoi pari nella conferenza “profetica” di cui parla), dopo aver sproloquiato di mercato, mercanti, galleristi e supermercati dell’arte, afferma che se la Fiera di Basilea viene annullata ci sarà un crollo generale che farà molte vittime e sotto la valanga resteranno tutti: “belli e brutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri” . In altre parole, sta arrivando Sansone!
Viva Sansone, ci voleva lui perché i Grandi Manovratori volgessero la loro attenzione ad altro che le Fiere, che ne so, Pannoloni per adulti, Ciucciotti per anziani infantili, Boscaioli 2, e lasciassero l’arte agli artisti, azzerando con una raffica di pallottole virali quella pletora di speculatori minori che hanno intrattenuto rapporti di lingua in bocca col mercato (nel migliore dei casi) o addirittura loschi, con la mafia (nel peggiore). Ma è lecito domandare all’esternatore: tu dov’eri all’epoca della Vacche Grasse durata fino alla comparsa di Sansone? “Siamo stati sorpresi come pivelli nel momento sbagliato”. Forse tu sei una verginella? Non ti rivolgevi da pari a pari ai Grandi Galleristi, novella Cassandra, nel convegno di cui tu parli? Cosa facevi tu per l’arte, chi hai aiutato, sostenuto gratuitamente, quale novello matta clark, quale rebecca horn con le pezze al culo hai portato avanti, quale voce è venuta fuori dalla tua scuderia di cavalli di razza? Certo in “un mondo di lupi” devi lottare alla pari, ma i lupi sono solo gli altri? L’alibi non mi sembra valido. Un buon gallerista è un modesto promotore di talenti sconosciuti, ripeto, modesto: manda avanti qualcuno che da tempo aveva previsto l’andazzo e lo combatteva, col suo linguaggio e perché no, anche con la tua tanto decantata “mente”. Parli di arricchimento di quest’ultima come scopo principale dell’arte , fai appunto la verginella quando i buoi sono scappati: l’ovvietà ritardata è la peggiore delle ipocrisie e ha ragione Barrese a darti addosso sull’ossimoro della liaison di questo termine con la ricchezza.
Ma veniamo a quest’ultimo, cosa propone? L’ artista cinetico-programmatico che, ripeto, stimo pur non condividendone affatto l’indirizzo , trascinato dall’indignazione afferma che gli artisti dovrebbero essere pagati profumatamente, perché il loro mestiere è insostituibile, prezioso per la società, per la quale lavorano al futuro. Sei uno pratico, Antonio, navigato, non ti facevo tanto ingenuo, la questione è seria.
Pagati? Ho sentito bene? Se gli artisti fanno il loro lavoro per essere pagati siamo alle solite: il cane si mangia la coda, o meglio il lupo mangia l’agnello e siamo al punto di partenza. L’artista dovrebbe sempre fare un altro mestiere per vivere. Intanto dovrebbe vivere, prendere sul serio la vita, coi suoi rischi e le sue meraviglie, altrimenti non ha niente da dire. E poi eventualmente, se ce l’ha , produrre arte. Non solo mente e ricchezza fanno a pugni, ma su un altro ring se la battono anche mestiere e impegno artistico. L’arte non è un lavoro, un mestiere, un’occupazione (programmata o meno) per la quale chiedere un rendiconto: basta a se stessa e non va tutti i mesi a ritirare la pensione. Altra cosa è la competenza: ma questa certamente non la decide il mercato, bensì la storia. La società del futuro decreterà se quell’artista è stato profeta, se ha effettivamente indicato una via. Se con la gioia di aver scoperto e indicato una soluzione per un futuro migliore, una gioia che lo ha aiutato non tanto a sbarcare il lunario, quanto a superare le bastonate che gli infliggono i cretini (siano essi Papi intrallazzoni o presuntuosi che affermano che il naso del David è troppo lungo), ha il diritto di essere ricordato su una piccola targhetta all’angolo di una via: Giardino Wanda Osiris, largo Mike Buongiorno, via Adriano (Celentano: lasciatemi ridere un poco, visto che mi sto calmando: proprio queste amenità ci regala l’attualità. Se andiamo di questo passo altro che Corona ci vuole!)
Per terminare con una nota di realtà che riguarda proprio la nostra peste e la poesia: ricoverato in una casa di riposo per anziani handicappati, da tempo affetto dalla sindrome che lo accomunava a Hoelderlin, ieri asfissiato da Sansone è morto Benedetti: Tersa morte 3se l’è portato via. Onore a te Mario: lo avevi previsto. Alla maniera degli antichi, ti dedicheremo una stella:
Via Ferrante Aporti
E’ rimasto affumicato dalle bombe
il muro fino all’Osteria. Macchie
macchie lisce inosservate senza
nomi, senza fiori, nessuno lo sa.
Il vecchissimo oste passa e ripassa
e non mi vede, non mi chiede
che cosa ci faccio in piedi lì fuori.4
Note
1. Immagine di una scultura visibile nella Galleria Lorenzo Vatalaro di Milano /2. D.F. Wallace /3. Guanda / 4. Per la cronaca: proposta all’Assessore alla Cultura di Milano la conservazione almeno di una parte del muro di cui parla Benedetti e una targa, nemmeno una telefonata da Ferrovie Grandi Lavori: la sepoltura della memoria è di molto precedente l’arrivo di Sansone.
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Cronache di un’esperienza cinematografica – Capitolo 1: IT
Ieri pomeriggio sono andata a vedere IT al cinema. Avevo una mezza idea di recensire il film come era mia usanza fare in passato, ma sono uscita da lì dentro non con il desiderio di parlare della pellicola, ma con quello di parlare di cosa significa andare al cinema in Italia nel 2017.
Tre premesse.
Premessa 1: Il film è vietato ai minori di 14 anni. Quando sono andata (con mia madre) ad acquistare i biglietti, mi è stato chiesto il documento. Chiaramente NON ho 14 anni da un bel, stagionato, pezzo, ma l’ho consegnato come faccio sempre (la cosa simpatica è che acquisto le sigarette per mia nonna senza che qualcuno mi abbia mai chiesto quanti anni ho: coerenza) e la commessa ci ha anche riso sopra, perché in pratica aveva la mia età.
Premessa 2: L’anno scorso sono andata a vedere Animali fantastici e dove trovarli in Giappone. È stata un’esperienza sostanzialmente mistico-religiosa. Silenzio tombale, nessuno mi ha preso a calci la sedia, non si è illuminato neanche un telefono durante TUTTA la durata della proiezione. Riuscivano pure a masticare popcorn e patatine in assoluto silenzio, tanto che mi sentivo pure in colpa a tirare su coca cola dalla cannuccia.
Premessa 3: Entrata in sala, vedo che dietro di noi sono seduti quattro ragazzini a cui io darei su per giù 12 anni, ma appena li sento parlare mi rendo conto che, se sommassi le loro effettive età, le moltiplicassi per 10 e le elevassi a potenza di 4, risulterebbe un ragazzino dall’età mentale di 10 anni e pure scemo. Perché prima del film hanno proiettato il trailer del film Detroit, che narra le vicende degli scontri nell’omonima città, avvenuti negli anni ’60. Tra i quattro mocciosi inizia la seguente conversazione:
Mocciosa 1 (che chiameremo Mocciosa Alfa da qui in poi perché era chiaramente la capobranco): Meeeeeh troppo bbelloo, lo voglio vedere troppo!
Moccioso 2: Ma di che tratta??
Mocciosa 3: Di razzismo tratta.
Mocciosa Alfa: No, no di razzismo! Aspetta, io lo so...
Mocciosa 4: Tratta di neri!
Mocciosa Alfa: No, no di neri. Tratta di... lo so io... di schia... di schìa... non so come si dice... schiiaa...
Moccioso 3: Ah, ho capito cosa vuoi dire. Nella seconda guerra mondiale.
Sipario. Questa conversazione stabilisce il livello culturale dei quattordicenni medi.
(Mi viene pure da fare due considerazioni: la prima, che questi vedono un protagonista di colore e quindi il film per loro può trattare solo di neri e razzismo e schiavitù, perché non può mica essere che uno sia di colore e reciti chessò, in una commedia romantica; la seconda, che questi avevano 14 anni e non conoscevano la parola “schiavitù”, ma molto probabilmente tra non molto avvieranno le proprie vite sessuali (so che non lo avevano già fatto perché delle battute sconce di Richie non ne hanno capita neanche mezza e di conseguenza penseranno di certo che li abbia portati la cicogna). Ora, io non avevo mai pensato prima a quali requisiti uno debba soddisfare per poter essere dichiarato adatto all’iniziazione sessuale, ma da ieri ho deciso che di sicuro essere in possesso di un vocabolario che include la parola “schiavitù” debba essere uno di questi).
Da lì in poi la questione può solo degenerare. Mocciosa Alfa ha visto la miniserie degli anni ’90, non ho ben capito se ha pure già visto IT, e si è informata pure sugli attori, il regista e tutto l’ambaradan di accompagnamento. Con fare da maestrina apprensiva istruisce i suoi sudditi sul contenuto del film, mentre Moccioso 2, siccome se la sta facendo addosso per la paura da quando è comparso il logo ricoperto di pioggia della Warner Bros, sta giocando con il telefono senza seguire il film. Il padre di costui gli sta seduto accanto e in qualche modo che non riesco a comprendere riesce a non mollargli mai un ceffone per tutta la durata del film. Non so, se io fossi stata genitrice di costui e lo avessi finanziato con 7 euro e 50 + popcorn + bibite, pagando pure 7 euro e 50 per me stesso + popcorn + bibite, per farlo giocare al telefono in una sala buia, lo avrei chiuso a chiave nello sgabuzzino di casa con la lampadina fulminata e con quei soldi me ne sarei andata a vedere due film invece che uno solo, e mi sarei pure comprata un gadget.
Il ragazzino, quindi, non segue, ma le due mocciose non Alfa non se la passano tanto meglio. A quanto pare l’adolescente medio non riesce a superare una basilare comprensione del testo audiovisivo. Avere bisogno di ulteriori spiegazioni per un film come IT, la cui trama è “Clown uccide bambini, bambini vogliono vendetta”, è indice di qualche lacuna che credo non si possa più colmare. Tutto il loro susseguirsi di commenti, che oltre alle spiegazioni della Mocciosa Alfa comprendevano anche tutta una serie di “CééééééH ma IO al posto suo non entrerei mai là dentroH! Ma è pazzo... Ma cééé che schifo... Io non lo avrei mai fatto...” Da un lato apprezzo l’uso corretto del condizionale passato, che purtroppo per il futuro dell’Italia non è una dote scontata, ma dall’altro lato avrei voluto girarmi e informarli che è proprio perché loro non avrebbero fatto le stesse scelte di vita che quei ragazzini lì sono protagonisti della storia, mentre la loro massima aspirazione nella vita dovrebbe diventare non farsi scuoiare vivi da qualcuno in sala per avergli scartavetrato i cosiddetti. Ma comunque.
(A discolpa dei Mocciosi, la moglie del signore accanto a me, di una cinquantina d’anni suonati, era altrettanto dura di comprendonio, perché chiedeva spesso delucidazioni al marito riguardo alla trama, come se lei non stesse guardando le stesse identiche immagini. A quanto pare alle persone va fatto un test attitudinale e una verifica della comprensione del testo prima di permettere l’accesso a una sala. Ma non si chiamavano “analfabeti funzionali” perché in grado di “usare in modo efficiente le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni della vita quotidiana”? La signora, quantomeno, non dava fastidio a nessuno.)
Io capisco benissimo che parlare sopra a un film dell’orrore lo rende meno pauroso, e che è per questo motivo che quel gruppetto era così fastidiosamente vocale. In questo modo saranno usciti dalla sala dicendo con fierezza “Ma no, non faceva per niente paura! Non capisco perché è vietato, a me non ha fatto paura per niente!” Certo che non ti ha fatto paura per niente, caro organismo monocellulare. Perché se fossi stato zitto, o frutto idiota dei lombi di qualcuno che grazie al cielo non sono io, e lo avessi visto nel silenzio che il film richiedeva, avresti bagnato il sedile e avresti avuto incubi da qua al giorno del giudizio. Come lo so? Perché, quando mia madre non ne ha potuto più di farsi prendere a calci nel sedile e, dopo una scena particolarmente cruenta, ha detto a una di voi, con un effetto vocale inquietantemente Dolby Surround, “Vuoi che ti aiuti a legarti quelle gambe o ci pensi da sola?”, quella ha squittito uno “Scusi” e non ha più proferito parola per il resto della proiezione. Avessi saputo che avrebbe funzionato le avrei chiesto di farlo alla prima scena.
In calce a questo sproloquio, tre conclusioni:
Conclusione 1: Sono ormai arrivata a quell’età in cui non mi sento più una ragazzina e inizio a dire cose come “Alla loro età io mi comportavo educatamente! Non c’è più rispetto nei giovani d’oggi!” No, non c’è più rispetto. Per farsi fighi i ragazzini assumono quell’atteggiamento cafone che secondo loro li rende maturi, ma non fa altro che tradire la loro età. Ai miei tempi si aveva rispetto per il cinema. Non era un luogo in cui i genitori mi parcheggiavano perché non avevano che farsene di me, era un posto dove venivo portata o chiedevo di andare con lo scopo preciso di godermi la proiezione. Per questo motivo ricordo benissimo l’esaltazione che provai quando, nel lontano 2002, andai a vedere il primo Spider-Man di Raimi, all’età di 9 anni, e restai rapita ed emozionata oltre ogni parola, e fu la prima volta che decisi che al cinema volevo restarci fino alla fine dei titoli di coda, perché facevano parte dell’esperienza. I ragazzini di oggi, che vengono davvero mollati al cinema perché hanno bisogno di essere mantenuti come le maestà che si sentono, e perché anche i genitori non vedono l’ora di levarseli dai piedi per qualche ora, hanno perso rispetto per il cinema e per le persone che lo frequentano. Nessuno ha il diritto di godersi lo spettacolo perché loro devono mostrarci quanto sono spacconi, quanto sono superiori rispetto a noi vecchi. Appena però ti rivolgi a loro in maniera autoritaria, è già tanto se non si mettono a piangere seduta stante.
Conclusione 2: A proposito del dibattito “Il film fa paura VS il film non fa paura”, a me il film ha fatto paura. Se non vi spaventano i clown o i jumpscare, no, non avrete paura. Ma io mi aggrappo al soffitto con le unghie appena mi vibra il telefono sulla scrivania. Da bambina ho visto La bambola assassina e da allora tengo l’unica bambola che ho nella mia stanza a debita distanza e con tutta una serie di oggetti tra me e lei, cosicché, caso mai le venisse voglia di uccidermi durante la notte per averle fatto un taglio con la frangia nel 1997, inciamperebbe e mi sveglierebbe col rumore, dandomi il tempo di scappare. Infine, a 24 anni suonati non riesco ancora a guardare la quinta puntata della prima stagione delle Superchicche (che in inglese si chiama Abracadaver), andata in onda per la prima volta nel dicembre del 1998, perché il Mago Zombie è il cattivo animato che mi fa più paura in assoluto, persino più del re Cornelius in Taron e la pentola magica, che detiene il secondo posto. Dunque sì, a me il film ha fatto paura, e se fossi stata a casa da sola, senza coro di accompagnamento, la scena in cui Richie è da solo in una stanza piena di clown finti non avrei potuto guardarla. Se i jumpscare non vi spaventano, però, potrebbe farvi più paura The Truman Show di quanto IT non ve ne farà mai.
Conclusione 3: Quando sarò grande, vorrò acquistare un cinema. Dalle ore 18 in poi sarà vietato l’ingresso ai ragazzini tra i 12 e i 18 anni. Non importa che vengano a vedere Cattivissimo Me XVII, Star Wars Episodio 32 o un thriller psicologico. Voglio raggiungere l’esperienza zen vissuta in Giappone anche dove mi troverò quando sarò, appunto, grande.
Ah, comunque il film mi è piaciuto molto.
#it#bill skarsgård#cinema#finn wolfhard#sophia lillis#jaeden lieberher#jack grazer#wyatt oleff#chosen jacobs#jeremy ray taylor
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𝑵𝒐𝒓𝒕𝒉𝒇𝒊𝒆𝒍𝒅, 𝑲𝒂𝒓𝒆𝒏'𝒔 𝑪𝒂𝒇𝒆̀ - "𝓦𝓱𝓪𝓽 ��𝓱𝓮 𝓱𝓮𝓵𝓵 𝔀𝓪𝓼 𝓽𝓱𝓪𝓽?"
Josephine è una ritardataria cronica, ma quella mattina è più attiva che mai. Ha come minimo un centinaio di domande da porre ad Ian e non vede l’ora di ricevere le risposte che cerca. Ha fatto parecchie ricerche negli ultimi due giorni, ma tra tutte le leggende, le guide dettagliate e le opinioni contrastanti, non sa proprio che pesci prendere. Cosa c’è di vero nelle storie che l’hanno appassionata fin da quando era bambina? I mondi fantastici di cui ha sempre letto, la magia, le creature mannare, l’immortalità… Era davvero tutta finzione?
«Scusa per il ritardo, sei qui da molto?»
Una voce familiare la spinge a voltarsi. E’ Ian ed è in perfetto orario.
«Figurati… Sono io che sono in anticipo!»
Ammette Joey abbozzando un sorriso. La verità è che non ha la minima idea di come approcciare il ragazzo. Lo conosce a malapena, e se non fosse stato per le circostanze che hanno forzato il loro “riavvicinamento”, probabilmente non ci avrebbe mai più avuto a che fare. I due restano fermi in silenzio davanti alla caffetteria, entrambi un po’ a disagio dalla situazione e indecisi sull’approccio da utilizzare.
«Che dici, entriamo?»
Domanda Ian tentando di smorzare quell’aria tesa, aprendo la porta di ingresso per Joey.
«Certo...»
I due procedono all’interno del locale, fino a quando una cameriera non li fa accomodare.
«Allora...»
Esordisce Joey.
«Allora...»
Ripete Ian.
«È un posto… Sicuro?»
Domanda la Cooper preoccupata, guardandosi intorno prima di proseguire.
«Tutto tranquillo. Niente spie russe o agenti della CIA nei paraggi. L’importante è non attirare troppo l’attenzione..»
Esclama Ian lasciandosi sfuggire una risata mentre cerca di rassicurare Joey. È parecchio preoccupato dalle domande che potrebbe fargli Josephine, ma non ha intenzione di tirarsi indietro. Si rende conto di cosa stia provando in questo momento, e non se la sente di essere in parte responsabile della sua frustrazione. Se può fare qualcosa per lei lo farà, glielo deve.
«Coraggio, suppongo che tu abbia delle domande.»
«Già...»
Risponde Josephine, tirando fuori dalla borsa un adorabile taccuino giallo a pois.
«Sul serio?»
«Non voglio dimenticare niente!»
Esclama la Cooper facendo spallucce, prima di leggere il primo punto della sua lista.
«Dai, spara.»
«Hai detto che Richard è un licantropo.»
Ian annuisce, invitandola a proseguire.
«È così dalla nascita? È stato trasformato? Come avviene la trasformazione?
«Questa è soltanto la prima domanda?»
Temporeggia Ian, prima di rispondere alla sua richiesta di informazioni.
«Se il genitore possiede il gene della licantropia c’è la possibilità che il figlio possa ereditarlo, ma ci deve essere una causa scatenante affinché questo si manifesti. Un evento traumatico, la morte di qualcuno che ami… Ma non è detto che succeda. Molti mondani hanno il gene ma ci convivono fino alla morte senza che accada nulla. »
«Mondani? Ma che― ?»
«È il modo in cui vengono chiamate le persone…Come te.»
«Come me?»
«Una domanda alla volta. È più probabile che tuo padre sia stato trasformato, ma non posso esserne certo. Il processo della trasformazione è stato studiato parecchio dagli esperti, ma è difficile stabilire con certezza quando il corpo è propenso alla trasformazione. Il morso può ucciderti, può ferirti… E in altri casi trasformarti.»
«Okay, tipo Teen Wolf.»
«Tipo che?»
«È una serie tv. Chi sono i mondani?»
«Sono le persone che non hanno niente a che vedere con il mondo degli oscuri, così chiamiamo le creature come tuo padre.»
«“Chiamiamo” chi?»
“Posso prendere le ordinazioni?”
Josephine, che quasi aveva dimenticato di essere in un luogo pubblico, sobbalza all’arrivo della cameriera.
«Certo. Espresso e muffin ai mirtilli per me e...»
«Caffè americano e muffin al cioccolato per me, la ringrazio.»
Conclude la Cooper, sorridendo cordialmente alla donna e aspettando che sia abbastanza distante prima di proseguire.
«Chi siete “voi”?»
«Sono un cacciatore. Sono stato addestrato per difendere i mondani dagli oscuri, ecco perchè l’altra sera ero nel bosco. I controlli sono triplicati la notte di luna piena... »
«I licantropi si trasformano soltanto con la luna piena?»
«I più inesperti. Quelli che non sanno domare la bestia che è in loro. Alcuni di loro riescono a reprimere i loro impulsi e a trasformarsi a loro piacimento.»
«Hai mai ucciso uno di loro?»
In seguito a quella domanda, Ian si irrigidisce. È sempre difficile accettare quella parte del suo lavoro, non era facile quando ha ucciso per la prima volta e non è facile nemmeno adesso, dopo tutti questi anni.
«Scusami, sono stata inopportuna… Siamo in mezzo a tutte queste per―»
«Soltanto quando non ho avuto altra scelta.»
Ammette Ian dopo alcuni secondi di esitazione.
«Il mio obiettivo è impedire che queste creature facciano del male al prossimo, non uccidere.»
Josephine è parecchio turbata da quella confessione, ma finge di non darci troppo peso e cerca di proseguire con quella sorta di interrogatorio.
«Argento?»
«Particolarmente nocivo ma non è l’unico materiale in grado di ferirli.»
Josephine annota l’informazione sul suo taccuino, prima di proseguire con la prossima domanda.
«Invecchiano?» «Sì. Più lentamente di noi, o almeno così pare.»
«Che altre creature esistono?»
«Quanto tempo hai?»
«Streghe e maghi?»
«Li chiamiamo Veggenti e non i loro poteri non hanno nulla a che vedere con il mondo di Harry Potter.»
Josephine gli lancia un’occhiataccia, ma ammette a sé stessa di averci pensato, almeno per qualche secondo.
«Vampiri?»
«Certo, ma niente sbrilluccichii alla Twilight.»
«Crocifissi ed acqua santa?»
«Innocui.»
«Aglio e verbena?»
«L’aglio è una leggenda, la seconda non ho la minima idea di cosa sia.»
«È una pianta, non guardi The Vampire Diaries?»
«Direi di no.»
«Paletti di legno?»
«Quanti serie fantasy guardi? Ma sì, la parte del legno è vera.»
«Mi sta per esplodere da testa...»
“Un espresso e muffin per te, caffè lungo e ciambella per la signorina!”
Esclama la cameriera interrompendo i due per l’ennesima volta, portanto al tavolo entrambe le ordinazioni. Josephine, non curante dell’arrivo della ragazza, porta entrambe le mani alla fronte, visibilmente scossa da tutte le nuove informazioni acquisite.
«Possiamo continuare un’altra volta, non preoccuparti, io non vado da nessuna parte…»
La rassicura Ian, poggiando una mano sulla spalla di lei.
«Già, a proposito di questo…»
Risponde Joey dopo essersi ricomposta.
«Volevo proporti una cosa.»
Ian la osserva incuriosito mentre sorseggia finalmente il suo espresso.
«Spara.»
«Non mi conosci un granchè, ma credo che tu abbia capito che non sono esattamente… Una ragazza sportiva.»
Ian la guarda con un’espressione da “Non mi dire”, ma decide non interromperla, non prima di aver capito dove voglia andare a parare.
«Voglio che tu mi insegni a difendermi.»
Ian sgrana gli occhi sorpreso da quella richiesta, ma subito dopo si ricompone.
«Certo. In palestra teniamo corsi di Krav Maga, Ju Jitsu, Capoeira… Quello di Capoeira a dire il vero lo tiene la mia collega, ma ti assicuro che è molto―»
«A dire il vero… Pensavo a qualcosa di più…. Specifico.»
Precisa la Cooper, cercando di interpretare l’espressione facciale di Ian, che adesso sembra aver compreso a pieno ciò che la ragazza aveva in mente.
«E poi cosa? Ci aiuterai a “sconfiggere le forze del male”? Questo non è un gioco Joey, non se ne parla!»
Josephine alza gli occhi al cielo, in seguito alla reazione esagerata del ragazzo.
«Non è quello che intendevo. Non ho intenzione di fare proprio un bel niente. Io… Io non sono come voi, e nemmeno voglio esserlo, è solo che...»
Si è resa conto di aver alzato un tantino il tono di voce, perciò decide di fare un respiro profondo, prima di proseguire con le sue ragioni. Con una tono decisamente più pacato, Josephine si rivolge nuovamente ad Ian, con un’espressione implorante stampata in volto.
«Io muoio dalla paura, Ian. Dal giorno dell’incidente, io sobbalzo persino al suono del mio stesso respiro. Mi faccio accompagnare dal mio coinquilino persino al mini-market sotto casa…Ho sempre la sensazione di essere seguita e l’idea che possa ricapitare una cosa simile non mi fa chiudere occhio, io―»
«Hey, Hey non capiterà.»
«Non puoi saperlo!» «Sì, invece!»
«Potrebbe ricapitare. Tu o uno dei tuoi “colleghi” potreste non essere nei paraggi e...Non ho intenzione di farmi cogliere impreparata un’altra volta. Ti prego Ian...»
Conclude la Cooper poggiando la mano su quella di Ian, implorandolo di assecondare questa sua folle richiesta. Ian, che in un primo momento sembrava piuttosto riluttante all’idea, si lascia andare in un lungo sospiro rassegnato, annuendo leggermente con il capo.
«Lo prendo per un sì?»
Domanda Josephine incapace di mascherare la sua espressione estremamente soddisfatta.
«Non farti strane idee. Sarà un semplice corso di difesa personale. Partiremo dalle basi, potremmo vederci palestra dopo l’orario di chiusura, il mercoledì sera sono sempre l’ultimo a lasciare l’edificio...»
«Non immagini quanto io ti sia grata in questo momento...»
«Non pensare che ti permetterò di maneggiare delle armi o qualcosa del genere. Tutto quello che posso offrirti sono informazioni puramente teoriche e qualche dritta per evitare lo scontro. Insomma, per dartela a gambe prima che l’oscuro abbia il tempo di farti fuori...»
Precisa ignorando la reazione della mora, più serio che mai.
«Cosa che naturalmente non ricapiterà. A meno che tu non ti metta nei guai di proposito, improvvisandoti paladina della giustizia.»
«Non… Non succederà. Io―Te lo assicuro.» Ian non ha mai parlato così apertamente ad un mondano di oscuri, cacciatori e di tutto ciò che c’è dietro, perciò non è piuttosto dubbioso riguardo a tutta questa situazione. Solitamente le persone coinvolte in simili incidenti spariscono dalla sua vita nel momento esatto in cui si assicura di averle messe in salvo. Aiutare la vittima a superare il trauma e occuparsi di tutto ciò che viene dopo non è mai stato affar suo. Ma Josephine è diversa. Non può semplicemente sparire così.
È emotivamente coinvolto in tutto ciò e non può permettere che qualcuno tenti di farle di nuovo del male. Non può permetterle nemmeno che sia lei stessa a mettersi in pericolo, impicciandosi in affari che non le riguardano soltanto perchè lui si è rifiutato di aiutarla. No, non se lo perdonerebbe mai.
«Mercoledì sera, sette in punto. Sarò qui in palestra, puoi entrare dalla porta sul retro. Siamo d’accordo?»
«Non mancherò.»
Risponde Josephine lanciando uno sguardo incredibilmente riconoscente al ragazzo, prima di dedicarsi finalmente al suo caffè, ormai tiepido.
«Gradisci dell’altro caffè nel tuo zucchero?»
Domanda Ian divertito, smorzando la tensione che fino a poco prima ha monopolizzato la conversazione.
«Ha Ha Ha. Divertente! Vuoi assaggiare?»
«No, grazie. Non vorrei essere responsabile di un tuo calo di zuccheri, non me lo perdonerei mai.»
«Sei soltanto invidioso!»
Dopo questo scambio di battute l’atmosfera diventa decisamente più leggera. I due trascorrono una buona mezz’ora a ridere e scherzare, proprio come hanno fatto la prima volta che si sono visti. È bello pensare che un evento tragico come quello del precedente fine settimana, possa aver dato inizio ad una nuova ed interessante amicizia.
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594,3.
Ho una ragazza a 594,3 chilometri dalle mie labbra. Ci siamo conosciute qui, su Tumblr, otto mesi fa. Tutto è partito da un “follow” e poi una domanda scontata in bacheca, un “ciao” in privato. Ero triste, triste da far schifo, lei era così malinconica, così fragile e chiusa in un piccolo guscio alto e resistente che mi sembrava così tremante e insicuro al contempo. Non potevo evitare le sue grida d’aiuto, volevo prenderla tra le mie braccia e cullarla dolcemente affinché tutto potesse sembrarle più semplice da sopportare; volevo salvarla, volevo essere la sua più grande protezione. Nessuno ha mai creduto a me, a questa relazione, ai miei sentimenti: né la mia famiglia, né tanto meno le persone che mi stavano accanto. Io però ero sicura, sicura come mai in vita mia, che quella ragazza sarebbe stata la mia salvezza. Così è stato, per l’appunto, poiché ora mi sento serena e al sicuro. “Perché cominci questi casini? Lo sai che le relazioni a distanza non esistono, chissà quante cose può nasconderti a chilometri e chilometri da te”; “Non è una relazione questa, io non ci credo che durate”; “Ti farà più male di quanto credi, stupida!”. Non ho creduto a niente, a nessuno, mi sono arrabbiata con tutta me stessa prendendo a pugni il muro. Ho pianto tutte le lacrime del mondo per questa distanza, per quanto mi sentissi impotente e triste, ma non mi sono mai sentita così sollevata quando lei, a chilometri da me, diceva che ero la persona che l’aveva resa felice e che mi amava, mi amava più di qualsiasi altra cosa al mondo. Quando mi chiama al telefono, mi risponde “ehi, amore mio” e chiude la telefonata con “ti amo, amore”, poi mi scrive quasi in lacrime dicendomi che sono tutto ciò di cui ha bisogno, che la mia risata le ha bloccato il respiro in gola. Quando si arrabbiava per tutte le volte che le parlavo dei miei denti che detestavo, che volevo eliminare e che mi facevano piangere così tanto da farmi mancare il fiato. E quindi lei si arrabbiava, tantissimo, mi diceva che non le interessava di nulla, che erano una delle cose che più amava di me e che mai avrebbero potuto farle schifo, anzi, li avrebbe baciati così tanto se fosse stata qui con me. Niente mi ha mai reso felice come ha fatto lei in otto mesi, lontanissima da me. Niente e nessuno mi ha fatto provare tutto ciò che provo per lei, è qualcosa che ritengo arte, musica splendida per il mio cuore che, lentamente, è riuscita a curare. E’ riuscita a rendermi felice, a farmi accettare così come sono, a spronarmi a vivere la mia vita così come viene assieme a lei, a salvarmi da quella prigione in cui abitavo, in quel buio pesto e pericoloso. Questo per me non è poco e mai lo sarà; ogni suo piccolo o grande gesto significa tutto per me, tutto ciò che fa per me o no è importate. Lei è riuscita a toccare parti della mia anima che nessuno aveva mai visto prima, è riuscita a vedere la vera Rita completamente nuda di ogni maschera, ogni timidezza, ogni paura; tutti i fallimenti, tutti i difetti lei li ha visti, li ha sentiti e li ha amati, semplicemente, con un amore che posso giurare è riuscito a farmi commuovere per quanto vero e puro è stato. Ha così tanto amore, la mia ragazza, dentro di sé. Nessuno mi ha amato come lei: di un sentimento forte, un disperato bisogno di avere la tua persona nella tua vita, un saldo aggrappamento alla vita, a tutte le piccole cose che può donare; è una rivincita ciò che è riuscita a donarmi lei, è la nostra vittoria. Ho una ragazza a 594,3 chilometri dal mio petto che, alle sue parole, si scalda lentamente, accarezzando il mio cuore stanco e lo rafforza, risvegliando i miei sensi e la mia vita in "stand by". Il mare ci divide, non le ho mai tenuto la mano, non ho mai avuto la fortuna di abbracciarla, sentire il suo profumo, accarazzerle i capelli per poi spostarglieli lentamente, avvicinarmi al suo orecchio e dirle che l'amo, l'amo che non può nemmeno immaginare. I chilometri lottano, remano contro di noi assieme a tutte le persone che ci circondano, ma io non riuscirò mai a farli vincere. Lei è la ragazza che c'è stata più di moltissime persone vicinissime a me, la ragazza che mentre piangevo mi faceva registrazioni sceme per farmi ridere, raccontandomi di quanto fosse buffa e quanto fosse innamorata di me. Nessuno può capire il bene che riesce a darmi, nessuno mai lo farà e sinceramente ho imparato ad andare avanti da sola, a lasciar perdere il mondo intorno. Guardo con lei serie tv ridendo perché è infinitamente gelosa, la notte se non abbraccio il cuscino mi sento vuota e se lei dovesse scrivermi, sono sempre lì che mi preoccupo, accendo il cellulare e le scrivo alle quattro del mattino che ho voglia di fare l'amore con lei. Ho sempre voglia di fare l'amore con lei, come non era mai successo. Voglio che sia lei la prima, la prima in moltissime cose. Tengo a lei più di ogni cosa al mondo, non riuscirei a stare senza. Un giorno ci vedremo, è una nostra promessa, e saremo felici da far schifo. Alzeremo i medi al cielo, ci terremo per mano davvero, riuscirò ad avere le sue labbra sulle mie. La distanza mi distrugge, a volte, ma ho capito che preferisco averla lontana da me piuttosto che non averla per nulla. Lei resterà sempre nel mio cuore e nessuno la farà uscire. Volevo soltanto dire che se amate una persona potete superare qualsiasi cosa, anche il dolore di non averla vicino tutti i giorni come vorreste. Se la vostra persona dimostra in tutti i modi di essere totalmente innamorata di voi non lasciatela andare via, sarebbe un dolore persino maggiore. Perché tu potrai essermi lontanissima, amore mio, ma nulla mi disintegra come l'idea di averti lontana dalla mia vita. Non finirà tutto questo, non voglio che succeda, lei è tutto ciò che ho. Ho una ragazza a 594,3 chilometri dalle mie braccia, eppure mi è sempre ad un millimetro dal cuore.
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Ecco qualche citazione da "Buffy The Vampire Slayer" per superare la giornata:
1. Buffy: "Potere. Io ce l’ho. Loro no, E questo li preoccupa."
2. "Se moriremo, lo faremo da eroi."
3. Angel: "Niente armi, niente amici, nessuna speranza. Fai sparire tutto quello e cosa ti resta?" Buffy: "Me stessa."
4. Giles: "Hai un piano?" Buffy: "Io sono il piano."
5. Buffy: "Trovo sempre un modo. Sono l’incubo dei mostri."
6. Buffy: "Essere forti significa combattere. E’ duro e doloroso e lo devi fare ogni giorno. Ma lo possiamo fare insieme."
7. Buffy: "Se supero questo, e il prossimo problema e quello dopo ancora, forse un giorno sarò pronta."
8. Buffy: "Sono più che stanca, più che spaventata. Sono sull’orlo della bocca dell’Inferno che mi inghiottirà tutta intera. Ma si strozzerà con me. Noi non saremmo pronti? LORO non sono pronti."
9. "C’è solo una cosa su questa terra più potente del male e siamo noi."
10. Whistler: "Siamo forse solo delle marionette indifese in balia del destino? No. I momenti cruiciali arriveranno, non possiamo evitarli, ma è quello che farai dopo che conta. E’ ciò che ti farà capire chi sei veramente."
11. "Devo credere in un mondo migliore."
12. Anya: "Quando si tratta di qualcosa di importante loro sono pronti a combattere. Ok, non sono proprio il massimo, ma combattono e non si arrendono mai. Perciò credo che anche io contnuerò a lottare."
13. Buffy: "Dovete prendervi cura gli uni degli altri. Dovete essere forti. Dawn, la cosa più difficile di questo mondo è viverci. Perciò sii coraggiosa e vivi, per me."
14. Buffy: "Fate la vostra scelta. Siete pronte ad essere forti?"
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“Solo in questo libro troverete la terribilità del sacro. Devo essere proprio cattivo”: insieme a Elio Paoloni verso Santiago, tra apparizioni, rivelazioni e bestemmie. Contro gli scrittori “untori della disperazione”
Il primo è un dettaglio repentino, che potete gettare alle ortiche. Dio si fa stanare in cammino. Chiede a tutti – da Abramo a Mosè, da Noè a Gesù – di muoversi per andargli incontro – che poi è un celestiale paradosso: perché Egli è ovunque e in nessundove. Fosse anche uscire dalla città e avviarsi al fiato del deserto: Dio non vuole liturgia statica ma polpacci che si corrodono, gambe fiacche, d’altronde a che serve la stazione eretta? – d’altronde, gli ebrei pregano con tutto il corpo, sono fermi ma in moto perenne. Il secondo è che il libro di Elio Paoloni, “una delle penne migliori sulla piazza” (l’autodefinizione è supportata dalla rassegna stampa relativa ai suoi libri, cito tra gli altri: Sostanze e Piramidi), s’intitola Abbronzati a sinistra (Melville, 2019), racconta il pellegrinaggio verso Santiago compiuto dall’autore, ma dichiara in copertina di essere un “Romanzo” e non un reportage. Romanzo perché Dio è il più imponderabile e fantomatico e fantastico degli eroi ‘da romanzo’ della letteratura occidentale, come ghigna Harold Bloom? Probabilmente, perché il pellegrino è consustanziale allo scrittore, ma altro da lui, e perché il libro, piuttosto, non è uno sciatto reportage, uno sciupato libro ‘di viaggio’, un estatico manuale per umettare vagabondaggi mistici. Ha la statura narrativa di un romanzo, fin dall’incipit, che flirta con l’apofatico paradosso (“Tonda, sonora, sillabata: è con una sacrosanta bestemmia che comincia il santo viaggio”), gli sketch dialogici, le osservazioni ciniche o spensierate (“Se a Dio forse non credo ancora, al Diavolo sicuramente sì: mi è sempre difficile rintracciare gli indizi della imperscrutabile Provvidenza mentre trovo facilissimo intravedere la malignità, la crudeltà, l’irrisione, propri dell’operato diabolico. Non che sia impossibile supporre, a volte, l’intervento divino – o angelico – ma l’interpretazione di certi segni non riesce mai a superare il vaglio del dubbio”) di cui è costellato il libro, compresa l’apparizione di Lui, intorno a pagina 90 (“È in questa postura svagata, sarcastica, che Gesù mi fulmina. Si china verso di me dall’alto del suo asinello e fissa i suoi occhi nei miei. Dal nulla il suo sguardo, intenso, diretto, mi investe come un treno”). Elio Paoloni, voglio dire, mi pare come quei personaggi che baluginano dai romanzi russi di un secolo e mezzo fa: mezzi atei e mezzi azzannati da Cristo, sempre a penzolare tra l’abisso della fede e quello del nulla, che raspano con occhi come chiodi fino all’ultimo verbo insensato. In più, però, ha una ironia caustica e colta, alla Buster Keaton. Il viaggia a Santiago è come quello della mano che s’infittisce nell’amazzonico costato di Gesù, mi dico, immutabilmente idiota, William Blake di periferia, da due lire. (d.b.)
Parti verso Santiago bestemmiando. Chiudi con una imprecazione. In effetti, anche Ungaretti, scrivendo La pietà, adora Dio bestemmiandolo. Hai trovato la fede cammin facendo? Che senso ha andare a Santiago da senzadio? Per trovarlo, per sfida, per gioco?
La bestemmia è forse il più fervido legame con la divinità: menzionare Dio o un Santo significa riconoscerne l’esistenza e il potere. Si è mai sentito qualcuno bestemmiare il Nulla o il Caso? Infatti le più bersagliate sono le figure prossime, Patroni e Protettori. Rischiando la blasfemia potremmo dire che ogni imprecazione è una rude preghiera, una maschia, orgogliosa protesta. Una richiesta di attenzione, come quando i bambini ignorati mandano in frantumi un oggetto. Se ho trovato la fede cammin facendo? Vogliamo impedire al gentile lettore di scoprirlo man mano? Il libro racconta di un’epifania. E del successivo dibattito interiore sull’attendibilità della faccenda. Ma una cosa è certa: mai ho avvertito così intensamente, in così rapida successione, il senso degli accadimenti. E di sicuro, dopo il Camino, attribuisco più facilmente un senso a ogni vicissitudine. E trovare Senso non è lo stesso che trovare Dio? Una caratteristica del Camino, infatti, per la varietà di situazioni incontrate, è quella di consentire a chiunque di vedere Segni. Se uno li cerca li trova. Se no, ti trovano loro. Si è predisposti all’interpretazione, ecco tutto. La potenza del Camino è racchiusa in questo brano: “Perché qui, sia ben chiaro, non impari niente di nuovo; tutto è già noto, cerebralmente: sono idee che accarezzi di tanto in tanto quando ti ritrovi a filosofeggiare, precetti che abbandoni appena rientrato nella diabolica routine. Il Camino però è una vita condensata, un Bignami d’acciaio: ti ripropone in breve tutte le lezioni già impartite dalle quali non hai tratto beneficio. Te le imprime così velocemente, te le impartisce così fisiologicamente che proprio non puoi fare a meno di ‘capire’. Non col cervello ma con ogni fibra muscolare, con ogni organo. Col midollo. È una marchiatura: i sellos (timbri che vengono apposti sulla Credenziale, sorta di tessera di viaggio per ottenere la Compostela, attestato ufficiale del compimento del pellegrinaggio) sono sul corpo, non solo sulla Credenziale”. Molti vanno a Santiago da senzadio (è forse la condizione più comune). Lo fanno per trovarlo? A volte sì. Ma non si può escludere che vi sia una componente di sfida: acchiappami, se ne sei capace, portami a Te.
Le fotografie a corredo dell’articolo sono di Elio Paoloni
Di libri sul cammino di Santiago, tecnici, letterari, metaletterari, ce ne sono una barca: perché dovrei leggere il tuo?
Quelli tecnici, le guide, sono una categoria a parte, possono essere letti parallelamente a quelli letterari, anche se, col senno di poi, li butterei tutti a mare. Sul Camino non si perde neanche un bambino e prevedere ogni tappa, ogni ostello, ogni cena, è fuori dallo spirito del cammino, te lo dice uno che ci è cascato. Ci si dovrebbe fermare quando non ce la si fa più, o quando un albergue ci sembra accogliente. Delle asperità di O Cebreiro o dei rituali alla Croce di ferro ti renderanno edotto gli altri pellegrini, ammesso sia necessario. Evitare l’avventura è quanto di più sciocco si possa fare. Del resto l’imprevisto è sempre in agguato. Per fortuna. A un certo punto del cammino ho una resipiscenza: “I pellegrini bramavano le piaghe. Erano proprio le piaghe che li univano al Cristo… E cosa ho fatto io per settimane? Sono andato alla ricerca di tutto ciò che ne impedisce la formazione. Sterilizzando l’epidermide ho sterilizzato questo cammino, ho annullato la sua validità catartica. Sono i meschini claudicanti di cui disprezzo l’incompetenza tecnica che dovrebbero compiangermi”. Su un portale, Eroski Consumer, c’è una grande sezione dedicata al Camino che è il perfetto equivalente di Trip Advisor: recensioni sugli albergue, sugli hospitaleros, sui locali che dispensano il menu del pellegrino. Ma non mi sento di criticare, ho imparato che disprezzare l’approccio degli altri pellegrini è quanto di più contrario allo spirito del Camino (e del cristianesimo). E quando ti rendi conto dello stato di salute o dell’anzianità di alcuni pellegrini non puoi che vergognarti di tutto il tuo fondamentalismo filologico.
In quanto alla miriade di diari di viaggio, sì, sono tutti simili, spesso stucchevolmente devoti. Quelli dei nipotini di Coelho poi, sono ancor più melensi. Non mette conto di parlare di quelli fieramente atei, vedi il viaggio-dibattito di Odifreddi con – o contro – Valzania. Il mio libro è unico, sempre sul crinale tra fede e scetticismo; il narratore è dibattuto, inquieto, e riallaccia ogni tappa esotica ad altri santuari, quelli della sua terra. Nel diario si addensano ironia, autoironia e anche pesante sarcasmo. Il mio sguardo è diverso da ogni altro e la mia scrittura è spiazzante. Un critico scrisse che io “tendo agguati”. In effetti usavo pescare in apnea, “all’agguato”. Un altro ha scritto che “prendo il lettore per il bavero”. Devo essere proprio cattivo. Se si vuol leggere un libro sul Camino che non tranquillizza, quindi, occorre leggere il mio. Solo in questo libro troverete la terribilità del sacro. Non è un caso se Gesù chiamava Boanerghes Giacomo e il fratello. Figli del tuono. Il Sacro può essere tremendo, non è conciliante come sembrano suggerire i comuni resoconti di viaggio. Della Cattedrale dico che è “stratificata, proliferante, macchinosa, è un presidio in perenne allarme. Questa basilica è un monito. Non ha nulla del santuario accogliente, ecumenico, facile al perdono. È dura quanto e più del cammino. È un monolite extraterrestre, è Hanging Rock”. Questo libro è perfetto per chi il viaggio lo ha già fatto, forse senza comprenderlo fino in fondo, per chi vuole farlo e cerca una spinta – o una guida, una guida vera, non una mappa – per chi non lo farà mai ma ama la letteratura di viaggio – o semplicemente la buona letteratura – e per ogni individuo che si interroga sulla Fede. Sì, questo libro è un po’ una summa delle inquietudini di tutti noi, viaggio o non viaggio. Ed è stato scritto da una delle penne migliori sulla piazza. Non scandalizzatevi, sto solo mettendo in pratica le esortazioni di Leopardi: “rara quella persona lodata generalmente, le cui lodi non sieno cominciate dalla sua propria bocca … Chi vuole innalzarsi, quantunque per virtù vera, dia bando alla modestia”. Spacconate a parte, il mio essere cattolico ‘a giornate’ (quelle poche in cui riesco a recitare il Credo con convinzione) mi consente, credo, di affrontare temi forti in maniera originale, non ortodossa, problematica, di produrre scritti fecondi ma anche divertenti.
A un certo punto scrivi: “Quello che crediamo di pensare è solo ciò che la nostra mente ha captato, ciò con cui si è sintonizzata. Misteriosi i modi, i tempi, il senso di tutto questo”. È questo quello che hai scoperto camminando? Cosa hai scoperto?
Non sono certo il solo a ritenere che siamo attraversati. Carmelo Bene, mio gigantesco conterraneo, diceva “io non parlo, sono parlato”. Tanti comprendono che la nostra mente è solo un sintonizzatore e mi successe di raccogliere in un articolo le citazioni di diversi grandi insospettabili che attestavano di aver “subito” passivamente, del tutto inconsapevolmente, l’ispirazione, anzi la “dettatura”. Quella sciocca idea romantica si rivelava più importante della tanto decantata traspirazione. Il punto è: da cosa siamo attraversati? Dall’inconscio collettivo, rispondono i più. Da forze angeliche e demoniache, dico io. Di sicuro dalle demoniache, aggiungo, perché, come ho argomentato approfonditamente, a Dio forse non credo ma al Diavolo sicuramente sì. E come sempre in questi campi, tutto è estremamente misterioso. Non c’è bisogno di camminare per capirlo, ma, come ho detto, sul Camino molte cose diventano più nitide, tutto viene a fuoco. Parafrasando Foer, ogni cosa è illuminata. Non perché il Mistero venga svelato, ma perché si presta più facilmente alla contemplazione. Cosa ho scoperto, dici? Pare che mi sia scontrato con Gesù. O forse no. Lo scoprirete solo leggendo.
Perché ti sei messo in cammino? Si cammina per superarsi, per estinguersi, per guardarsi intorno, perché? Uno scrittore, forse, è sempre in cammino, traccia vie sulla neve vergine, come diceva Salamov. Ma forse, è un romanticismo d’accatto, questo.
Le motivazioni, come si comprende all’inizio del testo, sono chiaramente confuse; non ce ne è mai una sola. Spesso ne dichiariamo – ce ne dichiariamo – una a caso ma di sicuro c’è dell’altro sottotraccia. Abbiamo tutti questa strana forma di pudore, l’unica rimasta a quanto pare, che ci impedisce di confessare anche a noi stessi di cosa andiamo realmente in cerca. E di Gesù, come scrisse Messori, non si parla tra persone educate. Le motivazioni, in realtà, divengono chiare solo alla fine del Camino. O qualche tempo dopo: “il Camino non dà risposte, ti aiuta a formulare la domanda. Quasi certamente, nel campo delle stelle, ti saranno chiariti i tuoi moventi. Almeno quelli”. In ogni caso, il cammino, quello fisico, non quello metaforico di Salamov, è la mia condizione naturale. Come ho scritto: “In rete, nei libri, a colloquio, tutti dicono di ‘aver trovato una nuova dimensione’. Io no. Rientro semplicemente nella mia. Non ne ho mai avuto altre vere. Per me vivere la giornata spostandomi nella natura, che sia camminare, pedalare o pinneggiare, è sempre stata la vita. L’unica vera vita. Tutto il resto è parentesi, tortura subita tra ribellioni soffocate, velenose”.
Ma il pellegrinaggio è un’altra cosa. “Il pellegrino girovaga, per così dire, – scriveva in un omelia l’allora Cardinale Ratzinger – nella geografia della storia di Dio. È in cammino alla volta di un luogo che gli è stato segnalato, non verso una località che cerca da sé. Prestando attenzione ai segnali che la Chiesa – per la potenza della sua fede – ha predisposto, i pellegrini hanno la possibilità di godere ancor meglio di ciò che il turismo cerca… ma anche coloro che lo degradano a mero exploit atletico o a una vaga spiritualità New Age, percepiscono implicitamente lo spirito profondo del Camino, ‘almeno come nostalgia’”. In effetti, io mi sono fatto questa convinzione: quali che siano le motivazioni di coloro che fanno il cammino, dalla generica devozione ai voti veri e propri, dai viaggi in suffragio – o perlomeno in memoria – di un congiunto alla spiritualità new age, dall’atletismo al turismo alternativo (come nel caso della ricca annoiata che tra il viaggio a Dubai e un soggiorno sul lago di Como intendeva intercalare il brivido di una vacanza da poveri) e anche quando le motivazioni sono addirittura assenti (c’è chi si aggrega così, per fare compagnia a qualcuno), ebbene, tutti, in qualche modo, finiscono per risentire della effettiva spiritualità di questo tragitto; tutti, mi piace pensare, vengono toccati dall’Apostolo.
Giudizio sugli artisti (ti leggo): “Sempre sull’orlo dell’esaurimento nervoso. Rissosi, assassini, debosciati, precocemente persi, i familiari marchiati a fuoco. Non ci sono solo i maudit, certo, esistono pure i longevi maestri. Ma a quanto hanno rinunciato? Quanto hanno dovuto soffrire perché la loro sensibilità si affinasse? Gelo, questa è la parola che Eduardo ripeteva in una delle ultime interviste, sconsolato, disperato, ma con forza, scandendo nitidamente le due sillabe”. La pensi così? Dimmi cosa pensi dei letterati odierni, della letteratura di oggi.
È pieno zeppo di scrittori brillanti, forse non ce ne sono mai stati in tale quantità. Mi pare però che non abbiano proprio nulla da dire. E che non abbiano una personalità propria. Uno scrittore dovrebbe essere innanzitutto un carattere. Vedo – e invidio, un po’ – scrittori che ‘scelgono’ i soggetti. Si guardano intorno e ‘decidono’ di affrontare un tema, così, perché ne sono venuti a conoscenza e li solletica Io scrivo di ciò che mi occupa fortemente. Non posso farne a meno. E non posso scrivere d’altro. Da parecchi anni inoltre concordo con l’affermazione di Antonio Franchini ne Il signore delle lacrime: un libro che non ha dentro nessun sentimento religioso non vale niente. Trovo fortemente limitati gli scrittori che ostentano distacco non solo dalla religione ma anche dalla morale ‘borghese’: dalle tradizioni, dalla bellezza, dal bene. I condannati al noirismo in senso lato, come dicevo anche in una vecchia intervista. Neri i libri, neri loro, neri i lettori. Libri che ignorano programmaticamente bellezza, grazia, bontà. Che dopo averci scaraventato all’inferno, non ci portano mai a riveder le stelle. Non si tratta solo di un genere commerciale più o meno vendibile. Certi autori sono gli untori della disperazione, a volte nascosta sotto affreschi di liberissimo erotismo, di scherzosa indifferenza, di accigliato impegno.
L'articolo “Solo in questo libro troverete la terribilità del sacro. Devo essere proprio cattivo”: insieme a Elio Paoloni verso Santiago, tra apparizioni, rivelazioni e bestemmie. Contro gli scrittori “untori della disperazione” proviene da Pangea.
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Ciao Nuy <3
è passato tantissimo tempo, lo so, ma come ben sai ho bisogno di essere davvero “con me stessa” quando scrivo, perchè è un momento piacevole, che mi rilassa, quindi non avrebbe senso farlo mentre sono stanca oppure in una giornata triste e malinconica. Ti chiedo, però, scusa, perchè ho lasciato davvero che i giorni passassero. Nonostante tutto, credo proprio che questa sia la serata giusta, stanno trasmettendo Harry Potter in televisione , quindi il mio mood è davvero al top :) guarda, ti dirò, il mio umore sta cambiando contemporaneamente alla scrittura, nel senso che sto percependo che il mio umore stia diventando positivo man mano che ti rispondo a questo post. Sono davvero pazza, lo so.
Parto con l’argomento più spinoso, cioè Dona. Non devi aver paura o essere preoccupata di affrontare quest’argomento con me. Capisco bene cosa ti sia passato nella mente, perchè l’inverno scorso ho pensato le stesse cose, ma nei confronti di Fabiola. Lo so, con il senno di poi mi rendo conto davvero di quanto sia una persona sgradevole e di quanto mi abbia fatto stare male e proprio come Dona, è stata l’elemento che ci ha fatto allontanare, però sentivo una spinta che mi portava a voler risolvere quelle questioni in sospeso, forse più per me stessa. Volevo mettere una pietra sopra a tutto, perchè sentivo che non era davvero finita, sentivo che ancora non avevo dato tutto, ancora non avevo detto tutto e in più ero ancora legata ad un’idea di legame che oramai so che non mi appartiene più e che era quasi solo mio. Nel tempo ho cambiato idea, le avevo anche scritto un messaggio, ma non l’ho mai inviato, semplicemente perchè ho “dialogato” con me stessa ed ho capito che non aveva senso, perchè se una cosa mi aveva fatto stare tanto male prima, se non aveva funzionato la prima volta e soprattutto, cosa più importante, se questo pensiero era venuto solo a me e non a lei, evidentemente era meglio lasciare le cose come stavano. Mi sono resa conto che la sua presenza non avrebbe migliorato la mia vita e in questo momento sento davvero la voglia di avere intorno solo persone valide, a cui voglio davvero molto bene (anche se come te ho alcune persone intorno a cui voglio bene, ma che sento un pochino inutili o vuote...).
Detto questo, credo che se davvero senti di doverle scrivere fallo, perchè devi sempre dar retta a ciò che pensi e provi. Da parte mia troverai sempre un appoggio, non sono più la persona di un tempo, quella gelosa e permalosa (certo, non ho eliminato del tutto questi miei due difetti, ma sono migliorata davvero tanto, perchè crescendo sono maturata). Non posso dirti se ti farà bene o meno, non posso dirti se troverai o meno una persona cambiata dall’altra parte...purtroppo come nel caso tuo verso Fabiola, io non ho una bellissima opinione di lei, trovo che sia stata molto egoista durante quegli anni e credo che il bene da te provato sia stato solo a senso unico. Ma le hai voluto molto bene e conta solo questo, quindi se senti che cercarla potrebbe aiutarti a superare la cosa, fallo e segui il tuo istinto. Devi, però, esserne davvero convinta, devi essere pronta a qualsiasi risposta, anche ad una non-risposta. Potrebbe arricchirti e farti ritrovare una persona nuova, così come potrebbe farti ricadere in un baratro di tristezza, facendo riaffiorare ricordi del passato negativi.
Non so quale sarà la tua decisione, ma ti volevo ringraziare anticipatamente, per averne parlato con me e per aver condiviso un pensiero così importante.
Passando al resto, ti ringrazio anche per avermi fatto tutti quei complimenti. Spero davvero di riuscire a vedermi un giorno con gli stessi occhi con cui mi guardi tu. Sarebbe bellissimo e risolverei parecchi problemi di autostima. Non posso smettere di ringraziare entrambe, per essere riuscite e ricucire un rapporto così solido. Grazie per essere tornata nella mia vita, sei davvero molto importante per me. So di avertelo detto già altre volte, ma sto imparando a non dare per scontato quello che sento e provo e sto imparando a condividerlo più spesso, soprattutto con le persone a cui tengo tanto. Mi piacerebbe imparare a farlo di più anche con i miei genitori, non so perchè ma con loro ho una sorta di tabù che mi porta a non riuscire a dir loro quanto li amo...anche se a volte glielo scrivo. Non so se capita anche a te di provare questa forma strana di imbarazzo o se sono solo strana io.
L’idea del barattolo è davvero molto carina, vorrei riuscire ad attuarla, magari appena scendo in quella che dovrebbe essere la mia futura casa. Per ora è ancora difficile che io scenda, soprattutto dopo il disastro accaduto a Terracina. L’anno scorso è accaduto proprio sulla mia casa, quasi distruggendola e quest’anno, nonostante non sia stato devastante per la mia abitazione come lo scorso anno, le raffiche di vento e le piogge continue stanno finendo di rovinare il tetto e perciò mi ritrovo, solo al secondo giorno di pioggia, con le gocce d’acqua che mi cadono in camera e con la bacinella per raccoglierle...dovrei trovare una casa in affitto anche per i miei, devono andar via da qui.Stanno troppo male...però non si riesce a trovare una casa, anche fuori mano, con un giardino per i nostri animali e un prezzo onesto, che non sia superiore ai 500€.
Spero davvero di riuscire a fare tutto, perchè tutti questi pensieri, tutta questa negatività e questo lavoro, mi stanno davvero mettendo in crisi non solo fisicamente, ma anche psicologicamente... Poi dopo questa cosa accaduta a Terracina sono ancora più spaventata. Guido quasi terrorizzata dagli alberi e il rumore del vento o dei tuoni mi angoscia. Mi fa strano vedere Terracina così cambiata e mi terrorizza rendermi conto di quanto il clima stia cambiando velocemente, di quanto siamo piccoli di fronte a tutto questo e soprattutto di quanto siamo disorganizzati.
Mentre scrivo sento questa frase che adoro, ma che tendo a dimenticare:
“La felicità la si può trovare anche negli attimi più tenebrosi, se solo uno si ricorda di accendere la luce”
Dobbiamo davvero ricordarcelo, dobbiamo essere più positivi. Dopo il compleanno ero più felice e ti dico questo, perchè ti sto rispondendo ad una delle domande che mi avevi fatto nell’altro post. Vorrei rispondere, dentro di me, anche alle altre e concentrarmi sulle cose belle.
Tu come stai? Come ti senti? Quali sono le tue emozioni in quest’ultimo periodo? Stai seguendo ancora la Luna? Come ti trovi?
Non vedo l’ora di venire a Perugia, manca pochissimo...mi spaventa lasciare qui la mia famiglia, con il clima di questi giorni, con papà che non sta bene...però delle volte penso che devo prendermi dei momenti solo per me, lo devo a me stessa, altrimenti non vivo più...dovrei smettere di sentirmi in colpa, ma so anche che non sarà facile...
Perdonami se non riesco ad essere una buona amica, non riesco a stare dietro a niente, nemmeno a me stessa. Spero di riuscire a migliorare...
Spero di essere riuscita a dire tutto e a rispondere a tutto, cercherò di ricontrollare per bene se manca qualcosa, ma nel caso dimmelo :) Scusa per l’attesa e scusa se ho scritto troppo, come al solito non riesco a contenermi. Rispondimi con tutta calma, prenditi il tempo che ti serve per fare le tue cose.
Ti voglio bene e non vedo l’ora di abbracciarti forte forte. <3
Grazie anche per tutto il disturbo che ti sei presa con la storia degli appartamenti per noi. <3
Con tanto amore
Anna
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Bartò frantumato 3 - di Niccolò mencucci ebook on-line
leggi in shade of blue: https://booky-italia.blogspot.it/2017/12/barto-frantumato-terza-serie-finale.html
22.
“Ricordate, ragazzi, l’importanza della nostra organizzazione no-profit!”, disse il portavoce del gruppo, un ragazzino della mia età smorto, simile ad un anziano. Ed eravamo lì, a seguire in cerchio una presentazione a dir poco dolciastra e perfino troppo idealista per me. E ne parlo da elettore del movimento! Ma con loro fu diverso; oltre agli ideali c’era un movimento più concreto, più fattuale. Una sera Fiorenza m’invito alla riunione settimanale in un pub ad Alberillo dove si erano riuniti alcuni attivisti del movimento interessati alla storia di un agriturista preoccupato sulla sua situazione. L’agriturista, di origini belghe (vagamente somigliante a P.Daverio) ci raccontò degli ultimi fatti del Comune: si presentò una mattina per alcune carte da far controllare presso uno degli uffici del Comune, quando s’imbatte in un protocollo da poco messo alla delibera del Consiglio riguardante la compravendita di due cave locali, di media grandezza, da parte di alcuni costruttori meridionali. Da qualche giorno c’era un continuo passo di camion, TIR, che scaricavano e caricavano in continuazione, senza sosta, tonnellate di materia e di calce, proveniente dalle cave, aperte! Questi sono i punti focali della situazione: In Italia la maggior parte delle cave sono state dichiarate “fuori uso”, ovvero non accessibili e non utilizzabili, “se non per scopi di bonifica locale a favore dell’ambiente e del turismo”. Le cave in questione, chiuse da oltre vent’anni, vengono riaperte solo con la delibera del Consiglio Comunale di un solo Comune, quando per spazio queste sono dislocate attorno a tre Comuni, tra cui quello della Valle dei Pini, sotto l’amministrazione della signora Civetta. In assenza di un ispettore ambientale, dato che il più vicino e a Firenze, il compito spetta alle autorità competenti, le quali non sempre prenderanno il fatto come decisivo per la stabilità ambientale, intanto compromessa dai primi movimenti. La firma sarà del sindaco, il quale può decidere per sua volontà anche senza prendere in considerazione qualsiasi consiglio o avviso da parte delle comunità o dei consorzi vicini (la presenza del Movimento è poco apprezzata al Consiglio; si dà per scontato un disinteresse da parte della “Sindachessa” ...) “Così mi disse un mio collega, proprietario di un agriturismo anche lui: “Se apriranno le cave, per noi sarà la fine!”, perché col fumo dei TIR, le polveri della cava e il riutilizzo delle materie danneggeranno la flora e la fauna locale, decimando il turismo già scarso.
L’evento mi colpì, soprattutto per l’interesse vivo del movimento a fare qualcosa, e allo stesso tempo di mobilitarsi con grande parsimonia di moti e passioni politiche, con molto basso profilo dunque. L’unica passionaria era Fiorenza, che discusse anche con i suoi genitori, arbitri della questione nonché persone responsabili della “cellula”. Io, forse ironicamente e con una certa ingenuità, pensai alla Mafia! Non risero, anzi, ci credettero. La Mafia che porta la corruzione; la Mafia che porta i rifiuti come a Caserta e riempie le cave per poi rimettere a posto tutto e farci anche delle case; la Mafia dei quaquaraqua di Sciascia...tutto molto assurdo e molto divertente, ma poco credibile. Sono passati mesi dall’ultima volta che seppi di questo affare, e mai chiesi come fosse andata a finire. Conoscendo la sindachessa comincio a capire che la battaglia non sarà facile: dalle mie parti sanno tutti che lei è una favorita dalle alte sfere locali, dagli industriali nei guai con la legge (forestale) come un certo S, il proprietario della C., da qualche anno fuori dalle indagini per inquinamento colposo alle falde (uno dei titoli della Nazione di Arezzo era.
23.
“TROVATO CADMIO NELLE COLTURE LOCALI. C. SOTTO INDAGINE!”
...il cadmio, quello che si usava come isolante per le barre di uranio!).
Una giornata, che pareva tranquilla accompagnava il lavoro del presidente, indaffarato nei mille impieghi dovuti all’amministrazione deficitaria sulla sua Azienda, in piena crisi nel settore metallurgico e chimico. Il suo ufficio è ben arredato, ricco di chincaglierie di prima qualità, che ben lo rispecchia, del resto, vestito azzimato e curato, da non far trasparire la sua anzianità. “Qual è la situazione?”, chiese il signor S. al suo assistente. Era nel suo ufficio, vicino alla sala d’amministrazione della sua Azienda, quando il volto del suo secco e timido assistente si appiattì, a significare il diniego delle sue aspettative. “Come sarebbe a dire?”, gli domandò con voce grossa. “Stai dicendo che sto per rischiare?”, e l’assistente approvò, alleggerendo i nervi e mostrando un sorriso amaro. Il signor S. si alzò dalla sua poltrona, e guardò fuori dalla finestra; cominciò a fumare uno dei suoi sigari toscani. Era tipico per lui favorire l’industria locale del tabacco e non quella importata cubana, seppure più gustosa. Si sentiva legato alla sua terra. “Maledetti! Se non era per me, tutti questi lavoratori, che io, Io ho messo in occupazione, sarebbero a mendicare! Centinaia di famiglie della Città, decine di case costruire con i miei soldi, interi quartieri nati per favorire l’entrata al lavoro dei miei lavoratori...e ora questo...”. Il giornale parlava chiaro. La sua azienda era a rischio, e non di poco: “Potrebbe chiudere l’azienda, signor presidente!”, con voce atona gli rispose l’assistente; “Doveva capire che prima o poi...”. “Come? Prima o poi? Ma che diavolo dici? Hai idea di quanto io abbia impiegato per evitare questo momento? E pensa a tutto il lavoro perché non si venisse a sapere di questo affare...tutto sprecato...” “Che dice il ragazzo?”, chiese mentre il suo sguardo si dirigeva verso il centro del paese. L’occhio catafratto si impuntava su una struttura bianca, moderna. “Dice che lui non può più far niente.”, rispose in maniera sciolta l’assistente. “Come non può far niente?”, si voltò per tre quarti il signor S. “Come potrebbe? Il suo compito è finito. Sono passati degli anni oramai...” “Già...otto all’incirca, è quasi primavera poi...”, notò solo ora che il cielo era aperto, e che alcuni ciliegi volevano superare il tempo proprio, fiorendo a discapito di pioppi e castagni, meli e peri, olivi e perfino roseti e altri fiori. “Che si può fare? Lui non ci aiuterà. Anche se qualche cosina la vorrebbe in cambio...” “A non fare nulla si diventa tutto ad un tratto vogliosi di lavoro, eh? Quel...”, e sbuffò fumo dalla bocca. “Ha fatto delle cose a suo favore; pretenderebbe qualcosa...”; l’assistente lasciò sul tavolo alcune carte, tra cui quella della sezione locale dei trasporti pubblici. Lui li guardò per un secondo: “Ah, vuole fare il capoccia dei bus? Vabbè, incapace dov’era, non farà più danni di quelli che la crisi non ha già fatto lì dentro!” “E al suo posto? Chi ci si mette?”, e fuori intanto arrivavano le auto della guardia. “Lo decideranno gli elettori. Il partito di quello prima, il signor D., è ancora ben voluto dalle nostre parti, se non sbaglio; mandategli qualcuno come suo successore, e lo voteranno a frotta! Tanto, qui l’opposizione non ha mai funzionato, né mai è servita! Che ci pensi quello nuovo a sistemare la faccenda. E sia chiaro! Che lo faccia chiamandomi!” “Certo, presidente, ma chi?”, e intanto dalle scale arrivavano le guardie. “Stiamo cercando il presidente della compagnia”, chiese la guardia ad uno degli impiegati. “Al momento è occupato in ufficio, col suo assistente, se vuole può aspettare.” “Mi spiace, ma devo fargli recapitare questo.” Mostrò all’impiegato l’avviso di garanzia da parte della procura della Città per inquinamento e distruzione colposa di falde ambientali. “Come può vedere, è urgente parlargli.” “Vede, è una persona molto indaffarata: tanto ha quasi finito...” “Non arrivano le guardie? Ci sono le vetture da dieci minuti, e non è lontana l’entrata dal mio ufficio.”, domandò impaziente il signor S. “Si vede che il personale sta cercando di bloccarli, di arrivare alla sua scrivania.”, “Inutile. Quelli mi vogliono. Non riesco ancora a capire perché quello scemo che abbiamo messo non riesca a bloccare anche questo! Sarà pure finito il mandato, ma non il potere che può esercitare!” “Presidente, non può chiamare, per caso, la Guardia, e fermare tutto. Lui deve stare attento alle mosse che può fare, altrimenti un’altra figuraccia lo distruggerebbe.” “Ti prego, non farmici pensare: abbiamo messo un imbecille, ma almeno l’unico abbastanza tale da essere di nostro appoggio.” Lo considerava imbecille per giusta motivazione. Accadde qualche anno prima, durante una conferenza alla scuola locale. Si parlava del nuovo programma dell’azienda locale di smantellamento rifiuti, di riciclare più rifiuti possibile con l’ampliamento dell’inceneritore e delle sale di riutilizzo dei rifiuti. Durante la chiacchierata del direttore degli uffici, il sindaco stava giocando con il suo cellulare mostrando ben poco interesse al futuro dei giovani, indaffarati nelle lezioni a saltare per volontà degli insegnanti lo studio dei scrittori dell’Ottocento per andare a vedere se il compost era a posto. In fondo stava emulando la grande attenzione dei tredicenni e dei dodicenni scolari, lì, bloccati dal preside a seguire la noia fatta discorso. Durò poco l’annoiarsi generale, quando uno dei conferenzieri chiese al sindaco se era giusto mobilitarsi per il bene dell’ambiente. Fece un sì con la testa, che ricordava gli asini quando sono contenti della carota che si trovano davanti, e a ragliare furono tutti per quella scena. “Dio, non so chi fosse più stupido in quel momento se lui o il preside che gli ha dato la possibilità di presenziare alla scena!” “Per fortuna che non gliene diedero altre di possibilità.” “Già. Per fortuna...” Bussarono alla porta: la segretaria, vestita con un colore grigiastro e rivestita in testa dalle doppie punte e dal volto stanco, chiese se il presidente era libero per poter parlare con il capo della Guardia. “Oh, no, signor Presidente, non è il capo, ma solo una guardia.” Il signor S. approvò, e la fece accomodare. Salve, e subito gli fece vedere l’avviso di garanzia. Il signor S. non fece piega e le chiese di attendere un attimo fuori dalla porta. “Mi spiace, ma lei deve venire immediatamente con noi, in questura, per essere interrogato sulle ultime vicende accadute.” “Sì, ne sono cosciente, ma vede, oggi, non è una bella giornata, e devo finire di discutere col mio assistente nei riguardi di alcune faccende in sospeso.” “Capisco. Io intanto attenderò fuori. Badi lei di non opporre resistenza. Non sono venuto solo apposta.”, indicando le vetture fuori dall’edificio, “Devo ammettere che di questi tempi non capita di rado un opporsi alle forze dell’ordine.” Uscito, il signor S. immediatamente scrisse su un foglio un nominativo, e lo chiuse a piega. “Senti, ragazzo, come hai capito mi devo assentare un istante. L’avvocato non mi farà trattenere a lungo dentro la questura, anche per via della mia età e della mia posizione. M’è venuto in mente un nome che può fare il nostro interesse, senza obiezioni: l’ho scritto qui dentro. Nascondilo per bene, affinché non ti faccia vedere dagli agenti quando uscirai da qui. Credo che tu la conosca, lavora per noi da qualche decennio. L’ho vista bambina e per favore dei suoi genitori l’ho fatta assumere da giovane da noi, se non averla fatta arrivare in poco tempo ai vertici. Stesso partito, pressoché la stessa età, solo che lei è più furba di questo qui! Non ci deluderà alle elezioni politiche.” Si preparò ad uscire, prendendo il cappotto di velluto appoggiato alla poltroncina del mini salotto dell’ufficio. L’assistente fece per aprire leggermente la carta che subito intese di chi si trattasse effettivamente. Guardò il presidente con uno sguardo sospeso tra lo stupore e l’incomprensione: una scelta del genere era rischiosa, dopo tutti questi anni. “Guardami quanto ti pare. Hai capito bene, la direttrice dell’ufficio; molto capace, starà zitta quando le verrà chiesto di assecondarci. Lei è l’ultima! Ah, e per il signor D…confermo l’idea di metterlo dentro il sistema dei trasporti. Non ci saranno problemi, dato che la sua famiglia gestisce l’azienda da generazioni. Il caso non si pone nemmeno così difficile!” Uscito dall'ufficio, si fa accompagnare dalla guardia fino all’uscita, fino a essere accompagnato da altre tre guardie, rimaste lì a fumare assieme agli uscieri dello stabilimento. Dopo due minuti non c’era più traccia né delle guardie, né del signor S.
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Questi attivisti non mi piacciono: parlano della bellezza degli ordini presenti in Germania, in Svezia, dove sono sovvenzionati ogni anno con cifre astronomiche, proprietari di servizi e di palazzi con tanto di impiegati full time, solo per negativizzare la situazione italiana sull’omosessualità. Un’ora intera a parlare del nulla! E il nulla era un passare di fogli colorati, di Power Point pieni di immagini sorridenti di associazioni, di locali, di riunioni all’aria aperta su tematiche come l’AIDS, il sesso, le famiglie di figli omosessuali e di diritti negati o in cerca di essere autentificati da qualche ministro non conservatore o assoggettato al potere. Eccoli lì! Lei, bellissima lesbica di ventotto anni, insegnante alle elementari, solare e divertente che spiega come mai in Germania c’è la parità nel testamento delle coppie unite, ma dell’assenza della possibilità di queste ad adottare se non prima dell’unione (prima single, poi adozione, e poi coppia!) Lui, il rachitico ragazzo effeminato che mi guardava da tutta la serata, mentre discuteva della crisi in atto all’interno dei gruppi, in Italia seguiti da attivisti più anziani dediti al paternalismo e alla formalità delle conferenze, con scene straordinarie del tipo: “Se tu alzi la mano e dici qualcosa, ti possono pure rispondere, “Ma chi sei?”, perché in certe situazioni l’unico a parlare è chi è alla cattedra!” Sì può fare qualcosa per tutto questo? Certo, una piccola associazione di studenti e lavoratori giovani può andare in Comune, sbattere il pugno sul tavolo e dire con parole forti, davanti al sindaco della città:
“Signori, qui c’è in gioco la dignità di noi froci! Vogliamo maggiore rispetto!”
Signori, altre prospettive non ce ne sono. Questa è la risposta! Esagero con questo giro di disprezzo snob sul loro idealismo, ma è chiaro come il sole che non è possibile avere un certo peso politico quando si è l’ultima ruota del carro! Come associazione facciamo ridere, perché già non esiste una sede ufficiale, e si vaga tra uffici e lotti liberi temporaneamente; secondo siamo alla merce di altri gruppi “non tanto messi bene”, che vorranno sfruttare qualche associazione per farsi belli davanti ai partiti: è un gioco a premi e di meretricio, a chi si mostra le primizie per primo e con miglior risultato! Le associazioni...che risata! Nessuna funziona se fatta da giovani idealisti! Purtroppo ho già avuto la mia dose di credenza alle piccole follie dell’attività, del fare la differenza: quasi un anno fa riuscì ad accedere ad un blog giornalistico, che pubblicava diversi scritti su tematiche diverse (politica, sociologia, cinema, psicologia, musicologia), per finire dopo alcuni mesi di buona attività e di riconoscimento a non essere più ripreso negli scritti, mentre la qualità del prodotto scemava sempre di più, con articoli di poco conto (però di gran lunga più sensati di tante testate giornalistiche!). E che manca il criterio! Il fatto di essere veramente piccoli, e di chieder chi può dare vero aiuto; non a farsi pubblicità da qualche associazione che ti sorride in faccia e dopo, nel vero momento di carità e di solidarietà, non si fa sentire al telefono (Tuu, tuuu, tuuuu). Il silenzio dell’altra presa, e di nuovo soli, in balia del disinteresse. Di attivisti veri in quella stanza ne ho visti ben pochi, assolutamente. Forse uno dei ragazzi alla mia destra sembravano veramente interessati, ma come me non mancavano chi assisteva solo per conoscere altri gay. Questi centri, questi gruppi sono da sempre grande movimento di ricerca, non del diritto e della tolleranza sociale, ma del bel ragazzo da conoscere, con cui poi uscire insieme e via, una notte a letto e la mattina a lezione! Siamo realisti, anzi, voglio fare il realista: il giorno in cui mi verranno a spiegare, come da programma, come affrontare il coming-out, ne riparleremo...ma poi, devo per forza sentire uno che mi dice come parlare i miei genitori del fatto che: “Sì, mamma, tuo figlio è gay. E gli piace tanto dormire coccolato da un bel giovanotto!”. L’occasione è quella, e cambia a seconda della situazione in cui si vive. Ci sono modi per dirlo, metodi da sviluppare. Ma il segreto di tutto questo è solo...avere la pazienza...cioè, se ti va di dirlo, ottimo, fallo! Ma non ti azzuffare, non piangere, non chiedere pietà! Dillo perché vuoi essere riconosciuto sia come figlio, sia come fratello, sia come nipote, ma soprattutto del fatto che ti senti gay, che sai che loro ti vedevano prima come etero e che adesso cambia tutto. Non c’è un tempo per dirlo: scegli te. Il coraggio viene a tutti, ma non allo stesso tempo. Quinto episodio Il contratto
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POSTINO: “Buon giorno, lei è? Ottimo, le è arrivato per posta un foglio, una raccomandata veloce a suo nome. L’accetta? Perfetto! Firmi qui! Ecco...ora qui! Tutto a posto. Ecco a lei, signore! Buona giornata!”
È doveroso ricordarle, signor N., che le direttive dell'amministrazione di cui lei è rappresentante esterno, non tollereranno in alcuna maniera possibile l’usura delle proprie risorse finanziarie ed economiche, costate all’incirca mesi di lavoro e di ricerca per lo sviluppo ai livelli consoni attuali, per investimenti a fondo perduto, quali il suddetto affitto in quella bicocca improvvisata in mezzo alle zone popolari di Firenze, nella condizione in cui si presenti il rischio di incorrere in un contratto in nero. Perché ciò non avvenga, sarà utile, se non indispensabile, l’acquisizione del tanto richiamato in sede “contributo d’affitto regionale”, alla quale lei è prossimo e in possibilità di richiesta. Basterà solo questo, e lei potrà continuare il suo soggiorno fino alla prossima crisi economica ed amministrativa. Provveda al più presto l’ottenimento di dati, prove certe che possano andarle a favore nei riguardi della sua scelta di proseguire fuori dalle mura domestiche i suoi studi privilegiati; in tal caso oltre ad essere del tutto disinteressati al sostegno monetario successivo di tale affare, verrà adottata una misura di denuncia e di pena per tutti i collaboratori della manovra fiscale evasiva. Anche il complice quale si ritroverebbe lei subirà la pena in questione, senza chiaramente la denuncia. L’amministrazione è conscia dell’utilizzo e dell’importanza di tale mezzo di cui lei in questi ultimi mesi sta disponendo, ma deve ricordarsi che al momento (e difficilmente anche in futuro) tutto il meccanismo regge su un finanziamento generoso ed abbondante, comprensivo di risorse ben superiori alle richieste effettive. Nei casi in cui lei deciderà di distaccarsi dall’arricchimento del budget da parte nostra, lei sarà il benvenuto, e ogni nostro controllo da parte sua cesseranno all’istante, se non per minime questioni necessarie. Qui in allegato si trovano tutti i dati richiesti per la conclusione di questo momento critico; la prego di essere molto preciso nell’acquisizione, e soprattutto discreto: numero di registrazione del contratto d’affitto presso l’Agenzia delle Entrate; contratto stampato con in vista nomi tutelari (locatori e conduttori) e firmatari; copia della ricevuta dell’agenzia delle Entrate e del compimento della registrazione e foglio digitale stampato sulla richiesta del contributo affitto per il Dipartimento. Le si fa ricordare l’urgenza e la scadenza di tale manovra, non oltre la prossima settimana. Eventuali riscossioni indipendenti a favore dell’investimento sono ben accetti, e più saranno influenti nel complesso, più le darà maggiore libertà d’azione e minore controllo da parte dei nostri organi competenti. Auguro a lei di poter proseguire negli studi da lei iniziati, facendole presente che è per tale motivo se lei si trova dislocato dalla sede. Buona giornata! 26.
Una voce echeggia tra i corridoi, per pochi istanti. “Mamma”. Ci salutammo con un bacetto, mentre salì sul vagone passeggeri del treno regionale veloce diretto in Città, nella speranza si fermasse presso la stazione più vicina alla mia dimora (anche se, trasportando un carrarmato pieno di vestiti e cibarie, un bottino degno di un contrabbandiere, per il peso mi parrà lontana!). Nella testa ritornano dei piccoli frammenti: un biglietto da otto euro, che mi pareva costoso in confronto a qualche mese fa; la vidimazione veloce con lo scocco della macchinetta colorata della stazione; e il via vai generale di turisti, lavoratori al rientro dalle ferie e studenti infelici della fine della loro libertà vigilata. Sempre in quei corridoi tornò quella voce, più tenue. Salimmo per l’ascensore d’emergenza per le valigie e i diversamente abili, tenendo premuto il pulsante della discesa, mentre sotto di noi stavano arrivando e tornando gente di ogni età, dispersa poi nelle strade, nei bar, e un po’ nel nulla della città. Il caos mi impedì di salutarla davvero. Quella voce è sempre accanto a me, al mio capezzale. I primi tempi ne soffrì, certamente: l'allontanarsi al grembo è forse l'impresa più ardua per un mammone come me, molto difficile. Come per tutte le cose, ci vuole un po’ di coraggio per fare quello che si fa. Arrivederci. Le porte si chiusero. Il treno partì. La stazione si allontanò da me. Lei mi parve più lontana. Il buio delle campagne si aprì ai miei occhi. Si è soli in compagnia di estranei odori, sguardi e movimenti. Si spensero le luci della città, all’ultima collina. Quella voce si spense. “Mamma” La scena intanto si riempie di rabbia, appena penso agli ordini materni del controllo, dell’indagine e del sospetto. Controllare, indagare e sospettare di chi ho intorno: già non mi mancano le paranoie; con queste si fa jackpot! Tutto questo stress...alla mia età...e a volte mi permetto di dirlo a chi mi è attorno! Geniale! Così si continua un’amicizia coetanea! Ottimo, davvero ottimo...sublime, ecco; mi ritrovo a fare l’agente segreto in casa mia! Io non so cosa diamine ho fatto per meritarmi una situazione del genere: ritorno a casa, per passare con la mia famiglia il piacere del fine settimana, e invece no! Subito a parlare di soldi! Contratti, affitti! E per diamine! La domenica dovrebbe essere per il piccolo ramo cattolico della famiglia un giorno dove non si parla di lavoro. E subito, a tavola dei nostri nonni, a ciarlare di costi, di spese, di questo e di buona notte!
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“Vuole la caparra assieme all’affitto? Avevi detto che l’avrebbe chiesta dopo!” “Non t’ha ancora dato i codici della registrazione? Guarda che hai firmato per il contributo, mica per essere in regola!” “Ma Frank non ha firmato? Non potevi fare come lui se non te lo dà il codice? “Ma sei sicuro che pagherà? Sei sicuro che non voglia fare l’evasore fiscale?” “Vuoi trovarti un lavoro? Non fare l’idiota! Hai da studiare, non da lavorare! Guarda che a noi i soldi non ci mancano per fronteggiare le tue spese: ma in regola, Dio! In regola almeno in quest’occasione!”
Come posso saperlo io, da uno che è pure commercialista; se ci riesce è perché ha le competenze necessarie per farlo! Devo mettere a soqquadro tutto, come accadde qualche settimana prima, che mi feci prendere dall’impulso di pretendere (con giustizia, chiaro, non si è folli a richiedere ciò!) un abbassamento della nostra tariffa mensile, davanti ai problemi presenti in casa, e di cui lui, a ragion del suo intermediario, avrebbe risolto...non l’avessi fatto! Tre giorni prima lo aveva chiamato con un principio di nevrosi assurda, bofonchiando parole come “sfratto”, “mensilità da pagare all’istante”, “accordi presi”; si calmò e chiese scusa, ma per la firma si dovette essere tutti calmi e decisi. Arrivò in giacca, molto azzimato; non sembrava così anziano da come me l’aveva raccontato l’intermediario, anzi, forse è più giovane di mio padre. Io rimango in silenzio e lui, seguito dal suo fratello notaio, controlla le carte e velocemente ci esorta a firmare. Velocemente, senza dolore. Gli chiedo di rilasciarmi il prima possibile i codici per la registrazione ai servizi regionali del Dipartimento per Lo Studio Universitario. Ancora non me li aveva dati, e dovetti aspettare, mentre il tempo era nemico giurato della mia calma e della mia pazienza. In casi sfavorevoli lo dissi imprudentemente e accidentalmente a Frank, quando ci incontrammo per l’aiuto richiesto per la borsa.
BARTO’: “Sai cosa succede se si scopre che è un contratto d’affitto? Succede che mi toccherà andare in questura, Frank! Sì! In questura! Svegliarmi di mattina presto, non fare colazione (già non la faccio per pigrizia, se ci si mette anche l’impedimento succede il disastro!), dovermi vestire di fretta: giacchetta, collo alto e camicia dentro i pantaloni; pantaloni della sera prima sporchi di birra o di pasta; passatine classica nei capelli (non vedo nulla senza la mia passata da donna!); scarpe qualsiasi (stivali, polacchini o scarponi che siano...) e via, fuori casa, senza avere nulla nello stomaco. Rientro preventivamene per prendere i fogli del contratto e soprattutto la carta d’identità, e via, di nuovo all’aperto! Passo dopo passo alla questura. Con tutti i poliziotti, gli sbirri lì a vedere uno vestito all’ultimo secondo e pieno di scartoffie; forse uno si fermerà davanti a me e mi chiederà: POLIZIOTTO: “Oh lei? Cosa fa con tutte quelle carte? AGENTE: “Sono in missione! Devo recare al maresciallo delle prove inconfutabili di un crimine commesso contro lo Stato, contro le Finanze della nostra Repubblica! Queste carte devono essere subito portate al cospetto dell’alto funzionario dell’istituzione dell’ordine! Io sono responsabile di questa scoperta gravosa e difficile: non posso non presentarmi al suo cospetto, per informarlo delle ultime indagini che io, in qualità di agente, ho portato al termine con grande sacrificio e con grave rischio per la mia, sì, la mia persona!” POLIZIOTTO: “...allora, ragazzo?” BARTO’: “No, nulla, devo parlare col responsabile per le denunce.” POLIZIOTTO: “Denuncia?” BARTO’: “Mi ritrovo a dover presentarmi davanti ad una persona che, se dovessi omettere qualche cosa subito dopo sarà la mia fine! Appunto, davanti a lui gli dirò...” MARESCIALLO: “Mi dica, cosa la porta fin qua dentro?” AGENTE: “Eccole! Eccole, tutte le carte del misfatto! Un evasore, signor maresciallo. Questo qui è un evasore fiscale: voleva appioppare un contratto in nero a noi! Era furbo, all’inizio disse che era un contratto d’affitto nazionale, quindi tranquillo e rispettoso delle leggi del nostro Stato. Poi, guardi...guardi! Imbroglia, e fa mancare questo! Questo! Il codice di registrazione nazionale del Ministero delle Entrate, dell’Agenzia a cui è tenuto l’onere di dover presenziare alla conferma dei documenti catastali”. FRANK: “Boh, non so...”
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La risposta migliore a tutto questo. Un boh, che vale tutto. Che gliene frega di questo dramma che mi sto creando personalmente, con tutte queste costruzioni personali gravide di paranoie e nevrosi intime. In dieci minuti eravamo a casa, mentre la valigia continuava a dondolare su se stessa per il pavimento contorto e poco agibile per le rotelle di un valigione usato e comprato ai saldi. Cominciai ad indagare tenendomi in bocca tutto il livore possibile della cosa: non dovevo fare altre scenate come quella passata, in cui pretendevo con fermezza e con incoscienza delle soluzioni inconciliabili con la realtà effettiva. La sera dopo uscì con un mio amico gay per le strade di Firenze, per poi fermarci fino a mezzanotte in un locale omosessuale per prenderci un po’ di birra. Ecco, Michè.
Michè vagava solerte al passo della sua cerca; voleva avere, voleva possedere, voleva vivere... ...il piccolo amore infruttuoso per lui era il piacere più grande. Godeva di poco: quella brama di passione tangeva le sue corde, vogliose di vita...
Mi parlava di come gli piaceva un ragazzo con cui era uscito poco tempo prima: gli avrebbe fatto da quanta voglia aveva in corpo sesso orale, veloce, da come gliene veniva goduria a farlo. Camminammo per le strade ancora vuote della città, dentro era il deserto. Un locale al neon, pacchiano, di dubbio gusto, ove per lo più si riuniscono anziani e adulti con amici e conoscenti, oppure coppie gay assetate di cocktail. Capitò quella sera un trio interessante: una coppia con una ragazza, americani, incapaci di parlare in italiano.
“Lei is beautiful. I’m so sorry but I can’t stop me to say you I wanna you kiss in your mouth, nella bocca sua, e touch suoi capelli, hair, biondi e long. You are so masculine, male, un virile, e avrei voglia solo di toccarla. Ha un so cute nose, aquilino, e gradevole di corpo mi sembra, you like. Oh, you are...cosa, ma non è gay! Quella lo bacia, Cristo!”
Etero, con la ragazza, in un locale gay. La fortuna vince ancora! Per fortuna che non arrivai che a fare solo pensieri, e a squadrarlo con gli occhi; a pensarci bene, non vedeva altro che la ragazza, quindi era difficile che lo fosse...mi chiedo cosa ci facessero lì...La serata fu piacevole, anche se stavo per crollare dal sonno. Finite le birre ci dirigemmo alla stazione, sebbene lui volesse tornare a casa col taxi, spendendo inesorabilmente una fortuna; lo costrinsi a prendere l’ultimo autobus, così da risparmiare sui costi e per poter risparmiare sul futuro. Uno studente dovrebbe ricordarsi che i soldi scarseggiano se si è solo tali e non lavoratori: un po’ di parsimonia non fa male alla nostra età. “E non sopporto che tu continui a buttare i tuoi soldi in sigarette, cavolo! Ti bruci dei soldi che potresti usare per fare la spesa, anche se fumi due pacchetti alla settimana. Beh, io posso fare la morale (oltre a non-fumatore sono figlio di un tabaccaio, di conseguenza il primo a sconsigliarti di fumarti il vitto), e ti consiglio di ascoltarmi sull’importanza di un pacchetto. Potresti comprarti al suo posto una minestra pronta: buttata nel fuoco, con un po’ di olio e aglio; mescolata e pronta per essere gustata con un po’ di pane, anche raffermo, se proprio non ne hai uno fresco (consigliata la cresta sul pane della mensa!)”. Il waffel al Burger King concluse tutta la serata, e la pace della giornata, e infine la tregua dell’intrigo. Dapprima chiamai il proprietario per sapere se era possibile ottenere i codici in tempo: lui mi esortò ad inviargli la mia email per avere la ricevuta dei dati.
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“Il codice di registrazione sovrascritto non è corretto. La preghiamo di ritentare.” AGENTE: “I...codici...non sono quelli? Devo ritentare...copia...incolla...” “Il codice di registrazione sovrascritto non è corretto. La preghiamo di ritentare.” AGENTE: “No, ti prego! Aspetta, forse è quest’altro...” “Il codice di registraz...” AGENTE: “Accidenti! Devo avvisare il Dipartimento della questione!” “Vorrei sapere perché (maledizione...il tempo scorre!) il sistema di registrazione per il contributo affitto in richiesta non riesce a salvarmi il codice di registrazione del contratto d'affitto (lo sapevo che era un truffatore! giuro che lo denuncio; lo denuncio!). Ovvero, perché quando provo ad incollare il codice di registrazione del contratto d'affitto immediatamente il codice scompare e non viene letto. (È falso, non è quello!)” Come andò a finire? Semplice. Il codice era nella pagina dopo della ricevuta. Salvata, stampata e pronta per essere spedita alla DSU. Tutto qua...niente paranoia, niente di nulla... AGENTE: “Pronto, sono io! Sì, riferisco che la missione può considerarsi conclusa! Falso allarme! Potete continuare a finanziarmi! Ora è tutto a posto! Ripeto: l’allarme era falso, non c’è rischio di evasione. La situazione è stabile. Passo e chiudo!”
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“Il codice di registrazione sovrascritto è corretto. si desidera andare avanti?” Sì, ora sembra che tutto sia a posto... Sesto episodio Troppe riflessioni
31.
Luna, al volgere del mio sguardo saprò che tu non pavido scherzo ma vera parvenza mia sarai la mia gioia rossa; ti cercherò, e riscalderò la tua docile patria, perché tu sola non possa rimanere. È il destino che ci vuole in vista del proprio amore, forse uno sguardo ci salverà dalla tenebra siderale...
La notte, la buia notte è fuori dalla finestra...tra le nubi si nasconde la Luna, lì, fissa a emulare il sole che non c’è, lontano, dall’altra parte del mondo. Lei è in attesa di vederlo per quell’istante che la separa dalle tenebre, nell’aurora, e poi nel tramonto, fino ai giorni successivi, nell’eternità. Si racconta che la Luna sia l’amante segreto del Sole: lei non poteva amare ciò che non risplendeva come lui, eppure non faceva che guardarla, lei, piccola e lontana dai suoi venti e dai suoi raggi. Accadde all’esplosione. Lui divampò, come dal nulla. Accese un nulla che ora è galassia. Si formò dall’idrogeno e parlò con l’elio, e guardò dalla sua corona l’universo nascere. Era un fermento di attività, di vita, sempre in un bollire e in un fondersi: tutti gli atomi esplodevano e lui da spettatore notava le fondazioni dei pianeti. Il sole brillava dagli albori della vita: quando i pianeti non esistevano, lui c’era; quando i pianeti erano in formazione, lui riscaldava; quando si formavano i satelliti, assisteva. Bruciava, come Mercurio, Venere e Marte. Tra questi nacque la Terra, e la notava diversa, piccola. Gli altri soli erano lontani, e desiderava conoscerli. Vedeva delle luci nel cosmo, brillare con colori diversi, dal blu al bianco puro, con dimensioni assurde o forme grottesche, quasi duplici. Troppo lontane, gli anni luce poteva solcarli; non poteva. Lui era immobile, ancorato alla sua posizione di guardia. Era un Sole, doveva essere una stella. Brillare, e dare calore ai suoi pianeti. Un millennio, però, vide staccarsi da un pianeta (non si ricorda se fu un distacco, forse anche una meteora o forse si stava formando...) un pezzo, e girava intorno. Non ci fece caso i primi eoni. Ora accadeva qualcosa. Si arrotondava e impallidiva. Era grigia, splendente, piatta. Una perla, che circumnavigava il buio. La Luna. Eccola, piccola che lo aspettava...lo guardava...era sempre lì, per lui. Non era un sole, non splendeva di luce propria, però era con la sua luce che era bella. Dopo qualche milione di anni la velocità aumentò e lei non si fece vedere. Non sapeva dov’era, la cercava in continuazione in tutte le epoche. Era scomparsa; una perla abbandonata negli abissi nella notte siderale. Si era staccata, esplosa, disintegrata, spaccata? Non sapeva il suo destino. Si decise di rincuorarsi, e di vedere gli abitanti di quella piccola perla blu diversa, che si muoveva non tanto all’esterno, ma all’interno, con tutti quei minuscoli esseri che la abitano. Era al loro tramonto, ed eccola. Davanti a lui, che appariva. Sembrava bianca, non grigia. Una perla bianca. Cominciò a diventare rosso, e lei lo vide; rosso fuoco, in procinto di scomparire. Non lo spazio, ma il tempo li separava, dalla sua calata al suo risplendere nel cielo di nera quiete. Era finita con la scomparsa di uno per l’avvento dell’altra, e viceversa. Erano destinati a non vedersi mai sempre. Il sole non poteva aspettare e lasciò scorrere il ciclo delle rivoluzioni, in attesa del ritorno ai primi momenti felici. L’amante è colui che va avanti quando tutti tornano indietro. Lei capì del suo amore: non lo cercava più per la velocità e per l’impegno costante per le sorti del pianeta; sentiva una mancanza, un vuoto. Non se ne voleva più separare. Lo inseguì, nella notte dei tempi, solo per vederlo. Ogni giorno, prima che lui scomparisse all’orizzonte, arrossiva, e alla sua apparizione diventava roseo, ai suoi saluti. Era un amore difficile, disunito e bloccato dal cosmo, ove tutto scompare e riappare, tra buchi neri e quasar pulsanti. Bastava che si vedessero quel tanto da non sentire di non esistere per entrambi, e di essere qualcosa che erano in fondo; il Sole però era sempre fermo; la Luna ruotava, si muoveva per vederlo, per scoprirlo. Era vicino allora, non più lontano. Era lì, alla sua portata.
Sole, dimmi dov’eri quando persi la tua luce? Ti cercai, volevo sentire ancora i raggi tuoi nel vuoto buio dei crateri miei, al silenzio della mia notte materna. Ti vedo da lontano che tu passi, e io vedendoti sento il tuo fuoco dirompersi nella Terra. Cercami, e dimmi che non solo sola nella landa dispersa del cosmo.
32
Seduto, solo, alla luce di una piccola lampada al muro con i fili scoperti, immerso nel disordine e nel ginepraio di una camera studentesca divisa da un muro di compensato e di cartongesso a barriera visiva tra me e il compagno di stanza. La notte fuori, e le sue luci. Sono qui. Il computer avanti al mio naso, con a dormire il mio coinquilino, stanco dall’eccesso di lavoro nel dipingere una strabiliante opera che non potrà mai rivendere perché sotto contratto con l’accademia in cui studia. Sembra una quinta teatrale, improvvisata alla meglio con mobili diversissimi, tra il moderno e l’antico, tra il progettato e l’improvvisato. La polvere domina sovrana suoi nostri piedi, e l’odore varia a seconda degli angoli in avvicinamento prossimo: il mio regno è neutro, fuori da ogni conflitto possibile con qualsiasi puzza infame di carogna e liquidi corporei di stabilizzazione; il suo ha l’odore anarchico, incorreggibile e impossibile da domare. Il buio mio è la sua luce; disegna, dipinge, asciuga e colora con una pazienza e una meticolosità degna di un accademico, o meglio da scapestrato. È una fortuna avere un compagno affine nel carattere e nel temperamento; sai di poter contare su una persona che una volta ha avuto uno spasmo e dal gesto inavvertito della mano stava per frantumare a terra un bicchiere di vetro, prontamente preso. È come se con lui mi comportassi da fidanzato, come se fossimo una coppietta, senza però effusioni o notti di sesso. I primi tempi un po’ infatuato lo ero, per quanto sapevo che non era corrisposto. Conoscendolo meglio l’infatuazione è scomparsa. È rimasta l’amicizia, per quanto breve, dato che finito l’anno si trasferirà fuori dall’Italia. Se riesco a ottenere, anche pagando, un suo quadro, saprò di non averlo perso. L’amicizia è così, un amore senza sesso. Ma forse non tutte le amicizie sono così: non è che vorresti scopare chiunque ma non puoi e così fai finta di amarlo sapendo di non poter farci nulla. Anche se mi chiedo se tra conoscenti ci sia un modo di rapportarsi così: l’amicizia vera, e non buona per qualche uscita, così, a ritrovarsi insieme e a ridere sbronzi o a fare le foto per suggellare un momento di felicità insieme, è rara. Implica un’affinità, un modo di vedere la realtà con gli stessi occhi, e di aver uno spirito affine, quella piccola cosa che renderebbe uniti a vita, o solo per quel momento. Non è necessario divertirsi insieme, o fare le stesse cose; scoprendosi ci si conosce e si è più uniti. Artisti lo siamo entrambi: lui di più, perché fa, produce già qualcosa di effettivo, proveniente da una sensibilità attiva, espressa compiutamente e non conclusa. Io mi lamento di scrivere poco, di non seguire un programma e di non avere delle belle idee. Ogni scrittore in erba deve avere la compiacenza di non considerarsi nemmeno tale: all’inizio sempre e solo “scribacchino”; un termine gentile, quasi un vezzeggiativo per chi ancora non sa andare avanti nel mare della narratività. L’artista poi è qualcosa che sa di arte, che la vive l’arte, e non ne parla per partito preso: è un po’ come la letteratura, o la si vive o la si scrive. E a scriverla non si ottiene il risultato sperato. Nessuno sa se sarà quello che spera di essere: ci vuole non tanto il tempo, quanto la formazione necessaria, il rigore e la credenza. Fede e ragione, ma non di una religione o di una scienza; si è ad affrontare un compito difficile e uno sa di dover credere in se stesso ora più che mai, di non poter contare sugli altri, i quali non potrebbero dare un aiuto sostanzioso (a meno che non siano colleghi, come un Pound con Eliot per la stesura della Terra Desolata). Inoltre dovrà oltre alla credenza prestarsi ad un regime auto-imposto per il controllo delle proprie forze, tralasciando ogni linfa vitale o emozione romantica. Deve essere razionale e preciso, non freddo ed austero. L’enfasi funziona ma non va abusata. Speranze di ottenere una fortuna nella propria arte a questo mondo non ce ne sono rimaste tante: si ha solo la speranza, nell’attesa che qualche d’uno non l’acquisti per pronto uso, tanto per una monetina in più nel proprio forziere. Con uno come me sarà difficile spuntarla, da come sono divenuto dritto e battagliero... Sì, un po’ bohemien lo sono diventato, un mezzo scapestrato instabile ed inquieto come pochi! Se mi do all’alcolismo forse ho grandi possibilità di diventare un autore da letteratura pulp. Il tempo della birra è meglio non chiamarlo, quella torna da se, coi suoi flutti magici. Ubriacarsi un tempo lo disprezzavo, sia per snobismo, sia per timore di perdere il cervello in qualche lago di alcol installato con l’eccesso etilico. Ho ancora l’età di sparare soperchierie e di passarla liscia: da adulti si è troppo responsabilizzati.
33.
COMPAGNO DI BEVUTA: “Cin cin!” BARTO’: “Alla tua! Tutta d’un fiato!” COMPAGNO DI BEVUTA: Te ce n’è voluto per iniziare a bere...” BARTO’: “Eh, sì, il timore di finire in un fosso a cantare un’aria da vecchi era grosso!” COMPAGNO DI BEVUTA: “Dai, su, come se avessi il cervello d’un rintronato...” BARTO’: “Ma nessuno ce l’ha...è che sono ancora piccolo...alla mia età pretendere di essere grandi è un’impresa titanica, impossibile, via...” COMPAGNO DI BEVUTA: “Grandi, in che senso, grandi?” BARTO’: “Nel senso di maturi, responsabili, saggi ed equilibrati.” COMPAGNO DI BEVUTA: “Ne conosci?” BARTO’: “Sì, adulti, che sembrano più calmi e riflessivi di me, inquieto e prossimo a diventare un mezzo saccente strafottente arrogante e pignolo come da bambino.” COMPAGNO DI BEVUTA: “...ripeti il primo verbo, scusa...” BARTO’: “Sembrare?” COMPAGNO DI BEVUTA: “Ecco! Sembrare, non essere! Non fare l’errore di equiparare i due verbi! Non sono la stessa cosa.” BARTO’: “La loro età li dà garanzia di esserlo, no? Si ascolta gli adulti nella loro esperienza...” COMPAGNO DI BEVUTA: “Alcuni adulti. Non tutti. Perché cambiano, gli adulti. Non sono una marca. Sono persone, che possono essere grandi, come dici te, come non grandi, ossia bambini, col corpo di un quarantenne...non illuderti troppo...” BARTO’: “Uno a quell’età avrà fatto molta esperienza, no? Io ho metà di quegli anni e ho fatto un certo numero di esperienze. Alla loro età sarò pronto...” COMPAGNO DI BEVUTA: “Basta con queste vaccate, via...Non si è mai pronti!” BARTO’: “Come? COMPAGNO DI BEVUTA: “Che tu credi? Che uno da vecchio è pronto? Come se la vita fosse un libro, o un manuale con le istruzioni da conoscere e memorizzare nel più breve tempo possibile! E la vita, la vita! O la si vive, o si fa come i bambini, e la si fa vivere ad altri, al posto tuo.” BARTO’: “Certo, gli adulti si distinguono dai caratteri, però avendo più anni, ha avuto più tempo per provare sulla sua pelle la vita. Va comunque ascoltato.” COMPAGNO DI BEVUTA: “Ma non seguito. Se quella persona crede in una cosa, non crederci pedissequamente, ma ragionaci sopra, e vedi se funziona. Provala, vediamo, e se ti è congeniale (attento alla storiella del “ma non è così che si fa, sei te che bla bla bla, non ti piace, sei troppo bla bla bla”) seguila. E passi. Fallo se vuoi, e senza imposizioni.” BARTO’: “Nonnismo, pensi?” COMPAGNO DI BEVUTA: “Ce ne sono troppi di capi gruppo che decidono i gusti altrui. Questa è gente da cui sentire ma non udire, capito?” BARTO’: “C’è la minaccia dell’ostracismo, e della solitudine.” COMPAGNO DI BEVUTA: “La facciano. O se non te la senti, seguili fin dove è possibile. Ma non ci credere. Lontano con la mente, fuori. Così farai buon viso a cattivo gioco.” BARTO’: “Ma allora è come essere soli...” COMPAGNO DI BEVUTA: “Vero. E allora credi negli amici, veri, che ti ascoltano e vogliono che tu li ascolti. Sarà fatta, allora.”
(questo è prima di una sbronza. Troppo idilliaco, certo. Persone del genere non parlerebbero così dopo una birra, o almeno non tutte. Se esistono, c’è da tenerseli stretti.)
BARTO’: “Questa birra è ottima, comunque.” COMPAGNO DI BEVUTA: “È una artigianale. Ottima qualità!” BARTO’: “Bisogna trattarsi bene a volte. Devo ammettere che bevendo mi sento più sciolto, più leggero, quasi un coglioncello.” COMPAGNO DI BEVUTA: “Sei più felice, ma non perché sei un alcolizzato. Come me, il tuo cervello prende l’alcool come un momento di distensione, e si fa leggero, quieto. Parli più sciolto, più fresco, e saresti capace di tutto.” BARTO’: “Ti avrò rotto da tempo di raccontarti tutte quelle storie su di me...” COMPAGNO DI BEVUTA: “Ovvia, piantala...ci passiamo tutti; una persona saggia vede nell’altro quello che è stato, e la incoraggia ad andare avanti. Se fa il bastardo e lo infama per azioni tipiche ad un’età precoce, c’è da ragionarsi con chi hai a che fare...” BARTO’: “Il fatto che l’hai passata significa che sei più avanti, o cosa?” COMPAGNO DI BEVUTA: “Non significa nulla. Non è una gara di corsa, o una maratona. Lo sbruffone crede in questo, e inciampa in continuazione, mentre il più sprovveduto lo supera in testa al gruppo. Si incolleri pure, l’idiota. Non capisce che è il carattere alla base di una personalità e l’approccio agli altri a determinare la buona riuscita.” BARTO’: “Perché si cresce allora? Ti senti superiore, per caso? COMPAGNO DI BEVUTA: “No.” BARTO’: “E allora perché uno lo fa? Per fare il maestro, il mentore del piccolo e fragile allievo di turno? Sono così, per caso? COMPAGNO DI BEVUTA: “Sì, te piccolo e fragile...al massimo ti sottostimi e ti metti troppo alla prova, rischiando di perderti in autostima...ma queste cose, su... BARTO’: “Perché allora si cresce?” COMPAGNO DI BEVUTA: “La risposta la sai...io non ti voglio dire più altro...” BARTO’: “Quindi uno cresce perché si sente di voler crescere. Tu vuoi diventare maturo, responsabile e giusto solo perché è il tuo spirito a volerlo: potresti fare il cazzaro a destra e a manca, perderti nel tentativo di fare il bambino per il resto della tua vita e divertirti fino all’esaurimento nervoso, senza obblighi, solo per quel momento. Cresci, e impari dalle esperienze, dalle tue e sole esperienze, senza farti precondizionare da altri sul sesso, sul fumo e sull’alcol…ossia, uno così è pieno di ferite?” COMPAGNO DI BEVUTA: “Non immagini quante. A volte si cade nella follia per troppe, e non si ragiona più. Alienati, e non ti va di godere...ecco, non si ragiona nemmeno con troppa maturità. La giusta, senza privarsi di nulla. Un po’ stupidi rimaniamo, per una certa libertà personale.” BARTO’: “Prima non mi piaceva bere perché temevo di diventare come quei babbei in giro a sputare a terra mentre passavano i pedoni, col gocciolone di saliva che usciva dalla bocca...” COMPAGNO DI BEVUTA: “Sì, sì, tutto molto bello. Tranquillo. Certa gente non è così perché diventata da troppo alcol. L’alcol c’entra poco con certi soggetti: sono stupidi per natura, e bisogna volergli bene, fargli le carezze, capito?” BARTO’: “Ne sarei capace di dargliene tante, di carezze!” COMPAGNO DI BEVUTA: “Vedo che c’intendiamo. La tua testa non scappa per tutto l’alcol o il fumo del mondo. Quella è bella fissa a te. Non se ne va. Anzi scommetto che forse forse ti darà qualche regalino durante quelle leggerezze al cervello.” BARTO’: “Quello è sicuro. Farò in modo di non caderci nella trappola della dipendenza. Il tuo discorso funziona, certissimo, ma chiaramente non lo prendo come un invito alla droga o all’alcolismo. Se fumerò uno spinello spero di farlo con un amico, o un amante, che me lo faccia assaporare per bene. Andare in catalessi paranoica con un ragazzo; la notte è garantita!” COMPAGNO DI BEVUTA: “Questo è lo spirito giusto! Toh, ecco un’altra birra!” BARTO’: “Presa. alla tua salute, my friend!”
34.
Le zanzare colpiscono ancora! Non è più estate e quelle piattole con le ali continuano a rovinarmi la notte. C’è la notte, fuori, è tutto tranquillo, e.…bellissimo, uno stormo pronto a bombardare di aghi la mia pelle! La luce della lampadina appesa al muro segnala delle ombre in avvicinamento. Sono vicine. Tra poco mi bombarderanno. Con quel suo zinzinino di persecuzione rovinano anche la più tranquilla delle serate, rendendola simile ad un duello di strategia
(dove possono essere? dov’è il loro rumore? cosa faranno? sono sulla mia pelle? mi stanno già bucando? dove diavolo sono? maledette, non mi avrete mai!)
C’è da farne una guerra con queste, qualcosa di spettacolare, all’americana, con tanto di televisioni e di gossip. Già m’immagino i titoli, con “Stragi di zanzare, uccise tre in una notte”, oppure “La macchia è prova! c’è stato un zanzaricidio!”. Arrivano di notte e nessuno riesce a fermarle. Il radar del mio cervello segnala la loro presenza al centosettantacinquesimo centimetro dal mio naso. Prepararsi alla presa immediata, all’annientamento totale! (mi faccio coinvolgere troppo da queste cose, se mi svegli di notte è chiaro che confondo realtà con fantasia più di quanto non faccia già nel reale). A letto. Coperto dalla testa ai piedi con la coperta estiva (quella invernale non riesco a portarla mai!) e provo a dormire, ormai abituato ai rumori fuori dalla mia finestra. Si avvicina una. Il zinzinino si fa sempre più forte, non smette di cessare, e voilà, sopra la mia testa, cercando un punto scoperto dove pungermi e bere i miei liquidi per dissetarsi. Gira intorno, come un elicottero, avvistando possibili eliporti o zone di atterraggio per qualche emergenza possibile. Nulla da segnalare, e si allontana, non prima che io l’abbia scacciata dal tuo tentativo di penetrarmi il cuoio capelluto alla ricerca del sangue. Mi viene in mente quando nella Seconda guerra mondiale...Dio, tutti quegli aerei in volo, sfrecciare tra le città e le campagne con una disinvoltura e un silenzio simile a quello della farfalla, nell’immensità della volta celeste, con le ali che tagliano le nubi e volteggiano tra i boschi e tra i colli, nei mari chiari, al sole del sereno...comunque, verso la fine della guerra, se non erro si trasmettevano tra aerei alleati, come quelli americani (coi loro bolidi super scattanti nel cielo, volando ad altitudini incredibili) segnali che i nemici non potevano decodificare: non parlo di codici classici da macchina Enigma, scritti criptati ottenuti con sequestri o rapine; voce, vera voce alla radio che immediatamente veniva disturbata per evitare intrusioni con le altre radio nemiche. I tedeschi non capivano mai nulla, non sapevano cosa volessero fare, e si beccavano le pallottole che uscivano fuori dalle ali del vento. Un aggeggio di morte, qualcosa che volava come un uccello, beato al sole e nella salsedine del golfo... Il zinzinno delle zanzare era da criptare in quel momento perché non sapevo come fare per fermarle, per capire cosa volevano fare data la situazione sfavorevole. Quale codice si poteva usare? Codice alfa-tre-diciassette-omicron-sigma? No, non avrebbe funzionato, troppo astruso e buono con le innocenti mosche (c’è chi li schiaccia, ma non fanno male a nessuno; si posano docili nella gamba e poi volano via. non pungono almeno, non qui in Europa; fossero tze-tze sarebbe ben altro!). Forse stavano cercando un punto scoperto nella coperta? Se ne avvicinava una, lentamente, e scrutava tra la foresta vergine dei miei capelli un punto dove agganciarsi; e inviava messaggi alle altre, cercando di segnalare la difficoltà dell’operazione: “Allerta! Zona pericolosa. Attendo istruzioni.” E loro, intorno alla stanza, a cercare un modo per venire incontro ai propri obiettivi. Attenzione, pronti a sparate. E zac, con la mano a schiacciarne una. Questa è l’operazione di difesa contro quelle maledette! Un colpo veloce, preciso, senza danno, a parte il muro probabilmente sfondato dalla manata che darei o solo macchiato dal sangue ricolmo e misto della zanzara. Il suo carburante, da ripulire prima che scoprano tutto! I cannoni aerei! Stanno per puntarli contro di me, lo sento. L’altro dorme, e mi aiuta con colpi ben assestati al muro. Ma devo pensare a me solo, e vedere di scongiurare la piaga notturna, per il bene della mia sonnolenza. Non voglio finire insonne, cavolo! Sono troppo giovane per diventare dipendente dalle pillole degli ansiogeni. Che inizi la guerra! Settimo episodio Serata in centro
35.
SERAFINO: “Cosa hai fatto oggi?”
La classica domanda di chi non sa come perdere il tempo in una notte, tra le 2 e le 3. Un locale gay vicino a Santa Croce, dopo aver visto un film al cinema: pieno di gente, di alcol fino all’ugola, tanto che diversi stavano vomitando. Tutti a chiacchierare del più e del meno, quando io arrivai, da solo, nel mezzo del caos; ed entravo, uscivo. Di tutte le età e di tutti i gradi alcolici, non si respirava dentro; un mortorio di cadaveri animati, e di occhiate balorde ai deretani e alle spalle dei più giovani. A dire il vero avrei preferito non andare in un locale da solo, per via delle mie paranoie nei riguardi negli abbordatori. Mi sento un po’ tradito da chi mi diceva che sarebbe uscito stasera. Non riesco a capire come faccia la gente a comportarsi in certi modi, e a pretendere il rispetto. Contenti loro! La serata era quella che era, non c’è tanto da lamentarsi. Il momento migliore era la scoperta di un film al cinema, che aspettavo di vederlo da quanto era alquanto sensibile alla mia condizione: la storia di una ragazza che infatuata di un ragazzo bellissimo scopre che è in realtà omosessuale, e da lì viene a scoprire altre realtà, con al fianco il suo amico e un possibile fidanzato all’orizzonte. Mi ricorda qualcuno! La corsa dalla mensa al cinema è stata divertente quanto inutile: uscito, via! Fuori, la pioggia che cade, le gocce che aumentano ad ogni passo e che si possono intravedere dal riverbero dei lampioni e dalle pozzanghere inanimate dalle onde; Con l’impermeabile corro in direzione della strada! Gira a destra, saltando tra i crostoni del marciapiede antico; pozzanghera, salto! Corsa veloce fino in fondo alla strada usando come parapioggia il mio impermeabile, facendo la figura del buffone con tutti gli ombrellisti in giro. Mancavano venti minuti quando ero partito dalla mensa, ed erano passati dieci minuti...dieci minuti! Ero in ritardo! Niente film, e io cosa avrei fatto? Aumento della velocità lì, a metà strada. Il traffico del centro era diffuso ovunque. Correre! Dall’altra parte. Pronto a ripartire dopo il rischio di venire investito da un tram urbano. Mi scorreva agli occhi tutti gli esercizi commerciali (pasticcerie, forni, bar, centri telefonici) che stavano chiudendo o erano ancora pieni di clienti e prossimi all’ora notturna. Prossimo taglio ed ero in dirittura d’arrivo. Passava una ragazza con una torta di compleanno, guarnita e delicatissima: un errore e la investivo. slalom e superata. Se sbagliavo di un minimo centimetro ero finito: colpita in pochi secondi si sarebbe rivoltata di centottanta gradi e avrebbe avuto in più il sapore della strada lercia. Tutta quella torta, nessun festeggiamento e la rabbia di aver lasciato alla figlia un compito così facile, per lei incompiuto a causa di un corridore maldestro. Il cinema, e non c’era la fila. Subito il biglietto...e l’attesa...mi dimenticai che c’era un ritardo aggiuntivo tra la fine della proiezione precedente e quella successiva; lì ad attendere di vedere il film, mentre guardavo il cinema riempirsi. La città ha sempre molto da offrire in fatto di locali, piazze, bar, pizzerie, osterie, ma la cosiddetta “compagnia bella” è difficile trovarla. Si ha quello che si tiene in pugno, e così funziona per chi deve passare la serata mentre passeggia per andare nel locale dove con molta fortuna non troverà il giusto ragazzo, per passarci la nottata. Non esiste allora la città morta, ma, in repentina, le persone, prive di vita e di drammaticità nel sangue. C'era voluta una lunga camminata per raggiungere il locale, tempestato di ragazzi dispersi nelle pratiche più complesse e semplici: dalla sbornia collettiva alla fumata fuori dal pub, con acconciature hipster di ogni livello. Pioveva leggermente, e tutti fuori a rinfrescarsi e a ciarlare del più e del meno. Le coppiette, i gruppi di amici, le coppie di amici, gli amanti, i compagni... Un bar, in fondo alla strada, in stile irlandese, traboccante di birra Guinness e di fumi dall’odore bruciacchiato, riconoscibile come marijuana. Uno stormo di persone, allineate al parlato più quieto e notturno. 36.
COMPAGNO 1: (con un tono spiritoso) “Ah, dunque siete una coppietta da poco fidanzata!” FIDANZATO: “Sì, ci siamo legati da qualche settimana!” FIDANZATA: “Ci conoscevamo da una vita e solo ora abbiamo capito tutto!” COMPAGNO 2: “Ma tu guarda, il classico amico che diventa amore!” FIDANZATO: “E io che l’ho sempre vista non come la migliore amica, ma come il mio amorino bello! Dio, quanto tempo sprecato a non dirglielo!” FIDANZATA: “E io quanto tempo ad uscire con ragazzi che non mi piacevano, quando tu eri quello ideale per me!” COMPAGNO 1: (con sarcasmo) “Oh, quanta tenerezza...mi viene da...” COMPAGNO 2: “No, lascia perdere. Non fare il babbeo...” FIDANZATO: (si altera) “Che c’è, vi da qualche problema?” FIDANZATA: “Ma che diavolo volete da noi!” COMPAGNO 1: “Scusate, ma mi sembrate un po’ sdolcinati...” FIDANZATO: “Ma che vuoi! Non possiamo nemmeno fare gli innamorati?” FIDANZATA: “Già! La pianti!” COMPAGNO 2: “Scusatelo, è che se non beve non si sente a suo agio e lascia sfogo alla sua boria incontrollata. Comunque, è piacevole il fatto che eravate già fatti l’uno per l’altra ma non ci credevate...” COMPAGNO 1: “Certo...una coppia di imbecilli va sempre assieme...” FIDANZATO: “Oh, ma che vuoi ora! Che offendi!” COMPAGNO 2: (irato) “Piantala! O stasera non ti faccio rientrare...” FIDANZATA: “Bravo! Glielo dica al suo compagno di stanza!” COMPAGNO 2: “Ah, ecco...” COMPAGNO 1: “Quanto sono ritardati...”
A qualche metro di distanza, all’angolo della strada, c'era un gruppetto di amici, appena usciti dal lounge bar, accaldati per le ragazze dentro il locale. Dopo l’apericena, in un locale dai prezzi bassi erano usciti e si erano prodigati verso questo localino, in cerca di qualche passatempo. Avevano bevuto due birre a testa, chi tre e chi una (la legge della statistica non si discute, né del pollo di Trilussa...), e continuavano a parlare dei loro romanzetti d’amore in formato digitale. Fino a quando non videro la selva di ragazze di cui era spettacolo il posto in cui si trovavano. Era un piacere per veri e propri maghi del gioco auto-erotico, e una speranza per maldestri sentimentali.
AMICONE 1: “Dio, quanta fresca che c’è lì dentro...Madò!” AMICO: “Sì, un sacco. Dovevamo mangiare qui, piuttosto che in quel cesso di...” AMICONE 2: (si altera) “Ehi, imbecille! Guarda che nessuno ha detto di no quando l’ho proposto. Chiudi la bocca quando dici certe cacchiate!” AMICO: “Oh, che hai, ti volevi fare quella del banco e non ce l’hai fatta e ora rompi con me? Guai a farlo, che sono anch’io in disagio per quella al tavolino: due zinne, cavolo!” AMICONE 1: “M’è capitata una volta...una biondina, bassa, sì, ma con un culetto morbido...l’ho limonata in bagno subito, senza pensarci...” AMICO 2: “Quale? Quella col fidanzato fuori dalla porta?” AMICONE 1: “Sì. Tanto me ne importava una...” AMICONE 2: “Ma non ti aveva preso a badilate?” AMICONE 1: (si altera) “A me? Ma sei matto! Uno come me con uno spicchietto come quello lì? Ma dai...una manata in testa sì, l’ho presa, tanto mi so difendere...” AMICO 2: “Manata? Era il doppio di te! Faceva judo, quello lì! Lo so perché una volta l’ho visto con quella lì che si baciavano mentre lui entrava in palestra, dalla porta della sala dove si fanno arti marziali.” AMICONE 1: “Ma guarda che non m’ha fatto nulla, per quanto grosso fosse...” AMICO: (si altera) “Non raccontare balle! Quello ti aveva preso al collo e te lo poteva spezzare in due, ma la sua ragazza si è opposta e ti aveva fatto ricadere, dandoti sì, una manata, ma da come me la raccontò la barista la sera dopo (ero con una tipa fuori a cena) volasti per due metri da quanto forte era...” AMICONE 1: “Oh, ma a te a farti gli affari tua no? Ma che cacchio, che fai, la civetta per conto mio!” AMICO 2: “Falso che sei! A fare il vanaglorioso con noi ubriachi!” AMICONE 1: “Perché, voi avete altre storie? È notte, fa freddo. Tanto vale...” COMPAGNO 2: “Ma come si fa a confonderci con due compagni di stanza, mio Dio!” FIDANZATO: “E che ne sapevo che eravate due froci!” AMICO: “Sempre, sempre col fatto della noia, di questa...la devi smettere di ripetere queste stupidaggini...scommetto che è da mesi che non te ne fai una!” AMICONE 3: “Mesi? Sei anche clemente con lui, dai...non vuole ammetter di essere come tutti noi sfigati. Sempre a fare lo sborone, come stasera, con la storiellina della bionda.” AMICO 2: “Dai, su rientriamo dentro. Che vedo che si sta incazzando come una bestia...” COMPAGNO 2: “Ehi, piano con i termini. Frocio per me è offesa, grave!” COMPAGNO 1: “Dai, su, che anche tra amici ci chiamiamo froci. Non t’incazzare...” COMPAGNO 2: “No, no. Ora voglio le scuse da questa macchietta dei miei...” FIDANZATA: “Aspetta. C’hai detto che ti faceva vomitare il nostro amore, quindi non cercare di infognarci tutti e due se t’ha chiamato frocio.” COMPAGNO 1: “Un attimo...scusa, ma questo c’entra poco...” FIDANZATO: “Ma ho sbagliato a darti del frocio?” FIDANZATA: “Non lo siete? O sì?” COMPAGNO 2: “No, senti. Andiamocene, che tra poco faccio un macello. Ma Dio! Sempre con la storia del termine frocio, del finocchio. Che cacchio di serata è?” AMICONE 1: “Porco...veramente, siete dei bastardi! Ora cominciate a pigliarmi in giro, voi sfigati, per questa cacchiata? Ma non rompete le balle, e siate anche voi meno ipocriti!” AMICO: “Oh, sentilo. Ma che ti prende? Qui l’idiota lo stai facendo solo te, mica noi. Hai iniziato te con la storiella della biondina. La vuoi te, piantare di fare l’altezzoso, il superiore con noi, cacchio? A volte sei veramente...” AMICONE 2: “Senti, piantiamola qui, che sta per piovere. Te, piantala con queste romanzate che non ti crede più nessuno. Ok? È notte, vogliamo divertirci o no?” COMPAGNO 2: “Lo volete capire che per me è un termine che mi dà sui nervi? È il classico termine che si usa per dispregiare, per offendere quelli come noi! Lo usiamo, sì, certo che lo usiamo, ma per non crederci più di tanto. Noi possiamo usarlo, come per le persone afroamericane il termine negro, che è offensivo se da parte dei bianchi...” FIDANZATO: “Io uso il termine solo per indicare. Avrei usato gay, ma per me ha lo stesso valore. Non sono mica uno che discrimina i gay! A offendere uso altre parole!” COMPAGNO 1: “Lo vedi? Forse è meglio finirla qui. Che se mi diventa rosso, dopo a letto non fa più nulla, mi capite?” AMICO: “Piuttosto, che si pensa di fare stasera, dopo questa parentesi infame?” AMICONE 3: “Io andrei in discoteca, c’è ancora tempo, no?” AMICO 2: “Ottimo, così un po’ di fregna la si trova. E lui non dovrà più mentirci...” COMPAGNO 2: “Oh! Ma che, vai a raccontare a perfetti sconosciuti le nostre cose? Ma che ti piglia? Manco avessi bevuto, Dio...” COMPAGNO 1: “Era per sdrammatizzare la situazione in cui ti sei cacciato da solo, caro...se te ne fossi stato zitto fin dall’inizio tutto questo non sarebbe capitato!” COMPAGNO 2: “Ma avanti, come fai a notare quanto smielata sia questa coppia! Ma santo...ma ti pare possa essere credibile una romanticheria così banale!” FIDANZATA: “Eh no! di nuovo qui siamo! Ma che gliene frega se siamo così. Mica ci conosciamo. La pianti lei di fare queste cacchiate belle o buone, a quest’ora poi...” COMPAGNO 1: “Ha ragione. Dai, su, calmati ora...” FIDANZATO: “Sennò a letto è un dramma, vero?” FIDANZATA: “Ti ci metti anche tu ora?” COMPAGNO 2: “Ora basta! Stupido fedifrago che non sei altro!”
AMICONE 1: “Vabbè, ok. Su, finiamola qui, che sono stanco...” AMICO: “Oh, non fare l’offeso. Ti sei cacciato te in questo guaio, sappilo...” AMICONE 2: “E ora dove va? Al cesso? E che ci va a fare?” COMPAGNO 2: “Maledetto! È perché mi tiene lui che non te le ho date!” FIDANZATO: “Pezzo di...lasciami, ti prego, che lo riempio di botte, stanotte, sto frocio!” COMPAGNO 1: “Finitela entrambi! E mai possibile che debba scemare il tutto in una ridicola situazione del genere?” AMICO: “E da un po’ di tempo che non esce...non è andato per urinare...ci mette troppo tempo...andiamo a vedere cosa fa?” AMICONE 3: “E perché? Io ho appena ordinato qualcosa. E c’è una lì nel bancone del bar che mi fissa da qualche minuto. Quasi quasi vo da lei, che col drink in mano mi fa tanto dark lady, una femme fatale...” AMICO 2: “Io rimango qui. C’è quella lì che mi piace tanto e vorrei vedere se per caso...” COMPAGNO 2: (irato) “Mi stanno sulle balle le coppiette tutte rose e fiori, ok? Non le posso vedere, mi danno fastidio? Perché dovevamo incontrare la coppietta fresca di amore! COMPAGNA 1: “Oh perché ti danno fastidio? Sembri una di quelle megere che non sopporta vedere quelli come noi pomiciare nei parchi. Per quelli come loro dovremmo fare in casa i nostri amplessi. Che ti piglia oggi? COMPAGNO 2: “Io...non lo so...sono solo stanco di queste scenette che non posso più vedere...mi danno fastidio e basta!” FIDANZATA: “Posso chiederle se per caso c’entra con voi? Da quanto state insieme? COMPAGNO 2: “Ma che gliene importa, scusa! Si faccia gli affari suoi!” COMPAGNO 1: “Da un anno! Anzi, un anno e mezzo.” FIDANZATA: “Allora forse c’è una spiegazione a tutto ciò...” FIDANZATO: “Ora li fai da consulente? A quello servirebbe la camicia di forza!” AMICO: “Io vado a vedere che combina in bagno. È stato un idiota, ma non si merita tutto sto male, che diavolo!” AMICONE 2: “Vabbè, vai come vuoi!” AMICO 2: “Ehi, signorina!” COMPAGNO 2: “La ringrazio dei suoi consigli! Ma nessuno gliele ha chiesti! Quello che c’è tra di noi è cosa personale, non vi deve riguardare, chiaro? FIDANZATA: “Si faceva per discutere, mica per altro!” COMPAGNO 1: “Non è la prima volta che mi diventa invidioso il mio compagno. Talmente brontolone com’è, i primi tempi per lui gli sembrano perduti...” COMPAGNO 2: “Ma che è, una congiura ora?” FIDANZATO: “Non ci credo, il gay invidioso dell’amore etero...roba veramente che ti capita una volta nella vita...mi viene da ridere!” AMICO: “Oi, ragazzi, venite! Presto!” AMICO 2: “Che vuoi ora, ma lascialo perdere!” AMICO: “Sul serio, venite tutti. È assurdo! Guardate!” AMICONE 3: “Ma cosa...non ci credo...” COMPAGNO 2: “Sentite, mi spiace per quello che è successo, ok...fate una buona serata, e ci si vede in giro...” COMPAGNO 1: “Ha ragione, e tu lo sai. Non capisco perché non capisci che è così...” FIDANZATA: “Non riesco a capire perché è così chiuso nei suoi confronti...come se tra di voi non ci fosse amore...” FIDANZATO: “No, dai, queste scene non esistono, via...ma che serata è?” COMPAGNO 2: “Ho voglia di tornare a casa.” COMPAGNO 1: “A me invece è venuta voglia di baciarti. Hai da ridire anche su questo?” AMICO: “Guardate come la bacia! Ma chi è quella?” AMICONE 2: “E che ne so! Quello lì fa tanto lo spaccafighe in giro, ed eccolo lì. Quello da lui non me lo sarei mai aspettato.” AMICO 2: “Non la limona nemmeno! Io non l’ho mai visto baciare così. Sembra un innamorato...lui? Non ci credo...ma chi è? La sua fidanzata?” COMPAGNO 2: “Piantala e vieni qui...” FIDANZATO: “Oh, e che diavolo! Ecco!” FIDANZATA: “Oh, così si fa!”
Una serata è noiosa se le si concede il beneficio del tempo. Se prende tutto il tempo a nostra disposizione allora si può essere sicuri che ciò che ci rimarrà sarà il miglior tempo, ovvero un minuto in una serata. Così è accaduto. La serata che si prospettava doveva essere tranquilla e soddisfacente, o per lo meno diversa dalle altre. Troppe pretese? Forse, ma ciò non significa che non possa finire così.
37.
Purtroppo scene del genere sono solo fantasie piacevoli. In giro momenti da cinematografia del genere non le trovi mai...mai! Sempre a parlare delle solite cose. La città ha molto da offrire in fatto di locali, piazze, bar, pizzerie, osterie, ma la cosiddetta “compagnia bella” è difficile trovarla. Si ha quello che si tiene in pugno, e così funziona per chi deve passare la serata mentre passeggia per andare nel locale dove con molta fortuna non troverà il giusto ragazzo, per passarci la nottata. Non esiste allora la città morta, ma, in repentina, le persone, prive di vita e di drammaticità nel sangue. L’ideale in questi casi sarebbe una chiacchierata libera, fuori dal caos, lontana dalla gente: noi due soli, a parlare, con tutta la quiete possibile. “Sì, è una bella serata, certo.” E io che mi avvicino a lui, col suo bel cappotto dei grandi magazzini e io col mio vecchio impermeabile. “Com’è la birra?”, che non è nulla di cattivo, mentre lui mi sorride e mi risponde tranquillamente: “Eh! Non è male per niente! Devo aggiungere che preferisco le classiche birre artigianali”, e si mette a descrivere la sua preferita, “quelle corpose e buone da morire...costano molto di più di una marca industriale, certissimo.” Gli si illumina il volto quando mi dice: “Hai ragione!” e lì la fantasia trionfa. Io lo bacerei, solo per quel sorriso che gli dona la luce della serata. Niente di più, un solo bacio. E lui che mi accarezza i capelli per il ricambio dell’affetto. Ci si avvicina dolcemente e si sente tutto il sensuale che ci fa piacere. Ma tutto questo è idillio, pura immaginazione. Troppo presto per baciare uno dal nulla. Se scatta, ben venga! Non a tutti funzionano i nervi con la stessa volontà di tenerezza e di calore. Chi vede troppi film, legge troppi romanzi d’amore finisce per illudersi troppo, per credere alla finzione piuttosto che alla realtà che lo circonda. E male! Malissimo vive nella fiction, in cui è personaggio di una storia che non esiste: pensa esista fuori di lui e invece è dentro di lui. Vorrei precisare che non parlavo di romanzi rosa, una sotto-categoria che parla di un amore classico, senza nemmeno riflettere sulla situazione, sulla persona; ce ne sono troppi di romanzi d’amore, da supermercato, quando tutti sanno che il rosa in un romanzo serio ci deve essere, giustamente, ma non deve sopraffare le altre componenti. La storia d’amore deve essere un moto proprio, qualcosa che faccia intenerire il lettore, ma non lo deve portare al diabete! Si deve caricare il romanzo di ben altro, di altri sapori! Il pensare nel romanzo è fondamentale. Se è vivo, se parla di qualcosa che è nell’amore, ma va intorno, e forse oltre, allora è un romanzo rispettabile. Solo amore dà fastidio alla lunga. Sembrava di averne avuto come il presentimento di un possibile incontro, quasi come predestinato: sulla strada noto che era veramente difficile entrarvi, quasi impossibile, e allora dovetti provare a passare tra tutti quei signori e quelle signore (possibili trans, di lesbiche in quel locale ne ho viste veramente poche), beccandomi in un momento solo diverse occhiate da lontano e qualche tocco leggero al fondo schiena da vicino. Una birra leggera, e intanto la luce al neon e i faretti da discoteca mi colpivano gli occhi con colpi intermittenti, facendomi desiderare l’aria aperta dei fumi di sigaretta. Fuori, un giro di ragazzi, tutti dello stesso stampo. Mi faccio per allontanarmi, per puntare verso il locale più vicino, una specie di pub metal più originale di quel settore da griffe, con il fucsia, il viola e il neon bianco a determinare l’ambientazione. Non riesco a capire perché debbano costruire bar con queste colorazioni, quando vicino c’è un delizioso ristorante dai colori sereni e gioviali decisamente più solare di quella tana per potenziali pederasti. Un pub, semplice, come quelli irlandesi, oppure anche moderni, dove si fa l’apericena, senza statuette a forma di pene per risaltare la predominanza del genere clientelare. Abituato da anni a locali con certi colori e un tipo di arredamento, queste scenografie kitsch non facilmente le accetto, quando infatti vado con Michele qui, usciamo e rientriamo in continuazione, dato che l’ambiente ci dà fastidio per principio. Poi, credo che in posti del genere non si possa trovare un ragazzo discreto, sincero ed amabile. Con la mania sessuale in giro, di cui non mi sento di non appartenere totalmente, un punto di ritrovo come quello può portare alla volta incontri difficili. La paura di beccare lo stalker, che arriva ad inseguirti sotto casa è veramente rara, ma non impossibile. Meno raro è chi si offre a te e poi scopri che cercava solo ed un unico piacere. E poi, addio! Molti a quest’età non cercano delle storie d’amore: casi rari, da animi leggeri e al tempo stesso tormentati dalla mancanza di questo amore che non riescono a trovare. Si è tranquilli, con le proprie compagnie femminili, protetti dalla mano materna delle ragazze, possibili fidanzatine di facciata, immancabili nei ragazzi non dichiarati. Se ci si pensa molti ragazzi, se trovano il bel ragazzo che gli garba, non vogliono altro che il sesso; sano sesso assurdo, eccessivo nella richiesta delle dimensioni ottimali dei genitali. Per il romantico è una morte nel cuore se incontra personalità del genere, terrificanti dalla sfrontatezza delle richieste e dalla freddezza del loro distacco indifferente.
38.
BARTO’: “Che cosa ho fatto? Beh, è difficile dirlo...tutta la giornata è stata alquanto strana, quasi sorretta dalla fantasia di un luogo...” SERAFINO: “Di che parli?” BARTO’: “Parlo di un mercato: c’era qualcosa, forse...un qualcosa di strano...” SERAFINO: “Parli di quel mercato, là, vicino alla mensa? Non è male, anche se molto improvvisato...c’era anche un odore strano...” BARTO’: “Molti ragazzi avevano comuni agricole, molte sparse nei dintorni del capoluogo.” SERAFINO: “Poveretti, forse la fortuna non è dalla loro parte...molti non vanno avanti con quei prodotti e chiudono facilmente...” BARTO’: “Almeno ci provano. Ci vuole coraggio oggigiorno, altrimenti è tutto grasso che cola...devo smetterla di usare tutti questi detti popolari, che non c’entrano nulla stasera...” SERAFINO: “Comunque, Serafino...te, invece?” BARTO’: “Mi conosci, siamo stati a mangiare in mensa...” SERAFINO: “Si, t’ho visto che prendevi la pizza. Comunque, che tu ci creda o no, sapevo che eri gay...” BARTO’: “Come? Davvero? E dire che pensavo di essere del tutto irriconoscibile dai modi e dalla voce che c’ho. Nessuno m’ha mai beccato fino ad ora...” SERAFINO: “Non è vero. lo sai da cosa l’ho scoperto?” BARTO’: “Da cosa? Dalla parlata, per caso? Dalla camminata?” SERAFINO: “L’hai detto tu stesso che non hai questi atteggiamenti. No, è un’altra cosa, che Si vede benissimo e che tu non ci puoi far nulla...” BARTO’: “E sarebbe? I capelli da donna? La passatina da donna?” SERAFINO: “No, piantala! Sono i tuoi occhi. Si vede dalle iridi che hai un luccichio da omosessuale.” BARTO’: “Dagli occhi? Si può riconoscere un gay dagli occhi?” SERAFINO: “A volte sì. Dipende dalle personalità che si ha di fronte. Non sempre si ha questa fortuna.” BARTO’: “Perché parli di fortuna?” SERAFINO: “A volte si finisce a beccare il patetico erotomane in cerca di verghe...lì non funziona, perché è come se gli occhi fossero spenti, inesistenti...” BARTO’: “L’occhi è inesistente?” SERAFINO: “Un filosofo una volta disse che gli occhi sono lo specchio dell’anima. Ci vide bene, perché è così, sempre.” BARTO’: “Come fai a capire, come è successo a me, che c’è questo occhio: l’occhio che esiste?” SERAFINO: “Dall’animo delle persone. Esce una voce, che può essere semplice o meno, ma come vuole la psicologia, devi guardare sempre uno negli occhi per capire se la voce inganna o dice il vero. Gli occhi, e tutti i colori al suo interno. Guarda me, non ho il solo colore nero: ci sono diverse tonalità, diversi aspetti, tutti diversi. A seconda di come mi esprimo, gli occhi diventano simbolo di quell’emozione. Se non, parli con un fantasma.” BARTO’: “Un senza vita. Un vero e proprio senza vita...” SERAFINO: “Tu conta che in giro alla tua età molti preferiscono la morte, questa morte, alla vita. Si soffre di meno, e si gode di più.” BARTO’: “Ho sentito molti discorsi sulla vita e la morte. Non è che si esagera?” SERAFINO: “Vero! Ma almeno si ha un punto fermo...non so perché inizi a parlare di queste cose con te, che ti conosco da qualche minuto. Mi avrai ispirato qualcosa...” BARTO’: “O forse è la notte. Ispira sempre la notte.” SERAFINO: “Te sei troppo negativo. Smettila di parlare di queste cose...” BARTO’: “Hai iniziato te, con la storia degli occhi...” SERAFINO: “Ok, finiamola qui con questi argomenti tristi...” BARTO’: “Allora sono io a fare tutto questo casino!” SERAFINO: “O quello stramaledetto cocktail che ho trangugiato...dovevo prendere la birra come hai fatto te. Non hai ancora risposto alla mia domanda iniziale, caro...” Ottavo episodio Il mercato
39.
Correre! Correre! C’era la maratona, e noi dovevamo dirigerci al supermercato per ritirare l’acqua. Tutti a trotterellare per le strade della città, senza mai fermarsi: vecchi, donne, bambini, giovani e aitanti; una sfilza di gente prodiga a far saltare le coronarie agli spettatori, molti di questi incapaci di simili resistenze. Il grigio della giornata non sembrava smettere. Eppure notavo come in fondo ci fosse nell’aria qualche tempesta diversa; una distorsione dell’occhio...
Un mercato etnico si trovava, stava esistendo nella sua forma sotto gli occhi e sotto le orecchie abbassate dal rumore della città di chi studia le piccole cose e non impara quello che vive, di chi legge le astrusità più lievi e non sente quello per cui vive, di chi ascolta le note più disparate ma non udisce quello su cui vive.
Mangiare! Mangiare! Ed ero alla mensa, non notando che dentro il chiostro c’era una piccola sorpresa ad aspettarmi. Cominciavano a volare per l’aria delle bolle, che non sapevo da dove provenissero, ed ero lì. A mangiare. La gente continuava a correre, imperterrita, senza constatare il freddo e la noia della lunga corsa. Il passo errante risuonava fino ai miei pavimenti, e con la testa mi allungavo dalle vie del mio quartiere alla stradina del chiostro, gremita di produttori e coltivatori. Doveva esserci Frank...doveva, perché ora vedevo il mondo fuori dalla conca dell’Arno.
40.
Si aprì. Aperto, a finestra spalancata (un vento si imperversava) libero per poco tempo, al passare del rintocco delle campane, così; non sai, non saprai quando finirà il segreto prossimo, quando tutto il tuo vedere scomparirà nel suo oblio materno e ti lascerà a suo ricordo e immagine ove il cuor si spaura la melanconia della perdita, la greve dolcezza nell’animo.
Scendere! Scendere! Fuori, dopo pranzo, con le bolle nello stomaco, il rimuginare della polenta che saliva e scendeva. Da lontano i corridori giravano per le strade, saltellavano imperterriti alla ricerca dell’arrivo. “Devo arrivare, devo vincere!” Probabilmente si ripeteva nella sua scatola cranica il corridore, mentre passava sotto casa mia: provai a filmare tutto quanto, appostato debolmente dalla finestra, al vuoto di due piani. I vigili obbligavano tutti a lasciar passare i corridori, scattanti e smagriti poco a poco, quando intanto in cucina si preparava la colazione. I croissant al burro del compagno si sentivano fino a qui, e gli occhi si diressero al cuore dello stomaco.
41.
Un cielo, come in uno squarcio nel tempo umano fisso all’occhio, nel bigio colore del nuvolo, ecco; un passo alla volta e sei lì, prodigo ed evaso, in un non so che di estro fertile e passionale; un tuo io.
Entro nel chiostro, e la prima cosa è nei funghi. Uno stabile dove si decantava le proprietà dei funghi da fondo di caffè, nati in questi preparati fertili per la gioia del consumatore. Uno, due, tre, dieci pacchetti dovevano vendere, e mi parlavano della bontà del prodotto, e di come a cercare i funghi ora, con i propri nonni, non sia possibile. Mia nonna...come una bimba si tendeva verso un fosso, scoprendo in un roveto dei piccoli champignon nascosti; io a tenerla mentre il timore del suo male pesava sulle mie mani. Incapace, timoroso di punture, serpi e rami perforanti; una bimba in mezzo al bosco, con i fratelli defunti che le ricordano quali fossero i tipi commestibili da mangiare e quali da evitare. Il porcino è l’amanita, il tubero il parassita. Così si confondono nelle mie idee scene diverse, e non seguo più nulla di quello che mi raccontavano. Penzolano e profumano, ma io non li comprai. Scappai dalle spore e intanto ricordavo mia nonna che cercava nei suoi posticini, nelle sue zone risapute. Ora non trovava più nulla, nemmeno suo nipote.
42.
Scoccavano al suono delle campane urbane e collinari e al volteggiare delle bolle: tutti presenti! Io ci sono! Tutti, via, a portare ciò che erano lì, a voi! A tutti quanti! È il circo della gente più diversa che esista tra i viventi.
Un giovane mi guardava, una lieve presenza. Mi sorrideva e mi diceva che veniva dalla Comune degli Appennini, e che i suoi prodotti biologici erano sicuri al cento per cento. Dondolavo con le mie scarpe rialzate, e non sentivo. Vedevo solo che qualcuno stava emettendo delle bolle. Gli odori delle tisane... “Sto un po’ male, mamma, dove sono i filtri delle tisane?”, non sapevo che fosse il tiglio, il finocchio e il radicchio il preparato delle dissenterie scongiurate. “Com’era questo mercato?” Ancora aspettavo la domanda. Non era ancora finito nulla, perché ero ancora lì, che guardavo i prezzi, le erbe, i cartellini, le tendine, e i capelli dei ragazzi vicini. Una presenza sentivo di averla vicina. Un incontro? Un’amicizia? Un amore? O forse la stanchezza di chi cerca e non trova. La fame mi ritornava e non pensavo più a nulla. Un blackout. Dovrebbero esistere più mercati in queste zone, più zone vive. La lamentela non finirà tanto facilmente.
43.
Venga... (la voce era sconosciuta) ...un pane salato? Una pasta dolce? Lei saprà il sapore del pane altrui? Un libro (per l'anima, non più per lo stomaco vuoto) Un vestito (per la sua gabbia), oppure una foto digitale, un breve ricordo di tutto. Sa dove si va? Dove si torna?
I fritti! Eccoli! E io che ora non avevo più fame se non per quelli. Girare a destra! Sono nelle vesti: ero una dama, un vecchio, un hipster e un vagabondo. Ero tutte quelle vesti che toccavo e riguardavo nei bottoni, nei lustrini e nei fondi. La prima foto, in alto, da egocentrico quale sono, in cima al rialzo del chiostro; un click e le luci si accesero. Il cielo era ancora bigio, ancora un lamento alle bolle che risalivano...qualcuno lo notavo, tra i loro capelli raccolti e le loro sigarette alla bocca. Qualcuno suonava la chitarra. Io non c’ero in quel loro mondo. Ero sempre lì, ma non con loro.
44.
È un chiostro, sai già dove finirà tutto questo! Il vento intanto muoveva le bandiere e gli striscioni e i giubbotti e le camicie e le giacche dei civili e le carte e le borsette e i capelli e le tende e i cappelli degli incivili e i fili d'erba e i fogli e i volantini e le banconote e le barbe e i bambini e gli oggetti e le persone e gli animali, e le bolle e le bolle...
C’erano i funghi ad aspettarmi, e io li riguardavo senza interessarmene molto. Arriva la notizia di uno dei corridori che giace al suolo e muore; io ero qui, e lo seppi tardi che la morte ha seguito tutta la storia. Io e Frank camminavamo verso il supermercato, e quando toccò di pagare lui mi diede i soldi e io pagai con la carta: non ne volevo, non eravamo fidanzati. Ma tra di noi ci si comportava come tali. Camminavamo ed eravamo sempre intorno a quei vecchietti che forse sapevano della morte ma non volevano metterla alla luce. Il primo che li abbatte, dicevo, il primo che li abbatte...
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BARTO’: “Guardali! Guardali! Vogliono morire?” FRANK: “What? Cosa dici?” BARTO’: “Come le anatre nei giochi al luna park. Dobbiamo sparargli!” FRANK: “Sei andato?” BARTO’: “Usiamo l’acqua e lanciamo gliela contro, come se dovessimo essere al luna park!” FRANK: “Va bene, ok...” BARTO’: “Ecco. Lancio! Un vecchietto! Dieci punti!” FRANK: “Ma perché…” BARTO’: “Ecco che cade un altro, una stele di domino!” FRANK: “Quanti punti un bambino?” BARTO’: “Forse venti. Provaci! Abbiam ancora tre bottiglie!” FRANK: “Merdre! Un colpo a vuoto!” BARTO’: “No no! Eccone, una inciampa sulla tua bottiglia. Gli è partita la dentiera!” FRANK: “Trenta punti! Ho beccato una palla di cannone vivente!” BARTO’: “Aspetta, l’ultimo tiro! Toh! Aitante pallone gonfiato!” FRANK: “Quanto?” BARTO’: “Cinquanta punti!” FRANK: “Così tanto?” BARTO’: “Perché ora si rialza e ce li dà a noi cinquanta punti, in testa!” FRANK: “Allora è meglio scappare.” BARTO’: “Perché? E tutta una nostra immaginazione...” FRANK: “Ah, già. Hai ragione...”
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La corsa stava finendo. Ero ancora in giro per il chiostro e non volevo comprare nulla, solo filmare quello che accadeva. Ero un po’ stanco della girata e delle fermate in ogni bancone, mentre i produttori di quel miracolo biologico dei funghi cercavano di vendere qualcosa della loro merce.
"I funghi, sa, sono fatti dai fondi della terra... dal loro celarsi...". Nascono ovunque e non si sa cosa siano, perché, dove? Vede la pianta? È nata, e lei lo sa. Lo ha sempre saputo.
Le selve fuori dalla città, il viaggio fuori dalla mia mente, i viaggi fuori dalla città degli uomini. Dove abito c’è casino, ogni giorno. Mi pareva di impazzire ogni volta che passava una ronda di poliziotti, un clamore dei carabinieri e il rumore delle macchine che stavano sventrando le strade per rimetterle in sesto (chirurghi di strada, di corpi lasciati a decomporsi). Tutto il tempo a lamentarmi dei gay, tutti questi giorni a pensare chi erano i pederasti, gli altri...gli altri! Immaginare chi fosse chi, cosa fosse cosa. Forse di me so veramente poco. Vorrei perdermi nei boschi.
Perdermi. Dire di esistere solo per me, io, io sempre io, per nessuno, e vivere con gli altri, loro, medesimi ed essi, le piante del segreto mio giardino... sconosciuto a me solo... Il loro sussurro è diverso dal clamore degli abitanti.
47.
Sì, bel ragazzo della Comune, rapiscimi! Porta via un topo di città e coprimi della tua conoscenza, del tuo vivere lontano, quieto e sereno. C’è una rocca al passo delle mura crollate: è lì, appoggiata al crostone, con tutti gli abitanti superiori alle vicende degli abitanti della piana. È solo un sogno, una mia immaginazione. Che accada! Sarò più tranquillo, se mai dovesse compiersi il mio piacere più segreto. Mi sento come se il tempo mi fosse nemico; guardo più volte l’orologio e non capisco se sono ancora nella mia realtà oppure se sto perdendo per strada qualcosa di importante, e che sarà decisivo al proseguo delle mie vicende. La colazione era pronta quando il gruppo che aspettavo dei corridori arrivò sotto casa e non mi diede la possibilità di fargli la foto, o il video che speravo. So solo che erano buoni i dolciumi della mattinata.
Ma cosa sappiamo se gli occhi ci nascondono quello che vorremmo?... ...chissà se un odore ci confonderà la vista e ci allontanerà dalla realtà in cui non possiamo non vivere... Alle porte vi erano pochi volti presi a declamarsi e a raccontarsi: ognuno portatore di una narrazione, di un momento, di un'esperienza. Il film? Tutto è un film, tutto è un sogno in una bolla di sapone (e i bimbi che le vogliono toccare, per non credere che dentro di loro ci sia un mondo che esista; vero!) Lei vorrebbe...un ascolto? Berlino (ya!) e le sue strade ricordano quando nell'Est si credeva esistesse la speranza di un mondo diverso. Cantate! Abbiate il cuore di voler raccontare che nulla si perda! Una bolla volava, e si sentiva la sua sparizione. Io mi cambio in tutte le vesti che c'erano, tutte (uno, due tre, cinque, dieci, cento!) che ricordano i personaggi di un uomo, le sue figure e i suoi caratteri. Chi c'è se non chi è? Ed era un torpore di genti, le persone che sentivano, attaccate ai loro balconi a vendere, a sostenere e a sopravvivere. Forse è meglio sopravvivere che vivere.... Quelle cose che avevano valore forse lo avranno ancora... ...come i pensieri, quei barlumi di luce provenienti dal cielo, ove le nubi non fanno muraglia, e i miracoli... "La ruota la rimettiamo in sesto! Noi siamo ovunque a rimettere a posto le bici, i vostri mezzi!" per strade; azioni che risplendevano e volevano essere, un seguirsi di valzer e canti berlinesi, di fritti leggeri da portar via e di biciclette per tutti. "Venga, per le librerie. Le liberiamo..." e la firma della presenza, dell'attivismo. I libri hanno bisogno di una casa e di chi li accolga. Una commedia continua nel mercato: "Un sorriso, bimbo!", e sembra combattere il grigiore della giornata. E sembra un poco vincerla. "Le mostro la nostra iniziativa, tutti giovani, tutti contro tutto, tutti...tutti..."; e vedevo già un microfono e una poesia in mano. "Posso soffiare sulle bolle?" ed esse volarono. Nono episodio Una strana notte
48.
- “Solo così, nel buio degli occhi chiusi, un qualcosa si imponeva forte. Dove esiste la terra nella sua gravità inflessibile e definitiva e dove, lassù, dove lei non può più toccare alcun'anima non si formano che le nubi leggiadre al vento e allo spazio...” Città! Tu sai dove finisci? Tu sai dove inizi? No, nessuno sa dove finisci! Nessuno sa dove inizi! Inizi e concludi al centro, nel punto focale del tuo girare, della tua cerchia muraria storica ed eterna...” La campana della cattedrale, il suo din don nella notte, nella buia e serena quiete senza Sole, rintoccò ventitré rintocchi, uno, due, tre, dieci, venti e più...alternando ad essa l'eco...
Sai mai se hai un cuore che io amai?
...delle colline, dei monticelli lievi nell'orizzonte dello sguardo. Il silenzio dei boschi oltre le piante, che non sanno cosa sia il sogno, e il sussurro dei flutti scivolanti nello scuro dello scevro scoprire d'uno scompiglio, scorrono dai monti fino alla città.
49.
Era una bella cena, una bella scorpacciata di corpo che si fa poche volte nella vita quando si è contenti e felici, magari uniti ai liquidi alcolici che fanno salire ben oltre la linea di confine dello stomaco, sopra la punta iniziale, con un retrogusto dolce, che ricorda il bacio, la tenerezza dell'amico e il calore di una famiglia. Qualcosa non c'era... La Luna non c'era agli occhi di chi aspettava il suo volto di perla
Dov'eri mentre ti cercava il tuo amato? Eri nascosta? Da chi ti nascondevi, amore delle stelle, figlia della solitudine?
Le nubi di piombo pressato volano al di sopra delle cimase di uomini stanchi e soli al mondo caduto nel silenzio urlante delle feste e dei baleni di gioia euforica e di dramma depressivo che li vogliono stritolati al loro banco da lavoro, soli. La nascondevano e la rendevano desiderata.
Tu vivrai oltre loro, nel cielo che ti aspetta, fuori dai rombi, dai boati infernali della notte...
50.
Erano passate troppe albe e troppe lune dall'apparsa dei boati. Mi svegliai di notte a vedere la pace che venne sconfitta, al disperarsi dei botti, della sconfessabile devastazione. Era una notte che pareva serena. Noi due, giovani... PASSANTE: “O erano di più? Chi erano? Sono forse un castano ed un moro, oppure due castani, due mori, uno biondo o rosso o canuto? Tutti simili, forse nel volto avevano qualcosa che li rendeva due soli, Soli.” ...decidemmo di passeggiare: una camminata lenta ci attendeva fuori dal bar, che era un pub ed era un ristorante e pizzeria; un passo nei pavimenti rialzati, spaccati dalle bombe e dalla storia della città, con le lunghe viuzze nel terreno pronte all'inciampo dei maldestri e degli ubriachi. Uno scocco. Due scocchi. Quattro, che diventavano otto, sedici, ed infiniti nella sera, mentre il silenzio si apriva all'esplosione improvvisa nell'aere. In compagnia degli abitanti noi eravamo quieti alla ritrovata pace, dopo la tempesta che imperversava nella città. Eravamo prima sotto la cattedrale, ma dopo pochi passi nella chiesa, nella sinagoga dei ceri simmetrici con la kippa e il cibo kosher della macelleria sotto la via fuori dalle piazze delle osterie e dalle enoteche, prima del ponte nel fiume piatto e bucato dalle bombe e dalle luci. Le note jazz volavano fino alla cupola di fumo. Nel cielo, ovunque, tra le vie e perfino nel fiume che passa la città, dei boati, delle luci infernali distoglievano lo sguardo... PASSANTE: “L'occhio vede le anime, non le persone...” ...e l'attenzione dei passanti, portandoli dai loro discorsi, pensieri evasivi alla realtà. COMPAGNO: “Mi sa che questa notte non passerà...un cielo così sembra un'apocalisse lugubre...non sai cosa mi manca per sentire di essere in casa mia...il vino non m'ha reso ubriaco...vorrei vivere lontano da tutti, da tutto, da loro...si rimarrà uniti al continuo dei bombardamenti? Io non so cosa ci sia tra la terra e il cielo...io non so se noi, se tutti, se forse tutto questo...tutti a camminare per le strade, e nessuno che invece rimane fermo e si chiede perché...sono solo, eppure insieme ad altri...la casa vicina a me è scomparsa; toccherà a me?...Tutte queste luci...il fiume non ha mai avuto così disgrazie come noi che viviamo sopra di lui...”
51.
Una realtà di fuoco, di rovine, di crolli e di morti. Fuoco, che si diffonde per le stanze, per i corridoi con i mobili, i quadri antichi, le suppellettili degli avi e dei ricordi, le scrivanie, i tavoli e le sedie, le poltrone, le ricchezze, i cappelli e gli abiti, le stoviglie, la frutta decorativa, gli orologi nel loro incessare del tempo. Rovina, delle sue porte, finestre, rialzi, balconi, terrazzi, tettoie, graticole e banderuole con camini e decorazioni floreali, lampade al muro, serre interne, persiane e solari in soffitte sfondate. Erano crollati nella pietra, nel calcestruzzo, senza fondamenta, nel cemento sparpagliati nella tenebra, nei mattoni che non esistono più, tra i fuochi. La città era prossima ad essere una landa desolata da quando ininterrottamente vibravano nell'aria le esplosioni causate da questi spari che appaiono e scompaiono in pochi secondi, lasciando a tutti coloro che vi assistono l'angoscia di un'impotenza incurabile. Era una notte, dove l'orchestra suonava il jazz nella speranza di colmare i boati impossibili, lasciando solo sfogo alle trombettiste, le quali univano al loro suonare una piccola disperazione. Assistere ad uno dei crolli era forse il desiderio più sadico che uno possa mai solo pensare di poter avere. Era come mettere alla prova del fuoco un disgraziato incurante dell'impossibilità di sopravvivere ad una crudeltà del genere: un palazzo, antico, che precipita al suolo dopo che una tempesta di polveri la tramortisce e la fa crollare sotto il suo peso, portandosi appresso tutto il suo contenuto. Se uno riesce ad intravvedere una persona, un animale che scompare nei resti del palazzo, anche lui, come per empatia, decide di scomparire, nei meandri della sua mente, in una inconsolabile pazzia. Un godimento lussurioso che sa di Pandemonio. COMPAGNO: “Continueranno ancora questi boati incessanti? Da troppo tempo stanno portando rovina! Ho paura di sì. La città è destinata a perire se tutto ciò non si placa. Tutto in polvere. Anche questa notte sarà insonne? Non so più dormire come una volta. Forse sognare. Anche oltre la notte...temo che nessuno in questa città sogni, perché almeno spereremo. E nessuno sa come fermarli? Nessuno che si imponga a questo disastro? Se ancora non c'è soluzione, è perché si preferisce la desolazione. Questa città...”
52.
Erano passate troppe albe e troppe lune dall'apparsa dei boati. Una ripetizione, come le bombe che ritornano ogni giorno, ogni notte, ogni giorno, ogni notte, in pazzia completa, senza finire, in follia totale, senza fermarsi. Mai. Quell'uccello non sembrava di volare, tra le sponde del fiume, oltre i ponticelli, mentre vedeva tra le finestre senza accorgersi di camminare, di stare. Ero accanto al ragazzo, ero con lui, vicino. Mi fermai con lui, e vedeva ancora la notte. Era una notte che pareva serena: il sereno si vede dalla quiete che ti infonde nel cuore, in quella breccia di calma che non ti fa pensare al male, all'inquietudine e al breve lasso di malessere. PASSANTE: “Come poteva essere...sereno? Il cielo, non lo era...Non si dava sereno nella città, non c'era quella quiete tra chi viveva col terrore di essere l'ennesima vittima delle bombe e chi l'ennesimo sopravvissuto e spettatore della morte altrui. Pensano ad altro loro? Lui lo sa se l'altro pensa a lui, se gli altri pensano ad altro, oppure se le bombe sono il trionfo di questa paranoia che sembra non finire mai?”
53.
I due giovani. Chi li conosce non c'ha mai visti prima, chi c'ha visti sa che prima non c'eravamo: noi eravamo nei boschi, nella nostra stanza insieme, con un boccone in bocca all'altro, nella torre alta a seguire il corso degli eventi, e poi nel letto, a cercare di sognare, ancora, nonostante ogni volta fossimo insieme, uniti, prima che un botto ci svegliasse...eravamo lì, a pensare come si potesse evitare quel disastro, ma eravamo troppo piccoli per impedire alle bombe di cadere, di non precipitare nei baratri che sarebbero nati con loro, un vuoto infame. Decidemmo di passeggiare in compagnia degli abitanti, quieti alla ritrovata pace dopo la tempesta che imperversava nella città. Tutti volevano sorridere, tendendo il loro riso quasi a clown, in totale disagio, pur di celare, nascondere quello che sanno tutti. Come finirà? Perché a loro? Dove hanno sbagliato? Perché è successo? Come è iniziata? Nessuno sa come sia iniziata, il principio di ogni cosa e di ogni disastro, di ogni casa bruciata, di ogni viale sfondato, e da quale assurda follia una città debba ritrovarsi del tutto disarmata a tale violenza imperante. C'erano urla nella notte, c'era tutto il necessario per non far più vivere gli abitanti, mentre la città poteva tranquillamente affondare sul suo nulla. Sul suo morire. Nessuno sa come si possa andare avanti, dato che nulla sembra possa placare i continui gridi e le urla di questo disastro incessante. Nessuno sa come finirà, se mai finirà. PASSANTE: “Questa città non può finire così! Ha superato il Tempo, la Storia...non può...Cosa si può fare per evitare il disastro? Nessuno lo sa. È troppo che si soffre! È troppo che la gente non riesce più a sopportare… Non si capisce chi sia, cosa, dove: appaiono ad un tratto e si portano via tutto. Perché? Perché la città? Cosa può aver portato ad una simile decisione? Il perché non lo puoi sapere, se proviene dalla violenza. Ascolta. Un boato. Eccolo...”
54.
Nel cielo. Ovunque. Erano lì. Continuava la disperazione: un palazzo era esploso, frantumato di tutto ciò che conteneva e teneva in sé, e la famiglia al suo interno si spezzò in polveri leggere, un tempo un padre, una madre, i figli e i nonni, dispersi nella cenere. L'orrore continuava, e nessuno voleva vedere. Il tempo passava mentre noi con passo lento si dirigevamo nella piazza del quartiere posto dall'altra sponda del fiume: ora c'era silenzio per le vie, e silenti erano gli abitanti della città, figure minute alla ferocia della distruzione. I ponti erano bloccati alla circolazione delle auto, anch'esse possibili armi di morte e di dolore, e solo a piedi si poteva andare al di fuori del centro urbano. Chi vedeva dall'altra parte non poteva non vedere il fumo provenire dai tetti, dalle strade e dalle torri, che copriva tutto ciò che lo circondava. Il ronzio lo sentivamo nelle orecchie, ancora risuonava chi era nei paraggi. Nessuno l'aveva vista, nessuno l'aveva notata, eppure un fischio aveva presagito la sua esplosione, quelle finestre che si coloravano di fuoco fino a spingere lontano tutti quanti: solo prigionieri interni, nessuno al di fuori. C'è un nemico! È qui, nei colli, là, a sperare nella nostra morte, a chiedere in cambio di tutto questo la nostra servitù, il nostro vivere liberi, e per questo fa della città un campo minato e una zona di guerra. Ancora ci cerca, ci vuole suoi, e perfora le case, i templi, i palazzi e le torri, fino a che non ci avrà suoi. Non c'è nessuno, solo il silenzio dei colli indifferente alle nostre storie e alle nostre disavventure. Dov'è? È con noi? Il nemico tra gli amici? Sa dove siamo più deboli, sa dove ci può colpire, sa come farci più male di quanto uno potrebbe. La nostra città, la loro città...tutti in preda al nemico che non veniva, alla notte che non si faceva così serena, se le bombe non cessano di esistere. Si intravvedeva una città antica, di origine medievale, antichità nata per proteggersi dai nemici, dai malvagi, da ogni elemento che potesse infrangere le sue mura. Non c'erano più: al suo posto nuovi palazzi, con aria condizionata e luci accese tutta la notte con gli spazzini e i metronotte che li circondano e ne fanno casa notturna per la loro noia e il loro lavoro, mentre ordinano il caos che li circonda, e donano nuova vita alle nuove case, con il loro calore e le piccole crepe da riparare dopo le bollette e la pulizia di casa da sistemare con i libri in terra e la spesa da rifare per l'ennesima volta curando il giardino per dare via al verde che c'era intorno a loro e ai nuovi alberi. E nessuna difesa. Una realtà. L'incanto di una notte, sospesa tra la realtà ossessiva e la notte dei sogni. La loro musica. La città era prossima ad essere una landa desolata da questi spari che apparivano e scomparivano in pochi secondi, lasciando a tutti coloro che vi assistevano l'angoscia di un'impotenza incurabile. Le note continuavano, e sembrava una lacrima di gioia... COMPAGNO: “Loro suonano. Ancora. Ma suonano. Non sanno cosa fare in questa notte...ma nessuno ascolta: tutto sono impietriti dalle continue esplosioni, anche adesso. Non stonano. È impressionante come riescano ad andare a tempo se ogni volta…vorrebbero stonare: se stonassero uscirebbero una buona volta dalla loro realtà. Realtà? Stanno cercando di far allontanare le persone dalla disperazione della realtà…se volessero scappare da ciò, non starebbero qui ad assecondare la loro musica.”
55.
Era una notte, dove l'orchestra suonava il jazz... COMPAGNO: “La musica, il risveglio dell'anima, e lo strombazzare che seguitava la notte depressa...” ...nella speranza di colmare i boati, i ruggiti della notte, impossibili, lasciando solo sfogo alle trombettiste; si fermavano negli assoli e stavano come statue a decantare figure illustri nella loro posa incantata, effigi, suggerendo qualcosa che nessuno capì in fondo, eppure univano al loro suonare... PASSANTE: “Il do saltellava al mi e al fa, ballando col re, a fare sì, col suo sol...” ...una piccola disperazione. Ballavano. Volevano ballare. Volevano ballare. I boati aumentavano e la gente non stava più ferma. Si velocizzavano, si agitavano nei movimenti. Il fuoco era la loro luce, e i fumi il loro luogo di ballo ideale. E seguitavano gli altri intorno a danzare, mentre nulla aveva più senso. Troppo breve era questo momento. La città è ancora in preda al crollo che sembra imminente. Si mettevano a ballare, con le loro scarpe, che si misero prima di scendere, uno ad uno, in una mano la scarpa della parte opposta, la sinistra alla destra e viceversa, non togliendosi lo sguardo addosso, e guardandosi, mirandosi senza pensieri. Gli spettatori cercavano di evadere con le note, quasi aggrappandosi ad esse, per allontanarsi, fuggire e salvarsi dal male che deturpa le vite della comunità locale. I bombardamenti seguivano altri bombardamenti, il caos diventava generale, le colline ora sentivano tutto. Sembrava che nulla la fermasse, perché più si sente un progressivo allontanamento dal dolore, più si fa risentire, più ritorna, nel suo boato micidiale, che spazza animali, cose e persone. La salvezza forse era nelle piccole parole: in uno sguardo, in una carezza, in qualcosa che possa chiudere il cerchio di fuoco attorno a noi, a quella gente, a quel paese immerso nelle colline. La campana della cattedrale non rintoccò.
56.
COMPAGNO: “Ecco l'ultimo colpo...Le lacrime, non Ci rimangono...Un altro boato. Un altro ancora. Non riesco a capire come si possa ancora...Nessuno regge. Nessuno. Facciamo finta, ma nessuno ce la fa più...si deve...si deve...Come, si deve? Nessuno riesce ad andare oltre...E sia. Andiamo oltre! Non è possibile morire in questo dolore senza un finale. Che si può, vivere ancora in questo strazio? Nessuno sa come finire questo strazio? Nessuno! È la fine della città? È la fine, e il suo inizio. Tutti sappiamo come finire questo disastro, questo male...Lo so anch'io, ed è semplice. Bisogna che da questo ci si svegli...Svegliamoci allora...”
57.
La notte si accese. La musica smise. Il fiume si calmò. Le colline fiorirono. Le torri erano aperte. I palazzi erano silenziosi. La cattedrale suonava. La città era di nuovo viva. Le rovine non esistevano più. All'alba non esistevano più rovine. Le bottiglie non c'erano, l'alcol non c'era, i mattoni, le pietre, i vetri, le ceneri, le note, i ponti, i mobili bruciati, le sedie, le persone, i sorrisi, i balli, i fuochi e le nubi, non ci sono. C'erano loro due, e gli altri, a dormire, a stringersi le mani col volto accanto all'altro. Non si udivano più le bombe, non si udivano più le disperazioni, i dolori, le disgrazie di un tempo immortale. Era passata la tempesta: non c'era un singolo pezzo fuori ordine, non c'era il frantumarsi dei palazzi. Era passato il peggio. Era passato, perché ora è realtà. Dove sta la realtà? Non esisteva la realtà. Il sogno...tutto un sogno, un ingannevole sogno che sembrava librarsi...ma dov'è il sogno se ancora esisteva quei ragazzi, quelle persone e quelle arie che svolazzavano sopra i cieli della città? Allora, c'era qualcosa. E solo il Sole, passata la Luna, avrebbe portato via le ombre della tenebra e rischiarato le menti. La sveglia di chi voleva ancora sognare di essere una città, un colle, una qualsiasi cosa che viveva assieme a loro nel pulsare dell'esistenza. Intanto un sorriso si palesa nei dormienti... Decimo episodio Tanto per finire
58.
Avviso da parte della segreteria degli studenti dell’ateneo: Il seguente foglio deve essere recapitato entro un’ora presso l’ufficio della DSU, con tanto di bollettino e carta d’identità. Ai fini del contributo affitto, dal valore nominale di diverse centinaia di euro, è conveniente autentificare la registrazione entro e non oltre questa giornata, prima che la scadenza sia superata, la quale garantisce la non accettazione di future carte di richiesta, prontamente cestinate. È doveroso ricordare la necessità del rilascio lucroso per chi è fuori sede e non dispone di un lavoro part-time esaustivo alle richieste monetarie da affrontare (affitto, vitto, uscite serali, spese extra). L’ufficio rimane aperto fino alla chiusura per pranzo, quando ogni cattedra non sarà disponibile fino alla successiva settimana, forse troppo tardi per ottenere il bonus universitario. Ogni eventuale elemento non presente renderà tutto lo svolgersi delle azioni un insieme inutile, senza via di soluzione immediata ed esaustiva. Lo studente, già borsista, è pregato di non richiedere fogli stampabili alle segreterie e ai dipendenti degli uffici regionali, quindi di auto munirsi e di andare nelle copisterie più vicine alla città per una stampa fattibile e chiara. Non verranno tollerati pietismi o scene di richiesta tendenti all’ossessione nei confronti dei pubblici dipendenti della Regione. Le biblioteche locali sono a vostra disposizione per stampe a poco prezzo e di buona qualità; non garantiamo file certe e computer non funzionanti per la stampa. Né stampe accessibili ai terminal dei lavoratori dello Stato Sociale. Riteniamo che nei tempi richiamati debba convenire al suddetto soggetto una certa responsabilità del mancato riconoscimento: da oltre un mese pubblicato, è perentorio presentarsi all’ufficio pur di non cadere nel timore di perdere il bonus a cui può accedere per via dell’impossibilità di acquisizione di posti letto ormai completi. Si augura però nel futuro di poter ottenere al posto del contributo affitto il posto letto, gratuito e perciò non di pregevole qualità (il controllo delle abitazioni ricade sui presenti, non sull’ente custode). Nel seguente foglio sono presenti le seguenti datazioni ed elementi archiviati sotto il nome del proprietario della matrice algoritmica e del codice di riconoscimento: Codice del contratto d’affitto e delle firme del locatore e dei conduttori Carta d’identità nazionale, con annesso codice di registrazione municipale Iscrizione compiuta alla lista dei vincitori della borsa regionale Carta della richiesta de...
Manca! No! No! No! Dannazione! Tra tutti i fogli che ho da giorni, dopo tutte quelle stramaledette richieste che ho fatto, per cui ho sofferto pesantemente a causa delle mie paranoie possibili...Ho solo un’ora prima che No, non ci siamo…ritentiamo…
59.
Ecco, allora… … … … … … … … … … … … … … … …ritentiamo…
60.
Basta. Mi sono rotto! E che cacchio! Essere stanchi non è un fatto biologico: lo spirito o è stanco o è vivo; già si parte male ad essere fiacchi in un mondo frenetico, e se aggiungi che molti sono bestie, è fatta. Mangiato! Divorato senza nemmeno le ossa! Eh, ci si trova ad affrontare gli imbecilli, gli stupidi e i folli psicopatici in una vita; evitiamo di finire in mano loro. Uno tranquillo passa ad altro, non mirarli, e pensa altrove. Ma l'ignoranza è una funzione a breve termine se hai gli occhi per intendere e per comprendere il mondo attorno: se si è particolarmente sensibili allora risulta difficile accettare tutto questo. Chiudere la bocca è peggio; nemmeno la compiacenza di criticarli, di dire No! Si sta algidi ad essere impotenti. I consigli servono a poco in questo mondo, eppure c'è chi li dà ancora, forse per auto-gratificarsi. O forse per valere qualcosa, perché si sente nulla, nullità del cosmo in cui è affiorato a vivere. Sii stanco quando non devi essere attivo, attivo quando non devi essere stanco. La mia età mi dice, chiaro e tondo, semplice: "Divertiti!" Bene...come? Perché il senso del ludo cambia, non può essere lo stesso. Proselitismo di piaceri? Certo! E perché non un'integrazione di gusti, di mobilità e di respiro? Eugenetica del vivere, e così perdiamo l'ultimo residuo di vitalità, di identità. Ognuno pensi al proprio modo, e se cerca un sosia perfetto, saprà di fallire quando sarà troppo tardi. A questo mondo si è soli nella propria identità, ma compagni nelle proprie avventure, e nei propri caratteri. Le belle statuine non sono nemmeno più le donne, oggi giorno (o per lo meno quelle vere, tralasciando quelle meschine senza arte né parte. Davanti, bello lì, e parla. Giudica se uno vuole, annuisci e scappa (tanto non è il paese a garantircelo, ma la nostra libertà!), fai lo gnorri. Ma è lì, punto! Così uno capisce con chi ha a che fare.
Basta, questa storia può anche finire così. Non ho altro da dire.
FINE Postfazione Bartò frantumato, o le gioie confuse
Bartò è il diminutivo di Bartolomeo: questo dettaglio non verrà rivelato se non nel seguito del romanzo, “Una questione civile”. A primo avviso può sembrare un elemento inutile, ma non è così: è indice che il primo romanzo d’esordio dell’autore si mostra come una storia semplice, esile, anzi, un racconto dalla trama inesistente, superficiale. E forse è il pregio del romanzo questo. Ma forse sbaglio, a cominciare dal chiamarlo “romanzo”. Con questo autore la catalogazione non funziona (quasi) mai.
GIOCHI DI NARRAZIONE…
Scritto di getto in pochi mesi (sembra che le uniche date a noi pervenuteci siano 13 novembre e 7 dicembre 2014, ed è lo stesso periodo in cui ha scritto anche il pamphlet “Oltre il Varco”), questa storia nasce nell’indifferenza dello stesso autore: partendo dalla tecnica del diario, come ha fatto in un altro suo scritto giovanile, dal titolo “Le esperienze giovanili di Fosco Cerbo”, ha eliminato ogni riferimento cronologico, aderendo più alla storia, agli episodi di cui si compone. Il risultato è un’opera che ricorda da vicino il trattamento che facevano quasi cent’anni fa gli scrittori modernisti (Joyce, Wolff, Faulkner, Pirandello…) sulle dinamiche della fabula e dell’intreccio: elimina ogni riferimento, mettendo in scena l’atto in sé, dilatando le percezioni, le cause, le descrizioni; il tutto a danno della narrazione, della diegesi. Non è però completamente il caso di “Barto frantumato”, anche se potrebbe rientrare benissimo nella categoria del “romanzo di racconti”. Bartò, a differenza degli altri personaggi (e degli altri libri), è una creatura teatrale. Il libro inizia con un suo monologo, spezzettato da scenette comiche, richiami, flashback, digressioni; nei successivi capitoli/episodi lo script rimane lo stesso, se non reso ancora più estremo con racconti sempre più complessi, legati alla vicenda per fattori tematici; cambia stili di continuo, passando dal monologo alla novella, alla digressione al dialogo, fino al testo teatrale e al poema in versi sciolti. Poi si ferma, decide di smetterla. In scena c’è lui, non un narratore, anzi l’Autore in scena è l’alter-ego del protagonista, e quasi ci litiga in diretta con la narrazione. Le principali leggi della narrazione e dello svolgimento della storia sono tranquillamente soppiantate a favore di un auto-fiction narcissica e iperframmentata, frantumata, come vuole il titolo. Lo stesso obiettivo, la ricerca dell’Oggetto, come vuole la tradizione della narrativa, non è chiaro: sembrerebbe l’amore, ma verso la fine sembra sia vicino (o no?), oppure si ferma lì perché non lo trova. La storia è caotica anche nell’esplicazione della quète, è un ginepraio puro, fatto di (pochi) personaggi, presentati originalmente, a volte con umorismo delirante e diabolico, e di episodi limitati negli accadimenti, e dunque gonfiati da invenzioni degne di una comica cabarettista.
…E DI LINGUA
Il vantaggio di questa storia è nel suo cercare l’effervescenza, saltando nella lingua (intesa linguisticamente), giocando con virtuosismi assurdi, al limite del barocco. Non essendoci una trama, è ovvio che dovesse riporsi nel gioco del linguaggio. E forse è questa una sua grande virtù, oggi poco presente nella letteratura contemporanea, ma molto attiva nei decenni passati: il lavoro della lingua. Aderisce al momento, all’episodio, fin dall’inizio del libro, con un tipo particolare di linguaggio, purtroppo non sempre perfettamente calibrato (ma è a senso: l’opera non è matura, ed è difficile che un autore a malapena ventiduenne lo possa essere): è un teatro a più palchi, a più scene, quasi richiamando l’entrelacement ariostesco, o le rappresentazioni medievali dei Misteri e dei Drammi profani. Bartò diventa una tromba di linguaggi disperati, senza freno, iperattivi, camaleontici e caleidoscopici. L’unico che cerca di dare un certo contegno all’opera è l’Autore, identificabile nella figura dell’eteronimo a cui è intestata l’opera, Ernesto Sparvieri, lo stesso autore di “Giorni Tranquilli” e “Gli Assurdi”, racconti simili nello stile ma più compatti, meno instabili della prima opera. Anche qui ci sarà lo zampino dell’autobiografia, mischiata alla finzione pessoana?
STORIE FIORENTINE
Una storia forse c’è alla base del libro: Bartò si presenta, parla dell’ultima sua scappatella mancata, rientra a Firenze richiamando alla memoria gli ultimi fatti/persone, conosce l’ambiente omosessuale locale, cerca di adattarsi alla meglio, scopre le meraviglie della vita urbana, e smette di lamentarsi. Questa sembra la sinossi di un potenziale romanzo di formazione, e forse lo è, ma più che un romanzo di formazione si tratterrebbe di un romanzo di iniziazione sessuale: si parla di omosessualità praticamente ovunque, fin dall’inizio e verso la fine dell’ultimo episodio. Rari nella nostra letteratura, uno dei casi più azzeccati di questo genere è nel romanzo breve, nonché opera postuma, Ernesto, di Umberto Saba, libro che curiosamente ha il nome dell’eteronimo. Ma se il romanzo del grande poeta triestino è votato alla tenerezza e alla dolcezza, con toni straordinariamente limpidi e chiari, qui è tutt’altra maniera. È l’accettazione alla propria sessualità, qui però raccontata con i toni della satira e della parodia, a molte scemando nel faceto e nell’oscenità, ma sempre con grande esplicitezza, senza fermarsi mai nel descrivere anche le più piccole nefandezze feticiste. Non sarà un libro molto apprezzato dagli ambienti più dediti alla promozione dei diritti e della dignità degli omosessuali: in pratica li stronca senza mezzi termini, a volte con crudeltà disarmante, mettendo in scena anche personaggi omosessuali peggiori di quanto Genet, Proust e Busi potessero aver fatto nel loro. Ma la sessualità è qualcosa da accettare in toto, nel romanticismo e nell’erotismo più becero. E può essere fonte di una grande gioia, una delle poche nell’immensità breve di questi episodi, che si aprono e chiudono ora velocemente ora con grande lentezza: è il senso a doppia velocità proprio del tempo, in termini bergsoniani. È il tempo con cui ha lottato anche l’autore per far mettere in scena in un centinaio di pagine il suo Bartò, giocando con la sua autobiografia (e per questo ispiratosi a Perec) e con l’umorismo pirambolico dell’assurdità della vita (e qui scatta Pennac). Anche qui torna la lotta, non per la libertà, ma per amore, un amore che non avrà rima con “fiore”, bensì con “furore”, quello che sprigiona questo personaggio fumino e potentissimo, quasi impossibile da seguire per la sua velocità. e anche con questa storia i lettori troveranno difficoltà. Alla fine questo autore è tutto meno che aperto ai fruitori; li vuole pazienti e troppo attenti, pur non garantendo sempre una qualità costante nelle scene. Qualcosa di buono c’è nel libro, e non è poco. Se fosse più godibile e meno complesso, forse avrebbe anche successo.
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Ghemon scrive a se stesso
Caro Gianluca,
ora che sei un ragazzino delle superiori di Avellino, non posso né devo darti grandi consigli. L’unica cosa che ho da dirti è: “Vai così”. Sei stato la fondazione di ciò che sono Io oggi, nel bene e nel male. E’ normale che tu sia frastornato da tutti questi input, perché proprio questo strano inciampare nell’hip-hop, sentirselo addosso senza aver qualcuno con cui confrontarsi, inventarselo da zero in una città in cui questa cosa non esiste, prima dell’arrivo di internet, ti spingerà a distinguerti e ad essere originale per emergere. Il fatto che ti senti fortunato ad avere l’Hip Hop ma altrettanto spesso escluso, un giorno porterà Me all’esclusività, all’essere unico. Una dritta voglio confidartela: essere popolare perché sei quello “alternativo”, perché vedi, senti, vesti, pensi in modo tutto tuo, ti renderà talvolta anche impopolare. Abituati e considerala una forza anche quando non ti senti capito. Nel momento che stai vivendo, forse, ti manca una guida all’interno di questa cosa così nuova, è vero. Quelli delle altre città grandi con cui stai venendo in contatto, se ne stanno tra di loro senza condividere quello a cui arrivano più facilmente di te, perché hanno accesso ai dischi e ai giornali specializzati. Imparerai a fare tutto da solo e ti servirà per la vita.
In ogni caso, se avrai bisogno di un consiglio, chiama pure!
Le cose che direi a te, invece, Gianluca — già Ghemon — che vivi a Roma, durante l’università, sarebbero più che altro consigli pratici. Continua ad ascoltare a formarti come stai facendo: hai ragione a pensare che rap, soul, rnb, funk e reggae, sono cugini della stessa famiglia. Seppure non sai a chi dirlo, sappi che queste, più avanti, saranno le tue solide fondamenta e che dovrai lottare perché gli altri credano a quello in cui credi. Se puoi, sbrigati a vendere subito i tuoi giradischi e non spendere il ricavato in dischi e vestiti, ma prova a comprare un microfono e una scheda audio, cosa che io ho fatto sfortunatamente fin troppo tempo dopo. Se avessi seguito — o meglio ricevuto — questo consiglio, avrei potuto incidere e far uscire certi pezzi molto tempo prima (nonostante questo mi abbia portato a migliorare nella scrittura, che come sai, è gratis).
So che per te è un problema chiedere beat in giro nella scena di Roma; gli altri hanno gusti lontani anni luce, quando gli parli di 9th Wonder o Kev Brown, ti guardano come se citassi Seneca o un trattato di astrofisica. Ti suggerirei di fare un doppione della cassetta che hai prestato ad Alessandro, prima che partisse per il Portogallo: la perderà, durante una rissa si spaccherà il gomito e tornerà in Italia senza più ritrovarla; perciò dovrai rinunciare ai tuoi primi 4-5 pezzi solisti dopo i Sangamaro (visto che li conservavi solo su quel tape). In quelle canzoni acerbe, fai rap nelle strofe e canti nel ritornello, una formula che ti sembra funzionare. Persevera. Se quei brani non escono, tra il 2000 (demo dei Sangamaro) e il 2005 (primo Ep solista di Ghemon) ci saranno 5 anni di niente. Sei competitivo, ti starà particolarmente sul cazzo vedere sul palco gente molto meno capace di te. Dovresti anche evitare, magari, di tenere tutto quel disordine nella tua Lancia Y, perché la stessa fine potrebbero fare i pezzi che avevi fatto nel 2001 con Mr.Phil e Domi dei Sangamaro (soprattutto quello che si chiama “Kilometri”, col featuring di Fede dei Lyricalz). Mi rendo conto che ti possa sembrare una filippica da bacchettone, in fondo ho 35 anni e tu solo 20.
Accetta questo come modo per spronarti: non appena sentirai l’esigenza di andartene da Roma, non temporeggiare: vattene. Non aspettare quei 2 anni in più, e parti; che sia Londra o Milano, vai. Stai portando la tua musica in giro e raccogliendo consensi, ma in quel posto non c’è più niente, non hai una lira e fai un’ora di bus per lavorare part time in quello schifo di agenzia di scommesse, con una laurea in giurisprudenza in tasca. Dall’altro lato, ti capiterà di rincontrare Kiave e Macro e di conoscere un ragazzo di Foggia che ti chiederà un passaggio per il 2TheBeat a Bologna (si chiama Corrado) : con loro inizierai qualcosa di importante, perciò se senti di restare, fallo, perché vale la pena di fare la strada con loro.
Ora tralasciamo la musica…C’è una questione di cui vorrei ti rendessi conto — ci arriveresti altrimenti tra diversi anni — che riguarda questo senso di tristezza e insoddisfazione che provi come un rumore di fondo. Fa’ una chiacchierata più profonda con Pino di Avellino, che sta facendo il tirocinio in psicologia. Certo, è solo un amico, deontologicamente non potrebbe essere il tuo terapeuta ma, forse, parlare con lui ti aiuterebbe a capire meglio perché a volte passi settimane a letto a fissare il soffitto, aspettando che ti accada qualcosa. Forse potresti prendere in mano la situazione prima di quanto poi Io realmente abbia fatto, per evitare di soffrire per così tanto tempo, per trovare un po’ di serenità in più. Non ti garantisco che così risolverai tutto e centrerai ogni obbiettivo, ma magari li raggiungerai in minor tempo e li apprezzerai con più leggerezza. So perfettamente che la tua educazione familiare è classica e non contempla spazi per argomenti quali depressione, panico o disagi di questo genere, intesi in generale. Fare il punto della situazione con qualcuno, ti spingerà ad affrontare anche il tuo disordine nell’alimentazione; partire, ti costringerà a dei sacrifici ma non comprometterà in alcun modo il tuo impegno nella musica, che per te viene prima di tutto e anche tua mamma e tuo papà, in cuor loro, lo sanno.
Artisticamente parlando, la strada che stai seguendo è quella giusta. Non aver così tanta paura di andare da Cecilia, l’insegnante di canto di Martina: è comunque meritevole impegnarsi tutti i giorni, cantando in quella piccola camera da letto. Anche se ti imbarazzi che tutti sentano quanto sei impreciso, continua a studiare, sii più impertinente! La vergogna non ti porterà a nulla e non è fatta per chi vuol realizzare il tuo sogno. E non lo farà nemmeno la tua ossessione per il perfezionismo: certo, deriva dalla grande consapevolezza che hai dei tuoi mezzi, ma è anche foraggiata da una forte insicurezza. Sappi che tra “zero” e “Stevie Wonder”, ci sono molti step intermedi, che non sono una merda, anzi, sono gli unici passaggi per raggiungere un livello di preparazione successivo. Sii più accondiscendente verso te stesso e non aver paura a dirti una bugia una volta ogni tanto, convinciti di essere bravissimo e che tutto sta andando benissimo. Sii critico ma non ti sabotare.
(Ti ho già detto che non tutto il disagio che vivi è una “colpa” che devi scontare?)
Inoltre… per quanto riguarda E poi, all’improvviso, impazzire… ricorda: apri Myspace, sennò quel disco non lo scriverai mai. Goditi l’incontro con Fid Mella, sarà un’esperienza bellissima, così come fare musica all’estero. Nulla potrebbe essere più incoraggiante che trovare persone che la pensano come te in giro per l’Europa, dopo quelle che hai avere incontrato in Italia Shocca, Frank, Stokka e Buddy. Questa vita ti farà crescere in fretta e con vedute più ampie.
Un’altra sliding door della tua carriera te l’aprirà Bassi Maestro. Dopo l’uscita di Qualcosa È Cambiato/Qualcosa Cambierà ti sentirai completamente svuotato, lo so. Considera, però, che i pezzi migliori li hai tenuti da parte e saranno i semi per le tue Orchidee. Il progetto con Bassi e Marco Polo negli Stati Uniti sarà una porzione di vita bellissima, ma devi viverla senza quel piccolo sottofondo di tristezza. Nonostante tu sappia che è una piccola chiusura di cerchio, Bax ti contagerà col suo entusiasmo. Poi, al ritorno smonta tutto e riparti da capo come sai fare, sudando, lavorando, ma con la solita battuta sarcastica pronta sulle labbra. E’ arrivata l’ora di andare nel posto che desideravi. Questo viaggio che rimandi da anni, fatto dei mondi musicali che hai amato e studiato, deve iniziare con coraggio e molta determinazione. Non guardarti indietro o ti sentirai di staccarti dal nido, di non avere più l’appoggio di quelli con cui sei cresciuto e aggiungerai insicurezza. Non è quello il punto. Tappati il naso e tuffati. Quando proverai a te stesso che hai ragione, anche gli altri saranno meno scettici e ti stimeranno di più.
Nel futuro, per Orchidee e Mezzanotte ci impiegherai sei anni in totale, che ti serviranno per crescere, ma che saranno anche costellati di alti e bassi di umore molto difficili da gestire, per cui qualcuno ti giudicherà o non ti sopporterà.
Ogni volta che ricominci ti senti come di fronte a questa gigante parete, devi decidere che via prendere e ti sale l’ansia perché non ti piacciono le strade già battute. L’entrata per superare questa barriera ti apparirà sempre più angusta. In realtà è a tua misura e l’hai sempre avuta davanti agli occhi, ma non sei stato in grado di vederla perché dei piccoli demoni dentro di te a cui non sai dare nome. Ciò che vivi non è un difetto di carattere di cui devi sentirti responsabile, ma è un problema reale (che possiamo chiamare malattia, senza paura) che si affronta in maniera professionale. Occupandoti di questo, non ti dico che tutto sarà rose e fiori (perché è la vita che ha pro e contro) ma ti salverai da mesi di smarrimento e si accorceranno i tempi per arrivare alla tua personale vetta.
Infine, se Io fossi nel 2024 adesso, direi al Ghemon del 2017 di fidarsi del suo istinto, che non l’ha mai tradito.
G…Confida nel processo, continua ad andare dritto.
Ambire non solo a cambiare le carte in tavola, ma addirittura il gioco a cui tutti stanno giocando, non è un male, se non per quelli che vorrebbero farlo ma non ci riescono. Ti vedono come una minaccia perché non hai paura di cambiare.
Alcuni quando mutano pelle, fanno finta di morire ma svengono solo e poi si rimettono seduti tali e quali a prima.
Tu muori per rinascere, quando riapri gli occhi, pian piano ti rialzi in piedi e poi parti a camminare in una nuova direzione. Puntare a fare qualcosa di meraviglioso non vuol dire mancanza di umiltà, come qualcuno ti rinfaccia da sempre, il tuo cuore è nel posto giusto e proprio per questo ce la farai.
Ora mi fumo 2 sigarette di seguito,
Tuo,
Gianluca.
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“Sono possessiva, egocentrica, anarchica e non parlatemi di ‘quote rosa’”: Gianluca Barbera dialoga con Elisa Giobbi
Elisa Giobbi è una donna spigolosa e sfaccettata, rockettara ma non solo (ama anche la musica classica), autrice di romanzi ma anche di saggi e biografie musicali. Un passato di editore alle spalle, appassionata di politica, non nasconde di trovarsi meglio con persone dell’altro sesso e di detestare quasi tutto ciò che solitamente piace alle donne. Un po’ anarchica e un po’ borghese, come molti di noi, dopotutto. Un concentrato di contraddizioni. E di fascino. L’abbiamo intervistata.
Cara Elisa, quest’anno sei uscita con due libri. Un bell’impegno, soprattutto per quanto riguarda la promozione. Cominciamo dal romanzo. La rete (Stampa alternativa) racconta di due amiche che crescono insieme condividendo tutto malgrado le profonde differenze, ma poi accade qualcosa… Puoi raccontarcelo, ovviamente senza svelare troppo? E che cos’è ‘la rete’ del titolo?
La rete è la storia di Emma e Nico, due ragazze fiorentine legate da una profonda amicizia, da una relazione urgente e viscerale. Nico è un personaggio affascinante ma borderline, votato alla distruzione, e la rete è quella che tende ai suoi numerosi ammiratori ma anche quella in cui uno di loro farà a sua volta cadere lei. La rete è anche quella vischiosa delle dipendenze e lo stesso web, in cui si consuma la vicenda cruciale del romanzo.
Che forme assume il potere che le donne esercitano sugli uomini? Quali invece quello che gli uomini esercitano sulle donne? I ruoli possono invertirsi?
Certo che possono invertirsi. Eppure, se ci pensiamo, capita più spesso che siano gli uomini a perdere la testa per le donne piuttosto che il contrario. Alcuni sono disposti a tutto, finiscono per rovinarsi, addirittura per uccidere, incapaci di accettare il fatto di essere lasciati. I motivi sono evidentemente di natura culturale e sessuale. Basti pensare al fenomeno del cosiddetto femminicidio, ma anche ai tanti esempi di uomini potenti che hanno visto la loro immagine pubblica devastata da passioni inconfessabili e da condotte poco edificanti. Soldi e potere ti permettono di possedere un’infinità di donne, di usarle. Eppure il rispetto non si può comprare… Il caso Weinstein è emblematico. Però non dimentichiamo che noi donne abbiamo la libertà di dire sì o no: non condivido il vittimismo di certune, soprattutto se retroattivo: prendiamoci, tutti e tutte, la responsabilità delle nostre azioni: l’immagine dell’agnellino inerme nelle fauci del lupo, oltre che falsata, mi pare svilente.
Fino a che punto si può spingere l’amicizia tra donne? E in cosa differisce da quella tra uomini?
Non farei differenze di genere. Per esempio ne La rete quella che lega le due protagoniste è una relazione che esce dai confini dell’amicizia e diventa altro: un’attrazione urgente, in definitiva un grande amore. Il fatto che siano due donne è forse secondario, accidentale a livello sentimentale, sebbene sia una scelta precisa a livello narrativo.
Pur essendo una veterana della scrittura, con all’attivo diversi saggi (tutti di argomento musicale), questo è il tuo primo romanzo. Da dove nasce l’idea e come hai proceduto?
Ho impiegato pochi mesi a scrivere La rete, è stato un processo relativamente fluido e spontaneo: c’è moltissimo di me dentro. Non avevo una scaletta precisa, bensì un canovaccio piuttosto vago, poi andando avanti nella narrazione la storia e i personaggi mi hanno preso per mano e indicato la direzione. È stata una specie di epifania, qualcosa mi è venuto a cercare.
A causa dei fatti di cronaca si parla molto di femminicidio, stupri, molestie. Come vedi il rapporto tra i sessi?
Credo che l’unica differenza rispetto al passato sia che ora di certi fatti si parla molto di più mentre prima erano taciuti o tollerati, come avviene tuttora in svariate parti del mondo. Ma non colpevolizzerei gli uomini in generale, anzi. Mi piace ragionare in termini di responsabilità individuali, non per categorie. Quando sento parlare di ‘quote rosa’, per esempio, mi viene da sorridere. Mi auguro che in futuro si riesca a vivere i propri sentimenti e la propria sessualità liberamente, senza eccessivi condizionamenti culturali.
Veniamo all’altro libro, Eterni. Vite brevi e romantiche di grandi compositori (Vololibero).
In esso racconti di Purcell, Pergolesi, Mozart, Schubert, Bellini, Mendelssohn, Chopin, Bizet e Gershwin: tutti geni della musica morti prima dei quarant’anni. Che cosa ci rivelano le loro vite? Una cosa che li accomuna tutti è la fiamma che li brucia, tanto intensa da consumarsi rapidamente. La passione che ha mosso questi grandi compositori è stata così assoluta da consentire loro di superare difficoltà e malattie. Eterni si chiude con un post scriptum di alcune pagine su Michel Petrucciani, che incarna tutto questo in maniera eclatante. Sono esempi altissimi; mi farebbe piacere che questo libro fosse letto anche dai ragazzi.
Le cinque composizioni musicali che prediligi?
Ti dico le prime che mi vengono in mente. Cara di Lucio Dalla, una delle più belle canzoni d’amore di ogni tempo. Life on Mars di David Bowie. Notturno in MI minore di Chopin, pubblicato postumo e scritto durante la travolgente storia d’amore con George Sand. Gracias a la vida della suicida Violeta Parra, la canzone che vorrei al mio funerale. While my guitar gently weeps dei Beatles, semplicemente un capolavoro.
Che tipo di donna sei, come ti vedi?
Sono una donna complicata, impegnativa, poco accomodante. Possessiva ed egocentrica, secondo alcuni. Anarchica, secondo altri. Fedele quasi soltanto a me stessa e alle mie idee, alla mia etica/estetica, dico io. Non riconosco come valori cose come la modestia, l’obbedienza, la sincerità a tutti i costi, la moderazione, l’austerità, il decoro, la rassegnazione, lo stare nei ranghi… Mi inchino soltanto davanti alla bellezza. Ho da sempre uno spiccato ‘lato maschile’: detesto lo shopping, non indosso gioielli, non amo le smancerie e mi trovo perfettamente a mio agio con i miei amici maschi. Penso di aver progressivamente nascosto il mio lato romantico fino a soffocarlo, ma esso riemerge con prepotenza nella scrittura.
C’è qualcosa della tua giovinezza che rimpiangi di avere fatto e qualcosa che invece vorresti avere fatto e non hai avuto il coraggio o l’opportunità di fare?
Ho fatto innumerevoli errori – alcuni sono anche registrati tra le pagine de La rete – ho perso in maniera sospetta buone occasioni professionali e curato poco la mia carriera pensando più al qui e ora, per anni ho lasciato il mondo dell’editoria per i figli. Non mi sono mai impegnata in niente. Eppure non ho rimpianti. Come dice Fabrizio De André: “Quel che ho è quel che non mi manca”.
Sei salutista o dissipata? O nessuna delle due cose? Provo orrore per gli effetti di alcol e droghe pesanti: ho rispetto del mio cervello e detesto l’idea di perdere il controllo. Ma anche i salutisti mi mettono tristezza: non mi imporrei mai una dieta. La morte ci deve trovare vivi.
Pensi mai alla morte?
Sì, la morte ha iniziato a spaventarmi quando ero poco più che una bambina e non smette di farlo. Non riesco a conciliarmi con la natura finita delle cose e credo che scrivere sia forse un modo per esorcizzarla.
Torniamo ai libri. Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Ho da sempre un’inclinazione per le scrittrici: Natalie Ginzburg, Simone De Beauvoir, Isabel Allende, Elena Ferrante, Annie Ernaux, Donna Tartt…
Come vorresti essere ricordata? Quale epitaffio?
Donna libera, amò la vita, riamata.
Gianluca Barbera
L'articolo “Sono possessiva, egocentrica, anarchica e non parlatemi di ‘quote rosa’”: Gianluca Barbera dialoga con Elisa Giobbi proviene da Pangea.
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