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Come sembra lontano il giorno quando il cielo è appena spento.
-Marco Mengoni
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"Poi ti ricordi quando ti senti da solo, ti ricordi quando non c'era nessuno, solo una pazza musica..."
Marco Mengoni - Che Tempo Che Fa 28.05.2023 Per l'album completo andate su Facebook! Ps: vi aspetto anche su Instagram e Twitter :D
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L'ultima muta
Non si è che panni appesi senza corpo a motivare a muovere i gesti di sempre, negli armadi del tramonto immobile, l’ultima muta lasciata strusciando respiri su lapidi senza nome – eco ed ombra di giorni vissuti, di un presente ancora caldo – tessuti affezionati al mondo e alla storia spoglie archiviate dell’umano coprirsi emanano profumi di azioni terrene come luce residua di stelle morte, si…
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(...) l’amore non sarà mai: materia, terra, cosa; sarà sempre una parola che vola, una farfalla che ti si posa un attimo sulla testa e ti rende tanto più ridicolo quanto maggiore è la sua bellezza.
Giorgio Gaber
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Non hai più voglia di fare l’amore?
È normale, questa società ti ha tarpato l’origine dell’energia radice per radice: il gioco, la gioia, la risata, la fantasia, la magia, il ballo, il tatto, l’abbraccio, l’improvvisazione, le sorprese.
Per aver voglia di fare l’amore, devi fare il pane, trovare nuovi utilizzi agli oggetti, giocare con dei bambini, impiastricciarti tutto e morire dal ridere.
Devi cedere il comando alla fantasia e disegnare quello che viene su tutto quello che vedi.
Cucinare con combinazioni nuove ogni giorno, invitare gli amici, sperimentare con la materia, annusare pugni di sottobosco, abbracciare gli alberi, giocare con un cane sporcandoti da capo a piedi.
Per aver voglia di fare l’amore, la tua giornata dev’essere un tripudio di situazioni tragicomiche, surreali e poetiche…
Le persone di cui ti circondi dovrebbero essere collegate al cuore e alla pancia, ridere di gusto, godersi i sapori veri, vedere la bellezza in ogni cosa, saper tornare bambini, divertirsi con niente… E se non se lo ricordano, accendili tu.
Per aver voglia di fare l’amore, devi far sì che la tua vita sia un atto di creazione continua! Un circolo virtuoso. Un vulcano inesauribile. Una nave piena di tesori.
Scrivi, dipingi, canta ogni volta che puoi, gioca, fai scherzi, balla da sola, non importa che tempo fa, non importa cosa capita fuori, non importa se puoi o non puoi fare questo o quello oggi: svegliati con la certezza che tu renderai la tua giornata esilarante!
Per aver voglia di fare l’amore, devi sorprenderti, stupire te stessa, camminare sui divani, sdraiarti per terra, mangiare quando ti pare, creare con qualunque cosa - situazioni, opere, doni, battute, avventura...
Il gioco, la gioia, la risata, la fantasia, la magia, il ballo, il tatto, l’abbraccio, l’improvvisazione, la sorpresa devono diventare ingredienti immancabili della tua esistenza, dal momento in cui apri gli occhi alla mattina.
Per avere sempre voglia di fare l’amore, devi far sì che la tua vita sia un atto di creazione continua.
Sonia Serravalli
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...ogni tanto è bene ripostarlo:
7 frasi da evitare per non sembrare un analfabeta funzionale, di Dario Bressanini
1) “A me una volta è successo che…”:
sulla terra siamo 7 miliardi di persone, quindi quello che è successo a te costituisce “un settemiliardesimo” delle ipotesi possibili. L’esperienza personale non è una legge universale.
2) “Ho letto su internet che…”:
su internet c’è tutto, il contrario di tutto e tutte le sfumature che ci stanno in mezzo; se non hai le competenze specifiche per distinguere ciò che è plausibile da ciò che è inverosimile, quello che hai letto tu non significa assolutamente nulla perché tanto su internet c’è sempre anche il suo esatto contrario.
3) “Non credo alla versione/teoria ufficiale, dimostrami tu che è valida”:
una versione/teoria ufficiale è tale proprio perché gode già del supporto probatorio necessario per essere considerata preferibile a tutte le altre. Pertanto, se non credi alla versione ufficiale spetta a te l’onere di provare perché questa sia errata, e anche perché la tua sia invece valida. Pretendere l’inversione dell’onere della prova è un atteggiamento profondamente illogico e antiscientifico.
Il fatto che tu non comprenda il contenuto di quelle prove non significa che quelle prove non esistano o non siano valide, significa solo che tu non hai gli strumenti e le conoscenze per comprenderle.
4) “Ci guadagnano sopra, quindi sicuramente c’è qualcosa sotto”: se escludete i volontari e gli stagisti, tutte le professioni del mondo sono a scopo di lucro, quindi tutti noi guadagniamo da quello che facciamo. Ciò non ci rende tutti automaticamente parte di un qualche complotto o sotterfugio.
5) “Quella volta è accaduto che…, quindi anche questa volta…”:
“quella volta” è diversa da “questa volta”. Se una cosa capita in una occasione non c’è nessuna legge che stabilisce automaticamente che accada sempre e a tutti. Se un medico vende organi sotto banco, non significa che tutti i medici lo facciano ogni giorno; se un ingegnere sbaglia i calcoli, non significa che tutti gli ingegneri siano cani e non sappiano fare il loro lavoro; se un avvocato prende una mazzetta, non significa che tutti gli avvocati siano corrotti o corruttibili. Serve una prova specifica per ogni singolo caso.
6) “Tu hai la tua opinione, io ho diritto ad avere la mia”:
questo è un principio sacrosanto quando si parla di preferire le bionde o le brune, il mare o la montagna, la Juve o il Milan. Ma quando si parla di argomenti scientifici, la tua opinione non conta assolutamente nulla se non hai competenze e ragioni tecniche che possano dimostrare la validità di quella opinione; o forse pretendi di avere un’opinione anche su come si calcola l’area del triangolo?
7) “Non mi fido della roba chimica, quindi…”:
La chimica spiega la composizione della materia in generale, di conseguenza tutto ciò che esiste nell’universo è chimico. L’acqua ad esempio è composta da due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, quindi è fatta di sostanze chimiche. E lo sei anche tu.
Se il vostro ragionamento si basa su uno o più di questi presupposti, sappiate che il vostro approccio è stupido, illogico e antiscientifico, quindi evitate di renderlo pubblico.
Ne va della vostra reputazione.
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“ A volte penso di appartenere a un’altra specie; questo pensiero che avanza in me assurdo come una mostruosità, contraddetto dall’apparenza ordinaria dei miei tratti e dalla mappa fantastica dei cromosomi, ha il potere di rasserenarmi. Nelle rare lezioni che ascoltai quando vagabondavo per le università, le uniche che ebbero il potere di incatenare la mia attenzione, richiamandomi alla coscienza strane e diverse emozioni, mostravano il mirabile codice della specie. Di esso rimanevo stupita come se la spirale della vita fosse un’altra possibile versione della chiave musicale del violino; una sorta di vibrazione sfuggita alla deflagrazione originaria da cui ogni cosa prese forma. Non volli imparare la catena di formule che, intrecciandosi in una magica danza, non ripeteva mai se stessa e con certezza assoluta custodiva l’identità unica di ogni nuova vita. Mi sembrò sempre che la riduzione di un simile prodigio all’apprendimento sterile del nome scientifico, la sua evocazione dotta e assurda nelle luce morta dei laboratori, avrebbero aperto, attirandola su noi, la catena infinita e ottusa del dolore. Bisogna essere molto ciechi per aggiungere nuove sofferenze all’eredità di dolore lasciata da chi è passato prima di noi!
Così, quando in un paese qualunque, forse nell’emisfero australe o nel silenzio dimenticato degli Incas, qualcuno ha trovato serbata la chiave della vita nel cuore indifferente di una pietra, come se questa fosse la cellula di un corpo o la memoria atomizzata dell’unica esplosione, io ho avuto la conferma di ciò che sempre pensai. Nello spartito della vita, risuoniamo tutti con un’unica nota le cui vibrazioni mutano impercettibilmente per la materia che ci accade di essere. Allo stesso modo, ho orrore dell’onnipotenza feroce, della dogmatica sordità, che traccia il confine fra ciò che è sano e il suo contrario. Tremo di fronte all’arroganza impietosa dei corpi sani, all’oscena prepotenza della loro forza; alla sicumera gloriosa con cui avanzano nell’universo pretendendo di esserne i padroni invulnerabili. Niente è più vano e folle di questa illusione: bisogna essere un po’ di pietra e d’albero; un po’ di mare e di tuono per ricordarsi la nota originaria; bisogna essere un po’ mostri per sentire risuonare la meraviglia e l’orrore di altri mondi lontani. In me vive il dubbio che l’errore genetico, da cui prendono vita creature mostruose e tenerissime; piccoli tartari con gli occhi all’insù, dalla memoria prodigiosa di Pico della Mirandola che suonano a volte come angeli, o vecchi-bambini destinati a vivere un quarto di secolo, nascosti come ragni nelle case per non offendere la proterva salute dei normali, incarni un’altra razza. O forse creature di altri spazi; abitanti di pianeti lontani, i cui frammenti vitali caddero errando, nel luogo sbagliato. Questo spiegherebbe la malinconia commovente di certi occhi fissati nel vuoto, che guardano mondi perduti e sorridono solo a essi, resistendo a tutte le seduzioni della nostra inutile umanità. La follia infine; non so se i suoi segni siano iscritti nell’abbraccio elicoidale della vita e neanche se appartenga al codice segreto di un’altra specie precipitata sulla terra. Credo piuttosto che essa sia un tramite; un sesto senso rimasto aperto per vocazione o per destino, dove le mostruosità svelano la propria origine autentica. In altri luoghi, lontani dagli orridi tavoli vivisettori che in nome della scienza profanano oscenamente i misteri della vita e della morte; in altri tempi da quelli in cui l’angoscia ci stringe a vivere, i folli furono celebrati come creature divine, nelle quali circolava libera la sapienza onnisciente. Erano tempi e luoghi dove la sadica struttura normativa che ci conculca non aveva ancora vinto, né aveva ancora sedotto l’intera umanità al peccato originario dell’invidia e alla pestilenza della sua vanità coattiva. Così essa non tollera che una creatura fugga al giogo delle rivalità fra uguali e, attraverso i mondi della follia, scelga l’identità eversiva a cui lo destinava l’unicità della sua nascita. Con un ukàse che non ammette eccezioni, l’alieno viene piegato all’annientamento dei suoi mondi e il veleno sottile dell’invidia raggiunge il suo centro creativo distruggendone le centraline. Ridotto a un’oscurità senza mostri e a un silenzio senza presagi, finalmente appartiene alla specie. “
Mariateresa Di Lascia, Passaggio in ombra, Feltrinelli (collana I Narratori), 1995¹; pp. 116-117.
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La strumentalità politica del ministro Musumeci e del viceministro Bignami è evidente, soprattutto da chi qui non si è mai visto. E stavolta è degenerata nello sciacallaggio. Lo stato di emergenza è il minimo sindacale e il Commissario da Roma un errore madornale. La mia intervista a La Stampa a firma di Francesca Schianchi
«Gli ha già risposto la presidente Priolo: quei soldi li abbiamo ricevuti nel corso di 14 anni, non dieci, 40 milioni l’anno. E l’85 per cento di quelle risorse sono già rendicontate, il resto è impegnato in opere in corso. Musumeci poteva rivolgersi al ministro dell’Ambiente, e chiedergli anche se l’Emilia-Romagna è tra le regioni virtuose o meno. E poteva fargli anche un’altra domanda».
«Quanto ha speso la Regione Sicilia, quando Musumeci era presidente? Così, per fare un dibattito pubblico. È una polemica indecente, aperta nel corso di un’emergenza da chi qui, dopo il maggio 2023, non si è più fatto vedere».
«Dopo l’alluvione di maggio 2023 è venuto una volta e poi non si è più visto né sentito. La premier Meloni è venuta due volte e aveva preso un impegno importante, che purtroppo non ha mantenuto».
«Aveva promesso il rimborso del 100 per cento dei danni a famiglie e imprese. A fronte di una stima di quasi quattro miliardi, ad oggi hanno liquidato 12milioni. Mi auguro rimedi».
«Tutte le risorse sono state programmate e impegnate. Quanto ai flussi finanziari, chi amministra dovrebbe sapere che le liquidazioni avvengono a valle. Ma è incredibile che il governo, dopo aver scelto di accentrare tutta la gestione a Roma, se la prenda con gli amministratori locali. Dopo di ché, moltissimi interventi di messa insicurezza sono stati completati: se gli sfollati sono 1250 e non 45mila come l’anno scorso, è perché la maggior parte delle infrastrutture ha retto».
«Guardi che a chiedere che fossi nominato commissario furono anche i sindaci di centrodestra e tutte le parti sociali della regione. Perché le cose vanno gestite sul territorio a tempo pieno, come abbiamo dimostrato dopo il sisma del 2012. E, a differenza di questa destra, prima Errani e poi io abbiamo collaborato con tutti i governi, senza distinzione di colore politico».
«Ho detto da subito che una gestione commissariale da Roma era un errore madornale. Ma questo non toglie la mia stima per Figliuolo, che da servitore dello Stato ha fatto alle condizioni date».
«Al pari di altre, in particolare del Nord. Eravamo una terra tra le più povere del Paese nel dopoguerra, oggi siamo una delle regioni con aspettativa e qualità della vita più alte in Europa, grazie anche a tanti distretti manifatturieri e tante infrastrutture. È vero che in Italia e in Emilia-Romagna si è consumato troppo suolo: per questo abbiamo approvato una legge regionale che punta alla rigenerazione urbana e al saldo zero del consumo di suolo, la più restrittiva del Paese. Ne servirebbe una nazionale in materia: se Bignami se ne occupasse, gliene renderemmo merito».
«A me radical chic non lo ha mai detto nessuno. Però, a differenza di Bignami, io non ignoro e non nego il cambiamento climatico. La differenza è tutta qui: questa destra attacca la scienza e scarica sempre la responsabilità su altri».
«Ho apprezzato che la premier abbia chiamato la presidente Priolo e stanziato subito 20milionidi euro. Che venga dichiarato lo stato di emergenza, però, è il minimo sindacale in casi come questo».
«Musumeci e Bignami hanno fatto una conferenza stampa per attaccare Regioni e comuni mentre erano in corso i soccorsi. Sapendo di essere in difficoltà, si sono giocati il tutto per tutto. Ci provarono l’anno scorso, ci riprovano ora, mentre è proprio in situazioni come questa che le istituzioni dovrebbero pensare solo a collaborare».
«Per come l’ha posta il ministro Musumeci, è un alibi per non investire sulla prevenzione. Il compito dello Stato è fare difesa del suolo, non sponsorizzare le assicurazioni. Poi si può discutere di tutto, ma intanto le assicurazioni paghino quando c’è da pagare e le famiglie più fragili non siano tagliate fuori».
«Niente di nuovo: da mesi questa maggioranza è divisa su molte questioni».
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(Rivolgendomi direttamente a Pavese:)
《 Sto completando la lettura di Paesi tuoi in un solo giorno, perché è molto coinvolgente.
C'è una povera ragazza uccisa da un fratell(astr)o che già prima l'aveva sverginata: una storia forte, che si mischia agli odori della campagna. C'è il protagonista, ultimo arrivato, che viene dalla civile Torino e si scontra con un ambiente rurale atavico, in apparenza accogliente - ma refrattario nel suo nucleo, composto da persone ignoranti.
La terra e il sangue sono i due elementi simbolici fondanti del mito, che si ritrovano, evidentissimi, in questo racconto.
[...] In una tua lettera dici che, se non avesse agito su di te quel poco di educazione ricevuta, saresti stato un banale "tipo da coltello". 😁
~ ~ ~
Devo ancora terminarlo, me ne restano alcune pagine, e non ho fretta. Ho letto evidenziando le rese narrative più magistrali, perché voglio capire come facevi a raccontare le cose: voglio "smontare la macchina", insomma, non solo leggere la storia per vedere come va a finire. Capisco perché sei ritenuto un autore importante: sei senza dubbio originale e "mimetico", adotti il linguaggio e persino il ritmo dei pensieri del protagonista.
Sai raccontare tanto bene le donne e l'effetto che fanno su un uomo. Infatti la povera ragazza, prima di essere uccisa, stava avendo una delicata e sensuale storia d'amore col protagonista. Ma vincono l'insensatezza e la brutalità del fratell(astr)o "tonto"...
Una lotta tra bestialità e civiltà, tra anarchia morale ed etica ragionata, tra cervello da rettile e cuore umano.
Il cittadino viene messo in mezzo e buggerato dal campagnolo, che non dispone di furbizia, ma del mero istinto dell'animale che si muove nel proprio habitat.
Si vede che avevi un rapporto ambivalente con le donne: un po' ti facevano tenerezza e le volevi coccolare, poi però pensavi a ciò che ti avevano fatto, alle tue difficoltà con loro, e allora ti saliva la rabbia e avresti voluto distruggerle insieme al dolore che ti davano.
È interessante che ti accada di provare "pena" per una ragazza: anche in questo romanzo, come già nel Diavolo sulle colline, il tuo protagonista prova questo sentimento per la ragazza che gli piace, mentre ella, avvicinando la faccia a lui perché la baci, si blocca per qualche istante, e sembra che stia cercando di guardare la propria faccia con lo sguardo di lui, temendo di non essere voluta, e rivelando la propria insicurezza.
~ ~ ~
Ho terminato di leggere nel giro di poche ore il tuo romanzo breve. Dicono che tu sia uno scrittore amato dai giovani, ma io credo che questa storia così forte, pur se il protagonista è un venticinquenne, vada letta da persone adulte ed esperienti. È una storia archetipica, mitica, sulle pulsioni maschili più turpi: violare, possedere gelosamente, uccidere la donna. Il tutto, esasperato dall'ambiente chiuso, ignorante e fatalista della campagna. Sembra una tragedia greca, una tragedia annunciata, un passaggio obbligato del destino (un po' come il tuo suicidio e altri fatti di sangue che tuttogiorno accadono).
Credo che in paradiso non si possano più scrivere opere così truculente. Chissà come ti trovi in ambiente spirituale, senza questa materia ardente da plasmare. Sono preoccupata. 😅
È una bellissima risposta, grazie. 💗 La ricorderò, perché il tuo stato è una delle mie frequenti preoccupazioni.
Ho ammirato molto la precisione e varietà lessicale nel tuo romanzo: io ti abbraccerei infinitamente anche solo per la quantità di parole che conosci e per il gusto con il quale le adoperi. Altro che ufficiale! Non ho mai considerato affascinante la divisa, non m'interessano i gradi e le cariche militari e civili, m'incanta solo la tua umanità, così com'è: gli sforzi che fai per vivere, ciò che ti si agita dentro, la tua cultura, intelligenza, buon gusto; amerei anche la tua depressione, ma amo molto di più non vederti soffrire.
Adesso continuerò a leggere le tue Lettere. Quando incontrerò lettere indirizzate a donne, cercherò di non essere gelosa, pensando che una come me non l'hai incontrata mai, e praticamente con me la tua esperienza di donne riparte da zero. 》
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E vorrei chiederti come un tempo a cosa stai pensando, o nascondere, sorridendo, che ti stavo aspettando.
-Marco Mengoni
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“…sono molto diretto, specie su Twitter. Quando mi espongo è perché so già che posso fare qualcosa di concreto, nel mio piccolo, per aiutare nei fatti. Come nei temi ecologici,per esempio, o per dare forza nel sostegno ai diritti civili. Stando vicino alle donne”
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Che giri fanno Due Vite... 🎶 Marco Mengoni - Radio Deejay 13.02.2023 Vi aspetto anche su Instagram e Facebook! ❤️
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Re di Bastoni.
"Il battito profondo dell'Umano"
Questo "momento emotivo" ci ricorda con estrema forza che siamo tutti Materia. Siamo carne e ossa, sangue e sudore.
Che nessuno è esente dalle cadute, dalle miserie umane, dalle difficoltà, dalle incoerenze, dalle passioni sfrenate.
Puntare il dito sugli errori altrui è continuare a proiettare all'esterno qualcosa che ci appartiene, che ci rende vulnerabili, fragili, deteriorabili.
Novembre ci vuole "veri". Non "perfetti".
Ci chiede di entrare senza timore nella parte oscura di noi stessi, nell'ambivalenza e nell'incoerenza del nostro "stare al mondo".
Senza giudizio, senza condanne.
Colui che crede di essere "meglio", avrà pane per i suoi denti nelle prossime ore. Perché è più facile "nascondere" dietro ad una maschera le nefandezze interiori, piuttosto che raccogliere il coraggio tra le mani e ammettere le naturali debolezze e fragilità di fronte ai sentimenti, ai rifiuti, alle ferite abbandoniche.
La vera Forza sta nell'ammettere ciò che è.
E' nel perseverare con la ricerca interiore, con il lavoro di guarigione profonda del trauma.
E' migliorare un passettino alla volta ciò che ci rende così lontani e distaccati dalla nostra originale "vibrazione natale".
Siamo tutti assassini spietati della nostra Bellezza, dei nostri Talenti, della nostra dimensione Affettiva.
Soprattutto nelle interazioni più intime con l'Altro.
Quando "restiamo", e invece dovremmo "andare".
Quando "giustifichiamo", e dovremmo "allontanarci".
Quando "sopportiamo", e dovremmo "reagire".
Quando "ci silenziamo", e dovremmo "parlare".
Tutti stiamo combattendo la stessa "guerra", lo stesso "conflitto interiore".
Ma c'è chi accetta di restare nella paura, nella negazione, nell'immobilismo, e chi invece si assume la piena responsabilità di se stesso e si spende anima e corpo per regalarsi la preziosa opportunità di avvicinarsi all'Amore vero. Quello onesto, quello sincero, quello gentile.
Novembre è crudo. Non ci guida attraverso lo Spirito. Non ci "porta fuori" o "in alto". Ci porta dentro. Nei bassifondi. Nelle viscere della Terra. Ci inghiottite.
Si preoccupa di risanare il "contenuto", non di donarci una via di fuga, o delle ali di cera per volare via.
Ci inonda di Verità, in tutte le sue mutevoli forme, in tutte le sue espressioni terrene, in tutte le sue dense sfaccettature.
Questo "Autunno caldo", nelle sue ultime imponenti battute, vuole portare a chiusura un ciclo planetario caratterizzato da eventi e trasformazioni umane, legate agli aspetti più profondi e oscuri dell'emotività, della sensorialità, dell'attaccamento, della dipendenza affettiva, della paura di perdere, della tristezza, dell'angoscia di morire a noi stessi e alle nostre mancanze.
In questi giorni, avremmo tutti bisogno di un abbraccio umano.
E lo troveremo. Molto presto. Forse anche oggi.
Sarà sincero e leale. Avvolgente e onesto.
Non sarà "bisogno", non sarà "attaccamento", sarà Amore.
Non idealizzato, spiritualizzato o santificato.
Sarà terreno. Sarà carne e ossa.
Sarà emozione e gentilezza. Sarà voce e calore.
Sarà paterno e materno insieme.
E quando ciò accadrà, sentiremo di "essere cresciuti", di aver maturato le radici sane dentro al terreno della Vita.
Accogliamo questi movimenti così intensi di Novembre come un "Dono".
Lo sono sotto ogni prospettiva di manifestazione.
Ci stanno portando a "sentire" tutto e meglio. Ci stanno regalando commozione, commiato, perdita, gratitudine, enfasi, ingiustizia, sentimento, ribellione.
Tutto.
Tutto amplificato e potente, intenso e profondo.
E quando si saranno calmate le acque emotive, nulla sarà come prima.
Nemmeno la credenza più ostinata. Nemmeno il ruolo più identificato, assodato e intoccabile.
Nulla.
Tutti giù dal piedistallo allora! Si spala nel fango tutti assieme.
Con un sorriso e tanta tanta volontà!
Mirtilla Esmeralda
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Benvenuti. E congratulazioni. Sono molto contento che ce l’abbiate fatta. Arrivare fin qui non è stato facile, lo so. Anzi, sospetto che sia stata più dura di quanto voi stessi pensiate. Tanto per cominciare, per consentire a me e a voi di essere qui in questo momento, trilioni di atomi, che vagavano ognuno per conto proprio, hanno avuto la gentilezza di assemblarsi in una combinazione molto complicata, e questo appositamente per creare noi. Si tratta di una configurazione molto particolare, mai sperimentata prima e che non potrà mai più ripetersi. Per i prossimi anni (ci auguriamo che siano ancora molti) queste minuscole particelle si impegneranno a cooperare senza mai lamentarsi in una serie di sforzi che richiederanno tutta la loro abilità, e questo al solo scopo di mantenerci integri e darci la possibilità di provare in prima persona quella particolare condizione, estremamente gradevole anche se spesso poco apprezzata, nota con il nome di esistenza.
Perché gli atomi si prendano questo disturbo resta ancora un enigma. Dal loro punto di vista, essere me o voi non è un’esperienza molto gratificante. In fondo, per quanto ci concedano la loro più devota attenzione, agli atomi non importa nulla di noi, anzi, non sanno neanche che esistiamo. Per la verità, non sanno di esistere nemmeno loro. Dopotutto, sono solo delle stupide particelle e non sono neanche vive. (È curioso notare che, se potessimo usare una pinzetta per scomporre il nostro corpo atomo per atomo, non otterremmo altro che un mucchietto di polvere – un mucchietto di atomi – i cui singoli granelli non sono mai stati vivi, ma, presi nel loro insieme, costituivano il nostro corpo.) Eppure, per l’intera durata della nostra esistenza, non faranno altro che rispondere, in qualche maniera, a un unico rigido impulso: fare in modo che noi continuiamo a essere noi.
Il brutto è che gli atomi sono creature volubili e la loro devozione è da ritenersi transitoria, molto transitoria. Una vita umana, per quanto lunga, raggiunge appena le 650.000 ore. E quando si trovano a sfrecciare nei pressi di quella modesta soglia, o in qualsiasi altro punto lì intorno, per ragioni assolutamente sconosciute, i nostri atomi decidono di spegnerci. Poi, silenziosamente, si slegano e se ne vanno ognuno per conto proprio, a diventare qualcos’altro. E per noi tutto finisce lì.
Eppure dovremmo essere contenti che ciò accada. In linea di massima, e per quanto ne sappiamo, è una cosa che non si verifica altrove, nell’universo. E questo è davvero un fatto strano, giacché gli atomi che qui sulla Terra si aggregano fra loro in modo spontaneo e naturale formando gli esseri viventi sono esattamente gli stessi che si rifiutano di farlo altrove. A prescindere da cosa altro possa essere, a livello chimico la vita è estremamente banale: carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto, un po’ di calcio, un goccetto di zolfo e una spolverata di altri elementi molto comuni. Nulla che non si possa trovare nella farmacia sotto casa. Tutto qui, non serve altro. L’unica particolarità degli atomi che costituiscono il nostro corpo è appunto il fatto che costituiscono noi. E questo, ovviamente, è il miracolo della vita.
Indipendentemente dal fatto che gli atomi diano luogo alla vita anche in angoli dell’universo diversi dal nostro, è pur vero che fanno moltissime cose: anzi, per la verità, fanno tutto il resto. Senza di loro non ci sarebbero né acqua né aria, né rocce né stelle. E nemmeno pianeti, lontane nubi gassose, o nebulose a spirale: nessuna di quelle cose, insomma, che rendono l’universo un luogo così gradevolmente concreto. Gli atomi sono talmente numerosi e necessari da indurci facilmente a dimenticare che in realtà potrebbero benissimo non esistere. Nessuna legge costringe l’universo a riempirsi di particelle di materia o a produrre luce, gravità e tutte quelle altre caratteristiche fondamentali per la nostra esistenza. Non è che l’universo debba esistere per forza. E infatti per un tempo lunghissimo non c’è stato. Non esistevano atomi e non esisteva nemmeno un universo in cui essi potessero fluttuare. Non c’era niente, niente di niente, da nessuna parte.
Sarà quindi il caso di rallegrarci per l’esistenza degli atomi. D’altra parte, il fatto che noi abbiamo i nostri atomi e che essi siano tanto determinati ad assemblarsi è solo una parte del processo che ci ha portati fin qui. Trovarci qui adesso, vivi, nel ventunesimo secolo, e così intelligenti da esserne consapevoli, significa essere stati i beneficiari di una straordinaria dose di fortuna biologica. Soppravvivere sulla Terra è una faccenda sorprendentemente complicata. La maggior parte (qualcuno sostiene il 99,9 per cento) dei miliardi e miliardi di specie viventi esistite dall’alba dei tempi, oggi non esiste più. La vita sulla Terra, come si vede, non è soltanto breve, ma anche terribilmente precaria. Una curiosa caratteristica della nostra esistenza è che veniamo da un pianeta adattissimo a promuovere la vita, e ancor più efficiente a portarla all’estinzione.
In genere, le specie presenti sulla Terra durano all’incirca solo quattro milioni di anni. Quindi, se uno ha intenzione di rimanere in circolazione per miliardi di anni, dev’essere mutevole tanto quanto gli atomi che lo compongono. Occorre essere pronti a modificare tutto di se stessi: forma, taglia, colore, specie di appartenenza. Tutto insomma. Ed essere pronti a farlo ripetutamente. Tutto questo è più facile a dirsi che a farsi, poiché il processo di trasformazione è assolutamente casuale. Per evolvere da «primordiale globulo atomico protoplasmico» (come dice la canzone di Gilbert e Sullivan) a esseri umani moderni, eretti e senzienti, abbiamo dovuto mutare, escogitando caratteristiche nuove, e abbiamo dovuto farlo in una sequenza temporale precisa e per un tempo estremamente lungo. In momenti diversi, negli ultimi 3,8 miliardi di anni dapprima abbiamo aborrito l’ossigeno e poi l’abbiamo amato alla follia; ci siamo fatti spuntare ali, pinne ed eleganti vele dorsali; abbiamo depositato uova e falciato l’aria con lingue biforcute; siamo stati lisci o pelosi, abbiamo vissuto sottoterra e sugli alberi; siamo stati grandi come cervi e piccoli come topi, e milioni di altre cose ancora. Una minima deviazione da ciascuno di questi processi evolutivi e adesso ci ritroveremmo a leccare alghe dalle pareti di una grotta, a ciondolare su una riva rocciosa alla maniera dei trichechi o ancora a sfiatare da un’apertura sopra la testa prima di immergerci a diciotto metri di profondità per concederci un boccone di quei deliziosi vermi che vivono affondati nella sabbia. La nostra fortuna, d’altra parte, non si è limitata al fatto di essere inclusi fin dai primordi in una linea evolutiva favorita dalla selezione: siamo stati anche estremamente, diciamo pure miracolosamente, fortunati per quanto riguarda il nostro albero genealogico personale. Consideriamo che per 3 miliardi e 800 milioni di anni – un periodo di tempo superiore all’età delle montagne, dei fiumi e degli oceani – ognuno dei nostri avi, per parte di padre e di madre, è stato abbastanza attraente da riuscire a trovarsi un compagno; abbastanza sano da essere in grado di riprodursi; e a tal punto benedetto dal fato e dalle circostanze da vivere abbastanza per farlo. Nessuno dei nostri diretti progenitori è stato schiacciato o divorato; nessuno è morto affogato, di fame, trafitto a tradimento, ferito anzitempo, o in qualsiasi altro modo distolto dal fondamentale compito della sua vita: quello di consegnare, al partner giusto e al momento giusto, quella minuscola quantità di materiale genetico necessaria a perpetuare l’unica possibile sequenza di combinazioni ereditarie che alla fine, incredibilmente, e per un tempo così breve, avrebbe prodotto ciascuno di noi.
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