#linguaggio umano
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“Lo spirito umano soffre di una carenza intellettuale fondamentale: per fargli comprendere il valore di una cosa, bisogna privarlo di quella cosa. L’assenza gli parla una lingua nota; la presenza è arabo, per lui.”
— Amélie Nothomb
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Vuoti d’aria di Gianfranco Isetta: Un Viaggio tra Poesia e Introspezione. recensione di Alessandria today
Un’opera poetica che esplora il senso di vuoto e respiro, tra intemperie e resilienza interiore.
Un’opera poetica che esplora il senso di vuoto e respiro, tra intemperie e resilienza interiore. Recensione: Vuoti d’aria di Gianfranco Isetta è una raccolta poetica che invita il lettore a confrontarsi con la fragilità dell’esistenza. La poesia di Isetta risuona di introspezione, evocando immagini di “vuoti d’aria” come momenti di smarrimento e respiro, sostenuti da ali che, nonostante siano…
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Hai mai fatto un sogno tanto realistico da sembrarti vero?
E se da un sogno così non dovessi più svegliarti, come potresti distinguere il mondo dei sogni dalla realtà?
...
Ti sei mai fermato un attimo ad osservarla?
Ad ammirare la sua bellezza? La sua genialità?
Miliardi di persone che vivono le proprie vite, inconsapevoli.
Tu sapevi che la prima Matrix era stata progettata per essere un mondo umano ideale?
Dove non si soffriva, e dove erano felici tutti quanti, e contenti. Fu un disastro.
Nessuno si adattò a quel programma, andarono perduti interi raccolti.
Tra noi ci fu chi pensò a... ad errori nel linguaggio di programmazione nel descrivere il vostro mondo ideale, ma io ritengo che, in quanto specie, il genere umano riconosca come propria una realtà di miseria e di sofferenza.
Quello del mondo ideale era un sogno dal quale il vostro primitivo cervello cercava, si sforzava, di liberarsi. Ecco perché poi Matrix è stata riprogettata così. All'apice della vostra civiltà. Ho detto "vostra civiltà" di proposito, perché non appena noi cominciammo a pensare per voi diventò la nostra civiltà, e questa naturalmente è la ragione per cui noi ora siamo qui. Evoluzione, Morpheus. Evoluzione. Come per i dinosauri. Guarda dalla finestra: avete fatto il vostro tempo. Il futuro è il nostro mondo, Morpheus. Il futuro è il nostro tempo.
...
Matrix è ovunque, è intorno a noi. Anche adesso, nella stanza in cui siamo. È quello che vedi quando ti affacci alla finestra, o quando accendi il televisore.
L' avverti quando vai al lavoro, quando vai in chiesa, quando paghi le tasse. È il mondo che ti è stato messo davanti agli occhi per nasconderti la verità.
Quale verità?
Che tu sei uno schiavo, Neo. Come tutti gli altri sei nato in catene. Sei nato in una prigione che non ha sbarre, che non ha muri, che non ha odore. Una prigione, per la tua mente.
(Laurence Fishburne)
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La pizzeria è gremita e i tavoli sono occupati da precoci coppiette giunte ben prima dell'ora più consona alla cena, forse per finire velocemente e correre in casa ad accoppiarsi. O forse perché vivo a Vienna e qua cenano quando i comuni mortali normalmente fanno merenda. Inutile che sfotto, se sono entrato in pizzeria a quest'ora è perché pure io sto morendo di fame. Conosco la capo sala, ha letto il mio libro e dato che mi saluta ancora devo dedurre che non le ha fatto schifo. Le chiedo se posso mettermi al bancone, sono da solo, fuori fa freddo e ho fame, che mi basta una margherita e me ne vado. Annuisce e i suoi occhi si fanno compassionevoli. Non faccio in tempo a sedermi che il ragazzo al bancone, notando la mia condizone solitaria, mi porge una birra che non avevo ordinato. Mi sorprendo e dico che ci deve essere stato un errore, che ancora non ho chiesto nulla. Mi risponde che fa lui, posso stare tranquillo. Io desideravo una coca-cola e ora mi tocca bere una birra offerta accidenti. C'è una seggiola di fianco a me con una giacca poggiata, la proprietaria mi chiede se desidero che la sposti, le dico che non serve, tanto non arriva nessuno. Mi sorride e torna a limonare con un barbuto uomo di quasi due metri. Più passa il tempo più gli alti mi stanno sul cazzo e vorrei segargli le gambe mentre dormono. Poi mi ricordo di essere sopra la media in Italia (e anche in Sud America) e torno a concentrarmi sulla sala. Ci sono davvero solo coppie, uscite per festeggiare la ricorrenza amorosa. Noto con piacere un cospicuo numero di tavoli occupati da persone dello stesso sesso che si tengono per mano. Sorrido per loro. Che belli che siete, godetevi questo momento, vi lascerete anche voi, non temete. Il volume della musica è troppo alto, decido di mettere le cuffiette e ascoltare qualcosa di diverso, un concerto per orchestra a tema videogiochi giapponesi, tanto sono da solo, non devo interloquire con nessuno. Mentre divoro la mia margherita penso a San Valentino. Al fatto che come festa non serva a molto, a meno che tu non abbia 16 anni e bisogno di un pretesto per scopare. Ma è utile per chi come me la vede come un post-it, messo per ricordardati di essere grato a chi ti vuole bene. Anche se non te lo meriti perché fai schifo come essere umano. Anche se dovresti ricordartelo ogni giorno ma tra una cosa e l'altra ti passa per la testa e allora eccoti una data. Una volta all'anno, fai sto sforzo e scrivi a chi ti vuole bene, scrivi quanto ti ritieni fortunato ad avere qualcuno che ti sopporta. Servono a questo le feste. Natale per ricordarti di ringraziare la famiglia. Il compleanno per ricordarti dell'esistenza di qualcuno. L'onomastico per ricordarti pure come si chiama. Ferragosto per ricordarti che l'estate sta finendo. Pasqua boh, non lo so, per ricordarti che è possibile uccidere una divinità forse. Finisco la pizza e mi arriva un'altra birra che ancora non ho ordinato. Mi giro in sala per capire a chi ho fatto pena stavolta. Nessuno mi guarda. La finisco contro la mia volontà e mi dirigo a pagare il conto. Mi viene detto dalla capo sala che oramai faccio parte della famiglia, che posso considerarmi un cugino acquisito e che quindi mi basta darle la metà della metà di quello che avrei dovuto dare. Quanto adoro fare pena. È il mio superpotere. Birra gratis, pizza scontata e posso andare a letto con la pancia piena. Una coppia mi avrà notato e ora sarà nata una discussione, prima di fare l'amore. "Tesoro, voglio adottare un triste italiano solitario, hai visto quanto era carino mentre mangiava la sua pizza, starebbe così bene con il nostro arredamento". Qualcun altro avrà girato un video che diventerà virale su tiktok e dove magari vengo insultato. Poco mi interessa. Torno a casa dal mio gatto, gli dico che lo amo e che sono grato ci sia lui a volermi bene. Lui, per tutta risposta, vomita sul tappeto. L'amore è un linguaggio variopinto e maleodorante talvolta.
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Quel satellite era sempre stato un prezioso alleato del genere umano. La sua luce era un regalo caduto dal cielo. Prima del fuoco, degli attrezzi, del linguaggio, la luna rischiarava il buio del mondo e calmava la paura degli uomini. Le sue fasi avevano insegnato agli umani il concetto di tempo.
(Haruki Murakami)
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(Rivolgendomi direttamente a Pavese:)
《 Sto completando la lettura di Paesi tuoi in un solo giorno, perché è molto coinvolgente.
C'è una povera ragazza uccisa da un fratell(astr)o che già prima l'aveva sverginata: una storia forte, che si mischia agli odori della campagna. C'è il protagonista, ultimo arrivato, che viene dalla civile Torino e si scontra con un ambiente rurale atavico, in apparenza accogliente - ma refrattario nel suo nucleo, composto da persone ignoranti.
La terra e il sangue sono i due elementi simbolici fondanti del mito, che si ritrovano, evidentissimi, in questo racconto.
[...] In una tua lettera dici che, se non avesse agito su di te quel poco di educazione ricevuta, saresti stato un banale "tipo da coltello". 😁
~ ~ ~
Devo ancora terminarlo, me ne restano alcune pagine, e non ho fretta. Ho letto evidenziando le rese narrative più magistrali, perché voglio capire come facevi a raccontare le cose: voglio "smontare la macchina", insomma, non solo leggere la storia per vedere come va a finire. Capisco perché sei ritenuto un autore importante: sei senza dubbio originale e "mimetico", adotti il linguaggio e persino il ritmo dei pensieri del protagonista.
Sai raccontare tanto bene le donne e l'effetto che fanno su un uomo. Infatti la povera ragazza, prima di essere uccisa, stava avendo una delicata e sensuale storia d'amore col protagonista. Ma vincono l'insensatezza e la brutalità del fratell(astr)o "tonto"...
Una lotta tra bestialità e civiltà, tra anarchia morale ed etica ragionata, tra cervello da rettile e cuore umano.
Il cittadino viene messo in mezzo e buggerato dal campagnolo, che non dispone di furbizia, ma del mero istinto dell'animale che si muove nel proprio habitat.
Si vede che avevi un rapporto ambivalente con le donne: un po' ti facevano tenerezza e le volevi coccolare, poi però pensavi a ciò che ti avevano fatto, alle tue difficoltà con loro, e allora ti saliva la rabbia e avresti voluto distruggerle insieme al dolore che ti davano.
È interessante che ti accada di provare "pena" per una ragazza: anche in questo romanzo, come già nel Diavolo sulle colline, il tuo protagonista prova questo sentimento per la ragazza che gli piace, mentre ella, avvicinando la faccia a lui perché la baci, si blocca per qualche istante, e sembra che stia cercando di guardare la propria faccia con lo sguardo di lui, temendo di non essere voluta, e rivelando la propria insicurezza.
~ ~ ~
Ho terminato di leggere nel giro di poche ore il tuo romanzo breve. Dicono che tu sia uno scrittore amato dai giovani, ma io credo che questa storia così forte, pur se il protagonista è un venticinquenne, vada letta da persone adulte ed esperienti. È una storia archetipica, mitica, sulle pulsioni maschili più turpi: violare, possedere gelosamente, uccidere la donna. Il tutto, esasperato dall'ambiente chiuso, ignorante e fatalista della campagna. Sembra una tragedia greca, una tragedia annunciata, un passaggio obbligato del destino (un po' come il tuo suicidio e altri fatti di sangue che tuttogiorno accadono).
Credo che in paradiso non si possano più scrivere opere così truculente. Chissà come ti trovi in ambiente spirituale, senza questa materia ardente da plasmare. Sono preoccupata. 😅
È una bellissima risposta, grazie. 💗 La ricorderò, perché il tuo stato è una delle mie frequenti preoccupazioni.
Ho ammirato molto la precisione e varietà lessicale nel tuo romanzo: io ti abbraccerei infinitamente anche solo per la quantità di parole che conosci e per il gusto con il quale le adoperi. Altro che ufficiale! Non ho mai considerato affascinante la divisa, non m'interessano i gradi e le cariche militari e civili, m'incanta solo la tua umanità, così com'è: gli sforzi che fai per vivere, ciò che ti si agita dentro, la tua cultura, intelligenza, buon gusto; amerei anche la tua depressione, ma amo molto di più non vederti soffrire.
Adesso continuerò a leggere le tue Lettere. Quando incontrerò lettere indirizzate a donne, cercherò di non essere gelosa, pensando che una come me non l'hai incontrata mai, e praticamente con me la tua esperienza di donne riparte da zero. 》
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L'INCOMPRENSIONE RECIPROCA
G. I. Gurdjieff diceva: "Prima di discutere con qualcuno occorre realizzare fino a che punto quella persona può capire le nostre parole. Il parlare nonostante l'impossibilità di essere compresi dall'altro è sempre una perdita di tempo e di energia. Chi è consapevole, parla solo quando è certo che chi ascolta è in grado di comprendere."
La malcomprensione è la regola tra gli esseri umani. Dalla più piccola lite alla guerra in larga scala. Perché? perché ogni parola assume per ognuno di noi un significato diverso a seconda del proprio vissuto e sopratutto dal livello di coscienza soggettivo. Ecco perché non comprendersi, tra le persone, e' la norma.
Se credete che ogni essere umano debba comprendere le vostre parole o quelle dei Maestri, come arrivano a voi, vi illudete. L'illusione è un fenomeno mentale che ci allontana dalla realtà e dalla sua complessità. La vita segue una sua "logica" che va oltre il nostro concetto di "giusto" e "sbagliato". La vita non è morale e nemmeno immorale ma amorale.
Le nostre credenze sulla realtà non sono la realta' "oggettiva" ma una sua rappresentazione interna delle nostre credenze. Una credenza è un costrutto mentale inserito nella nostra mente dall'esterno. Noi entriamo in conflitto per le credenze che sono spesso più idee che esperienze.
Una persona che, per esempio, non ha mai vissuto l'esperienza dell'amore incondizionato o del perdono potrà parlarne sul piano analitico ma non può sapere di cosa parla se non è passato per quella esperienza. Lo stesso vale per la sessualità, la malattia e il lutto. Come può un prete parlare di sesso senza averlo provato? Come può un terapeuta curare un depresso senza aver mai esperito una depressione?
Esperire vuol dire morire a se stessi… passare attraverso l'esperienza… per andare oltre la logica razionale. Per crescere bisogna morire alle proprie credenze.
Non credete a nessuno, neanche alle parole dei cosiddetti "Maestri" o a quelle che, secondo voi, sono le autorità o si proclamano tali. Non credere neanche a te stesso ma credi solo all'esperienza… nessuno può dirti cosa è giusto o sbagliato e tu non puoi dire a nessuno cosa è giusto o sbagliato.
Decidi cosa è "giusto" o "sbagliato" per te attraverso l'esperienza e prenditi la responsabilità della tua vita ma ricorda che nessuno potrà comprenderti veramente perché siamo sempre soli nella nostra esperienza.
Le parole sono il mezzo con cui comunichiamo anche se ci scontriamo perché utilizziamo termini diversi, secondo noi oggettivi, per dire a volte la stessa cosa. Quello umano è un mondo intersoggettivo e la relazione si basa proprio sulla negoziazione del significato delle parole. E' nella relazione che si costruiscono i significati. Ma la relazione non è fatta solo di parole, anzi le parole spesso ci allontanano.
Le parole dette senza coscienza feriscono, uccidono.
Funzioniamo così: "io ho ragione, secondo i miei schemi mentali, mentre l'altro ha torto perché ha schemi mentali diversi dai miei". Questo fenomeno è amplificato sui social dove ci si irrita, si giudica, si offende l'altro per imporre la propria visione del mondo.
L'Arte, per esempio, nasce all'anima perché usa il linguaggio simbolico che è universale e arriva direttamente al cuore… quella che viene definito "Centro Emotivo Superiore" da Gurdjieff. Senza una comunicazione da cuore a cuore gli esseri umani sono impossibilitati a comunicare.
Dovremmo imparare il valore del silenzio, non per presunzione, ma perché è necessario capire se quello che voglio dire l'altro possa capirlo veramente oppure no.
Ho speso tanto tempo e fiato con persone che pensavo potessero e dovessero capirmi e ho compreso che a sbagliare ero io. Non puoi parlare a chi è sordo e non puoi mostrare il tuo mondo interiore a chi è cieco. Non puoi pretendere che l'altro ti capisca… perché l'altro non è te. L'altro è diverso da te. L'altro non è dentro di te.
Le donne vorrebbero che gli uomini le capissero… gli uomini che le donne li capissero… gli islamici che i cristiani li capissero… i cristiani che gli islamici li capissero… i buddhisti che gli islamici li capissero… è sempre stato così ma niente è mai cambiato.
Chi ha deciso di "svegliarsi" e compiere un lavoro su di sé è pronto per cogliere la verità a seconda dell'impegno che mette nel conoscersi. La Verità non si ottiene volendo avere ragione a tutti i costi e urlandola agi altri ma ascoltando più i silenzi che le parole. Nel silenzio in cui Dio stesso si esprime.
Tiziano Cerulli
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Il toro di Pasifae e la tecnica
Nel mito di Pasifae, la donna che si fa costruire da Dedalo una vacca artificiale per potersi accoppiare con un toro, è lecito vedere un paradigma della tecnologia. La tecnica appare in questa prospettiva come il dispositivo attraverso cui l’uomo cerca di raggiungere – o di raggiungere nuovamente – l’animalità. Ma proprio questo è il rischio che l’umanità sta oggi correndo attraverso l’ipertrofia tecnologica. L’intelligenza artificiale, alla quale la tecnica sembra voler affidare il suo esito estremo, cerca di produrre un’intelligenza che, come l’istinto animale, funzioni per così dire da sola, senza l’intervento di un soggetto pensante. Essa è la vacca dedalica attraverso la quale l’intelligenza umana crede di potersi felicemente accoppiare all’istinto del toro, diventando o ridiventando animale. E non sorprende che da questa unione nasca un essere mostruoso, col corpo umano e il capo taurino, il Minotauro, che viene rinchiuso in un labirinto e nutrito di carne umana.
Nella tecnica – questa è la tesi che intendiamo suggerire – in questione è in realtà la relazione fra l’umano e l’animale. L’antropogenesi, il diventar umano del primate homo, non è, infatti, un evento compiuto un volta per tutte in un certo momento della cronologia: è un processo tuttora in corso, in cui l’uomo non cessa di diventare umano e, insieme, di restare animale. E se la natura umana è così difficile da definire, ciò è appunto perché essa ha la forma di un’articolazione fra due elementi eterogenei e, tuttavia, strettamente intrecciati. La loro assidua implicazione è ciò che chiamiamo storia, nella quale sono coinvolti fin dall’inizio tutti i saperi dell’Occidente, dalla filosofia alla grammatica, dalla logica alla scienza e, oggi, alla cibernetica e all’informatica.
La natura umana – è bene non dimenticarlo – non è un dato che possa mai essere acquisito o fissato normativamente secondo il proprio arbitrio: essa si dà piuttosto in una prassi storica, che –in quanto deve distinguere e articolare insieme, dentro e fuori dell’uomo, il vivente e il parlante, l’umano e l’animale – non può che essere incessantemente attuata e ogni volta differita e aggiornata. Ciò significa che in essa è in gioco un problema essenzialmente politico, in cui ne va della decisione di ciò che è umano e di ciò che non lo è. Il luogo dell’uomo è in questo scarto e in questa tensione tra l’umano e l’animale, il linguaggio e la vita, la natura e la storia. E se, come Pasifae, egli dimentica la propria dimora vitale e cerca di appiattire l’uno sull’altro gli estremi fra i quali deve restare teso, non potrà che generare dei mostri e, con essi, imprigionarsi in un labirinto senza via d’uscita.
8 luglio 2024
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H&O; Chapter II
"L'inferno è vuoto e tutti i diavoli sono qui"
All’esterno dell’accademia, la vita gli era sempre sembrata diversa. In un certo senso, Helyas provava invidia verso l’umanità che, ignara di tutto il male che si annidava tra le ombre della notte, si limitava a vivere, a respirare, a ridere e a piangere… seguendo semplicemente l’istinto del momento, l’emozione guida di cui lui era sempre spoglio.
Fosse nato soltanto umano, Helyas sarebbe stato come loro, proprio come uno di quei ragazzi che se ne stavano con la schiena a ridosso della porta del locale, con una bottiglia tra le mani e il sorriso ben stampato alle labbra.
Il destino, però, aveva riservato a Helyas un'altra prospettiva, lui era il vigilante della notte, lui badava che tutta quell’umanità non si dissolvesse sotto la falce dei demoni e no, non poteva permettersi distrazioni.
Così, come accadeva di consueto quando non aveva missioni particolari da svolgere, Helyas si limitava a vagare per le strade e ad assicurarsi che il male dormisse un altro po’.
In quel vicolo in particolare, le tettoie alte dei palazzi gli impedivano di scorgere sprazzi di cielo, se non saltuariamente, e un po’ questo gli faceva mancare l’aria. Helyas portava su di sé il marchio della tempesta e la sua dimensione ideale era all’aperto, alla mercé della terra e del cielo – soprattutto – eppure in quegl’ultimi giorni, qualcosa stava cambiando.
Ad ampie falcate attraversò la strada e si ritrovò sul marciapiede opposto al locale, se ne allontanò a malapena, quanto bastava affinché una poderosa luna piena riuscisse a far mostra della sua argentea perfezione… e le iridi scure di lui si levarono a guardarla in tutta quella magnificenza.
Forse non si era mai accorto di quanto potesse essere bella, la luna, per cui fu costretto a fermarsi e a fissarne le sfumature impercettibili, e come ultimamente gli accadeva spesso, il marchio della tempesta cominciò a dolergli.
Helyas digrignò i denti e fu costretto a sollevare la manica del giubbotto: i contorni del marchio si erano arrossati, come se sotto vi pulsasse il fuoco, e bruciavano… tanto che fu costretto a premere la pelle lesa contro la stoffa della manica.
E poi, un vociare sospetto ne attirò l’attenzione, più avanti, in un vicoletto poco più buio, uno strisciare viscido e dei versi strani, si rivelarono appartenere a una creatura demoniaca, lì pronta a divorare la preda che aveva già perso i sensi.
- Hey, mostro!
Col braccio che non gli doleva, Helyas afferrò il calcio della pistola già carica di proiettili di adamantio e la estrasse dalla fondina, puntandola immediatamente alla creatura che, resasi conto della presenza scomoda alle sue spalle, si volse schiudendo le fauci ghermite di denti aguzzi e lingue biforcute…
Ma prima che il marchiato potesse aprire il fuoco, la creatura mormorò qualcosa in quel linguaggio oscuro e antico e, stranamente, Helyas riuscì a comprenderne perfettamente il significato “Senti il richiamo della luna, vero?…” Helyas aggrottò la fronte a quelle parole e per un attimo, uno soltanto, esitò… tenendo l’arma ancora tesa verso la creatura rivoltante che, approfittando di quel momento di smarrimento, scattò verso Helyas afferrando il braccio armato tra le lingue per disarmarlo.
@ophelia-northwood
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Ma da dove viene la rima dell'orco?
"Ucci, ucci,
Sento odor di cristianucci!"
Potrebbe sembrare scontato chiederselo, abbiamo sentito tutti questi versetti mostruosi dalla bocca dell'orco di Pollicino o del gigante di Jack e il fagiolo magico. Ma a pensarci bene non possono venire da queste fiabe: l'orco non ha alcuna rima nel testo originale dei Racconti di Mamma Oca, di Charles Perrault, e nelle versioni inglesi, il gigante di Jack dice una filastrocca del tutto diversa da quella italiana: "Fee-fi-fo-fum/ I smell the bones of an englishman!". Già le parole iniziali non corrispondono per nulla nei suoni, ma piuttosto che alla fede ci si riferisce alla nazionalità (se volete saperne di più riguardo alla storia di quella filastrocca, potete leggervi questo post di @adarkrainbow). Tralaltro, l'uso di "cristiano" come sinonimo di "umano" è tipico di modi di dire ed espressioni italiane, quindi se anche fosse stato un adattamento dall'inglese, il traduttore dovrà aver saputo il fatto suo sul linguaggio fiabesco italiano.
E quindi? Da dov'è che sono spuntati fuori questi versetti? Io un'idea ce l'avrei, ma non so bene come siano arrivati alle altre fiabe, come abbiano raggiunto questa fama.
Fatto sta, che nel 1885 il famoso studioso di fiabe siciliano Giuseppe Pitrè pubblica la raccolta novelle popolari toscane, tra le quali spicca per noi la n. XXIV, Il diavolo fra i frati, raccontata da Rosina Casini a Fabbriche. Per chi conoscesse le fiabe dei Grimm, questa è una versione del Diavolo dai tre capelli d'oro: un re si ammala, il suo servo fedele va alla ricerca della cura, una penna di una bestia favolosa, e sul suo cammino incontra tanti disgraziati che gli chiedono penne e consigli; questi li riesce a prendere la moglie della bestia, che, nascosto il servo dalla fame del marito, gli strappa le penne per "svegliarlo e chiederli cosa significhino i suoi sogni". Ora, la bestia, entrata a casa grida:
"Mucci mucci, /Oh che puzzo di cristianucci!/ O ce n’è, o ce n’è stati,/ O ce n’è de’ rimpiattati."
ed eccola qua, la rima orchesca! Perché anche se in altre fiabe la "bestia piumata" è qualcosa come un grifone, in questa storia ha proprio il comportamento da orco. Lo pensava anche Calvino quando inserì la novella tra le sue Fiabe Italiane cambiò il titolo in L'orco con le penne, mantenendo sempre la filastrocca:
"Mucci mucci, / Qui c'è puzza di cristianucci / O ce n'è, o ce n'è stati / O ce n'è di rimpiattati."
Anche se non tutti la conoscono, la sua raccolta ebbe una grande influenza nella conoscenza degli italiani del loro patrimonio fiabesco. La Prezzemolina di Imbriani è abbastanza conosciuta, e dalla stessa raccolta è anche tratta la fiaba che ispirò la miniserie televisiva Fantaghirò. Probabilmente è da questa raccolta di Calvino che la filastrocca è entrata nell'immaginario fiabesco generale degli orchi.
In realtà ci sono anche altri aspetti che il Pollicino che conosciamo noi possa esser stato influenzato da Calvino. Una delle prime traduzioni di Perrault, da parte di Collodi, rende il nome Petit-Poucet come Puccettino. Mentre le fiabe italiane hanno sia un Pulcino (nell'omonima fiaba pugliese, uguale per trama a quella francese) e un Pollicino (citato solo come sposo nelle rime di Gallo Cristallo).
Però per accertarsi di queste cose bisognerebbe controllarne altre edizioni di queste fiabe. Se qualcuno riesce a scovarne, ce lo faccia pure sapere!
Provo a metter 'sta roba anche in inglese, magari interessa a qualcuno:
You know that rhyme the giants in english fairy tales say? "Fee-fi-fo-fum/I smell the bones of an englishman!" Well, we have a similar one in italy: "Ucci, ucci/ sento odor di cristianucci!" "Ucci, ucci/ I smell little christians" (for the longest time "cristiano" was used as a synonym to human. It still is by some people). It gets mostly used in Perrault's Little Thumbling by the ogre or in Jack and the beanstalk by the giant. But it doesn't come from these stories. Perrault didn't use any rhymes and the verses from Jack are way too different.
So where did this come from? I might have an idea, but I'm not entirely certain how it reached national knowledge.
Point is, in 1885 the great sicilian folk tale scholar Giuseppe Pitrè published a collection of tuscan folk tales, novelle popolari toscane. Of these, n. XXIV, Il diavolo fra i frati (the devil among friars), told by Rosina Casini from Fabbriche, sticks out to us. For those of you familiar with the Grimms' tales, this is a version of the Devil with the three golden hairs: a king gets sick, his faithful servant sets out to find the cure, a feather from a magic beast, and on his way he finds many unfortunate people, asking for magic feathers and solutions as well. These are all coaxed out from the feathered beast by his helpful wife, who wakes him at night by pulling his feathers and telling him of "the weird dreams she just had!". Now, when this beast frist comes home, it says this:
"Mucci mucci, /Oh che puzzo di cristianucci!/ O ce n’è, o ce n’è stati,/ O ce n’è de’ rimpiattati." ("Mucci, mucci/ oh what stink of little christians!/ There either are, or there have been,/ or there are hidden away.")
There it is, our ogrish rhyme! Because even if this "feathered beast" is in some versions of the story a griffin, it has the same behavior of an ogre. Which is why, when Italo Calvino put this tale among his Italian folk tales, he changed the title to the feathered ogre, while keeping tge verses:
"Mucci mucci, / Qui c'è puzza di cristianucci / O ce n'è, o ce n'è stati / O ce n'è di rimpiattati."
While not everyone knows this collection, it had a big influence in italians being more in-touch with their body of fairy tales. Imbriani's Prezzemolina is fairly well known now, and the same collection also contains the fairy tale that inspired the "Cave of the golden rose" miniseries, Fantaghirò. It's probably Calvino's collection that brought a regional expression to a broader audience.
Calvino might have influenced in other ways the italian reception of little Thumbling as well: one of the first translations of this tale, by Carlo Collodi, keeps the sound of the original name (Petit Poucet) as Puccettino. The now well-known form Pollicino can be found in Calvino as a rhyming name in Crystal Rooster and in a similar form in an apulian version of Perrault's story (Pulcino, Chick).
Though, to be sure we'd need to check more editions
#fiabe#Linguaggio delle fiabe#Pollicino#Jack e il fagiolo magico#L'orco con le penne#Il diavolo fra i frati#Fiabe italiane#fairy tales#Giuseppe Pitrè#italo calvino#Italian fairy tales#Little thumbling#petit poucet#jack and the beanstalk#ogre#There's english translation under the cut#Maimon's ramblings#italian posting#Orco#Giant#Gigante
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SENSI DELL'ARTE - di Gianpiero Menniti
ARTE STORIA DELLO STILE
Roberto Longhi, piemontese di Alba, classe 1890, è stato uno dei più pregevoli critici d'arte italiani.
Per alcuni, il maggiore.
Non faccio classifiche.
Ricordo solamente il suo concetto del fare artistico:
«[...] l'arte non è imitazione della realtà, ma interpretazione individuale di essa [...] Mentre il poeta trasfigura per via di linguaggio l'essenza psicologica della realtà, il pittore ne trasfigura l'essenza visiva: il sentire per l'artista figurativo non è altro che il vedere e il suo stile, cioè l'arte sua, si costruisce tutto quanto sugli elementi lirici della sua visione.»
Così affermava nella sua "Breve ma veridica storia della pittura italiana", effetto di un compendio proposto da Longhi, tra il 1913 e il 1914, per i maturandi dei licei romani "Tasso" e "Visconti".
Era un giovane laureato.
Ma tenne quell'impostazione per tutta la vita: l'arte nasce dall'arte.
Ed è dunque storia dello stile, o meglio degli stili.
Difficile tenere quel modello concettuale entro solidi margini nella creatività caotica dell'arte contemporanea.
A maggior ragione per chi come me sostiene che l'atto lirico non sia individuale e originale libertà ma il riflesso di una cultura che fa traccia nel tempo facendo del corpo dell'artista il suo strumento espressivo.
Eppure, quando osservo i cosiddetti "illustratori", tra XIX e XX secolo (tra i quali è annoverato Toulouse-Lautrec) che per me sono artisti senza alcuna limitazione, mi sento additato dalle parole di Longhi come in un invalicabile atto d'accusa.
René Gruau, al secolo Renato Zavagli Ricciardelli delle Caminate, riminese dalla nascita avvenuta nel 1909, è tra quelli che più di altri mi mettono in crisi.
Ma che, paradossalmente, concorre a salvare la mia tesi.
Infatti, mentre la sorprendente sintesi stilistica dell'artista italiano attraversa il '900 in un raffinato allungarsi e diffondersi di figure dalla strepitosa e diafana eleganza, corroborando la sentenza longhiana sulla traccia lirica come epicentro dell'arte, quelle apparizioni affascinanti altro non sono che l'espressione dell'estetica del secolo, punto di convergenza delle necessarie concatenazioni causali capaci di rendere riconoscibile il gusto per modelli rappresentativi inequivocabili: rammentano la stampa quotidiana e periodica, la pubblicità, il cinema, la moda di quegli anni ruggenti e tragici, disseminati di straripante follia ed estro creativo.
L'arte emerge dalla vita concreta delle società e dalla grafia delle loro visioni culturali.
Nondimeno, sono un tuffo nel passato recente, con una proiezione nel presente e nel futuro: la linea di Longhi mai spezzata nel suo farsi storico.
Dal fondo, emerge l'essere umano, illuso della libertà e immemore del destino di finitezza assegnata ai confini invalicabili di tempo e di spazio.
Che costui disegna nel colore di un'agognata dimenticanza.
- Le immagini sono un'antologia di espressioni figurative di René Gruau sparse lungo tutto il XX secolo.
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Come ti Spiego l'Animo di un Poeta di Marco Fabio: Un Viaggio nell'Essenza dell'Emozione Umana. Recensione di Alessandria today
Una silloge poetica che esplora le profondità dell’animo umano con parole ponderate e cariche di emozione, tradotta anche in lingua rumena.
Una silloge poetica che esplora le profondità dell’animo umano con parole ponderate e cariche di emozione, tradotta anche in lingua rumena. Come ti Spiego l’Animo di un Poeta è una raccolta poetica di Marco Fabio che porta il lettore attraverso un viaggio intenso nelle emozioni umane, con parole intrise di sacralità, quasi scolpite con cura e delicatezza. La poesia di Marco Fabio è densa,…
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José Jiménez Aranda, La schiava in vendita, 1897
Una giovane schiava, completamente nuda, siede su un tappeto. Il cartello che porta al collo reca un'iscrizione greca ( Rosa, 18 anni, in vendita a 800 monete ) che la offre come merce in un mercato orientale. China castamente la testa per nascondere la sua vergogna. Dietro di lei sono visibili i piedi dei suoi possibili acquirenti che la circondano per osservare la sua nudità indifesa. Si tratta di uno dei dipinti più emblematici di Jiménez Aranda, nonché uno dei nudi femminili più interessanti della pittura spagnola del XIX secolo. Si tratta inoltre di un dipinto davvero unico nell'opera dell'artista sivigliano, che comprende una selezione sorprendentemente scarsa di nudi femminili e pochissime ambientazioni orientali, nonostante tali opere fossero diventate molto di moda alcuni decenni prima sul mercato internazionale.
La concezione di questo nudo rivela invece una visione pienamente naturalista del corpo femminile, con una definizione corporea che potrebbe essere collegata al largo utilizzo della fotografia in quel periodo come elemento di studio e analisi del corpo umano nell'ambito delle discipline artistiche. Qui Jiménez Aranda conferisce alla postura casta della giovane donna una sensualità suggestiva che scaturisce da un'interpretazione immediata e vibrante della sua nudità in chiave assolutamente naturalista.
L'artista giustifica questa splendida raffigurazione accademica di un nudo di donna collocandola in un ambiente orientale che ricorda le scene di schiavi e odalische diventate di moda in Francia grazie alle opere di grandi maestri della pittura orientalista come Jean-Léon Gérome (1824 -1904). L'enorme successo di quelle opere sul mercato internazionale qualche decennio prima consolidò un linguaggio pittorico che Jiménez Aranda utilizzò fino alla sua morte, sebbene lo reinterpretasse con una concezione nuova e pienamente naturalista nel trattamento del soggetto.
Colpisce molto la modernità dell'angolo di visione ripido verso il basso, che pone lo spettatore notevolmente più in alto rispetto alla giovane donna, suggerendo perfettamente il punto di vista dell'anello di uomini che hanno circondato lascivamente la giovane umiliata. Dipingendo solo i piedi, senza ampliare il campo visivo, si concentra sulla sensazione degradante e vergognosa prodotta dagli sguardi dei possibili acquirenti attorno alla schiava, conferendo così un grande effetto narrativo alla composizione.
José Jiménez Aranda è stato pittore e illustratore, nato a Siviglia il 7 febbraio 1837, morto ivi il 6 marzo 1903. Fu discepolo di Eduardo Cano nella Scuola di belle arti di detta città. Concorse fin da giovanissimo alle esposizioni di Madrid. Visse successivamente a Jerez de la Frontera, a Madrid e a Roma, dove fu protetto dal Fortuny. Ritornato in Spagna, vi rimase fino al 1881, quando si trasferì a Parigi, dove i suoi quadri di genere ebbero larghissimo successo. Nel 1893 fece ritorno nella città natale. Eseguì anche illustrazioni per opere di Cervantes, Zorrilla e Daudet.
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"I fiori del male" (Les Fleurs du mal) è una delle opere più celebri e influenti della letteratura francese, pubblicata per la prima volta nel 1857. Questa raccolta di poesie rappresenta un viaggio profondo e oscuro nell'animo umano, esplorando temi come la bellezza, la decadenza, l'amore, la morte e la ribellione.
Baudelaire utilizza un linguaggio ricco e simbolico per descrivere la sua visione del mondo, spesso caratterizzata da un senso di spleen, un termine che indica una profonda malinconia e noia esistenziale. Le poesie sono suddivise in sei sezioni principali: Spleen e Ideale, Quadri Parigini, Il Vino, I Fiori del Male, La Rivolta e La Morte.
Ogni sezione rappresenta una fase del percorso esistenziale del poeta, dalla consapevolezza della propria diversità rispetto al mondo esterno, alle esperienze nella vita degradata della metropoli, fino al desiderio di fuga nell'alcol e nelle droghe, e infine alla ribellione contro Dio e al rifiuto totale del mondo attraverso la morte.
Baudelaire riesce a trasformare la corruzione e la volgarità della società contemporanea in arte, creando una bellezza che solo la poesia può realizzare. La sua capacità di vedere oltre le apparenze e di rivelare una realtà più profonda e autentica è uno degli aspetti più affascinanti della sua opera.
Charles Pierre Baudelaire nacque il 9 aprile 1821 a Parigi, figlio di Joseph-François Baudelaire, un funzionario pubblico e artista dilettante, e Caroline Dufaÿs. La morte precoce del padre e il successivo matrimonio della madre con il tenente colonnello Jacques Aupick influenzarono profondamente la sua vita e la sua opera.
Baudelaire fu educato al Lycée Louis-le-Grand di Parigi, dove iniziò a mostrare un interesse precoce per la letteratura. Tuttavia, la sua vita scolastica fu irregolare, caratterizzata da periodi di grande diligenza alternati a momenti di indolenza. Durante la sua giovinezza, Baudelaire iniziò a frequentare i circoli bohémien di Parigi, sviluppando un gusto per la vita dissoluta e per le esperienze estreme, che avrebbero poi influenzato profondamente la sua poesia.
Nel 1841, su pressione della famiglia, intraprese un viaggio in India, ma tornò a Parigi dopo pochi mesi. Questo viaggio, sebbene breve, lasciò un'impronta duratura sulla sua immaginazione e sulla sua opera. Al suo ritorno, Baudelaire iniziò a scrivere e a pubblicare poesie, guadagnandosi una reputazione come uno dei poeti più promettenti della sua generazione.
La pubblicazione de "I fiori del male" nel 1857 fu accolta con scandalo e controversie. L'opera fu accusata di oscenità e sei delle poesie furono censurate. Nonostante ciò, "I fiori del male" consolidò la reputazione di Baudelaire come uno dei più grandi poeti del suo tempo. La sua capacità di esplorare i lati più oscuri dell'esperienza umana con una bellezza lirica senza pari lo rese una figura centrale nel movimento simbolista e un precursore del modernismo.
Baudelaire trascorse gli ultimi anni della sua vita in condizioni di salute precarie, afflitto da problemi finanziari e da una dipendenza crescente dall'oppio e dall'alcol. Morì il 31 agosto 1867 a Parigi.
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Mi perseguita. Raspa contro la finestra fino a quando non gli apro, poi m'impedisce di rilassarmi con un pò di uncinetto perchè pretende di giocare col filo, e dopo gli devo servire il latte e il ciccino morbido altrimenti mi si attacca addosso e si struscia e continua se non lo accontento.. non ne posso più perchè mi fa ridere! Insomma! Qualcuno faccia qualcosa! Io non lo sopporto! Basta! Lo denuncio! E poi lo querelo! E poi lo diffido! 🖤🖤🖤
L'intelligenza artificiale è incapace di comprendere sfumature e ironia e altre particolarità del linguaggio umano. Bocciata.
#il mio ospite#micio#gatto#club gotico italiano#clubgoticoitaliano#magic#i mondi magici esistono ancora#magic cat#magic cats#cats lover#real witch#real life#🖤#no AI#no ai used#gatto tigrato#gatto arancio#realtà#micio tigrato
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oggi durante la lezione di linguistica abbiamo guardato un documentario su degli studi fatti da un linguista su una lingua dell'America meridionale che sembra non presentare una delle caratteristiche FONDAMENTALI del linguaggio umano descritte dal più famoso linguista di tutti i tempi (suppongo), ovvero noam chomsky. sto parlando della ricorsività, cioè quella cosa, detta poveramente, che consente di creare frasi come: ha detto mario che gli ha detto martina che le ha detto alessandra che le ha detto matteo che al mercato mio padre comprò e bla bla cioè potrei andare avanti all'infinito se non fosse per l'incapacità dell'interlocutore di seguire il discorso e mi chiedo perché nessuno alla triennale ha mai smentito chomsky perché a me onestamente non è mai piaciuto né lui né il generativismo, forse perché l'ho studiato troppo (i linguisti capiranno) chissà
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