#ma in effetti meglio così
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elipsi · 2 months ago
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l'inps quest'anno è stato misericordioso e ci ho messo dieci minuti a caricare i documenti per la borsa di studio. al contrario, il sito del collegio ha deciso di ribellarsi e si rifiuta di accettare il mio piano di studi :/
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myinfinitystory · 10 months ago
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Alla fine di tutto penso che ci siano semplicemente giorni in cui si è "predisposti" a sentirsi belli.
Si, insomma, quei giorni in cui non noti tutte quelle cose che altri giorni invece ti pesano; ci sono invece quei giorni in cui sembra che nulla vada bene, le braccia un po' cicciottelle, le gambe un po' cicciottelle, la pancia che magari non è piatta se non quando sei distesa
E stesso in questi giorni guardacaso neanche i capelli che tanto ami vengono bene, in nessuna maniera eh, e il viso?
Oddio però non ho un viso così brutto, eppure se non mi trucco almeno un po' non mi sento tanto a mio agio.. dovrei uscire con questo cerchio nero sotto agli occhi? Ma perché sembra sempre che ho i baffi pure dopo averli fatti? Mettiamo un po' di correttore qua e là e magari si toglie tutto
Vabbè però il correttore mica ti toglie l'insicurezza
Eppure guardandomi, eccomi qua, mica so così brutta? In fondo no, ma ho bisogno di essere "predisposta"
E nei giorni in cui sono predisposta semplicemente tutto quello che vedo scompare, e penso: ma forse sono solo io a vedere tutte queste cose? Queste piccolezze, ma chi è che le va a guardare? Eppure alcuni giorni pesano così tanto che dopo aver messo l'armadio sottosopra passa anche la voglia di prepararsi per bene per uscire
Eh ma poi tu già ti senti brutta, poi non ti vuoi manco preparare?
Chiaro, dopo mi sento ancora peggio
Ma quando mi sento bella invece mi preparo ancora meglio e mi sento ancora più bella
Allora come funziona?
In teoria dovrei semplicemente accettarmi e basta, certo mangiare sano, ma accettare questa corporatura
Ultimamente sono ingrassata di due kili e vabbè magari leggendo, se state ancora leggendo, penserete "e che sarà mai?" E in effetti è vero, non è tanto il numero sulla bilancia il problema, ma è il fatto che a vederli su di me dopo averne persi 10 pesa così tanto che non sembrano solo 2
A volte penso che la gente se sapesse quello che penso realmente di me penserebbe che sono solo stupida e che magari "c'è gente che vorrebbe averlo il corpo come il tuo"
Ma come si fa quando vorresti essere più magra, semplicemente più piccola in generale
Allora mi auguro in futuro di sentirmi più predisposta a sentirmi bella per un periodo di tempo abbastanza lungo da superare il tempo in cui non lo sono
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ambrenoir · 2 months ago
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LA LETTERA D'AMORE PIU BELLA CHE IO ABBIA MAI LETTO.
"Cara Francesca,
Spero che questa mia lettera ti trovi bene.
Non so quando la riceverai. Quando io me ne sarò già andato.
Ho sessantacinque anni, ormai, e ne sono passati esattamente tredici dal nostro primo incontro, quando imboccai il vialetto di casa tua in cerca di indicazioni sulla strada.
Spero con tutto me stesso che questo pacchetto non sconvolga in alcun modo la tua vita. Il fatto è che non sopporto di pensare alle mie macchine fotografiche sullo scaffale riservato all’attrezzatura di seconda mano di un negozio o nelle mani di uno sconosciuto. Saranno in pessime condizioni quando le riceverai, ma non ho nessun altro a cui lasciarle e mi scuso del rischio che forse ti costringerò a correre mandandotele.
Dal 1965 al 1975 ho viaggiato quasi ininterrottamente. Nell’intento di allontanarmi almeno parzialmente dalla tentazione di telefonarti o di venire a cercarti, tentazione che da sveglio in pratica non mi lascia mai, ho accettato tutti gli incarichi oltreoceano che sono riuscito a procurarmi. Ci sono stati momenti, molti momenti, in cui mi sono detto: << All’inferno, vado a Winterset e, costi quel che costi, porto Francesca via con me>>.
Ma non ho dimenticato le tue parole, e rispetto i tuoi sentimenti. Forse avevi ragione, non lo so. So però che uscire dal viale di casa tua, in quella arroventata mattinata di agosto, è stata la prova più ardua che abbia mai affrontato e che mai avrò occasione di affrontare. Dubito, in effetti, che molti uomini ne abbiano vissute di più dure.
Ho lasciato il National Geographic, nel 1975 e da allora mi sono dedicato soprattutto a fotografare ciò che piaceva a me, prendendo il lavoro là dove potevo, servizi locali o regionali che non mi impegnavano mai più di pochi giorni.
Finanziariamente è stata dura, ma tiro avanti.
Come ho sempre fatto.
Buona parte del mio lavoro lo svolgo nella zona di Puget Sound. Mi va bene così. Pare che invecchiando gli uomini si rivolgano sempre più spesso all’acqua.
Ah, sì, adesso ho un cane, un golden retriever.
L’ho chiamato Highway, e lo porto quasi sempre con me, quando siamo in viaggio, se ne sta con la testa fuori dal finestrino, in cerca di posti interessanti da fotografare.
Nel 1972 sono caduto da una rupe nell’Acadia National Park, nel Maine, e mi sono fratturato una caviglia.
Nella caduta ho perso la catena e la medaglia, ma fortunatamente non erano finite lontano. Le ho recuperate e un gioielliere ha provveduto ad aggiustare la catena.
Vivo con il cuore impolverato, Meglio di così non saprei metterla. C’erano state delle donne prima di te, qualcuna, ma nessuna dopo. Non mi sono votato deliberatamente alla castità: è solo che non provo alcun interesse.
Una volta ho avuto modo di osservare il comportamento di un’oca canadese la cui compagna era stata uccisa dai cacciatori. Si uniscono per la vita, sai. Dopo l’episodio, ha continuato ad aggirarsi intorno allo stagno per qualche giorno. L’ultima volta che l’ho vista, nuotava tutta sola tra il riso selvatico, ancora alla ricerca. Immagino che da un punto di vista letterario la mia analogia sia troppo scontata, ma è più o meno così che mi sento anch’io.
Con la fantasia, nelle mattine caliginose o nei pomeriggi in cui il sole riflette sull’acqua a nord-ovest, cerco di immaginare dove sei e che cosa stai facendo.
Niente di complicato…ti vedo in giardino, seduta sulla veranda, in piedi davanti al lavello della cucina. Cose così.
Ricordo tutti. Il tuo profumo e il tuo sapore, che erano come l’estate stessa. La tua pelle contro la mia, e il suono dei tuoi bisbigli mentre ti amavo.
Robert Penn Warren scrisse: << Un mondo che sembra abbandonato da Dio >>. Non male, molto vicino a quello che provo per te certe volte. Ma non posso vivere sempre coì. Quando la tensione diventa eccessiva, carico Harry e, in compagnia di Highway, ritorno sulla strada per qualche giorno.
Commiserarmi non mi piace. Non è nella mia natura. E in genere non me la passo poi tanto male.
Al contrario, sono felice di averti almeno incontrata.
Avremmo potuto sfiorarci come due frammenti di polvere cosmica, senza sapere mai nella l’uno dell’altra.
Dio o l’universo o qualunque altro nome si scelga di dare ai grandi sistemi di ordini ed equilibri, non riconosce il tempo terrestre. Per l’universo, quattro giorni non sono diversi da quattro miliardi di anni luce. Per quanto mi riguarda, cerco di tenerlo sempre a mente.
Ma, dopo tutto, sono un uomo.
E tutte le considerazioni filosofiche non bastano a impedirmi di desiderarti, ogni giorno, ogni momento, con la testa piena dello spietato gemito del tempo, del tempo che non potrò mai vivere con te.
Ti amo, di un amore profondo e totale. E così sarà sempre."
“I ponti di Madison County”, R.J.Waller
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mandorloinfiore · 5 months ago
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Mi sto rendendo conto che non ho amicx praticamente... le due amiche che ho sì ce l'ho ancora ma sono in due città diverse dalla mia... quell'altra con cui ho litigato lasciamo stare è ovvio che non può essere considerata (e in effetti non ne ho parlato nemmeno qui per quanto sono stata male)... poi quella vicino a me che adesso aspetta e ci vedremo sempre meno di così (cioè mai).. l'altra ragazza che avevo conosciuto a tintoria era simpatica ma non ha risposto mai al mio come stai... il gruppo della piscina lasciamo stare... poi c'è una new entry che poi tanto nuova non è, ci siamo solo riavvicinate e dobbiamo conoscerci meglio.
Sto diventando molto selettiva e per i motivi che mi fanno stare bene ma sono soprattutto una persona socievole quindi non so... mi pongo la fatidica domanda... sono io o sono gli altri?
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abr · 2 months ago
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Pezzi di destra provinciale, immobilista, retroversa, che ignora la fonte dei problemi: lo stato e sua la burocrazia.
E si concentra a inseguire gli effetti adottando, ma guarda, i medesimi strumenti della sinistra: imposizioni, repressioni, multine, tassettine, apparato, cipigli sotto a pennacchi e bandioliere. Cambiano i soggetti repressi e quelli elargiti, non i metodi né i repressori/elargitori. Per cui è pezzo di destra prono al primo m5s che passi, che alla fine si scopre brics-cone, pauperista, assistenzialista: de'sinistra, ma guarda.
Tant'è, vediamo il bicchiere mezzo pieno: sempre meglio della sinistra autentica; così non si retrocede però nemmeno si avanza né si risolve.
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t-annhauser · 4 months ago
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(episodi biblici: Giuda si unisce carnalmente con Tamar, sua nuora)
Genesi 38, 6; da una storia vera. Giuda, figlio di Giacobbe, figlio di Isacco, figlio di Abramo, dà in sposa la bella Tamar a suo figlio Er, ma Er si rende odioso agli occhi del Signore e il Signore lo fa morire. A questo punto, per la legge del levirato (tutto attaccato), Giuda consegna Tamar al secondogenito Onan, affinché egli abbia un figlio legittimo con lei, che verrà considerato a tutti gli effetti figlio di Er, in sua assenza.
Allora Giuda disse a Onan: "Va' con la moglie di tuo fratello, compi verso di lei il dovere di cognato e assicura così una posterità a tuo fratello".
Ma Onan, sapendo che la prole non sarebbe stata considerata come sua, disperde per terra il seme alla fine di ogni rapporto.
Ma Onan sapeva che la prole non sarebbe stata considerata come sua; ogni volta che si univa alla moglie del fratello, disperdeva il seme per terra, per non dare un discendente al fratello. 
Ciò che egli fa è male per il Signore e il Signore lo fa morire (sentenza immediata di morte per non aver proceduto a inseminare la cognata). Giuda a questo punto si fa due conti: avanti così e non mi resteranno più figli, meglio far ritornare Tamar dal padre, a Tinma, giusto per precauzione. Passa il tempo e, dopo un grave lutto in famiglia, Giuda si reca a Timna per far tosare le pecore. Tamar viene avvertita: "Guarda che sta arrivando tuo suocero". A questo punto Tamar, visto che il figlio superstite di Giuda, seppur cresciuto e nel pieno delle sue capacità riproduttive, non le era stato concesso per inseminarla e garantirle così il giusto diritto di darle una prole, s'inventa uno stratagemma:
Allora Tamar si tolse gli abiti vedovili, si coprì con il velo e se lo avvolse intorno, poi si pose a sedere all'ingresso di Enàim, che è sulla strada per Timna.
Giuda vede la graziosa ragazza e la scambia per una prostituta:
Quando Giuda la vide, la prese per una prostituta, perché essa si era coperta la faccia. Egli si diresse su quella strada verso di lei e disse: "Lascia che io venga con te!". Non sapeva infatti che era sua nuora. "Lascia che io venga con te!". Tamar risponde: "va bene, ma in cambio che cosa mi dai?". "Un capretto," dice Giuda. "Va bene," dice Tamar, "ma lasciami almeno una caparra". "Va bene," dice Giuda, "cosa vuoi?". "Il tuo sigillo, il tuo cordone e il bastone che hai in mano" dice Tamar. Detto fatto: Giuda le consegna carta d'identità e codice fiscale e si unisce carnalmente alla nuora completamente ignaro della sua identità. Quando Giuda va per consegnarle il capretto, della bella prostituta si sono perse le trecce, per cui domanda in giro: "Avete per caso visto una prostituta?". "Quale prostituta?" Gli rispondono indignati gli abitanti del luogo, "Qui da noi non ci sono prostitute!". Giuda torna quindi a casa un po' perplesso, e senza documenti. Passano tre mesi e qualcuno viene a dire a Giuda che sua nuora si è prostituita ed è rimasta incinta. Indignato, Giuda tuona: "Sia tratta fuori dalla città e bruciata!". Allora Tamar, mentre viene condotta al rogo, dice:
"Io sono incinta dell'uomo a cui appartengono questi oggetti". E aggiunse: "Per favore, verifica di chi siano questo sigillo, questi cordoni e questo bastone".
Giuda li vede ed esclama: porco Giuda! Ma è giusto così, giusto così: non le ho dato il mio ultimo figlio e lei si è servita di me.
Tamar diede alla luce due gemelli: Zerach e Peres, antenati di Gesù, discendente di truffaldina - ma giusta, secondo legge - copula.
[L'incontro di Tamar e Giuda, Tintoretto]
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falcemartello · 1 year ago
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TECNOLOGIE PERSUASIVE
Possono le tecnologie modificare le nostre abitudini? Possono certe tecnologie spingerci a modificare le nostre abitudini, le nostre necessità, i nostri bisogni?
Si possono, possono farlo in maniera pervasiva. Le tecnologie non sono “neutre” chi le progetta sa benissimo quali modificazioni le tecnologie producono nella vita degli esseri umani.
Adesso grazie alle neuroscienze chi progetta tecnologie sa come manipolare le persone attraverso stimoli percettivi, emozionali, sensoriali con comprovata efficacia.
Grazie alla neuropsicobiologia tramite le tecnologie digitali e le loro interfacce chi detiene il sapere e la conoscenza di tali artefatti e li produce più se vuole stravolgere le nostre esistenze, spingerci a prendere determinate decisioni, ad assumere certi stili di vita ed anche a conformarci a determinate regole.
Non è che fosse necessario il digitale e la neuropsicobiologia per progettare tecnologie persuasive: pensiamo al Pan Opticon di Jeremy Bentham.
Spiega Focault : “Egli proclama una reale invenzione della quale dice ch’è «l’uovo di Colombo». E, in effetti, Bentham propone ai medici, ai penalisti, agli industriali, agli educatori proprio ciò che essi cercavano: egli ha trovato una tecnologia di potere capace di risolvere i problemi di sorveglianza.”
Focault descrive la struttura, la tecnologia architettonica teorizzata da Bentham:
”Poiché il principio era: alla periferia, un edificio a forma di anello; al centro, una torre; nella torre sono aperte larghe finestre che danno sulla facciata interna dell’anello. L’edificio periferico è diviso in celle, ciascuna delle quali ne attraversa l’intero spessore. Queste celle hanno due finestre: una aperta verso l’interno, che corrisponde alle finestre della torre; l’altra, che da verso l’esterno, permette alla luce riattraversare la cella da parte a parte.”
A questo punto, con tale struttura panottica è “sufficiente allora mettere un sorvegliante nella torre centrale, e in ogni cella rinchiudere un folle, un malato, un condannato, un operaio, o uno scolaro. Per un effetto di controluce, si possono vedere dalla torre le piccole sagome prigioniere nelle celle della periferia, che si stagliano nella luce. Insomma si inverte il principio della segreta; la piena luce e la sorveglianza captano meglio dell’ombra, che in ultima analisi proteggeva.”
Non è importante che il sorvegliante sia al suo posto è sufficiente che il malato, il prigioniero, il lavoratore sappia di poter essere continuamente sotto osservazione in maniera da essere indotto, spinto ad assumere comportamenti “conformi” a quelli che chiede il “padrone”.
Ma con l’avvento del digitale, delle tecnologie a schermo, con l’arrivo dei social network, dei robot e dei bot, dei sexbot umanoidi e delle voci suadenti degli assistenti artificiali il gioco della persuasione ormai è prassi e l’inganno e la manipolazione sono le armi con cui drogare ed indottrinare la società dei burattini di carne umana.
La manipolazione dolce che fa leva sulle nostre debolezze è molto più potente del manganello. Ma al giorno d'oggi il Potere non si accontenta più, perciò le usa entrambe. Gli uomini non sono mai stati così controllati e controllabili nella storia dell'umanità. Scordiamoci la favola della democrazia, mai e poi mai siamo stati sudditi a tal maniera senza neanche averne contezza.
Francesco Centineo
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raccontidialiantis · 1 month ago
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Ah… ora ci divertiamo!
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Il giovedì alle sette e mezzo, dopo una bella cenetta rapida, non esiste nulla di meglio che sentire la chiave che ti ho dato infilarsi nella toppa della porta del mio monolocale di divorziato e vedere te, bella come un’attrice, che vieni a farmi passare un'ora o due con la mia micia preferita.
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Vieni qui: ora datti da fare come sai che mi piace e divertiti anche tu. Sei una donna molto raffinata nei gusti. So che adori vestirti di tutto punto, adornarti, profumarti ed essere ammirata, corteggiata. E succede puntualmente: al lavoro quando vai in un ufficio, a far la spesa o passeggiando con un'amica per fare compere.
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Tutti gli uomini che incroci ti osservano e ti desiderano. Non potrebbero fare altrimenti. Non passi inosservata e se indossi una gonna corta, le tue gambe fanno quasi venire un infarto a chi non è preparato a tale visione. Non parliamo poi di quando ti gira e indossi un paio di leggins leggerissimi, semi-trasparenti con perizoma: il tuo culo diventa un’arma letale.
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E so anche che ti piace iniziare a flirtare a tua volta: il pensiero che un uomo si ecciti pensando a te ti fa impazzire di piacere. Sei crudele. Ma generosa: regali un sorriso e dieci secondi di pura gioia. Ma quello che piace a me invece è sapere che mentre gli altri apprezzano la donna gentile, bella, educata, colta e discreta che sai essere, tu riservi al mio corpo la tua parte più porca, oscena, assolutamente disdicevole e lasciva.
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Con me sei una persona assolutamente immorale! E ti adoro per questo. Arrivi qui. Togli il soprabito e mi guardi come se fossi venuta per divorarmi, sei una tigre dopo una settimana di astinenza dal cibo. Ti piace spogliarmi lentamente, vedere che mi eccito sempre più mentre lo fai, capire che il tuo profumo fa effetto sulla mia libidine e quindi ti metti a giocare con il mio uccello.
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Ci passi i migliori minuti della nostra unione segreta. Adori mettertelo pian piano tutto in bocca e giocarci con la lingua, inumidirlo ben bene. Per poi stantuffare lungo l'asta con le labbra, accarezzarmi i coglioni e alte cose meravigliose. Concentratissima, inizi a succhiarmelo per darmi piacere e poi al momento giusto decidi e ti ci infili sopra.
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Di culo o di fica, per me è uguale. Adoro sentirti godere, essere felice mentre scopi e amo chiamarti troia, puttana o succhiacazzi, mentre ti do sonore pacche sul culo. Perché la tua parte migliore non è il tuo quoziente intellettivo, il tuo impiego come dirigente o la tua grande cultura umanistica: il top della tua persona è il tuo sodo, tondo, stupendo culo da zoccola, tesoro che curi andando quattro volte a settimana in palestra.
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Che poi in effetti sono tre, perché il giovedì ti serve solo da copertura per venire a fartelo infilare e prendere a sberle qui da me. Ti piace, lo so. Ami sentirti posseduta, presa con rudezza e maltrattata. Vuoi l'uomo forte, quello che ti usa e ti mette al tuo posto. Pretendi dalla vita il maschio che t'ha negato, facendoti sposare per convenienza di famiglia un “bravo ragazzo.”
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Così ti sei trovata tuo malgrado legata a lui. A quel marito che hai scoperto essere progressivamente sempre più disinteressato al sesso e alle tue esigenze di femmina, al tuo bisogno di essere adorata ma anche domata, cavalcata, soddisfatta. Alla tua sana voglia di cazzo, legittima, abbastanza normale ed evidente in un matrimonio. Idiota e villano. Per fortuna che hai incontrato me.
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Gli hai dato dei figli, poi tuttora lo curi, servi e coccoli a puntino. A letto te lo sbaciucchi cercando di eccitarlo, però anche per tenertelo tranquillo e non farlo sospettare. Magari gli fai fare una sveltina rapida. Lui s’accontenta. Purtroppo per lui, nulla lo risveglia dal suo torpore, dal suo mondo fatto di libri, articoli, studio e convegni. Non ti porta mai al cinema o a cena fuori.
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Non ti gratifica mai con un complimento, non ti dice mai che sei bella, che lo fai arrapare. In compenso, ti lascia tutta la libertà di questo mondo. Non ti chiede mai dove sei stata o come spendi i soldi. Non fa caso a quando rientri tutta scomposta e ancora accaldata dopo essere stata riempita a dovere, usata e abusata dal sottoscritto. Il tuo culo rosso e rovente non lo incuriosisce né lo eccita.
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Stupido: non ha idea di che perfetta macchina del piacere tu sia né di quanti orgasmi mi fai fare dentro di te. Non sa che hai bisogno di scopare regolarmente, che vai farcita a dovere di seme e soddisfatta almeno ogni settimana, che sei esigente e vuoi tanto cazzo, dentro di te. E non immagina che la frase che ti fa venire all'istante è: “pensa a cosa starà facendo ora quel gran cornuto di tuo marito adesso!”
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Al solo sentirla, ti inarchi, ti allarghi perché ne vuoi di più e me lo dici. Subito inizi a godere come una troia gemendo. Poi ti muovi a ritmo più forte, pretendendo sempre più cazzo dentro di te. Al culmine urli forte e infine vieni, allagandomi il ventre con un temporale di tuo nettare. Quanto ti adoro, mia stupenda femmina. Quanto godo nello sborrare restandoti dentro a lungo.
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"ok: è arrivato il momento che… basta così! Fatti una doccia, rivestiti e vattene, puttana. A giovedì prossimo. Puntuale, mi raccomando…"
"ti amo stronzo, lo sai? Dimmi che mi ami anche tu…" "si, si: ti amo anch'io. Però adesso vai fuori dalle palle e… ma che cazzo fai? Suuu… dai, ora smetti di succhiarmelo…  oooooh…  be’, magari un'ultimo scarico nella tua gola te lo sei comunque meritato… aaaah, adoro la tua lingua, maledetta puttana… siiii!"
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RDA
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crazy-so-na-sega · 2 months ago
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Apodittico
a-po-dìt-ti-co
Significato Dimostrato; evidente, necessario; perentorio; dogmatico, che non ammette critiche
Etimologia voce dotta recuperata dal latino tardo apodicticus, prestito dal greco apodeiktikós, derivato dal verbo apodéiknymi ‘io dimostro, mostro con argomenti, provo’.
«Date queste premesse, la conclusione è apodittica.»
Parola aulica e soprattutto difficile, si direbbe. E in effetti è così, perché anche se si muove su significati accessibili, è necessario capire che sfumatura ha e come si comporta — ma mettiamo le mani avanti: è una parola difficile per chiunque, tant’è che i suoi significati si smagliano serenamente. Ad ogni modo, in cima alla salita c’è il premio di una parola del lessico filosofico che riesce a darci un colore speciale per significare una conclusione evidente e necessaria — una risorsa particolarmente potente.
L’etimologia ci lancia già in mezzo alla questione: il greco apodeiktikós deriva dal verbo apodéiknymi, che significa ‘io dimostro, mostro con argomenti, provo’ — letteralmente ‘mostro separatamente’. Quella apodittica non è un’evidenza che non richiede dimostrazioni; al contrario, si ammanta di rigore metodologico e si presenta addirittura come una necessità logica. L’apodittico è evidente in quanto dimostrato.
Posso parlare della conclusione apodittica a cui giunge la sentenza dopo una meticolosa analisi controfattuale; posso parlare di come la valutazione della soluzione migliore non sia stata guidata da sentimento o retorica, ma sia apodittica; posso parlare della certezza apodittica con cui la zia conosce le ultime carte in mano agli avversari a briscola. Sentiamo bene quanto l’apodittico abbia a che spartire col necessario.
Ma insomma, le affermazioni apodittiche hanno più di un che di netto, di tranchant: se parliamo di una necessità logica c’è poco da sfumare e molto da tagliare. Il che fa annusare un atteggiamento mentale retrostante che sa di perentorio, categorico. Anche lontano da dimostrazioni e sillogismi, posso finire per avere un tono apodittico quando faccio la classifica degli ultimi migliori film, puoi usare parole apodittiche sull’accettabilità di un accordo, posso ricevere un rifiuto apodittico.
Questo taglio di ‘apodittico’, se prende un respiro maggiore e una tridimensionalità più tornita, scavalla nel dogmatico, nell’atteggiamento di chi non ammette critiche. Può essere apodittica la strategia stabilita dai vertici dell’impresa, apodittica l’adesione a un’ideologia, apodittica l’applicazione della ricetta della trisavola.
Sono diversi, incisivi e alti i frutti di questa necessità logica che ci presenta l’apodittico, in una dimensione che va dalla logica alla psicologia. All’inizio può parere problematico coglierli, ma sono realtà ben presenti, nella nostra vita. Anzi questa necessità logica, questa evidenza dimostrativa sa essere anche molto spiccia. Il verbo apodeiknýnai, ad esempio, origina anche l’apódeixis, che è la dimostrazione, la prova — che probabilmente conosciamo meglio adattata come… polizza.
Testo originale pubblicato su: https://unaparolaalgiorno.it/significato/apodittico
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gregor-samsung · 3 months ago
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Dopo l'attacco di Hamas del 7 ottobre, ho ricevuto un messaggio dagli organizzatori [di una conferenza sulla lingua francese che si sarebbe tenuta a Innsbruck], in cui mi si chiedeva di rendere noto il titolo del mio discorso, di « astener[mi] dal fare riferimento alla situazione attuale e di lasciare la dimensione politica fuori dal [mio] discorso per evitare qualunque scompiglio». Ho risposto che a queste condizioni non avrei potuto partecipare, poiché tutto il mio lavoro e la mia vita sono sono costantemente messi in discussione da quanto sta accadendo nel mio paese. L'organizzatrice ha insistito nel volermi chiamare per spiegarmi che «la situazione attuale» - un eufemismo - le sembrava molto confusionaria e complicata, una sorta di campo minato, e per questo voleva solo assicurarsi che quello che avrei detto sarebbe stato appropriato.
«Mi rendo conto », ha aggiunto, « che non diresti nulla di orribile. Voglio solo accertarmene ». Nelle settimane successive ho ripensato a questa conversazione e a quanto ci racconti del modo in cui noi palestinesi siamo trattati come esseri viventi, che respirano, che scrivono, che agiscono politicamente. Che io non abbia partecipato a un evento letterario è una conseguenza minima, ridicola, di quanto sta accadendo. Ma può indicare una cornice, una forma, per ciò che ancora fatico a nominare per paura che si avveri, e che in effetti sta accadendo ora a Gaza e in Cisgiordania. «Cerchiamo di trovare una risoluzione positiva», mi ha suggerito l'organizzatrice al telefono.
[…] La voce al telefono, come tanta parte del mondo che ci circonda, chiedeva la stessa cosa: per favore, cerchiamo di trovare una risoluzione positiva. Se solo voi poteste svanire, o - ancora meglio - se solo non foste proprio mai esistiti, e se solo poteste risparmiarci l'orrore, le espulsioni, i bombardamenti, le uccisioni, la fame di un popolo che ci costringete a scatenare su di voi. Il mondo intero risuonava in questa voce al telefono che mi diceva: c'è una soluzione, se solo tu non fossi così ostinato, c'è una soluzione, che è dissolverti nelle contraddizioni che ti sono state cucite addosso; se solo tu potessi disinvitarti dal mondo, se solo tu non complicassi il mondo con la tua esistenza, se solo non dovessi parlare con te, se solo non dovessi ascoltarti, se solo.
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Brano tratto dall'articolo dello scrittore palestinese Karim Kattam pubblicato sul sito The Baffler il 31 ottobre 2023 , quindi tradotto e pubblicato in:
ARABPOP - Rivista di arti e letterature arabe contemporanee, N. 6 / Palestina - Primavera 2024, Tamu Edizioni, Napoli.
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diceriadelluntore · 6 months ago
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Storia Di Musica #333 - Elvis Costello & The Attractions, Get Happy!!, 1980
Quando, in una sera del 1976, gli venne l’idea di presentarsi con un nome d’arte omaggio alla sua nonna, pensava forse che sebbene volenteroso, il suo vero, Declan Patrick Aloysious McManus, sarebbe stato preso per uno scherzo. Quella sera si presenta come D.P. Costello, che cambierà nel definito Elvis Costello, come omaggio al Re del Rock’n’Roll. Occhialoni alla Buddy Holly, look che esibiva orgogliosamente il suo essere fuori moda, a metà degli anni ’70 Costello è un giovane arrabbiato che ha le carte in regole per dire la sua, in modo interessante, oltre il nichilismo furbetto del punk. Quando Nick Lowe, suo amico e collaboratore, gli trova un ingaggio per la Stiff Records, lui non essendo in totale fiducia decise di non abbandonare il proprio posto da operaio nella ditta di cosmetici Elizabeth Arden (a cui dedicherà una stupenda canzone, I’m Not Angry). In effetti non erano tempi da cantautori, ma bastano i primi guizzi di My Aim Is True (1977) per sgombrare il campo: l’offensiva antifascista di Less Than Zero unite a doti melodiche di alto livello (la mitica Alison, suo pezzo culto) presentano al pubblico un nuovo modo di raccontare musicalmente i tempi. La seconda prova è ancora meglio: This Year’s Model (1978) lo vede insieme ai The Attractions, il gruppo di Stevie Nieve (alle tastiere) e Bruce Thomas (basso) e Pete Thomas (batteria, i due non erano parenti), e in un disco multiforme, dai testi lunghissimi, sciorina la sua bravura in canzoni stupende come I Dont’ Want To Go To Chelsea, Pump It Up (altro inno di quegli anni), Little Triggers e Night Rally. È richiestissimo e parte per Tour in Europa e Stati Uniti. Nelle pause delle date, scrive sull’onda dell’entusiasmo altre canzoni, che compongono il terzo disco in tre anni, Armed Forces (1979): segnato dallo stress e dai primi, evidenti eccessi di vita, è un disco ansiogeno e un po’ frettoloso, che alle belle e ormai garantite belle canzoni aggiunge riempitivi. Sarebbe tutto normale, ma le cose stanno prendendo una brutta piega: le dipendenze da alcool e droga lo rendono nervoso e aggressivo e durante il tour americano, a Columbus, in Ohio, si incontrò con Stephen Stills nel bar dell’Holyday Inn. Qui in preda a deliri alcolici sbiascica pesantissimi insulti razzisti a James Brown e Ray Charles, litiga fino alle mani con la cantante Bonnie Bramlett (che era diventata famosa nel duo con il marito Delaney & Bonnie) e vede in un attimo disintegrarsi la sua reputazione negli Stati Uniti. Ci furono ulteriori polemiche poiché la vicenda fu quasi semi oscurata dai giornali britannici. Le successive scuse in una goffa conferenza stampa non servirono a nulla. Torna in patria e nel 1979 produce il primo, storico, album degli Specials, fa l’attore in Americathon (semisconosciuto film di Neil Israel, dove Costello si esibisce cantando Crawling In the USA). Durante la produzione del disco degli Specials, scrive e suona da solo tutti gli strumenti per del nuovo materiale nei piccoli studi di registrazione Archipelago (scritto così) di Pimlico, nei sobborghi londinesi. Costello ha la necessità di dare un taglio al suono precedente e per il nuovo si ispira alla musica afroamericana degli anni ’60, allo ska, e ha tantissime cose da dire.
Get Happy!! (che esce nel 1980) prende il titolo dalla canzone omonima composta da Harold Arlen, con i testi scritti da Ted Koehler, negli anni ’30 del ‘900, che riprendeva un testo di tipo evangelico. Fu portata al successo da Judy Garland e negli anni è divenuto uno standard per centinaia di artisti. Registrato tra Londra e i Paesi Bassi, a Hilversum, prodotto da Nick Lowe e Roger Béchirian, è un disco-mondo dove Costello mette 20 brani, molti dei quali brevissimi, meno di 2 minuti. È una prova di amore per quella musica, e anche di liberazione in un certo senso (nonostante anche durante le sessioni perdureranno i problemi con alcool e droghe). Ci sono due cover: I Can't Stand Up For Falling Down di Sam & Dave e I Stand Accused dei Merseybeats come omaggio al mai abbandonato amore per il suono di Liverpool. Per il resto, l’enormità (per l’epoca dove esistevano solo i vinili) dei 18 pezzi rimanenti passano dagli omaggi fin troppo sfacciati (Temptation è in pratica la Time Is Tight di Booker T & The MG’s con un testo diverso),a canzoni stupende come Love Me Tender (che apriva il disco), Possession, King Horse fino ai capolavori come New Amsterdam elegia sulla selvaggia New York, High Fidelity, doloroso e drammatico affresco sulle delusioni dell’amore e Riot Act, canzone scritta sui fatti di Columbus. L’omaggio alla musica r’n’b è evidente nella copertina: dalla grafica e dai colori cari alla Stax di Memphis, vedeva tre foto identiche di Costello sfalsate in colori acidi, e aveva una particolarità: l’effetto vissuto del cerchio bianco proprio al centro, a imitare il consumo dell’uso eccessivo. Tra l’altro le prime edizioni avevano la scaletta scritta al contrario, con Riot Act primo brano e Love Me Tender ultima, e valgono di più nel mercato dei collezionisti.
Il disco all’epoca fu accolto con grande favore dalla critica e dal pubblico: numero 2 in Gran Bretagna e un sorprendente numero 11 negli Stati Uniti. Negli anni il disco ha guadagnato ancora più favori, sottolineando la scelta niente affatto facile di Costello di distaccarsi sempre con intelligenza dai generi imperanti per la ricerca di una via personale alla sua necessità di musica. Scriverà un altro disco capolavoro, Imperial Bedroom (1982) che è una grande prova di pop d’autore, che aprirà le porte ad una nuova trasformazione verso un colto, raffinato, ma un po’ meno eccitante, modello di voce-pianoforte che diventerà il modulo classico della maturità costelliana. Ne ha fatta di strada in decenni quel tipo con gli occhialoni che prese in prestito dalla nonna il suo nome d’arte per la celebrità.
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jadarnr · 15 days ago
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TRINITY BLOOD
RAGE AGAINST THE MOONS
(Storia: Sunao Yoshida // Illustrazioni: Thores Shibamoto)
Vol.1 - From the Empire
WITCH HUNT - Capitolo 1
Traduzione italiana di jadarnr dai volumi inglesi editi da Tokyopop.
Sentitevi liberi di condividere, ma fatelo per piacere mantenendo i credits e il link al post originale 🙏
Grazie a @trinitybloodbr per il suo prezioso contributo alla revisione sul testo originale giapponese ✨
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“Nome ed età?” Chiese Abel.
“Eris Wasmayer. Diciassette.”
“Diciassette? Ma ieri non ci avevi detto di averne diciotto?”
“Non si dovrebbe chiedere l’età ad una donna.”
“Eris, potresti essere seria per un momento?” Sospirò Abel, sollevando gli occhiali tondi simili a fondi di bottiglia e chiudendo il taccuino dove stava prendendo appunti.
“Ma è così noioso!” Si lamentò Eris, andandosi a sedere sul letto ed incrociando le gambe. Si voltò di lato spingendo fuori il labbro inferiore, mostrando al prete quanto era imbronciata.
Se non fosse stato per il suo comportamento capriccioso, sarebbe stata molto carina. Aveva la pelle chiara ed i capelli perfettamente tagliati a caschetto. Ma era terribilmente infantile. E con quei capelli corti e senza trucco dimostrava non più di quattordici anni.
Solo dieci giorni prima era incapace di parlare. Era rimasta così tanto shockata dall’incidente nel rifugio dei vampiri che avevano dovuto portarla in quel bunker per i trattamenti medici ed essere interrogata. Ma ora che si era ripresa, era impossibile farle prendere la situazione sul serio.
“Padre, sono chiusa in questo bunker da giorni ormai. Non ho nulla con cui distrarmi, né posso avere contatti col mondo esterno. E quando mi vieni a trovare, mi porti solo documenti e scartoffie. Quante altre volte ti devo raccontare la mia versione della storia?” Piagnucolò.
“Seriamente? È perché la cambi ogni volta. Mi piacerebbe essere più comprensivo, ma devi capire che ho un lavoro da svolgere. Devo fare rapporto al mio capo, e se il rapporto non è scritto correttamente, sarò io ad essere rimproverato.”
Eris fece un cenno di comprensione vedendo una traccia di terrore dietro gli occhiali del prete al solo pensiero di ciò che aveva appena detto.
“Essere un prete dev’essere difficile.”
“Lo è, devi credermi. Ascoltami: il mio capo può essere molto spaventoso. L’ultima volta che ho consegnato un rapporto in ritardo si stava limando le unghie e mi ha detto con una voce stranamente gentile: ‘Hai avuto molto da fare ultimamente Abel?’ Per un attimo ho pensato che mi avrebbe cavato gli occhi… ma non so perché ti sto raccontando tutto questo.”
“Ma no ma no, sfogati pure. Dopo ti sentirai meglio.” Lo provocò Eris.
“Sono io che faccio le domande qui. Puoi collaborare? Per favore?” La pregò.
Eris represse un sorriso quando vide l’espressione seria sul volto del prete. Adorava prenderlo in giro. Era sola al mondo, per cui il solo modo per avere un po’ di compagnia era far tornare Abel da lei.
“Ti faccio una proposta. Ti prometto che collaborerò. Ma solo se mi portate del cibo da fuori.”
“Non posso farti uscire. Non ancora.”
“Allora andate a comprarmi qualcosa. Fatelo e risponderò a tutte le vostre domande. Il cibo qui fa schifo. Vorrei mangiare qualcosa di più… umano.”
“Andata.” Rispose il prete.
In effetti il cibo lì faceva abbastanza schifo. Lo sapeva. Era insipido come le pareti di quel bunker. Era uno scambio semplice. E comunque sempre meglio che subire lo sguardo crudele attraverso il monocolo del suo capo.
“Cosa vorresti? Ti faccio portare quello che vuoi.” Disse allegramente.
“Voglio un Gateau Chocolat e dei Marron Glace.” Disse senza un attimo di esitazione.
“D’accordo. Gateau Chocolat e Marron Glace.”
Il prete stava giá uscendo dalla stanza, ma si fermó improvvisamente. Con un gesto cauto, come se stesse maneggiando una bomba, tirò fuori il portafoglio e lo esaminò con attenzione.
“Si può sapere che c’è?”
“Che ne diresti invece di una brioche appena sfornata?”
La ragazzina tirò un cuscino addosso al prete e si buttò a pancia in su sul letto, guardando il soffitto.
“Quanto sei inutile. Va bene, prendi quello che ti pare!”
“Fantastico! Allora vado subito.” Abel fece per aprire la porta.
WHAM!
La porta si spalancò improvvisamente e andò a colpire Abel dritto sul naso. Il colpo lo stese più velocemente di un pugno in faccia. Si afferrò il naso stringendo gli occhi pieni di lacrime.
“Ciao Tres.” Farfuglió.
“Padre Nightroad, ma che stai facendo.” Replicò Tres, guardandolo con il bel volto inespressivo. Nonostante fosse di bassa statura era ben proporzionato ed i vestiti che portava sembrava che gli fossero stati cuciti addosso, ma era sempre circondato da un alone di odore di polvere da sparo.
“La tua mamma non ti ha insegnato a bussare prima di entrare nella stanza di una ragazza?”. Chiese Abel.
“Negativo. Non c’è tempo.” Rispose Tres. Muovendosi in modo meccanico, Padre Tres buttò un plico di fogli sul letto.
“Mi ha contattato Sorella Kate. Abbiamo un nuovo posto per la ragazzina. Gli ordini sono di farle liberare la stanza immediatamente.”
“Un posto nuovo?” Chiese preoccupato Abel, ancora rannicchiato per terra e con un fazzoletto infilato su per una narice sanguinante. Eris è al centro di di diverse cospirazioni. In questo momento, solo dei pazzi si offrirebbero di ospitarla.
“Sarà il Convento di Santa Rachele a Roma ad ospitarla. Sorella Kate è dovuta passare tramite suoi contatti personali per ottenerlo.” Lo informò Tres.
Abel annuí. “Allora siamo in debito con lei. Il Convento di Santa Rachele ha delle ottime strutture, e lo staff è al top. Sempre che Eris non preferisca rimanere a Marsiglia.”
Guardò preoccupato la ragazzina, che rimaneva in silenzio mordicchiandosi il mignolo, pensierosa. Il luogo in cui si era rifugiata non esisteva più e non aveva nessun famigliare su cui contare. Non aveva molte altre scelte…
“A me non importa. Quando partiremo per Roma?” Chiese Eris.
“Questa notte.” Rispose Tres.
“Stanotte?” Abel era incredulo.
Non era tranquillo nel far muovere Eris— non senza avere il tempo di organizzare un’adeguata sicurezza. Se i vampiri la volevano morta, un’uscita affrettata avrebbe solo fatto il loro gioco.
“Una suora del Convento vi incontrerà alla Stazione Centrale questa sera. Padre Nightroad, sarai responsabile di scortarla fin lì.” Continuò Tres.
“E tu dove sarai?” Chiese Abel.
“Ho un interrogatorio in ospedale.” Tres si girò per lasciare la stanza, ma si fermò per guardare indietro verso Abel. “Il vampiro che abbiamo catturato al rifugio si è rigenerato abbastanza da rispondere alle nostre domande. Continuerò lì le mie indagini.”
Eris osservò il prete impettito uscire dalla stanza. “Non mi piace.” Dichiarò. “Non é stato per niente gentile con te.”
“Pensa solo al lavoro.” Rispose Abel. “Ed in effetti almeno lui ha del lavoro che lo aspetta. Mentre le mie indagini sono in un punto morto.”
Abel ripensò a quanto aveva appena detto. La pista delle sue indagini era quasi inesistente, ma c’era sempre qualcosa su cui si poteva lavorare. Ed a volte le piste più sottili portavano a casi più importanti. Ripassò le sue annotazioni e lo svolgersi degli eventi. Era stato confermato che il dirottatore della Tristan, il Duca Alfredo era salito a bordo della nave allo Scalo Aeroportuale di Marsiglia. Faceva parte dei Fleur du Mal, un gruppo di vampiri dalle idee radicali che vivevano nelle campagne. Erano un piccolo gruppo di fanatici disorganizzati, non avrebbero mai potuto da soli mettere in piedi un attacco terroristico su larga scala. Il rifugio dei Fleur du Mal era poi stato distrutto in un’orribile carneficina, dove lui e Tres avevano trovato Eris. Lei era l’unico collegamento con il dirottamento… che non fosse un cadavere. Ci doveva essere qualcosa che mancava.
Abel tirò di nuovo fuori il suo taccuino.
“Dunque, non abbiamo molto tempo, quindi vediamo di finire questo rapporto. Per prima cosa, dimmi quanti anni hai…”
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parmenida · 18 days ago
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Sono la GIOCONDA di Leonardo da Vinci.
L'opera d'arte più deludente del mondo.
In effetti, molti visitatori del Louvre rimangono delusi quando si trovano di fronte a me.
Ogni giorno, circa 30.000 persone vengono a vedermi, quasi 10 milioni all'anno. Fanno lunghe code solo per una foto o un selfie. Le loro aspettative sono altissime: dopo tutto, si sa, sono il quadro più famoso al mondo! Ma poi, quando mi vedono, così piccola, sommersa da questa folla di fan, se ne vanno dicendo che non ero poi così straordinaria...
Li capisco, poverini.
Semplicemente, ignorano la mia storia.
Innanzitutto, non sono un quadro, ma una tavoletta. Una tavola di pioppo di appena 77x53 cm. Forse ti aspettavi qualcosa di diverso. Mio padre, Ser Leonardo Da Vinci, iniziò a dipingermi a Firenze nel 1503, cancellando un altro quadro che si trovava sotto di me.
Rappresento il ritratto di Lisa Gherardini.
Infatti, mi chiamano anche MONNA LISA.
Monna è l’abbreviazione di “Madonna”, la parola latina "Mea domina", ovvero "mia signora". Lisa era la moglie di Francesco del Giocondo. Ecco perché mi chiamo Gioconda, perché ero la sua sposa, non perché sorrido felice.
Ma Leonardo non mi vendette mai.
Infatti, mi portava sempre con sé, mi adorava, ero il suo dipinto preferito. Mi ritoccava costantemente. Come dice Vasari, sono "INCOMPIUTA", non sono mai stata finita, lo sapevi?
Ero nella sua camera ad Amboise, in Francia, quando Leonardo morì nel 1519. NON sono mai stata rubata dai francesi! Fui acquistata regolarmente dal re di Francia Francesco I, che era un mio grande ammiratore. Quindi, ogni volta che voi italiani dite ai francesi: "Restituiteci la Monna Lisa!"
La mia casa è qui, a Parigi!
Nel tempo, mi hanno rubato, sfregiato, deturpato. Duchamp mi mise i baffi, Andy Warhol mi fece pop, Botero mi rese grassottella, Banksy mi trasformò in un mujahidin con un lanciarazzi. Sono un’icona moderna, una star o, meglio, una vera superstar.
E ci sono molti segreti nascosti in me.
A cominciare dal mio misterioso sorriso.
Alcuni dicono che sorrido perché Leonardo, mentre mi dipingeva, chiamava musicisti e giullari per intrattenermi. Altri, come Dan Brown nel suo Codice Da Vinci, sostengono che io sia la versione femminile di Leonardo stesso. Freud disse che rappresento un caro ricordo d’infanzia di Leonardo, forse sua madre.
Tutte sciocchezze!
Sorrido, perché quando vi vedo arrivare tutti trafelati davanti a me, in questo turismo di massa frenetico e superficiale, senza contemplazione, vedo i vostri volti delusi e capisco che non avete capito NIENTE di me. Ecco perché continuo e continuerò a essere per sempre l’immagine più bella del mondo!
(tradotto da web)
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angelap3 · 3 months ago
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"Cara Francesca,
Spero che questa mia lettera ti trovi bene.
Non so quando la riceverai. Quando io me ne sarò già andato.
Ho sessantacinque anni, ormai, e ne sono passati esattamente tredici dal nostro primo incontro, quando imboccai il vialetto di casa tua in cerca di indicazioni sulla strada.
Spero con tutto me stesso che questo pacchetto non sconvolga in alcun modo la tua vita. Il fatto è che non sopporto di pensare alle mie macchine fotografiche sullo scaffale riservato all’attrezzatura di seconda mano di un negozio o nelle mani di uno sconosciuto. Saranno in pessime condizioni quando le riceverai, ma non ho nessun altro a cui lasciarle e mi scuso del rischio che forse ti costringerò a correre mandandotele.
Dal 1965 al 1975 ho viaggiato quasi ininterrottamente. Nell’intento di allontanarmi almeno parzialmente dalla tentazione di telefonarti o di venire a cercarti, tentazione che da sveglio in pratica non mi lascia mai, ho accettato tutti gli incarichi oltreoceano che sono riuscito a procurarmi. Ci sono stati momenti, molti momenti, in cui mi sono detto: << All’inferno, vado a Winterset e, costi quel che costi, porto Francesca via con me>>.
Ma non ho dimenticato le tue parole, e rispetto i tuoi sentimenti. Forse avevi ragione, non lo so. So però che uscire dal viale di casa tua, in quella arroventata mattinata di agosto, è stata la prova più ardua che abbia mai affrontato e che mai avrò occasione di affrontare. Dubito, in effetti, che molti uomini ne abbiano vissute di più dure.
Ho lasciato il National Geographic, nel 1975 e da allora mi sono dedicato soprattutto a fotografare ciò che piaceva a me, prendendo il lavoro là dove potevo, servizi locali o regionali che non mi impegnavano mai più di pochi giorni.
Finanziariamente è stata dura, ma tiro avanti.
Come ho sempre fatto.
Buona parte del mio lavoro lo svolgo nella zona di Puget Sound. Mi va bene così. Pare che invecchiando gli uomini si rivolgano sempre più spesso all’acqua.
Ah, sì, adesso ho un cane, un golden retriever.
L’ho chiamato Highway, e lo porto quasi sempre con me, quando siamo in viaggio, se ne sta con la testa fuori dal finestrino, in cerca di posti interessanti da fotografare.
Nel 1972 sono caduto da una rupe nell’Acadia National Park, nel Maine, e mi sono fratturato una caviglia.
Nella caduta ho perso la catena e la medaglia, ma fortunatamente non erano finite lontano. Le ho recuperate e un gioielliere ha provveduto ad aggiustare la catena.
Vivo con il cuore impolverato, Meglio di così non saprei metterla. C’erano state delle donne prima di te, qualcuna, ma nessuna dopo. Non mi sono votato deliberatamente alla castità: è solo che non provo alcun interesse.
Una volta ho avuto modo di osservare il comportamento di un’oca canadese la cui compagna era stata uccisa dai cacciatori. Si uniscono per la vita, sai. Dopo l’episodio, ha continuato ad aggirarsi intorno allo stagno per qualche giorno. L’ultima volta che l’ho vista, nuotava tutta sola tra il riso selvatico, ancora alla ricerca. Immagino che da un punto di vista letterario la mia analogia sia troppo scontata, ma è più o meno così che mi sento anch’io.
Con la fantasia, nelle mattine caliginose o nei pomeriggi in cui il sole riflette sull’acqua a nord-ovest, cerco di immaginare dove sei e che cosa stai facendo.
Niente di complicato…ti vedo in giardino, seduta sulla veranda, in piedi davanti al lavello della cucina. Cose così.
Ricordo tutti. Il tuo profumo e il tuo sapore, che erano come l’estate stessa. La tua pelle contro la mia, e il suono dei tuoi bisbigli mentre ti amavo.
Robert Penn Warren scrisse: << Un mondo che sembra abbandonato da Dio >>. Non male, molto vicino a quello che provo per te certe volte. Ma non posso vivere sempre coì. Quando la tensione diventa eccessiva, carico Harry e, in compagnia di Highway, ritorno sulla strada per qualche giorno.
Commiserarmi non mi piace. Non è nella mia natura. E in genere non me la passo poi tanto male.
Al contrario, sono felice di averti almeno incontrata.
Avremmo potuto sfiorarci come due frammenti di polvere cosmica, senza sapere mai nella l’uno dell’altra.
Dio o l’universo o qualunque altro nome si scelga di dare ai grandi sistemi di ordini ed equilibri, non riconosce il tempo terrestre. Per l’universo, quattro giorni non sono diversi da quattro miliardi di anni luce. Per quanto mi riguarda, cerco di tenerlo sempre a mente.
Ma, dopo tutto, sono un uomo.
E tutte le considerazioni filosofiche non bastano a impedirmi di desiderarti, ogni giorno, ogni momento, con la testa piena dello spietato gemito del tempo, del tempo che non potrò mai vivere con te.
Ti amo, di un amore profondo e totale. E così sarà sempre."
“I ponti di Madison County”, R.J.Waller.
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scogito · 10 months ago
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"È stata notata soltanto una lievissima influenza sul modo in cui il sangue si coagula, ma i ricercatori sottolineano che si tratta di un effetto molto piccolo".
Un effetto piccolo per un potenziale enorme. Si sa, dopo tutto la scienza si muove per prove ed errori, dio benedica i test di ieri che hanno creato la scienza di oggi, e anche le cavie di oggi che stanno creando la scienza di domani.
“Solo così potremo sfruttare al meglio la nanotecnologia in tutta sicurezza”.
Ah, quindi la nanotecnologia esiste?
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ragazza-whintigale · 7 months ago
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𝕯𝖆𝖗𝖐! 𝕾𝖔𝖗𝖗𝖊𝖓𝖌𝖆𝖎𝖑 𝕾𝖎𝖇𝖑𝖎𝖓𝖌𝖘 𝖃 𝖗𝖊𝖆𝖉𝖊𝖗
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𝔒𝔭𝔢𝔯𝔞 ➵ Fourth Wing
𝔄𝔳𝔳𝔢𝔯𝔱𝔢𝔫𝔷𝔢 ➵ Comportamento Yandere, prigionia, restrizioni, rapimento, inganno, manipolazione emotiva, squilibrio di potere a danni di Mc, utilizzo di soprannomi da animali, tortura, utilizzo di Veleni, utilizzo implicito di Droga, contenuto Lgbt,
𝔓𝔞𝔯��𝔩𝔢 ➵ 2119
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In realtà (Nome) non ricordava nemmeno come avesse attirato la loro attenzione. Sapeva solo che Brennan e Mira avevano iniziato quella catena di eventi e che tra i tre Violet è sicuramente quella meno pericolosa.
Aveva notato i troppi sensi di colpa di Violet causati dal trattamento duro che avevano i fratelli nei confronti della (Colore) - non che le avessero fatto così tanto male… all’inizio - e che (Nome) utilizza contro la più giovane dei figli del generale Sorrengail. Poi ha giocato con l’innocente convinzione che aveva notato negli occhi di Violet, quella secondo cui (Nome) non sapesse mentire così astutamente per riuscire a sfuggire ai due Sorrengail più grandi, soprattutto quando non c'erano uno dei due a farle capire i giochi della loro piccola volpe.
Ma ancora, Violet era più piccola persino di (Nome), quindi era crudele qualsiasi di questi comportamenti, anche quando erano fatti per puro terrore e disperazione. Mira gli avrebbe impartito una bella lezione nel caso avesse anche solo capito che (Nome) stesse manipolando la sorellina e Brennan avrebbe ottenuto solo un riscontro psicologico da (Nome) e una buona lezione per la giovane Violet. Violet era davvero troppo piccola e troppo fragile per riuscire a stare al passo con quella caccia folle.
Tuttavia agli occhi inesperti di un ignaro spettatore Violet poteva sembrare la compagnia preferita della (Colore). È sempre stato più facile parlare con lei e convincerla a rilasciare la morsa e il periodo solo con lei era sicuramente uno dei più belli da quando era stata reclusa dai suoi fratelli. Anche quando era sicura che Mira e Brennan la stessero istruendo non è mai riuscita ad avere un vero controllo su (Nome).
Anche se il momento in cui Violet è partita per Basgiath, era davvero il suo preferito. Nessuno le avrebbe fatto cambiare idea. L’anno e mezzo di libertà era un lusso, lo sapeva fin troppo bene. Nessuno avrebbe impedito alle due sorelle di ritrovarla, era questione di tempo.
(Nome) se ne era andata e nessuno aveva cercato di fermarla. Era felice di questo. Il Generale Lilith Sorrengail l’aveva guardata andarsene con i pochi effetti personali che possedeva e a cui si era affezionata e le aveva detto di fare attenzione. A cosa esattamente? Brennan è morto e dubitava seriamente potesse resuscitare, Mira era nell’ala est, e Violet è stata mandata a morire a Basgiath. (Nome) non credeva minimamente che lei potesse farcela, ne era certa. È sempre stata l’anello debole dei tre.
(Nome) se ne andò per la sua strada e così fece Lilith. (Nome) non la reputava necessariamente una cattiva madre. Certo non aveva mai mostrato nulla se non disprezzo e severità nei suoi occhi, ma questo non la rendeva una cattiva madre. Aveva solo i suoi motivi e il fatto che avesse cercato di allontanarla dai suoi figli ha solo alzato il livello di stima di (Nome) - anche quando l’aveva definita un inutile passata mento -. Attraversò per quella che sperava essere vivamente l’ultima volta il cortile sorvolato da draghi con i loro cavalieri. (Nome) era terrorizzata da quegli esseri e prima se ne fosse andata meglio era.
Se qualcuno avrebbe potuto guardarlo dall’estero lo avrebbe ritenuto in un certo senso era ironico. Lei che era terrorizzata dai Draghi, era stata tenuta segregata da persone che in un modo o nell’altro sarebbero diventati cavalieri. Ma in definitiva se ne andò. Raggiunse il primo paesino disperso nelle foreste, un posto dove nessuno avrebbe potuto trovarla così facilmente. Il primo periodo è stato duro, adattarsi ai nuovi ritmi eppure la piacevole sensazione di libertà era qualcosa di impagabile.
È quasi un peccato che questa libertà durerà così poco.
Le sue gambe facevano male mentre correva. Sperava di aver visto male. Sperava vivamente che quel cavaliere non fosse Mira che la stava cercando. Sperava che avesse sbagliato a sentire il nome della persona che quel cavaliere stava cercando. Sperava che fosse tutto un mucchio di coincidenze e che lei non fosse Mira. Perché se veramente fosse Mira magari c’era anche Violet e (Nome) non voleva tornare con loro. Continuava a sperare ma continuava comunque a correre. Se mai sperare non fosse servito almeno sarebbe stata lontana dal villaggio. Corse. Corse. Corse. Corse e Corse. Respirare non poteva essergli più doloroso e difficile di così. Doveva trovare un posto che a rigor di logica fosse difficile da raggiungere per un drago e impensabile per Mira.
Un ruggito freni l’aria e un vento anomalo si alzo. (Nome) maledì la sua scarsa forma fisica e la sua troppa sicurezza nel rimanere così allungo nello stesso luogo. Non voleva fermarsi eppure quando il grande drago atterrò sul suolo erboso a quasi 20 metri da lei non ha avuto altra scelta. Crollo sull’erba verde e si trascinó il più lontano possibile. I polmoni bruciavano come mai prima d’ora e semplicemente non sapeva se sarebbe riuscita a sopravvivere di questo passo. Vide dal drago scendere la figura di Violet. Le sue pelli da volo erano in perfetto condizioni e sul suo viso nessuna traccia di sudore. Ma d’altronde era (Nome) ad aver corso fino ad adesso, a lei è bastato solo restare in groppa del suo drago. Rimosse dagli occhi gli occhiali protettivi così da poter vedere la figura tremante della sua astuta volpe. (Nome) si trascinò con le proprie mani più lontano possibile da lei. Era stanca e forse tremante tuttavia l’adrenalina scorreva ancora vivace nel suo organismo e questo le grida di andarsene il prima possibile. Si voltò dalla parte opposta da cui stava arrivando Violet per correre il più lontano possibile. Mentre correva (Nome) si illuse di avere una possibilità. Una volta raggiunta la foresta solo Violet poteva seguirla, a patto che volessero che (Nome) vivesse.
Certo, la foresta sarebbe stata la scelta migliore, anzi l’unica, tuttavia alla foresta non arrivò mai per potersi riparare. Un’altro drago atterrò davanti a lei. Una serie di scaglie riflettenti specchiano il suo riflesso malmesso e terrorizzato. Era la prima volta che sentiva questo genere di terrore, ma era anche la prima volta che aveva a che fare con dei draghi in modo così ravvicinato.
Dal drago non scese nessuno.
❝ Grazie Andarna, sei arrivata giusto in tempo. ❞ Oh! Forse (Nome) aveva capito. (Nome) non conosce le dinamiche tra cavalieri e draghi, non ha mai avuto bisogno di conoscerle, tuttavia non ci voleva un genio per capire che anche quel drago fosse suo, insieme al bestione nero con cui aveva avuto un incontro ravvicinato prima. ❝ (Nome), finalmente ti abbiamo trovata. Non immagini nemmeno quanto eravamo preoccupate per te. ❞ (Nome) non vedeva come dovessero preoccuparsi per lei. Lei era felice in quel posto senza di loro, lei è stata felice in tutto l’arco dell’anno e mezzo in cui non era più imprigionata. Ma non si voltò per dirglielo, in realtà i suoi occhi erano ancora fissi sul drago dalle scaglie lucide. No, forse era solo concentrata sul suo riflesso pietoso.
Si sentì sbattere un’altro di ali e Violet con entusiasmo attirò l’attenzione del cavaliere prima di urlare qualcosa che aveva fatto salire il vomito. ❝ La Volpe è qui! ❞ Personalmente era un soprannome che odiava. Glielo aveva dato Brennan quando una delle prime volte che ha cercato di scappare utilizzando Violet. Da una giocosa presa in giro è diventato il suo soprannome di quando non volevano parlare direttamente di lei. O quando sapevano che potevano infastidirla per qualche comportamento subdolo - In particolare Mira -
(Nome) in ultimo scatto, a sorpresa di tutti, persino di se stessa, si alzó in piedi pronta a correre in qualsiasi direzione fosse libera. Si sentiva ancora speranzosa, forse con molta fortuna potrebbe ancora raggiungere il bosco. Mosse solo alcuni passi prima di essere trascinata di nuovo a terra, al suo posto. Due braccia l’avvolsero stretta. ❝ Dove pensi di andare, astuta volpe. È da un po’ che non ci vediamo e ancora di più che non passiamo del tempo insieme. ❞ Mira… Si irrigidì nel suo abbraccio. L’ultima volta che la vide la salutó quasi a stente - che di per se le sembrava davvero impossibile - aveva solo deciso di avere una qualche discussione con il Generale Lilith per poi accompagnare Violet a Basgiath e poi non le vide più entrambe.
❝ Mira fai attenzione non vedi che è terrorizzata. ❞ Un’altra voce di aggiunse alla conversazione. Una voce fottutamente familiare. Una di quelle voci che appartengono a persone morte. ❝ I morti non hanno diritto in questa discussione.❞ La presa di Mira, durante la dubbia discussione, si allentó. (Nome) avrebbe potuto scappare. Certo, quello era il suo pensiero che sfumó con lo stupore e il paio di stivali da volo posizionati di fronte a lei. Chiunque fosse - anche se sapeva benissimo chi fosse - ora è di fronte a lei e (Nome) non aveva la benché minima voglia di alzare lo sguardo per affrontarlo. Lui si inginocchiò di fronte a lei, le alzó il viso con due dita sotto il mento.
❝ Ehy piccola volpe, è da tanto che non ci vediamo. Sei contenta di vedermi? ❞ Il volto di Brennan era adornato da un gentile sorriso mentre le parlava eppure il viso della ragazza era stretto in una espressione di puro terrore e incredulità.
Lei ovviamente sapeva che era lui, tuttavia niente le avrebbe impedito di negare fino all’ultimo. ❝ No… ❞ La domanda di Brennan non imponeva una risposta, ed in effetti non gli ha risposto. ❝ no, no, no, no, no, no, no, no, no!❞ (Nome) scosse il capo in continuazione, da un lato all’altro reggendosela con le mani. ❝ Questo non possibile… ❞
Brennan si è intenerito nel vedere (Nome) bisbigliare e scervellare per capire come lui potesse essere qui, l’insieme dei draghi, della fuga e della loro presenza, le impedivano di ragionare come si deve. Tutto quello che la sua mente le dice era di nascondersi e scappare. ❝ Chi si offre a trasportarla fino ad Aretia? ❞ Mira la teneva ancora stretta per impedirle di scappare, conosceva troppo bene (Nome) per sapere che potrebbe essere capace di scappare fino all’ultimo istante. Intanto si tirò in piedi insieme alla sua confusa volpe. ❝ Dimentichi che salirà mai con noi su un drago, annesso che uno dei nostri draghi si offra di portarla. ❞ Brennan si sfregò il mento pensando ad un modo per trasportare la povera ragazza.
❝ …Forse ho modo… ❞ Violet parlò ma (Nome) non ebbe il coraggio di ascoltare. Stavano parlando di trasporta, (Nome) e draghi tutto nella medesima frase. Non voleva sapere cosa le avrebbero fatto.
Chiuse gli occhi (Colore) mentre vedeva Violet avvicinarsi e sentiva Mira stringerla per tenerla ferma. Poteva ricordare poco altro, oltre alla lotta e alle preghiere per farli fermare. Un liquido le veniva spinto in bocca a forza, un gusto amaro e dolce al medesimo istante. La testa aveva iniziato a girarle e le parole insieme alle preghiere le venivano a meno, mentre loro la reggevano nel suo stato traballante. Basta. È crollata a terra e poi l’oscurità.
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(Nome) si è ritrovata ad Aretia. Non sapeva come, ma sapeva che niente sarebbe cambiato da prima.
Brennan era rimasto quello più intelligente. Nessuna fuga sarebbe stata possibile con lui o comunque non sarebbe arrivata molto lontano a meno che lui non lo avesse deciso. (Nome) ha tentato una fuga il minuto successivo ad aver scoperto di essere tornata, le aveva lasciato proseguire la sua fuga. Almeno fino a quando (Nome) stessa non si era accorta di essere finita in un cortile pieno Cadetti in allenamento con i rispettivi draghi. Il terrore fu abbastanza da farla tornare indietro nei suoi passi fino a Brennan fin troppo divertito dal suo terrore. L’avrebbe trascinata in spalla come fosse un peso morto e rimproverando cautamente la (Colore). Si sentiva un cucciolo o una bambina in queste situazioni, ma se si impegnava abbastanza sarebbe riuscita ad ignorarlo. Ma l’imbarazzo di vederlo flarlo di fronte ai cadetti di Aretia mentre passavano per i corridoi era qualcosa con cui non sarebbe mai riuscita a convivere nemmeno dopo mesi.
Mira era invece quella ferrea e implacabile dei tre, come lo era sempre stata. Per lei non esisteva punizione che non fosse applicabile alla loro piccola volpe tremante e disobbediente. Reclusione forzata al buio e l'essenziale per sopravvivere, Privazione di ‘privilegi’ come li avrebbe chiamati lei ed infine nei casi più gravi si arriva a leggere fratture o distorsione. Quando piangeva, urlava e implorava perché il dolore finisse, Mira la rassicurava semplicemente dicendole che era per il suo bene. Ma credeva che tutto questo fosse per il loro piacere più che il suo bene. Anche se la parte peggiore è cercare di capire quando la stesse mettendo alla prova o se avesse davvero intenzione di attuarle. Appena ne ebbe l’occasione fu lei ad offrirsi di ristabilire le regole vecchie ed aggiungerne di nuove. Nuovo posto, nuove regole.
Ed infine Violet… Violet era decisamente e irrimediabilmente cambiata. Essere diventata un cavaliere in quel maledetto college, l’aveva cambiata, in peggio se possibile. Non era più l’anello debole dietro cui nascondersi e che avrebbe ammorbidito anche se di poco le sue punizioni. Non era più quella che le avrebbe tolto le catene e le avrebbe dato un sorso d’acqua in più. No… ora è diventato uno strano mix dei due. Tra il genio di Brennan e l’ implacabilità di Mira. Avrebbe stretto la presa per farla desistere da una fuga mentre la riporta dentro con tenere rassicurazioni. Avrebbe offerto la sua disponibilità dopo che Mira avesse finito, rammaricandosi di non aver mai agito al meglio prima e successivamente le avrebbe raccontato di come, a Basgiath, avesse avvelenato i suoi avversari, per poi fare lo stesso con lei. Ora si era trovata ad implorare pietà piu a Violet che a Brennan e Mira. Non poteva dire di potersi nascondere dietro di loro, ma non erano più i più pericolosi.
Ora come ora è più in gabbia di prima.
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Questo era solo il primo di una piccola saga di 5 post sulla famiglia Sorrengail :3.
Nessuno dei capitoli sarà correlato al precedente. Potrete leggerli in che ordine volte e decidere quali leggere e quali no ( Attualmente sono in lavorazione )
BRENNAN ♡ MIRA ♡ VIOLET ♡ LILITH
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