#mistero buffo
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vomnesselweg · 9 months ago
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Dario Fo - La lenguada, Bonifacio VIII e "lo Stunat" (dal Mistero buffo 1977)
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altrovemanonqui · 2 years ago
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Mia nonna mi asciugava il sudore. Passava un fazzoletto tra la maglietta e la schiena, a volte ce lo lasciava per assorbire il bagnato. I bambini, per star bene, dovevano tenere occhi e schiene all’asciutto.
Io vengo da lì. 
Da dove vengo si dice “ho voglia di piangere” ad alta voce per non piangere davvero.
Da dove vengo si urla “vattene via”, sperando che l’altro resti.
Da dove vengo la cosa peggiore da sentire è “ti devi vergognare”. E in effetti ancora oggi vergognarmi mi fa fisicamente male. 
Da dove vengo ti mandavano in collegio, svizzero. Ma per finta. (In pratica da dove vengo i genitori per far star bravi i figli minacciavano di offrir loro un’ottima istruzione, internazionale, in un paradiso fiscale.)A pensarci è un buffo posto quello da dove vengo.
Da dove vengo c’è silenzio. Il silenzio è un valore non è un caso che si debba rispettare.
Da dove vengo ho comunque imparato che di troppe o di troppe poche parole ci si muore.
Da dove vengo quando dicevi qualcosa di brutto, volgare, sbagliato, maleducato, ti intimavano di lavarti la bocca col sapone.
Da dove vengo eri tu che ti facevi delle fantasie e non erano mai gli altri ad illuderti.
Da dove vengo i genitori chiudevano le contrattazioni con “fai un po’ quel che vuoi”, non bluffavano, ma tu sapevi che poi i cocci erano tuoi. 
Da dove vengo i miei nonni sono stati insieme una infinità di anni. Come scemi ci siamo domandati come avessero resistito tutto quel tempo quando il vero mistero resta come abbia resistito lei alla morte di lui. (Probabilmente grazie all Alzheimer.)
Da dove vengo io “se sei felice e tu lo sai” era una canzone per bambini, ma nessuno ci chiedeva se davvero lo fossimo. Ho ricevuto un’educazione pseudo cattolica (in cosa creda o non creda io adesso è tutta un’altra storia), ma non ricordo che i Vangeli parlassero di felicità, di beatitudine certo sì, ma Gesù non era felice o almeno così mi pare, era un tipo ok, con un sacco di preoccupazioni e le idee chiare, ma felice non direi.
Vengo da luoghi in cui la tristezza era culturalmente più approfondita, quindi sono anche più preparata. So per esempio che l’infelicità è diversa dalla tristezza, la tristezza crea anticorpi per ricondurti alla guarigione, l’infelicità è appiccicosa, endemica, a volte posturale. 
Il posto da dove vengo non lo abito più. Sono andata via, ma a pensarci a volte e quando sto per tornarci mi ammazzo di nostalgia, mi viene da piangere e lo scrivo e lo dico ad alta voce, per non piangere davvero.
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susieporta · 2 years ago
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DA DOVE VENGO.
Mia madre mi asciugava il sudore, passava un fazzoletto tra la maglietta e la schiena, a volte ce lo lasciava per assorbire il bagnato. I figli, per star bene, dovevano tenere occhi e schiene all’asciutto. Io vengo da lì.
Da dove vengo si dice “ho voglia di piangere” ad alta voce per non piangere davvero.
Da dove vengo si urla “vattene via”, sperando che l’altro resti.
Da dove vengo la cosa peggiore da sentire è “ti devi vergognare”. E in effetti ancora ora vergognarmi mi fa fisicamente male.
Da dove vengo ti mandavano in collegio, svizzero. Ma per finta, non c’erano i soldi per il collegio, svizzero poi. In pratica da dove vengo i genitori per far star bravi i figli minacciavano di offrir loro un’ottima istruzione, internazionale, in un paradiso fiscale. A pensarci è un buffo posto quello da dove vengo.
Da dove vengo c’è silenzio. Il silenzio è un valore non è un caso che si debba rispettare. Da dove vengo ho comunque imparato che di troppe o di troppe poche parole ci si muore. Da dove vengo quando dicevi qualcosa di brutto, volgare, sbagliato, maleducato, ti intimavano di lavarti la bocca col sapone, dove sto ora invece laviamo le parole.
Da dove vengo eri tu che ti facevi delle fantasie e non erano mai gli altri ad illuderti.
Da dove vengo i genitori chiudevano le contrattazioni con “fai un po’ quel che vuoi”, non bluffavano, ma tu sapevi che poi i cocci erano tuoi.
Da dove vengo i miei nonni sono stati insieme settantacinque anni. Come scemi ci siamo domandati come avessero resistito tutto quel tempo quando il vero mistero resta come abbia resistito lei per altri quattro anni alla morte di lui.
Da dove vengo io “se sei felice e tu lo sai” era una canzone per bambini, ma nessuno ci chiedeva se fossimo felici. Ho ricevuto un’educazione cattolica, non ricordo che i Vangeli parlassero di felicità, di beatitudine certo sì, ma Gesù non era felice o almeno così mi pare, era un tipo ok, con un sacco di preoccupazioni e le idee chiare, ma felice non direi. Vengo da luoghi in cui la tristezza era culturalmente più approfondita, quindi sono anche più preparata. So per esempio che l’infelicità è diversa dalla tristezza, la tristezza crea anticorpi per ricondurti alla guarigione, l’infelicità è appiccicosa, endemica a volte posturale.
Il posto da dove vengo non lo abito più, sono andata via, ma a pensarci a volte mi ammazzo di nostalgia, mi viene da piangere e lo dico ad alta voce, per non piangere davvero.
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sottileincanto · 1 year ago
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Una delle cose che mi fa più tristezza dell'attuale classe politica italiana, è che sono riusciti in qualche modo a farci rimpiangere i politici della prima repubblica. E non parlo tanto di personalità come Pertini (uomo e politico che è davvero facile rimpiangere), quanto anche figure come Andreotti & co. Sono stati criminali senza scrupoli e della peggior specie, creatori della classe politica che ha visto poi Berlusconi e simili come suoi maggiori esponenti, ma erano persone di cultura. Gente in grado di suscitare e soprattutto sostenere un dibattito culturale che accompagnasse la lotta politica, in un'epoca in cui il confronto ideologico esisteva e passava anche attraverso la televisione, le riviste, i quotidiani. Allo stato attuale, invece, la sensazione è quella di vedere alla guida dello stato un carosello di ignoranti e bercioni, il cui unico e visibilissimo intento è di accaparrarsi una poltrona, la cui attrattiva non è certo la gestione del bene comune quanto quella del proprio: stipendi, rimborsi, benefit, pensioni, favori da usare come merce di scambio - il potere e i suoi vantaggi insomma - . Piccoli intrallazzini improvvisati politici che non potrebbero aspirare nemmeno alla metà della, per quanto modesta, statura di un politico e criminale quale fu Andreotti.
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captaindanielepoto · 11 days ago
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alephsblog · 4 months ago
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pier-carlo-universe · 6 months ago
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"Il venditore ambulante" di Michele Franco. Un inquietante mistero in un paese di montagna: il venditore ambulante nasconde segreti oscuri?. Recensione di Alessandria today
"Il venditore ambulante" di Michele Franco è un thriller oscuro e avvincente ambientato in un tranquillo paese di montagna, che viene sconvolto da una serie di scomparse inspiegabili.
“Il venditore ambulante” di Michele Franco è un thriller oscuro e avvincente ambientato in un tranquillo paese di montagna, che viene sconvolto da una serie di scomparse inspiegabili. La storia prende una piega ancora più inquietante quando un nuovo ambulante, Jack Malton, arriva in città. Jack, un omone dall’aspetto buffo e dal carattere apparentemente gentile, diventa subito popolare,…
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kobiamu58 · 9 months ago
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Nobel Laurate 1997 Dario Fo
Dario Luigi Angelo Fo (1926–2016) was a renowned Italian playwright, actor, and political campaigner for the Italian left wing. He received the 1997 Nobel Prize in Literature and was one of the most widely performed contemporary playwrights globally. His work often involved improvisation and revived "illegitimate" forms of theatre, including medieval giullari and commedia dell'arte.
Two of his most famous works are Accidental Death of an Anarchist, a farcical critique of police corruption, and Mistero Buffo, a one-man show using medieval jester traditions to satirize biblical stories and historical events. Fo's left-wing activism deeply influenced his plays, which often addressed issues like government corruption and social injustice. His satire aimed to provoke thought and inspire change.
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into-september · 1 year ago
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Google sadly revealed to me that Jesus Christ did not, in fact, have the same dialect in the most recent production of "Mistero Buffo" as Celie did in the first translation of "The Color Purple"
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world-of-news · 1 year ago
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silviascorcella · 1 year ago
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Antoine Peters, “Space Garments”: abiti e spazio sono senza confini, come l’ottimismo
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Accadono cose sorprendenti nell’universo creativo di Antoine Peters! Ne varchi la soglia e non ne vorresti uscire più, perché qui, insieme a lui si possono indossare giochi divertentissimi per affrontare temi e riflessioni serissime: e non c’è mai un solo vincitore, ma vinciamo tutti. Tutti insieme, sempre. Che cosa si vince? Un premio importantissimo: il sorriso per affrontare con ottimismo granitico la negatività dilagante.
L’universo creativo di Antoine Peters, infatti, sembra fatto della stessa sostanza del mistero buffo.
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Dentro, nel cuore, c’è la sua ricerca spasmodica, entusiasta, instancabile, su concetti così complessi che sfiorano l’inaccessibilità del mistero, che iniziano nella moda, si moltiplicano nei capi d’abbigliamento e negli oggetti di design, fluiscono nelle stampe e nelle stoffe, attraversano il corpo e si espandono nello spazio, si allacciano alla musica, si mostrano nel video, discutono con l’arte, si mettono in relazione tra loro, rivolgono domande a noi, sconvolgono gerarchie, ribaltano preconcetti, abbattono pregiudizi, sconquassano confini mentali, disciplinari, sociali.
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Fuori, c’è il divertimento buffo delle sue creazioni, collezioni, installazioni: fatte di forme bizzarre, colori vibranti, trovate irriverenti, intenzioni scherzose, provocazioni giocose, approcci accoglienti, invenzioni sorprendenti, sperimentazioni stupefacenti. Architetture allestite col principio della semplicità per far passare con immediatezza e leggerezza i messaggi di positività.
Fuori ci siamo anche noi tutti che veniamo invitati dentro, con gentilezza, a prendere parte al grande gioco serissimo di Antoine Peters: e il suo invito è proprio come un abbraccio di cui ci si può fidare. E a cui ci si può affidare.
L’invito più recente ad immergerci - letteralmente! - nel suo mondo è un progetto che s’intitola “Space Garments”: già il nome è premessa, e promessa, di un’intensa riflessione sugli abiti, lo spazio, il corpo a cui capita ci starci nel mezzo, le loro relazioni e le nostre percezioni. Ma prima di inoltrarci in quest’alchimia, concediamoci un percorso breve ma intenso, nella sua biografia personale e creativa: al fine di cogliere e goderci  al meglio quello che il progetto ha da comunicarci.
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L’origine biografica di Antoine Peters ha le radici in Olanda, nato e cresciuto nella campagna di Vorden, vive e lavora ad Amsterdam. L’origine creativa inizia nella formazione all’Accademia d’Arte di Arnhem, prosegue al Fashion Institute, si plasma con l’esperienza da Viktor & Rolf come fosse un’inevitabile affinità elettiva, e matura ben presto nella consapevolezza di un mestiere in cui la moda è un mondo felice di partenza su cui innestare il dialogo euforico con altri mondi creativi. Viene accolto presto e con successo all’Amsterdam Fashion Week: ma la passerella non è il posto del trionfo, piuttosto è un ponte per collegare le numerosi direzioni e visioni anticonvenzionali della sua creatività che si rivolgono alla collettività.
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Antoine Peters, infatti, ha un solo scopo chiarissimo: darsi la possibilità di innescare il cambiamento positivo nel mondo, a proposito di tematiche molto serie come i rischi dell’idealismo, i danni del consumismo, le ingiustizie dei preconcetti sociali, il vizio dell’impazienza di produrre opinioni e scagliare giudizi, la necessità di riscoprire l’intimità con con noi stessi e l’accoglienza con gli altri. L’arma che usa ha come grilletto la diffusione di un piccolo sorriso: in pratica, uno strumento di distrazione di massa dai meccanismi negativi della realtà.
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Antoine Peters ci sposta i punti di vista da davanti agli occhi: ci trattiene a riflettere, ci guida a riconsiderare i pensieri generati dalla frenesia, ci sorprende per migliorarci mentre ci divertiamo. Per questo il suo immaginario non ha niente a che fare con intellettualismi elitari: con lui tutto è pop, la cultura popolare è la sua fonte d’osservazione, il casualwear è la sua fonte di progettazione, l’ironia lieta è la sua lingua d’espressione, anche quando si spinge avanti nella sperimentazione.
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Racconta che qualsiasi cosa, in qualsiasi momento nutre la sua immaginazione: tutto finisce dentro a delle scatole dedicate all’ispirazione, ma che si chiamano ‘scatole della traspirazione’ perché il lavoro da fare poi è questione di fatica e dedizione. Per raggiungere ogni volta un effetto straordinario attraverso l’immediatezza dell’ordinario. Come quella prima volta che è diventato famoso col progetto “A sweater for the world!’: una felpa enorme fatta per accogliere due persone, portata in giro per accogliere più individui possibili, per accoppiare più differenze possibili e dimostrare che la tolleranza è possibile. O come quando con “One Man Show”, Antoine Peters ha deciso che avrebbe saltato il giro sulla giostra semestrale della fashion week perché aveva bisogno di impiegare il tempo per sistemare il suo brand, e usare il tempo extra per imparare a fare la maglia, tra cui la stessa maglia con cui ha gironzolato per i party fashion.
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Come quando fa collezioni dai titoli surrealisti come gli abiti: in “Turn Your Frown Upside Down” invita tutti a capovolgere il broncio, mette alle modelle un nasone da clown ma in paillettes rosa nude e diffonde gli smile sugli abiti; in “To Make An Elephant Out Of A Mosquito” gioca con gli estremi, dimostra che è tutta questione di percezioni, e che se ingigantisci una zanzara si trasforma in un elefante, e viceversa un elefante può essere rimpicciolito nella metamorfosi della fantasia fino a diventare una stampa minima come un insetto; in “The World is Flat” celebra il primato di essere il primo fashion designer a presentare una collezione col video pop con una vera canzone pop, per mostrare una collezione dove tutto è davvero pop e tutto passa dalla tridimensionalità alle due dimensioni piatte come le stampe, persino gli abiti, gli accessori, le modelle; in “Fat Poeple are harder to kidnap” scompone la camicia di forza, sperimenta con quel che ne resta comprese maniche di 5 metri, tappa la bocca alle modelle con scotch a forma di sorriso, crea stampe come fossero lettere di riscatto con lettere prese da brand fashion e multinazionali del food, gioca con gli estremi delle dimensioni per affrontare l’annosa questione del grosso contro snello non per dare una risposta, ma per spalancare la domanda.
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O ancora, come quando fa installazioni che sembrano minimali in apparenza, ma nell’essenza sono ricche di sperimentazione: ad esempio il primo “Lenticular Dress” con cui realizza il desiderio di trasferire la tecnica lenticolare dalla carta alla stoffa, e ci riesce con le pieghe creando l’illusione ottica di molteplici pattern che sfumano l’uno nell’altro a seconda del movimento, mentre riesce anche nell’intenzione di incoraggiarci a sospendere il giudizio perché niente è come appare a prima vista, ma tutto può cambiare a seconda del punto di vista. Un concetto ribadito e sviluppato in “Hey, Wait a Minute!” dove c’è una versione 2.0 del Lenticular Dress che è un piccolo capolavoro di origami giapponese dipinto a mano, con l’importante missione di racchiudere due facce, una tutta nera e l’altra multicolore, l’una che muta nell’altra col movimento, e così facendo ci invita, noi spettatori, a rallentare i pensieri che sganciano giudizi frettolosi, e ad accertarci nel frattempo che la negatività può essere allacciata alla positività, e viceversa.
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Torniamo dunque all’invito più recente che, come accennato, ha come titolo “Space Garments”: un progetto che ci accoglie in una dimensione che non c’è. O meglio, che non è tangibile ma perfettamente intelligibile, non la possiamo abitare ma la possiamo visualizzare, grazie alla tecnologia virtuale che ha tradotto quello che l’ingegno di Antoine Peters continua ad allestire nella sua mente da almeno vent’anni, per l’occasione della Dutch Design Week riassunto in dieci affascinanti proposte.
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L’attributo non è affatto casuale: si tratta di mesh-up tra l’abbigliamento e lo spazio che nascono proprio dal fascino potente che i capi, gli oggetti, il corpo, lo spazio, le relazioni che intessono, le riflessioni filosofiche che stimolano, i punti di vista che sbloccano, i suggerimenti sociali che forniscono, esercitano con vigore e passione su Antoine Peters.
Se proprio dovesse esserci una gerarchia, ecco: per Antoine Peters lo spazio intorno ad un abito è importante tanto quanto l’abito, perciò non è detto che sia importante che l’abito sia indossabile, è più importante, almeno secondo lui, esplorare le interazioni tra tutti gli elementi, compreso il corpo che ci si trova in mezzo, dentro l’abito e nello spazio.
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Sembrano esercizi visionari: gli abiti vengono stirati, distorti, deformati, tagliati, avviluppati, espansi, riconfigurati, le nostre percezioni vengono sfidate ad abbandonare le concezioni tradizionali per abbracciare nuove possibilità, per considerare nuovi significati dei vestiti, dello spazio, del fatto che il nostro corpo potrebbe non essere così necessario a definire i confini, tanto che potremmo ritrovarci ad indossare un intero pavimento o ad assistere ai nostri pantaloni che si estendono a occupare tutta la stanza. Realismo e astrazione si fondono per confonderci: che è il modo migliore per rinfrescare gli occhi, rigenerarci i pensieri, ricollocare i confini sempre un po’ più salvificamente in là.
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All’ingresso dell’universo creativo di Antoine Peters potrebbe esserci una grande insegna, ovviamente coloratissima: con su una scritta ispirata al celebre motto latino “Omnia vincit amor”, ma mettendo “ottimismo” al posto della parola amore, che tanto ci starebbe già felicemente compresa dentro.
Silvia Scorcella
{ pubblicato su Webelieveinstyle }
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federicodeleonardis · 2 years ago
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Pistoletto impazza
                                                           Specchio, specchio delle mie brame
                                                           Chi è il più bello del reame?
                                                            Sei tu, sei tu Sansone
                                                           Il più bello del rione1
                                                                       Da Il Mistero buffo di Dario Fo
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Richard Serra: Spirale
Faccio fatica a prendere la cosa sul serio, c’è da non credere ai propri occhi, “un grande evento”: su Artribune scorrono le immagini del rogo della Grande Venere degli stracci di Napoli, in piazza del municipio davanti al Maschio Angioino, e poi sulla performance del Grande Autore alla stampa. Sansone ci spiega, magnanimo, che occorre un po’ di pietà nei confronti del miserabile barbone, in carcere perché ha appiccato fuoco alla sua gigantesca scultura. Un tempo, quando ancora non s’era bevuto il cervello (ma sapeva già comunque da che parte era imburrato il proprio panino), in formato ridotto l’aveva chiamata “dell’Arte Povera” (i compagni della rispettabilissima scuderia di cui faceva parte - staffiere Germano Celant- avevano mal digerito lo scippo d’un cotale titolo). Lungi da me i sospetti di orchestrazione dell’evento, del “rumore”, assicurato in tempi come questi, oltre che infernali per clima, funzionali a tutti i “gazzettieri” (Carmelo Bene). Ma, non bastavano la Mela di Piazza Diaz a Milano, la “Donna col mal di testa” a Firenze (Porta Romana), la miriade di Terzi paradisi con i quali ha cosparso mezza Italia (ma tutti con la furbata della tripla giravolta del simbolo (eh, si sa, occorre qualcosa di nuovo, una zampata di genio! Non mi chiamo Michelangelo?)?
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FDL Specchio Roma,Nuova Pesa, 1996
Per carità non facciamo paragoni, almeno questo! E’ da quel dì che Pistoletto ha subìto la metamorfosi. Qualcuno mi sollecita a essere serio, a trattare questa tragedia col rispetto dovuto a un artista che una volta aveva pur prodotto qualcosa di buono (che so, il lavoro per Arte all’Arte al Chiostro di Volterra, il mappamondo rimpicciolito di giornali, l’ultima sua mostra di grandi specchi da Sergio Casoli a Milano, gli autoritratti coi riflessi nelle bacinelle della Camera oscura, forse qualcos’altro che ora non ricordo); devo impegnarmi. Onore al merito, grande o piccino che sia (lo decideranno i posteri), ma le origini di cotale ubriacatura mentale sono già a metà della carriera. Gli specchi serigrafati con cui ha cosparso il cosiddetto Mondo dell’arte (che per la verità è molto piccolo e si specchia solo in se stesso) erano una genialata, titillavano il narcisismo di tutti (”ci siamo anche noi”, colleghi, amici, gente di potere ecc), una trovata popartistica anticipatrice del postmodern. L’arte, a partire dall’impressionismo, s’era buttata alle spalle la vecchia pratica della ritrattistica, che aveva dato da mangiare un po’ a tutti per almeno cinque secoli, ma ci sono voluti Warohl e Pistoletto a rimetterla in auge: quel Mondo non ne poteva più di cotanto rigore, Pollock, gli Action Painters e poi questi fracassoni di poveristi, per non parlare di tipi come Agnetti o Mauri!
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Richard Serra, Spirale a NY, 2001
E’ un fatto che la genialata era funzionale al mercato: troppa fatica mantenere la tensione della creazione e allora mettiamoci a scopiazzare in giro: gli stracci sono di Boltanski (altra levatura, altro spessore), le rotture (beh, lasciamo andare, siamo in tanti; per citarne solo uno: Mario Merz), la Venere stessa è pescata nell’armamentario del ben più serio Paolini. Devo proseguire? Per carità il furto deriva anche dall’ammirazione per un collega; chi non ruba, chi non ha mai rubato? Ma a guardar bene nessun furto serio riesce in pieno, per lo meno a chi non può dimenticare la propria originalità, la propria ossessione, la propria tensione. E’ il rispetto per il linguaggio a giustificalo, per l’arte. Che non appartiene a nessuno.
Ripescarlo oggi nella cloaca maxima del mercato è diventata un’impresa.
Sì, il discorso andrebbe approfondito, ma il rogo non lo merita.
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Richard Serra, Spirale, Biennale di Venezia
1 Sanità del, questo sì Grande, Edoardo De Filippo
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personal-reporter · 2 years ago
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Archivissima 2023 a Torino
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La sesta edizione di Archivissima, il festival dedicato alla promozione e alla valorizzazione dei patrimoni archivistici, si svolgerà a Torino dall’8 all’11 giugno 2023 con il contributo della Fondazione CRT. Nata nel 2018 dalla precedente esperienza del format La Notte degli Archivi, creato nel 2016 da Promemoria per restituire ai cittadini la ricchezza informativa e narrativa contenuta nei patrimoni archivistici,  il Festival accoglierà nel 2023 l’ottava edizione della Notte, prevista per venerdì 9 giugno in concomitanza con la Giornata Internazionale degli Archivi su tutto il territorio nazionale, con 150 eventi dal vivo in tutta Italia. Archivissima si svolgerà principalmente nella straordinaria cornice della sede torinese delle Gallerie d’Italia in Piazza San Carlo 156, polo museale di Intesa Sanpaolo che il pubblico potrà visitare gratuitamente negli orari di apertura. Alcuni degli incontri del palinsesto si svolgeranno in collaborazione con altre realtà culturali torinesi e non tra cui OGR Torino, il Circolo dei Lettori, la Pinacoteca Agnelli e Collezione Maramotti, la Mediateca Rai, La Stampa, il Museo Nazionale del Cinema – Festival Cinemambiente. Tema di questa nuova edizione è Carnet de voyage visit come un oggetto fisico e simbolico, al contempo diario e racconto, disegno e immagine, ritaglio, schizzo per appuntare il senso di un viaggio, ricostruendo il tempo trascorso nei luoghi visitati attraverso coordinate e mete da raggiungere, strade da percorrere e orizzonti, approdi e derive, miraggi e ritorni. Il viaggio è esplorazione del diverso e dell’ignoto, apertura verso ciò che non si conosce, ma questo movimento verso un altrove non esisterebbe senza il racconto di ciò che è stato.  “Quando nel 2018 abbiamo inaugurato Archivissima, non avevamo idea che si sarebbe trasformato in un festival così ricco e articolato, capace di accogliere e sperimentare sempre nuove modalità di fruizione di contenuti d’archivio” ha detto  Andrea Montorio fondatore del Festival. Tra le novità della sesta edizione ci sarà un nuovo format retrospettiva d’archivio, dedicato quest’anno alla scrittrice e giornalista Fernanda Pivano, il cui straordinario lavoro sarà valorizzato da più voci, a partire da un tesoro di documenti e materiali provenienti da diversi enti. L’obiettivo è costruire, negli anni a venire, tanti approfondimenti che diano il senso della ricchezza e dell’articolazione delle relazioni tra documenti e archivi. Ci saranno anche le due repliche dedicate a Mistero Buffo di Dario Fo e Franca Rame come un omaggio alla figura dell’attore e regista Eugenio Allegri ma soprattutto un modo per Archivissima di promuovere così la nascita e i primi passi di un nuovo archivio, che ancora non esiste. La Fondazione CRT è proiettata nel futuro, ma si impegna anche per salvaguardare la memoria storica e renderla accessibile a tutti e, oltre alla digitalizzazione di un migliaio di documenti dell’antica Cassa di Risparmio ora disponibili on line, lavora con un team di certificatori con disabilità per avere il riconoscimento della piena accessibilità del sito web. Read the full article
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toscanoirriverente · 5 years ago
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A Massa Martana, in Umbria, censurato “Mistero Buffo” di Dario Fo: "Può urtare la sensibilità dei cattolici" – La difesa del sindaco di centrosinistra: “Noi volevamo un testo leggero per iniziare il cartellone”.
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Mistero Buffo censurato in Umbria.
Sento aria di bigottismo.
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cristianattolico · 6 years ago
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