#letteratura marocchina
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“ Hassan era di alta statura, bianchissimo di pelle, calvo. Parlava a voce bassa per timidezza, ma anche per gioco. Ribelle, non poteva non essere giudicato male da una società tradizionale dove molte cose si facevano di nascosto. Voci persistenti circolano da sempre in quella città: gli uomini di Tétouan sarebbero avari e le donne si amerebbero tra loro. Maldicenze? Forse. Diciamo, più seriamente, che gli uomini sono parsimoniosi e le loro donne piene di mistero. Fatto sta che in due anni di scuola non ho incontrato nemmeno una donna tetuanese e sono stato invitato in una sola famiglia, quella di un collega professore di arabo: Si Mohamed, uomo raffinato e simpatico. Era il solo a manifestare amicizia per Hassan il marginale. Quell’uomo colto, che parlava solo l’arabo e un po’ di spagnolo, ci nascondeva sua moglie. Hassan mi disse che nemmeno lui era mai riuscito a vedere il viso di quella donna. Usciva di rado e non appariva che velata. Una volta all’anno, suo marito la portava in vacanza in Spagna. Dal momento in cui saliva sul traghetto diventava un’altra donna, senza velo né djellaba. Gli stranieri potevano ammirare la sua bellezza – non così gli amici né i parenti. Bella o no, non doveva scoprire il viso a Tétouan. La cosa non mi stupiva. La città era piccola. La gente pigra e maldicente. Potevo capire il comportamento di Si Mohamed che non aveva nessuna voglia di sconcertare le radicate certezze di persone che, come diceva lui, avevano un dossier su ciascun abitante. Appunto, il dossier di Hassan era brutto: scapolo, bevitore di birra e di vino, corteggiatore di donne straniere, amico di qualche prostituta, spendaccione, generoso e irrispettoso delle buone maniere della città. Lui era davvero tutto quanto si diceva e bisogna ancora aggiungere che Hassan era lucido, curioso degli altri e disposto “a una vita migliore”. Quell’uomo, di grande fedeltà, mi aiutava a sopportare il grigiore della città e la ristrettezza mentale dei suoi abitanti. Avevamo una complicità quasi naturale. È stato l’amico di un’epoca. Ci rivediamo, ogni tanto, e rievochiamo con bonomia quegli anni di Tétouan, fatti di tristezza e di rari momenti di gioia. “
Tahar Ben Jelloun, L’amicizia, Einaudi (collana Tascabili; traduzione di Egi Volterrani), 1999⁹; pp. 23-25.
[Edizione originale: La soudure fraternelle, Arléa, Paris, 1994]
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[Notte fatale][Tahar Ben Jelloun]
Notte Fatale: Zahra Emerge Dall’Ombra, Sfida la Società e Conquista la Libertà Titolo: Notte fataleScritto da: Tahar Ben JellounTitolo originale: La Nuit sacréeTradotto da: Egi VolterraniEdito da: La nave di TeseoAnno: 2024Pagine: 208ISBN: 9788834618493 La trama di Notte fatale di Tahar Ben Jelloun Ma non è stato il primo figlio maschio, dopo sette femmine, come Hadj ha fatto credere a tutti,…
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[...] Gli immigrati non sono fotogenici, salvo in caso di disgrazia quando le loro immagini riempiono i giornali. Il loro aspetto non è rassicurante. Nemmeno in Italia, un paese dove trionfano facce di ogni tipo, paese che conosce il distacco dell’esilio, lo sradicamento dalla terra e il dolore dell’assenza. Forse l’Italia sta perdendo la memoria, oppure cerca di dimenticare che per più di mezzo secolo è stata un paese di emigrazione? Vuole forse strappare qualche pagina della sua storia recente di cui si vergogna e gettarla nella pattumiera dei malintesi? Vuole scordarsi che in Francia gli italiani – soprattutto quelli del Sud – erano accolti con violenza e disprezzo? La parola “rital” è un insulto, una espressione di razzismo volgare ricoperta di risate grasse e bavose. La povertà è sempre stata male accolta. Motivo di repulsione e di esclusione. Al limite si accetta la differenza a condizione che sia ricca, a condizione che ci siano i mezzi per truccarla e farla passare inosservata. Siate diversi, ma ricchi! Coloro che non hanno altra ricchezza che la loro differenza etnica e culturale sono votati all’umiliazione e ad ogni forma di razzismo. [...] L’immigrazione è oggi una componente necessaria per la costruzione dell’Europa. L’Europa è stata fatta, in parte, grazie alla manodopera importata dai paesi poveri all’inizio del secolo. La Francia reclutava nelle sue colonie senza vergognarsene. L’Italia forniva anche alla Francia i suoi cittadini di seconda mano. Gli europei adesso vorrebbero starsene tra di loro, soli. Perché non provano a mettere alla porta tutti quelli che non sono europei DOC? Non ne resterebbero molti in questa Europa bianca, perché la sua identità è il risultato di molti apporti e di molti incroci. È questa la sua ricchezza. E questo è il suo avvenire. Ripiegarsi su se stessi è segno di paura e di disagio. L’Italia non ha bisogno di aprire le ostilità con quelli che arrivano da fuori. Più di qualsiasi altro stato europeo, l’Italia dovrebbe perorare la causa dell’immigrato: perché gli italiani sanno bene cosa significhi essere strappati alla propria terra e vivere in esilio, un esilio reso obbligatorio dalla povertà. Il razzismo non è davvero un buon affare, né per il prestigio, né per la memoria storica dell’Italia.
Tahar Ben Jelloun, nella prefazione all’edizione italiana de “Le pareti della solitudine”
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Zainab Fasiki fumettista femminista marocchina
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Zainab Fasiki, comic artist femminista, fondatrice della Women Power di Casablanca, associazione per sostenere disegnatrici e designer in Marocco.È l’autrice di Hshouma, manifesto per una liberazione sessuale, per il quale, nell’ottobre 2019, è stata nominata Next Generation Leader dalla rivista TIME.Nata il 21 luglio 1994 a Fez, ha iniziato a disegnare all’età di quattro anni. Appassionata fin da giovanissima anche di robotica, si laurea nel 2017 in Ingegneria Meccanica alla National Higher School of Electricity and Mechanics di Casablanca.A causa della discriminazione sessista nel campo della meccanica, ma anche delle molestie subite per strada e del controllo della sua famiglia, cade in depressione.A 19 anni, però, trova nell’arte la via per uscirne: si disegna nuda e condivide le immagini con gli utenti della rete per comunicare a tutti che inizierà a vivere come desidera.Fumettista e illustratrice, Zainab Fasiki fa parte del collettivo di fumetti Skefkef.Nel 2017 pubblica un primo fumetto femminista, intitolato Omor (Things), in cui, attraverso i personaggi di tre giovani donne marocchine, ha raccontato le difficoltà della vita di una donna nel suo paese denunciando le disuguaglianze sociali e le discriminazioni.Come fumettista femminista che pubblica sui social media, attraverso le sue graphic novels critica la censura, i tabù e le nozioni di vergogna (hsouma) in Marocco.Molte delle sue illustrazioni sono autoritratti, spesso nudi, ispirati alle donne nel tradizionale hammam marocchino o dipinti che si rifanno a personaggi dei fumetti come Wonder Woman. Nei suoi fumetti, a volte dipinge donne che non hanno gli occhi perché viste dalla società come statue piuttosto che come esseri umani liberi.Una delle sue immagini più famose è un suo autoritratto nudo di colore verde che veglia su Casablanca intitolato
The Protector of Casablanca
, in un tentativo di combattere le molestie quotidiane vissute per strada dalle singole donne nei differenti contesti di vita.Zainab Fasiki è diventata famosa a livello internazionale nel 2018 per la pubblicazione di una collezione di disegni dal titolo “Hshouma” (vergogna, in arabo marocchino) in cui ha raffigurato immagini di donne nude, che denunciano i doppi standard e i tabù sessuali presenti nel Paese.Esposta per la prima volta nel 2018 in una mostra dopo un workshop di fumetto femminista presso il centro artistico Matadero di Madrid, in Spagna, è stata, successivamente, pubblicato come graphic novel in arabo marocchino, francese, spagnolo e altre lingue.Nonostante il successo mondiale delle sue opere, nel suo paese, continua a non sentirsi libera di praticare la sua arte, le case editrici e le tipografie sono ancora riluttanti a stampare i suoi lavori.Ma, imperterrita, seguita a ritrarre donne svestite, forti, senza paura e senza tabù. Attraverso i suoi fumetti ambisce a portare sulle scene l’educazione sessuale come strumento per contrastare la violenza contro le donne e le visioni patriarcali del corpo femminile come oggetto sessuale.Fondatrice del collettivo Women Power, nell’ottobre 2018, ha collaborato con l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati in Marocco per animare la storia di quattro persone dell’Africa Sub-sahariana, tra cui una donna sottoposta a mutilazioni genitali.Nello stesso anno, il suo lavoro è stato esposto alla galleria d’arte Le Cube di Rabat.
Zainab Fasiki, oltre a rompere i tabù e soprattutto a cambiare il modo di vedere la nudità e le donne in Marocco, con la sua arte vuole contrastare anche le narrazioni occidentali che definiscono le donne in Medio Oriente e Nord Africa come ipersessuali o represse.
#unadonnalgiornoTesto di Ismahan Hassen, tunisina d’origine da parte di madre e padre, napoletana d’adozione. Ha una passione viscerale per la letteratura araba femminile, la musica leggera italiana, il tè alla menta con mandorle e fiori di gelsomino e la pizza margherita.
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Troviamo capolavori della letteratura di viaggio e romanzi di genere, ma anche splendidi libri sulla cultura marocchina 1.Marocco, Romanzo Scritto da Tahar Ben Jelloun scrittore originario di Fès. L’autore ci porta nel cuore del paese, in un viaggio interiore ed esteriore, fisico e spirituale. 2.Le Voci di Marrakech Opera di Elias Canetti scrittore bulgaro e vincitore del premio Nobel. Trascorse a Marrakech durante i quali scrisse su scene di vita quotidiana, suoni, colori, odori e pensieri della città berbera. 3.Il Tè nel Deserto Paul Bowles si innamorò del Nord Africa durante un suo viaggio in Marocco, Algeria e Tunisia tanto da vivere a Tangeri. Qui scrisse questo romanzo ambientato Tra villaggi berberi, dune di sabbia e cieli stellati dove tre amici si renderanno presto conto delle loro incomprensioni e della spietata quanto affascinante crudeltà della natura. 4.Il Cantastorie di Marrakech Opera dello scrittore indiano Joydeep Roy-Bhattacharya, un romanzo giallo ambientato nel cuore della città rossa. Hassan, uno dei tanti cantastorie della Piazza Jemaa el-Fna ama narrare la vicenda di una coppia svanita nella Medina. Ma il vero intento di Hassan è quello di scagionare il fratello Mustafa. 5.La Terrazza Proibita Biografia di Fatema Mernissi. Nata e cresciuta nel 1940 in un harem di Fès, ci descrive la sua vita con grande coraggio, determinazione allegria e felicita Fatema è uscita dagli stereotipi negativi Un libro che ci descrive l’importanza dell’emancipazione femminile, ma anche delle antiche tradizioni. 6.Ultimo Tè a Marrakech Toni Maraini che ha vissuto in questo paese dal 1964 al 1986. Dopo aver incontrato pescatori, anziane donne e ambigui personaggi, si ritroverà a contemplare la piazza di Marrakech e fornirci la sua visione. 7. La casa del Califfo Biografia di Tahir Shah che ci fa scoprire le mille contraddizioni di questo paese e della sua gente. 8. Una sconosciuta a Tangeri Con questo thriller di Christine Mangan vi tufferete nella Tangeri degli anni ’50, città di stranieri, avventurieri e delinquenti occidentali. 9. La valle delle casbah La storia di Jeffrey Tayler che riusci a percorrere l’intero corso del Draa in cammello https://www.instagram.com/p/CPPM9cgg2fN/?utm_medium=tumblr
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" In amore, si può sollecitare e insistere, la consolazione esiste. Prima o poi, subentra l’oblio e l’emozione ritrova freschezza e vigore. In amicizia, la consolazione è illusoria, il lutto un baratro. Un amico, un amico vero, è insostituibile. Si vive con questa ferita senza fine, ci si ostina a voler dimenticare, ma si sa che è un esercizio vano. Perché questo genere di ferite non si cancellano dalla memoria? Perché il principio della fedeltà alla parola data non è stato rispettato, la fiducia è stata tradita, si è ritrovata come una dimora svaligiata da colui o colei a cui si erano lasciate le chiavi. E allora ci si sente sgomenti nello scoprire di aver sbagliato, di aver seguito per lungo tempo una falsa strada, creduto a parole vuote di senso, aperto il proprio rifugio interiore, il luogo intimo del segreto. Ed ecco che improvvisamente, tutto va in frantumi. Come non subire più queste ferite? Come scegliere i propri amici? Come sapere, come prevedere le metamorfosi dell'anima, la sua fedeltà e la sua integrità, le sue peregrinazioni e i suoi improvvisi mutamenti? Non esiste una ricetta. Diffidenza e amicizia non vanno d’accordo. Il sospetto è già la fine di una relazione. Che fare allora? Marguerite Yourcenar scrive nelle Memorie di Adriano: “Il nostro grande errore è quello di cercare di ricavare da ciascuno soprattutto le virtù che non ha, e di coltivare con scarsa cura quelle che possiede.” La perfezione non è umana, in compenso la virtù dell'amicizia, questo “sole del mondo” (Cicerone), è propria dell'uomo. "
Tahar Ben Jelloun, L’amicizia e l’ombra del tradimento, traduzione di Egi Volterrani e Camilla Testi, La nave di Teseo, 2019. [Libro elettronico]
[Edizione originale: Éloge de l’amitié, ombre de la trahison, Editions Seuil, 2004]
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“ Lo so, in questo paese una donna sola è destinata ad essere sempre socialmente rifiutata. In una società morale, ben strutturata, non soltanto ciascuno sta al suo posto, ma non c'è assolutamente posto per colui o colei, soprattutto colei, che, volontariamente o per errore, per spirito ribelle o per incoscienza, trasgredisce l'ordine. Una donna sola, nubile o divorziata, una ragazza-madre, è un essere esposto a ogni rifiuto. Un bambino illegittimo, nato da un'unione non riconosciuta, è destinato, nel migliore dei casi, a finire in un orfanotrofio, là dove sono allevati i cattivi germogli: germogli del piacere, insomma dell'adulterio e della vergogna. Una preghiera segreta sarà detta perché quel bambino faccia parte del lotto dei centomila bebé che muoiono ogni anno per mancanza di cure, per carenze alimentari o per la maledizione di Dio. Quel bambino non avrà nome. Sarà figlio della strada e del peccato e dovrà subire tutte le tappe di una sorte infelice. Bisognerebbe predisporre all'uscita di ogni città uno stagno abbastanza profondo da poter accogliere i corpi di questi figli dell'errore. Si chiamerebbe lo stagno della liberazione. Le madri ci verrebbero preferibilmente di notte, legherebbero saldamente la loro prole ad una pietra che una mano benefattrice offrirebbe loro e, con un ultimo singhiozzo, lascerebbero andar giú il bambino che delle mani nascoste, magari sott'acqua, tirerebbero verso il fondo fino all'annegamento. Tutto questo verrebbe fatto alla luce del sole, ma sarebbe indecente, sarebbe vietato parlarne, persino evocare l'argomento, neppure per allusioni. La violenza del mio paese è anche in questi occhi chiusi, in questi sguardi distolti, in questi silenzi fatti piú di rassegnazione che di indifferenza. Oggi io sono una donna sola. Una donna sola e già anziana. Con i miei venticinque anni compiuti, considero che la mia età sia di almeno mezzo secolo. Due vite con due modi di sentire e due volti, ma gli stessi sogni, la stessa profonda solitudine. Non penso di essere innocente. Credo persino di essere diventata pericolosa. Non ho piú niente da perdere e ho talmente tanti danni da riparare... Ho il sospetto di essere capace di rabbia, di collera, ed anche di odio distruttore. Non c'è piú nulla che mi trattiene, ho soltanto un po' paura di quello che sto per intraprendere; ho paura perché non so esattamente cosa farò, ma sono decisa a farlo. “
Tahar Ben Jelloun, Creatura di sabbia, traduzione di Egi Volterrani con una nota di Sergio Zoppi, Einaudi (collana ET Scrittori, n° 107), 2006¹⁴; pp. 115-16.
[Ed.ne or.le: L'Enfant de sable, Éditions du Seuil, 1985]
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Persone poco conosciute possono nutrire nei nostri confronti un sentimento che assomiglia all'amicizia. Lo si scopre per caso, o in qualche momento difficile. Uno se ne rallegra: ci si sente lusingati e rassicurati. Per fortuna mi restano ancora degli amici da scoprire: sia che facciano già parte del mio passato o che occupino il mio futuro. È bello pensare all'amico ancora sconosciuto. Quando per la prima volta arrivo in un paese straniero, penso a colui o a colei che durante il mio soggiorno si comporterà come un amico. In generale uno si sente angosciato quando non c'è nessun amico ad attenderlo. Si diventa come un mendicante che non osa tendere la mano. Ma l'amicizia non si mendica. O viene o non viene.
Tahar Ben Jelloun, L’amicizia, Einaudi (collana Tascabili; traduzione di Egi Volterrani), 1999⁹; p. 75.
[Edizione originale: La soudure fraternelle, Arléa, Paris, 1994]
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Sapete, quando si è ciechi, si vive di nostalgia, che è per me una nebbia luminosa, l'entroterra del mio passato. La notte è scesa senza interruzione sui miei occhi; è un lungo crepuscolo. Se faccio l'elogio dell'ombra, è perché questa lunga notte mi ha restituito la voglia di riscoprire e di accarezzare. Non smetto di viaggiare. Ritorno sulle orme dei miei sogni-incubi. Mi sposto per verificare non i paesaggi, ma i profumi, i rumori, gli odori di una città o di un paese. Traggo pretesto da ogni cosa per andare a soggiornare in altri posti. Non mi sono mai spostato tanto come da quando sono cieco! Continuo a pensare che qualsiasi cosa sia data allo scrittore perché ne approfitti: il piacere come il dolore, il ricordo come l'oblio. Forse finirò per sapere chi sono io. Ma questa è un'altra storia.
Tahar Ben Jelloun, Creatura di sabbia, traduzione di Egi Volterrani con una nota di Sergio Zoppi, Einaudi (collana ET Scrittori, n° 107), 2006¹⁴; p. 140.
[Ed.ne or.le: L'Enfant de sable, Éditions du Seuil, 1985]
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Le donne scrivono, dibattono, si difendono, lottano. Gli uomini le guardano passare e si accontentano di fare apprezzamenti sulla forma del seno o sull'altezza del culo.
Tahar Ben Jelloun, L’amicizia, Einaudi (collana Tascabili; traduzione di Egi Volterrani), 1999⁹; p. 52.
[Edizione originale: La soudure fraternelle, Arléa, Paris, 1994]
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Alla scuola coranica non c'era tempo per farsi degli amici. Ci depositavano al mattino nella piccola moschea del quartiere. Toglievamo le scarpe, ci sedevamo sulle stuoie dure e ripetevamo all'infinito i versetti del giorno. Dovevamo imparare il Corano a memoria. Il maestro - “fqih” - enunciava la prima frase e noi la ripetevamo dopo di lui in coro. Che piacere può provare un bambino di cinque anni a imparare a memoria versetti di cui non comprende il senso? Inoltre non avevamo ricreazione. Si andava avanti tutta la mattina. A mezzogiorno lasciavamo la scuola augurandoci di non tornarci più. Al pomeriggio ci tornavamo, approfittando della sonnolenza del fqih per dire qualsiasi cosa. Il mio vicino avrebbe potuto diventare mio amico. Mi teneva un posto accanto a lui e, come me, smaniava d'impazienza all'avvicinarsi del mezzogiorno. Provavamo lo stesso senso di costrizione, ma non osavamo dirlo ai mostri genitori. Lo fqih aveva un bastone abbastanza lungo per svegliare i bambini che si addormentavano in fondo all'aula. Non lo amavamo. Era un brutto vecchio. Aveva una barba chiazzata e sporca. Aveva lo sguardo cattivo. Ci domandavamo perché. In ogni caso a lui non piaceva il mio amico, Hafid, che aveva la testa grossa in modo anormale. Gli rimproverava di non essere come gli altri ragazzi. Non capivo quel suo modo di fare. Avremmo potuto, Hafid e io, diventare buoni amici se la morte non l'avesse portato via durante l'anno.
Tahar Ben Jelloun, L’amicizia, Einaudi (collana Tascabili; traduzione di Egi Volterrani), 1999⁹; pp. 4-5.
[Edizione originale: La soudure fraternelle, Arléa, Paris, 1994]
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“ Non tutti riescono ad accettarsi per quello che sono. Può essere una grazia, può essere il punto d’arrivo di un lungo lavoro su se stessi, quando ci si avvicina alla saggezza. Solo chi si accontenta di ciò che ha e reprime l’oscuro sentimento dell’invidia può dire a se stesso di non essere posseduto dal demone della gelosia. Non si tratta di un sentimento passeggero, senza importanza. Non provare mai neppure una lieve gelosia di cui subito ci si pente appartiene a una serenità ai confini con misticismo. La gelosia è una delle debolezze umane più diffuse. Alcuni la reprimono e se ne allontanano, altri la coltivano e vi sguazzano dentro, ne fanno uno stile di vita e una maniera quotidiana di rapportarsi agli altri. Il desiderio di essere l’altro rende infelici. Ogni essere è unico e irripetibile; e nessuno può vivere la solitudine dell’altro. L’invidia porta all’errore e talvolta all’odio. L’amore, l’amicizia vengono prima dell’odio. Odiare è rattristare, è imboccare una strada lugubre, è offendere la propria anima, consumare i propri beni per distruggere qualcuno che si è amato. “L’odio è una tristezza accompagnata dall’idea di una causa esterna” (Spinoza, Etica III). Questa causa può essere insignificante o grave, una vessazione maldestra o un’ingiustizia crudele. Può non avere nessuna ragione, esistere in quanto tale, accontentarsi di essere là perché si è stati abbandonati, esclusi da ogni affetto. L’odio non può essere che distruttore. È dannoso per natura. Tende a essere più forte del destino: pretende di distruggere ciò che la vita non ha distrutto, di sistemare le cose secondo il proprio ordine, di ridistribuire le carte secondo i propri interessi... Non si fa concorrenza al caso e al destino. Si scava in maniera ossessiva il solco della propria infelicità desiderando con forza di attirarvi tutti coloro che sfuggono a questa tristezza vergognosa. Un’amicizia vissuta come un errore è certamente una ferita. Ma come distinguere il vero dal falso, la sincerità dall’ipocrisia? Continuo a pensare che le ferite d’amicizia non si rimarginano. Dunque si risale indietro nel tempo e si cerca di sapere. Ciò che si scopre è spesso desolante. E ci si chiede: “Come ho potuto dare tanta fiducia a quella persona per così tanti anni? Cosa c’è in me che ‘autorizza’ il tradimento? Quale mia debolezza è abbastanza visibile da permettere ad alcuni dei miei amici di insinuarvisi per tradirmi?” Dovremmo tutti passare per una “pedagogia dei sentimenti”, come quella che si può leggere in Dell’amore di Stendhal o nell’Amico ritrovato di Fred Ulmann. “
Tahar Ben Jelloun, L’amicizia e l’ombra del tradimento, traduzione di Egi Volterrani e Camilla Testi, La nave di Teseo, 2019. [Libro elettronico]
[Edizione originale: Éloge de l’amitié, ombre de la trahison, Editions Seuil, 2004]
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