#mancano 2 mesi e 11 giorni
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Odio il Natale
Ragioni per odiare il Natale Il Natale serve a ricordare a quelli che sono soli che sono soli, a quelli che non hanno soldi che non hanno soldi, e a quelli che hanno una famiglia del cazzo che hanno una famiglia del cazzo! Charles Bukowski Pensiero natalizio farcito con un aforisma biblico. Polvere eravate, e polvere ritornerete. Memento, homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris. Per adesso accontentatevi della merda, e del panettone! Carl William Brown E’ vero che a Natale tutti diventano più buoni? La risposta la troverete nel vostro albero di Natale: tutte palle! Walter Di Gemma Vari motivi per odiare il Natale 1. E’ inverno. Fa freddo. 2. Ti rendi conto che anche quest’anno sta per finire e tu non hai minimamente rispettato i propositi che ti eri prefissato 12 mesi prima. 3. Il 24 dicembre ti ritroverai smarrito per i centri commerciali pensando ancora agli ultimi inutili regali da fare per alleggerire il portafoglio e pentirtene poco dopo. 4. Sarai costretto a rivedere parenti lontani, abbracciarli e baciarli mostrando un falso sorriso a 32 denti, fingendo di ricordarti benissimo di loro. 5. Ti ingozzerai di schifezze e sarai costretto a digiunare per 1 mese, sapendo benissimo che comunque quei chili di troppo sui fianchi non se ne andranno mai. 6. Tutti cominceranno a chiederti: “Che cosa fai per capodanno?”. E tu non saprai rispondere perché come sempre ti organizzerai 16 ore prima del countdown. 7. Troverai ovunque babbi natali appesi per le terrazze, alberi agghindati come trans, lucine psichedeliche e canzoncine natalizie in quantità che ti faranno credere di aver assunto la peggio pasticca di Ecstasy in circolazione. 8. Non hai più 5 anni e non credi più a Babbo Natale. Anzi, molto probabilmente ti sei già scelto il tuo regalo 20 giorni prima mandando a puttane pure l’effetto sorpresa. 9. Nel pomeriggio, dopo il pranzo di Natale, non saprai che cosa fare perchè fondamentalmente è la giornata più noiosa dell’anno. E’ più divertente prepararsi al Natale che viverlo. 10. Riceverai messaggi di auguri anche da persone di cui non te ne frega niente. O peggio, da persone di cui non hai neanche il numero in rubrica e sarai costretto a liquidarli con un banale “Grazie, tantissimi auguri anche a te”. 11. Tutti ridono felici e contenti. Ma che cazzo ve ridete a fa’? Io fra pochi giorni ho l’inizio della sessione invernale degli esami. Cristo. Nate Myler Odio il Natale Babbo Natale è un impotente: viene solo una volta l'anno. Ecco... mancano solo sei giorni al Natale... e se a questi 6 aggiungete altri 6 ke separano il 27 da capodanno... e se a questo aggiungete anke ke l'epifania viene il 6 gennaio... cosa otterrete? Un bel 666 ^_____^ No... noooo nn sono eretica o cose del genere... non odio la natività... odio solo il Natale... festa consumistica ed egoista... ognuno fa il co ke vuole... sei costretto a stare con parenti ke nn vedi e nn senti mai... (e ci sarà il suo motivo se è cosi)... devi subirti pranzi elaborati e lunghi... e alla fine ti ritrovi a cercare di skivare la LINGUA di maiale ke la nonna ha opportunamente messo nel sugo "xkè è tradizione!!"... Certo... è confortante entrare in cucina e vedere le zie ke tengono fermo il capitone x tagliarlo a pezzi mentre si dimena e si contorce nelle pose ed espressioni + strane... e il panettone?? 10 € minimo e ci trovi + uvetta di mrda ke pane...bah!!!... E poi ke altro?? Shopping sfrenato... tutti ke si affollano per le strade... ti spintonano... fanno a gara ad entrare in negozi superaffollati ed anke super PUZZOLENTI... troppa gente porta a mancanza d'aria... e troppi bagordi natalizi portano a FLATULENZA... (alla Alcott ad un certo punto, in fila, si sentii una puzza ke durò per QUATTRO stanze e ho detto poco -_-)... e tutto xkè?? x cosa?? Per comprare regali inutili ke nemmeno voi sapete a ke servono!! Si cerca il regalo ke costi poco ma ke sembri + costoso di quello ke in realtà è... per poi andare a finire al 24 notte ad aprire regali ke NON desideriamo e scoprire ke, anke quest'anno abbiamo speso sempre di + NOI di quanto abbiano speso gli altri per farci regali... e prenderlo x l'ennesima volta nel .... MA... ma... c'è pur sempre un MA....zzo tanto ke ci facciamo ogni volta per cercare di "essere felici... essere + buoni... d'altronde è Natale... è tempo di gioia... di serenità... di amore e di fratellanza".... certo. E mi vengono a parlare di ste cose quando accendo il televisore e ci trovo Costanzo -_- ... oppure quel travestito della De Filippi???!!!... -_- ma no... dai... suvvia... è bello camminare per strada con gente idiota ke va in giro coi cappellini natalizi come se fossero deficienti a cui è andata male la lobotomia... accecarsi gli okki con le luci intermittenti mentre vostra madre canta e BALLA (Dio, fammi morire dopo quella vista) Jingle Bells mentre addobba l'albero -_- ... qualcuno di voi ha un pò di Malox?!?... Uno Xanax... qualsiasi cosa mi atterri... o mi mandi in letargo... e continua a PIOVERE ciao!!! Cavalla Golosa 19 dicembre 2004
Natale a Napoli Addio, Babbo crudele!! EHEHHEHE E tra TRE giorni è il DSCD-Day... ovvero Deficient Stupid Dependency (on) Christmas-Day... e allora vedrò cenoni partire da mezza cotoletta di pollo per poi andare a finire a braciole grosse quanto una mentina... contorni a base di patatine fritte nell'olio del baccalà stufato e tenuto in caldo da Pasqua scorsa... pane congelato messo "sotto al forno" per l'occasione e, udite udite, cocacola e fanta scadute dal 2000!! YUHUUUUUUU!!!... Eh, si... i miei nonni sono dei "risparmiatori"... ma questo, un pò in tutto... Vedete, il pensionato odierno arriva a Natale ke è quasi prosciugato... ma nn sto parlando del suo conto in banca (o alla posta ke fa + nonno)... sto parlando proprio del suo stato di salute!! Li vedete tutti sudati... in cerca di un pandoro o panettone conveniente da regalare... assillati da rikieste assurde di regali dai propri nipoti... vestirsi pure da Babbo Natale per l'occasione prima di ritornare nel loro solito letargo... beh, poveri stolti... nessuno vive il Natale (ma credo tutta la vita) come MIO NONNO. Questi, è un uomo fortunato... eh si xkè può vantarsi di essere andato in pensione quando le pensioni erano ancora, diciamo così..."copiose" e "consistenti"... dunque non si può certo dire ke se la passi male... (nn credete, col cambio in euro nn ha perso dindini )... xò mio nonno ha una cosa ke nessuno potrà mai levargli: il gusto di comprare la prima cosa ke gli capita tra le mani....^^ ke sia scaduta o magari scartata...(nel senso di confezioni aperte) a lui poco importa...."costa poco... quindi è buona!"... Ora io non so come abbia resistito tutti questi anni senza, pardonez-moi il francesismo, skiattare o prendersi qualke malattia dalle porcate con cui si ritirava a casa... e a questo proposito sottolineo il suo smodato amore x le merendine ^^... Quante volte avrete pensato: "ma xkè a quel deficiente di Babbo Natale nn gli sparano un colpo in testa???!!!" oppure pensate a quei poveracci... quei derelitti ke si riducono a vestirsi da Babbo Natale x racimolare qualke dindino... con orde di bambini assatanati ke gli si buttano addosso urlando, sbraitando, sputando e piangendo... cn le mani tutte appiccicaticce di skifezze varie, alcuni con pannolini puzzolenti... altri ke lasciano dietro di loro una scia di puzzette della stessa "ampiezza" di una puzzola in amore... quei tapini... hanno + tempra loro ke mio nonno ke ha fatto due guerre... ma vi rendete conto di cosa possa significare tutto ciò anke se fatto solo una volta l'anno??!!!... Beh... e poi dicono ke il Natale porta gioia e felicità a tutti... Cavalla Golosa 01 gennaio 2005 ok... nuovo anno... e poi? Eccoci... 1 gennaio... lo so, magari pensavate ke fossi morta dato ke è dal 24 dicembre ke nn scrivo e avevo promesso di tenervi compagnia in questa assurda ascesa verso il Natale... ma dato ke a nessuno frega niente se scrivo su sto blog o se mi gratto la pancia... ho preferito scegliere quest'ultima opzione... anke xkè sono successe delle cose in questi giorni talmente patetike e prive di qualsiasi rilievo ke nn sono nemmeno degne di essere nominate su sto pezzo di carta virtuale... Innanzitutto... il pranzo a Natale è stato un disastro come volevasi dimostrare... ma almeno si è evitato di parlare di me e del mio fidanzato x una volta... (l'attenzione si è concentrata sulla pirlaggine di mio cugino ke ha regalato nn so quante rose ad una tipa ke nn lo caga nemmeno di striscio -pisello-)... poi tutti appestati... mio nonno… peggio degli altri anni non mi ha nemmeno dato gli auguri… si è limitato a darci quei poki nonnari e a lamentarsi xkè ce li aveva dati... Non vedo il mio ragazzo ormai da millenni e ci sto malissimo... mi sono dimenticata persino di cosa signifiki sentirsi abbracciata... dare un bacio... sto proprio per scoppiare... non posso kiamarlo se non x due minuti scarsi ogni volta x paura ke arrivi la gestapo a rompermi il caxxo e a fare la faccia storta xkè nn sto parlando col figlio di un avvocato, di un arkitetto o di un dottore… ma ho avuto il coraggio di presentargli a casa (maledetto il giorno in cui l'ho fatto) il figlio di un "commerciante"... classe bassa... non sono degni... non vanno bene... assolutamente NO. L'osservazione pedissequa è passata alla critica incessante e reiterata di tutti i suoi modi di agire e di fare... a cominciare dal modo in cui tiene la forketta in mano al modo in cui muove la bocca per parlare... da come cammina... x poi finire a discutere di quante volte mi tiene la mano... xkè lo fa e COME lo fa... ma questa è un'altra storia... potrei parlare per ore ed ore dell'odio dei miei nei confronti del mio ragazzo... ma nn so nemmeno se a qualcuno possa fregare qcosa... I giorni seguenti... mah... in casa... come oggi... come tutti questi giorni... rinkiusa tra quattro mura... a sentire continuamente le stesse cose... a parlare dei morti dello tzunami... ma i vivi?... Le persone ke sono ancora in vita? Quelle ke hanno voglia di vivere e hanno la sfortuna di abitare sotto questo tetto di ipocrisie e false pretese?... Quelle persone... ke fine fanno... ke vita fanno? Non sono insensibile alla tragedia... no, mai... ma credo semplicemente ke curarsi di + dei propri cari sia alla base della natura umana... o quantomeno di quella animale... E invece no... a casa mia si vedono telegiornali a tutte le ore del giorno... non ci si cura di nient'altro... e se qualcuno osa fare un commento sulla realtà quotidiana è tacciato di insensibilità e menefreghismo... e addirittura di egoismo... Pensate sia egoista xkè nn mi sento in colpa per essere viva... xkè vorrei vivere come le persone comuni e non nel 1930 sotto il III Reich??!!... Xkè semplicemente non penso ke uno tzunami in Asia possa compromettere la mia vita dall'altra parte del mondo?? Xkè nn ho paura di uscire... delle intemperie... della vita stessa??!!!... I riski sono ovunque... potrei morire anke stando comodamente seduta a casa mia ad ammuffire su quel divano ben rifoderato da 1.500€... e allora di ki sarebbe la colpa??... Lo vedo lì... quel divano... verde come il colore dei soldi... come il colore della bile.... come l'acido ke li rovina dall'interno... come la speranza?? No. Come l'invidia... come la grettezza... come tutte quelle qualità ke hanno fatto dei miei una famiglia piccolo borghese arrogante e sprezzante di tutto e di tutti... mi fate skifo... mi fanno skifo... e mi faccio skifo per non poter ancora sfuggire a tutto ciò... ma datemi tempo... Ah, dimenticavo... buon anno! Cavalla Golosa Se amate il Natale, le feste e la letteratura potete anche leggere i seguenti articoli: Aforismi e citazioni sul Natale Aforismi divertenti sul Natale Barzellette sul Natale La fiaba del pupazzo di neve Aforismi di C.W. Brown sul Natale Pensieri e riflessioni sul Natale Un buon libro per Natale Numeri sul Natale Odio il natale (Umorismo) A Christmas Carol by Charles Dickens Other books by Charles Dickens Fairy tales and other stories by Hans Christian Andersen Best Christmas songs videos and karaoke Christmas markets in England Christmas markets in America Christmas markets in Italy and Germany Christmas quotes 60 great Christmas quotes Christmas tree origin and quotes Christmas jokes Christmas cracker jokes Funny Christmas Stories Amusing Christmas stories Christmas food Christmas thoughts Christmas story Christmas in Italy Christmas holidays Christmas songs Christmas poems An Essay on Christmas by Chesterton Read the full article
#albero#amore#auguri#capitone#cavalla#centri#chili#commerciali#consumistica#Festa#fratellanza#freddo#golosa#JingleBells#messaggi#natale#natività#odio#pranzo#regali#schifezze
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Modena: Il sito Unesco di piazza Grande si prepara all’arrivo dell’estate e dei turisti
Modena: Il sito Unesco di piazza Grande si prepara all’arrivo dell’estate e dei turisti. Il sito Unesco di piazza Grande, con la Ghirlandina, il Duomo e Palazzo comunale, si prepara all’arrivo dell’estate e dei turisti, che nei primi cinque mesi del 2023 sono stati 21 mila 803, con il ritorno dell’aperitivo in Torre, arricchendo il programma di visite guidate con percorsi teatralizzati e proponendo nuove visite tra il reale e il virtuale al Nuovo Diurno, mentre nei giorni di festa proseguono anche le visite “combo”, la prossima sarà il 2 giugno, alla Torre e a Palazzo comunale. Visitatori e turisti arrivano a Modena in gran parte dall’Italia ma, sul totale, sono 4.587 quelli arrivati da paesi europei ed extraeuropei, soprattutto spagnoli (1.387), britannici e francesi (che hanno sfiorato il migliaio). Non mancano però anche gli statunitensi (379) e i canadesi, e viaggiatori da molto lontano come giapponesi, australiani e sudamericani. Da venerdì 7 luglio, ma prenotabile già da ora sul portale Visitmodena.it, riprende l’appuntamento con l’aperitivo in Ghirlandina, la salita guidata alla Torre che comincia alle 19.30 che si conclude con un brindisi una volta ridiscesi. L’iniziativa, aperta a un massimo di 25 persone per turno, prosegue per tutti i venerdì di luglio. La Ghirlandina è risultata essere la prima meta prescelta dai turisti che arrivano a Modena e visitano il sito Unesco, spesso infatti chi sale chiede dove si trovi il Duomo, o addirittura piazza Grande. È anche il luogo che più di altri favorisce il romanticismo, con numerose coppie che si baciano davanti alle finestre sullo sfondo del panorama cittadino. Nella programmazione estiva entra anche il Nuovo Diurno che propone, e sono una novità, le visite a tema tra il reale e il virtuale alla scoperta della storia e dei monumenti cittadini che partono il 17 giugno con un approfondimento dedicato alla chiesa di Sant’Agostino, il “Funeral teatro” dei duchi d’Este. La visita si svolge in parte sul luogo e in parte, appunto, all’interno del Nuovo Diurno di piazza Mazzini dove, grazie alla tecnologia, ci si potrà immergere nella storia e nelle immagini dei luoghi visitati. L’appuntamento è una volta al mese: in luglio con una visita alla scoperta del ghetto ebraico di Modena e in agosto con un approfondimento dedicato al liberty. Anche in questo caso, le visite sono per un massimo di 25 persone per gruppo e sono già prenotabili sul visitmodena.it. E in giugno, nel sito Unesco sono in programma anche due visite teatralizzate che fanno “parlare” i monumenti: domenica 11 giugno con “Ghirlandina torre di pietre e di parole”, e domenica 18 giugno con “Ghirlandina giostra di pietra”, la visita dedicata ai più piccoli con protagonisti principesse, streghe e cavalieri che accompagnano i giovani visitatori nella salita. Prosegue, intanto la campagna di promozione turistica “The sound of Modena”, la web serie costituita da sette video che raccontano il territorio, la vita e le eccellenze modenesi attraverso i suoni. I primi due video, “Il paesaggio sonoro” e “Musica pistonica”, già on line sul portale Visitmodena.it, hanno ottenuto quasi dieci milioni di impression in poco più di un mese dall’inizio della campagna, con circa quarantamila utenti che hanno visitato la sezione del sito visitmodena.it. L’aumento del traffico generato sul sito ma soprattutto le interazioni sui canali social di visitmodena confermano l’interesse riscosso dalla campagna.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Mi sono rotta il cazzo così tanto.
#mancano 2 mesi e 11 giorni#10 settimane e due giorni#72 giorni in totale#72-20 (weekend)= 52#porcoddue#ma perché faccio le cose diobo#vabb�� che nell'altro posto di lavoro avrei sbroccato male uguale#perché facevo un lavoro di merda#quindi questo da quel punto di vista è un netto miglioramento
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Telling the time in Italian
Hours of the day - ore della giornata: 12 ore 1 - l’una (di notte/di giorno) 2 - le due (””) 3 - le tre (””) 4 - le quattro (””) 5 - le cinque (””) 6 - le sei (””) 7 - le sette (””) 8 - le otto (””) 9 - le nove (””) 10 - le dieci (””) 11 - le undici (””) 12 - le dodici/mezzogiorno(midday)/mezzanotte(midnight) 24 ore 13 - le tredici 14 - le quattordici 15 - le quindici 16 - le sedici 17 - le diciassette 18 - le diciotto 19 - le diciannove 20 - le venti 21 - le ventuno 22 - le ventidue 23 - le ventitre 5 past ... - le ... e cinque 10 past ... - le ... e dieci a quarter past ... - le ... e un quarto/le... e quindici (15) 20 past ... - le ... e venti half past ... - le ... e mezza/le ... e trenta (30) 25 to ... - le ... e trentacinque (35)/mancano venticinque minuti alle... 20 to ... - le ... e quaranta (40)/mancano venti minuti alle.../le ... meno venti 15 to ... - le ... e quarantacinque (45)/mancano quindici minuti alle.../le...meno un quarto 10 to ... - le ... e cinquanta (50)/mancano dieci minuti alle.../le... meno dieci 5 to .... - le ... e cinquantacinque (55)/mancano cinque minuti alle.../le...meno cinque Let’s meet at... - Vediamoci alle ... ( “Vediamoci alle venti e trenta”/”Vediamoci alle otto e mezza” 20:30/8:30) Personally I say “e trenta” or “e quindici” when I use the “24hrs” system, so I would say “Sono le 20 e 30″, but when I use the “12hrs” system I say “Sono le 8 e mezza”. Same goes for the use of “meno”, I say “Sono le 8 meno 20″ but I don’t often hear “Sono le 20 meno 20″, I feel that I would use “Sono le 19 e 40″ instead. I think the concept is: when you use the 24hrs you use numbers, when you use the 12hrs you use “e mezza/e un quarto/meno...”. On the other hand you can use “mancano ... minuti alle ...” with both things, so you can say both “mancano 10 minuti alle 8″ and “mancano 10 minuti alle 20″. The first option personally sounds better, but both sound good.
Days - giorni: Monday - Lunedì Tuesday - Martedì Wensday - Mercoledì Thursday - Giovedì Friday - Venerdì Saturday - Sabato Sunday - Domenica the day before yesterday - l’altro ieri / l’altroieri (writing l’altro ieri is more common it seems) yesterday - ieri today - oggi tomorrow - domani the day after tomorrow - dopo domani / dopodomani (writing dopodomani is more common it seems) last week - la settimana scorsa this week - questa settimana next week - la prossima settimana last month - il mese scorso this month - questo mese next month - il mese prossimo last year - lo scorso anno/l’anno scorso this year - quest’anno next year - il prossimo anno/l’anno prossimo ... days/weeks/months/years ago - ... giorni/settimane/mesi/anni fa in ... days/weeks/months/years - tra ... giorni/settimane/mesi/anni
I hope this helps you! Here you can find my post on my blog!
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6 gen 2021 17:01
PER ASPERA AD ASTRA(ZENECA) – VI RICORDATE QUANDO SPERANZA SI VANTAVA DELL’INTESA RAGGIUNTA CON LA MULTINAZIONALE PER “L’APPROVVIGIONAMENTO FINO A 400 MILIONI DI DOSI DI VACCINO”, CON CONTE CHE DICEVA CHE L’ITALIA ERA IN PRIMA LINEA? IL MINISTRO DELLA SALUTE VIENE SBUGIARDATO DALLA “BILD”: IL GIORNALE TEDESCO HA PUBBLICATO UNA LETTERA CON CUI LUI E TRE OMOLOGHI AMMETTEVANO IL FLOP DELLE TRATTATIVE E LE AFFIDAVANO A BRUXELLES…
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Antonio Grizzuti per “La Verità”
Quella pubblicata lunedì in esclusiva dalla Bild non rappresenta solamente la lettera del «disastro europeo del vaccino», come l'ha definita il tabloid tedesco, ma anche la prova provata delle sparate del ministro della Salute, Roberto Speranza.
La missiva scovata dai giornalisti del quotidiano berlinese aggiunge infatti nuovi e, per certi versi, eclatanti particolari alla vicenda del fantomatico contratto per l'acquisto del vaccino Astrazeneca.
Un accordo più volte sbandierato - anche in Parlamento - dal numero uno di Lungotevere Ripa. Trattandosi di una vicenda complessa, conviene fare un passo indietro. Precisamente al 13 giugno 2020, giorno nel quale, dalla lussuosa cornice di Villa Pamphilj, Roberto Speranza annuncia festoso: «Insieme ai ministri della Salute di Germania, Francia e Olanda, dopo aver lanciato nei giorni scorsi l'alleanza per il vaccino, ho sottoscritto un contratto con Astrazeneca per l'approvvigionamento fino a 400 milioni di dosi di vaccino da destinare a tutta la popolazione europea».
Nella durissima battaglia contro il coronavirus, l'orgoglio tricolore poteva dirsi salvo, perché il nostro Paese era capofila nell'Ue per aggiudicarsi le fiale dell'agognatissimo siero. Celebrando l'avvenimento, il premier, Giuseppe Conte, dichiarava in quell'occasione che «con questa notizia oggi dimostriamo che vogliamo essere in prima linea nell'approvvigionamento di un vaccino, nella ricerca e nelle terapie che allo stato risultano essere più promettenti».
Noi, che agli annunci trionfali siamo abituati tanto quanto ai «pacchi» che di solito nascondono, decidiamo di vederci chiaro e, a fine giugno, inviamo una richiesta di accesso agli atti al ministero della Salute. Passati due lunghi mesi, arriva una risposta che ci lascia a dir poco a bocca aperta: «Si segnala che lo scrivente ministero non ha sottoscritto alcun contratto con la società Astrazeneca».
Come si spiegano gli annunci in pompa magna della premiata ditta Speranza & Conte? Qualche riga più in basso il dirigente firmatario della risposta, Mauro Dionisio (poi assegnato ad altro incarico, ma sicuramente si tratta di una coincidenza), fornisce la spiegazione: «Stante l'importanza di procedere con un negoziato multiplo (in assenza di sufficienti certezze su efficacia e sicurezza di alcuno dei candidati vaccini) l'Italia, e gli altri Paesi partner, hanno ritenuto opportuno di far confluire il negoziato a suo tempo avviato con Astrazeneca con gli altri appena avviati dalla Commissione europea cui è, pertanto, attualmente affidata la totale gestione delle interlocuzioni».
Ecco perché nell'apprendere la notizia della lettera pubblicata dal tedesco Bild, i lettori della Verità non saranno sicuramente sorpresi. La resa totale e incondizionata della sedicente «alleanza per un vaccino inclusivo» nei confronti di Bruxelles aveva trovato spazio su queste pagine già diversi mesi fa.
Nel tentativo di mettere una pezza, il giorno successivo alla pubblicazione del nostro scoop, Lungotevere Ripa inviò l'ultima di 11 pagine, nella quale si riconoscono le firme dei quattro ministri e di Derek Seaborn, vicepresidente operativo di Astrazeneca per la Svezia.
Sfortunatamente, non essendoci stato fornito il resto del documento, non abbiamo idea di cosa abbiano sottoscritto i firmatari. C'è qualcosa, però, nella missiva, che, se possibile, rende ancora più imbarazzanti le dichiarazioni di Roberto Speranza.
Non va dimenticato, infatti, che lo stesso ha tirato nuovamente in ballo il suddetto contratto in Senato per ben due volte, vale a dire il 6 agosto e il 2 settembre dell'anno appena passato. «I partner dell'alleanza per un vaccino inclusivo non hanno ancora avviato i negoziati con Astrazeneca per un accordo sul pagamento», si legge in fondo alla lettera pubblicata lunedì da Bild, «saremmo lieti se la Commissione potesse portare avanti questi negoziati».
Non serve essere esperti di diritto privato per capire che un contratto di acquisto senza un'intesa sul prezzo in realtà equivale poco più che a carta straccia. Quando i ministri della Salute di Germania, Francia, Paesi Bassi e Italia hanno consegnato nelle mani di Ursula von der Leyen le delicatissime trattative per l'acquisto dei vaccini, in realtà i rapporti con Astrazeneca erano di fatto fermi ai preliminari.
E allora di che contratto parlava Roberto Speranza? Perché nei mesi a venire, ripetutamente e per giunta in sede istituzionale, il ministro ha brandito quelle pagine senza che queste, di fatto, possedessero alcun valore legale? Non per niente, rispondendo al nostro quotidiano ad agosto, lo stesso ministero aveva specificato che l'Italia, insieme agli altri Paesi, aveva semplicemente «avviato contatti» con la casa farmaceutica, «senza addivenire alla stipula di un contratto vincolante».
Non è dato sapere cosa sia successo nella manciata di giorni che vanno della firma dell'accordo «fantasma» tra i membri dell'alleanza e il subentro della Commissione nei negoziati. Qualcuno ipotizza che Bruxelles, seccata dalla fuga in avanti, abbia prontamente richiamato all'ordine i quattro.
È ciò che pensano oggi in Germania, dove la lettera è stata giudicata «umiliante» e dal tono «sottomesso». Rimane un fatto, e cioè che dopo sei mesi dall'approvazione della strategia promossa da Bruxelles, l'Unione europea è a corto di vaccini. Solo un farmaco (sui sei per i quali è stato stipulato un contratto) risulta finora autorizzato dall'Ema, e anche considerando il vaccino sviluppato da Moderna, mancano comunque all'appello 1,5 miliardi di dosi. E su questa «Waterloo dei vaccini» c'è anche la firma di Roberto Speranza.
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Il mio nuovo libro su Angular non è ancora uscito, ma è già uno scam
Mancano soltanto pochi giorni all'uscita del mio nuovo libro e, come sempre, l'attesa è tanta. Ancora una volta abbiamo dovuto attendere il rilascio dell'ultima versione "final" di Angular, proprio come già accaduto in passato: la volta scorsa si trattava della versione 5.0.0, inizialmente prevista per il 18 settembre , quindi rimandata di oltre un mese (23 ottobre) e infine rilasciata il 2 novembre dopo ben nove release candidate. Dopo quell'esperienza pensavamo di averle viste tutte, e invece stavolta ci siamo superati, dovendo affrontare un ritardo di oltre due mesi (da dicembre a febbraio) costellato da quattordici release candidate, un vero e proprio record! Ad ogni buon conto, finalmente l'attesa è finita: nella notte tra il 6 e il 7 febbraio 2020, ovvero poco più di 24 ore fa, la versione 9.0.0 di Angular è stata rilasciata su GitHub, consentendo al libro di entrare in stampa e all'editore Packt Publishing di rispettare la data di pubblicazione, fissata pessimisticamente (neanche tanto, come poi s'è visto!) all'11 febbraio.
Tutto è bene quel che finisce bene, direte voi... e invece no! Effettuando alcune ricerche su Google per calcolare il livello di indicizzazione SEO raggiunto dal sito mi sono imbattuto in uno strano post twitter che menzionava il mio libro - con tanto di ISIN, nome, autore e descrizione - invitando a scaricare l'e-book mediante un link non meglio identificato.
Il profilo, intestato a una certa Christine H. McAndrews, sembrava ovviamente tutto meno che autentico, presentando anzi tutte le più evidenti caratteristiche del classico account fake: zero following/follower, iscrizione a gennaio 2020, e una sfilza di post recanti informazioni su come scaricare libri di prossima uscita, tutti corredati da link che puntano allo stesso host.
Il sito indicato dai link di "Christine" ha l'aspetto di un forum a carattere generale, ma è sufficiente una prima occhiata per comprendere che si tratta di una scam page che tenta di spacciarsi come una discussione di appassionati che parlano del libro.
La pagina è stata programmata in modo tale da riempire "dinamicamente" una serie di placeholder disseminati all'interno dei vari fake-post con il nome del libro e dell'autore presenti nei parametri della URL: questo consente a "Christine", che ovviamente altri non è che un tweet-bot automatico, di utilizzarla nei suoi post per ciascuno dei libri che l'autore di questa truffa ha intenzione di "promuovere", o per meglio dire di utilizzare come esche per attirare qualche navigatore sprovveduto desideroso di scaricarli a costo zero. Tra i parametri c'è persino la URL di un'immagine del libro presa da Amazon, che purtroppo è stata implementata male visto che - ad oggi - nella pagina non compare. Inutile dire che, nel finto thread sviluppato dalla pagina, un (finto) utente risponde alla domanda dell'opening poster suggerendo un servizio di "download gratuito di e-book" (all'interno del quale si consumerà la truffa vera e propria):
La truffa prosegue mettendo in scena la classica trovata del dubbio fugato dalla smentita, un classico espediente per conquistare la fiducia della potenziale vittima e spingerla a compiere una call-to-action potenzialmente rischiosa: un utente (finto) risponde obiettando che quel sito chiede la carta di credito...
... ma è subito seguito da una serie di altri utenti (anch'essi finti, ovviamente) che confermano l'autenticità e l'affidabilità del servizio: "non temere, è sicurissimo: metti la carta e potrai procedere con il download!"
Il messaggio viene reiterato dalla conferma dell'utente (finto) originario, che conferma il funzionamento del sito: veniamo così a sapere che la carta di credito serve solo a confermare che chi vuole scaricare l'ebook è una persona reale, praticamente un CAPTCHA:
La scenetta si conclude con un'altro paio di utenti che confermano la genuinità del sito e lodano le caratteristiche del servizio: la truffa è servita.
Nel caso in cui vogliate dare un'occhiata alla pagina in questione, potete accedervi copiando l'URL che trovate qui di seguito e incollandolo nella barra degli indirizzi del vostro browser: https://toositego.ml/az.php?q=ASP.NET+Core+3+and+Angular+9+-+Third+Edition+-+Valerio+De+Sanctis&i=https://m.media-amazon.com/images/I/61kIIUNGgLL._AC_UY327_FMwebp_QL65_.jpg Inutile dire che si tratta di un'operazione da compiere con cautela e facendo molta attenzione: la pagina al momento non contiene script dannosi, ma nulla vieta agli scammer che gestiscono il dominio di modificarne i contenuti nel prossimo futuro; quel che è certo è che non dovete per nessun motivo accedere al link contenuto (e più volte reiterato) all'interno del thread, men che meno inserire la vostra carta di credito o qualsivoglia altro dato.
Conclusione
Per il momento è tutto: devo dire che questo scam mi ha davvero sorpreso, ero al corrente di simili stratagemmi ma vedersi "protagonista" di un raggiro così "futuribile" (in tutti i sensi) fa comunque un certo effetto. Prima di salutarvi, vi ricordo che - se volete dare un'occhiata al libro ASP.NET Core 3 and Angular 9 senza rischiare brutte sorprese - potete farlo gratuitamente sfruttando le anteprime disponibili sia su Amazon che sul sito dell'editore ai seguenti indirizzi: ASP.NET Core 3 and Angular 9 su Amazon.it ASP.NET Core 3 and Angular 9 su Amazon.com ASP.NET Core 3 and Angular 9 sul sito Packt Publishing Alla prossima! Read the full article
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Socialisti perdenti e aggrappati al potere dalle Ande alle Alpi
Le elezioni che si sono svolte in questo fine settimana sono sia conferme che sorprese, ma hanno tutte una caratteristica comune: i socialisti e i partiti di sinistra in Svizzera non sfondano, in Canada calano, in Portogallo sono in minoranza, e Morales è alle strette in Bolivia. Ma in nessun caso la sinistra rinuncia al governo.
di Luca Volontè (23-0-2019)
Fine settimana bollente in alcune aree del pianeta, gelido in altre, non mi riferisco ai cambiamenti climatici, piuttosto ai risultati elettorali recenti.
In Svizzera dove si sono svolte le elezioni domenica 20 ottobre, al Consiglio Nazionale composto da 200 rappresentanti, uniche vincenti le donne, le parlamentari donne elette in diversi partiti saranno il 10% in più della scorsa legislatura (dal 32% al 42%). I due partiti Verdi hanno ottenuto un gran risultato, non c’è stata emorragia di voti per i conservatori e anche i socialisti ne escono ridimensionati. I Verdi (anguria) dal cuore rosso, sono passati da 11 a 28 deputati (+6%), i Verdi Liberali (di centro) da 8 a 16 parlamentari (+3,3%). I conservatori di destra (UDC) che hanno cavalcato il proprio cavallo di battaglia, contro immigrazione e lavoratori frontalieri (soprattutto italiani), perdono 12 seggi (-3,8%), ma con 53 parlamentari sono ancora il primo partito della Confederazione. I Socialisti perdono 4 seggi e si attestano a 39 deputati (-2%); i Popolari Svizzeri (centro destra) perdono 2 seggi e si fermano a 25 parlamentari, mentre il Partito Liberale radicale perde 4 seggi e conferma solo 29 suoi deputati. Al Consiglio degli Stati composto da 46 rappresentanti, quando mancano ancora 22 seggi che saranno decisi nel secondo turno delle prossime settimane, i Popolari Svizzeri sono 8, i Socialisti si fermano a 3, i Verdi (anguria) 2, i Liberali radicali 7 e l’UDC a 3.
Il prossimo Governo Svizzero difficilmente vedrà la maggioranza attuale di centro destra perdere la sua maggioranza e, al di la dei proclami dei Verdi (anguria) sarà ben difficile che uno di loro ottenga un portafoglio di governo. Rimane un dato politico significativo, entrambi i partiti Verdi avanzano anche a seguito del gran numero di proteste ‘climatiche’ che hanno coinvolto migliaia di giovani e adulti negli ultimi mesi e sarà possibile si formi in Parlamento una maggioranza di sinistra con Socialisti, formazioni Verdi e Liberali radicali. Il nuovo panorama politico svizzero uscito dalle urne preoccupa perché sarà più facile che si approvino leggi sulla legalizzazione della cannabis per uso medico; ampliamento della legislazione sulla eutanasia; il divieto della ‘terapia di conversione o riparativa’ per le persone gay. I Socialisti svizzeri speravano in una nuova maggioranza progressista, il voto popolare lascia loro l’amaro in bocca.
In Canada si è votato dove lunedì 21 ottobre per il rinnovo del Parlamento (338 Camera e 105 Senato), era il Premier uscente Trudeau e i suoi Liberal a dover temere il peggio, dopo le tante promesse non mantenute, gli scandali e le legalizzazioni di eutanasia e uso ricreativo della cannabis. Rimane il rammarico che nessuno dei candidati e leader delle forze politiche canadesi si sia speso in campagna elettorale per abolire queste due leggi, né si è dimostrato propenso a ridiscutere la liberalizzazione dell’aborto nel paese. Per uno strano sistema elettorale, i Conservatori hanno vinto e ottenuto più di 6 milioni di voti, ma avranno solo 121 seggi in Parlamento (+26); Trudeau ha perso 20 seggi in Parlamento, ha perso nel voto popolare fermandosi a 5 milioni e 900mila voti, ma mantiene una maggioranza relativa di 157 seggi, dunque formerà un Governo di minoranza. Forte la crescita del Blocco del Quebec, coalizione regionale che guadagna 32 seggi (+22), disponibile a lavorare con tutti ma chiede un nuovo referendum per l’indipendenza dal paese, come già avvenne nel 1995. Altra sorpresa, ma sotto le aspettative viste le manifestazioni ‘gretine’ dei giorni precedenti il voto, i Verdi che passano da 2 a 3 seggi in Parlamento.
Trudeau guiderà dunque il nuovo Governo con una minoranza di 157 seggi su 338 totali e, per nulla intimorito dal fallimento del voto popolare e dalla emorragia di seggi, ha voluto mettere ben in chiaro lo spirito che lo anima dicendo che promuoverà politiche di governo ancora più progressiste e sinistre. Pericoli? Moltissimi, dall’ampliamento dell'eutanasia, ulteriore liberalizzazione dell’aborto e divieto di obiezione di coscienza, nuove norme discriminatorie per enti ed associazioni pro life e pro family e forse, per accattivarsi il voto della Coalizione Quebec, anche un bando federale dei simboli religiosi negli edifici pubblici (legge già in vigore in Quebec dal giugno scorso). Un Governo contro il popolo è capace di tutto pur di mantenersi al potere.
Un altro Governo di minoranza Socialista si va in questi giorni formando in Portogallo, dove si è votato lo scorso 6 ottobre, ed il Primo Ministro Costa dovrà contare sui voti benevoli della Sinistra estrema e dei Comunisti, per avere una maggioranza in Parlamento. Grazie al Cielo, il Partito Comunista portoghese è contrario alla legalizzazione dell'eutanasia e questo potrebbe bastare per evitare ai lusitani il pericoli della ‘dolce morte’ nel prossimo futuro.
Non finisce qui, il socialista Morales in Bolivia è alla frutta. In Bolivia si è votato domenica, dopo la sospensione del conteggio del voto nella giornata di lunedì, decisa inaspettatamente dal Tribunale Elettorale Nazionale, la mobilitazione delle opposizioni e le proteste degli organismi internazionali contro le manipolazioni del voto degli uomini di Morales, è stata impressionante. Il sospetto fondato è che Morales voglia evitare il ballottaggio. Il sistema elettorale bolivariano prevede infatti che il candidato che superi il 50% o comunque superi il 40% con il 10% di vantaggio sul secondo, possa esser dichiarato eletto al primo turno senza necessità di ballottaggio. Sino alla mattinata di lunedì era certo il ballottaggio tra il comunista andino Morales e l’ex Presidente Mesa, a cui gli altri partiti di opposizione avevano promesso l’appoggio per il ballottaggio di dicembre. Poi il colpo di scena delle 10 ore di black out e le mobilitazioni e scioperi in tutto il paese. Alla ripresa del conteggio, nella serata di lunedì, stranamente il divario tra Morales e Mesa era oltre il 10% e ciò ha provocato una recrudescenza delle proteste in tutto il paese.
La situazione rimane fluida al punto che sino a martedì mattina, i voti registrati nei seggi locali davano il 41.74% di votanti per la coalizione di Mesa, il 42.3% al partito di Morales e circa l’8% al Partito Democratico Cristiano, apertamente pro famiglia e vita. Il paradosso scandaloso emergeva invece dai voti computati dall’Ufficio Centrale, laddove solo il 37.07% era assegnato a Mesa, il 46.4 a Morales e quasi il 9% a Chi Hyun Chung del Parito Democratico Cristiano, l’unica vera sorpresa della tornata elettorale per la forza e la coerenza di presentare un programma centrato sui valori non negoziabili. Con il 95.63% dei voti verificati, ore 07.00 del mattino boliviano di martedì 22 ottobre, la differenza di voti tra Morales e Mesa sarebbe inferiore al 10% e dunque ci dovrebbe essere il ballottaggio il prossimo 15 dicembre ma…mai dire mai quando abbiamo a che fare con la democrazia socialista, capace di legarsi alla poltrona anche quando non ottiene la maggioranza popolare. Noi in Italia lo sappiamo bene
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13-19 feb. 2019
Chiloé - Pucón [Cile]
Attraversare una frontiera è sempre un'emozione. È come entrare in un mondo nuovo, iniziare un altro viaggio. E questo fa battere il cuore, dopo mesi di viaggio fa ancora emozionare. La verità è che ogni nuova destinazione, ogni nuovo paese, ogni nuovo timbro sul passaporto rappresentano speranza, eccitazione, euforia e timore per ciò cui si va incontro, per il mistero della novità. Abbandoniamo l'Argentina, un paese semplice e per tanti versi simile all'Italia, che ci ha accolti con calore e allegria. Siamo pronti per conquistare una nuova terra! Ciò a cui non siamo preparati però sono la severità e la rigidità che vigono in Cile. L'Argentina è un paese alla mano, dove quasi tutto è concesso, le regole si raggirano facilmente e i visi sono sorridenti. Con i cileni, invece, non si scherza. Ti spingono e sballottolano senza chiedere scusa, rispondono in maniera secca alle domande e cavoli, se parlano strano! Biascicano le parole, le tagliano, se le mangiano, in una sorta di spagnolo che a noi risulta difficile da intendere. Continuiamo a chiedere alle persone di ripetere ciò che hanno detto, loro ci dimostrano disprezzo e ricominciano daccapo, utilizzando le stesse parole incomprensibili, come a sfidarci. La prima impressione sulla popolazione non è delle migliori.
L'isola di Chiloé si aggiudica il titolo di prima tappa cilena e, per certi versi, di prima delusione. Facciamo base a Castro per esplorarla, incappando fin da subito nella difficoltà di trovare alloggio. Gli ostelli sono tutti pieni ed esageratamente cari, il che ci obbliga a dormire in un hospedaje brutto e sudicio, abitato da personaggi ancora più loschi che ascoltano della pessima musica, ad alto volume, fino a notte inoltrata. Così, chiudiamo con un lucchetto la porta dello stanzino di quello che per ora vince il premio per il peggior alloggio del viaggio ed usciamo ad affogare l'amarezza in un paninazzo di fianco alla stazione. Scegli la grandezza del panino, la carne, 3 ingredienti, quindi una delle salse fatte in casa. Una sorta di fast food in versione un pelo più "sana". Il sandwich allevia in parte il dispiacere, però ci pone di fronte ad un'altra spiacevole novità cilena: il costo della vita. I 15€ per i due panini (buoni, per l'amor del cielo, ma mangiati in strada con vista traffico) ci fanno sentire più a Milano che in Sudamerica. È tardi, siamo stanchi e contrariati per la situazione. Ci guardiamo, sapendo che trarre conclusioni affrettate non è mai un bene, ma entrambi abbiamo l'impressione che la buena onda argentina si sia fermata alla frontiera, assieme alla frutta e alla verdura: che sia vietata in Cile? La notte passa (quasi) indenne tra il fracasso dei vicini e la tv della stanza affianco e ci ridà energia per affrontare il mondo con più positività.
Andiamo alla scoperta della principale ed unica attrazione di Castro, le casette colorate su palafitte, ormai tutte trasformate in lussuosi ostelli o ristorantini vista mare. La veduta sulla piccola baia in secca è piacevole e suggestiva, ma qualcosa di artefatto e fittizio traspare da questo luogo. Sembra poco autentico, della vera vita dei pescatori che abitavano questo paese non resta che la facciata da cartolina. Ancora una volta, cerchiamo consolazione nel cibo. Ci hanno tanto parlato del pesce cileno e noi, dopo mesi di carne, empanadas di carne, milanesi di carne, non vediamo l'ora di buttarci su qualche delizia di mare. Il caso tuttavia vuole che la specialità dell'isola sia il curanto: un mischione di molluschi, carne di pollo e maiale, pesce, salsiccia e patate al vapore che fa passare la fame solo a guardarlo, è un piatto miracoloso. L'eccitazione svanisce ancor più in fretta al mercato del pesce nel vedere come vengono "conservati" gli animali e come viene preparato il ceviche: in grandi bacinelle, le donne mischiano con le mani il pesce crudo tagliato a tocchetti, con pomodori, cipolla e coriandolo. A questo, aggiungono molluschi vari, bagnando con il limone. Il tutto però naviga in una sospetta acquetta bianca che disincentiverebbe anche gli stomaci più audaci. La gente del posto si ingozza alle bancarelle del pesce, noi scattiamo qualche foto, rifiutando garbatamente le offerte delle venditrici. Finiamo a mangiare in una delle cocinerias del porto, scegliendo quello che ci sembra essere il male minore: salmone alla plancha servito stracotto, accompagnato da patatine molli affogate nell'olio. Se non altro, siamo lieti che la cottura abbia sterilizzato ogni cosa.
La sera andiamo alla feria del paese dedicata al cibo locale, dedicando ore ad una delle nostre attività preferite: il foodwatching. Le bancarelle offrono di tutto: dolce, salato, fritto, al forno. Ci sono pesci, alghe e molluschi affumicati, conserve di frutta, miele e torte dall'aspetto scoraggiante. Magnifiche vecchine impastano, stendono, farciscono, chiudono, friggono. Le osserviamo incantati prima di scegliere empanadas fritte, milcao (una frittella di patate), chochoca (un impasto a base di patate e fecola cotto su un lungo palo che gira, in stile maialino arrosto, riempito di carne di maiale, quindi arrotolato e tagliato a fette) e la versione cilena mal riuscita delle nostre chiacchiere. Tutti cibi leggeri che si trovano solo nelle feste di paese.
Abbiamo sempre paura di giudicare troppo presto e scappare via prima di aver realmente approfittato dei luoghi, per cui cerchiamo di trovare perle nascoste. Forti di questa convinzione, ci lanciamo verso l'Isla Mechuque, sempre in modalità fai-da-te, perché i tour ci mettono i brividi. Si rivela essere una piccola impresa: volti scuri e risposte criptiche o monosillabiche ci attendono alla stazione dei bus, dove pare che nessuno abbia idea né dell'esistenza né di come si raggiunga questa benedetta isola. "Isla Mechuque? No tiengo idea" ci dicono, come se avessimo chiesto la strada per andare a Tokyo a piedi. Riusciamo finalmente a trovare un colectivo che ci lascia a Tenaún dove, in teoria, dovrebbe passare una lancha comunale. "Di solito arriva tra le 11 e le 14" ci dice l'autista, scaricandoci al porto deserto alle 9:30. "Oggi non passa di qua, fa un altro giro", ci dice un tizio. "Chiedete ai pescatori, magari qualcuno vi porta" ci dice un altro, mentre dentro di noi comincia a montare la collera, ci sembra di essere presi in giro. Le barche private ci offrono passaggi a caro prezzo, ma, non trovando alternative, ci vediamo costretti ad accettare.
L'Isla Mechuque risolleva solo in parte le nostre aspettative su Chiloé: sbarchiamo su questa isola fantasma quasi completamente deserta, dove si respira un'aria da fine del mondo tra palafitte fatiscenti ed un silenzio innaturale. Sembra davvero che qua il tempo si sia fermato, che la lancetta dell'orologio abbia smesso di contare i giorni. Il tempo sembra qui un dettaglio insignificante, la data solo un modo di dare un nome alle giornate. Torniamo da questo viaggio nel tempo un po' rinfrancati, ma senza desiderio di dedicare a Chiloé altre giornate: per noi, il tempo scorre rapido, sono ormai tre mesi che siamo in viaggio e ci sono ancora tante cose da vedere.
Pucón, con il senno di poi, non merita di far parte delle tappe di questo viaggio, ma solo ora lo sappiamo. Non tanto per la cittadina, in sé carina, con i suoi bar, ristoranti ed il vulcano Villarica a farle da cornice con il suo profilo conico e la sua vetta innevata; piuttosto, ancora una volta, per lo sfortunato periodo in cui vi arriviamo ed il costo elevatissimo di ogni struttura. Andare a scalare il vulcano è proibitivamente costoso, noleggiare delle bici anche, dormire ci costa già 2/3 del nostro budget giornaliero, per lavare i vestiti c'è una fila d'attesa di quattro giorni (almeno questa riusciamo a scavalcarla, impietosendo la signora della lavanderia)... Pucón non fa per noi, almeno non in questo periodo dell'anno. Sarà per un'altra volta, oppure no...
Scappiamo anche da questo posto con un po' di amaro in bocca perchè le regioni cilene di Los rios e dell'Araucania sono terre di vulcani e laghi cristallini. I primi, in particolare, mancano ancora all'appello del nostro viaggio e vederli lì, all'orizzonte, senza poter godere da vicino della loro bellezza, ci intristisce un po'.
Così, pur avendo già comprato i biglietti del bus per andare sparati a Santiago, ci decidiamo a fare una deviazione di un giorno e mezzo per andare a vedere il vulcano Llaima nel Parque Nacional Conguillio. Raggiungere il parco è un parto trigemellare: partiamo da Pucón al mattino per arrivare a Temuco ad ora di pranzo (106km in 3h e mezzo), per poi scoprire che l'unico bus per il parco parte al mattino presto. Prendiamo quindi un altro mezzo per un villaggio sperduto, Melipeuco, dove arriviamo nel tardo pomeriggio. Da lì, riusciamo ad ottenere un passaggio da due persone che lavorano in un hotel del parco. L'orario d'ingresso è passato da un bel pezzo ed entriamo senza pagare il biglietto. Ci lasciano ad un campeggio che offre la postazione per la tenda a 20€ (siamo matti?!) ma alla reception non c'è nessuno. Suoniamo più volte il campanello, senza risposta, quindi decidiamo di mischiarci con le altre tende e finiamo per non pagare. Sì, ancora.
Il parque è una distesa di dune nere e rocce vulcaniche, alberi ed arbusti verdi, una nebbia fina che scende dalle montagne. Contempliamo questo scenario da altro mondo nel silenzio più assoluto, che è forse la cosa più difficile da far capire a parole: in questi luoghi estremi, specialmente la sera, quando cala il sole, scende un silenzio irreale, magnifico, quasi assordante, cui noi non siamo affatto abituati. Ci si sente in pace, perfettamente connessi con il mondo della natura, viene voglia di spalancare le braccia, guardare dritto al cielo e fondersi con l'universo. Il giorno seguente piove, il vulcano è nascosto dalla nebbia e decidiamo di non metterci nemmeno in marcia.
Scappiamo dal campeggio ed andiamo a cercare riparo vicino alla splendida Laguna Verde, dove ci nascondiamo in un minuscolo bosco, fissando il telo esterno della tenda ai tronchi degli alberi e creando così un piccolo rifugio dall'acqua. Ce ne andiamo dal parco in autostop, contenti per questa deviazione che forse avrebbe meritato più tempo.
Il nostro piatto di Chiloé e Pucón è: la chochoca
La nostra canzone di Chiloé e Pucón è: Fabrizio de André - Il pescatore
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hello there pt2
l’avevo detto che mi servivano due post.
allora.
l’altro motivo per cui mi è tornato utile questo blog è molto semplice. si chiama erasmus.
proprio così piccola greta del futuro, è il 13 gennaio 2020 e tra 3 settimane partirai per l’erasmus. già immagino come sarà tra qualche anno rileggere queste quattro cagate che sto per scrivere e ricordarmi di tutto quello che c’è stato nel mezzo.
dicevamo, l’erasmus. come? quando? perchè?
ho fatto domanda a gennaio dell’anno scorso, le graduatorie sono uscite a febbraio e sono stata scartata in tutte e tre le destinazioni che avevo messo tra le preferenze (yay). al numero 1 c’era chiaramente la cara e vecchia amsterdam, al numero 2 abbiamo gand, in belgio, e al numero 3 niente di meno che nicosia, cipro. solo se ripenso alla mia scelta di mettere cipro tra le preferenze mi viene da ridere. come mi è venuto in mente? bah
comunque, dicevamo che nessuno mi ha cagata. poi, la svolta. è luglio, mi sveglio verso le 11 per andare a lavorare e guardo il telefono. una mail da almaRM, si è liberato un posto per il belgio, devo accettare entro una settimana. buongiorno quindi.
panico. cioè, panico, direi più che altro un mix di emozioni che non sono riuscita ad identificare quella volta e non ci riesco neanche ora. boh, strano. molto bello sì, ma strano. avevo smesso di guardare le graduatorie perchè tanto ero troppo in basso per poter salire ed essere presa, e invece quando meno te l’aspetti ecco che la vita arriva per sconvolgerti e mettertelo in culo di nuovo. sta volta con la vasellina però.
vado a lavoro, capisco che devo abbandonare l’idea di licenziarmi perchè ora mi servono soldi, devo reggere per tutta la stagione. i miei accettano, parliamo di soldi, perchè tanto alla fine per una scelta così è di quelli che si parla, e io confermo il posto.
quindi ecco il programma: secondo semestre a gand, dal 5 febbraio a metà luglio minimo, ho la camera fino al 15, poi si vedrà. magari mi accampo a tomorrowland. ho fatto richiesta per una camera in dormitorio, non avevo nessuna intenzione di mettermi a cercare un appartamento in belgio, già bologna mi è bastata.
quindi non so, che dire a riguardo? qui mi stanno chiedendo in tanti come mi sento, se sono pronta a partire, se non ho paura, “ma non conosci proprio nessuno che sia con te?”
no raga, nessuno. partiamo io me e medesima. nessuno mi viene a prendere all’aeroporto, nessuno fa il viaggio con me, nessuno che conosco è a lezione con me, nessuno dorme nel mio stesso condominio, nessuno è in quella stessa città, nessuno che conosco è in belgio e nessuno che conosco va in erasmus a dirla tutta. nessuno. io e basta.
e vogliamo dirla tutta? la cosa non mi preoccupa per niente. lo so come funzionano queste cose, lo so cosa vuol dire essere in un paese straniero in cui neanche parlano la tua lingua e frequentare una scuola in cui neanche conosci il metodo e farsi tutti gli amici nuovi, da zero. e non dico conoscere qualcuno di nuovo per ampliare il gruppo, dico farseli tutti da capo. tutti.
in realtà è una figata. io capisco che i miei amici non capiscano. lo capisco davvero. neanche io capirei. per questo non mi sono mai infastidita quando non hanno capito cosa volesse dire per me essere in australia o cosa vuol dire per me adesso andare in belgio. non gliel’ho neanche mai davvero spiegato, per il semplice fatto che non sono cose che capisci se non ci sei dentro. sì, vorrei che capissero, ma non li biasimo per questo.
poi il fatto che io sia una cinica testa di cazzo che non esprime sentimenti manco se pagata sicuramente non aiuta, ma questi sono dettagli. sicuramente se fossi una sentimentale non avrei bisogno di spiegare niente perchè non andrei da nessuna parte. sorry not sorry per le mie scelte di vita.
le cose da dire riguardo a questa esperienza in realtà sono tante ma allo stesso tempo nessuna, è sempre difficile parlare di queste cose a tal punto che è quasi meglio non parlarne. neanche scriverle.
non ho paura, non sono preoccupata, non rimpiango niente, non mi mancheranno i miei genitori e non mi mancheranno i miei amici. il mio cane sì, tantissimo anche, perchè non sarà consapevole di quello che succede, penserà che l’ho abbandonata e mi si spezza il cuore al solo pensiero.
a parte questo, non dico che non mi mancherà nessuno perchè odio tutti, ma semplicemente perchè so che torno. io queste esperienze le affronto senza problemi perchè so sempre che torno. se non avessi una data di ritorno la cosa sarebbe diversa, tutto sarebbe diverso. ma in questo caso no.
poi, di nuovo, il fatto che io sia un’apatica del cazzo che in generale non sente mai la mancanza delle persone è un altro discorso. ma a me è difficile che manchi qualcuno solo per il semplice fatto di essere qualcuno. mi mancano le cose che facciamo insieme magari, quelle si. so che mi mancheranno le serate al bradipop, so che mi mancheranno gli aperitivi al pepper, le serate da albi, il venerdì sera in cantina, tornare a bologna, i film della domenica sera, i giochi di società dopo aver fumato, i pomeriggi al parco con l’anna, le serate in città. queste cose sì. le persone non so, in linea di massima si, ma non da volermi far tornare a casa. purtroppo, so che io mancherò di più di quanto mancheranno loro a me, non perchè io sia fighissima e l’amica che tutti vorrebbero, ma perchè io avrò da fare, sarò occupata con una vita nuova, ogni giorno sarà qualcosa di diverso. per loro no, sarà la solita vita ma con una persona in meno. lo capisco, davvero.
sono una stronza scusate lo so.
cos’altro? ah si, la solitudine. bel discorso. avrò un sacco di tempo per stare da sola, sia per scelta che perchè sarò costretta (sì, di nuovo, non conoscerò nessuno all’inizio), e la cosa non mi tocca neanche un po’. io sto bene da sola, con me stessa, chiaro che dopo un po’ impazzisco anche io, ma la reggo bene. e non parlo di solitudine in senso concreto di avere persone intorno, non credo che in belgio mi mancheranno amici o compagni accanto, ma parlo della solitudine vera. quella che quando ti succede qualcosa di assurdo ti blocchi un attimo perchè in realtà non hai nessuno a cui raccontarlo. certo, avrò sempre i miei amici a casa, certo, avrò nuovi amici in belgio, ma quelli a casa non capiranno mai davvero cosa sto passando e quelli in belgio non mi conosceranno mai davvero per potermi aiutare. o forse sì chissà. mi è stata così in australia, lei c’era davvero. spero di incontrare un’altra persona come mi. se non la incontrassi, so come fare.
l’australia mi è stata d’aiuto in modo impressionante per questo, so a cosa vado incontro, so cosa aspettarmi, so come gestire le emozioni e le situazioni che a 17 anni mi hanno lasciata spiazzata. sicuramente io ora parlo credendomi la persona più forte del mondo e quando sarò là avrò momenti difficili che mi lasceranno spiazzata di nuovo, ma questo è normale, fa parte del gioco. se l’ho fatto a 17 anni dall’altra parte del mondo credo di poterlo fare anche a 21 a meno di 2 ore di aereo da casa.
dopo aver passato in rassegna tutte le cose negative che non mi toccano neanche un po’, posso dire che sono gasata ammerda? cioè dai vado in belgio da sola per 6 mesi. e sta volta da sola davvero. ed è ancora più bello. in australia mi mancava l’indipendenza, 17 anni mi pesavano, mi bloccavano continuamente, non potevo fare niente da sola, avevo una famiglia a cui rendere conto e che mi doveva dare il permesso per qualsiasi cosa, ero in una città buco di culo in cui dovevo farmi accompagnare in macchina per andare ovunque. sta volta no. sta volta no. e giuro che solo all’idea sono gasata.
non so se c’è altro da aggiungere, ora aspetto i dettagli dall’università (per cui ci sarà un post specifico, pallosissimo ma che almeno mi farà ricordare le cose), darò un esame il 27 e comincerò a fare le valigie. il 5 si parte. mancano 23 giorni.
ormai è fatta.
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La diaspora venezuelana viaggia su Facebook: tra foto di gattini e preparativi per un colpo di Stato guidato da Trump (o da Bolsonaro). Un reportage nelle trame del digitale
Io odio Facebook. Sono allergica a questo strumento narcisistico che serve a mettersi in mostra, a imbellirsi e quindi a bluffare – e per giunta serve pure a farsi sorvegliare e usare dalle forze oscure che tirano i fili delle reti sociali. Però lo uso, spesso. Salto a piedi giunti sui post di gatti e di torte di compleanno per cercare l’unica cosa che mi interessa e che scruto con curiosità morbosa, quasi sadomaso: le informazioni che circolano nella diaspora venezuelana, e il secondo grado di queste informazioni, cioè le opinioni e il comportamento della diaspora.
Leggiamo tutti i giorni notizie sui temibili hackers russi e cinesi che manipolano le reti delle sante e pulcre democrazie occidentali, su come Cambridge Analytica è intervenuta nel referendum sul Brexit e come ha aiutato Trump a vincere l’elezione, sui gruppi terroristici che da Al Qaida a ISIS non avrebbero tanto successo nei loro reclutamenti senza internet, ma ancora non ho visto una ricerca sul comportamento nel mondo virtuale della diaspora venezuelana, sempre più numerosa e attiva su Facebook. Circa 3 milioni sparpagliati nel mondo intero, cioè il 10% della popolazione, e suppongo che almeno 2 milioni e mezzo di loro usano regolarmente Facebook (sottraggo generosamente, a occhio e croce, i 500.000 emigranti che hanno lasciato il paese dal 2016, a un ritmo di 5000 al giorno, generalmente a piedi, i più fortunati in autobus o autostop, direzione Colombia, Brasile, Perú dopo una decina di giorni di marcia, se sono fortunati).
Facebook funge da finestra spalancata per respirare, grazie alle foto spensierate di gatti e torte di compleanno, un po’ d’aria fresca dopo aver letto le notizie nazionali che puzzano di corruzione, violenza, miseria, e menzogne del regime di Maduro. Ma anche un compleanno può diventare un modo di usare Facebook con altri scopi oltre a fare gli auguri: uno dei miei contatti manda sempre gli auguri dicendo “ti auguro di festeggiare il tuo prossimo compleanno in una Venezuela libera !”… un po’ come le preghiere degli ebrei che invocano il ritorno nella terra promessa.
Facebook funge da divano psicoanalitico: serve ad esprimere, con profonda tristezza, la nostalgia delle spiagge tropicali (le più belle del mondo, ovviamente! vedi foto di sabbia-bianca-acqua-turchese-palme-bikini), della musica (inimitabile! sia il talento del direttore d’orchestra Gustavo Dudamel che il merengue indiavolato, ascolta audio corrispondente), o della cucina (insuperabile! specialmente quella della mamma, prendi nota della ricetta), la mancanza degli amici che ancora non sono riusciti a emigrare, il senso di colpa per aver lasciato indietro i parenti piú anziani, troppo vecchi o ammalati per affrontare il viaggio o per ottenere un visto. I “muri” di Facebook sono muri del pianto. Convincono e si autoconvincono che prima di Chávez, c’era il regno della felicità. Emigrare è una decisione dolorosa, dicono i post, e la speranza di tornare si indebolisce ogni giorno ma ancora non si è spenta.
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Mancano i medicinali, i supermercati sono sbarrati, i soldi sono pochissimi: dal Venezuela si fugge
Facebook funge anche da tam-tam per risolvere le ricerche disperate di medicinali (nelle farmacie manca l’80% delle medicine che dovrebbero avere, e negli ospedali la situazione è simile a quella di una zona in guerra). Ormai si contano a decine, nel mondo intero, le associazioni di medici venezuelani emigrati che ricevono per posta ricette firmate dai loro colleghi rimasti in Venezuela, le trasformano in ricette del paese dove ora esercitano la loro professione, e le trasmettono a una farmacia della zona dove un parente compra il medicinale e lo spedisce via DHL in Venezuela. A volte questo tam-tam non è abbastanza veloce, come è successo pochi mesi fa a un mio cognato, morto nel giro di pochi giorni di un’infezione renale curabile con un semplice antibiotico.
Ma sopratutto, per la diaspora venezuelana, Facebook è un luogo di discussione, anzi un comizio politico, affollato di opinioni, articoli, libri, studi, dichiarazioni, barzellette e insulti contro Maduro e affini, tutti con un denominatore comune: il paese è distrutto, l’opposizione ormai non è piu’ moribonda ma completamente defunta, il regime è sempre più dittatoriale, come facciamo per liberarcene al più presto.
Fino a due o tre anni fa, Facebook era un modo di pianificare il futuro post-Maduro progettando tutte le fasi di una lunga transizione e ricostruzione economica, politica, sociale. Oggi si parla sempre meno del futuro di lunga scadenza, impossibile da decifrare, e sempre di più dell’urgenza immediata di domani: sbarazziamoci subito di questa banda di delinquenti cleptocrati, e poi pensiamo a cosa viene dopo. La disperazione accelera i tempi, e Facebook, che è il regno della superficialità, semplifica, trova scorciatoie, riduce a bozze scarabocchiate anche le situazioni più complesse.
Più la situazione del Venezuela precipita in un abisso di cui non si vede mai il fondo, più Facebook diventa un covo di cospirazione sovversiva. L’ultima cospirazione virtuale è nata l’anno scorso, e si è sviluppata in due onde, prima una breve e limitata alla rete della diaspora venezuelana, poi un’onda piu’ grande che durante il mese scorso ha traboccato fuori dal recipiente venezuelano e si è infiltrata in reti straniere. Si tratta dell’idea di un intervento militare degli Stati Uniti per eliminare con un colpo di stato Maduro e il suo regime.
Dopo le violente manifestazioni di aprile-giugno 2017, e dopo l’ennesima elezione sfacciatamente manipolata dal governo in maggio di quest’anno, l’idea è partita su Facebook dai ranghi degli emigrati e rifugiati piu’ radicali, ma è stata subito messa a tacere da alcuni pezzi grossi dell’opposizione in esilio, preoccupati di preservare la loro reputazione di democratici fiduciosi nelle elezioni e mai violenti. C’è stato un susseguirsi di post scandalizzati in cui i “lider” ricordavano che la democrazia venezuelana, nata nel 1958 sulle rovine della dittatura militare di Pérez Jiménez, è stata un faro di luce nella buia notte delle dittature peruviane, brasiliane, argentine, uruguaie, cilene, degli anni 60 a 80. Intellettuali, giornalisti, accademici della diaspora hanno usato Facebook per tirare fuori dagli archivi storici esempi di posizioni anti-militari della politica estera della democrazia venezuelana: durante la guerra delle Falklands (Malvine) del 1982 tra Argentina e Gran Bretagna, e soprattutto contro gli interventi militari USA a Cuba (1961), Granada (1983), Panama (1989) destinati a rovesciare governi troppo di sinistra per il gusto di Washington e che si identificavano con lo scenario della guerra fredda.
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Il 4 agosto scorso, due droni modello Ikea-costruiscilo-a-casa-tua, carichi di esplosivo, hanno seminato il panico sulla tribuna dove Maduro stava pronunciando un discorso, circondato da vari pezzi da quaranta del suo governo e dai suoi bodyguards cubani. Né Facebook, né nessun’altra fonte, hanno chiarito chi ha lanciato questi droni artigianali, il cui risultato principale è stato di ripristinare la discussione sull’idea di un intervento armato esterno come unica via di uscita, creando la seconda ondata di polemiche. Sono bastati alcuni ambigui tweets e dichiarazioni di Trump, della sua ambasciatrice all’ONU e di esponenti del Congresso degli Stati Uniti, oltre alle parole del Segretario dell’Organizzazione degli Stati Americani (“non scartiamo nessuno scenario”), per riaccendere, su Facebook, sia la speranza della diaspora più conservatrice in un appoggio militare alla disarmata e caotica opposizione, sia le urla della diaspora moderata contro qualsiasi progetto di soluzione violenta.
Il 17 settembre scorso, 11 dei 14 stati membri del Gruppo di Lima (meccanismo informale dei paesi americani creato in agosto 2017 per trovare soluzioni alla crisi venezuelana) hanno chiaramente scartato e condannato qualsiasi progetto di colpo di stato o intervento militare, ma con ciò hanno agitato di più le acque di Facebook invece di calmarle. Infatti ora si moltiplicano i commenti esasperati tipo “va bene, i governi della regione dicono nisba a un intervento militare, ma allora che si fa ? le elezioni sono sempre una farsa, le manifestazioni servono solo a far morire studenti e a moltiplicare i prigionieri politici, i negoziati governo-opposizione sono falliti uno dopo l’altro, e intanto la gente muore di fame, di malaria, di tuberculosi, di parto, di morbillo…”. Su Facebook aumentano anche i commenti pro-Trump da parte di venezuelani che credevo democratici fino alla morte, al di sopra di ogni sospetto: “lui solo ci può salvare! sta facendo molto per noi, aiutiamolo e appoggiamolo, troverà il modo di intervenire e di far precipitare il governo di Maduro, teniamoci pronti perché a Washington stanno preparando l’operazione”. Rabbrividisco. Non sono sicura che dopo Maduro ci possa solo essere un regime democratico. Ci potrebbe perfettamente essere una bella giunta militare di sinistra, ovviamente manovrata da Cuba, con ufficiali pieni di medaglie stile albero di Natale con sfondo di bandiera rossa. Di militari di destra non se ne parla proprio: sono tutti in galera o in esilio. Ma è difficile saperlo con certezza perché i militari non usano Facebook, o almeno non in forma visibile e non nelle reti che conosco. E ad ogni modo, le medaglie natalizie, per me, sarebbero uguali.
Ed è così che giorni fa, malgrado la mia rete Facebook di contatti sia limitata e selettiva, ho trovato le ripercussioni di questa seconda onda di discussione pro e contro un intervento USA su un gruppo internazionale formato da utenti variopinti, la maggior parte estranei e ignari del Venezuela. Qui la discussione girava intorno a Trump e alla sua politica aggressiva. Nel vortice di post contro Trump, i riferimenti al Venezuela erano distanti, casuali e indiretti: se a Trump venisse in mente di intervenire militarmente, sarebbe un’ulteriore dimostrazione della sua pericolosità e un ritorno alla guerra fredda, quando i marines “aggiustavano” i risultati a loro scomodi di elezioni latinoamericane. Alcuni hanno osato ribattere: “ma i venezuelani muoiono di fame, emigrano in massa, solo un intervento armato puo’ salvarli!”. E giù una pioggia di commenti del tipo: “la crisi umanitaria, la mancanza di medicinali e di cibo, sono tutte fake news, è un’invenzione della destra appoggiata dal partito repubblicano e dall’amministrazione Trump per rovesciare un regime democraticamente eletto!”, “l’inflazione, il mercato nero, la caduta della produzione petrolifera, agricola, industriale, è tutta roba provocata dalla guerra economica scatenata dagli USA contro il chavismo-madurismo che attacca i suoi interessi!”, “bisogna rispettare l’autodeterminazione di un popolo che ha votato molte volte a favore di Chávez e di Maduro e che ha avuto il coraggio di dire basta alla dominazione capitalista”, e via dicendo…
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“La vittoria di Jair Bolsonaro in Brasile ha aggiunto un nuovo strato di confusione nei post della diaspora. C’è chi grida ‘Alleluja, se Trump non interviene, Bolsonaro lo farà di sicuro perché è profondamente anti-chavista’”
La vittoria di Jair Bolsonaro in Brasile ha aggiunto un nuovo strato di confusione nei post della diaspora. C’è chi grida “Alleluja, se Trump non interviene, Bolsonaro lo farà di sicuro perché è profondamente anti-chavista”, e c’è chi risponde “Bolsonaro è una vergogna per tutta la regione, è un fascista impresentabile”. Il colmo della confusione è il post che mostra un’intervista del 1999 nella quale il Bolsonaro che oggi accusano di “fascista” diceva che Chávez “è uma esperança para a América Latina”. Forse è la stessa confusione che descrive Vasilij Grossman in Vita e destino: la confusione che cancella le differenze tra i regimi basati sulla forza, tra i nazisti e i sovietici che si scontrano a Stalingrado ma che in fondo sono uguali.
Io sono molto timida su Facebook. Non solo non oso pubblicare foto di gatti (tanto non ne ho) nè di torte di compleanni (da tempo non li festeggio più). Come ho detto prima, osservo con curiosità ma in silenzio (forse con un pizzico di arroganza ?), e molto raramente mi faccio “vedere”. Ho rabbrividito e reagito con rabbia e indignazione ai commenti pro-Trump di cui sopra. E con la stessa rabbia e indignazione, di fronte a corbellerie per me inaccettabili perché provenienti da chi non ha mai messo piede in Venezuela, frutto di un’ignoranza grassa, viscida e appiccicosa, di quelle che accecano chi ce l’ha e danno nausea a chi non ce l’ha, non ho saputo stare zitta di fronte ai commenti pro-Maduro. Ho preso il microfono dei post e ho lanciato alcune delle statistiche internazionali piu’ affidabili su povertà, fame, inflazione, repressione, censura, tragedia economica, emigrazione –senza dimenticare di chiarire che non ci sono elezioni libere e pulite dal 2004, e che Cuba è, da 20 anni, la potenza dominante in Venezuela, seguita, in quest’ordine, da Cina, Russia e Iran.
Mia suocera (88 anni) soffre di ipertensione e altri problemucci tipici della sua età. È scappata da Caracas, stufa dell’insicurezza e dei supermercati vuoti, per andare ad abitare in campagna dove possiede un orticello che ora coltiva, insieme a una figlia ammalata e due cugini, e le assicura ortaggi e frutta per poter mangiare tutti i giorni. Ma il medicinale per l’ipertensione che non si trova in nessuna farmacia del Venezuela non cresce nell’orto: le arriva con il pacco di sapone, dentifricio, cibo in scatola, che le manda ogni tre mesi, via DHL, il resto della sua famiglia sparsa tra Canadà, Colombia, Perú e Stati Uniti. La sua pensione è l’equivalente di 10 euro al mese (quando la riceve), così come quella di sua figlia, che è stata dimezzata da Chávez perchè osó firmare contro di lui nel referendum del 2004.
Chiedo ai miei “amici” di Facebook che non hanno mai messo piede in Venezuela e difendono Maduro&C.: se spiego a mia suocera che l’autodeterminazione del popolo venezuelano è una lotta rivoluzionaria, un esempio di resistenza contro le forze capitaliste, credete che mi capirà senza che le salga troppo la tensione? E se spiego a quelli della diaspora pronti a cadere nella tentazione di appoggiare un’invasione militare che la soluzione intervenzionista equivale a sostituire una dittatura con un’altra, credete che capiranno ?
Sul thread della discussione anti-Trump e pro-Maduro leggo la risposta di un venezuelano che non vuole emigrare per non lasciare soli i suoi anziani genitori: “Tu che lanci slogan contro l’imperialismo, hai mangiato oggi? Io no”.
Manuela Tortora
* Manuela Tortora, venezuelana, ex-funzionaria di carriera dei governi democratici tra il 1980 e il 1994, ha scritto per Pangea un ampio reportage sul Venezuela, pubblicato qui.
L'articolo La diaspora venezuelana viaggia su Facebook: tra foto di gattini e preparativi per un colpo di Stato guidato da Trump (o da Bolsonaro). Un reportage nelle trame del digitale proviene da Pangea.
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IL MIO Primo#Festive500 by @Rapha di Stefano Benvenuti
Presentazione
Sono mesi che aspetto con eccitazione questo momento, tutto è già stato programmato, la decisione di parteciparvi è stata presa a luglio 2017 e visto che la maggior parte delle uscite, avverrà nelle ore pomeridiane del mese di dicembre, ho pensato bene di procurarmi un bel kit di luci.
In Italia siamo in pieno inverno, le ore di luce pomeridiane si limitano a quattro ore circa dopo la mezza, considerando che prima delle 12:30 /13:00 non riesco a liberarmi dal lavoro, la parte finale delle uscite si svolgerà al buio.
#Rapha #Festive500 #Day1 Inizia L’ Avventura 24/12/2017
La Prima uscita non è stata molto incoraggiante, fa freddo il termometro segna 5°c e un alto tasso di umidità.
Io lavoro come pasticcere, il mio compagno di avventura Federico Corbinelli ( foto Instagram), lavora presso un grande centro commerciale, siamo alla vigilia di Natale e la settimana avvenire sarà, per chi fa il nostro lavoro, sicuramente la più impegnativa, ma il caso vuole che tutto ciò coincida con il #Festive500. by Rapha
Poco importa! Nonostante abbia lavorato tutta la notte l’impegno è preso, ho pianificato tutto, la prima uscità sarà di 100 km e tanta pianura…non di meno!
Ma non avevo fatto i conti con la dura realtà: poche ore di sonno, freddo, impegni familiari, quattro figli e babbo Natale…dimenticavo!! Alle 00 del 25 dicembre devo rientrare al lavoro.
Rivediamo subito il programma.
Tutto ciò porterà ad un giro nervoso, 84km tirati e poche foto…il morale è a pezzi, la cosa appare più difficile del previsto, 500km in otto giorni devono fare i conti con il lavoro, la famiglia e le condizioni meteo che non promettono niente di buono per i giorni a venire, salvo alcune finestre, la pioggia sarà la costante di questo #festive500.
Questo il risultato della prima uscita!
25/12/2017 Natale no Ride
26/12/2017
07:09, Martedì 26 dicembre 2017
#festive500 [day Two]
Oggi dopo un mese di lavoro ininterrotto, ho la mia prima giornata di riposo, sveglia alle 4:30 a.m, colazione!
Oggi il programma prevede un’ uscita in pianura di oltre 100 km, compagno di avventura il già sopra citato Federico, ma oggi ci accompagnerà un altro amico, Pasquale Salerno, non partecipa alla sfida, ma ci ci supporterà con la sua piacevole presenza nella nostra avventura.
Pioviggina, ma fa molto caldo 11°c, esco di casa che è ancora notte, mi dirigo verso il luogo dell’appuntamento 11 km ad ovest di Firenze, una debole e impercettibile pioggerella mi accompagna.
Mi sento molto bene, le gambe girano che è un piacere, sono positivo. ALLERTA GIALLA, avvertono i maggiori siti di previsioni meteo, ma nonostante tutto sono determinato a portare a casa i Km programmati. Ci siamo tutti IO, Federico e Pasquale, ore 07:30 a.m.
Pedaliamo lungo la ss 67 Tosco Toscoromagnola direzione Fucecchio
L’andatura è spedita ma rilassata, parliamo un po’ di tutto, l’atmosfera è molto più serena della prima uscita e lo spirito è quello giusto per affrontare un #Festive500, il traffico automobilistico è scarso, il fiume Arno scorre alla nostra destra bello carico d’acqua, ci accompagnerà fino ad Empoli, il paesaggio circostante è caratterizzato da capannoni industriali e aree commerciali e sarà così fino a Fucecchio.
Giunti a Fucecchio l’obbiettivo primario è quello di trovare una pasticceria per un buon espresso che non tarda ad arrivare… come le prime foto!
Belli carichi ripartiamo, inizia la seconda parte del giro, direzione Poggio Tempesti, qui il paesaggio si fa interessante, le Terre di Leonardo Da Vinci, tutte intorno a noi dolci verdissime colline, un cielo plumbeo che non promette niente di buono rende i colori ancor più brillanti.
Attacchiamo la breve salita che porta alla cima di Poggio Tempesti, dalla cui sommità dominiamo tutta la piana, il paesaggio è molto coinvolgente e non possiamo fare a meno di fermarci e scattare qualche foto
Scattate le foto di rito, non ci rimane che rimetterci in cammino, siamo a metà del percorso, abbiamo tenuto una buona media e guadagnato un buon margine di tempo per portare a casa un bel numero di km… ma è il giorno di Santo Stefano, ed ognuno di noi ha impegni familiari da onorare, pranzi in famiglia, parenti e amici, con cui condividere la tavola in questo giorno di festa.
Il morale è alto, 130 km pedalati in ottima compagnia, volati via senza quasi accorgersene, con il giusto spirito, il Karma è al settimo cielo!!
12:29, Mercoledì 27 dicembre 2017
#festive500 [ day tree ] come un criceto sulla ruota
Se il giro del 26/12 è stato memorabile e molto gratificante, non posso dire lo stesso del giro in questione.
Entro al lavoro alle 03:00 a.m, naturalmente ci vado in bici per guadagnare qualche km in più ottimizzando il tempo a disposizione.
Lavoro ma la testa è concentrata sul giro da fare, ogni tanto butto lo sguardo fuori dalla finestra, guardo il cielo ed è sereno, riguardo dopo mezzora ed è carico di nubi e così si alterna per tutta la mattinata. Alle 12•00 finisco il mio turno di lavoro, mi cambio, indosso la divisa della squadra ed esco sulla strada. Alzo la testa al cielo e sopra di me dense nubi color piombo cariche d’acqua non fanno che confermare ciò che le mia app meteo preannunciava da giorni…MERCOLEDI 27 TEMPORALI!!
Niente! Non posso non uscire, saltare un giorno mi metterebbe in una brutta situazione, 80km sono quelli programmati che mi consentirebbero di chiudere il #Festive500 con almeno due giorni di anticipo…Mi dirigo in direzione sud, come esco da Firenze comincia a piovere, tira vento, fortunatamente non fa freddo. Giunto in prossimità di Pontassieve, (un ridente comune distante circa 15km da Firenze), decido di invertire la rotta per far rientro in città e cercar di completare la missione all’interno del più grande parco cittadino di Firenze, il Parco delle Cascine, un anello di 7km da ripetere almeno 7/8 volte.
Al 25esimo km arriva l’imprevisto, un chiodo di almeno 2 cm mi si conficca nel copertone, mi sarei voluto mettere a piangere.
Cerco di rimanere calmo, smonto la ruota, sostituisco la camera d’aria, rimonto il tutto e…sono praticamente zuppo d’acqua, infreddolito e con le gambe dure come il legno, è finita! Penso fra me e me.
Rimonto in bici, il morale è a terra, mi mangio una barretta, nella speranza di recuperare un po’ di calore disperso durante la lunga sosta sotto l’acqua e ricomincio a pedalare, con mia sorpresa i muscoli ed il morale riacquistano pian piano vigore.
Giunto nel parco delle Cascine, comincio ad inanellare giri su giri, piove molto forte, ormai non so più se l’acqua che mi arriva addosso vien dal cielo o dalle ruote della mia bici.
Ad ogni giro mi ripeto : Basta! Questo è l’ultimo. Per poi ricominciare e ripetermi la stessa cosa a quello dopo. Vado avanti così per ben sette giri, per un totale di 50 km da aggiungere agli altri 33 fatti in precedenza, raggiungendo gli 83km di cui avevo bisogno. Sono stracontento, fradicio marcio, stanchissimo ma soddisfatto della prova di carattere che ho dimostrato nel portare a termine questa durissima uscita…un’altro tassello è stato aggiunto all’opera ed il traguardo si sta avvicinando!
13:39, Giovedì 28 dicembre 2017
Ride Four #festive500 sempre più vicini alla metà
Distanza 101,8 km
Giro n°4, previsioni meteo: nuvoloso con possibili precipitazioni di bassa intensità, probabilità di pioggia 30%.
Per l’uscita di oggi ho deciso di cucinarmi un giretto da una 70ina di km, ho ancora addosso l’umidità di ieri, ed il rischio di riprendere un’altra bussata d’acqua è assai concreto.
Direzione Pistoia andata e ritorno, senza tante deviazioni! Insomma, un giro semplice.
Parto sotto una leggera pioggerella, le gambe girano molto bene e questo mi stupisce, sono alla quarta uscita consecutiva e il fatto di non accusare segni di stanchezza mi rende molto euforico e mi congratulo con me stesso: bravo Stefano, sei in gran forma!
Il tragitto che porta a Pistoia è un susseguirsi di case, capannoni industriali e commerciali, ma tutto sommato non è male per un giro del genere, mentre pedalo immerso nei miei pensieri una strana e pittoresca costruzione attira la mia attenzione e non posso fare a meno di fermarmi a fotografarla…. dimenticavo: la mia fidata macchina fotografica mi ha abbandonato subito alla prima uscita, tutte le foto e i video sono stati girati con lo smartphone.
Fame Chimica
Fatte le foto riparto verso Pistoia, capitale Europea della cultura, davanti a me in tutta la sua bellezza selvaggia si staglia la montagna Pistoiese, meta sciistica invernale e ciclistica per i mesi più miti dell’anno. Ma la ragione mi richiama all’ordine, così resisto al richiamo della montagna e mi dirigo verso il centro storico, dove scatterò qualche foto, farò una sosta al bar per un espresso e poi via verso casa.
Nel frattempo ha smesso di piovere, ci sono ben 11°c, mi sento inspiegabilmente felice e libero, questa avventura che sto vivendo mi fa stare veramente in pace con me stesso, nonostante la fatica causata dalle poche ore di sonno cominci a farsi sentire.
E’ giunto il momento di tornare verso casa, le nubi hanno lasciato spazio al sole che fa sentire tutto il suo calore.
Decido di passare da Prato, comune posizionato a Nord di Firenze. pedalando su strade secondarie, evitando così la zona industriale con il suo caotico traffico tipico di questi giorni di festa.
I pochi chilometri che separano Pistoia da Prato scorrono veloci e senza problemi.
Raggiunto il centro della città, scatto qualche foto.
Prato
Comincia a far notte, accendo le luci e mi rimetto sulla strada di casa.
Giunto alle porte di Firenze, termino il mio bel viaggio facendo alcuni passaggi all’interno del Parco delle Cascine, portando così il mio chilometraggio totale a 101... ne mancano solo 88 di 500 è quasi fatta!
Tre giorni e 88 km mi separano dal traguardo, la stanchezza fisica comincia a farsi sentire e pure la pazienza della mia famiglia sta finendo.
Ma mentalmente mi sento ancora molto carico, questa avventura mi sta facendo del bene.
Il deragliatore posteriore sta cominciando a dare qualche problema, acqua e fango di questi giorni lo hanno messo a dura prova, stasera prima di andare a dormire devo trovare il tempo di dargli una pulita e un po’ di grasso.
A domani!
12:35, Venerdì 29 dicembre 2017
500/500 #festive500 completato❄️🌨🌞💨
Venerdi 29 Dicembre, oggi voglio concludere il mio #Festive500, il 30 ed il 31 di Dicembre saranno giornate lavorative molto impegnative, ma soprattutto imprevedibili, non posso rischiare.
“IL Mugello Alternativo”, così lo avevo chiamato quando l’ho editato su Strava, doveva essere il primo giro ,110 km con 1500 mt di dislivello, poi le avverse condizioni meteo, l’eccessiva stanchezza e la mancanza di tempo ci fecero cambiare programma, ma questo già lo sapete.
Finalmente il sole! Ma come dice un famoso detto: non è oro tutto ciò che luccica.
Tira vento forte e fa molto freddo e se così è a Firenze, non voglio pensare come sarà nel Mugello, ma ormai ho deciso!
Percorro i primi 10 km e subito mi rendo conto di non essere proprio al massimo, mi fermo per una sosta di svuotamento idrico e così andrà avanti per i prossimi 30 km, ogni 10 sento il bisogno di fermarmi, saranno ben tre le soste. Le gambe sono vuote e le ruote sembrano incollate all’asfalto, più di una volta mi passa per la testa di tornare indietro, ho ancora due giorni, posso diluire i pochi chilometri che mi mancano al traguardo ma la mia cocciutaggine ha la meglio e proseguo con tanta fatica.
Arrivo a Dicomano, cittadina a cavallo fra la ValdiSieve e Il Mugello, faccio la quarta sosta di svuotamento, mangio una barretta e riparto... Fa molto freddo, la strada che ho deciso di percorrere rimane tutta in ombra, 2°c segna il mio computer, ma la bellezza che mi circonda mi distoglie dalla fatica e dal freddo.
“Mugello Alternativo”, l’ho chiamato così perchè rispetto al classico giro del Mugello che noi pedalatori Fiorentini generalmente facciamo, ho inserito una deviazione che ci porta a scoprire alcune zone interne e poco frequentate del Mugello, ma con degli scorci paesaggistici di rara bellezza.
Questa deviazione mi costerà assai cara! Mi ritrovo a fare diversi metri di dislivello in pochi km, con pendenze a due cifre, che mi rallentano non poco. Arrivo a Borgo San Lorenzo, il centro più importante del Mugello che ormai è buio, mi aspettano ancora 30 km di strada in aperta campagna, circa 300 mt di dislivello e una temperatura che varia fra i -1°/ -3°c.
Ho le mani e i piedi praticamente congelati, cerco di trovare la forza di tornare a casa distogliendo la mente dai segnali che il mio corpo mi manda sotto forma di dolore, così chilometro dopo chilometro raggiungo il temuto “Miglio”, 1,6 km di salita alla pendenza media del 9% circa, che mi porterà a superare l’ultimo G.P.M. (459 mt).
Conquistata la cima faccio l’ultima sosta, entro in un Bar e cerco di ricaricare le batterie con una bella tazza di caffè caldo e un pezzo di gratificante cioccolato, passano 10′ e riparto, mi aspettano 10 km di fredda discesa che mi separano dal traguardo finale o da un epico fallimento!
Il deragliatore posteriore fa capricci ma fortunatamente non sarà determinante.
E’ finita!!! Entro in casa e senza neanche spogliarmi carico i dati su Strava, non sia mai che vadano persi, mi scatto un selfie.
Nel frattempo ricevo i primi riconoscimenti dal mio compagno di viaggio con cui abbiamo condiviso alcune uscite, Federico che partecipa alla sfida e Pasquale che non vi partecipa, ma che comunque ci ha supportati, emotivamente e fisicamente avendoci accompagnato per alcuni tragitti del nostro viaggio.
Federico ha completato la sua sfida la mattina dello stesso giorno, percorrendo 144 km con un dislivello di 1880 mt.
Che dire!? E’ stato un gran bel viaggio, che dopo solo ventiquattro ore dal termine già mi manca.. molti non hanno compreso il motivo di tutto questo o forse sono io che non l’ho compreso, so solo quello che ho provato nel percorrerlo.
Stefano Benvenuti
#festive500#rapha#stravacycling#bicidacorsa#cannondalesynapse#tuscanycycling#stefanobenvenuti#photocycling
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E’ nei Caraibi il nuovo paradiso dei security contractors
16 novembre 2017
di Pietro Orizio
Harvey, Irma e Maria sono i tre più potenti uragani — categorie 4 e 5 — che hanno flagellato isole e coste dell’Atlantico occidentale negli ultimi mesi: centinaia le vittime, danni per miliardi, migliaia di sfollati a cui mancano generi alimentari, acqua potabile e corrente, carburante ed energia elettrica. In questo scenario apocalittico sono stati schierati contractors e compagnie di sicurezza privata per portare soccorsi e ristabilire l’ordine.
Ciò risulta particolarmente evidente a Porto Rico e nelle Isole Vergini americane dove, pur territori degli Stati Uniti, il vuoto o ritardi nella risposta di Washington sono stati colmati da società private. Stabilire se ciò sia un bene o un male è ancora prematuro, tuttavia il loro precedente operato in ambito di Disaster Relief — soccorso in caso di calamità — può aiutare ad ipotizzarne le conseguenze e trarne conclusioni. Porto Rico (3.351.827 abitanti e 9.104 km2) e le Isole Vergini americane (107.268 abitanti e 1.910 km2) sono due territori non incorporati degli Stati Uniti; aree controllate da Washington ma che tuttavia non fanno parte dell’Unione. Sostanzialmente, essi godono di alcuni benefici legislativi e di una sovranità limitata ai soli affari locali, ma non hanno rappresentanze al Congresso e i loro abitanti, seppur cittadini americani, non possono votare per eleggere il Presidente degli Stati Uniti. Questo status ha provocato ritardi ed una certa mancanza di vigore nei soccorsi. Secondo José Fuentes, presidente del Consiglio per la Sovranità Nazionale di Porto Rico, infatti “I territori sono marginali, invisibili e non hanno voce a Washington perché è necessario il voto per avere una voce”. Perciò, le risposte governative ai tre uragani sono state decisamente differenti. Per Harvey, che si è abbattuto sul Texas il 25 agosto, risorse e personale sono stati schierati ancora prima che toccasse terra. In pochi giorni i soccorritori hanno raggiunto quota 31.000 ed il primo pacchetto di aiuti — 15 miliardi di dollari— è stato approvato a circa due settimane dall’uragano. Con Irma, che ha colpito la Florida il 10 settembre, i soccorritori erano più di 40.000 già quattro giorni dopo. Con Maria, che il 20 settembre ha devastato Porto Rico e le isole Vergini (già piegate da Irma il 6 settembre), dopo 5 giorni i soccorritori erano a malapena poco più di 10.000. C’è voluto infine oltre un mese prima che il Congresso approvasse un primo pacchetto d’aiuti. Perfino con l’uragano Katrina del 2005 erano stati stanziati $10,5 miliardi in soli 4 giorni! Per i ritardi e diversi approcci nei soccorsi, Trump ha incolpato la “geografia”: Porto Rico ed Isole Vergini sono distanti e ben più difficili da raggiungere e rifornire rispetto a Texas e Florida. E così, pur rimboccandosi le maniche e contando su iniziative private, a più di un mese dal disastro c’è ancora moltissimo da fare. A Porto Rico 1 milione di persone non dispone ancora di acqua corrente, mentre l’80% della rete elettrica è ancora fuori uso, lasciando 3 milioni di persone senza energia. Scarseggiano generi di prima necessità, alimentari, carburante e parti dell’isola restano ancora isolate, senza possibilità di ricevere soccorsi adeguati. Anche la situazione sulle Isole Vergini resta molto grave, ma percepita differentemente a causa di una copertura mediatica nettamente inferiore. Una delle poche cose che sembra “funzionare” a pieno regime in entrambi i territori è invece il crimine. A Porto Rico le disastrose condizioni di vita non solo hanno spinto la popolazione a commettere furti e saccheggi per necessità, ma anche per profitto. Abitazioni, negozi, centri commerciali e stazioni di servizio sono stati presi d’assalto, rendendo necessaria l’imposizione del coprifuoco. Molti ricorrono a guardie private, ma chi non se le può permettere, provvede personalmente barricando e presidiando i propri beni ed attività. I 13.000 poliziotti dell’isola, pur con rinforzi dal continente, stanno affrontando turni sempre più estenuanti, mentre i criminali si approfittano spavaldamente del clima di anarchia: manca l’illuminazione, gli allarmi e sistemi telefonici sono fuori uso e la polizia non può essere onnipresente. Nella circoscrizione di Río Piedras (San Juan) ad esempio, dei 60 agenti in servizio per ogni turno, si arriva ora a malapena a 25. Così, dal passaggio di Maria ci sono stati furti, aggressioni ed almeno 34 omicidi. Sull’isola scarseggia perfino il denaro. Molti istituti bancari sono ancora chiusi o a corto di contanti, così come gli ATM. Questo anche se a Porto Rico la moneta non scarseggia, anzi si trova ben immagazzinata nelle apposite strutture governative. Quello che manca sono agenti di sicurezza privata per trasferirla. Tutte le guardie infatti risultano impegnate in altre attività più incalzanti. Il livello del crimine era già alto da metà degli anni 2000 ed un debito pubblico da 74 miliardi di dollari, un tasso di povertà del 45% e migliaia di disoccupati non hanno di certo contribuito alla stabilità. Alla polizia sono sempre state destinate poche risorse ed equipaggiamenti superati. Più di 4.000 agenti si sono congedati negli ultimi anni e, a causa della crisi economica, mancano reclute fresche, almeno a breve termine. Dopo una drastica riduzione degli omicidi a partire dal 2012, grazie a programmi anticrimine in collaborazione con l’FBI, nel 2016 il loro numero è aumentato del 14,5%: da 592 del 2015 a 678 (comunque ben lontani dai 1.164 del 2011). Un incremento dovuto principalmente al traffico di droga, spiega José Luis Caldero, sovrintendente di polizia. L’inferno caraibico Anche nelle Isole Vergini americane l’ordine pubblico è ancora molto precario. A peggiorare le cose l’infelice provvedimento del governatore, Kenneth Mapp che, il 4 settembre, prima dell’arrivo di Irma, aveva ordinato alla Guardia Nazionale di “sequestrare armi, munizioni, esplosivi, materiale incendiario ed altri oggetti che potrebbero esser necessari alle Forze Armate e di Pubblica Sicurezza per le operazioni d’emergenza”. Senza la deterrenza della polizia, né tantomeno quella di cittadini armati, la popolazione si difende con sistemi ed armi di fortuna, in balia di criminali ed orde di disperati che vagano alla ricerca di cibo e mezzi di sussistenza: “sembra di essere in The Walking Dead”. Pure in questo territorio il crimine era molto elevato ancor prima degli uragani. Secondo l’FBI infatti, le isole Vergini hanno il più alto tasso di omicidi pro capite nel Paese. Un tasso cresciuto del 10% tra il 2014 e 2015, arrivando a 32,9 omicidi per 100.000 abitanti, seguito dai 24,1 del Distretto di Columbia e dai 19,3 di Porto Rico (l’Italia 0,78 nel 2015). Nelle altre Isole circostanti le condizioni sono addirittura peggiori. Sam Branson, figlio del miliardario Richard, rimasto sull’isola di proprietà della famiglia nelle Isole Vergini Britanniche, ha raccontato di un deterioramento della sicurezza, con evasioni di massa e bande di detenuti armati che imperversano ovunque. Da qualche anno, i vertici di polizia lamentavano già la mancanza di personale a causa di fondi insufficienti, richiedendo un maggior impiego e collaborazione con compagnie di sicurezza private. Sull’isola di Saint Martin, parte del Commonwealth dei Paesi Bassi e della Francia, bande di sciacalli razziano hotel e negozi. Il primo ministro olandese, Marke Rutte ha definito la situazione un “serio problema” ed ha inviato truppe per assistere nei soccorsi e riportare l’ordine. Arrivano i contractors Il ritardo e la scarsa incisività dei soccorsi governativi ha reso necessario l’intervento dei contractors. La Academi — ex Blackwater, ex Xe ed ora parte del gruppo Constelli’s— ha ricevuto diverse richieste per l’invio di propri uomini: da Croce Rossa, Governo locale e federale. Paul Donahue, direttore di Constelli’s ha dichiarato “siamo stati invitati a presentare un’offerta per la fornitura di servizi di sicurezza — armata e non — ad approvvigionamenti di acqua e carburante, ma non abbiamo ricevuto ancora un riscontro. Le due maggiori priorità che ci sono state segnalate sono la protezione delle scorte di carburante (per stazioni di servizio e generatori necessari al funzionamento delle attività) e di supporto umanitario quali la distribuzione di acqua potabile.” Una volta accettate le offerte, Academi potrà intervenire con i propri contractors come sta già facendo a Dominica e Saint Martin. L’americana Whitestone Group, con un annuncio sul proprio sito, ricerca per conto della FEMA — la protezione civile americana — dei “professionisti, esperti della sicurezza, armati e non, per operazioni di soccorso con dispiegamento immediato a Porto Rico”. Il compenso previsto è di ~ 2.600 dollari a settimana (16-30/ora), oltre diaria e vitto e alloggio. Le mansioni indicate, con turnazioni da 12 ore, possono variare dal pattugliamento a piedi o motorizzato di determinate aree alla sicurezza statica, controllo di accessi ed ingressi, gestione del traffico, controllo della folla ecc. Questa società, già contraente del Dipartimento della Difesa, dell’Interno ed altre agenzie, ottenne i primi contratti federali con l’uragano Katrina. A richieste di chiarimenti sul contratto, il direttore della FEMA di Puerto Rico non ha saputo rispondere, se non affermando che esiste una precisa necessità di compagnie di sicurezza privata sull’isola. Un annuncio simile è stato pubblicato anche dal colosso britannico, G4S in cui si ricercano almeno 200 operatori armati per l’emergenza a Porto Rico; turni ed incarichi sono pressoché identici a quelli della Whitestone. Si offrono paghe competitive, fino a 44 ore di straordinari a settimana, vitto e alloggio ed una diaria fino a 32 dollari al giorno. Oltre a skills prettamente militari o di law enforcement, uno dei requisiti è il saper interagire “cordialmente e diplomaticamente con il pubblico”. Anche la DynCorp è stata interpellata. L’11 ottobre il Comando appalti dell’esercito di Rock Island, attraverso un ordine di modifica del contratto logistico LOGACAP IV, l’ha incaricata di allestire e gestire campi base per la Guardia Nazionale, FEMA ed altre agenzie impegnate nei soccorsi. Il primo, per 1.000 uomini, presso Aguadilla (costa occidentale di Porto Rico); il secondo, da 1.500 uomini, presso la ex base di Roosevelt Roads, nella parte orientale dell’isola. A questi se ne aggiungerà un terzo, a Ponce (costa meridionale). Tale ordine di modifica ha un valore approssimativo di 75 milioni di dollari ed una durata di 90 giorni. La Tiger Swan invece, attraverso un apposito team, si è dedicata alla ricerca di persone che, a causa del caos e dell’interruzione delle telecomunicazioni, risultano/vano irreperibili. Procedendo di porta in porta, con generalità ed indirizzi forniti da parenti e committenti, la società della Nord Carolina è riuscita ad individuare 100 persone in due settimane e, in alcuni casi, anche a fornire generatori di corrente, acqua, ed assistenza medica. Le solite polemiche Nel frattempo sono già iniziate le polemiche anche sui contractors. Per le strade di San Juan ci sono uomini in mimetica, senza mostrine, con elmetti e maschere, pistola nel cosciale e, soprattutto, armi lunghe: fucili a pompa o d’assalto. Tali tipologie di armi potrebbero esser illegali poiché richiedono specifiche licenze governative. Secondo il Puerto Rico Weapons Act, infatti solo membri di forze armate e pubblica sicurezza possono portarle. Le compagnie di sicurezza privata, invece possono farlo solo in caso di scorta a furgoni porta valori, previa specifica licenza, sostiene Adalberto Mercado, vice presidente della società di sicurezza Ranger American; diversamente sono concesse solo armi corte. In realtà, contractors equipaggiati con armi lunghe erano già stati avvistati ad aprile, nientepopodimeno che nel Campidoglio quando, nel mezzo di un’intensa protesta per le misure di austerity adottate dal Governo, un’operatrice della Genesis Security, società incaricata della sicurezza fino al 30 giugno con un contratto da 140.000,dollari è stata ripresa nel perimetro dell’assemblea legislativa con un’arma lunga. Alle immediate proteste dell’opposizione sull’illegalità di tali dotazioni, ha fatto seguito un’accesa disquisizione sulla classificazione dell’arma: se la mancanza di uno specifico calcio — e quindi la sua lunghezza complessiva — potesse farla ricadere in una tipologia d’arma corta o lunga. Quella di questi uomini armati non identificati parrebbe una situazione non molto diversa da quella dei misteriosi “uomini verdi” di Crimea, apparsi nel marzo 2014. Tuttavia, quelli di Porto Rico sarebbero solo alcune guardie private assunte dai commercianti per tutelare attività e proprietà, colmando quel vuoto di sicurezza lasciato dagli agenti di polizia. Alle richieste di chiarimento di una popolazione turbata, questi uomini rispondono — con un certo nervosismo — di esser al servizio del Governo, nell’ambito di una missione umanitaria e che il volto coperto serve ad evitare ritorsioni. Essi potrebbero anche essere poliziotti a cui è concesso di operare per società di sicurezza privata quando sono fuori servizio. Scetticismo e preoccupazione sono esternati anche da politici e forze dell’ordine stesse, per i quali il dispiegamento di questi uomini in caso di calamità naturali “è atipico visto che Porto Rico è territorio statunitense” ed “i contractors sono solitamente ingaggiati per zone calde del Medio Oriente dove vi è il rischio di attacchi terroristici”. Sull’ingresso di società di sicurezza americane a Porto Rico, Mercado di Ranger American afferma che loro stessi ed altre realtà locali hanno ricevuto in appalto la sicurezza di alcuni loro clienti. Per quanto riguarda la presenza diretta, le società americane non sarebbero molte e di loro si conosce poco, se non che sono effettivamente impegnate nella protezione di società multinazionali delle telecomunicazioni e catene alberghiere. Nonostante la “concorrenza straniera”, Ranger American, così come le altre società di sicurezza locali stanno assumendo e lavorando molto dopo l’uragano, sia per i privati che per il Governo locale e federale. Quello della sicurezza è un settore tradizionalmente importante a Porto Rico, principalmente in mano ai privati. Un mercato in crescita Gli alti tassi di criminalità hanno da sempre spinto i cittadini più benestanti a barricarsi in comunità residenziali private, delimitate da mura con filo spinato, sistemi d’allarme e guardie private armate ai cancelli. Sebbene il controllo degli accessi di questi veri e propri compound sia diventato legale nel 1987, la diffusione di queste comunità e delle compagnie di sicurezza privata ha visto un surge senza precedenti a fine 1992, quando caddero ulteriori restrizioni. Da inizio 1993 su giornali e riviste apparvero così decine e decine d’inserzioni pubblicitarie di società che offrivano servizi di sicurezza. La Wackenut PR, fondata a Puerto Rico nel 1958 e oggi parte di G4S, ebbe un 40% di aumento del fatturato per la vendita di telecamere e sistemi antifurto dal 1991 al 1992, tramutando, come riferito da Manuel Calas, manager della società “[…] ciò che per qualcuno è una disgrazia, […] in un fiorente business.” Nell’ambito di una vera e propria guerra al crimine – ribattezzata “La Mano Dura contra el Crimen” – il governatore Pedro Rosselló incentivò le compagnie di sicurezza privata ed iniziative dei singoli cittadini. Nel 2004 si stimava che le compagnie di sicurezza privata dessero lavoro a 60.000 uomini – circa tre volte il numero delle forze dell’ordine: 21.000 poliziotti e 4.750 agenti di polizia municipale – con una spesa annua di 844 milioni di dollari, tra stipendi ed equipaggiamento. Il giornalista Gerardo Cordero, su El Nuevo Dia, parlava dell’apertura di almeno due compagnie di sicurezza privata al mese. Attualmente, il settore della sicurezza privata a Porto Rico impiega circa 40.000 persone che garantiscono un servizio essenziale per la stabilità dell’isola. Nonostante ciò il Governo ha mantenuto invariata — fino a pochi mesi fa, almeno — la legge di riferimento che risaliva al 1965. Non solo, nel corso degli anni sono stati adottati provvedimenti fiscali ed inasprimenti dei regolamenti che hanno — a detta di qualcuno — danneggiato il settore. Ad aprile la Camera dei Deputati ha approvato alcuni emendamenti, richiedendo maggior trasparenza nella concessione delle autorizzazioni ed una maggior tutela della popolazione. L’obbligo di rinnovo delle licenze è stato portato a due anni, ma a cadenza annuale è stata introdotta la presentazione di un certificato di buona condotta. L’intenzione è quella di creare un database che includa ogni guardia o detective privato. Permane comunque un alto numero di società abusive, contratti irregolari e sfruttamento degli operatori. Dati relativi al 2010 infatti parlavano di 300 società nel Paese, di cui solo il 10% completamente in regola con le prescrizioni di legge e ben 30.000 guardie senza licenza. Anche nel resto dei Caraibi la sicurezza privata ha vissuto un’inarrestabile espansione negli ultimi vent’anni che lascia presagire una costanza od addirittura un ulteriore incremento nel prossimo futuro. I tassi del crimine, così come il vuoto di potere e la sfiducia generata dalle istituzioni hanno portato le guardie private a superare in numero le forze di polizia, praticamente in ogni Paese delle regione. Sebbene molti agenti di polizia nutrano del risentimento nei confronti delle loro controparti private a causa degli stipendi e condizioni di lavoro nettamente inferiori, altri le vedono invece come opportunità di lavoro, specialmente dove è concesso di prestarvi servizio nel tempo libero. I mercati nazionali e locali sono caratterizzati dalla presenza di grandi società nazionali e multinazionali da una parte e società di piccole e medie dimensioni dall’altra. La domanda di servizi di sicurezza privata è generata da una gamma di clienti diversi che spaziano dalle grandi società, banche, singoli cittadini e perfino entità statali. Legislazioni specifiche per il controllo delle compagnie private sono state adottate da molti Paesi della regione, focalizzandosi sulle procedure di autorizzazione e requisiti, tutela dei diritti umani, adozione di codici di condotta, ma dedicando tuttavia poca enfasi alla supervisione di società ed operatori. Una particolarità del panorama caraibico è il grandissimo numero di compagnie di sicurezza private ivi registrate, in particolare nelle Isole Vergini britanniche dove società britanniche — Erinys — e perfino russe — una collegata di RSB-Group, sono state costituite od incorporate per potersi avvantaggiare di leggi e regolamenti più permissivi, tipici di questi paradisi fiscali. L’affare dei soccorsi post disastro Sebbene il Disaster Relief sembri una delle ultime evoluzioni del business delle Private Military & Security Companies — e per certi versi lo è — il primo episodio che le vede protagoniste potrebbe risalire addirittura al Grande Incendio di Chicago del 1871, quando la società di sicurezza privata Pinkerton, la più antica degli Stati Uniti, si occupò di mantenere l’ordine pubblico fino all’arrivo dell’esercito, ben due giorni dopo. Da allora si sono quasi sempre dimostrate incompetenza e tardività di Washington in caso di calamità naturali, rispetto all’azione di singoli cittadini o società private, più o meno specifiche. Ciò proprio a causa dell’imprevedibilità e rapidità delle calamità naturali a cui, invece di una goffa e lenta risposta della burocrazia statale, meglio si addice flessibilità e celerità di piccoli gruppi indipendenti – come la Cajun Navy –avvantaggiati anche da una maggior consapevolezza del contesto e precisione delle informazioni. Nel caso di Porto Rico e Isole Vergini, l’inadeguatezza della risposta si è dovuta ad una macchina dei soccorsi limitata dalla burocrazia ed impreparata ad una situazione che, già critica in precedenza, ha colpito le isole nella loro interezza. Ciò dovrà far ripensare alle autorità il proprio approccio. Anche per l’uragano Harvey le cose non sono andate poi tanto meglio. Russell L. Honore, tenente generale in congedo e coordinatore dei soccorsi per l’uragano Katrina, ha definito i soccorsi come “roba da dilettanti” e che avrebbero dovuto esser gestiti dai vertici nazionali, in maniera coordinata invece che lasciarli nelle mani di oberate autorità locali. Dopo la tragedia di New Orleans, i militari hanno elaborato un piano di emergenza federale focalizzato sul supporto alle autorità statali in caso di calamità, ma nessuno pare averlo adottato. Attualmente esistono infatti ancora una cinquantina di differenti dottrine e soluzioni statali su come condurre determinate operazioni e procedure di soccorso, quando invece tutto dovrebbe esser univocamente armonizzato. Per ovvie ragioni di possibilità economiche e strumentali, lo Stato si è sempre rivelato il principale fornitore di soccorsi in caso di calamità naturali. Oggi, tuttavia, grazie alla diffusione della tecnologia e alla maggior presenza di attori economicamente forti, anche questo “monopolio” statuale, come quello della difesa, è oggetto di un’erosione più o meno forte. Se consideriamo il successo avuto dalla Walmart – catena di negozi al dettaglio – nell’ambito dei soccorsi per Katrina, riuscendo a distribuire cibo, acqua ed altri generi di prima necessità a migliaia di persone, grazie alla propria infrastruttura logistica di magazzini, veicoli e personale, figuriamoci dove possono arrivare società appositamente create, addestrate ed equipaggiate. Missioni umanitarie per le PSC Già in passato la Blackwater aveva allestito una nave per condurre operazioni antipirateria e di soccorso. Tale Nave, la M/V MacArthur, poteva imbarcare fino a 35 soccorritori o contractors armati. Era equipaggiata con le migliori strumentazioni e sistemi di comunicazione, era dotata di un ospedale di bordo con due posti letto, poteva trasportare generi alimentari, medicinali, carburante ed altri rifornimenti con un’autonomia in mare di circa 45 giorni. Era dotata di una piattaforma per l’atterraggio di elicotteri e poteva trasportare fino a 3 piccole imbarcazioni. Poteva altresì fornire riparo temporaneo ad oltre 100 sfollati. Durante l’uragano Katrina, gli uomini di Blackwater sono stati i primi ad intervenire, ancora prima che ci fosse un contratto e con addirittura giorni d’anticipo rispetto ai soccorritori governativi. Dopo solo 36 ore, gli uomini di Prince sul posto erano già più di 100, distribuendo tonnellate di generi vari, allestendo tendopoli e salvando ben 121 persone. Con i propri elicotteri hanno fornito servizi di soccorso, trasporto e logistica ed allo stesso tempo schierato uomini armati per riportare l’ordine e contrastare lo sciacallaggio. I contractors, tanto criticati per l’equipaggiamento alquanto vistoso — fucili d’assalto, pistole, giberne piene di caricatori ecc — si sono trovati ad operare in una situazione che il generale di brigata Gary Jones, della Guardia Nazionale della Louisiana, ha descritto come una “piccola Somalia” e che stava riunendo centinaia di uomini armati per “pacificare New Orleans e riportarla sotto controllo”. Oltre alla Blackwater, che con un contratto da 75 milioni con il Dipartimento dell’Homeland Security ha fatto ruotare in città 1.600 contractors in un anno, altre società hanno partecipato a progetti di supporto e ricostruzione per oltre $100 miliardi. Tra di esse Armour Group International (inglobata da G4S nel 2008), Instictive Shooting International, AKE Group, Bechtel, Fluor, Halliburton, e CH2M. Nel 2010, in occasione del devastante terremoto di Haiti, i contractors sono nuovamente intervenuti. Pochi giorni dopo il sisma, le stesse compagnie di sicurezza private che operavano in Iraq e Afghanistan si sono recate sull’isola. La International Peace Operations Association (IPOA), associazione di categoria ha creato un sito web per potenziali clienti, elencando società pronte ad offrire servizi ed equipaggiamenti ad Haiti: squadre di ricerca e soccorso, medici ed infermieri, medicinali e generi alimentari, moduli abitativi e tende da campo, personale per la ricostruzione e rimozione macerie, esperti di telecomunicazioni, veicoli terrestri ed aerei, trasporti e logistica, ecc. Ad esempio Triple Canopy (oggi parte di Constelli’s assieme ad Academi) ed HART Security Come si può evincere dalla fama o siti internet di queste società, Disaster Relief fa rima con Relief with Teeth (soccorso coi denti). Quest’ espressione non fa riferimento solo ad operazioni di peacekeeping o di peace-enforcement private, ma anche a tutta una serie di procedure ed operazioni di protezione del personale di soccorso e ricostruzione impegnato in determinati contesti a rischio. In ambienti anarchici creati dagli uragani o più cronici, come quelli tipici del continente africano, i soccorritori sono spesso vittime di attacchi e violenze di criminali comuni o gruppi terroristici; è necessario pertanto che qualcuno garantisca la loro attività ed incolumità, anche con le armi se necessario. In occasione dell’uragano Harvey, l’ISIS ha incitato jihadisti e lupi solitari americani a colpire i centri di soccorso per gli sfollati. Secondo le autorità si è trattato più di un’esortazione che di un vero e proprio ordine operativo, tuttavia l’Homeland Security in Florida ha ordinato la massima allerta. Nel luglio 2016 l’ufficio dell’FBI di San Juan, Porto Rico ha dichiarato che un gruppo affiliato al Califfato stava preparando attacchi sull’isola. Questa minaccia si è rivelata, per ora almeno, infondata. Tuttavia i Caraibi (Porto Rico e Isole Vergini in primis) hanno sempre rappresentato la porta di servizio degli Stati Uniti per centinaia di traffici illegali quali droga, armi ed immigrazione. Con il caos registrato negli aeroporti ed i turni a cui sono stati sottoposti gli uomini della TSA in queste settimane, controllando manualmente le persone mentre raggi x e body scanners erano fuori uso, la possibilità che qualcosa sia sfuggito è aumentata esponenzialmente. Il generale Kelly, capo del Comando Meridionale degli Stati Uniti (SOUTHCOM) stimava che 100 estremisti provenienti dai Caraibi avevano tentato di arruolarsi nel Califfato nel 2015; numero cresciuto a 150 nel 2016. La possibilità di attacchi od infiltrazioni jihadiste non è perciò poi così remota. L’attività dei contractors è stata ampiamente accompagnata da scandali ed abusi, veri o presunti, anche in ambito Disaster Relief. Durante l’uragano Katrina, l’attuale vicepresidente degli Stati Uniti, Mike Pence era direttore di un comitato conservatore che ha cercato di far adottare all’amministrazione Bush tutta una serie di provvedimenti in favore dei contractors: sospensione dell’obbligo del minimo salariale, conversione delle aree colpite in zone a totale libertà d’impresa, rimozione di regolamenti ambientali restrittivi che ostacolavano la ricostruzione ecc. Non sono mancate poi sovrafatturazioni, sprechi ed opere incompiute — v. campo base da $5,2 milioni per la FEMA, presso la parrocchia di Saint Bernad. Inoltre, i poveri e la gente di colore sono stati vittime di discriminazioni: trattati come criminali, nonostante sia poi stato dimostrato che “le voci più allarmanti di stupri, rapine e violenze di massa erano poco più che invenzioni o suggestioni provocate dalla paura.” Per quanto riguarda Porto Rico, la concessione di contratti per la ricostruzione a compagnie inesperte, senza personale o capacità necessarie ad assolverne gli obblighi contrattuali sta iniziando a sollevare un polverone. La Whitefish Energy Holdings, società del Montana con due anni di vita e solo due dipendenti al passaggio di Maria, si è vista cancellare un contratto da $300 milioni per irregolarità nelle gare d’appalto e nel contratto stesso. Invece, la Cobra Acquisitions LLC, altra società con meno di un anno di vita e a cui è stato affidato un contratto da $200 milioni, ha attirato l’attenzione degli inquirenti per torbidi rapporti con la PREPA (autorità per l’energia elettrica di Porto Rico) e cattiva gestione. Questo, considerando che anche i curricula della altre società — meramente di sicurezza — coinvolte nei soccorsi a Porto Rico, non sono costellati solamente di esperienze positive. La G4S aveva fatto una pessima figura nel 2012 quando, a pochi giorni dalla cerimonia di aperture delle Olimpiadi di Londra, non era riuscita a fornire le 10.000 guardie private previste dal contratto, obbligando l’Esercito britannico a schierare 1.200 uomini in tutta fretta. La DynCorp invece, già al centro di scandali di prostituzione minorile e traffico di esseri umani in Bosnia, sarebbe coinvolta anche in operazioni paramilitari sull’isola, più volte denunciate da organizzazioni rivoluzionarie di sinistra. Secondo la vedova di Filiberto Ojeda Ríos, comandante dell’Esercito Popolare Boricua Macheteros che lottava per l’indipendenza di Porto Rico, la società sarebbe implicata nella morte di suo marito, avvenuta il 23 settembre 2005. Durante l’attacco dell’FBI alla baracca in cui si era asserragliato, avrebbero preso parte anche “mercenari” di DynCorp. La stessa società di cui, secondo un articolo di Jesús Dávila del 2007, il Governo di Porto Rico era uno dei principali investitori, attraverso una consociata locale — Dyn Puerto Rico Corp —che, invece di gestire una struttura per la riparazione di elicotteri al confine con la Repubblica Dominicana, supportava in realtà l’impegno americano in Iraq ed Afghanistan, inviandovi materiale e uomini. La Blackwater, invece è stata addirittura accusata di arresti arbitrari ed esecuzioni extragiudiziali di massa, ben prima della strage di Nisoor Square, Bagdad in cui morirono 17 civili inermi. Sebbene molti abusi siano stati dimostrati e, sciaguratamente, pochi perseguiti legalmente, tanti altri sono frutto di pregiudizi e sensazionalismo derivanti da uno scomodo ed errato accostamento con la figura del “mercenario”. L’amministrazione Trump, attraverso 15 alti funzionari legati al mondo dei contractors, è di certo orientata al supporto di queste società private. Tale fenomeno, chiamato revolving door, non è una novità. La novità sta nel fatto che i funzionari, per la prima volta ricoprono ruoli fondamentali nell’allocazione dei fondi. Il disastro di New Orleans è frutto delle decisioni dell’attuale vicepresidente degli Stati Uniti e dell’Heritage Foundation, il think tank di estrema destra a cui Trump ha esternalizzato gran parte della pianificazione del budget della sua amministrazione. Oggi, con questi personaggi al potere, si può ben immaginare come questa privatizzazione del Disaster Relief possa trovare ampia applicazione su scala nazionale. Tuttavia, l’importanza dei contractors nelle operazioni di soccorso e ricostruzione è incalcolabile. Rapidità e flessibilità, personale altamente qualificato, mezzi ed equipaggiamenti tra i più avanzati che il mercato possa offrire, possono fare veramente la differenza. E se per molti le calamità naturali rappresentano ormai ghiotte opportunità di profitto; molti altri potranno aver salva la vita, proprio grazie a questa brama. Foto: Twitter/GSPC, Reuters, AFP, Periodismo Investigativo, FEMA e Air National Guard Preso da: http://ift.tt/2zH9nP5
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EUROSTOXX50: pronti via, si riparte
Giornaliero, trend rialzista Il quadro tecnico è solido. Scaricati gli eccessi dei giorni scorsi con la rottura al ribasso delle medie più veloci (la mm20 e mme20) e rientrato nel canale rialzista che ne ha contenuto i rialzi da 11 mesi(a), l’indice ha trovato un naturale supporto sulla più robusta mme50(b) disegnando una candela di inversione che necessita di conferme questa settimana.
Infatti il superamento con chiusure giornaliere del livello 2600 in un colpo solo darebbe la conferma di cui prima e il superamento sia delle medie a 20 periodi (che ora fanno da resistenza) che della parte superiore del canale di cui si diceva.
Il trend positivo verrà messo in discussione con chiusure sotto i 2500 punti dove è avvenuto il test della mme50. Il quadro è macchiato da una divergenza negativa sull’indicatore CCI20(c).
Settimanale, trend rialzista Il quadro tecnico è estremamente solido. I prezzi salgono da 11 mesi e da 5 camminano sulle medie mobili più veloci (mm20 e mme20) con angolatura ottimale di 45°.
Ai valori attuali risulta completata la proiezione di 1:1 del doppio minimo formatosi nei mesi scorsi (box giallo).
Senza che venga messo in discussione il trend, l’indice può sopportare uno storno fino ai valori di circa 3300 punti dove staziona l’importante mme50(a) che segna lo spartiacque per il cambio di trend.
Comunque prima deve affrontare l’ostacolo delle medie più veloci(b).
Obiettivi al rialzo sono prima i 3714(c) e poi i massimi di aprile 2015 a 3837(d).
E’ difficile tuttavia immaginare che la corsa sarà diretta, ma forse più probabilmente passando prima da una correzione che su questo time frame sarebbe salutare.
Il quadro è macchiato da una divergenza negativa sull’indicatore CCI20(e).
Mensile, trend rialzista Il quadro tecnico è solido. Tuttavia ai livelli attuali i prezzi hanno testato la trendline discendente che parte dai massimi pre crisi di giugno 2007(a).
Mancano pochi giorni al completamento della candela di maggio e, se i prezzi non dovessero segnare nuovi rialzi, si configurerebbe una situazione tecnica pericolosa con una candela di inversione(b), proprio in corrispondenza della resistenza dinamica.
Va detto però che il segnale necessiterebbe di una conferma con i prezzi di giugno in ribasso.
Come al solito, i livelli di supporto più importanti saranno le medie mobili, oggi tutte al rialzo e correttamente alternate dalla più lenta alle più veloci. OPERAZIONE: Si può usare anche il risparmio gestito (consulenti finanziari), è possibile crearsi una lista di fondi/sicav che replichino il più fedelmente possibile l’indice facendo uno scoring con i seguenti indicatori 1. Indice di correlazione (almeno 0,8) 2. Beta (almeno 0,7) 3. Bull beta>bear beta 4. Rquadro (più alto possibile) 5. alpha ed assegnando loro il peso che più vi aggrada, anche se personalmente ritengo più meritevoli in ordine di importanza: correlazione, beta, bull>bear.
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2 nov 2020 08:20
“DOMENICA PROSSIMA POTREMMO ESSERE COSTRETTI A RIFIUTARE I RICOVERI” - L'INCUBO DEI DOTTORI IN PRIMA LINEA: “A QUESTO RITMO POSSIAMO TENERE ANCORA PER UNA SETTIMANA, MASSIMO DIECI GIORNI. LE PERSONE OSPEDALIZZATE RADDOPPIANO OGNI 7-8 GIORNI” - PER OGNI 200 MALATI COVID UNO VIENE RICOVERATO IN TERAPIA INTENSIVA, 18-20 IN ALTRI REPARTI: “SE SARÀ NECESSARIO RICORREREMO ALLE CASERME E AGLI OSPEDALI MILITARI PER ACCOGLIERE I MALATI, MA OLTRE UN CERTO PUNTO NON SI PUÒ ANDARE”
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Alessandro Mondo per “la Stampa”
«Domenica prossima potremmo essere costretti a rifiutare i ricoveri», spiega informalmente il direttore di una Asl. «A questo ritmo possiamo tenere ancora per una settimana, massimo dieci giorni», avverte formalmente Luigi Icardi, assessore alla Sanità del Piemonte, chiedendo al governo misure stringenti.
L' emergenza Covid sta saturando rapidamente la rete degli ospedali in una regione che ieri ha contato 11 decessi, 2.024 nuovi contagi rispetto a sabato (con meno tamponi), 166 nuovi ricoveri (5 dei quali in terapia intensiva). Altri numeri rendono la dimensione di una situazione sempre più insostenibile: 12 mila i posti letto che il sistema pubblico è complessivamente in grado di offrire, 6 mila quelli oggi previsti dal piano pandemico regionale per pazienti Covid; ad oggi i ricoverati non in terapia intensiva sono 2.844 (rispetto ai 3.500 della Fase uno dell' epidemia) e 179 in terapia intensiva (450). Il problema è che, in base alla curva attuale, i ricoveri raddoppiano ogni 7-8 giorni.
Costante, da un paio di mesi a questa parte, il rapporto tra positivi e numero di ricoveri: per ogni 200 malati Covid uno viene ricoverato in terapia intensiva, 18-20 in altri reparti.
Per guadagnare tempo, qualche settimana in più, si conta sulla dote portata dalle strutture sanitarie accreditate, un migliaio di posti letto, sulle tensostrutture in fase di montaggio da parte dell' esercito, sugli "alberghi assistiti", strutture con supporto socio-sanitario da riservare a pazienti over 65, autosufficienti o parzialmente autosufficienti, risultati positivi in forma asintomatica o paucisintomatica. Si conta su tutto questo, sapendo che potrebbe non bastare.
«Verificheremo in modo ancora più stringente l' appropriatezza dei ricoveri e delle dimissioni, se sarà necessario ricorreremo alle caserme e agli ospedali militari per accogliere i malati, ma oltre un certo punto non si può andare», aggiunge l' assessore.
Mancano i posti-letto, manca il personale sanitario. E questo, nonostante le Asl, d' intesa con la Regione, le stiano provando tutte: mobilitazione nei reparti Covid anche di medici attinenti ad altre discipline, richiesta all' Esercito di medici militari, richiamo dei professionisti in pensione, bandi per rimediare medici e infermieri da altre regioni. E' già partita, tramite l' ambasciata italiana a Cuba, la richiesta di riavere la "brigada" di medici che diede buona prova di sè durante la Fase uno.
Non a caso, ieri l' Ordine dei Medici di Torino ha chiesto il lockdown immediato.
«A breve inizieranno a mancare posti letto e personale sanitario - avverte il presidente, Guido Giustetto -. Allo stesso tempo non ci potrà essere più supporto da parte della medicina territoriale: già ora i medici di famiglia denunciano l' impossibilità di far fronte alle richieste dei pazienti, mentre il sistema di tracciamento dei casi appare completamente saltato».
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11 ott 2018 10:06
VIDEO! "I FIGLI TI INVECCHIANO", VALERIO MASTANDREA, OSPITE DI CATTELAN, INTERPRETA IL MONOLOGO IRONICO E TOCCANTE DI MATTIA TORRE SU GENITORI E FIGLI – “SE SEI CON LORO TI SOFFOCANO, MA SE NON CI SONO TI MANCANO” - E POI I “SOGNI CATASTALI FATTI DI NOTTE, “L’ALITO CIMITERIALE DI CHI NON DORME DA MESI" E I GIN TONIC "CHE HANNO SMESSO DI DARTI L’ILLUSIONE DELL’ETERNITÀ” - VIDEO E TESTO INTEGRALE (PUBBLICATO DA "IL FOGLIO" NEL 2016)
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MURATO IN CASA, SCOPRI CHE I FIGLI HANNO CAMBIATO OGNI PARTE DI TE
Mattia Torre per “il Foglio” (21 ottobre 2016)
I figli invecchiano. Ma non invecchiano loro. Invecchiano te. I figli ti invecchiano perché passi le giornate curvo su di loro e la colonna prende per buona quella postura; perché parli lentamente affinché capiscano quel che dici e questo finisce per rallentare te; perché ti trasmettono malattie che il loro sistema immunitario sconfigge in pochi giorni e il tuo in settimane; perché ti tolgono il sonno per sempre. Assonnato e curvo, lento, acciaccato, sei nella terza età.
I figli ti invecchiano anche perché quando arrivano al mondo mettono fine, con violenza inaudita, a quella stagione di aperitivi feste e possibilità che ti sembravano il senso stesso della vita. Murato in casa e reso cieco da una congiuntivite, hai un vago ricordo di ciò che eri e di ciò che avresti ancora potuto esprimere, ma non sai più dire con precisione, hai solo molto sonno.
I figli si insinuano nella tua mente in modo subdolo e perverso. Se sei con loro, ti soffocano; se non ci sono, ti mancano. Ci è successo di voler scappare dopo troppe ore insieme a loro, e poi trascorrere la serata in un ristorante a guardare le loro foto sul telefonino, straziati da una nostalgia senza senso (li rivedevamo dopo un’ora).
Parlo di figli al plurale perché quando avevamo solo la prima, l’impresa ci sembrava ancora fattibile; Emma era gentile, dormiva, e sebbene l’assetto famigliare fosse nuovo, avevamo ancora l’illusione di essere noi stessi. Il secondo è arrivato come una deflagrazione.
Abbiamo concepito Nico durante il tour promozionale di un film; alberghi e ristoranti gratis, autista e ogni genere di comfort, in quel clima di euforia e fiducia nel futuro in cui tutto era spesato (credevamo che sarebbe durato in eterno come gli italiani pensavano del boom economico) all’ennesimo bloody mary abbiamo fatto un figlio.
Dopo tre settimane eravamo nel nostro appartamento di Roma, le mani nei capelli, tra le cartelle equitalia, fuori tuoni e fulmini.
Nove mesi dopo, quell’appartamento era un 41 bis. E quand’è così ogni scusa è buona per uscire: si litiga per chi deve fare la spesa o pagare il bollo della macchina, ci si catapulta fuori alla prima citofonata dell’Ama, e la sera ci si affaccia dalla finestra del bagno valutando le possibili conseguenze di un salto nel vuoto.
Quando poi finalmente riesci a uscire di casa (la baby-sitter è la tua nuova esaltante, costosa droga) ti rendi conto che il mondo fuori è ormai diverso e non fa più per te; la gente è vitale e allegra, tonica, e crede nel futuro.
E tu ti aggiri a Trastevere come un revenant, lo sguardo perso, l’andatura incerta, l’inconfessabile desiderio di voler solo tornare a casa.
Inoltre perdi le tue certezze ideali; provavi una pena infinita per quelli che odiavano i weekend e bramavano il lunedì perché il lavoro li teneva lontani dai figli: ora sei così anche tu. Guardavi con sufficienza quelle case anni ’60 con una zona pensata per la tata: le desideri con tutte le forze e la notte fai sogni catastali.
Ti sembrava sconcio che una famiglia viaggiasse con la filippina al seguito: non sogni altro. Sei un conservatore, non ti riconosci allo specchio, e va benissimo così.
I figli poi tirano fuori la tua rabbia, perché devi saper dire NO anche quando non ne hai voglia, o quando quel giorno non hai la struttura emotiva per farlo. Settimane fa abbiamo esortato Emma ad addormentarsi da sola, e quando poi l’ha fatto, in solitudine, bravissima, siamo stati attannagliati da un tale senso di colpa che siamo andati a svegliarla per chiederle come stava e come era andata, cosa ne pensava, e lei ci ha guardato con un senso di confuso disprezzo, girandosi assonnata dall’altra parte.
I figli infine ti invecchiano perché sei già vecchio. In paesi dinamici ed evoluti, dove la democrazia non è un concetto così imprendibile come da noi, i genitori hanno 25 anni, sono forti, flessibili, giustamente incoscienti.
Quando abbiamo avuto Emma avevo 37 anni, e tra i genitori del nido ero detto “Il giovane”; intorno a me, padri di cinquanta o sessant’anni con lo sguardo spento, la lombalgia e l’alito cimiteriale di chi non dorme da mesi. E avevo comunque l’impressione che molti di loro fossero più in forma di me.
Ma più di tutto, conta ciò che i figli fanno alla tua mente. I figli ti fanno ripiombare, con una forza che neanche l’ipnosi, nel tuo passato più doloroso e remoto: l’odore degli alberi alle otto del mattino prima di entrare a scuola, la simmetrica precisione dell’astuccio, la catena sporca della bici, le merendine, la ghiaia, le ginocchia sbucciate.
Questi ricordi, non so dire perché, sono la mazzata finale. La vita stessa, che credevi di aver incasellato in categorie discutibili ma tutto sommato valide, o comunque tue, sfugge via. Sei una piccola parte di un tutto più complesso e i gin-tonic hanno smesso di darti l’illusione dell’eternità. Sei un pezzo di un grande ingranaggio, e siccome siamo in Italia, l’ingranaggio è vecchio, arruginito e si muove a fatica. D’altra parte, il tuo cuore non è mai stato così grande.
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