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Sanità e Malattie Rare: Presentato alla Camera il Position Paper per i Pazienti con Amiloidosi. Roma
Sette Proposte per Migliorare Diagnosi, Cura e Supporto ai Pazienti Affetti da Amiloidosi in Italia
Sette Proposte per Migliorare Diagnosi, Cura e Supporto ai Pazienti Affetti da Amiloidosi in Italia Il Position Paper sull’Amiloidosi: Un Passo Avanti per la Salute dei Pazienti Il 7 novembre, presso la Sala Matteotti di Palazzo Theodoli-Bianchelli alla Camera dei Deputati, è stato presentato il Position Paper sull’Amiloidosi, un documento che riassume sette proposte cruciali per migliorare la…
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Álvaro Roca en la 82 Feria del Libro de Madrid
El «derecho a la muerte» se anuncia cada vez más como una cuestión dogmática, una realidad jurídica que pertenece al hombre y que nadie puede negar. ¿Es realmente un derecho? ¿O, más bien, una deformación del Derecho? Cuestiones tan esenciales como la noción de persona, la libertad, la verdad, la ética o el sentido de la vida o del sufrimiento, se han visto viciadas y enturbiadas por esta…
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Fino a pochi anni fa la fisica, la medicina, la chimica, le scienze in generale erano in mano agli scienziati, ai professori universitari, ai premi nobel, ai primari d'ospedale, a chi certi argomenti li aveva studiati per anni e anni. Addirittura il semplice maestro era guida per la comunita'. Poi sono arrivati i social e hanno fatto irruzione mammainformata77, fragolina88, hocapitotutto58 o noncielodicono92 e tutto e' cambiato. Credo che stiamo correndo a grandi falcate verso il pianeta delle scimmie.
@ilpianistasultetto
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Salve doc, ho un dubbio, non è che non mi fidi, però è un medico nuovo... sono andata dal medico di medicina generale e dopo avermi visitato mi ha detto che ho la bronchite (e tutti gli altri sintomi annessi) e mi ha dato augmentin, brufen e fluimucil in compresse effervescenti.
Al mio ragazzo, da un altro medico di base, sempre per la bronchite, gli è stato dato l'antibiotico e il cortisone.
Cosa cambia?
Ma antibiotico e antinfiammatorio si possono prendere insieme?
Bronchite significa, letteralmente, 'infiammazione dei bronchi'.
I bronchi sono i rami di quegli alberi a testa in giù che si trovano tra la trachea (il tronco dell'albero) e i bronchioli (i rametti più piccoli)...
Ok... più della metafora forse è meglio un disegno:
A grandi linee sono quelli (ho evitato ulteriori suddivisioni anatomiche).
Quando un patogeno riesce a colonizzare le vie respiratorie inferiori, allora si ha una bronchite BATTERICA o VIRALE (esistono altri tipi di bronchite ma non divaghiamo) e allora il medico può intervenire in molteplici modi, sulla base della serietà della bronchite - credimi, esistono anche bronchiti molto serie con asma, dispnea e ridotta ossigenazione - grazie all'auscultazione.
Se reputa che possa essere batterica, allora darà un'antibiotico adatto alle infezioni delle vie respiratorie basse (se è virale inutile dare l'antibiotico) e se nell'auscultazione ha rilevato sibili, fischi, rantoli, ronchi, soffi o gorgoglii allora deciderà se aggiungere un corticosteroide che avrà un doppio effetto benefico
Antinfiammatorio per eccellenza
Broncodilatatore
Se invece il medico non avrà sentito particolari rumori bronco-polmonari, allora si potrebbe limitare a un antinfiammatorio NON STEROIDEO (l'ibuprofene del Brufen ha decisamente molti meno effetti collaterali, chessò, del prednisone o del betametasone, classici corticosteroidi per le vie respiratorie) e magari aggiungerà pure dell'acetilcisteina (Fluimucil) che serve a rompere i legami proteici del muco bronchiale e renderlo più facilmente espettorabile.
Ogni medico valuta in scienza, coscienza e diligenza la migliore terapia, ricordando che di ogni patologia generica esistono varie forme e manifestazioni, a volte di facile risoluzione, a volte più impegnative.
P.S.
Antibiotico e antinfiammatorio si possono prendere assieme perché agiscono in modo differente a livello organico e, in genere, non interagiscono in modo negativo tra di loro.
Concludo con una foto off topic di Otto da cucciolo che aveva appena finito di demolire ogni cosa che avesse una consistenza meno robusta dell'acciaio.
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IN ITALIA ANCHE I SENZATETTO POTRANNO AVERE DIRITTO ALL’ASSISTENZA SANITARIA
L’Italia ha approvato la legge che rende disponibile l’assistenza sanitaria anche ai senza fissa dimora.
Il provvedimento colma un vuoto di tutela che si pone in contrasto con gli articoli 3 e 32 della Costituzione e con i princìpi ispiratori della legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, in base ai quali l’assistenza sanitaria andrebbe garantita a tutti coloro che risiedono o dimorano “nel territorio della Repubblica, senza distinzione di condizioni individuali o sociali”. I senza dimora attualmente sono nell’impossibilità di essere iscritti al Servizio sanitario nazionale e di scegliersi un medico di medicina generale. La nuova legge e il programma sperimentale mirano ad “assicurare progressivamente il diritto all’assistenza sanitaria” ai senza dimora e per consentirgli di iscriversi nelle liste degli assistiti delle aziende sanitarie locali, di scegliersi un medico, di accedere ai LEA (le prestazioni incluse nei Livelli Essenziali di Assistenza).
“La norma recepisce la richiesta, avanzata anche con la nostra Carta civica della salute globale, di garantire l’assistenza sanitaria di base ai più fragili e agli invisibili, svincolandola dalla residenza anagrafica. Un esempio importante anche di quello che istituzioni, organizzazioni civiche e singoli cittadini possono fare insieme per migliorare le politiche pubbliche del nostro Paese e renderle sempre più vicine ai bisogni delle persone, a partire dai più fragili”, commenta Anna Lisa Mandorino, Segretaria generale di Cittadinanzattiva. Secondo le rilevazioni e gli indirizzi dell’ISTAT, il provvedimento sarà avviato inizialmente in 14 città metropolitane: Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma, Torino e Venezia.
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Fonte: Presidenza del Consiglio dei Ministri; Cittadinanzattiva; immagine di Mart Production
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Tanto per non farci mancare niente, ora ci mettiamo pure le malattie autoimmuni letali. Prima di tutto però voglio dire che è una condizione rara, quindi non andate subito in panico. Detto questo, spieghiamo - per come l'ho capita io - che cacchio hanno trovato. La prendo larga.
Esistono diversi meccanismi di difesa contro i patogeni, il più famoso è il sistema immunitario. Esiste anche un sistema di difesa sviluppato dalle singole cellule e quasi esclusivo della lotta contro i virus: l'interferone. Senza entrare nei dettagli dei vari tipi di interferone e di come agisca, il punto saliente è che viene stimolato dalla presenza di un doppio filamento di RNA nel citoplasma. Non è normale avere un doppio filamento di RNA nel citoplasma, generalmente è un filamento singolo che viene riconosciuto dai ribosomi e viene degradato subito dopo aver fatto da modello per la traduzione delle proteine. Molti virus - tra cui SARS-CoV-2 - nel loro ciclo vitale hanno un momento in cui producono un RNA a doppio filamento, e questo fa da trigger per la sintesi di interferone.
Come lo fa? Nella cellula esiste una famiglia di molecole chiamata RLRs che lega l'RNA estraneo (doppio filamento o singolo con alcune caratteristiche precise). Il legame di queste molecole con l'RNA estraneo scatena una cascata di segnale (una serie di reazioni chimiche) che porta alla sintesi di interferone.
Una delle RLRs è la MDA5, che è la protagonista della nostra storia. Esiste infatti una malattia rara, chiamata dermatomiosite, che è una malattia autoimmune in cui gli anticorpi del corpo se la prendono contro la MDA5. Il risultato è una malattia che può manifestarsi in diversi distretti corporei: spesso è cutanea, ma a volte può portare disturbi anche più fastidiosi come fatica e spossatezza ma senza danneggiamento dei muscoli: ecco perché si chiama anche dermatomiosite amiopatica.
Ecco, il punto è che si è scoperto che l'infezione da SARS-CoV-2 può portare, in rari casi, allo sviluppo di una malattia analoga alla dermatomiosite, ma che colpisce i polmoni e risulta essere quindi spesso fatale. L'hanno chiamata MIP-C: MDA5-autoimmunity and Interstitial Pneumonitis Contemporaneous with COVID-19 ovvero: una malattia autoimmune contro MDA5, la dermatomiosite di prima, localizzata nei polmoni e causata dalla CoViD-19.
SARS-CoV-2 stimola, con il suo RNA, MDA5, ma per qualche motivo stimola anche la creazione di anticorpi contro quella molecola. Non è una cosa nuova in generale, si chiama cross-reazione, e a volte succede di vedere che un patogeno stimola una risposta immunitaria contro di sé ma anche contro molecole simili ai suoi bersagli molecolari ma del tutto innocue, anzi utili all'organismo. È una delle cause dell'artrite reumatoide.
Perché? Nelle discussioni dell'articolo (qui il pdf) si fa riferimento al fatto che nei linfonodi l'attivazione di MDA5 può portare anche all'attivazione di alcuni tipi di linfociti, e questo può portare a reazioni autoimmuni. Dato che questi ricercatori hanno dimostrato che questa cosa è causata dall'RNA del virus, non possono escludere che sia anche un possibile - e finora sconosciuto - effetto collaterale anche dei vaccini.
Our finding incriminate MDA5 protein activation, whether linked to natural infection, or vaccination or potentially both as a trigger for MIP-C and that MDA5-mediated sensing (and mounting of an immunophenotype that is comprised of type 1 interferonopathy and antigen-specific CD8+ T cell responses; elaborated below) is a distinct trigger in MIP-C.
Staremo a vedere come si evolve la situazione. Al momento, non ci sono allarmi riguardanti la MIP-C legati alle vaccinazioni, anche perché - a logica - direi che è molto più facile trovare il virus nei linfonodi piuttosto che il vaccino inoculato per via intramuscolare.
Rimaniamo con le antenne dritte.
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Il fondatore di Greenpeace
«Vi svelo la truffa ambientalista»
Uno dei padri dell’organizzazione: «La sinistra, capito che attorno all’ambientalismo girano soldi e potere, ne ha traviato la missione L’obiettivo è stato fare da megafono all’apocalisse climatica, con l’uomo unico responsabile da punire.
25 Apr 2024 FRANCO BATTAGLIA
Studioso, ecologista e leader di lungo corso nel campo ambientale internazionale, Patrick Moore, con un dottorato di ricerca in Ecologia dall’Università della British Columbia e un dottorato di ricerca onorario dalla North Carolina State University, è considerato uno dei più qualificati esperti di ambiente al mondo. Nel 1971 fondava Greenpeace, la più grande organizzazione di attivisti ambientali del mondo, ma l’ha lasciata nel 1986.
Come mai l’ha lasciata, dottor Moore?
«Greenpeace è stata “dirottata” dalla sinistra politica quando ha capito che c’erano soldi e potere nel movimento ambientalista. Gli attivisti politici di sinistra in Nord America e in Europa l’hanno trasformata da organizzazione scientifica a un’organizzazione politica di raccolta fondi. Oggi gli ambientalisti si concentrano principalmente sulla creazione di narrazioni progettate per infondere paura e sensi di colpa nel pubblico in modo che il pubblico invii loro denaro».
Cosa pensa dell’Ipcc, il Comitato dell’Onu sul clima? Fa scienza?
«L’Ipcc assume scienziati per fornire loro “informazioni” che supportino la narrazione dell’emergenza climatica. Le loro campagne contro i combustibili fossili, l’energia nucleare, la CO2, la plastica, etc., sono fuorvianti e mirano a far credere alla gente che il mondo finirà, a meno che non paralizziamo la nostra civiltà e distruggiamo la nostra economia. Sono ormai un’influenza negativa sul futuro dell’ambiente e della civiltà umana. Oggi la sinistra ha adottato molte politiche che sarebbero molto distruttive per la civiltà perché non sono tecnicamente realizzabili. Basti pensare all’incombente crisi energetica, una crisi che hanno creato loro stessi, rifiutandosi, opponendosi all’energia nucleare e adottando una posizione impossibile sui combustibili fossili in generale».
L’uomo è il nemico del pianeta…
«Già. Secondo i leader ambientalisti gli esseri umani sono i nemici del pianeta e della Natura. Secondo la nuova filosofia dominante, il mondo sarebbe migliore se esistesse meno gente. Ma le persone che dicono questo non si sono offerte volontarie a essere le prime ad andarsene».
Come accadde che lasciò Greenpeace?
«Ero uno dei 6 direttori di Greenpeace International, e l’unico ad avere una formazione scientifica formale, laurea con lode in scienze e foreste e dottorato in ecologia. I miei colleghi direttori decisero che Greenpeace avrebbe dovuto iniziare una campagna per “bandire il cloro in tutto il mondo”. Ma l’aggiunta di cloro all’acqua potabile, alle piscine e alle terme è stato uno dei progressi più significativi nella storia della sanità pubblica nel prevenire la diffusione del colera. Inoltre, circa l’85% dei prodotti farmaceutici è prodotto con chimica legata al cloro e circa il 25% di tutti i nostri farmaci contiene cloro.
Tutti gli alogeni, compresi cloro, bromo e iodio, sono potenti antibiotici, e senza di essi la medicina non sarebbe la stessa. Invece i miei colleghi pretendevano che il cloro passasse come l’elemento del diavolo” e che il Pvc, cloruro di polivinile, fosse etichettato come “la plastica velenosa”. L’obiettivo era di spaventare il pubblico. Inoltre, questa politica sbagliata rafforza l’atteggiamento secondo cui gli esseri umani non sono una specie degna e che il mondo starebbe meglio senza di loro. Non sono riuscito a convincere i miei colleghi di Greenpeace ad abbandonare questa politica sbagliata. Questo è stato il punto di svolta per me».
Una delle narrazioni di Greenpeace riguarda la scomparsa degli orsi polari
«Il Trattato internazionale sugli orsi polari, firmato da tutti i Paesi polari nel 1973 per vietare la caccia illimitata all’orso bianco, non viene mai citato dai media, da Greenpeace o dai politici che affermano che l’orso polare si sta estinguendo a causa dello scioglimento dei ghiacci nell’Artico. In realtà, la popolazione di orsi polari è aumentata da 6.000-8.000 esemplari nel 1973 a 30.000-50.000 oggi. L’obiettivo della narrazione è sostenere la teoria dell’apocalisse ambientale. Gli Aztechi gettavano le vergini nei vulcani, e gli europei e gli americani hanno bruciato le donne come streghe per 200 anni, sostenendo che così si sarebbe salvato il mondo. Gli esseri umani sono animali sociali con una gerarchia, ed è più facile ottenere una posizione elevata usando la paura e il controllo. La teoria dell’apocalisse ambientale riguarda soprattutto il potere e il controllo politico. Oggi, nei Paesi più ricchi, si stanno prendendo decisioni che i nostri nipoti dovranno pagare. È normale che le persone abbiano paura del futuro perché è sconosciuto e pieno di rischi e difficili decisioni. Alle giovani generazioni di oggi viene insegnato che gli esseri umani non sono degni e stanno distruggendo la Terra. Questo indottrinamento li ha fatti sentire colpevoli spingendoli a vergognarsi di sé stessi».
Perché è stata presa di mira la CO2?
«Il mondo si sta riscaldando dal 1700 circa, e l’ha fatto per due secoli prima dell’utilizzo dei combustibili fossili. Il 1700 è stato l’apice della Piccola era glaciale, un paio di secoli molto freddi che hanno patito scarsi raccolti e fame. Prima di allora, intorno al 1000 d.C., c’è stato il Periodo caldo medievale, quando i vichinghi coltivavano la Groenlandia. Alcuni credono che la CO2 sia la causa principale del riscaldamento degli ultimi decenni. Ma sono principalmente scienziati pagati da politici e burocrati, da media che fanno notizia o da attivisti che fanno soldi. Se l’anidride carbonica fosse la causa principale del riscaldamento, allora dovrebbe esserci un aumento della temperatura in corrispondenza dell’aumento della CO2, ma non è stato così. Inoltre, la CO2 è alla base di tutta la vita sulla Terra e la sua concentrazione nell’atmosfera oggi è più bassa di quanto sia stata per la maggior parte dell’esistenza della vita. L’aumento della CO2 è correlato all’aumento della vegetazione: quasi tutti i coltivatori di serre commerciali in tutto il mondo acquistano CO2 da iniettare nelle loro serre per ottenere raccolti con rese superiori fino al 60%. Gli allarmisti climatici preferiscono discutere delle conoscenze climatiche solo a partire dal 1850. Il periodo precedente viene definito “età preindustriale”. Questa “età preindustriale” è durata più di 3 miliardi di anni, quando la vita era presente sulla Terra. In quel periodo si sono verificati molti cambiamenti climatici, tra cui ere glaciali, ere temperate, grandi estinzioni. Oggi la Terra si trova nell’era glaciale del Pleistocene, iniziata 2.6 milioni di anni fa. Siamo ancora nel Pleistocene, per quanto gli allarmisti climatici vogliano negarlo.
La grande ironia dell’attuale panico climatico è che la Terra è più fredda oggi di quanto lo sia stata per 250 milioni di anni prima dell’inizio del Pleistocene. E la CO2 è più bassa oggi che nel 95% della storia della Terra. Ma non lo saprete mai se ascoltate solo tutte le persone che traggono vantaggio dalla menzogna del cambiamento climatico antropico».
Vogliono azzerare l’uso dei combustibili fossili…
«Non possiamo fermare l’aumento dell’uso dei combustibili fossili o ridurre le emissioni di CO2. Nel 2015, mentre partecipavo alla Cop (Conferenza delle parti) di Parigi, ho offerto una scommessa pubblica di 100.000 dollari in un comunicato stampa diffuso da oltre 200 media, secondo cui entro il 2025 le emissioni globali di CO2 sarebbero state superiori a quelle del 2015. Nessuno ha voluto scommettere con me. Russia, Cina e India rappresentano il 40% della popolazione mondiale e non sono d’accordo con l’agenda anticarbonio. Se aggiungiamo Brasile, Indonesia e la maggior parte dei Paesi africani, la maggioranza della popolazione mondiale non è preoccupata dal clima. Un’altra grande ironia è che molti Paesi con i climi più freddi, come Canada, Svezia, Germania e Regno Unito, sono i più preoccupati per il riscaldamento».
Vogliono produrre energia solo con fotovoltaico ed eolico…
«Le tecnologie fotovoltaica ed eolica sono entrambe molto costose e molto inaffidabili. È incredibile che a così tante persone sia stato fatto il lavaggio del cervello per pensare che interi Paesi possano essere sostenuti con queste tecnologie. Esse sono i parassiti di un’economia più ampia. In altre parole, rendono il Paese più povero rispetto al l’utilizzo di altre tecnologie più affidabili e meno costose. I fornitori di energia eolica e solare godono di sussidi governativi, sgravi fiscali e normative che obbligano i cittadini ad acquistare energia eolica e solare anche se più costosa, con il pretesto che è “rispettosa dell’ambiente”. Milioni di persone pagano di più per l’energia eolica e solare mentre poche persone si stanno arricchendo a spese dei primi. È una colossale frode. Senza contare che parchi eolici e solari utilizzano grandi quantità di combustibili fossili per l’estrazione, il trasporto e la costruzione. E in molti luoghi non producono, nel corso della loro vita, l’energia necessaria per costruirli e mantenerli».
Gli ambientalisti ce l’hanno anche con la plastica...
«La plastica non è un materiale tossico. Ed è per questo che se ne fa così largo uso!».
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Por una Declaración de los Derechos de los Pueblos
Por Alain de Benoist
Traducción de Juan Gabriel Caro Rivera
Alain de Benoist critica los peligros de las ideologías absolutistas que suprimen la pluralidad e imponen la uniformidad, subrayando la importancia del arraigo cultural y de la identidad colectiva para preservar el carácter distintivo de los pueblos frente a las fuerzas homogeneizadoras del liberalismo moderno y de la globalización.
El siguiente es un ensayo del 15º Colloque national du G.R.E.C.E. (1) (17 de mayo de 1981).
Según Montesquieu, son las «ideas simples y únicas» las que conducen al despotismo. Por su parte, en 1772, Justus Möser escribió: «La tendencia actual a dictar leyes y ordenanzas generales es peligrosa para la libertad. Al hacerlo... estamos allanando el camino al despotismo, que pretende subordinarlo todo a unas pocas reglas y renuncia a la riqueza creada por la diversidad». Por último, para Friedrich Schlegel «yodo lo que es absoluto es, por su propia naturaleza, inorgánico y tiende a destruir los elementos que lo componen. Se puede decir sin equivocarse que lo absoluto es el verdadero enemigo de la humanidad».
He aquí, de entrada, la cuestión que nos reúne hoy: la causa de los pueblos. Esos pueblos cuyo concepto se expresa siempre en plural y cuya defensa constituye hoy el mejor medio de lucha contra los absolutos.
Es un punto que hemos planteado a menudo: los hombres existen, pero el hombre en sí mismo, el hombre abstracto, el hombre universal, ese hombre no existe. Podemos hablar de las libertades de los rusos, de los afganos, de los polacos, de las libertades de los pueblos subyugados por el imperialismo americano. Aferrarse, en cambio, a los derechos abstractos de un hombre «universal» es, a nuestro juicio, la mejor manera de no concedérselos a nadie.
Para nosotros, que rechazamos tanto el materialismo biológico como el racismo, el hombre no tiene otra naturaleza que la cultura a través de la cual se construye a sí mismo. El sujeto aislado no existe. Es un flatus vocis, una ficción. No existe un sujeto real, salvo en tanto que re-conectado, unido a herencias particulares, a pertenencias particulares. En otras palabras, no hay ningún sujeto preexistente a la conexión, ningún sujeto al que se le puedan atribuir propiedades fuera de cualquier conexión. Entre el absoluto de la humanidad y su correlato especular, el absoluto del individuo, hay un punto de equilibrio, un punto de anclaje: la cultura popular arraigada, como dimensión intermedia, como tercera vía, como lugar de conciliación permanente de las contradicciones relativas, que, en su medida, contribuye a dar a la existencia individual su eficacia, su significación y su supervivencia.
La categoría de «pueblo» no debe confundirse con la lengua, la raza, la clase, el territorio o la nación. Un pueblo no es una suma transitoria de individuos; no es un agregado aleatorio. Es la reunión de herederos de una fracción específica de la historia humana que, sobre la base de un sentimiento de pertenencia común, desarrollan la voluntad de continuar esta historia y de darse un destino común. Un pueblo es un organismo que, como tal, tiene propiedades particulares que no se encuentran en sus componentes estudiados aisladamente. También tiene derechos al igual que tiene deberes. Del mismo modo, el Estado que a menudo lo concreta históricamente también tiene vida propia. No es un concepto o un elemento nacido del contrato, como creían los filósofos «ilustrados» inspirados por el pensamiento mecanicista y mercantilista del siglo XVIII. Es una idea que encuentra progresivamente su encarnación en la historia.
«Cada hombre tiene su identidad inscrita en sus células», ha dicho recientemente Jean Dausset, Premio Nobel de Medicina en 1980 (2). Ahora bien, este carácter único, insustituible, inconmensurable que los investigadores atribuyen a los individuos debemos reconocerlo también en los pueblos.
En efecto, la identidad no puede ser únicamente individual. La conciencia de identidad va de la mano del sentimiento de inclusión, de pertenencia, que a su vez genera solidaridad y cimenta la voluntad común. La identidad colectiva, vivida y percibida subjetivamente, es el resultado de esta conciencia de pertenencia a un grupo, se define como diferencia y se aprehende mediante un sistema de representaciones, intuitivas o razonadas, a través de un cierto número de símbolos, mitos e imágenes que implican una visión del mundo y unos valores de referencia particulares. La identidad, en otras palabras, se entiende a través de una reflexión continua sobre el presente, siempre conectada con las raíces más profundas de nuestra cultura e historia. Este proceso de individuación nos hace conscientes de nuestros orígenes culturales y nos ayuda a comprender plenamente quiénes somos.
«Un pueblo sin cultura», escribe Albert Memmi, «estaría privado de pasado y de futuro; en otras palabras, ha dejado de existir como tal. Un pueblo no sólo muere si todos sus miembros mueren físicamente. Basta con que sus descendientes se integren individualmente hasta tal punto en otros grupos que olviden de dónde vienen y crean que su futuro siempre ha coincidido con el de sus nuevos conciudadanos. Su humus autóctono, en efecto, ha dejado de existir ya que se ha dispersado en los vientos de la historia, yendo a fertilizar otros suelos. Se comprende entonces la determinación de los grupos por defender su memoria colectiva: es la condición misma de su supervivencia» (3).
Se podría decir que la cultura es el carné de identidad de un pueblo. Es su respiración mental. Es su pasaporte para un futuro en forma de destino. Porque es cuando un pueblo se experimenta a sí mismo como una realidad orgánica y diferenciada cuando puede, gracias a un «espíritu popular vivo» (Achim von Arnim), revelarse plenamente creativo.
El análisis de sistemas ha establecido que la autoconservación de un sistema implica la existencia, no de una barrera impermeable, sino de un «filtro» destinado a controlar la entrada de información del exterior y su transformación dentro del sistema. Del mismo modo, el mantenimiento de la identidad de un pueblo exige una cierta continuidad cultural y demográfica, una relativa invariabilidad de los emisores, porque si bien es cierto que una homogeneidad excesiva conduciría a una pérdida de energía, también lo es que una heterogeneidad perturbadora produciría una erosión del sentimiento de pertenencia común. El «filtro» de un sistema cultural sólo puede estar constituido por un cierto número de valores.
No obstante, seamos muy claros. No se trata de establecer una especie de frontera metafísica en torno a las culturas. Los pueblos no son absolutos platónicos. La identidad, como constancia dentro del cambio, sólo puede captarse dialécticamente y en su propia evolución. Por tanto, el valor de uso de una adquisición cultural no es contradictorio con su valor de cambio. Pero para que haya intercambio, debe haber algo que intercambiar; es decir, en este caso, debe haber una identidad.
No se trata de aislarse de lo universal, sino de afirmar que sólo se puede alcanzar lo universal partiendo de lo particular. Cuanto más profundiza un grupo cultural en su propio genio, como ya observó Schlegel, más aumenta la riqueza de la humanidad. Por lo tanto, no abogamos por el aislamiento, sino por una forma de desarrollo histórico-cultural autocentrada.
Goethe, en Götz von Berlichingen, evoca a esos hombres que, «por exceso de erudición», ya no conocen a sus padres. Tales son los universalistas que, al deducir dogmáticamente lo singular de lo universal, llegan a negar sus propias raíces. La crítica que estamos desarrollando no es una crítica de lo universal, sino una crítica del universalismo, ese universalismo que encuentra su origen en el monogenismo bíblico y que no ha dejado de inspirar al igualitarismo laico desde el siglo XVII, ese universalismo que sabemos bien que emana siempre, de hecho, de un pensamiento particular, y que, como tal, representa siempre un intento enmascarado de dominar al Otro.
Jung demostró que, al igual que un individuo, un pueblo sufre una disociación mental cuando reprime su pasado más antiguo, cuando niega esa parte de sí mismo que procede de sus raíces profundas, esa parte de sí mismo que siempre se encuentra en el umbral de su propia conciencia, que lo interpela y le plantea el enigma de la historia de la Esfinge: ¿quién eres? ¿De dónde vienes? ¿Qué pretendes hacer de ti mismo para darte un destino?
De todas las formas de destrucción y despersonalización de los pueblos, desde el racismo exterminador hasta la aculturación negadora de la identidad, una de las más perversas ha sido probablemente el asimilacionismo, que, hay que decirlo, su modelo ejemplar ha sido el colonialismo francés de los últimos dos siglos.
El asimilacionismo, como forma clásica de etnocentrismo colonial, llama la atención por encontrar en él, en el plano ideológico, componentes fundamentales como la creencia en el «progreso», la concepción «occidental» del mundo y la linealidad de la historia, la idea de que existe un ideal universalizable de la sociedad y, por último, la convicción implícita de una realidad objetiva del derecho basada generalmente en la teoría del derecho natural.
Por otra parte, es muy notable que esta doctrina, que en última instancia aparece como una técnica particular de dominación socio-nacional, encontrara un consenso perfecto en Francia, tanto en la derecha como en la izquierda.
En efecto, como escribe Alain Fenet, «se juzgó inmediatamente conforme al espíritu de la Revolución, porque, para los revolucionarios, sólo podía existir una única manera de administrar. Se calificó entonces de «liberal», ya que permitía reconocer a los habitantes de ultramar los mismos derechos que a los ciudadanos de la Francia metropolitana mediante el igualitarismo jurídico y beneficiarse de la ideología de los derechos humanos y ciudadanos consagrados en las leyes de la República. Por último, se beneficiaría de un elemento «progresista» debido a su proyecto de dar acceso a los habitantes de ultramar a las condiciones políticas, jurídicas y sociales creadas por el progreso de las sociedades europeas» (4).
En la práctica, sin embargo, el asimilacionismo encontró su propio límite en el hecho de que toleraba, incluso fomentaba, toda una serie de prácticas que se apartaban de sus principios. Creando así, en su interior, las condiciones de su propio declive y allanando el camino para la descolonización.
El fin del colonialismo, precisamente, y con demasiada frecuencia olvidamos mencionarlo, marcó el fracaso de una globalización unilateral y de una concepción universalista del mundo. La descolonización, en efecto, no consistió en el levantamiento de una clase contra otra clase. Supuso el nacimiento y la afirmación de los pueblos deseosos de vivir su propia historia en sus propios términos. En este sentido, representa un acontecimiento crucial.
Es este movimiento el que, hoy en día, tiende a intensificarse en todo el mundo. Los pueblos como pueblos, como colectivos históricos que trascienden cualquier otra categoría, se están levantando. Los pueblos quieren determinar su propio destino. Quieren reclamar su identidad y tomar las riendas de su destino. En lugar de ser objetos de la historia de otros, pretenden ser artífices y sujetos de su propia historia. Repitámoslo: no se trata de luchas de clases, sino de levantamientos populares y nacionales contra todo lo que oprime a los pueblos en general.
Debemos llevar hasta sus últimas consecuencias las ideas de este movimiento. En particular debemos sistematizar el concepto de «colonización», porque no debe usarse únicamente para referirse a los países del Tercer Mundo o a las antiguas colonias. Debe reexaminarse a la luz de las nuevas experiencias históricas. En efecto, existen otras formas de colonización que la política y la militar. Hoy uno puede ser conquistado – y colonizado – sin disparar un solo tiro. Incluso se puede ser colonizado sin darse cuenta. Se puede ser colonizado económica, cultural, ideológica, religiosa o espiritualmente. Y estas nuevas formas de conquista, potencialmente seductoras, potencialmente «transparentes», son incluso mucho más peligrosas. Diremos que la verdadera descolonización es la descolonización total. Yo añadiría incluso que es una descolonización recíproca.
No olvidemos, por otra parte, que Europa, antes de ser colonizadora, fue ella misma también colonizadora y exportó su ideología occidentalocéntrica y el mensaje bíblico únicamente después de habérselo impuesto a sí misma. Sabemos cuánto se esforzó Herder en su Otra filosofía de la historia (1773) por conciliar su cristianismo con su exaltación de los genios nacionales, defendiendo, no sin razón, una «forma moderna de politeísmo» que le lleva, entre otras cosas, a condenar la evangelización cristiana, el etnocentrismo misionero y la naciente colonización...
¿Qué es el derecho a la autodeterminación? Es, ante todo, el derecho a expresar la voluntad de ser independiente. Sin embargo, la independencia forma un todo. Ser políticamente independiente y no serlo económica, cultural o ideológicamente no es ser independiente. También plantea la conciencia de su ser profundo por parte de los pueblos como un derecho fundamental: «No se puede», subraya Guy Michaud, «hablar del derecho de un pueblo a la autodeterminación, o incluso de la reivindicación de autodeterminarse, sin que exista previamente una conciencia de su identidad» (5).
Es notable a este respecto que una organización como las Naciones Unidas se haya negado siempre a sistematizar la descolonización. La noción de «colonización» prácticamente se ha reservado para justificar la emancipación de los países del Tercer Mundo sometidos a la tutela político-administrativa europea. No ha jugado a favor de los países del campo socialista. No ha jugado a favor de los países sometidos a la influencia económico-cultural norteamericana. Tampoco ha jugado a favor de las reivindicaciones autonomistas y regionalistas en Europa (6). También se observa que se ha negado la reivindicación de autodeterminación al pueblo alemán, ya que hubiera implicado una reunificación que ninguna superpotencia desea. Incluso dentro de los organismos internacionales, vemos ahora cómo surge la idea de que la autodeterminación no se extiende a la elección del régimen o que no se extiende a la propiedad de la riqueza y los recursos naturales.
Por último, hay que observar que la condena, en nombre de la conciencia universal, de tal o cual régimen político está en contradicción directa con la afirmación de que los pueblos, al tener derecho a la autodeterminación, también tienen derecho a determinar por sí mismos su estatuto político y social.
Por su parte, los antiguos intelectuales del Tercer Mundo, antaño fascinados por las guerras de independencia y los levantamientos nacionales, tienden cada vez más a convertirse, detrás del imperialismo estadounidense que ayer denunciaban, a la ideología de los derechos humanos y del evangelismo universal. Al designar a Estados Unidos como el mal menor tras la guerra, Camus había preparado el terreno. La «izquierda americana» se precipitó a seguir esta línea. Hoy es Jean Cau quien celebra la memoria del «Che» Guevara, mientras que la intelectualidad, hace sólo unos meses, denunciaba el «nacionalismo» del partido comunista y le hacía ojitos a Jimmy Carter.
Una evolución similar se ha producido en el terreno de las ideas. No hace tanto tiempo, los ideólogos igualitarios, deseosos de combatir la idea de una naturaleza hereditaria o constitucional del hombre, no dudaban en subrayar la importancia de la cultura y de la conciencia histórica, que, efectivamente, forman parte de la especificidad humana.
Desde entonces, se han dado cuenta de que el «culturalismo» no conduce a lo uno, sino todo lo contrario; que las culturas, lejos de eliminar las diferencias, sólo las elevan a un nivel superior y que esta pluralidad de culturas no es más una «etapa» hacia el Estado mundial igual que el politeísmo es una «etapa» hacia el monoteísmo. Por eso, a partir de ahora, atacan a las propias culturas, afirmando, con Guy Scarpetta, que «la noción misma de cultura popular arraigada debe tomarse con pinzas» y que hay que luchar contra el «aparato ideológico del arraigo» gracias a la «conjunción decisiva del monoteísmo y del desarraigo cosmopolita» (7).
Así, llegamos naturalmente al tema de la «muerte del hombre», es decir, a una concepción del hombre fundada en la nada. Y de hecho, los mismos ideólogos igualitarios, acorralados, nos confiesan ahora que el «hombre» que defienden no es más que un concepto operativo, una idea mesiánica destinada a la interpelación negativa de la realidad; que el hombre en sí mismo, como escribe ingenuamente Guy Lardreau, no es más que «lo que postulo si quiero construir un concepto de conexión tal que incluya algo que escapa a la conexión» (8). Lo que equivale a decir que afirmar lo que no existe sigue siendo la mejor manera de suprimir lo que existe.
Sin duda, a la luz de esta evolución, habría que releer las páginas que Marx, en El Manifiesto Comunista, dedica al papel eminentemente revolucionario de la burguesía. Históricamente, es con el auge de los valores burgueses cuando se produce un cambio significativo en el pensamiento europeo: surge una ideología que ya no busca transformar los lazos sociales ni renovar el sentimiento de pertenencia. En su lugar, esta ideología aboga por cortar las conexiones, borrar las diferencias culturales e históricos y disolver los lazos comunitarios.
Sin embargo, lo que Marx no había previsto era que, en lugar de que la revolución burguesa condujera al socialismo, es, por el contrario, el socialismo el que se ha aburguesado. El internacionalismo marxista, que aspiraba a un gobierno universal basado en la internacionalización de los medios de producción, ha muerto. Incluso nació muerto. El ideal cosmopolita, en cambio, sigue muy vivo. Podemos observar que es el liberalismo, y no el marxismo, el que está provocando activamente este cambio. La destrucción de culturas profundamente arraigadas está siendo lograda con mayor eficacia por las corporaciones multinacionales que por los seguidores de Marx, que han cambiado su enfoque hacia un ideal superficial de «vivir mejor». Este ideal, caracterizado por la permisividad, es una versión diluida de la mentalidad pequeñoburguesa.
La cuestión fundamental que se plantea hoy, relativa a la causa de los pueblos, va mucho más allá de saber cómo acabar con el jacobinismo, cómo descentralizar y cómo respetar las diversidades locales. El problema ya no es una cuestión de fronteras, ni de autonomía administrativa, ni de dominación estatal. ¿De qué le sirve a un pueblo disfrutar de una independencia formal si va a seguir siendo alienado y colonizado en otros niveles? La verdadera cuestión que se plantea es: ¿cómo escapar a las garras de una sociedad fría y neoprimitiva, donde los microprocesos sociales dan la ilusión de un cambio? ¿Cómo resistir a las tendencias tecnomórficas que se expresan ahora? ¿Cómo luchar contra el Sistema?
La primera tarea política es identificar al enemigo. Pero ahora el enemigo no puede designarse de forma personal o localizada. No es culpa de Abraham, ni de Voltaire, ni de Rousseau. Ni siquiera es culpa de «la crisis». Ni siquiera es culpa del «poder». Dado el grado de complejidad y fluidez de las estructuras que caracteriza a las sociedades actuales, el «poder» está cada vez menos en sus lugares tradicionales; reside cada vez menos en el margen de decisión de los centros institucionales y gubernamentales. No se puede «designar» al enemigo. Sólo se puede dar una descripción del mismo.
Los fundamentos del Sistema son la idea de «progreso», la creencia en los poderes ilimitados de la razón (de los que la eficacia del mercado sería la mejor ilustración), la ilusión de una verdad exterior al hombre, la negación de la autonomía de la conciencia y, por último, la creencia en un «bien universal», donde el American way of life se extendería por todo el mundo, mientras que agentes impersonales, dotados de conocimientos técnicos avanzados, determinarían «científicamente» la toma de decisiones optima.
El resultado concreto de la implantación del Sistema es la consecuencia lógica del individualismo liberal: esa «cultura del narcisismo» tan bien descrita por Christopher Lasch (9) que combina el hedonismo de la pequeña felicidad con el ideal del nomadismo y el desarraigo. Es también el continuo empobrecimiento espiritual de la humanidad, la erosión de las culturas y la estandarización de los comportamientos. En casi todas partes, para luchar contra su posible desaparición, los pueblos deben convertirse en etnólogos de su propio futuro. En casi todas partes, los pueblos aculturados, asimilados y asesinados están desapareciendo, especialmente os pueblos que son incómodos, los pueblos que no son rentables a los ojos de esta ideología dominante, que lo tolera todo, pero no respeta nada, donde ya nada tiene valor, pero donde todo tiene un precio.
El enemigo ya no puede ser «designado» porque ahora las estructuras actúan por sí mismas. Las estructuras ahora se autorregulan, se autoproducen y se autoestandarizan. La confusión de los hombres y las cosas alcanza su punto álgido. Pronto, ya no habrá naciones; sólo habrá zonas. Ya no habrá culturas, sólo mercados. Ya no habrá posibilidades de acción histórica; sólo habrá libertades formales, tanto más fáciles de conceder cuanto que ya no producirán cambios, concedidas por esos liberales de los que Herder decía que sólo abolieron la esclavitud tras calcular que los esclavos producían menos que los hombres libres...
Los pueblos se encuentran ahora en permanente deriva hacia lo insignificante, la apariencia, el espectáculo inmediato, es decir, el vacío. Y la historia, que en última instancia no es más que el relato de su originalidad, también parece estar llegando a su fin.
Vivimos en un periodo de abolición del tiempo, o más exactamente, de abolición del tiempo histórico. Lo que mata a los pueblos, escribe Christopher Lasch, es el deshilachamiento de la sensación de que vivimos una continuidad histórica. En otras palabras, la pérdida de conciencia de su identidad, el olvido de sus orígenes y la incapacidad de situarse en una perspectiva, todo ello, escribe Raymond Ruyer, acentuado por «la reivindicación del derecho a perder el interés por la duración, por la supervivencia del pueblo al que se pertenece, y a vivir en la libertad del presente» (10). Los pueblos viven en el «presentismo», en la contemplación espectacular de un pasado folclorizado y congelado en los museos. En un «presentismo» que corrompe por sí mismo el sentimiento de pertenencia común, ya que, al no existir un proyecto a largo plazo al que puedan asociarse los miembros de la sociedad, cada uno de ellos tiene interés en maximizar sus exigencias inmediatas a costa de los demás.
Digámoslo claramente: no es cierto que exista, por un lado, un mundo socialista totalitario y, por otro, un «mundo libre» en forma de Disneylandia, del que la talasocracia estadounidense sería el líder natural. Se trata de una fábula, en la que el coco soviético sirve de coartada para el establecimiento de un no menos inquietante «nuevo orden interno».
Lo cierto es que existen dos formas distintas de totalitarismo, muy diferentes en su naturaleza y efectos, pero ambas igualmente formidables. La primera, en Oriente, encarcela, persigue y magulla los cuerpos; pero al menos deja intacta la esperanza. La otra, en Occidente, acaba creando robots felices que huelen al infierno y mata las almas. El sistema americano-céntrico genera una realidad en el que las personas, reducidas a un estado de neoprimitivismo, siguen caminos predeterminados dentro de un mundo lleno de objetos. En este mundo, los signos ya no se corresponden con la realidad, sino que simplemente interactúan entre sí, creando un bucle cerrado de significados. Mientras tanto, las propias personas se ven reducidas a objetos, constantemente controlados por la mirada impasible de las cámaras de vigilancia del hipermercado global.
Entre Oriente y Occidente se encuentra Europa. Una Europa dividida a lo largo de su eje central, rota a ambos lados por ese montón de alambre de espino y hormigón llamado Muro de Berlín. Este muro que es a la vez el símbolo de nuestra hemiplejía, la representación de nuestro abatimiento y el punto de cristalización de la neurosis alemana (11) y europea.
El 25 de mayo de 1930, Jacques Bainville escribía: «La última forma de americanización sería cotizar en bolsa las acciones de la empresa Francia». Hoy es Jean-Paul Dollé quien observa que la Unión Soviética y Estados Unidos «encarnan, en una aparente oposición, el reverso y el sueño – convertido en pesadilla – de la racionalidad de la Ilustración». Y que «lo que otros pueblos viven como historia, es decir como destino, los estadounidenses lo perciben como subdesarrollo» (12).
Cuando Nicos Poulantzas afirmó que «el capital marcha hacia la nación» (13) llevaba cincuenta años de retraso. Hoy, el capital «marcha» hacia la erosión de las identidades colectivas y las especificidades nacionales. Marcha hacia un mercado global guiado por el laissez-faire y la laxitud. Marcha hacia la multinacional.
Y, sin embargo, hay momentos en que las posesiones ya no importan. Para los soldados que luchan en el frente, el dinero no tiene valor. Y es precisamente en una guerra donde nos encontramos. Una guerra en la que están en juego el futuro histórico y el destino de los pueblos, una guerra cuyo resultado es la causa de los pueblos.
¿Qué es lo que está en juego? Se trata de defender el valor de todas las épocas contra la concepción lineal de la historia y el mito del progreso. De defender el valor de todas las culturas frente al Sistema global que las está erosionando. De hacer converger el pasado, el presente y el futuro hacia el punto focal donde de nuevo es posible hacer historia. Despertar en los pueblos una mayor conciencia de su identidad y de sus orígenes. Para fundar la solidaridad y la justicia social en un sentimiento de pertenencia común y en la voluntad de un destino compartido. De promover todas las formas de arraigo, no sólo geográfico sino también, y quizás especialmente, espiritual, cultural e histórico. Desarrollar una estrategia de resistencia cultural. Por último, oponer la uniformización de los modos de vida y de pensamiento a la diversidad siempre renovada de las creaciones humanas.
No somos partidarios de volver atrás. Queremos la modernidad. Pero, ¿no está muriendo también la propia modernidad? Hoy, escribe Jean Baudrillard, ya nada es moderno: todo es actual. Y ahí reside la tragedia. Vivir sólo en la corriente, disociar el presente del pasado, es desheredar el futuro y matar la modernidad. Sin embargo, la novedad sin raíces no puede, por definición, ser nueva. Es para preservar la posibilidad misma de la modernidad por lo que abogamos por el arraigo espiritual.
La lucha que ha comenzado no tiene nada que ver con el enfrentamiento entre derecha e izquierda, con la dialéctica Oriente-Occidente y con el conflicto Norte-Sur. Es la lucha entre los pueblos y el Sistema. Es la lucha por la causa de los pueblos. Es también y, en definitiva, la lucha de la vida como pluralidad siempre cambiante, contra la regresión igualitaria, contra el despotismo y el totalitarismo, contra la amnesia programada y el fin de la historia. Es la lucha contra la muerte.
Para concluir, citaré un poema de Padraig Pearse, uno de los insurgentes del levantamiento irlandés de Pascua de 1916:
Oh sabios, adivinadme esto: ¿y si el sueño se hace realidad?
¿Y si el sueño se hace realidad? ¿Y si millones de nonatos morarán
en la casa que formé en mi corazón, la noble casa de mi pensamiento?
Señor, he apostado mi alma, he apostado las vidas de mis parientes
por la verdad de tu terrible palabra. No recuerdes mis fracasos,
Pero recuerda esta mi fe
Y así hablo.
Sí, antes de que pase mi calurosa juventud, hablo a mi pueblo y digo:
Seréis necios como yo; os dispersaréis, no os salvaréis;
Lo arriesgaréis todo, no sea que perdáis lo que es más que todo;
Pediréis un milagro, tomando a Cristo por su palabra.
Y por esto responderé, oh pueblo, responderé aquí y en adelante,
Oh pueblo que he amado, ¿no responderemos juntos?
Notas:
1. Nota del editor: G.R.E.C.E. (Groupement de Recherche et d'Études pour la Civilisation Européenne, o «Grupo de Investigación y Estudios para la Civilización Europea») es un grupo de reflexión francés fundado en 1968 por Alain de Benoist y otros intelectuales asociados al movimiento de la Nueva Derecha (Nouvelle Droite). Su objetivo es promover la preservación de la identidad cultural europea y critica la influencia del liberalismo, el igualitarismo y el dominio cultural estadounidense.
2. La Croix, 5 May 1981. Ver también Jean Bernard, “Identité et biologie”, en La Nef, 4, Tallan dier, 1981, 7-15.
3. “Lettre aux Juifs d’URSS sur la culture de l’opprimé”, en La Nef, op. cit.
4. “Assimilation politique et réalité juridique dans la politique coloniale française”, en Pluriel, 11, 1979, 48.
5. “Droit à l'autodétermination et pouvoir politique”, en L’Europe en formation, March-April 1981, 65.
6.Sobre esta cuestión Guy Héraud, “Modèle pour une application générale du droit d'autodétermination”, en L’Europe en formation, March-April 1981, 96-118.
7. Éloge du cosmopolitisme, Grasset, 1981.
8. “L’universel et la différence,” en La Nef, op. cit., 84.
9. The Culture of Narcissism, 1979.
10. Le sceptique résolu, Laffont, 1979.
11. See Armin Mohler and Anton Peisl (eds.), Die deutsche Neurose, Ullstein, Berlin, 1980.
12. Danser aujourd’hui, Grasset, 1981.
13. L’État, le pouvoir, le socialisme, PVF, 1978, p. 109.
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Caro Babbo Natale,
Questa è la letterina di una femminista intersezionale incazzata. Una di quelle che se notano un'ingiustizia di qualsiasi tipo, invece di farsi i cazzi propri ci mettono bocca per difendere chi subisce. Questa femminista intersezionale incazzata ha dei desideri che potrebbero genericamente essere riassunti con "l'uguaglianza tra tutte le persone e la pace nel mondo", ma siccome è una rompicoglioni di prima categoria andrà ad articolare.
Vorrei che l'esistenza delle persone queer non fosse più considerata una deviazione dalla norma. Che non dovessimo dimostrare niente a nessunə. Che il Pride diventasse solo un momento di festa e non di lotta. Che lɜ miɜ compagnɜ non dovessero più nascondersi da chi ancora ci considera malatɜ o possedutɜ dal demonio.
Vorrei che ogni donna e soggettività socializzata come tale fosse libera di fare ciò che vuole, con chi vuole, quando vuole. Che non ci considerassero più "angeli del focolare" o "preziosi oggetti da proteggere". Che il nostro genere e la sua espressione non condizionino lo sguardo altrui e il trattamento riservatoci. Che la cultura dello stupro finisse una volta per tutte.
Vorrei che le persone grasse venissero considerate in quanto persone e non in quanto grasse. Che la Medicina si impegnasse per eliminare la concezione popolare che il peso corporeo sia necessariamente correlato allo stato di salute. Che i media rappresentassero ogni tipo di corpo e le aziende di abbigliamento tenessero conto della loro varietà. Che i mezzi di trasporto e le strutture artificiali in generale non fossero concepite solo per accogliere una limitata gamma di corpi.
Vorrei la fine del razzismo. Che una persona non dovesse più essere giudicata in base al colore della pelle o alla nazionalità. Che gli stereotipi sulla provenienza geografica diventassero obsoleti. Che riuscissimo a considerare in egual modo tutti i conflitti in atto, non soltanto quelli vicini a noi, e riuscissimo sempre a distinguere l'oppressorə dall'oppressə.
Vorrei che la disabilità non venisse considerata il tratto caratteristico di una persona. Che tutte le persone abili riuscissero ad avere uno sguardo non pietistico verso le persone disabili. Che non si utilizzasse più la pornografia del dolore nei media. Che le istituzioni si impegnassero affinché la vita di una persona disabile non debba essere per forza più difficile di quella di chi non lo è.
Vorrei che si riuscisse ad abbattere lo stigma sulla salute mentale. Che le patologie psichiatriche fossero considerate esattamente come tutte le altre. Che si investisse sulla formazione e l'offerta nel pubblico e che si istituisse la figura dellə psicologə di base, per tuttɜ.
Vorrei che si eliminasse l'enorme divario economico tra persone estremamente ricche e persone estremamente povere. Che per la politica parole come "patrimoniale", "progressività" e "salario minimo" non fossero tabù. Vorrei il reddito universale e che tuttɜ avessero diritto a campare dignitosamente.
Vorrei giustizia climatica.
Vorrei la fine della discriminazione di OGNI soggettività marginalizzata.
Vorrei l'abolizione, o quantomeno una riforma, delle forze dell'ordine e del sistema carcerario.
Vorrei la tutela di tutti gli animali non umani.
Vorrei la decriminalizzazione e la regolamentazione della maternità surrogata.
Vorrei che "sex work is work" fosse realtà e non più solo uno slogan.
Vorrei la Palestina libera.
Vorrei tante cose, ma più di tutto
Vorrei la fine del sistema ciseteropatriarcale bianco, abile e borghese.
E se non l'avrò da Babbo Natale, lotterò per ottenerla con le forze mie e dell3 miɜ compagnɜ.
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Alcuni articoli sul tema: prevenzione, longevità, vivere più a lungo, malattie…
15– Assunzione -prudente-, superati, generalmente, i 40 anni di età, di integratori articolari, effettuando anche il dosaggio ematico della vitamina D e ove risulti carente integrarla, in quanto il mantenimento della salute dell’apparato osteo-articolare è fondamentale per il benessere generale… Medicina – Consigli generali su come mantenere una buona salute e vivere -qualitativamente- più a lungo.
La prevenzione di qualunque malattia e, dunque, anche del cancro, non può prescindere dall’assumere una dieta, con il giusto apporto di liquidi, sana ed equilibrata, ricca di cibi dai variegati colori e che contengano nutrienti diversificati e numerosi antiossidanti; quest’ultimi, in particolare… Medicina – Non può esserci prevenzione delle malattie senza una dieta sana ed equilibrata che sia ricca di cibi dai variegati colori.
‘Prevenzione‘ non vuol dire solo eliminare ciò che nuoce -certo questo tipo di primaria prevenzione è da preferirsi sempre-, in quanto quando ciò non sia possibile (per i più svariati motivi) la prevenzione pur sempre vi è da farsi e deve precisamente consistere nell’obbiettivo di controbilanciare gli effetti negativi dello stato di tossicità… Medicina – Fumi? Ascolta allora…
Per bioequivalenza si intende che il medicinale generico (equivalente), con la stessa dose di principio attivo di quello originale, deve produrre, dopo la somministrazione, livelli -quantitativi- di concentrazione ematica (del principio attivo) sovrapponibili anche in relazione al tempo e alla velocità… Medicina – I farmaci generici, detti anche equivalenti, sono identici ai farmaci di ‘marca’? Facciamo chiarezza…
Passare il filo interdentale una volta al giorno e preferibilmente in occasione dell’ultimo spazzolamento in serata (ovvero prima di andare a letto). Per alcuni soggetti, dopo l’uso del filo interdentale, sarà anche utile, se non necessario, usare uno scovolino sempre in occasione dello spazzolamento serale (prima di andare a letto). Usare uno spazzolino elettrico (avendo cura di passare con precisione tutte le superfici dentali e i solchi gengivali)… Medicina – Impariamo a preservare denti e gengive.
Alla scomparsa dei sintomi, o perlomeno alla riduzione degli stessi, sarà necessario fare quanto segue: rimedio efficacissimo, e molto più utile (almeno nella fase successiva al trattamento dei ‘sintomi’) di molti trattamenti a lungo termine (i quali offrono, in molti casi, solo una temporanea scomparsa dei sintomi, ma non incidono molto sulle peculiari e frequenti recidive), è scoprire… Medicina – Balanite, postite e balanopostite. Diagnosi, cause e cura.
Per la conferma della diagnosi (la quale, in genere, avviene clinicamente) sono utili l’ecografia e/o la risonanza magnetica, anche se a volte può necessitarsi finanche una biopsia. Il trattamento del morbo di Ledderhose può essere di tipo conservativo o di tipo chirurgico, e ciò in relazione alla sintomatologia accusata dal paziente e al grado di invasione raggiunto dalle lesioni… Medicina – Il morbo di Ledderhose.
Premesso che la terapia per il reflusso laringo-faringeo potrebbe risultare abbastanza lunga, il medico specialista diligente dovrà prescrivere, per del tempo, l’assunzione orale al mattino (almeno 20 minuti prima della colazione) e alla sera prima di andare a letto, di un gastroprotettore (ove non vi siano altri disturbi che rendano più complessa… Medicina – Reflusso laringo-faringeo. Diagnosi, cause e cura.
Per altri articoli sul tema clicca sulla pagina: ‘Medicina‘.
N.B. Stefano Ligorio, in ambito di tematiche mediche, è anche autore di un libro dal titolo: ‘La Strana Malattia (Come prevenire, diagnosticare e curare l’ansia e la depressione)’, ma anche di: ‘Il Cancro – Vademecum- (Guida Pratica alla Prevenzione e alla Cura del Tumore Maligno)’.
Stefano Ligorio
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Amato Novelli: Poeta, Patologo e Innovatore. Un medico che ha saputo raccontare la vita con la scienza e la poesia. Recensione di Alessandria today
Amato Novelli (Roma, 14 settembre 1922 – Genova, 23 febbraio 2009) è stato una figura poliedrica, capace di eccellere in due campi apparentemente lontani: la medicina e la poesia.
Amato Novelli (Roma, 14 settembre 1922 – Genova, 23 febbraio 2009) è stato una figura poliedrica, capace di eccellere in due campi apparentemente lontani: la medicina e la poesia. Professore ordinario di Patologia Generale all’Università di Genova, Novelli è ricordato come uno studioso brillante e come un poeta sensibile, che ha saputo tradurre l’esperienza umana in versi. Biografia di Amato…
#Alessandria today#Amato Novelli#Biografia#cultura genovese#Cultura italiana#Genova#Google News#innovazione scientifica#Introspezione poetica#Ispirazione poetica#italianewsmedia.com#La lucciola nella bottiglia#L’Oasi Bianca#letteratura italiana#medicina e arte#medicina e poesia#Microbiologia#patologia cellulare#patologia generale#Pier Carlo Lava#poesia autobiografica#poesia contemporanea#Poesia del Novecento#poesia e medicina#poesia e scienza#poesia e vita#poesia evocativa#poesia genovese#poesia italiana#poesia religiosa
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Campo de Accion
Campo de Accion
https://www.campodeaccion.com
El campo de acción se refiere al conjunto de áreas o actividades en las que una persona, empresa o profesión puede desarrollarse o aplicar su conocimiento y habilidades. Dependiendo del contexto, puede implicar los límites, objetivos, responsabilidades y tareas específicas dentro de un área de trabajo.
En términos generales, el campo de acción puede incluir aspectos como:
1. Profesional
Las áreas en las que una persona o profesión específica puede ejercer su conocimiento.
Ejemplo: El campo de acción de un médico laboral incluye la evaluación de riesgos laborales, prevención de enfermedades profesionales, manejo de la salud en entornos laborales, y asesoramiento a empresas sobre medidas de seguridad y bienestar en el trabajo.
2. Empresarial
Los sectores o mercados en los que una empresa opera o puede expandirse.
Ejemplo: Una empresa de tecnología puede tener como campo de acción el desarrollo de software, soluciones en la nube, servicios de consultoría IT, entre otros.
3. Académico
Las disciplinas o áreas de estudio en las que un académico o investigador desarrolla su trabajo.
Ejemplo: El campo de acción de un profesor universitario puede incluir la docencia, investigación, participación en congresos, y publicación de trabajos científicos.
4. Legal
Las competencias y áreas en las que una legislación o norma tiene efecto o se puede aplicar.
Ejemplo: El campo de acción de una ley laboral abarca la protección de los derechos de los trabajadores y la regulación de las condiciones de empleo.
Ejemplo en Medicina Laboral
En el contexto de la medicina laboral, el campo de acción abarca:
Evaluación y control de riesgos laborales: Identificación de peligros y mitigación de riesgos en el lugar de trabajo.
Prevención de enfermedades profesionales: Implementación de programas para evitar el desarrollo de enfermedades derivadas del entorno laboral.
Ergonomía: Estudio y aplicación de prácticas que mejoren la adaptación del trabajo al ser humano para evitar lesiones.
Salud mental en el trabajo: Programas de promoción del bienestar emocional y psicológico de los empleados.
Asesoría a empresas: Consultoría sobre prácticas seguras, cumplimiento normativo y estrategias para mejorar el entorno laboral.
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A colloquio con il sindaco
A colloquio con il sindaco Ghioldi su rapporti con l’Azienda socio sanitaria, presenza sul territorio dei medici di base, sinergie con i comuni vicini. Capitolo Case di Comunità e questioni sovracomunali.
l'articolo completo su il Bustese
Sulla presenza di medici di medicina generale, per esempio, dice: «A Solbiate, finora, è andata abbastanza bene, non registriamo i problemi che si sono visti in altre realtà. Inoltre, seguiamo l’evolversi della situazione, e le novità, relative alle sedi territoriali di Asst, quelle attivate e quelle che arriveranno. I punti di riferimento sono, saranno a Fagnano e Castellanza. Certo, una questione merita di essere considerata: andrebbe attivato un servizio di trasporto, un collegamento tra i Comuni che, come Solbiate, non hanno e non avranno queste sedi e le Case di Comunità».
Ghioldi si sofferma, poi, sul confronto con Asst, punto sul quale il suo omologo si è espresso anche in modo critico: «Ovviamente il confronto serve, la continuità nel tempo pure. Torno sulle Case di Comunità: gli incontri con Asst dovrebbero avvenire anche per monitorare le loro attività. Inoltre sarebbe auspicabile un coinvolgimento ancora maggiore dell'Azienda Speciale Consortile del Medio Olona, soprattutto in tema di Tutela Minori e Neuropsichiatria infantile. Infine penso al servizio Cup, apprezzato dai cittadini, presente nei Comuni. Ecco, i Comuni della Valle Olona vorrebbero tenerli, i Cup, senza che questi fossero attivi nelle sole Case di Comunità. C’è già stato un incontro per prolungare l’assetto attuale».
E l'ospedale Busto/Gallarate? «Dato che la scelta è stata fatta, serve procedere senza perdere tempo. E, altrettanto importante, senza che il servizio offerto dagli ospedali esistenti degradi»
Sulla necessità di attuare e implementare sinergie tra comuni (il collega marnatese ha citato i temi del personale e della Polizia Locale), il primo cittadino di Solbiate si dice d’accordo: «La questione compare anche nel nostro Documento di programmazione. Il dialogo è abbozzato, vedremo. Certo, che sia necessario parlarsi, e concretizzare, è evidente. Basta osservare, per fare un esempio anche visivo, certe piste ciclopedonali che arrivano al confine di un Comune. E finiscono lì, senza proseguire in quello confinante. Poi Solbiate ha il suo problema caratteristico». Noto e stranoto: la viabilità. «Il traffico pesante che attraversa la valle – conclude Ghioldi - passa a dir poco in via prioritaria da Solbiate. Comune piccolo ma con due strade provinciali. Ovviamente porteremo la questione nelle sedi competenti, alla nuova Giunta della Provincia».
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L’età è solo uno stato mentale: svelare il concetto di Età Mentale
Introduzione Ti è mai capitato di sentirti più vecchio o più giovane della tua età cronologica? Hai mai incontrato un bambino che sembra più saggio rispetto ai suoi anni, o magari un adulto che mantiene uno spirito giovanile nonostante i capelli grigi? Questa affascinante disparità tra età fisica e psicologica non è una mera illusione; si tratta di un costrutto teorico consolidato, noto come “età mentale”. Questo concetto ha implicazioni significative sul nostro equilibrio psicofisico complessivo, influenzando il modo in cui percepiamo noi stessi e interagiamo con il mondo che ci circonda.
Che cos’è l’età mentale? L’età mentale è una parametro utilizzato nelle valutazioni psicologiche per indicare il livello di sviluppo o di maturità mentale di una persona, in base al numero di anni tipicamente necessari a un individuo medio per raggiungere quello stesso livello. Tale concetto non si limita a conteggiare il numero di anni di vita di qualcuno, ma si addentra nell’analisi della maturità psicologica ed emotiva del soggetto.
Dall’esame dell’età mentale possiamo trarre preziose indicazioni sul modo in cui le nostre capacità cognitive, le esperienze di vita e l’intelligenza emotiva plasmano la nostra identità e, in ultima analisi, le nostre relazioni con gli altri. La comprensione di tali peculiarità può aiutarci ad apprezzare i diversi modi in cui le persone affrontano la vita, indipendentemente dalla loro età anagrafica.
Età mentale ed età cronologica La nozione di età cronologica è piuttosto semplice: si riferisce al numero di anni di vita di una persona dalla sua nascita. L’età mentale, invece, è un concetto più complesso e personale. Riflette le capacità cognitive, lo sviluppo emotivo e il livello di saggezza di una persona. A differenza dell’età cronologica, l’età mentale non è fissa e può variare a seconda delle esperienze, dell’ambiente e dello spirito di una persona.
La scienza alla base dell’età mentale La senilità è uno stato mentale, come suggeriscono numerose ricerche. Per esempio, il famoso studio longitudinale dell’Ohio sull’invecchiamento e il pensionamento di Atchley ha scoperto che una prospettiva positiva sull’avanzare dell’età può aggiungere in media 7,6 anni alla vita di una persona.
Negli anni ’80 fu condotto un esperimento in cui alcuni uomini anziani vennero trasportati in un ambiente che simulava la loro giovinezza. Questo studio ha rivelato notevoli miglioramenti nelle loro capacità fisiche e cognitive. I partecipanti vennero istruiti a immergersi completamente nella loro giovinezza, il che portò a cambiamenti impressionanti nella postura, nella destrezza e nell’aspetto fisico generale. Sorprendentemente, anche la vista migliorò grazie a questa esperienza immersiva.
L’impatto dell’età mentale sulla salute e sul benessere La percezione di noi stessi può avere un effetto profondo sulla salute e sul nostro benessere generale. Secondo una ricerca condotta dalla psicologa Becca Levy dell’Università di Yale, le persone anziane che hanno convinzioni negative sull’invecchiamento tendono a subire un declino più evidente delle loro capacità uditive nell’arco di tre anni rispetto a coloro che hanno una prospettiva più ottimistica.
Un’investigazione condotta dalla Scuola di Medicina dell’Università di Exeter ha rivelato che le persone in età avanzata che si percepiscono come deboli sono meno inclini a partecipare ad attività fisiche, con conseguente aumento del rischio di fragilità. In sostanza, il benessere fisico è influenzato dalle percezioni mentali.
Mantenere una mente giovane: Il ruolo delle nuove esperienze L’adozione di nuove esperienze potrebbe essere la chiave per conservare una mentalità giovane. Le ricerche hanno dimostrato che esiste un legame significativo tra l’avere uno scopo e la salute e la felicità generale in età avanzata. Partecipare ad attività stimolanti, acquisire nuove abilità e affrontare nuove sfide può aiutarci a rimanere vivaci e giovani, sia mentalmente che fisicamente.
Viaggiare: L’elisir di giovinezza Uno dei metodi più efficaci per mantenere un’età mentale giovane è viaggiare. Questa attività comporta l’abbracciare nuove esperienze, acquisire capacità e superare ostacoli. È un impegno dinamico che stimola lo spirito, ci mantiene mentalmente agili e favorisce una prospettiva giovanile.
Come la percezione dà forma alla realtà: La storia di otto uomini anziani Un esperimento radicale condotto nel 1981 racchiude magnificamente il modo in cui la nostra età mentale può influenzare il nostro stato fisico. Otto uomini anziani furono trasportati in un monastero riconvertito, progettato per evocare il 1959. Dopo aver vissuto per cinque giorni in questa distorsione temporale, gli uomini mostrarono un miglioramento delle capacità fisiche e cognitive, dimostrando il potente influsso della mentalità sulla realtà fisica.
L’impatto delle esperienze di vita sull’età mentale L’età mentale può essere fortemente influenzata dalle esperienze di vita, soprattutto quelle difficili. Eventi traumatici, responsabilità e situazioni scabrose possono portare a una maturazione mentale più rapida rispetto ad altri. Per esempio, un bambino che subisce la perdita di un genitore in giovane età può sviluppare una maturità mentale superiore a quella dei suoi coetanei.
Il ruolo dell’umorismo nell’età mentale L’età percepita può essere notevolmente influenzata dal possesso del senso dell’umorismo. Mantenere un atteggiamento positivo e saper cogliere il lato ironico nelle assurdità della vita può dare l’impressione di essere più giovani della propria età reale. L’umorismo funge da scudo contro le dure verità della vita, consentendoci di mantenere una mentalità giovanile.
Età mentale e condizioni neurologiche Anche alcune condizioni neurologiche o disturbi cognitivi possono influenzare l’età mentale di una persona. Per esempio, un individuo affetto da autismo grave potrebbe avere l’atteggiamento di un bambino pur essendo cronologicamente un adulto. Questi scenari sottolineano l’importanza di affrontare l’età mentale con empatia e comprensione, riconoscendone la natura complessa e sfaccettata.
Conclusione Considerando tutte le informazioni riportate in precedenza, l’età può essere semplicemente definita come una prospettiva. La maturità psicologica, influenzata dai nostri trascorsi, comportamenti e prospettive, può incidere notevolmente sul nostro benessere, sulla qualità della vita e sulla salute complessiva. Pertanto, quando soffi sulle candeline della torta di compleanno, tieni presente che la tua maturità mentale è altrettanto fondamentale, se non di più, del numero dei tuoi anni.
Come si misura l’età mentale? Ad esempio, con il nostro test dell’età mentale, unico nel suo genere, divertente e acuto al tempo stesso. Se hai meno di 16 anni devi assolutamente provare anche il test della saggezza giovanile!
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Dottore sono una ragazza di 25 anni che, in primis, soffre di mal di testa. In secundis ho gli ormoni pazzi e di conseguenza mi ritrovo con alopecia androgenetica ed irsutismo! Ho anche una fantastica vestibolite vulvare che mi perseguita dal 2015 (diagnosticata nel 2018)e che tutti i ginecologi hanno sempre trattato come candida (e, detto fra noi, mi è anche passata la voglia di provare a farmi curare!).
Ora, sono stata da neurologa,dermatologa ed endocrinologo. La dermatologa mi ha consigliato (dopo un fallimentare tentativo con delle fialette per capelli che costavano uno sproposito) di ri-cominciare la terapia con la pillola (prendevo una pillola ma ho fatto wash out per un anno ormai, avevo smesso perché mi venivano crisi emicraniche) per bloccare la perdita di capelli + minoxidil biorga 2% per cercare di mantenere stabile la situazione.
Endocrinologo ha confermato che per questo problema sarebbe ottima la pillola ma Neurologa mi ha detto di stare lontana dalla pillola anticoncezionale perché potrebbe darmi molti problemi aka emicrania con aura che mi è venuta per due volte nel giro di due anni finché prendevo la pillola.
Lei cosa consiglia? Rischio di farmi saltare per aria il cervello ricominciando a prendere la pillola?
Sono molto spaventata, sconsolata e spaesata.
Quel giorno che gli specialisti parleranno fra di loro senza arroccarsi sulle proprie posizioni, sarà il giorno in cui la federazione dei Pianeti Uniti avrà con noi il primo Contatto e ci permetterà di entrare a far parte della loro flotta stellare.
Questo è il caso in cui la somma della ragione di tutti dà come risultato un torto e infatti - cosa che viene ignorata da molti - di solito non devi fare quello che ti dice lo specialista... devi andare dal tuo medico di medicina generale ('di base') che DEVE CONFERMARE O MENO QUANTO DETTO DALLO SPECIALISTA.
È il medico di base a prescriverti la cura, lo specialista LA CONSIGLIA e difatti quella dovrebbe essere la formula: caro Dott.Giansturzio, ho visto il tuo assistito e consiglio una ciclo di.
Il mio consiglio, perciò, è di coinvolgerlo, al netto di attese telefoniche, visite lunghe a ottenersi e frettolose a farsi.
A latere, sebbene sia endocrinologo che neurologo abbiano ragione su riposo ovarico tramite COC ed emicrania, considera che - anche se meno efficaci - esistono COC (Contraccettivi Orali Combinati) a bassi dosaggi pensati non per la contraccezione ma solo per gli effetti 'risposanti' sul ciclo ovulatorio e, addirittura, i POP (Progestogen Only Pill) che contengono solo progesterone e non gli estrogeni responsabili di emicrania, ritenzione idrica e irritabilità.
Ah... immagino che il disturbo ormonale di cui parli sia il PCOS (Poly-Cystic Ovary Syndrome), la famigerata e frequentissima Sindrome dell'Ovaio Policistico, una condizione molto frequente nelle donne con problemi di stress, sedentarietà, peso e dieta equilibrata.
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DALL’OPPRESSIONE TALEBANA A CALCIATRICE DEL MILAN
Una giovane donna Afghana di 36 anni dal gennaio 2024 è membro effettivo della squadra di calcio femminile del Milan nel campionato professionisti in serie A; ha imparato a giocare a pallone in un campo profughi e oggi è diventata una delle sportive più influenti del mondo.
Nadia Nadim, le sorelle e la madre abbandonano l’Afghanistan dopo che il padre, un generale dell’esercito afgano, viene assassinato dai talebani. Dopo aver attraversato il Pakistan giunge in Danimarca dove trova accoglienza e cresce in un campo per rifugiati. Nata in un Paese in cui alle donne non è permesso uscire di casa senza un uomo né praticare sport, Nadia si innamora del calcio e si allena molto fin che viene notata per le sue capacità e diventa attaccante nella lega professionista. Nella sua carriera ha giocato, tra le altre, nel Manchester City, nel Paris Saint Germain, oltre a far parte della Nazionale danese. Nel frattempo, si laurea in medicina e sogna di diventare chirurgo. L’UNESCO la sceglie come ‘campionessa per l’istruzione delle ragazze e delle donne’; diventa un modello contro le norme di genere e la discriminazione. Il suo ruolo è far conoscere i programmi che le Nazioni Unite promuovono per far rispettare il diritto delle donne a partecipare all’educazione fisica e allo sport a tutti i livelli.
“Mi è stato detto che le donne non giocano a calcio e che c’erano altre cose che mi aspettavano. Ho risposto che non era vero. Così ho iniziato a giocare a calcio” racconta.
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Fonte: AC Milan; Unesco; foto di Ray Terrill
Volonwrite per Mezzopieno
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