#libertà creativa
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L'Icarus di Matisse è un Icaro particolare
ICARO L’Icarus di Matisse è un Icaro particolare. Pur simboleggiando infatti limite insito nella natura umana, è ritratto mentre ancora volteggia tra le stelle, un attimo prima della caduta. Esso rappresenta il desiderio dell’uomo di andare oltre, e di superare le stelle, il suo limite. Questa dissonanza è rappresentata dal contrasto tra il blu del cielo, colore della speranza e dell’infinito, e…
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Il Rito: un’opera di Ingmar Bergman tra censura e arte al Teatro Vascello. Roma. Un viaggio tra potenza artistica e dinamiche sociali nella rappresentazione teatrale diretta da Alfonso Postiglione
Dal 21 al 26 gennaio, il Teatro Vascello di Roma ospiterà Il Rito, adattamento teatrale dell’omonimo film di Ingmar Bergman del 1969.
Dal 21 al 26 gennaio, il Teatro Vascello di Roma ospiterà Il Rito, adattamento teatrale dell’omonimo film di Ingmar Bergman del 1969. La pièce, diretta da Alfonso Postiglione, porta in scena una riflessione profonda sul rapporto tra arte e censura, esplorando le tensioni tra autorità e libertà creativa. Un’opera ispirata al genio di Bergman.Il Rito è un’opera straordinaria tratta dal film…
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Dopo una mattina soleggiata, in arrivo in lontananza i primi tuoni di un temporale a sorpresa. Il Primo dell’Anno e provoca impressione pensarlo. Mi ero quasi dimenticata il suo potente rumore ed è un piacere riscoprirlo in questo Giorno di Festa in cui si celebra la Liberazione.
Finalmente anche Sua Maestà Il Cielo festeggia la Libertà di poter piovere, scatenando la propria furia festosa con tuoni e lampi, che non si vedevano da mesi, mandando giù l’acqua che stavamo tutti attendendo dopo la preoccupante siccità. Anche questo è 25 aprile.
Che gioia è per gli occhi e per il cuore vedere la pioggia cadere copiosa e con insistenza dalla finestra della Mia stanza, mentre mi riscopro al sicuro e protetta contro l’incertezza che al momento avvolge la Mia Vita. D’un tratto la Mia Anima si sente di nuovo Libera.
@elenascrive
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Skateboard: Tra Evoluzione Urbana e Stile di Vita
Lo skateboard è più di uno sport, è una cultura radicata nelle strade urbane. Nato dall’idea di muoversi su quattro ruote, è diventato un simbolo di stile e design. Gli skater non sono solo praticanti sportivi, ma membri di una comunità dalla moda informale e creativa. La cultura si estende dagli skatepark e agli “spot” urbani. La nascita del primo skateboard: quando il surf incontra…
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Storia Di Musica #357 - Nick Cave And The Bad Seeds, Your Funeral...My Trial, 1986
C'è un sentimento comune nei dischi che hanno a che fare con Berlino: sono dischi che esprimono dei tormenti umani giganteschi, registrati dagli artisti in momenti cruciali della loro vita, spesso non solo artistica. Bowie quando decise di andare a Berlino per la sua trilogia (che per senso filologico dovrebbe essere una tetralogia, dato che fu il creatore anche di The Idiot di Iggy Pop) era nel pieno di una crisi creativa, di una dipendenza da droghe, autore di gaffe clamorose (una terribile in cui disse in una intervista: "In Inghilterra sarei potuto diventare Hitler. Non sarebbe stato difficile. I concerti erano così spaventosi che persino i giornali scrivevano: “Questa non è musica rock, questo è Hitler! Bisogna fare qualcosa!”. E avevano ragione. Era fantastico. In realtà… credo che sarei stato un gran bell’Hitler").
Una cosa simile avvenne dieci anni più tardi a Nick Cave. Conclusa l'esperienza con i Birthday Party nell'estate del 1983, decide di continuare la carriera come solista. Va per questo a Berlino, un posto che, nelle parole dello stesso Cave "ci ha dato la libertà e l'incoraggiamento per fare qualsiasi cosa avessimo voluto fare". Con lui ci sono Mick Harvey, batterista dei Birthday Party, con cui forma i Bad Seeds, sorta di supergruppo comprendente Barry Adamson dai Magazine al basso e Blixa Bargeld dei berlinesi Einstürzende Neubauten. Il primo disco però è ancora registrato a Londra, From Here To Eternity, con ricordi blues stralunati dalla slide di Bargeld, con due cover bellissime di In The Ghetto di Elvis Presley e Avalanche di Leonard Cohen. Nasce qui il suo mito: la sua voce teatrale, cavernosa, inquietante, che racconta di incubi, personaggi strani, ossessioni e dolore. In quello stesso periodo, vive un rapporto devastante con l'eroina: nonostante questo, pubblica The Firstborn Is Dead a Berlino, nei mitici Hansa Tonstudios usati dallo stesso Bowie. Il titolo è un riferimento al gemello di Elvis nato morto insieme a lui, c'è ancora il lato tragico del Blues e una cover di Dylan, Wanted Man, corretta nel testo con l'approvazione del Maestro di Duluth. Per Kicking Against The Pricks (1986), che è una raccolta di interpretazione di cover, entra in gruppo Thomas Wydler, batterista, che permette a Harvey di passare alle tastiere.
Le registrazioni di Your Funeral...My Trial avvengono nell'estate del 1986 presso gli Hansa Tonstudios. Cave è al massimo della disperazione fisica e mentale, l'idea iniziale era di fare due EP con i due titoli My Funeral e My Trial, ma nonostante la gravità della sua condizione psicofisica, alla fine le registrazioni furono entusiasmanti, tanto che tutti considerano questo il loro miglior disco della loro futura ultra-trentennale carriera. È un disco dove i racconti e le storie sono pieni di controcanti, di voci della mente e dei sentimenti che si rincorrono. Quasi tutto è opera di Cave e Harvey, l'unica cover è una versione acuta e sorprendentemente drammatica di Long Time Man di Tim Rose. È il disco notevolmente più compiuto e vario rispetto ai precedenti, che esplora un'ampia gamma di musiche pur mantenendo centrale la visione spesso oscura e sempre appassionata di Cave. Canzoni come Jack's Shadow, una delle future canzoni simbolo, e gli stati d'animo più gentili ma comunque malinconici di Sad Waters, che raccontano una scena in riva al fiume tra una coppia, sono semplicemente grandiose: Cave qui non solo canta ma suona anche l'organo Hammond, aggiungendo un'aria stranamente dolce all'atmosfera notturna del pezzo. The Carny è sicuramente il momento clou, l'accompagnamento di carillon/carnevale incrinato per gentile concessione di Harvey è del tutto appropriato per il racconto di Cave di un circo andato orribilmente male: da questa canzone Marc Craste nel 2003 ricaverà un cortometraggio animato, Jo Jo In The Stars, che vincerà il BAFTA Award for Best Animated Short Film nel 2004. Hard On For Love, come il titolo rivela abbastanza chiaramente, è allo stesso tempo sensuale e schietta fino al testo, riferimenti biblici e tutto il resto, mentre la musica febbrile sale in un'ondata di emozioni. Stranger Than Kindness è scritta da Bargeld e da Anita Lane, cantautrice australiana che da qui in poi collaborerà con i Bad Seeds.
Una versione di The Carny verrà suonata nel film Il Cielo Sopra Berlino di Wim Wenders, dove Cave e i Bad Seeds interpretano loro stessi suonando dal vivo. Cave, la cui carriera verrà segnata da traumi colossali, ha sempre amato questo disco, secondo le sue stesse parole "è molto speciale per me e sono successe un sacco di cose fantastiche, musicalmente, in studio. Ci sono alcune canzoni in quel disco che per quanto mi riguarda sono quasi perfette": una perfetta descrizione di un incubo.
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Lina Poletti
Lina Poletti, scrittrice e letterata, pioniera della liberazione sessuale e omosessuale, si è battuta per il suffragio e per l’emancipazione femminile.
Si è schierata contro perbenismo e fascismo e agito, in prima persona, contro l’analfabetismo e ogni forma di sopraffazione e limitazione delle libertà.
Dantista, poeta e grecista di immensa cultura, ha attraversato quasi un secolo di storia con onestà intellettuale, originalità creativa e coerenza.
È stata una delle prime donne, in tutta Europa, a dichiarare apertamente di essere lesbica.
Nata a Ravenna il 27 agosto 1885, Cordula Poletti, era la penultima di quattro figlie di una famiglia di piccoli commercianti. Laureata in lettere all’Università di Bologna con Giovanni Pascoli nel 1907, con una tesi sulla poesia di Giosuè Carducci che viene ancora custodita nel Fondo Poletti della Biblioteca Classense di Ravenna.
Nonostante avesse sposato un uomo, Santi Muratori, suo amico d’infanzia con cui non ha mai vissuto, viene ricordata per le relazioni sentimentali che ebbe con Sibilla Aleramo e Eleonora Duse.
Nel 1908 ha partecipato al Congresso delle donne italiane in cui si chiedeva il suffragio, il riconoscimento della figura femminile nel diritto di famiglia e nei reati di violenza carnale. Vi erano presenti tutte le principali femministe italiane, tra cui la politica Anna Kuliscioff e Sibilla Aleramo, giovane scrittrice che, due anni prima, aveva pubblicato Una donna, romanzo che aveva fatto scalpore e scandalizzato, in cui raccontava l’abbandono del figlio e del matrimonio con il suo stupratore a cui era stata costretta dalla famiglia.
Tra le due era subito iniziato un intenso scambio epistolare e una grande passione.
In Lucida follia. Lettere d’amore a Lina, Sibilla Aleramo, l’ha definita, la fanciulla maschia, descrivendola come una giovane donna androgina, portatrice di comportamenti e caratteri svincolati dagli stereotipi sessuali, definibili come atteggiamenti culturali.
Insieme hanno partecipato ad attività suffragiste e filantropiche come quelle nelle scuole dell’Agro Romano e Pontino per portare l’istruzione nelle campagne dove abitavano popolazioni contadine analfabete, affette dalla malaria e costrette in condizioni di lavoro schiavistiche. Hanno anche prestato soccorso alle popolazioni terremotate di Calabria e Sicilia, nel dicembre 1908.
Nell’autunno 1910 la loro relazione si concluse definitivamente e Lina Poletti visse una storia intensa e conflittuale con la più grande diva del tempo, Eleonora Duse che, in quel periodo stava attraversando una crisi creativa. Tra viaggi e celebri frequentazioni, aveva scritto, per il suo grande ritorno teatrale, un’Arianna che non è mai andata in scena e che era stata motivo di forte contrasto alla fine della loro relazione che aveva portato uno strascico di beghe legali per la restituzione dei manoscritti.
Nel 1918 ha pubblicato Poemetto della guerra, un’opera epica, animosa, forgiata ai modelli plastici dannunziani, capace di rappresentare, in modo aulico e appassionato, la catastrofe della Grande Guerra.
Grande studiosa di Dante, si ricorda una sua lezione alla Biblioteca Classense di Ravenna, il 9 maggio 1920, in cui si era presentata in abiti maschili. In giacca e camicia bianca, una camelia bianca appuntata al petto, aveva letto e commentato l’ultimo canto della Divina Commedia con passione esegetica accompagnata a un misurato controllo stilistico.
Il suo grande amore è stata Eugenia Rasponi Murat, nobile intellettuale femminista, con cui ha vissuto per 40 anni, dal 1918 fino alla morte della contessa, avvenuta nel 1958. Insieme hanno viaggiato tanto, attraverso la Grecia e l’Europa, spingendosi fino in Oriente. Hanno vissuto a Roma frequentando circoli teosofici e filosofici che le resero invise al regime che aveva mandato più volte a casa loro le autorità preposte al controllo e alla censura. Militanti culturali antifasciste, avevano organizzato seminari guidati dal filosofo Jiddu Krishnamurti che, per primo, ha divulgato il buddismo in Italia.
Lina Poletti ha scritto diversi saggi dedicati a Dante, Pascoli e Carducci e si è sempre occupata, sia nelle opere sia nella sua vita privata, dell’emancipazione delle donne.
In anni più recenti, la sua figura è stata approfondita per la sua visione sulla libertà delle relazioni tra i sessi che l’hanno resa un’icona queer.
Il suo ultimo lavoro è stato un vasto progetto di antropologia culturale che indagava su origini e fini comuni dei popoli dell’area mediterranea di cui non ci resta nulla, come poco è stato tramandato delle sue opere.
Si è spenta il 12 dicembre 1971 a Sanremo.
Selby Wynn Schwartz, studiosa di Stanford in After Sappho, libro segnalato dal New Yorker e nella longlist del Booker, di lei ha scritto: Ci guidava come un faro verso un futuro in cui non sapevamo ancora come vivere.
Lina Poletti è stata una visionaria voluttuosa, una ribelle intellettuale che ha trasgredito alle regole chiedendo libertà, amando apertamente altre donne. Ha scritto un manifesto mentre i fascisti si preparavano alla marcia su Roma, nel 1921.
Non ha avuto remore a esporsi e vivere come desiderava, nonostante le privazioni sociali e culturali dei tempi e spianato la strada alle rivendicazioni dei diritti umani.
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Due maestri sorridono nella loro complicità intellettuale: Picasso e Cocteau, nella villa di Cannes, esaminano insieme un manufatto d'arte africana. È il 1956: il pittore e il poeta, amici di lungo corso, incarnano qui tutta la libertà creativa del secolo. Uno scatto che esprime lo spirito dell'avanguardia europea e del genio del Novecento.
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Il 21 dicembre 1940 nasceva Frank Zappa
Rock’n’roll, blues, Jazz... l'alchimista Frank Zappa ha distillato tutto ciò che lo ha preceduto e che gli stava intorno. Un Genio che ha sputato fiamme e vetriolo sulla società americana e sullo stesso mondo dei "freak" che lo aveva partorito. La sua è una storia di deragliamenti continui, all'insegna di una sfrenata libertà creativa...
OndaRock
🤘🎶🔥
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L'età moderna ha comportato anche una glorificazione teoretica del lavoro, e di fatto è sfociata in una trasformazione dell'intera società in una società di lavoro. La realizzazione del desiderio, però, come avviene nelle fiabe, giunge al momento in cui può essere solo una delusione. È una società di lavoratori quella che sta per essere liberata dalle pastoie del lavoro, ed è una società che non conosce più quelle attività superiori e più significative in nome delle quali tale libertà meriterebbe di essere conquistata. In seno a qussta società, che è egualitaria perché tale è il modo in cui il lavoro fa vivere gli uomini, non c'è classe, aristocrazia politica o spirituale da cui possa partire una restaurazione delle altre capacità dell'uomo. Persino i presidenti, i re e i primi ministri considerano le loro funzioni come un lavoro necessario alla vita della società, e anche tra gli intellettuali sono rimasti solo pochi individui isolati a considerare il loro lavoro come un'attività creativa piuttosto che come un mezzo di sussistenza. Ci troviamo di fronte alla prospettiva di una società di lavoratori senza lavoro, privati cioè della sola attività rimasta loro. Certamente non potrebbe esserci niente di peggio.
Hannah Arendt - Vita Activa
#Hannah Arendt#Vita Activa#filosofia#filosofia contemporanea#oggi piove talmente tanto che ho skippato la palestra e mi sono messa a leggere un poco sotto le coperte#vita lavorativa
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Chi è connesso all anima entra in relazione da questa connessione e riuscirà a vedere e amare la tua,il tuo potenziale di luce...anche se tu sarai ego e vivrai ancora di sofferenza,attenzioni e bisogni...ti guarderà negli occhi e vedrà la tua anima...mentre magari tu ci vedi solo un altra conquista...ti bacerà con l anima..anche se magari stai già pensando con quale strategia sedurre per poi possedere, manipolare e abbandonare.
Chi arriva connesso all anima ti offrirà trasparenza, libertà,Amore e verità...anche se sa che invece tu indossi maschere per nascondere ferite ancora aperte e sanguinanti.
Chi ama con l anima ..prima o poi si fermerà perché si farà bastare quell' Amore dato.. ti osserverà e ti chiederà se vuoi metterti alla ricerca anche tu di quell' anima che in te è riuscito a vedere...in base alla risposta saprà rimanere o andare.
Ma non dimenticare...chi è connesso all anima non avrà mai amato il tuo ego.
Creativa Alchemica
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🎁UNA LISTA Dei regali SPECIALE
🌅alle 10.21 di oggi 21.12.2024 ci sarà il Solstizio d'Inverno🌅.
Ecco alcuni stimoli per formulare intenzioni e donarci qualcosa di intangibile ma fondamentale per la nostra evoluzione: questa è l'occasione per impacchettare regali speciali che solo noi possiamo posare sotto l'albero della vita.
Lo scopo di questa lista è aiutarci a prendere in considerazione quanto l' #INVISIBILE e il #NONMANIFESTO sia più essenziale del #VISIBILE e del #MANIFESTO .
Oggi è una giornata speciale per fare il punto e concentrarci su ciò che è davvero importante per nostra vita.
Ecco alcuni spunti:
"Nel giorno del Solstizio chiedo per me stessa/o":
🧿salute fisica
🧿entusiasmo nei confronti della vita
🧿relazioni appaganti
🧿libertà creativa
🧿stabilità emotiva e psicologica
tranquillità mentale
🧿far germogliare i miei talenti
🧿riconoscere il miracolo della mia esistenza
🧿incontrare il mio sogno e saperlo sostenere
🧿darmi il permesso, autorizzarmi a seguire le mie intuizioni
🧿imparare a sintonizzarmi e legittimarmi ciò che vivo, penso, sento
🧿guardare alla vita come un campo si possibilità illimitate
🧿rinunciare al bisogno di approvazione e di controllo degli altri e a tutte le lotte che ne derivano
🧿imparare a dialogare con la mia paura
🧿incontrare la parte che si cela dietro la mia maschera sociale
immunizzarmi nei confronti della critica per me stesso, per gli altri e dagli altri e gioire dei doni che provengono dall'astensione del giudizio
🧿praticare la via dell'accettazione di ciò che sono
scegliere la mia verità e lottare per sostenerla
🧿abbandonare sentimenti di superiorità verso gli altri ed imparare ad incontrarli per ciò che sono, trasformandoli in insegnanti
🧿scoprire la gioia che proviene dal vivere il silenzio
🧿divenire coltivatrice/tore estensiva/o di intuizioni
🧿vivere l'esperienza della quiete nel mio quotidiano
🧿praticare la comunione costante con la natura
🧿mi autorizzo a vivere nell'abbondanza
🧿mi autorizzo ad avere un posto nel mondo
🧿mi autorizzo ad essere felice
🧿mi autorizzo ad amare e ad essere amata/o incondizionatamente
🧿imparo ad apprezzare gli altri
imparo a riconoscere nei cosiddetti "nemici", degli indicatori di direzione e ad esserne riconoscente
🧿imparo a scoprire la mia volontà e ad affermarla con compassione e fermezza
🧿imparo ad apprendere dalle esperienze
🧿imparo a scegliere situazioni in cui posso evolvere e ad interrompere quelle che mi trattengono nella stagnazione
🧿imparo ad aprire e sostenere processi conflittuali per non fare la guerra
🧿mi impegno a prendere sul serio i miei segnali di disagio e quelli degli altri
🧿voglio imparare a dare importanza agli accadimenti della mia vita e dare loro un profondo ascolto
🧿desidero non inseguire la felicità ma imparare a godere di quella che c'è già nella mia vita
🧿voglio imparare ad accogliere il momento presente per come si presenta
🧿voglio imparare ad agire e non a reagire e diventare ogni giorno più padrona di me stessa
🧿voglio praticare l'astinenza dall'attribuzione agli altri della mia infelicità, includendo me stessa/o negli "Altri".
🧿Voglio imparare a controllare l'impulso a difendere il mio punto di vista a tutti i costi e ad imporlo. Non imporrò le miei idee personali su come dovrebbero essere le cose. Non imporrò le mie soluzioni ai problemi per non crearne ulteriori. Voglio imparare l'arte del distacco.
🧿Voglio sviluppare attenzione fluida e disinteressata
🧿Voglio astenermi dall'aggrapparmi al risultato finale e alla ricerca di una conferma del mio valore in esso.
🧿Voglio fare una lista dei miei desideri ed impegnarmi a consultarla ogni giorno.
🧿Non autorizzo gli ostacoli a consumare la mia energia e la mia attenzione.
🧿Voglio imparare a cogliere le opportunità
🧿Desidero colpi di fortuna.
🧿Voglio imparare a tollerare l'incertezza.
🧿Desidero avere fame della sete di conoscenza.
🧿Voglio imparare a sperimentare, nel campo delle possibilità infinite di un'esperienza, tutta l'allegria, l'avventura, la magia e il mistero della vita.
🧿Desidero sperimentare l'estasi.
🧿Desidero incontrare lo scopo della mia esistenza facendomi ogni giorno questa domanda: se per me il denaro non fosse un problema e se possedessi tutto il tempo del mondo, che cosa farei?"
🧿Desidero scoprire come posso essere d'aiuto a me stessa/o.
La lista è incompleta, ovviamente. Tempo di aggiungere i tuoi!
Buon Solstizio
Gloria Volpato
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CHRONICLES of a PAINTER. ♯1
come shove me over the edge, 'cause my head is in overdrive. i'm sorry, but it's too late, and it's not worth saving, so come rain on my parade. i think we're doomed, and now there's no way back.
Berlin, DE // year 2017
Nell'oscurità incipiente, le luci dell'atelier erano ancora accese, fioche, delineando le forme indistinte degli arredi. L'aria era densa, impregnata dell'odore acre della pittura, dell'umidità stagnante che sembrava trattenere i suoni, come se ogni parola o movimento fosse imprigionato in quel silenzio opprimente. L'atmosfera sembrava stringersi attorno a lei, comprimendola, rendendo ogni respiro più difficile. Seduta su uno sgabello di legno, fragile come un uccellino in gabbia, la giovane aveva lo sguardo fisso sulla tela, ma i suoi occhi erano privi di vita, assenti.
Ogni pennellata era un atto meccanico, vuoto, un riflesso condizionato piuttosto che un'espressione creativa. Le mani tremavano impercettibilmente mentre stringevano il pennello. Il respiro era lieve, spezzato, appena percettibile nel silenzio circostante. Ogni muscolo del corpo, dalla schiena irrigidita fino ai piedi sospesi a pochi centimetri da terra, era teso, contratto in una tensione costante che le scivolava sotto la pelle, insinuandosi nelle ossa. La libertà di espressione, il volo dell'immaginazione, le erano stati sottratti. Lì, davanti alla tela, non era più una creatrice, ma un'opera in divenire, modellata non dalle proprie mani, ma da un potere esterno, oscuro.
Dietro di lei, il professore. La sua presenza era opprimente, quasi tangibile. Lo sentiva muoversi, sebbene non lo vedesse. Il suo sguardo la trapassava la schiena come lame invisibili, perforandola senza pietà. Non serviva girarsi per sapere che lui la stesse osservando, giudicando, pesando ogni sua decisione. Autumn era abituata a quegli sguardi freddi, analitici, ma la paura, quella non se n'era mai andata; era lì, sempre pronta ad emergere, un demone sottile che le stringeva il cuore ogni volta che percepiva un suo movimento, ogni volta che sentiva il fruscio dei suoi passi sul pavimento.
Quella sera, però, qualcosa dentro di lei si era mosso. Un impulso istintivo, quasi incosciente. Una pennellata oltre i confini imposti. Un tocco di colore diverso, un'esplosione improvvisa in quella prigione fatta di rigore e controllo. Forse l'aveva fatto senza pensarci, forse era stato un atto di ribellione silenziosa, ma il risultato era lì, tangibile, sul bianco della tela. Un'imprudenza.
L'aria sembrava essersi fermata. La giovane sentì l'inconfondibile rumore delle scarpe dell'uomo avvicinarsi, lentamente, con la calma glaciale di un predatore che ha già intrappolato la sua preda. Ogni passo risuonava nelle sue orecchie come un colpo di martello, scandendo il tempo che si accorciava inesorabilmente.
Il terrore le serrava la gola, facendole trattenere il fiato. Sentiva il battito del cuore accelerare, pulsarle nelle tempie, così forte da offuscare i suoi pensieri. Gli occhi fissi sulla tela, sperando invano di trovare un nascondiglio in quella superficie vuota. Ma non c'era scampo.
«Non è quello che ti ho insegnato. Che stai facendo?» La sua voce squarciò il silenzio come un coltello, tagliente e sibilante. Non era un grido, non aveva bisogno di urlare per farle capire il peso della sua collera. Quelle parole caddero su di lei come una sentenza, un'accusa che non lasciava spazio a repliche. Il pennello le scivolò dalle dita, cadendo a terra senza fare rumore, come se anche l'oggetto avesse timore di infrangere quella quiete minacciosa. Non osava alzare lo sguardo. Un tremito leggero le percorse la schiena, le mani si strinsero in grembo come a cercare conforto l'una nell'altra. Il respiro era irregolare, troppo veloce, ma cercava di controllarlo, di non farsi notare, come se l'immobilità potesse salvarla da quello sguardo che ora le bruciava dietro le spalle.
Il silenzio che seguì le sue parole fu più pesante di qualsiasi altro suono. Avvertiva la sua ingombrante presenza dietro di sé, sentiva il suo respiro calmo, controllato, eppure carico di qualcosa di ineluttabile, come una tempesta in arrivo.
«Ti ho fatto una domanda.» La voce era più fredda, più vicina. Il brivido le corse lungo la schiena come una scossa elettrica. Sapeva che non avrebbe potuto ignorarlo ancora. Sapeva che non c'era alcuna via di fuga.
«Io...» Le parole le morirono in gola, soffocate dal nodo che le comprimeva la voce. Non riusciva a parlare. La sua mente era affollata di pensieri, di paure, e nient'altro riusciva ad emergere. Le parole che avrebbe voluto dire erano bloccate da quel terrore paralizzante che le comprimeva il petto. Il respiro si fece affannoso, ma tentò di nasconderlo; cercava di mantenere una calma apparente, benché fosse ben cosciente che non le avrebbe comunque salvato la pelle. Non c'era scampo.
E poi, sentì la presa. Forte, improvvisa, brutale. Le dita dell'uomo le afferrarono i capelli, tirandoli all'indietro con violenza. Il suo corpo si sollevò dallo sgabello, costretto a piegarsi in sua direzione. Un gemito soffocato le sfuggì dalle labbra, ed il dolore si irradiò dalla nuca fino alle tempie. Gli occhi si spalancarono per lo shock, e il cuore sembrò fermarsi per un attimo eterno.
«Rispondi.» La sua voce adesso era solo un sibilo, ma carica di una violenza trattenuta, un odio che non aveva bisogno di gridare per essere percepito. Il suo respiro sul collo, caldo e soffocante, unito alla stretta ferrea della sua mano che continuava a stringerle i capelli come se volesse strapparglieli via le fecero venire la nausea.
Tentò di parlare, ma le parole non volevano uscire. Le lacrime le riempirono gli occhi, bruciando ai lati di essi come sale su una ferita aperta, ma non poteva permettersi di piangere. Non davanti a lui. L'umiliazione, il dolore, la paura si stavano mescolando in un vortice che la trascinava sempre più giù, fino a farle mancare il respiro.
«Mi dispiace...» riuscì a sussurrare infine, la voce spezzata, strozzata dalla paura e dal pianto trattenuto. Sperava che quelle parole fossero sufficienti, sperava che bastassero per placare la sua ira. Ma sapeva che non sarebbe stato così.
L'uomo non disse nulla. Per un attimo sembrò addirittura che la morsa si allentasse, ma fu solo un'illusione. In un istante, la presa si fece più forte, e con uno strattone brutale le fece piegare la testa all'indietro. Il dolore così intenso da farle sfuggire un grido soffocato, ma abbastanza forte da riecheggiare tra le pareti della stanza. La sua voce, bassa e fredda, si fece ancora più vicina, ormai solo a qualche millimetro dal suo orecchio.
«Credevo fossi la mia piccola artista, invece sei solo una delusione.»
Poi, il silenzio.
La mano che fino a un attimo prima la teneva prigioniera si ritirò, lasciandola cadere in avanti come una bambola rotta. Il corpo della giovane si piegò su se stesso, le spalle scosse dai singhiozzi che finalmente riuscivano a liberarsi. Ma non c'era conforto in quelle lacrime. Solo vergogna. Umiliazione. E una sensazione di impotenza che la paralizzava.
Sentì i passi del professore allontanarsi, il rumore della porta che si chiudeva, lasciandola finalmente sola in quella stanza vuota. Ma la solitudine non portava con sé sollievo; solo un vuoto opprimente che sembrava risucchiarla, soffocandola ancor di più.
//
La pioggia cadeva leggera sui tetti di Berlino, un suono costante che si mescolava al brusio della città. Autumn camminava velocemente tra le strade umide, le braccia strette intorno al corpo, cercando di trattenere il tremito che ancora la scuoteva violentemente dall'interno. Il peso dell'incontro con il professore gravava su di lei come una cappa di piombo. Ogni passo che faceva sembrava trascinarla più in basso, in un abisso dal quale non riusciva a vedere una via d'uscita.
Raggiunse il suo appartamento senza ricordare come ci fosse arrivata. Le mani le tremavano mentre cercava le chiavi nella borsa, e quando finalmente riuscì ad entrare, si richiuse la porta alle spalle con un senso di sollievo che però durò ben poco. L’oscurità la accolse, ma non vi trovò conforto. Si spogliò meccanicamente, lasciando cadere distrattamente i vestiti sul pavimento mentre si dirigeva verso il bagno. Sentiva la necessità di lavarsi, di scrollarsi di dosso quella sensazione di sporco che sembrava avvolgerla. Accese l'acqua calda e si infilò sotto la doccia, sperando che il getto violento potesse finalmente cancellare la memoria di quelle mani, di quello sguardo.
Il volto che la fissava dallo specchio non le apparteneva più. Autumn non si riconosceva in quegli occhi spenti, gonfi di lacrime trattenute, nelle labbra tremanti che sembravano ormai incapaci di formare parole. C’era qualcosa di estraneo, di infranto, e l'immagine che il vetro rifletteva non faceva altro che amplificare quel senso di perdita. Quella non era più la ragazza che sognava di fare dell'arte la sua vita. Quella era solo il guscio di essa, una creatura silenziosa e svuotata, plasmata dal dolore. Il vapore caldo della doccia ancora aleggiava nella stanza, appannando lo specchio ed avvolgendola in una cappa soffocante. Il suo corpo, ormai asciutto ma ancora teso, era scosso da piccoli brividi, come se il freddo l'avesse invasa fino alle ossa; un freddo che non proveniva da fuori, ma dall'interno. Si sentiva ancora sporca, contaminata, come se quel tocco, quelle mani, avessero lasciato un'impronta indelebile.
Aveva passato ore sotto l'acqua bollente, sfregando con violenza la propria pelle finché questa non era diventata rossa, irritata, dolente. Ma nessuna quantità di sapone, nessuna quantità d'acqua sarebbe bastata per rimuovere la sensazione che le si era cucita addosso come un abito realizzato su misura. Marchiata, segnata per sempre. Il professore non era più lì, non fisicamente. Eppure, il suo sguardo, il suo respiro, la sua presenza permeavano ancora ogni angolo del suo essere. Il terrore che aveva provato nel laboratorio non l'avrebbe mai davvero abbandonata. Le si era infilato sotto la pelle, come veleno, strisciando attraverso ogni poro, ogni fibra del suo corpo.
Autumn fissò il riflesso della sua schiena, visibile nello specchio, osservava i segni rossi sul collo, i capelli che le ricadevano sulle spalle, ancora umidi. E non erano i segni fisici a tormentarla. Era quella mano invisibile che ancora sentiva affondare nella sua nuca, la stretta brutale, la prepotenza. Il suono della sua voce fredda, la violenza nascosta sotto un'apparente calma che l'aveva fatta tremare sino nel profondo. Si era sentita una bambina, fragile, impotente, incapace di opporsi. L'immagine riflessa davanti a sé non era solo quella di una ragazza spezzata, ma di una vittima, qualcuno a cui era stata sottratta la propria dignità, il proprio controllo. E quella consapevolezza la stava lentamente distruggendo. La sua mente cercava disperatamente una via di fuga, ma ogni tentativo sembrava riportarla sempre nello stesso punto: al ricordo di quel momento, di quella paura paralizzante.
Le lacrime tornarono a scendere, stavolta senza alcuna resistenza. Non c'era più nulla da trattenere, non c'era più alcun controllo da mantenere. Si lasciò andare, piegandosi in avanti, il viso nascosto tra le mani, mentre il suo corpo veniva scosso da singhiozzi disperati. Ogni respiro era un affanno, un fallimentare tentativo di trovare dell'aria fresca, un sollievo che però non arrivava mai. Ma non era solo la paura, non era solo il terrore che la consumava. Era anche la rabbia. Rabbia per non aver reagito, per non aver trovato la forza di opporsi, per essersi lasciata sottomettere così facilmente. Ogni fibra del suo corpo urlava indignata per quella sottomissione, per quel tradimento a se stessa.
Sollevò lentamente lo sguardo verso lo specchio, fissando la propria immagine per un lungo, doloroso istante. Il suo riflesso la guardava indietro con occhi vuoti. Lì, non vi era più nulla di lei; qualcosa negli ingranaggi interni si era spezzato irrimediabilmente. Sentiva di aver perso il controllo, di aver perso sé stessa. L’unica cosa che riusciva a vedere in quel volto era la debolezza, la paura, ed il marchio indelebile di quell’uomo; il suo professore.
Poi, un pensiero improvviso, oscuro, la colpì. I capelli. I suoi lunghi capelli castani, quelli che lui aveva afferrato con tanta brutalità, quelli che erano stati il simbolo della sua sottomissione. Erano loro la causa del suo dolore, che stavano mantenendo sanguinolenta la ferita di quel momento.
Lentamente, come in un sogno, come se il suo corpo si muovesse in autonomia senza il controllo della sua mente, Autumn si spostò verso il cassetto accanto al lavandino. Le mani le tremavano mentre lo apriva, rovistando tra gli oggetti in cerca di ciò che sapeva avrebbe trovato.
Un paio di forbici.
Le dita si chiusero attorno al metallo freddo, e per un attimo, il solo contatto con quell'oggetto sembrò darle una sorta di controllo, un barlume di speranza. Si alzò lentamente, riportando lo sguardo allo specchio, fissando ancora una volta quella chioma scusa che le ricadeva sulle spalle. Le forbici erano pesanti nella sua mano, eppure in quel momento sembravano l'unica via percorribile, l'unica soluzione a quel dolore che non riusciva a dissipare.
Le avvicinò ai capelli, esitante. Il cuore le batteva forte nel petto, la mente cercava di razionalizzare, di convincerla che non avrebbe risolto nulla, che era solo un gesto disperato. Ma quel pensiero fu presto soffocato dalla rabbia, dalla disperazione. Aveva bisogno di liberarsi, di tagliare via quella parte di sé che era stata violata.
Con un movimento deciso, tagliò la prima ciocca. Il rumore delle lame che affondavano nei capelli risultò soffocato, ovattato, come se tutto stesse accadendo in un'altra dimensione, lontano da lei. Un pezzo cadde a terra, scivolando via come un peso morto, e con esso anche un pezzo di lei stessa. Il taglio non era perfetto, non era regolare, ma non le importava. Continuò a tagliare, ciocca dopo ciocca, con una frenesia crescente, come se ogni colpo potesse cancellare la sensazione di quelle mani, di quel potere che lui aveva ingiustamente esercitato su di lei.
I capelli si ammucchiarono rapidamente nel lavandino e sul pavimento, e con essi la sua vecchia immagine, quella ragazza fragile e distrutta che era stata fino a quel momento. Quando si fermò, ansante, le forbici le caddero dalle sue mani tremanti, rimbalzando sul pavimento con un suono secco, metallico. Si guardò nello specchio, il viso segnato dalle lacrime, i capelli ora corti, irregolari, cadenti appena sotto il mento.
Non vedeva più il riflesso di prima, ma era indubbiamente sempre lei.
Il dolore era ancora lì, insopportabile, ma almeno, per un momento, le pareva di aver fatto qualcosa, seppur insignificante, per riprendersi una minima parte di sé. Ma l'illusione durò solo un istante. Il freddo delle mattonelle sotto i piedi la fece rabbrividire improvvisamente, e la realtà la colpì come un pugno in pieno viso.
Si lasciò cadere a terra, le ginocchia contro il petto e le mani ai lati della testa. Non c'era via di fuga. Aveva tentato di prendere il controllo, ma a che pro se ormai aveva perso tutto?
Il bagno era immerso in un silenzio pesante, interrotto solo dai singhiozzi soffocati di Autumn, un rumore che sembrava venire da un pozzo buio e senza fondo. Anche il rumore della pioggia, fuori, sembrava lontano, come se l'intero mondo avesse smesso di esistere, lasciandola sola nella sua sofferenza.
E così rimase rannicchiata su se stessa, intrappolata in quel circolo vizioso di disperazione che sembrava non avere fine, desiderando solo che tutto tacesse, che il dolore sparisse, e che quel giorno potesse essere cancellato per sempre.
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La censura è una fogna a cielo aperto.
Il politicamente corretto è l’emblema di quest’epoca d’inettitudine assoluta. Un’epoca dove la mediocrità svetta e soffoca non solo l’eccellenza, ma anche semplicemente la bellezza, la normalità. Un soffocamento generale e forte, dirompente, virulento, di quello che è semplicemente il quieto vivere. Possiamo affermare, senza ombra di dubbio, che la cosiddetta “cultura woke” sia un flagello. Che costituisca, in modo concreto, un attacco frontale, sfacciato, senza pietà a tutta quella che è la libertà d’espressione, di pensiero, e sicuramente anche d’azione. Riporto un esempio, solo apparentemente poco significativo. Leggo su un importante sito italiano dedicato ai videogiochi che Nintendo, in vista dell’uscita del remake di un prodotto di qualche anno fa, “ha modificato delle frasi che, alla luce della sensibilità attuale, sono riconducibili a catcalling”. Già partiamo male: sensibilità attuale di cosa, che la gente è insensibile e per nulla empatica come mai nella storia? Dai, ora non venitemi a dire che l’ignoranza e la maleducazione dilaganti le noti solo io. Non me lo venite a dire. E poi “catcalling” non significa niente. Siamo in Italia, la lingua ufficiale di questa nazione è l’Italiano. Cambiate le leggi, adottate l’Inglese come lingua principe del nostro popolo, e allora tutti quanti ci adegueremo. Ma non v’inventate espressioni che non significano niente, specialmente nel nostro paese. Insomma, a conti fatti, la gravissima colpa di questo videogioco quale sarebbe stata? Quella di aver avuto, nella sua prima edizione del 2004, dialoghi considerati impropri ai giorni nostri (come se la verità e l’essenza delle cose potessero essere mutevoli quanto le stagioni). Facciamo qualche esempio? “Hey! Hey, amico! Chi è quello schianto che hai lì con te?”, “Come va baby? Perché non resti con noi per un po’?”, “Cosa ci fa una Goomba bella come te con un uomo paffuto con i baffi come quello?”. Wow, gravissimo! Davvero un linguaggio deprecabile e inaccettabile, intollerabile! Aiuto, mi sento già in pericolo! Aiuto! Ma andate al diavolo. Davvero, andate al diavolo. Anche la Nintendo, in questo caso, che ho sempre apprezzato per le sue produzioni. Ma non si percepisce la gravità di questa censura, di questa riscrittura della realtà in nome di un finto buonismo che in quanto tale, appunto, non esiste. Si uccide la libertà creativa per alimentare un sentimento che poi sfocia, probabilmente non a caso, in una violenza dirompente, e opposta alla pacifica convivenza che si vorrebbe promuovere. È pazzesco, un bambino di otto anni può avere libero accesso al porno (perché si ritrova genitori incapaci), ma noi dobbiamo subirci la ramanzina delle grandi case di produzione che fatturano milioni o miliardi di dollari l’anno. Alludendo a una “sensibilità attuale” che è concretamente la peggiore di sempre, o quantomeno ben peggiore di quella che questi signori, nel loro mondo fatato fatto di arcobaleni, evidentemente immaginano. La censura è una fogna a cielo aperto.
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SENSI DELL’ARTE - di Gianpiero Menniti
LA MEMORIA DIMENTICATA DELL’IMMAGINE
Ogni immagine è un “unicum”: anche quando è rappresentazione, si pone oltre quella, la supera, si riferisce ma non è quella. Interpreta. Mentre sorge, già come tela bianca, quando è solo intenzione, assume la sua autonomia, inevitabile, perenne. Così, la sua relazione con un titolo, come nel caso della “Casa sull’acqua” - 1930, appartiene a una serie di sette acquerelli che Paul Klee (1879 - 1940) dipinse in occasione di una lezione di design al Bauhaus - non trova fondamento nella parola ma in una suggestione, in un riferimento senza radici al di fuori dell’evento estemporaneo nel quale si è costituita. In una descrizione radicale dell’arte, la dimensione pura dell’opera risiede nella libertà creativa. E questa, altro non è che fenomenologia del significante senza significato. Sovversione dello strutturalismo segnico di Saussure: un referente che rinvia sempre a un contenuto. Se limitassimo a questa concezione estrema il fare artistico, l’esplosione della soggettività annullerebbe ogni figura di parola: sull’arte non si potrebbe dire nulla. Eppure, la soggettività non esiste: è uno dei molteplici punti di convergenza di plurime fonti culturali, non esclusivamente concettuali ma anche estetiche. Non sono fonti enigmatiche: si tratta di un pulviscolo infinito di visioni che fanno di ogni essere umano un immenso caleidoscopio al quale l’artista attinge. Per generare quell’unicum dell’immagine che non possiede altra matrice oltre se stessa. L’artista è un tramite. Vive in un luogo nel quale è il solo a essere ammesso: la sua interiorità. Un abisso indeterminato di racconti muti. Ma non infinito: segue il corso limitato della vita. Lasciando nuove fonti per epigoni inconsapevoli. Del resto, fu Klee a scrivere, nel lontano 1914, questa frase:
«Io sono astratto con qualche ricordo».
Siamo immersi nella realtà. Tuttavia, si può essere più profondi. Fino a raggiungere la memoria dimenticata.
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Vacanze in Cina... note preliminari
Sono stato 1 mese in Cina a girare, in treno per altro.
Non è la prima volta che vado in giro in Cina ma non per così tanto tempo e non in treno.
Le cose importanti che ho visto e ho imparato:
le città cinesi ormai si assomigliano un po' tutte. Edilizia residenziale quasi identica, edilizia commerciale/istituzionale creativa, ma alla fine "paesaggi" abbastanza uniformi IN città. Le cose storiche sono seppellite tra i palazzi. HK è diventata vecchia. Il suo skyline ha ormai il solo vantaggio di essere conosciuto, ma anche città "minori" offrono skyline più spettacolari e pirotecnici.
I cinesi stanno sempre meglio. Le città sono sempre vive, la gente spende e si diverte, ho visto solo 2 barboni. Anche nelle zone rurali che ho attraversato con il treno le case erano quasi sempre dignitose con pochissime eccezioni avvicinandosi a Chengdu. Quasi tutte avevano macchine parcheggiate davanti.
Un sacco, ma un sacco di veicoli elettrici.
Un sacco di polizia in giro, giovane, atletica, anche donne, equipaggiati con scudi, bastoni etc... tranquilli, sorridenti, amichevoli, e disponibili alla de-escalation e mediazione. Io sono un po' ACAB e sono consapevole che la cosa abbia pro e contro, ma ci si sente molto sicuri.
Si fa tutto con cellulare e qr code. Il google maps cinese da le informazioni anche su quanto durano i semafori. È più utile avere wechat pay che sapere il cinese. Estremamente comodo. In realtà il cinese serve se no non si riescono a usare le app, che sono integratissime anche tra aziende diverse, quindi non ne servono 300.
La bolla immobiliare si vede. Un sacco di palazzi mezzi finiti con i lavori fermi o quasi. Qualche anno fa c'erano si un sacco di palazzi in costruzione, ma i cantieri erano molto più frenetici.
I treni e viaggiare in treno è una figata. Ben organizzato ed estremamente comodo.
Cibo come al solito divertente ed economico e credo pure dietetico visto che nonostante mi sia spaccato a mangiare sono tornato 1Kg più leggero. E si, avrò pure camminato, ma poco per il caldo e per i prezzi stracciati degli "uber", ma qua a Milano mica sto fermo.
C'è una spezia fighissima che sa di pepe e limone e ha una specie di effetto anestetico che ovviamente non poteva che essere abbinata a chilate di peperoncino.
Mi sono spinto abbastanza a Ovest e la minoranza musulmana era percepibile. Ovviamente in Cina ci sono più moschee che a Milano... perchè noi siamo quelli tolleranti per la libertà religiosa... Diverse ragazze con lo Hijab, ma vestite in maniera decisamente casual a lavorare o farsi i cazzi loro.
Segni di civiltà: cartelli che indicano dov'è il cesso pubblico più vicino e ce ne sono parecchi e in condizioni civili, pannelli che indicano livello di rumore e inquinamento nei parchi. Belle aree pedonali.
Seguiranno foto e approfondimenti etc...
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Storia Di Musica #336 - Neil Young, On the Beach, 1974
I dischi di Agosto avranno come caratteristica che li accumuna la presenza di una spiaggia. Un po' perché è argomento decisivo del periodo agostano, e un po' per l'autoironia che io la spiaggia ad Agosto la vedrò solo di passaggio perché, fortunatamente, è un periodo di grande impegno professionale. La piccola antologia inizia con un disco capolavoro, che è perfetto anche per il titolo ad entrare a far parte di questo piccolo gruppo. Neil Young nel 1974 è ormai un artista pienamente affermato: arrivato dal Canada in California quasi dieci anni prima, nel 1966, attraversa da protagonista la grande stagione del rock californiano, quello legato alla tradizione del folk, che si riafferma dopo la spettacolare, e breve, stagione psichedelica a cavallo tra i due decenni,'60 e '70. Young è protagonista con i Buffalo Springfield, con il più famoso supergruppo degli anni '70, Crosby, Stills, Nash & Young e con la sua parallela attività da solista, che ha inizio nel 1969 quando pubblica il suo prima album a suo nome, Neil Young. È stato anche il fondatore di due gruppi, i Crazy Horse, dall'animo più rock ed elettrico, e gli Stray Gators, più country folk. alternando i due gruppi. Dopo l'uscita dal quartello con David Crosby, Stephen Stills e Graham Nash, con cui rimane in bellissimi rapporti, nel 1972 pubblica il disco più famoso della stagione folk rock: Harvest (1972) che con le sue canzoni famose ancora oggi ( tra le altre, perle come Heart Of Gold, Old Man, Alabama) diviene un successo mondiale che gli apre definitivamente le porte della fama. Che tra l'altro è un concetto abbastanza distante dallo "Young-pensiero", che ha sempre ritagliato per sé la massima libertà espressiva e creativa. A questo fastidio, si aggiunte un periodo di grandi dolori: le morti per droga di Danny Whitten, il chitarrista dei Crazy Horse, quella del suo roadie più fidato, Bruce Berry, per lo stesso motivo, è un dramma più privato. La sua relazione privata con l'attrice Carrie Snodgress sta giungendo al termine, al figlioletto della coppia, Zeke, viene diagnosticata una forma di paralisi cerebrale. È con questo animo tormento e addolorato che Young scrive in due anni tre dischi che formano la non ufficiale "ditch trilogy", la trilogia del dolore: Time Fades Away (1973), che è il primo allontanamento dalle gioiose armonie folk per un rock più duro, sfilacciato, nervoso e impregnato di cupezza. Il successo è decisamente minore dei precedenti, ma Young non cambia linea e sforna un album ancora più cupo, Tonight's The Night, che in un primo momento la sua casa discografica gli rifiuta: registrato in presa diretta, senza post produzione, è il suono grezzo e cupo di un uomo che sta cercando di trasformare il suo dolore in musica. Verrà pubblicato nel 1975, in mezzo Young registra il disco di oggi, che esce il 16 luglio 1974.
Registrato in moltissimi studi di registrazione, con una caterva di musicisti ad aiutarlo (e ne parleremo tra poco), On The Beach insiste sul dolore e la disperazione ma lascia trasparire una tregua, una speranza. È un disco blues, il canto della tristezza e del dolore per eccellenza, ma che Young puntella di sprazzi di luce, rendendo più distesa e godibile la musica. Eppure è un disco potentissimo, soprattutto per i temi delle canzoni. Walk On ritrova spirito e brio, e See The Sky About To Rain, che risale addirittura come embrione ai tempi di Harvest, solo voce e pionoforte Wurlitzer, quasi sembrano una riappacificazione, ma il resto è ancora rabbioso e dolente. Revolution Blues è la prova: un atto esplicito di accusa contro la società del tempo, con Young che sembra volersi identificare nello psicopatico Charles Manson, con versi rabbiosi quali: «ho sentito che Laurel Canyon è piena di famose star / Ma io le odio peggio dei lebbrosi / e le ucciderò nelle loro auto». I due si conobbero quando Young viveva in una piccola villetta a Topanga Canyon, il Laurel canyon, che una volta era il territorio delle tribù native americane, negli anni '60 era uno dei luoghi della Controcultura losangelina, dove vivevano moltissimi musicsti. Eppure, pur se controversa, la metafora non vuole celebrare la figura di Manson, ma, esorcizzarla attraverso un'identificazione nel senso di colpa collettivo di una società malata. Young diventa nostalgico dell'America rurale in For The Turnstiles, dove compaiono il banjo e il dobro, Vampire Blues è un blues ecologista, tema che sarà sempre al centro delle tematiche di Young, e che ha una curiosità niente male: Tim Drummond "suona" la carta di credito sfregandosela sulla barba di una settimana creando un curioso effetto fruscio. On The Beach, la meravigliosa e dolente ballata da 7 minuti, è una dichiarazione di difficoltà nell'essere una rockstar, esplicitata nel famoso verso «I need a crowd of people, but I can't face them day to day». Motion Pictures (For Carrie) è probabilmente un'amara riflessione sulla sua storia d'amore che sta andando a rotoli e il disco si conclude con i 9, angoscianti e febbrili, minuti di Ambulance Blues, che è una summa del pensiero di Young sulla politica (con i riferimenti alle bugie del presidente Nixon), sulla musica e il suo mondo, persino sui suoi amici Crosby, Stills e Nash, in un periodo dove c'erano insistenti voci di un ritorno a 4. Suonano con lui David Crosby (che suona in Revolution Blues, e si dice impallidì letteralmente nell'ascoltare la famosa e incendiaria strofa, tanto che cercò di persuadere Young a cambiare testo ed iniziò a girare armato per paura che qualche squilibrato facesse come cantato da Young), Graham Nash, e due grandi musicsti della The Band, Rick Danko e Levon Helm, più i Crazy Horse.
Young prese il titolo dell'album da un film, On The Beach di Stanley Kramer del 1959, basato sull'omonimo romanzo di Nevil Shute. Sia il romanzo che il film erano di tipo apocalittico. E in questo senso è da intendere la copertina, leggendaria, che vede Young vestito di giallo di spalle, un ombrellone, le sdraio, la coda di una Cadillac insabbiata e sotto l'ombrellone una copia di un giornale che si riferisce allo scandalo Watergate di Nixon. La scritta del titolo, in pieno eco psichedelico, è di Rick Griffin, il disegnatore ufficiale dei Grateful Dead.
Il disco, pur vendendo meglio del precedente, non ebbe un grande successo, anche perchè la critica lo definì subito un disco "depresso", a cui si aggiungeva la natura quasi anti-commerciale di musica e testi. Tra l'altro, per decenni, il disco fu messo fuori catalogo, e per certi versi fu introvabile, tanto che i vinili degli anni '70 originali valgono oggi una settantina di euro. Questo fece salire l'interesse per il disco fino alle ristampe degli anni '90, ampiamente rivalutato con gli altri due lavori della trilogia del dolore come uno dei momenti più interessanti della ultra decennale carriera di Young. Un disco dolente ma potentissimo. Che non penso sia il migliore da ascoltare in spiaggia.
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