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oubliettemagazine · 1 year
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Inimitabile mente la vita poesia di Marina Ivanovna Cvetaeva: oltre il velo dell’illusione
La poesia “Inimitabile mente la vita” di Marina Ivanovna Cvetaeva ‒ qui proposta in esclusiva nella traduzione/riscrittura in lingua italiana del poeta friulano Federico Ielusich ‒ è stata pubblicata nel 2022 all’interno del volume di poesia edito dall’editore modenese Mucchi nella collana “10×1” dedicata alla traduzione poetica – a cura di Antonio Lavieri ‒ dal titolo 10 poeti per Vasyl’ Stus e…
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blogexperiences · 3 months
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Biblioteca Regionale di Messina - "Sotto il faro di S. Raineri". Turi Vasile a cento anni dalla nascita
Si terrà mercoledì 19 giugno alle ore 16, presso la Sala Lettura della Biblioteca Regionale Universitaria di Messina, la presentazione del testo “Sotto il faro di S. Raineri. Turi Vasile a cento anni dalla nascita”, a cura di Dario Caroniti e Ferdinando Raffaele, Mucchi editore 2024. Dopo i Saluti Istituzionali delle Autorità presenti, la Dott.ssa Tommasa Siragusa introdurrà l’evento. Seguirà la…
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paoloferrario · 2 years
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EMANUELE SEVERINO, L'APPARIRE DELLA MORTE, da: Emanuele Severino, Sul divenire Dialogo con Biagio de Giovanni, Mucchi Editore, Napoli2014, pp. 22-28
EMANUELE SEVERINO, L’APPARIRE DELLA MORTE, da: Emanuele Severino, Sul divenire Dialogo con Biagio de Giovanni, Mucchi Editore, Napoli2014, pp. 22-28
Come per tutti i mortali anche per Biagio de Giovanni c’è “qualcosa di ineluttabile” “nella condizione mortale dell’uomo”, cioè la morte, “la prova inconfutabile”, “l’irrefutabile cogenza” che “l’ente uomo nasce dal nulla e va nel nulla” – con l’inaccettabile risultato che ciò che chiamo ‘destino’ “si scontra con il fatto che l’uomo muore” (Biagio de Giovanni, Disputa sul divenire Gentile e…
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queerographies · 4 years
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[Lamento per Ignacio S. Mejías][Federico García Lorca]
Il Llanto por Ignacio Sánchez Mejías (Lamento per Ignacio Sánchez Mejías), pubblicato nel 1935, è il testo poetico più conosciuto di Federico García Lorca.
Il Llanto por Ignacio Sánchez Mejías (Lamento per Ignacio Sánchez Mejías), pubblicato nel 1935, è il testo poetico più conosciuto di Federico García Lorca. Straziante orazione in memoria dell’amico torero ferito a morte nell’arena, compianto funebre scandito da versi sonori e memorabili, elegia che fissa dritta negli occhi la pervasiva onnipresenza del thanatos, compendio dell’immaginario…
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garadinervi · 8 years
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«il verri», n, 8, Mucchi editore, Modena, 1988
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gregor-samsung · 2 years
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“ Presi la scheda che mi diedero all’Ufficio di collocamento dello stato e mi presentai al colloquio di lavoro. Era qualche isolato a est di Main Street, un po’ a nord della suburra. Era una ditta commerciale che trattava pezzi per freni d’auto. Mostrai loro la scheda e riempii un modulo. Allungai un po’ la durata dei miei lavori precedenti, facendo diventare mesi i giorni e anni i mesi. La maggior parte delle ditte non si prendevano mai la briga di controllare le referenze. Con quelle che facevano qualche indagine le mie possibilità erano pressoché nulle. Scoprivano subito che avevo dei precedenti con la polizia. La ditta di freni non fece parola di controlli. C’era un altro problema: dopo due o tre settimane di lavoro la maggior parte delle ditte cercavano di convincerti a sottoscrivere il programma di assicurazione, ma di solito io me ne andavo prima. L’uomo guardò il modulo che avevo compilato, poi si rivolse alle due donne nella stanza e disse in tono sarcastico: «Questo qui vuole un lavoro. Credete che ce la farà a sopportarci?». Certi lavori erano incredibilmente facili da ottenere. Ricordo che una volta ero andato in un posto, mi ero stravaccato in poltrona e avevo fatto uno sbadiglio. Il tizio dietro la scrivania mi aveva chiesto: «Sì, che cosa desidera?». «Oh, cazzo», avevo risposto, «un lavoro, suppongo. Ho bisogno di lavorare». «Va bene. Assunto». Invece altri lavori erano impossibili, per me almeno. La Southern California Gas Company aveva messo una serie di annunci sul giornale promettendo stipendi alti, pensione anticipata, ecc. Non so quante volte andai da loro a riempire quei moduli gialli, quante volte sedetti su quelle sedie dure a guardare le grandi foto incorniciate di tubi e cisterne. Non ebbi mai nemmeno la speranza di essere assunto e tutte le volte che vedevo un fattorino del gas lo guardavo attentamente per cercare di capire che cosa avesse che io evidentemente non avevo. L’uomo della ditta di freni mi portò su per una scala stretta. Si chiamava George Henley. George mi fece vedere la stanza dove dovevo lavorare, molto piccola, buia, c’era solo una lampadina e un finestrino che dava su un vicolo. «Ora», disse, «le vedi queste scatole? Devi mettere le pasticche dei freni nelle scatole. Così». Mr. Henley mi fece vedere. «Ci sono tre tipi di scatole, ciascuna con una scritta diversa. Una è per le nostre “Superpasticche per freni a lunga durata”. L’altra per le nostre “Superpasticche per freni”. E la terza è per le nostre “Pasticche per freni standard”. Le pasticche sono ammucchiate qui». «Ma mi sembrano tutte uguali. Come faccio a distinguerle?». «Non è necessario. Sono tutte uguali. Devi solo dividerle in tre mucchi. E quando avrai finito di imballare questa roba, vieni giù di sotto che ti troveremo qualcos’altro da fare. O.K.?». «O.K. Quando devo cominciare?». «Comincia pure adesso. E non fumare, mi raccomando. Non quassù. Se hai voglia di fumare vieni giù di sotto, O.K.?». «O.K.». Mr. Henley chiuse la porta. Lo sentii scendere le scale. Aprii un po’ la finestra e guardai il mondo di fuori. Poi mi sedetti, mi rilassai e fumai una sigaretta. “
Charles Bukowski, Factotum, Ugo Guanda editore (Collana Narratori della Fenice), 2006; pp. 120-22.
[Edizione originale: Factotum, Black Sparrow Press, Los Angeles, CA, 1975 ]
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pangeanews · 4 years
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“Sono dominato da donne che non ho mai visto e che attendo – fantasmi”. Le lettere di Robert Musil ad Anna
Raccolte e pubblicate per la prima volta in edizione critica nel 1981 (R. Musil, Briefe, a cura di Adolf Frisé, Rowohlt Verlag Hamburg), gli abbozzi e le lettere dell’austriaco Robert Musil sono state a lungo ignorate dalla critica e dalla germanistica italiana, già severamente messe alla prova dalla scrittura narrativa e saggistica musiliane.
È vero che le lettere compiute ed effettivamente spedite, soprattutto quelle più tarde, legate così drammaticamente all’esperienza degli anni d’esilio, come pure le più datate ad amici, a familiari e a collaboratori di rivista, nell’insieme rivelano uno scarso valore letterario, evidenziando cosi come Musil preferisse affidare le proprie riflessioni e i propri esperimenti piuttosto ai plurimi quaderni dei diari (vedi R. Musil, Diari (1899-1941), traduzione di Enrico De Angelis, Einaudi 1997, pp. 1659). È altrettanto vero però che esiste un gruppo di lettere spedite e abbozzi la cui affinità con una certa sua scrittura diaristica le rende meritevoli di essere lette e godute come veri e propri esperimenti letterari. Sono quelle risalenti al cosiddetto Törless-Zeit, il periodo cioè che va dal 1900, quando il ventenne Robert si cimentava in particolare nelle prose liriche da lui chiamate Parafrasi, al 1905, anno in cui terminò la scrittura del primo romanzo, I turbamenti del giovane Törless (edito nel 1906), ed oltre, fino al 1907, quando morì Herma Dietz, l’ultima protagonista della vita sentimentale di Musil prima della sua unione definitiva con Martha Heimann. 
Notevoli per il carattere sperimentale ad esse attribuito dallo stesso autore, queste lettere e questi abbozzi sono gli unici a possedere una scrittura che è sì tentativo di descrizione della condizione e della sensibilità musilane, ma anche ricerca stilistica propriamente detta. Destinatari sono personaggi femminili i cui nomi in almeno tre casi (Anna, Liesl e Valerie) non sono determinabili nella loro identità.
A fronte di segreti cosi gelosamente preservati da Musil anche nei Diari, dove pure i tre nomi compaiono, è lecito pensare che quelle donne non siano mai esistite e che i loro nomi, le loro figure siano piuttosto riconducibili a quella dimensione d’«irrealtà al femminile» che cosi marcatamente ha caratterizzato la vita e l’opera dell’austriaco in gioventù: “Sono dominato da donne che non ho mai visto e che attendo – prese realmente, forse fantasmi e ridicolaggini.  Ma forse profondamente legate alla mia migliore essenza (artistica)”. Così nella Lettera (2) ad Anna. 
La scelta di presentare gli otto abbozzi di lettera indirizzati ad Anna, tutti risalenti al 1907 e inseriti in R. Musil Saggi e lettere (a cura di Bianca Cetti Marinoni, Einaudi 1995; ora non più disponibile), è dettata dalla presenza in essi di un’omogeneità tale da renderli un’unità determinata dall’evolversi a spirale della scrittura, in un percorso che va da una struttura frammentaria scarsamente elaborata, ad una più complessa, stilisticamente caratterizzata da ripetizioni e ritorni sintattici. 
Allora ancora inediti in italiano, questi abbozzi li ho tradotti e pubblicati una prima volta, per gentile concessione dell’editore Rowohlt, sulla rivista diretta da Luciano Anceschi “Il Verri”, n. 3-4 nuova serie, settembre-ottobre 1987, Mucchi Editore, pp. 5-16.
Vito Punzi
***
Lettere a Anna
Ad Anna (1)
9 aprile 1907, Berlino
Cara Anna
Brünn: vivo ora qui così pigramente, così pigramente… Passeggiate su terreni incolti che si alzano e si abbassano con linee tranquille, e più lontano il cielo – questo è tutto. Leggo. Ma non troppo. E vivo propriamente come un uomo che si è già ritirato a vita privata. 
Colui che non vuole rinunciare interamente al nuovo che accade all’esterno e che però da questo non si lascia assediare. 
Come se qui non esistesse la ferrovia, ma solo la posta… Poiché i libri che leggo per la maggior parte hanno mosso già da tempo gli animi e non sono in genere nella condizione di muovere violentemente il mio… (Sabato Santo) 
Brünn: sono triste, Anna. Il mio amico venne a farmi visita da Vienna, il mio amico innamorato e promesso. Ed anche la tua lettera arrivò. 
Percorremmo sentieri lontani nel boscoso paesaggio collinare e sostammo al pallido sole di marzo, là dove lo sguardo si getta lontano sulla pianura. 
Fui liberato per giorni dalle preoccupazioni del lavoro, che altrimenti esigono la mia riflessione, e potei raccogliermi in me stesso. 
Ti sono di peso; la tua ultima lettera me lo lascia leggere tra le righe. Ti sottraggo la gioia e so facendo questo stupendo equilibrio armonico e questa sicurezza che tanto amo in te. Non ho alcun dubbio che te la sottraggo. 
Sento precisamente ciò che vuoi da me e ciò che in me eviti. Hai bisogno di un animo che ti avvolga interamente in forti e teneri sentimenti. Se tu sapessi quanto questo alle volte sia vivo in me; così, come se io fossi te. E invece ti appaio pedante come un saccente…
Berlino: questo accadde una settimana fa. Entrambe le volte vedevo troppo poco chiaro per continuare queste lettere e nel frattempo arrivò la tua cara. Ma le compongo ora perché tu veda che a te pensai, sebbene non scrissi e poiché sento che questi pensieri devono pur essere portati a compimento tra di noi. 
Mi ritrovai, come sai, con il mio amico, quell’amico di gioventù del quale ti raccontai, e lui ed io eravamo un tempo fratelli gemelli spirituali. Oggi questo è qualcosa di diverso. 
Ad Anna (2)
Mentre lui ti ispira scrupoli intorno a ciò che tu sino ad oggi hai fatto senza esitazione e a tuo profitto?  Vorrei vederti più che mai in un castello, circondata da una servitù nata serva della gleba. 
Che razza di idee… 
Sono triste, Anna. Il mio amico venne a farmi visita a Vienna, il mio amico innamorato e promesso. Ed anche la tua lettera arrivò. 
Percorremmo sentieri lontani nel boscoso paesaggio collinare, e sostammo al pallido sole di marzo, lì dove lo sguardo si getta lontano sulla pianura. Sono stato liberato per giorni dal peso del lavoro, che pretende la mia testa, e potei raccogliermi in me stesso. 
Non mi ritengo un uomo da compatire, ma neppure un uomo felice. Non desidero barattare con alcuno, ma non sono felice. Non possiedo alcun talento per essere felice, come si dice…
E ti sono di peso. La tua lettera me lo dice tra le righe. Ti sottraggo la gioia e la tranquillità, e questo stupendo equilibrio armonico che tanto amo in te. Non ho alcun dubbio che te le sottraggo. 
Sento precisamente ciò che vuoi da me e ciò che in me eviti. Ci sono momenti nei quali non posso fare a meno di te. – Quando ti vedo di fronte a me – in abito bianco con i tuoi capelli neri, quando ti aspettavo, oppure quando ti trovi chissà dove, ora, nell’abitazione dei miei genitori. È sera quando sono solo – noi due sempre come coloro che rimangono insieme quando gli altri se ne sono andati. –
Vedo le tue gambe in un abito tirato – quanto le amo, quelle gambe che non ho mai visto – tu puoi appena crederlo. Capitano di questi momenti, e vorrei sposarti, con intenzione chiara, e vorrei esserti fedele, fin dove mi conosco nonostante tutto – e darei tutto ciò di cui tu ed io ora siamo privi – arrivano però momenti in cui tu retrocedi – tu come sei – di fronte a sogni ed immagini che forse non si realizzeranno mai. Sono dominato da donne che non ho mai visto e che attendo – prese realmente, forse fantasmi e ridicolaggini. Ma forse profondamente legate alla mia migliore essenza (artistica). Sono questi poi i momenti nei quali vorrei fare di te tutto.
E poi hai di nuovo ragione con il tuo prendermi come sono. Potessi dunque ora sposarti, sarebbe bene – in questo momento però i due stati si sostituiranno sempre l’un l’altro con imprevedibilità. 
Ho trovato infine l’energia per fare in me chiarezza in proposito. E non sopporto di tacertelo. Devi sapere come essere in questo. 
Mi conosci ora così bene che non hai bisogno di dubitare del mio amore. Io ti sarò sempre fedele.
Ad Anna (3)
Cara Anna. Ti ringrazio per la tua lettera. Non perché mi vuoi sapere libero, non ho atteso che questo da te, ti ringrazio per la tua posizione – essa è sincera
Possiederai già la mia seconda lettera, giudicherai già molto diversamente – lascia però che dica ancora qualche parola, e spero non siano le ultime che mi permetti. 
Tu stessa dici che lo scrivere, l’arte è la mia vita. Hai ragione; è – non voglio dire la mia vita vera e propria – certo ciò che si nutre di altro e prende forma attraverso le sue richieste. Poi però le azioni reali – che si compiono veramente o si omettono – non vanno giudicate come fanno gli altri uomini, i quali sono realmente tanto buoni o cattivi, tanto ricchi o poveri come si mostrano nella vita. E se un sentimento fiorisce esitante e pallido invece che ardente, non si può dire che il fusto che lo regge sia povero e debole. È altro Anna, solo altro. E le leggi con cui si giudica secondo forza e debolezza in questo caso non valgono. Ma proprio per questo, e perché si sta di fronte a un nuovo sentimento come fosse un miracolo di cui non si conosce via d’uscita, si deve essere sinceri e dire: è così, ti fidi? Devi ritirare ogni tua promessa e ad ogni momento lasciare solo la dolcezza che ha in sé, come se la catena alla quale è legato, ad ogni istante che segue potesse spezzarsi –
Dico questo perché parleresti di indifference e certo, come tu affermi, l’indifference è la cosa più miserabile. Amicizia non è certo il nome per indifference; è il nome per una nuova via (e nuova non solo per noi). Si potrebbe dire ugualmente bene: amore libero, poiché investe il senso più significativo di quella parola.
È la differenza che c’è tra due uomini che vivono insieme e due altri ognuno possessore di una propria casa e reciproci frequentatori. Certo vi saranno uomini per i quali la seconda soluzione significa la fine, altri per i quali questa rappresenta l’unica forma possibile – l’una è bella l’altra diversa. Ma osserva attentamente che anche l’altra è bella e che essa possiede libertà insostituibili. Non si può dire che questi uomini non si amino. Essi si amano, sono ospiti l’uno dell’altro e si donano le ricchezze della propria casa, e tutto ciò è possibile solo perché essi non posseggono semplicemente un’abitazione. Certo lo si chiamerà per una volta amore, poiché con questa parola si pensa ancora oggi quasi esclusivamente qualcosa che comprende l’intera vita come una comune camera da letto, allora preferisco dire amicizia.  (Perché ci sono uomini che portano ovunque con sé la propria camera da letto, come fosse un guscio di chiocciola)
Ad Anna (4)
Da una lettera
Ci sono uomini che non hanno mai giocato diversamente con le donne. Ma non si può pensare a limitati uomini d’affari o ad assessori prussiani. Ci sono uomini di valore, giocosi, eternamente fanciulli – agitati come prati al vento – troppo agitati e teneri, cara A, per essere il robusto fusto al quale si possa avviticchiare – nella provata immagine dell’organetto – l’edera della dolce femminilità.  Citeresti anche gli animali? 
Perché no? Pavoni e nobili fagiani, animali che nella propria suntuosità non possono sentirsi a sufficienza? Sai, in fondo tali uomini amano forse solo se stessi. Chi è povero può praticare facilmente l’ascesi, ma chi sa che ogni volta può risplendere in nuovi colori…? E colui che così ama se stesso, ama in fondo Dio, il mondo, il paesaggio, il sole, l’aria primaverile – tutto l’incomparabilmente splendido e l’infondatamente grande. 
Ma dimmi, non desideri amare anche questo? Essere un uccello del paradiso? Oppure un soffice prato che ognuno vuole per sé e che poi però solitario appare nel suo maggior splendore? 
Metafore, solo metafore Anna. Ma le metafore sono come musica nella sera proveniente da chissà dove, da una qualsiasi casa solitaria nascosta dietro i cespugli e come da sogno al suo interno. Non si sa dove sia e quali sogni nasconda. E non lo si saprà, perché con la sera la musica subito si dissolve. 
Così devi accettare anche questo. Si ascolta in noi qualcosa di estraneo e di invitante.  Si fa un paio di passi, ci si ferma perché non è possibile raggiungerlo, si dice all’altro: ascolta, un suono. Come può essere, cosa lo produce?… e si pensa quanto sia solitario ed estraneo il mondo, quando improvvisamente un suono si perde, un suono amato per alcuni istanti con tutta l’anima e certo impossibile da comprendere. Ci si prende per mano per riflettere in due. Si parla di ombre. Perché è bello parlare quando ci si tiene per mano. 
Non capisci che questo amore, timoroso e per entrambi incalzante, è qualcosa di profondo?…
L’uomo che in fondo ama solo le metafore e per il quale anche l’incesto è una metafora. La donna per la quale ciò deve essere una realtà, un compimento. 
*
Ad Anna (5)
Mi scusi cara, se le scrivo simili parole. È forse un abuso della sua fiducia. Ma le parole sono veramente brutte e fuori luogo. Almeno per ciò che in queste notti mi attraversa in forma di pensieri. 
Mi lasci dunque ragionare ancora un poco. 
Di fronte a una sua parola ho una paura terribile: mi rende orgogliosa il significare qualcosa per un uomo del suo genere – così mi disse all’incirca. Un simile orgoglio ed il rammarico di non poter più dare rende tenero e dolce l’aspetto di una donna. Ciò potrebbe ingannare lei e me. Per questo volevo mostrarle il rischio. È troppo grande per essere preso a cuor leggero. La passione è qualcosa di assolutamente unico nella vita di un uomo. Come lo sono una sventura spietata e la morte di cose uniche. Essa però distorce tutto. È estasiata, estranea, fuori di sé come l’essere posseduti da un Dio.  Era per me come le doglie del parto del divino. Essa si cela dietro il discreto sipario di un tempio. Sferza tanto l’uomo che un grido lacera il suo viso e incide sul suo volto linee strane e incomprensibili come il morire e il partorire. Dall’esterno non la si può vedere. Poiché ci si spaventa anche dell’uomo che non si riconosce, si prova forse disgusto perfino di fronte alla sua estasi.
Se lei mi vede dall’esterno come una cosa cara e preziosa cui non si rinuncia volentieri, allora metta da parte questa lettera e mi scriva in poche righe che lei ama la giornata chiara e la freschezza di un’anima serena. Mi vergognerò così d’averle presentato un simile aspetto e proverò con l’amicizia di renderlo buono. 
…poiché ci si deve trovare nella stessa camera buia e sentire la stessa oscurità formarsi nella sua anima, e dell’altro non provare che la calda ombra e un bagliore nei suoi occhi. E questo pensiero va compreso per intero, veramente per intero: un uomo è un animale che talvolta può sognare un’anima…
Pensi alla vita quotidiana. Quanto sono stupide le cose con cui ci battiamo e quanto orribili spesso i nostri gesti e le faccende che la vita ci impone. Trascorra così una giornata qualunque. Dalla mattina alla sera. Quanti giorni consistono di null’altro che di questa mostruosità; e poi la chiamiamo indifferente, necessaria e così via. Solo alcuni momenti – lei li conosce attraverso l’arte – sono diversi. Ma me? È bello abbandonarsi ad un suono con la bocca spalancata?  Oppure era bello il tremore delle mie labbra quando le declamai Rilke? Certo no. Ma qualcosa scaturì dall’interno e ci toccò. Qualcosa? No, nulla. Non deve essere scoperto. È… nulla… una luce che improvvisamente tutto trasforma e da nessun luogo giunge un sogno… un sogno di un’anima. 
Questo si deve sapere. Poi ci si piega alla mostruosità del turbine, perché si sa, l’animale sogna, il misero animale sogna mirabilmente, in lui sogna il Dio, l’uomo, e divenne orribile, perché l’amore è molto più profondo quando si erge sull’abisso. Ma certo bisogna averlo sperimentato.  Oppure si può pensare che l’animale per un attimo generi un’anima. 
Si interroghi. Non sull’amore – su di un nome, piuttosto si chieda se può tollerarlo. Si interroghi se è in grado di sopportare in una simile solitudine la mia compagnia. I nostri giorni sono contati, come le giornate autunnali. Ciò che è tra di noi non ha nome, ma non è il problema di che cosa sia, piuttosto di che cosa ne facciamo. Chi vive la primavera e ha di fronte l’estate può affrontare la sfida. Noi dobbiamo portare a fioritura un tardo, tenero fiore ancor prima dell’inverno. Per quest’unica volta, in questioni morali sia ragionevole. 
*
Ad Anna (6)
Mi è intollerabile a letto
Oggi ho trascorso la notte insonne, steso sul sofà, col fumare di sigarette, di fronte alla porta aperta del balcone, d’un giallo color vino l’intermediario sentimentale: la luna. Non ho acceso lume per tutta la notte. Ho gustato un sentimento lontano, lontano distante quasi quanto gli anni dell’infanzia. Lo conosce? In una notte siffatta tutti i fili che ci legano agli uomini della vita giornaliera sono Spezzati. In una notte siffatta i mobili si spostano per la stanza e qua e là spunta la loro ombra da ogni angolo e da ogni dove ci chiamano con suono leggero. In una notte siffatta l’immagine non resiste allo specchio. Come un’ombra grigia si muove sul vetro nero velluto, cresce, di nuovo si ritira, sembra essere la nostra immagine e poi ancora solo una nebbia inquietante nello spazio sinistro. 
… sogno, avvenuto in noi un tempo. 
In una simile notte siamo diversi. E tuttavia noi stessi… Come un sogno più volte avuto…
Non posso volere. Non posso dire: vieni, vogliamo imboccare una strada insieme e sempre. La volontà possiede un futuro, un fermo sì e no tra gli uomini. Io non posso. Possiedo solo l’istante. Vivo solo nella notte. Nelle ombre delicate che ora sembrano essere la nostra immagine, ora qualcosa di completamente diverso, e certo noi stessi siamo troppo profondi… Così non comprendo l’istante. 
Mi si definisce uno psicologo. Non lo sono. Vengo attratto solo da cose certe e rare.  Indovino in altri e in me processi che sfuggono agli uomini, ma non so come io and lei nell’insieme, umanamente, di giorno… appariamo. Conosco quasi esclusivamente le immagini sul vetro nero, che si rimirano ora simili ora così estranee, nuove, diverse, che ci stupiamo di essere così.
Mi capisca bene: non parlo di me come di colui che lei incontrò qua e là, piuttosto di me come sono negli istanti più rari e veri, tra i quali spesso corrono anni, e so come voglio essere per lei. 
Di più posso appena dirle che non trovo sonno ed amo ciò, passando la notte con ombre e pensieri, scosso come acqua percorsa dal turbine…E sono felice. Certo appassionatamente felice. 
Non vogliamo dare alcun nome a questa passione; lei non lo desidera. Essa non ne ha bisogno. Ogni nome inoltre risulta precario ed inopportuno. E quando una tempesta è tanto violenta non si domanda se essa viene da nord o da est. Essa giunge urtando. E sferza i pensieri innanzi a sé, così tanto, così violenta, così estranea, che quelli non si lasciano afferrare. E lacera divise nell’anima, cosa che si osserva quando non si è ancora mai raggiunto il fondo di se stessi…Ed è di nuovo silenzio. (Forse dormo alcuni minuti) Mi stanco. Non ricordo più nulla. Ed è come se tenessi la sua mano e la potessi accarezzare ed intorpidire. Ed è come se potessi posare i suoi capelli sul mio viso…
Robert Musil
L'articolo “Sono dominato da donne che non ho mai visto e che attendo – fantasmi”. Le lettere di Robert Musil ad Anna proviene da Pangea.
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irmaloredanagalgano · 5 years
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(via "Voci da Uber" di Maria Anna Mariani (Mucchi Editore, 2019) | Irma Loredana Galgano)
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oubliettemagazine · 1 year
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Dieci poeti per Vasyl’ Stus e Marina Cvetaeva curato da Alessandro Achilli ed Antonio Lavieri: la poesia costruisce ponti
La poesia, come l’arte in genere, è in grado di costruire ponti fra diverse culture e popoli. Rappresenta uno spazio neutro di conoscenza, di confronto e di crescita reciproca, nonché uno strumento di libertà. Il lettore, a volte, nella poesia può trovare messaggi luminosi, una porta aperta sull’Altrove, una fonte di consolazione ed evoluzione interiore in tempi bui. Dieci poeti per Vasyl’ Stus e…
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queerographies · 4 years
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[Ode all'amata][Saffo]
10 versioni, più o meno libere, talora riscritture, di dieci donne, dalla ‘Saffo del Cinquecento’, Gaspara Stampa, sino alle più vicine Iolanda Insana e Alda Merini. [Ode all'amata][Saffo]
Dei nove libri della poetessa greca Saffo ci sono rimasti solo sparuti frammenti, e solo una poesia per intero. Tuttavia quei versi attraversano i secoli, segnando la lirica amorosa e imponendo persino una nuova misura del sentimento d’amore; la figura evanescente di Saffo, amante disperata e donna teneramente innamorata, ha segnato l’immaginario occidentale ed è diventata l’archetipo del…
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gregor-samsung · 4 years
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“ Io so con sicurezza di non essere un avaro; penso, anzi, di essere prodigo, eppure, tuttavia, con quale tremito, con che stretta al cuore ascolto sempre l’annuncio del croupier. Trente et un, rouge, impaire et passe, oppure: quatre, noir, pair et manque! Con quale avidità contemplo i tavoli di gioco, su cui sono sparsi qua e là i luigi d’oro, i federici, i talleri, oppure le colonnine di monete d’oro che, abbattute dalla paletta del croupier, si trasformano in mucchi ardenti come fuoco, o le colonnine di monete d’argento, alte anche più di mezzo metro, che si elevano intorno alla ruota della roulette! Mi basta arrivare in vicinanza delle sale da gioco, anche a due sale di distanza, tanto da sentire il tintinnio delle monete, per essere quasi preso dalle convulsioni. Anche quella sera che ho portato i miei settanta fiorini sul tavolo da gioco è stata una serata memorabile. Ho cominciato puntando di nuovo sul passe dieci fiorini. Ho un certo pregiudizio favorevole per il passe. Ma ho perduto. Mi rimanevano così sessanta fiorini in monete d’argento; ci ho pensato un po’ su e ho deciso per lo zero. Ho cominciato così a puntare sullo zero cinque fiorini per volta, e alla terza puntata lo zero è uscito; c’è mancato poco che morissi dalla gioia quando mi hanno pagato centosettantacinque fiorini; non ero certo così contento quando avevo vinto centomila fiorini! Allora ho subito puntato cento fiorini sul rouge, e ho vinto; poi tutti e duecento ancora sul rouge, e ho vinto ancora; poi tutti e quattrocento sul nero, e ho vinto! Ancora tutti e ottocento sul manque e ho vinto. Contando anche la vincita precedente, avevo ora millesettecento fiorini, e tutto questo in meno di cinque minuti! Sì, in momenti come quelli ti dimentichi di tutti i tuoi precedenti insuccessi. Quel denaro io l’avevo vinto rischiando più che la vita; avevo osato rischiare, e ora ero stato riammesso nel consorzio umano! “
Fëdor Dostoevskij, Il giocatore, traduzione di Gianlorenzo Pacini, Garzanti, 1977. (Libro elettronico)
[ 1ª ed. originale: Игрокъ, Fyodor Stellovsky editore, 1866 ]
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gregor-samsung · 5 years
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La luce elettrica era diventata a Fontamara anch’essa una cosa naturale, come il chiaro di luna. Nel senso che nessuno la pagava. Nessuno la pagava da molti mesi. E con che cosa avremmo dovuto pagarla? Negli ultimi tempi il cursore comunale neppure era più venuto a distribuire la solita fattura mensile col segno degli arretrati, il solito pezzo di carta di cui noi ci servivamo per gli usi domestici. L’ultima volta che il cursore era venuto, per poco non vi aveva lasciato la pelle. Per poco una schioppettata non l’aveva disteso secco all’uscita del paese. Egli era assai prudente. Veniva a Fontamara quando gli uomini erano al lavoro e nelle case non trovava che donne e creature. Ma la prudenza non è mai troppa. Egli era molto affabile. Distribuiva le sue carte con una risatella cretina, pietosa. Diceva: “Prendete, per carità, non ve l’abbiate a male, un pezzo di carta in famiglia può sempre servire.“ Però l’affabilità non è mai troppa. Alcuni giorni dopo un carrettiere gli fece capire, non a Fontamara (a Fontamara egli non metteva più piede), ma giù nel capoluogo, che la schioppettata probabilmente non era stata diretta contro di lui, contro la sua persona, contro la persona di Innocenzo La Legge, ma piuttosto contro la tassa. Però se la schioppettata avesse colto in segno, non avrebbe ucciso la tassa, ma lui; perciò non venne più, e nessuno lo rimpianse. Né a lui balenò mai l’idea di proporre al comune un’azione giudiziaria contro i Fontamaresi. “Se si potessero sequestrare e vendere i pidocchi”, aveva suggerito una volta, “senza dubbio un’azione di giustizia darebbe importanti risultati. Ma anche se fosse lecito sequestrarli, poi, chi li ricomprerebbe?“ La luce doveva essere tagliata al primo gennaio. Poi al primo marzo. Poi al primo maggio. Poi si disse: “Non sarà più tolta. Sembra che la regina sia contraria. Vedrete che non sarà più tolta“. E al primo giugno fu tagliata. Le donne e i bambini che erano in casa furono gli ultimi ad accorgersene. Ma noi che tornavamo dal lavoro – quelli che erano stati al mulino e tornavano per la strada rotabile, quelli che erano stati alla contrada del cimitero e tornavano giù dalla montagna, quelli che erano stati alla cava di sabbia e tornavano costeggiando il fosso, quelli che erano stati a giornata e tornavano un po’ da tutte le parti – a mano a mano che si faceva scuro e vedevamo le luci dei paesi vicini accendersi e Fontamara sbiadirsi, velarsi, annebbiarsi, confondersi con le rocce, con le fratte, con i mucchi di letame, capimmo subito di che si trattava. (Fu e non fu una sorpresa.)
Ignazio Silone, Fontamara; 1ª ed. originale Verlag Dr. Oprecht & Helbling AG., Zurigo, maggio 1933; 1ª ed. italiana Editore Faro, Roma, 1947.
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paoloferrario · 3 years
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EMANUELE SEVERINO, L'APPARIRE DELLA MORTE, da: Emanuele Severino, Sul divenire Dialogo con Biagio de Giovanni, Mucchi Editore, Napoli, 2014, pp. 22-28
EMANUELE SEVERINO, L’APPARIRE DELLA MORTE, da: Emanuele Severino, Sul divenire Dialogo con Biagio de Giovanni, Mucchi Editore, Napoli, 2014, pp. 22-28
Come per tutti i mortali anche per Biagio de Giovanni c’è “qualcosa di ineluttabile” “nella condizione mortale dell’uomo”, cioè la morte, “la prova inconfutabile”, “l’irrefutabile cogenza” che “l’ente uomo nasce dal nulla e va nel nulla” – con l’inaccettabile risultato che ciò che chiamo ‘destino’ “si scontra con il fatto che l’uomo muore” (Biagio de Giovanni, Disputa sul divenire Gentile e…
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paoloferrario · 3 years
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EMANUELE SEVERINO SULLA POTENZA DELLA VOLONTA', da: Emanuele Severino, Sul divenire - Dialogo con Biagio de Giovanni, Mucchi editore, Modena 2014, pp.43-44
EMANUELE SEVERINO SULLA POTENZA DELLA VOLONTA’, da: Emanuele Severino, Sul divenire – Dialogo con Biagio de Giovanni, Mucchi editore, Modena 2014, pp.43-44
Si richiami – non più che un cenno, che però va forse incontro allo spirito delle domande di de Giovanni – che nella terra isolata la volontà ‘crede’ di avere la potenza di trarre gli essenti dal loro non essere e di risospingerveli, ossia ‘crede’ anche, in certi casi, di ottenerlo. E’ soltanto un credere, perché ciò che la volontà vuole è l’impossibile, sì che la sua convinzione di ottenere è…
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paoloferrario · 4 years
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Fonti di studio sul pensiero di Emanuele Severino presenti nel sito di Mucchi editore
Fonti di studio sul pensiero di Emanuele Severino presenti nel sito di Mucchi editore
1. Donato Sperduto – Verità, necessità e la sfida etica di Emanuele Severino (SPERDUTO302020DI)(dianoia)Creato il 03 Dicembre 20202.  Riccardo Fedriga, Fabiana Fraulini – Soggetto, oblio di sé e silenzio. Una lettura della Consolatio Philosophiae di Severino Boezio (FEDRI_FRAU282019DI)(dianoia)Creato il 15 Aprile 20203.  Reggio nobile (0938RIVA di)(Storia e storia locale)Creato il 27 Marzo…
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paoloferrario · 4 years
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Vasco Ursini su: EMANUELE SEVERINO, L'APPARIRE DELLA MORTE, Il brano è tratto da: Emanuele Severino, Sul divenire Dialogo con Biagio de Giovanni, Mucchi Editore, Napoli, 2014, pp. 22-28
Vasco Ursini su: EMANUELE SEVERINO, L’APPARIRE DELLA MORTE, Il brano è tratto da: Emanuele Severino, Sul divenire Dialogo con Biagio de Giovanni, Mucchi Editore, Napoli, 2014, pp. 22-28
Come per tutti i mortali anche per Biagio de Giovanni c’è “qualcosa di ineluttabile” “nella condizione mortale dell’uomo”, cioè la morte, “la prova inconfutabile”, “l’irrefutabile cogenza” che “l’ente uomo nasce dal nulla e va nel nulla” – con l’inaccettabile risultato che ciò che chiamo ‘destino’ “si scontra con il fatto che l’uomo muore” (Biagio de Giovanni, Disputa sul divenire Gentile e…
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