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MU.SA – Musica e Spettacolo in Ateneo. Un ponte tra ricerca e performance all’Università di Padova
La musica e il teatro rappresentano due anime vive della vita accademica dell’Università di Padova, non solo come oggetto di studio ma anche come elementi attivi nella formazione e nella ricerca. L’ateneo, noto per il suo ruolo internazionale nella musicologia e nelle scienze teatrali, ha da sempre affiancato l’indagine teorica alla sperimentazione pratica, grazie a figure di riferimento…
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Ricominciamo da 1
Sarebbe stato troppo facile citare Adriano Pappalardo per il rinizio dell’anno! 😂 Invece annuncio con piacere che canterò io un po’ di cover in cantina, ribattezzata Cantinota per l’occasione, e le condividerò sul canale YouTube… sono rehearsals, delle #proveincasa per cui l’audio è in presa diretta e sentirete le mie stecche, oltre a qualche nota giusta. 😜 Ma è provando all’infinito che si…
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Storia Di Musica #328 - Francesco De Gregori, Titanic, 1982
I dischi che ho scelto il mese di Giugno hanno un valore ancora più personale, e sono legati da un fatto. A metà Maggio per aggiustare due tegole lesionate salendo in soffitta per fare spazio ho ritrovato degli scatoloni, e in uno di questi, catalogati in buste di carta, come quelle del pane, vi erano dei dischi. Ne ho scelti 5 per le domeniche di questo Giugno. Il primo era nella busta Dischi di Angela, il nome di mia madre. Interrogata, e felicemente sorpresa di aver ritrovato quello scatolone pensato perso dopo un temporaneo trasloco da casa, mi ha raccontato che non comprò il disco appena uscito, ma dopo qualche anno, dopo aver visto un concerto dell'artista di oggi, uno dei più grandi autori della canzone italiana.
Francesco De Gregori era stato lontano dagli studi di registrazione per tre anni: il 1979 era stato l'anno straordinario di Banana Republic con Lucio Dalla e di Viva L'Italia, disco fondamentale e che contiene una storia particolare. Fu infatti il tentativo della RCA, la sua casa discografica, di promuovere l'artista a livello internazionale. Fu ingaggiato Andrew Loog Oldham, leggendario scopritore e primo produttore dei Rolling Stones, che portò con sé una schiera di tecnici e turnisti britannici, e lo stesso De Gregori registrò delle versioni in inglese di alcune delle sue canzoni più note (Piccola Mela, Rimmel, Generale, una versione di Buffalo Bill con Lucio Dalla) con i testi tradotti da Susan Duncan Smith e Marva Jan Marrow, poetessa statunitense che rimase in Italia per un decennio, collaborando con numerosi artisti (Ivan Graziani adatta un suo brano, Sometimes Man, per Patti Pravo, che diviene una dedica per lei, intitolata Marva).
Decide quindi di concentrarsi su un disco che da un lato riprende progetti giovanili sul recupero delle musiche tradizionali, e dall'altro sia una sorta di concept album. Su questo ultimo punto, fu decisiva la lettura nei mesi precedenti le registrazioni di un libro, L'Affondamento Del Titanic di Hans Magnus Enzensberger. Prodotto da De Gregori con Luciano Torani, Titanic esce nel giugno del 1982. È un disco dove De Gregori lascia da parte la canzone d'amore (solo un brano è riconducibile ad una canzone romantica), musicalmente molto vario e che sembra, attraverso il racconto della mitica nave e del suo tragico destino, una riflessione faccia faccia, personale e spirituale, con il mare, i suoi messaggi potenti e profondi. Si apre con Belli Capelli, l'unica canzone d'amore, che lascia lo spazio a Caterina, emozionate omaggio a Caterina Bueno, cantautrice fiorentina che fu la prima a credere nel giovane De Gregori, chiamato come chitarrista nel 1971: i versi «e cinquecento catenelle che si spezzano in un secondo» sono un omaggio ad un brano di Bueno, «e cinquecento catenelle d'oro/hanno legato lo tuo cuore al mio/e l'hanno fatto tanto stretto il nodo/che non si scioglierà né te né io». La Leva Calcistica Del '68 è uno dei classici degregoriani, toccante racconto di un provino calcistico di un dodicenne nel 1980, con uno dei testi più belli del Principe (E chissà quanti ne hai visti e quanti ne vedrai\Di giocatori tristi che non hanno vinto mai\Ed hanno appeso le scarpe a qualche tipo di muro\E adesso ridono dentro al bar\E sono innamorati da dieci anni\Con una donna che non hanno amato mai\Chissà quanti ne hai veduti\Chissà quanti ne vedrai). La parte centrale del disco, musicale ed emozionale, è la cosiddetta trilogia del Titanic. L'Abbigliamento Di Un Fuochista, cantata con Giovanna Marini (grande custode della musica tradizionale italiana, recentemente scomparsa) racconta una storia di emigrazione attraverso il doloroso dialogo madre-figlio sullo sfondo della tragedia, e De Gregori in un disco successivo, altrettanto famoso, La Donna Cannone (1983), inserirà un brano, La Ragazza E La Miniera, che è la prosecuzione narrativa di questo brano. Titanic, dal meraviglioso ritmo sudamericano, è il brano metafora della questione sociale: la divisione in classi, prima, seconda e terza, che accomuna la nave alla società. I Muscoli Del Capitano inizia come Il Tragico Naufragio Della Nave Sirio, canzone popolare resa celebra da Caterina Bueno, e molti notarono lo stile particolare del testo, un riferimento alla narrazione futurista del progresso, della potenza meccanica, al mito dell'acciaio e dell'industria. La canzone, meravigliosa, sarà oggetto anche di numerose riletture, e ricordo quella convincente di Fiorella Mannoia in Certe Piccole Voci (1999). Il disco si chiude con il riff, spiazzante, di 150 Stelle, sulle bombe e i bombardamenti, con il simpatico rock'n'roll di Rollo & His Jets, che nel testo cita due dei suoi migliori collaboratori, Peppe Caporello (bassista mezzo messicano soprannominato chicco di caffè) e Marco Manusso (chitarrista con quel nome strano) che insieme con Mimmo Locasciulli suonarono nel disco. Leggenda vuole che per gli arrangiamenti dei fiati Caporello volle un paio di scarpe di tela Superga bianche. Chiude il disco il pianoforte, dolcissimo e malinconico, di San Lorenzo, in ricordo dei bombardamenti del 19 luglio 1943 sul quartiere romano di San Lorenzo ad opera degli alleati. Canzone stupenda, è anch'essa ricchissima di riferimenti: i versi su Pio XII che incontra la gente si rifà ad una famosissima fotografia (scattata però, ma si seppe anni dopo, davanti alla Chiesa di San Giovanni In Laterano, nell'agosto del '43 dopo la seconda sequenza di bombardamenti), il verso Oggi pietà l'è morta, ma un bel giorno rinascerà è presa dal famoso canto partigiano di Nuto Revelli.
Il disco, con in copertina il merluzzo su un piatto in un frigorifero accanto a un limone tagliato fotografato da De Gregori e colorata da Peter Quell, fu anche un successo di critica e di vendite: nonostante non ebbe traino da nessun singolo, vendette 100000 copie nel primo mese, regalando le sue canzoni stupende, con De Gregori che fu il primo a ripercorrere le orme del Battiato de La Voce Del Padrone, unendo nel modo più convincente la tradizione cantautorale, in questo lui un Maestro insuperato, con il grande pubblico.
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4 aprile 1951
Nasce a Roma Francesco De Gregori, il Principe dei cantautori. Molti di noi sono cresciuti con la sua musica che, fatto rarissimo, si è trasmessa anche alle generazioni più giovani.
Era un frequentatore del Folkstudio, locale capitolino dove capitava di veder suonare gente come Bob Dylan, ovviamente ancora ben lontani dalla notorietà.
Il primo a portare in scena le canzoni di Francesco sarebbe stato il fratello Luigi, cui è spettato l’onore di presentare al piccolo pubblico presente Buonanotte Nina.
Il successo insperato spinge Luigi a fare pressioni sul fratello perché vinca le sue titubanze e si esibisca in pubblico.
Più che la musica Francesco respira sin da piccolo l’aria della cultura.
Con il padre bibliotecario e la mamma insegnante di lettere il giovane De Gregori sembra più intenzionato alla lettura e alla scrittura che alla musica. Poi il colpo di genio: fonde le due cose al ritmo del folk e del rock e diventa unico.
L’incontro con la chitarra avvenne solo all’età di quindici anni e sembra che la prima canzone eseguita (con discreto successo) fosse Il ragazzo della via Gluck di Adriano Celentano.
Eppure la carriera musicale non era la prima scelta di Francesco De Gregori che tentò prima la sorte come attore partecipando a un casting per un film di Fellini.
Le doti non erano male ma l’aspetto estetico non era quello ricercato. L’appuntamento con il grande schermo è solo rimandato al 2003, quando partecipa al primo film da regista di Franco Battiato, Perdutoamor.
È spesso definito cantautore e poeta, sebbene egli preferisca essere identificato semplicemente come "artista".
È inoltre uno tra gli artisti con il maggior numero di riconoscimenti da parte del Club Tenco, con sei Targhe Tenco e un Premio Le parole della musica.
Nel 2022 è diventato protagonista di un grande tour italiano con il suo amico Antonello Venditti, l’artista con cui aveva iniziato la carriera.
Buon compleanno Francesco ❤️
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Appunti nietzschiani
Se non ora, quando? Era questo il momento di riprendere Nietzsche attingendo dall'originale invece di farselo spiegare sempre per interposta persona. Ho portato a termine la lettura de La Nascita della Tragedia e mi sono talmente immerso nell'esperienza estetica, immerso nel clima del romanticismo tedesco, che pur con questo caldo mi è spuntata una redingote e tuttavia anche un chitone corto al ginocchio, alla moda di Odisseo. In questo libro è il giovane professore universitario Nietzsche che scrive con lo sguardo rivolto a Wagner e a Schopenhauer, la tesi è che la bella tragedia attica di Eschilo e Sofocle emerga dallo spirito musicale di Dioniso mediato dal necessario contrappunto logico-formale dell'apollineo. Dionisiaca è dunque la pura intuizione artistica, l'infinita forza vitale da cui tutto sgorga in grado di mettere in relazione l'individuo con il Tutto (in pratica la Volontà di Schopenhauer), apollineo è il moto intellettuale che racchiude quell'infinito nella bella forma codificata. Ma ahimè, a un certo punto giunge un corruttore, un distruttore di quell'eccellente equilibrio, il suo nome è Socrate.
"il prototipo dell'ottimismo teorico che, con la menzionata fede nell'attingibilità della natura delle cose, concede al sapere e alla conoscenza la forza di una medicina universale e vede nell'errore il male in sé." "Perfino i fatti morali più sublimi, i moti della compassione, dell'abnegazione, dell'eroismo [...] derivano secondo Socrate e i suoi seguaci o simpatizzanti fino ad oggi, dalla dialettica del sapere, e sono considerati in conformità come apprendibili."
Quella di Socrate è dunque la corruzione dell'intellettualismo che limita la disposizione alla grandezza, un superficiale richiamo alla ragionevolezza che opera in nome del principio morale e moralizzatore, l'eruditismo ottimistico contrapposto alla conoscenza tragica vissuta sulla pelle dal greco antico.
Qui Nietzsche, egli stesso ottimista, non nasconde però la sua speranza che il vero spirito tedesco si stia infine risvegliando, incorrotto nella sua grandezza e portatore di antichi miti, per mezzo della musica di Wagner, e che essa possa spazzare via tutto il socratismo della vita moderna, speranza vana e come vedremo destinata ad essere disillusa (rottura con Wagner nel frattempo convertitosi al cristianesimo, ennesima emanazione del socratismo).
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Il Gladiatore II: Un Viaggio Epico tra Politica e Cinema
Sangue, rabbia e una narrazione epica per un sequel potente e, a tratti, visionario. Un film che può essere letto anche alla luce delle problematiche contemporanee. Sullo schermo, Paul Mescal, Pedro Pascal e un magistrale Denzel Washington sono i protagonisti.
Il titolo stesso, Il Gladiatore II, ha un impatto gigantesco. Un film che mira a riportare sul grande schermo un tipo di cinema spettacolare, emotivo e maestoso, che sembra essere scomparso, ormai rivolto solo a un pubblico più distratto. Ma, sin dalla prima scena, Ridley Scott ci trasporta in un universo che richiama i grandi kolossal del passato: Ben-Hur, Quo vadis? e Spartacus, con tanto di omaggi. Eppure, nonostante l’omaggio al passato, Il Gladiatore II non è solo un grande seguito, ma un progetto che guarda anche al futuro, pur mantenendo il legame con la tradizione del cinema epico.

Le premesse erano alte, eppure il risultato non ha solo soddisfatto le aspettative, ma le ha superate. Creare un seguito per un film leggendario come Il Gladiatore - che ha segnato una generazione - non era certo facile, ma Ridley Scott è riuscito a mantenere intatto lo spirito originale, pur dando vita a un film indipendente, contemporaneo e quasi visionario. Inoltre, con la sceneggiatura di David Scarpa, il film risulta essere uno dei più politici del regista, un'opera che, soprattutto in un'epoca in cui pochi autori osano esprimere opinioni forti, si propone come una dichiarazione di intenti chiara e potente.
Il Gladiatore II: Il Testimone di Massimo Decimo Meridio
Tra vendetta, redenzione e un viaggio che tocca anche dimensioni spirituali, Il Gladiatore II si fa portatore di un messaggio forte. Pur essendo ambientato in un mondo antico, la storia è un riflesso critico di un mondo moderno, in cui il potere e la guerra sono il terreno fertile di una politica corrotta e amorale. È un mondo che, sfortunatamente, somiglia molto al nostro. In questo contesto, la Roma che viene ritratta nel film è sull’orlo del collasso, e la trama riesce a rendere tangibile questa sensazione di decadenza.

A vent'anni dalla morte di Massimo Decimo Meridio, l'eredità del leggendario gladiatore viene raccolta da Lucio Vero (Paul Mescal), un uomo ridotto in schiavitù dopo essere stato deportato dalla Numidia (l'antico nome del Nord Africa) dalle legioni di Marco Acacio (Pedro Pascal), sotto il dominio degli imperatori Caracalla e Geta. Arrivato a Roma, Lucio viene costretto a combattere come gladiatore per il crudele Marcrinus (Denzel Washington), uno schiavista senza scrupoli che trama per raggiungere il potere.
Il sogno di Roma e il crollo dell'Occidente

Ciò che distingue Il Gladiatore II da tanti altri sequel è la sua forte componente politica, che va oltre la trama e si intreccia perfettamente con la narrazione storica e i temi trattati. La storia, infatti, si presta a una lettura che richiama le analogie tra l'Impero Romano e gli Stati Uniti moderni. Il sogno di Roma, incarnato da Lucio e poi da Marco Acacio, è il medesimo sogno tradito dell'“American Dream” – una promessa di libertà e giustizia ormai svuotata di significato.
Con una regia impeccabile, che riesce a catturare l'essenza del passato con grande maestria, Scott affronta temi come la democrazia, l'oppressione, la civiltà, la rivoluzione e la resistenza. La scenografia, la fotografia (firmata da John Mathieson) e la colonna sonora (di Harry Gregson-Williams, che si fa portavoce della grande tradizione musicale di Hans Zimmer e Lisa Gerrard) accompagnano lo spettatore in un viaggio visivo che fa vibrare ogni singola scena. Eppure, un avviso: non cercate una riproduzione storicamente fedele; il cinema, come sempre, è prima di tutto un'arte, non una lezione di storia.

In questo contesto, Lucio, interpretato da Paul Mescal, emerge come una figura potente e moderna, ancora più incisiva di quella di Massimo Decimo Meridio (Russell Crowe), che pur non essendo presente, si fa comunque sentire. Lucio è l'emblema di un eroe che cerca giustizia e libertà, ma che si scontra con la realtà di un mondo ormai corrotto. La sua lotta per il sogno di Roma è una riflessione sulla fine di un impero e sulla ricerca di un ideale che ormai è sfocato. In qualche modo, Lucio rappresenta un tentativo di riscatto in un’epoca che sembra incapace di cambiare. È la rivalutazione del sogno di Roma, ormai svuotato di significato e destinato a crollare sotto il peso della sua stessa corruzione. Una riflessione che si estende anche al nostro presente, dove le stesse dinamiche di potere e paura sembrano prevalere.
Conclusioni
Il Gladiatore II di Ridley Scott è un sequel che non solo rispetta, ma espande l'eredità del film originale. È un'opera cinematografica potente e significativa, che si distingue per il suo spirito politico e la sua visione. Con ogni scena, Scott ci regala un'esperienza che mescola perfettamente spettacolarità e riflessione profonda, facendo di questo sequel una delle migliori esperienze cinematografiche recenti.
👍🏻
Una regia imponente e maestosa.
L'approfondimento politico e sociale.
La performance di Denzel Washington.
Il sequel che mantiene lo spirito dell'originale.
👎🏻
Inaspettatamente, il film potrebbe sembrare durare meno rispetto alla sua ambizione narrativa.
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I libri della renna
Il regalo di Natale delle biblioteche di Milano consiste, naturalmente, nei nostri consigli di lettura, scelti per offrire al pubblico un’occasione per distrarsi in totale relax.
È ambientata proprio in tempo di feste L’affittacamere di Valerio Varesi, appena ristampato da Mondadori, ma è un Natale un po’ cupo per il commissario Soneri, costretto a scavare anche nel proprio doloroso passato per venire a capo dell’omicidio di un’anziana affittacamere dalla vita piuttosto torbida: “La nostalgia è la sublimazione della paura che ci fa il tempo che passa”. Forse Varesi è riuscito a darci, una volta per tutte, la spiegazione della passione per i libri gialli: “La vita, dopotutto, non assomiglia tragicamente a un omicidio? Non si concludeva sempre con un morto? Non ci ammazzava il tempo logorandoci ogni giorno con un piccolo affronto fino al cedimento? E il tempo non ha bisogno di un alibi come non ce l’ha il boia: compie semplicemente il suo mestiere”. Scritto molto bene, sembra di passeggiare insieme al protagonista per le vie nebbiose di Parma, durante le festività natalizie.
Antonio Manzini, nel titolo del suo ultimo libro della serie del vice questore Rocco Schiavone, Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Sud America?, fa il verso al noto film di Ettore Scola con Nino Manfredi e Alberto Sordi, ma l’amico, in questo caso, è misteriosamente scomparso in Sud America e non in Africa. Spassoso e divertente anche durante la trasferta, il coriaceo Rocco sembra ricordare la risposta che Aldo Fabrizi diede ai giornalisti che lo rimproveravano di parlare solo in romanesco: “Sono sicuro che se anche fossi nato altrove parlerei romanesco lo stesso”: è così anche per i nostri eroi, che si trovino a Roma, ad Aosta, a Buenos Aires o in Messico. Buon divertimento!
Anche in La ricreazione è finita, recentissimo romanzo di Dario Ferrari, si respira aria di Natale, ma in questo caso il riferimento cinematografico non è a Scola bensì al Fellini dei Vitelloni, perché il protagonista gigioneggia in quel di Viareggio senza decidersi a dare una svolta, matrimoniale e professionale, alla sua tardo-fanciullesca esperienza personale. Egli riesce però, del tutto inaspettatamente, a vincere un dottorato di ricerca in università e viene incaricato di occuparsi degli scritti del compatriota Tito Sella, morto in carcere dove era stato rinchiuso per il reato di terrorismo. Diversi generi letterari e temi, il romanzo di formazione, il mondo accademico, le suggestioni cinematografiche, storiche e metaletterarie, si intrecciano in questo romanzo davvero accattivante.
Feste decisamente spensierate per chi sceglierà Le imprudenze di Archie di Wodehouse, recentemente ripubblicato da Mursia. Inossidabile humour inglese di ottima lega, del suo stile l’autore diceva: “consiste nel costruire una specie di commedia musicale senza musica, ignorando del tutto la vita reale”. E proprio così, in assoluta leggerezza, vive Archie, il protagonista di questo romanzo che vi lascerà con il sorriso stampato durante tutta la lettura. “Mentre considerava la sua situazione alla fine del primo mese di vita matrimoniale, ad Archie pareva che andasse tutto per il meglio nel migliore di tutti i mondi possibili. … C’erano dei momenti in cui gli sembrava che New York fosse solo stata in attesa del suo arrivo prima di dare ufficialmente inizio ai bagordi”.
Le festività natalizie sono l’occasione giusta anche per affrontare un bel romanzo storico, di quelli “cappa e spada”, soprattutto per chi ha amato I promessi sposi. Il conte Attilio di Claudio Paglieri è infatti il prequel del capolavoro manzoniano e ci offre un punto di vista diverso sulla personalità del famigerato cugino di Don Rodrigo, ma l’ambientazione è sempre la stessa: la nostra grande Milano e le meravigliose sponde del lago di Como.
Ancora in tema con le feste vi proponiamo Un lungo capodanno in noir, in cui dieci autori contemporanei tra i più seguiti ci offrono la loro versione delle feste. Diversi sono anche gli scenari: Roma, Firenze e Milano “con i suoi quartieri e la sua gente; Milano che negli anni Venti ospitava Antonio Gramsci a San Vittore, uno che il Capodanno lo odiava proprio”. Poi un borgo del centro Italia, e infine Barcellona e la Svizzera: un ampio panorama per feste colorate di giallo!
Chiudiamo questa breve rassegna con una garanzia assoluta, ovvero l’ultima raccolta di racconti gialli di Simenon pubblicata da Adelphi: I misteri del Grand-Saint-Georges, anch’essa, in qualche modo, in tema con il Natale perché ambientata nei paesaggi innevati della Lituania. Una tremenda vendetta è l'argomento della prima storia, un “racconto di Natale per grandi” è il sottotitolo della seconda, mentre l’ultima, Il piccolo sarto e il cappellaio, sarà poi sviluppata nel romanzo I fantasmi del cappellaio: basta un semplice pezzettino di carta per suscitare i più atroci sospetti e scatenare la tensione.
Di nuovo auguri di buone feste a tutti i nostri fedelissimi lettori!
#georges simenon#valerio varesi#antonio manzini#ettore scola#dario ferrari#pg wodehouse#claudio paglieri
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Ultimamente si inizia a parlare con un po' meno timidezza di un problema matematico tutto sommato abbastanza semplice:
Se uno stato prevede un calendario scolastico che annovera fra le 13 e le 14 settimane continuative di ferie estive (escluse quindi ferie natalizie e pasquali) e contratti lavorativi che prevedono in media (quando regolari) 22 giorni in un intero anno (incluse quindi ferie natalizie e pasquali), si spieghi: 1) con che faccia rappresentanti di suddetto stato possono parlare di diritto al lavoro e parità di genere o di crisi della natalità 2) come coppie di genitori lavoratori ci possono mettere una pezza
Risposte: 1) da culo o di bronzo (valide entrambe) 2) secondo l'equazione:
Gestione estiva cinni = € + N² + Lm
Dove € è la pecunia, N sono i nonni, Lm è lavorare di merda (ove uno di questi addendi tende allo zero, gli altri dovranno essere aumentati di conseguenza).
In questo emblematico articolo la situazione è descritta in maniera più circostanziata e impietosa: https://www.editorialedomani.it/idee/cultura/sono-una-madre-parcheggina-e-per-questo-odio-lestate-hld1bsfn anche se manca completamente (e mi rendo conto di essere un disco rotto) una chiave di lettura di classe, perché i genitori che hanno carenze economiche (o di nonni) rischiano di offrire ai propri figli (ma anche a sé stessi) un periodo estivo di qualità radicalmente diversa rispetto ad altri genitori con prevedibili effetti negativi sulla mobilità sociale.
La questione è comunque complessa perché come tocchi, sbagli. Come dice un amico, il dramma è che sotto sotto è una guerra fra poveri; chiunque proverà a risolverla scontenterà inevitabilmente una fettona di persone (che è poi uno dei motivi per cui a livello nazionale nessuno sul tema muove un dito da mezzo secolo) (oltre al fatto che finché le guerre restano fra poveri, non c'è forte motivazione a intervenire).
A livello di indirizzo, anche volendo ignorare completamente l'articolo 31 della ns. costituzione (no, il gruppo musicale non ha preso il nome da quello) che recita che la Repubblica "protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo." credo valga la pena farsi un paio di domande sul modello di nucleo familiare che uno stato vorrebbe promuovere perché allo stato attuale non è uno sport agevole per coppie di lavoratori e in media queste difficoltà pesano prevalentemente sulla componente femminile.
Questo scritto in realtà è nato da aneddoti personali elevati a considerazioni generiche (che è sempre indice di grande qualità), visto che sono ormai svariate estati che vedo amiche lavoratrici e amici lavoratori (ma prevalentemente amiche lavoratrici) avere un evidente aumento di stress e flessione di benessere psico-fisico con saltuarie penalizzazioni lavorative (quando non direttamente abbandono temporaneo o permanente del posto di lavoro) dovute all'organizzazione estiva dei propri figli.
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FILM DA NON VEDERE
Ricordo con piacere (ma l'ho già ricordato altre volte), una rubrichetta dei "Quaderni Piacentini", storica rivista della sinistra di cui nessuno si ricoderà più che si intitolava "Libri da leggere e libri da non leggere". I suoi redattori, tutti politicamente schierati, non avevano nessun timore a consigliare ai propri lettori i libri dei quali era consigliata la lettura, ma altrettanto, quelli assolutamente superflui. Ecco, sulla base di quel ricordo e dopo le numerose delusioni cinematografiche (qualcuna anche musicale e teatrale), ripristinando quell'antico ricordo mi permetto di suggerirvi un paio di film da non vedere. Dopo l'insulso "Cento domeniche" di Antonio Albanese (regista) che fa il paio con l'altrettanto inutile "Grazie ragazzi" sempre con lo stesso Albanese (che sembra un po' essersi montato la testa), oggi vi sconsiglio "One Life" di James Hawes, la storia di uno Schindler britannico, Nicholas Winton che salvò dalla deportazione centinaia di bambini durante l'invasione dei nazisti a Praga. Un film soporifero costruito attorno ad un attore, che seppure di grande livello, resta pur sempre un attore con attorno un film mediocre. Diciamo una specie di fiction priva di qualsiasi lusinga. Alla lista dei prodotti mediocri potrei aggiungerci, ma solo per il battage pubblicitario assolutamente esagerato, anche il film della soubrette televisiva Paola Cortellesi, ma essendo Natale non voglio essere più cattivo del necessario. Per fortuna per il teatro è andata un po' meglio con la sola parentesi negativa di "Un curioso accidente", mentre per i concerti, e i dischi, tutto sommato non ho avuto grandi delusioni. Bisognerebbe fare una rubrichetta anche per la politica con PARTITI E MOVIMENTI DA NON VOTARE, ma sarebbe ancora più facile. Magari un tantino più difficile sarebbe redigere quella dei PARTITI DA VOTARE (dove al massimo ne posso inserire tre, non uno di più. (Se poi volete ve lo dico in privato quali sono, qualora non lo aveste capito da soli).
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🎄 Natale a Tribschen [1870]
Le vacanze di Natale 1870 erano trascorse, come quelle dell’anno precedente dal 24 dicembre al 2 gennaio, a Tribschen, ospite di Richard e Cosima Wagner. La mattina del 25 Wagner ha fatto eseguire una sua composizione musicale, l’Idillio di Tribschen in seguito rinominato Idillio di Sigfrido, per il compleanno di Cosima. Nietzsche regala a Wagner Il cavaliere, la morte e il diavolo, un’incisione di Albrecht Dürer, e a Cosima una nuova stesura de La visione dionisiaca del mondo. Riceve in dono da lui un’edizione completa dei Saggi di Montaigne e il primo esemplare di un adattamento per pianoforte del primo atto del Sigfrido, da lei Le passeggiate di Roma di Stendhal.
P. Pagani, Nietzsche on the road, Vicenza, Neri Pozza, 2021
e anche:
Non è dato sapere se [Friedrich Nietzsche (1844-1900)] avesse già letto i Saggi prima del Natale del 1870, quando Cosima Wagner gli dona un esemplare. In Ecce homo dichiara di ritornare con assiduità a pochi «vecchi francesi» e in particolare al «libero pensiero» di Montaigne che è sempre stato il suo ristoro. In Schopenhauer educatore non manca di sottolineare quanto la lettura dei Saggi gli abbia aumentato il piacere di vivere e procurato una salda intesa con il loro autore su dove andare a cercare la vera patria di una nuova umanità.
N. Panichi (a cura di), Montaigne, Milano, RCS Media Group, 2014
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Alejandra Pizarnik
https://www.unadonnalgiorno.it/alejandra-pizarnik/

Credo che nelle mie poesie ci siano parole che ripeto incessantemente, senza tregua, senza pietà: quelle dell’infanzia, quelle delle paure, quelle della morte, quelle della notte, dei corpi. Scrivere una poesia è riparare la ferita fondamentale, lo squarcio.
Alejandra Pizarnik, poeta e traduttrice, è stata una delle voci più intense e originali del Novecento argentino.
Chiusa in articolati labirinti, coraggiosa nel delirio, accesa, ha vissuto senza sostegni, consegnandosi cruenta, fino a soccomberne, scrivendo fino all’ultimo istante. Ha tentato di placare, attraverso una passione ossessiva per la lettura e la scrittura, un vuoto interiore, fatto di inquietudine e disagio.
Bisessuale, dipendente dai farmaci, ha incarnato lo spirito libero, vissuto e sentito senza filtri, vulnerabile soprattutto di fronte a se stessa.
La poesia ha rappresentato, per lei, la vita negata. La sua ricerca di “perfezione poetica” era in contrasto con ciò che viveva, perennemente incompiuto.
Nata a Buenos Aires, in Argentina, il 29 aprile 1936, in una famiglia di ebrei russi, durante l’infanzia ha sofferto di parecchi disturbi fisici e un senso di inadeguatezza e estraneità che l’hanno portata a fare uso di anfetamine. La ricerca di identità è stata un’importante causa del suo complesso e disperato approccio all’esistenza che l’ha accompagnata per tutta la vita.
Ha studiato Lettere e Filosofia e, in seguito, Pittura con Juan Battle Planas.
Ha vissuto a Parigi dal 1960 al 1964, dove ha studiato storia delle religioni alla Sorbonne e lavorato per alcune case editrici e collaborato con diverse riviste letterarie.
I suoi primi maestri sono stati gli esponenti del surrealismo, sebbene avesse anche una notevole fascinazione per l’esistenzialismo e la psicoanalisi.
Ha tradotto autori come Antonin Artaud, Aimé Césaire, Yves Bonnefoy e altri.
La Ville Lumière è stata un rifugio letterario ed emotivo, il luogo dove ha conosciuto importanti intellettuali come Simone de Beauvoir, Georges Bataille, Italo Calvino, Ivonne Bordelois e il poeta messicano Octavio Paz, che scrisse il prologo ad Árbol de Diana, la sua quarta raccolta di poesie.
Nel 1962 ha conosciuto la poetessa italiana Cristina Campo, per cui provava una profonda attrazione e con cui si è scambiata poesie e lettere fino al 1970. A lei ha dedicato la poesia Anelli di cenere.
Il rientro in Argentina produsse i suoi principali testi quali I lavori e le notti, Estrazione della pietra della pazzia e L’inferno musicale.
La sua unica opera in prosa è stata La contessa crudele (o sanguinaria), del 1969. Un’inquietante profezia dello sterminio che, di lì a poco, ha violentato la gioventù del suo paese e fatto scempio della sua innocenza.
Nello stesso anno è stata a New York per ricevere la borsa di studi Guggenheim, tornandone frastornata dalla “ferocia insostenibile” della città. Dopo due anni ha vinto anche la borsa di studio Fulbright.
Per un periodo ha vissuto con la sua compagna, la fotografa Martha Isabel Moia.
Dopo un altro breve e deludente soggiorno in Francia, è tornata in Argentina, dove è iniziato un processo di chiusura e disgregazione, acuito dalla dipendenza dai farmaci e culminato in due tentativi di suicidio e un lungo internamento in una clinica psichiatrica.
È morta a Buenos Aires il 25 settembre 1972, dopo aver ingerito cinquanta pastiglie di barbiturici, mentre era in permesso dalla clinica. Aveva 36 anni.
Dopo la sua morte, l’amico e scrittore argentino Julio Cortázar le ha dedicato la poesia Aquí Alejandra.
Negli anni, sono stati pubblicati i suoi diari e altre opere rimaste inedite, a testimonianza del fatto che non è mai stata dimenticata e che la sua scrittura è ancora oggi molto apprezzata e letta.
Se c’è una ragione per la quale scrivo, è perché qualcuno mi salvi da me stessa.
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Perchè Stairway to Heaven é considerata la canzone più bella?
Cara\o Anonima\o, Buon Natale.
Non sapendo se la tua è una domanda "positiva" (cioè perchè ritieni giustamente la canzone la più bella della musica rock) o "negativa" (cioè ritieni che non sia lei la migliore), ti scrivo che ne penso io.
Stairway To Heaven, scritta da Robert Plant e Jimmy Page, fa parte del leggendario quarto album dei Led Zeppelin, che non ha propriamente un titolo, ma è ricordato come IV, seguendo la numerazione dei precedenti, o Four Symbols, per i simboli che aveva in copertina a identificare i 4 componenti della storica band, disco uscito l'8 Novembre 1971. L'album è una sintesi del breve ma intensissimo percorso che la Band ebbe in meno di 2 anni, che li porta ad essere da sconosciuti a una delle più conosciute, imitate e leggendarie rock band del pianeta. Queste premesse vanno fatte perchè il brano è, secondo me, leggendario giustamente per tre motivi:
musicalmente, sintetizza il percorso, unico, che i Led Zeppelin intrapresero: partendo dal blues, stravolgendolo e avvolgendolo di un nuovo suono elettrico ed eccitante (i primi dischi I e II) virarono su una sorta di contaminazione folk elettrica (ascolta il III) trovando qui una sintesi di ispirazione tra le due, e proprio in questa canzone trovano una summa: l'intro acustico e sognante (che assomiglia tantissimo a Taurus degli Spirits, band che li accompagnò nei tour americani) che sale di energia fino all'assolo di Page, tra i più leggendari di sempre; e poi il testo, ispirato a Plant dalla lettura di Magic Arts in Celtic Britain di Lewis Spence (un poeta, letterato e occultista scozzese), ma anche dai miti folkloristici britannici, che stavano ritornando in auge grazie al folk rock e alla passione mai celata per le saghe Tolkeniane (già presenti per dire in Ramble On). Sulle qualità poi dei singoli musicisti, posso affermare che sono stabilmente nelle prime posizioni di sempre in ogni settore;
una componente di fortuna, perchè il brano, che dura 8 minuti tondi nel disco, non fu mai pensato come singolo di lancio. Ma i Deejay delle radio, ascoltando tutto il disco (come si faceva un tempo) decisero di passarla lo stesso, riscontrando il favore del pubblico; sin da subito divenne una sorta di prova del nove per tutte le band di giovani musicisti, e a testimonianza di ciò c'è il fatto che è di gran lunga lo spartito musicale più acquistato al mondo di sempre (se ne vendono 150 mila copie ancora oggi all'anno, nel 2023). Leggendario è un altro racconto: nei negozi di strumenti musicali americani è noto che si possono provare gli strumenti prima di acquistarli, e diceria vuole che dopo un po' fu affisso un cartello No Stairway, come a dire che avevano sentito così tante volte gli arpeggi che non ne potevano più. Fu peraltro decisivo il successo del disco, che nato sotto le peggiori paure della Atlantic, la casa discografica, per la decisione di non avere nessun titolo e zero pubblicità, divenne uno dei più grandi successi di sempre, con decine di milioni di copie vendute nel mondo;
c'è una componente più sottile, dire estetica: i Led Zeppelin esprimevano una musica che potremmo definire "maschia", nel senso che apparivano volutamente come semidei rappresentando una precisa idea di mascolinità: spesso a torso nudo, cascate di capelli, riferimenti sessuali espliciti (Whole Lotta Love è la trasposizione hard rock di un orgasmo) divennero iconici di una estetica hard rock di potenza sessuale, che ebbe successo soprattutto negli Stati Uniti, che la riproposero per anni trovando successo sia tra i maschi che tra le femmine; in Europa, dove pure ebbero successo strepitoso, si scontrava da un lato sull'ambiguità che il glam rock stava per portare sull'estetica del rock ( si pensi a Bowie o Lou Reed, per dare un'idea) e con la dimensione più intellettuale del progressive, che è il tentativo europeo di creare un genere "proprio", e che non era sovrapponibile a quello Zeppelin per idee, classi sociali di provenienza, tematiche, stesse tecniche musicali. Per una serie di motivi, tra cui la nascita del punk che aveva, tra gli altri, come preciso obiettivo estetico spazzare via la tecnica musicale del prog, è prevalso il modello Zeppelin\Hard Rock, anche perchè il punk negli Stati Uniti fu un movimento marginale e che aveva idee diverse da quello europeo.
Tutto questo, secondo me, ha reso giustamente leggendaria Stairway To Heaven.
Se invece mi chiedevi "negativamente" perchè lo è, partendo da quello che ti ho raccontato puoi capire che non saprei risponderti.
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“Le mie migrazioni” di Chiara Cecere al Caffè letterario Mangiaparole Verrà presentata domenica 12 gennaio 20... #agostinomatteicecere #attraverso #caffèletterario #chiaracecere #donatellacervelli #mangiaparole #migrazioni #paolomattei https://agrpress.it/le-mie-migrazioni-di-chiara-cecere-al-caffe-letterario-mangiaparole/?feed_id=8812&_unique_id=677f2b549ced7
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E si comincia!
Buon anno! 🎉🎉🎉 Come avevo anticipato nei giorni scorsi, col 2025 cominceranno due rubriche: il mercoledì pubblicherò online la lettura di un testo (recital, poesia racconto etc.), mentre la domenica (più rilassati!) troverete sul canale una nuova cover musicale… quindi oggi comincia il podcast Pillole in Studio e lo trovate su YouTube e Spotify! Ecco i link al video: YOUTUBE –…
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Antologia del nome “the girl who sold the world”.
se non avete colto il riferimento, mi spiace per voi perché avete bisogno di una buona cultura musicale.
in ogni caso, è un palese riferimento alla canzone di Bowie dal titolo “the man who sold the world”, di cui successivamente i Nirvana ne hanno realizzato una cover.
Bowie si ispira alla poesia “Antigonish” ponendo però, al posto di un fantasma che infestava una casa, una parte di sé stesso che credeva aver perduto per sempre. (“I spoke into his eyes/“I thought you died alone/a long, long time ago”.”)
Per il titolo della canzone, Bowie, si ispira al film “The man who sold the moon”, che vedeva come protagonista un buisness-man ossessionato dall’idea di controllare la luna. Nella stessa canzone, il sé di Bowie risponde dicendo “oh no/not me/I never lost controll.” lasciandoci capire che è la parte rimossa da Bowie, quella avida che viene rappresentata nel titolo stesso. Nel chorus della canzone sentiamo Bowie cantare “you’re face/to face/with the man who sold the world” confermando questa chiave di lettura della canzone stessa.
The girl who sold the world, ha proprio questo significato: rappresenta la parte di me stessa che ho rimosso, quella ossessionata dal controllo al punto da fare “wild things” che mi avrebbero solo dato l’illusione di avere davvero il controllo, e proprio per questo sarei stata disposta a vendere il mondo per raggiungere i miei scopi.
Distaccandomi dal significato originale della canzone, la ragazza che vendette il mondo è da percepire come il contrario di un possibile super-umano. Non ha mai saputo apprezzare la bellezza di ciò che la circondava, offuscata dal desiderio di possedere ciò che non le sarebbe mai appartenuto, tanto da arrivare a essere egoista, trascurando gli altri e usandoli per un suo tornaconto.
Tengo questo nome da circa 8 anni.
E lo terrò sempre.
È un promemoria.
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