#legge di stabilità 2018
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Pubblicità per il gioco d'azzardo: l'Italia dovrebbe allentare nuovamente le sue regole?
Il gioco d'azzardo ha svolto un ruolo significativo in Italia fin dall'antica Roma. Era e continua a essere una fonte di reddito e un motore economico. Oggi, tuttavia, il gioco d'azzardo in Italia è fortemente regolamentato per garantire la protezione dei giocatori e l'integrità del settore. Negli ultimi anni, i governi hanno emanato sempre più regolamenti e leggi per ridurre al minimo le conseguenze negative del gioco d'azzardo. Tuttavia, ora si discute se sia il caso di allentare le norme sulla pubblicità. Ha senso e quali regole italiane sono (troppo) rigide? Le regole italiane sul gioco d'azzardo sono standardizzate e severe Da diversi anni, tre leggi e ordinanze regolano il gioco d'azzardo in Italia. Il severo divieto di pubblicità, in particolare, è stato criticato dalla European Gaming and Betting Association, che ha invitato il Paese a adottare nuove misure e ad allentare i divieti. È ufficialmente legale giocare casino Italia online, purché sia stata rilasciata una licenza dall'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (ADM). Questa autorità lavora per proteggere i giocatori e garantire l'integrità del mercato. Anche i fornitori stranieri possono richiedere una licenza, a patto che rispettino le rigide regole e si sottopongano a regolari ispezioni. Nel 2018 è stato introdotto il "Decreto Dignità", che vieta ogni forma di pubblicità del gioco d'azzardo in Italia. L'intenzione era di proteggere i giovani dagli effetti negativi del gioco d'azzardo. Tuttavia, le conseguenze effettive sembrano essere più negative. In particolare, si teme che il divieto totale di pubblicità possa alimentare il pericoloso mercato nero. I requisiti per le aziende autorizzate includono: - Tutti i protocolli di sicurezza devono essere seguiti per proteggere i giocatori. - Informazioni sulle quote e sulle regole di gioco devono essere fornite in modo trasparente. - Le misure di protezione dei giocatori, come l'autoesclusione volontaria, devono essere integrate. - L'accesso non deve essere consentito ai minori e alle persone vulnerabili. - Le specifiche tecniche di software e hardware devono essere rispettate. - I sistemi devono essere certificati da enti di controllo riconosciuti. - La stabilità finanziaria dell'azienda deve essere dimostrata. Se una società soddisfa tutti questi requisiti, ha il diritto di offrire giochi d'azzardo in Italia. Tuttavia, il divieto di pubblicità rende la vita difficile agli operatori affidabili, in quanto non possono pubblicizzare il loro status legale. Perché il divieto di pubblicità fa il gioco del mercato nero Il divieto del 2018 di pubblicizzare il gioco d'azzardo in Italia ha cambiato il settore. La legge era intesa a proteggere la popolazione, ma ci sono dubbi crescenti al riguardo. Si stima che ogni anno nel Paese vengano spesi circa 18,5 miliardi di euro per il gioco d'azzardo online non legale. Secondo il Segretario generale dell'EGBA, il divieto di pubblicità è almeno in parte responsabile. Poiché non ci sono misure pubblicitarie per i fornitori legali, i consumatori non possono distinguere tra offerte affidabili e offerte dubbie. Sebbene le autorità doganali e di monopolio cerchino di arginare il mercato nero, questi sforzi non sono ancora abbastanza efficaci. Dal punto di vista dei fornitori illegali, il divieto di pubblicità non è una cattiva idea. Chi non rispetta la legge italiana non deve temere la concorrenza degli operatori legali. Possono aggirare i divieti pubblicitari e generare nuovi clienti. Poiché gli operatori di gioco d'azzardo senza licenza non dispongono di meccanismi di protezione, il rischio di dipendenza dal gioco è molto più elevato. Il divieto di pubblicità dovrebbe essere realmente abolito? È discutibile se il governo italiano allenterà il divieto di pubblicità nel prossimo futuro o se continuerà a insistere su di esso. Negli ultimi anni sono state apportate numerose modifiche alla legge sul gioco d'azzardo, quindi le innovazioni non sono rare in Italia. Il sostegno al mercato legale è a favore dell'allentamento del divieto di pubblicità. I fornitori affidabili potrebbero presentarsi ai potenziali clienti nel rispetto della tutela dei minori. Da un lato, ciò promuove la fiducia dei giocatori, dall'altro familiarizza i consumatori con le differenze tra offerte affidabili e non. L'aumento della visibilità potrebbe indebolire automaticamente il mercato nero. Anche se questo non eliminerà completamente l'uso di offerte illegali, ridurrà almeno l'ignoranza come fattore scatenante. È anche giusto, dal punto di vista dei fornitori, che possano comunicare adeguatamente le misure e gli sforzi messi in atto. La legge tedesca sul gioco d'azzardo potrebbe servire da modello: in Germania è legale giocare in un casinò online autorizzato e i fornitori possono fare pubblicità alla radio e alla televisione. Il prerequisito è il rispetto della tutela dei minori. L'Italia potrebbe adottare un approccio simile per unire pubblicità e tutela del pubblico. Perché le autorità italiane potrebbero insistere sul divieto di pubblicità? In linea di principio, le autorità hanno deciso a favore del divieto di pubblicità per vari motivi. La protezione delle persone vulnerabili gioca un ruolo principale. Un allentamento del divieto comporta il timore che questi gruppi vengano sempre più mirati. Anche le questioni etiche non dovrebbero essere ignorate nel dibattito. Il gioco d'azzardo può avere effetti negativi e, anche quando si ricorre a fornitori affidabili, non si può mai escludere completamente la dipendenza. È importante valutare quali sono i rischi maggiori. Quali sono i rischi maggiori: è il marketing regolamentato per gli operatori di gioco d'azzardo controllati o sono i mercati neri, spesso minati e sostenuti dalla mafia? Una via di mezzo sembra essere la più sensata per quanto riguarda l'Europa A giudicare da come operano gli altri Paesi, una via di mezzo sembra essere la più utile. Misure come la limitazione del target pubblicitario aiutano a garantire che i minori non siano incentivati dalla pubblicità del gioco d'azzardo. Le norme sulla diffusione trasparente delle informazioni nel corso della pubblicità del gioco d'azzardo sono praticate con successo anche in altri Paesi, come la Germania. Secondo la notizia, ogni pubblicità in Germania afferma che il gioco d'azzardo è accessibile solo agli adulti e che c'è il rischio di dipendenza. Limitare la frequenza delle trasmissioni pubblicitarie. È anche possibile limitare la frequenza delle trasmissioni pubblicitarie. In questo modo si può evitare una sovraesposizione, in modo che il gioco d'azzardo non venga normalizzato nella percezione del pubblico. Un decreto approvato in Italia l'11 marzo 2024 offre una speranza.Questo decreto mira a ri-regolamentare il gioco d'azzardo online. Tra le altre cose, prevede un'informazione mirata per i consumatori, al fine di sensibilizzarli sul mercato illegale. Il decreto menziona anche l'abolizione del divieto di pubblicità, sebbene non sia ancora entrato in vigore. L'obiettivo deve essere e sarà quello di respingere il mercato nero e allo stesso tempo proteggere la popolazione. Read the full article
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un articolo del 3 APRILE 2019: Questa settimana il vicepresidente del Consiglio e ministro del Lavoro Luigi Di Maio ha annunciato su Twitter un taglio delle imposte sul lavoro pagate dagli imprenditori che in alcuni casi arriverà fino al 30 per cento. Quello che non ha spiegato è che il taglio sarà finanziato da un taglio di circa mezzo miliardo in tre anni ai fondi che servono a incentivare gli imprenditori a migliorare la sicurezza sul posto di lavoro. Inoltre, secondo una recente sentenza della Cassazione, la nuova legge ridurrà le possibilità per i lavoratori di ottenere rimborsi in caso di infortunio. (...) Per ripianare questo buco nel bilancio dell’INAIL generato dal taglio delle tasse agli imprenditori, la legge di stabilità approvata lo scorso dicembre stabilisce esplicitamente, al comma 1.122, una serie di tagli ai fondi destinati a incentivare la prevenzione degli infortuni e agli sconti per chi migliorava la sicurezza nella propria azienda (che erano stati aumentati proprio nel 2018). Questi tagli ammontano a poco meno di 500 milioni di euro in tre anni. (...) La revisione è invece apprezzata dalle associazioni degli imprenditori e dalla Lega. Il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon è stato uno dei principali autori e sostenitori della revisione e il primo a descriverne il funzionamento alla stampa. (...) Il Post
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I governi cambiano, la scure repressiva contro le lotte resta
La caduta del governo Conte Uno avvenuta lo scorso agosto e la contestuale nascita del Conte Bis “desalvinizzato”, avevano ingenerato in un settore largo della sinistra e dei movimenti sociali un sentimento diffuso di attesa per un cambiamento di passo in senso democratico.
Un attesa dettata non tanto dalla possibilità che il nuovo esecutivo “giallo-rosa”, nato in nome e per conto dell’Europa del Patto di Stabilità e del Fiscal Compact, potesse imprimere un vero cambiamento nelle politiche economiche o un reale miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori e degli oppressi, quanto dalla speranza che l’esclusione della Lega dal governo potesse mettere almeno un freno all’ondata di odio razzista e all’escalation di misure e provvedimenti restrittivi delle cosiddette “libertà democratiche”.
Le prime dichiarazioni degli esponenti del PD (con a capo Zingaretti) e di LeU non appena insediatisi al governo, alimentavano questa speranza, nella misura in cui individuavano nei due Decreti Sicurezza- Salvini al tempo stesso il simbolo e il cuore dell’offensiva reazionaria guidata dalla Lega, dichiarando solennemente che queste misure andavano abrogate o, quantomeno, radicalmente mutate.
A quattro mesi di distanza dall’insediamento del Conte bis, appare evidente che quella speranza si sia ancora una volta tradotta in una pia illusione, e che anche stavolta ci siamo trovati di fronte alla classica “promessa da marinaio” ad opera dei soliti mestieranti della politica borghese.
Il decreto Salvini- Uno
Dei due decreti- sicurezza targati Lega e convertiti in legge grazie al voto favorevole dei 5 Stelle si è parlato e si parla tanto, ma il più delle volte per alimentare in maniera superficiale una presunta contrapposizione tra “buonisti democratici” e “cattivisti destorsi” che per analizzare (e fronteggiare) la portata reale delle misure in essi contenute.
Già il primo DL, che si concentrava quasi esclusivamente contro i richiedenti asilo e i lavoratori immigrati (imponendo una stretta feroce sugli sbarchi e sulla concessione dei permessi di soggiorno, eliminando gli SPRAR e assestando un colpo durissimo all’intero sistema dell’accoglienza facendo strumentalmente leva sulle contraddizioni e sul business che spesso ruota attorno agli immigrati) in realtà puntava già molto oltre, mettendo nel mirino l’esercizio di alcune di quelle libertà che a partire dal secondo dopoguerra venivano dai più considerate “fondamentali” e costituzionalizzate come tali in ogni stato che si (auto)definisce democratico: su tutte la libertà di sciopero e di manifestazione pubblica e collettiva del dissenso.
Nella versione originaria del Decreto, quasi mimetizzato nel mezzo di una lista interminabile di norme per il “contrasto all’immigrazione clandestina” utili a soddisfare le paranoie securitarie di un’ opinione pubblica lobotomizzata dal bombardamento mediatico a reti unificate sulla minaccia dell’“invasore immigrato brutto sporco e cattivo”, ci si imbatteva nell’articolo 23, una norma di neanche dieci righe recante “Disposizioni in materia di blocco stradale”, nella quale, attraverso un abile gioco di rimandi, modifiche e abrogazioni di leggi precedenti tipico del lessico istituzionale, in maniera pressoché imperscrutabile si introduceva la pena del carcere fino a 6 anni per chiunque prendesse parte a blocchi stradali e picchetti, fino a 12 anni per chi veniva individuato come organizzatore e con tanto di arresto in flagranza, vale a dire che se a protestare sono degli immigrati, alla luce proprio di quanto previsto dal medesimo decreto, una tale condanna si sarebbe tradotta nel ritiro immediato del permesso di soggiorno e quindi nell’espulsione dall’Italia.
Dunque, in un piccolo e apparentemente innocuo trafiletto si condensava un salto di qualità abnorme contro le lotte sindacali e sociali, con pene esemplari, contro ogni forma di manifestazione di strada e ogni sciopero che non si limitasse ad un’astensione dal lavoro meramente formale e simbolica (dunque innocua per i padroni): un idea di “sicurezza” che poco avrebbe da invidiare al Cile di Pinochet se è vero, come giustamente evidenziato dall’avvocato Claudio Novaro del foro di Torino1, che ad esempio, per i partecipanti ad un’associazione per delinquere il nostro codice penale prevede sanzioni da 1 a 5 anni di reclusione, per i capi e promotori da 3 a 7, per un attentato ad impianti di pubblica utilità da 1 a 4, per l’adulterazione di cose in danno della pubblica salute da 1 a 5. Per Salvini e i compagni di merende il reato di picchetto e di blocco stradale è considerato uguale a quello di chi recluta o induce alla prostituzione dei minorenni, di chi commette violenza sessuale contro un minore di 14 anni o di chi compie violenza sessuale di gruppo ed è addirittura più alto di quello del reato di sequestro di persona, della rapina semplice e della violenza sessuale su un adulto.
Tradotto in soldoni: per la Lega interrompere anche solo per qualche ora il flusso di merci e degli “affari” a beneficio dei padroni e contro l’ordine costituito (magari per reclamare il rispetto di un contratto collettivo nazionale di lavoro, impedire un licenziamento di massa, protestare contro la devastazione dei territori o contro megaopere nocive per la salute e l’ambiente o per denunciare il dramma della precarietà e della disoccupazione) rappresenta un “pericolo per la sicurezza” più grave e penalmente più rilevante che commettere uno stupro o far prostituire minorenni!
Il fatto che l’orda reazionaria rappresentata dalla Lega, FdI possa giungere a tali livelli di delirio non sorprende più di tanto: a meravigliare (non per noi) alcuni della sinistra politica e sociale è stato invece il silenzio assordante della quasi totalità degli organi di stampa, dell’opposizione “democratica” e dei sindacati confederali CGIL-CISL-UIL, dalle cui fila non una sola parola è stata spesa per denunciare il colpo di mano dell’articolo 23, ne tantomeno per chiedere la sua immediata cancellazione: un silenzio pari o forse ancor più rumoroso dei tamburi di guerra leghisti tenendo conto che se una norma del genere fosse stata varata nella seconda metà del secolo scorso, essa si sarebbe tradotta in anni e anni di carcere, ad esempio per migliaia di iscritti e dirigenti sindacali (compreso il tanto osannato Giuseppe Di Vittorio) che in quegli anni conducevano dure battaglie sindacali all’esterno delle fabbriche o in prossimità dei latifondi agricoli, e laddove la Cgil e la Fiom di allora facevano ampio uso del picchetto e del blocco stradale quale strumento di contrattazione (fatto storico, quest’ultimo che gli attuali burocrati sindacali, epigoni di quella Cgil, preferiscono occultare, accodandosi in nome di un ipocrita legalitarismo all’ignobile campagna di criminalizzazione del conflitto sindacale…).
Un silenzio che, d’altra parte è stato quantomai “eloquente”, se si pensa che tra i principali ispiratori della prima versione dell’articolo 23 vi era Confetra, vale a dire una delle principali associazioni imprenditoriali del settore Trasporto Merci e Logistica, la quale già il 26 settembre 2018 (quindi più di una settimana prima che il testo del decreto fosse pubblicato in Gazzetta Ufficiale) per bocca del suo presidente Nereo Marcucci si precipitava a dichiarare alla stampa che tale norma era “un ulteriore indispensabile strumento di prevenzione di forme di violenza e di sopraffazione di pochi verso molti. Certamente non limita il diritto costituzionalmente garantito allo sciopero. Con le nostre imprese ed i nostri dipendenti contiamo molto sul suo effetto dissuasivo su pochi caporioni”2.
All’epoca di tale dichiarazione il testo del decreto era ancora in fase di stesura, tanto è vero che nella suddetta intervista Marcucci indica la norma antipicchetti come “articolo 25”: lasciando così supporre che i vertici di Confetra, se non proprio gli autori materiali della scrittura dell’articolo, ne fossero quantomeno i registi e gli ispiratori…
Ma chi sono quei “pochi caporioni” che Marcucci tira in ballo confidando nell’effetto dissuasivo del DL Salvini a colpi di carcere e codice penale? E che ruolo ha avuto Confetra in tutto ciò?
Il bersaglio di Marcucci, manco a dirlo, era ed è il possente movimento autorganizzato dei lavoratori della logistica rappresentato a livello nazionale dal SI Cobas e, nel nord-est, dall’ADL Cobas, che a partire dal 2009 ha operato un incessante azione di contrasto delle forme brutali di sfruttamento, caporalato, evasione fiscale e contributiva, illegalità e soprusi di ogni tipo a danno dei lavoratori, rese possibili grazie all’utilizzo di un sistema di appalti e subappalti a “scatole cinesi” e dell’utilizzo sistematico di finte cooperative come scappatoia giuridica: un azione che nel giro di pochi anni, attraverso migliaia di scioperi e picchetti (dunque riappropriandosi di quello strumento vitale di contrattazione abbandonato da decenni dai sindacati confederali integratesi nello Stato borghese ed oramai finito in disuso anche per una parte dello stesso sindacalismo “di base”) e potendo contare solo sulla forza organizzata dei lavoratori, ha portato ad innumerevoli vittorie, prima attraverso l’applicazione integrale del CCNL di categoria in centinaia di cooperative e ditte appaltatrice, e poi finanche alla stipula di ben 3 accordi-quadro nazionali di secondo livello in alcune delle più importanti filiere facenti capo all’organizzazione datoriale Fedit (TNT, BRT, GLS, SDA) e con altre importanti multinazionali del settore.
Questo ciclo di lotta ha portato nei fatti il SI Cobas e l’Adl a rappresentare nazionalmente la maggioranza dei lavoratori sindacalizzati della categoria, ma che ha dovuto fin dall’inizio fare i conti con una pesantissima scure repressiva: cariche fuori ai cancelli dei magazzini, fogli di via, divieto di dimora, sanzioni amministrative, arresti e processi a non finire, licenziamenti discriminatori e finanche l’arresto del coordinatore nazionale del SI Cobas Aldo Milani nel gennaio 2017 con l’accusa infamante di “estorsione” come conseguenza di un’ondata di scioperi che dalla logistica aveva contaminato l’”intoccabile” filiera modenese delle carni3. Confetra e le aziende ad essa associate si sono col tempo dimostrate le principali “teste d’ariete” di questa strategia, e cioè una delle controparti maggiormente ostili, refrattarie al dialogo e propense a trasformare il conflitto sindacale in un problema di “ordine pubblico” anche di fronte alle forme più intollerabili e plateali di sfruttamento e di caporalato.
E non è un caso se proprio Confetra risulta essere la parte datoriale “amica” di Cgil-Cisl-Uil, come dimostra non solo una condotta decennale tesa ad escludere i cobas dai tavoli di trattativa nazionali, ma anche la vera e propria comunione d’intenti, al limite della sponsorizzazione reciproca da essi operata sia dentro che fuori i luoghi di lavoro (appelli comuni alle istituzioni, eventi, convegni, biografie dei dirigenti Confetra in bella mostra sui siti nazionali dei confederali, “tavoli della legalità”, ecc.).
Una tale condotta da parte di Cgil-Cisl-Uil, che ha da tempo abbandonato il conflitto (seppur per una politica tradeunionista) per farsi concertativa e infine a tutti gli effetti consociativa, non poteva di certo tradursi in una qualsivoglia opposizione alle misure “antipicchetto” ideate da Salvini su suggerimento di Confetra…
Discorso analogo per l’intero panorama della sinistra istituzionale, del mondo associativo e della “società civile”, per le ragioni che vedremo in seguito.
Dunque, nell’autunno del 2018 gli unici ad opporsi coerentemente, organicamente e radicalmente al primo DL Salvini sono stati, ancora una volta, il sindacalismo conflittuale con in prima fila il SI Cobas, i movimenti per il diritto all’abitare (in particolare a Roma e Milano), alcuni centri sociali e collettivi studenteschi, la parte tendenzialmente classista, estremamente minoritaria, del mondo associativo e della cooperazione, alcune reti di immigrati col circuito “no-border”, i disoccupati napoletani del movimento “7 novembre”, qualche piccolo gruppo della sinistra extraparlamentare comunista, antagonista o anarchica, i No Tav e poco altro.
Buona parte di queste realtà hanno aderito all’appello lanciato dal SI Cobas per una manifestazione nazionale che si è svolta il 27 ottobre 2018 a Roma riempendo le vie della capitale con circa 15 mila manifestanti, in larghissima maggioranza lavoratori immigrati della logistica e non solo. Ma non si è trattato di un evento isolato: a latere di quella riuscitissima manifestazione il SI Cobas, supportato al nord da centri sociali e studenti e al centrosud da disoccupati e occupanti casa, ha indetto una numerose altre iniziative nazionali e locali, fino ad arrivare al vero e proprio assedio all’allora vicepremier 5 Stelle Luigi di Maio nella sua natìa Pomigliano d’Arco con una contestazione promossa da licenziati FCA e collettivi studenteschi il 19 novembre 2018.
E ancora una volta si è avuta la riprova che “la lotta paga”, due settimane dopo, all’atto della conversione in legge del DL- Sicurezza, la norma persecutoria prevista dall’articolo 23 è stata cancellata e ripristinata la norma precedente che in caso di picchetto o blocco stradale non prevede alcuna pena detentiva bensì una sanzione amministrativa da 1000 a 4000 euro (come si vedrà nel caso delle lotte alla Tintoria Superlativa di Prato, questa misura, disapplicata e di fatto finita in desuetudine per decenni, verrà rispolverata con forza e con zelo durante tutto il 2019 contro operai in sciopero e disoccupati). Ad ogni modo, le proteste autunnali hanno probabilmente ricondotto a più “miti consigli” almeno una parte dei 5 Stelle, già all’epoca dilaniati dalla contraddizione insanabile tra le aspettative suscitate nella componente operaia del suo elettorato e le imbarazzanti performance governative fornite dai suoi vertici finiti a braccetto prima con la Lega di Salvini, poi col tanto vituperato PD.
Alla luce di questo parziale ma preziosissimo risultato, ottenuto con la mobilitazione di alcune decine di migliaia di manifestanti, qualcuno dovrebbe chiedersi cosa sarebbe rimasto del DL-Salvini se quelle organizzazioni sindacali confederali che tanto sono “maggiormente rappresentative” sui luoghi di lavoro, se non fossero ormai integrate nello stato a difesa degli interessi capitalisti si “ricordassero” quale dovrebbero essere il loro ruolo e fossero scese in piazza contro questa legge reazionaria e razzista: con ogni probabilità (e come sta insegnando in queste settimane il movimento francese contro la riforma pensionistica di Macron), quel decreto sarebbe divenuto in poche ore carta straccia…
Lega, 5 stelle e padronato ritornano alla carica: il Decreto Salvini- Due
Come insegna l’intera storia del movimento operaio, le conquiste e i risultati parziali strappati con la lotta possono essere difesi e preservati solo intensificando ed estendendo le lotte stesse.
Purtroppo, l’esempio tangibile dato dal SI Cobas e dai settori scesi in piazza contro il primo Decreto-Salvini non è riuscito a smuovere sufficientemente le acque e a portare sul terreno del conflitto reale quel settore di lavoratori, precari, disoccupati, studenti e immigrati ancora legati ai sindacati confederali e al resto del sindacalismo di base, ne è riuscito a coagulare attorno a se quel che resta dei partiti e dei partitini della sinistra “radicale”, dai comitati antirazzisti e ambientalisti spalmati sui territori, i movimenti delle donne come NUDM ( in realtà, queste ultime attive e con un seguito importante sulle tematiche di loro specifica pertinenza, ma incapaci di sviluppare un opposizione a tutto campo e di collegarsi alle lotte sui luoghi di lavoro e alle principali emergenze sociali).
E, inevitabilmente, l’offensiva di governo e padroni è ripartita in maniera incessante, prendendo la forma del “Decreto-sicurezza bis”.
Il canovaccio è stato grosso modo identico a quello del primo DL: immigrazione e “ordine pubblico” restano le due ossessioni di Salvini. A cambiare è tuttavia il peso specifico assegnato a ciascuna emergenza: il Dl bis “liquida” in soli 5 articoli il tema- immigrazione prevedendo una pesante stretta repressiva sugli sbarchi e “pene esemplari” per chi viene ritenuto colpevole di favorire l’immigrazione clandestina (dunque in primo luogo le tanto odiate ONG, i cui comandanti delle navi possono essere condannati a multe fino a un milione di euro), per poi concentrarsi con cura sulle misure tese a schiacciare sul nascere ogni possibile sollevazione di massa in chiave antigovernativa.
E così si prevede, negli articoli 6 e 8 un forte inasprimento delle pene per l’uso dei caschi all’interno di manifestazioni, per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e finanche per l’uso di semplici fumogeni durante i cortei.
Il decreto, entrato in vigore il 15 giugno 2019, viene definitivamente convertito in legge l’8 agosto, dunque a pochi giorni dalla sceneggiata del Papeete Beach e della fine anticipata dell’esecutivo gialloverde.
Va peraltro notato che in questa occasione, contrariamente a quanto avvenuto col primo decreto, durante l’iter di conversione le pene previste, sia in caso di sbarchi di clandestini sia riguardo l’ordine pubblico alle manifestazioni, vengono addirittura inasprite: il tutto con il voto favorevole dell’intero gruppo parlamentare pentastellato!
Il resto della storia è noto come abbiamo accennato all’inizio dell’articolo.
Nel corso dei primi mesi di insediamento del Conte Bis, lungi dall’assistere a un ammorbidimento della stretta repressiva, abbiamo assistito invece ad un suo inasprimento: a partire dalla primavera del 2019 ad oggi gli scioperi nella logistica e i picchetti sono quotidianamente attaccati dalle forze dell’ordine a colpi di manganello e gas lacrimogeni, ma soprattutto si moltiplicano le misure penali, cautelari e amministrative e addirittura le Procure tirano fuori, come per magia, procedimenti pendenti per manifestazioni, scioperi e iniziative di lotta svoltesi anni addietro e tenute a lungo nel cassetto. La scure colpisce indiscriminatamente tutto ciò che sia mosso nell’ultimo decennio: scioperi, movimento No-Tav, lotte dei disoccupati, occupazioni a scopo abitativo, iniziative antimilitariste, e persino semplici azioni di protesta puramente simbolica.
Tuttavia, per mettere bene a fuoco il contesto generale che portano a questa vera e propria escalation bisogna fare un passo indietro e tornare al 2017.
E’ in questo periodo, infatti, che il governo Gentiloni a guida PD vara il Decreto- sicurezza Minniti, contenente gran parte delle norme e delle pene di cui si servono le Procure per scatenare questa vera e propria guerra agli sfruttati e agli oppressi.
Il DL Minniti-Orlando
Roma, 25 marzo 2017: in occasione del vertice dei capi di stato UE per celebrare i 60 anni dei Trattati, le strade della capitale sono attraversate da diversi cortei, tra cui quello del sindacalismo di base e dei movimenti che esprimono una radicale critica alle politiche di austerity imposte da Bruxelles. Ancor prima dell’inizio della manifestazione avviene un vero e proprio rastrellamento a macchia di leopardo per le vie di accesso alla piazza: 30 attivisti vengono fermati dalla polizia e condotti in Questura, laddove saranno sequestrati per ore e rilasciati solo a fine corteo. Questo controllo “preventivo” ha come esito l’emissione di 30 DASPO urbani per tutti i fermati: la loro unica colpa era quella di indossare giubbotti di colore scuro e qualche innocuo fumogeno. In alcuni casi gli agenti pur avendo potuto appurare la mancanza di precedenti penali, decidono di procedere ugualmente al fermo in base all’“indifferenza ed insofferenza all’ordine costituito con conseguente reiterazione di condotte antigiuridiche sintomatiche”.
I suddetti Daspo urbani rappresentano la prima applicazione concreta del DL Minniti, varato dal governo Renzi il 17 febbraio 2017 e definitivamente convertiti in legge il successivo 12 aprile contestualmente all’approvazione di un secondo decreto “Orlando-Minniti” sull’immigrazione. Tale misura, che prende a modello anche nel nome gli analoghi provvedimenti già sperimentati sulle curve calcistiche, nelle dichiarazioni di Minniti si prefigge di tutelare la sicurezza e il decoro delle città attraverso l’allontanamento immediato di piccoli criminali o di semplici emarginati (clochard, viandanti, parcheggiatori abusivi, ambulanti), con ciò svelando fin dal principio la una visione securitaria analoga a quella della Lega. Ma i fatti di Roma dimostrano in maniera chiara che il bersaglio principale del DL Minniti è il dissenso sociale e politico: la linea guida è quella di perseguire le lotte sociali in via preventiva, non più attraverso le leggi e le norme del codice penale ad esse preposte e per i reati “tipici” riconducibili a proteste di piazza, bensì attraverso l’uso estensivo e per “analogia” di fattispecie di reato ascrivibili alla criminalità comune: a sperimentarlo sulla loro pelle saranno ad esempio i 5 licenziati della FCA di Pomigliano d’Arco, che l’11 ottobre 2018 si vedono rifilare un Daspo immediato da parte della Questura a seguito di un’iniziativa simbolica e pacifica su un palazzo di piazza Barberini in cui si chiedeva un incontro col l’allora ministro Di Maio.
In realtà il Daspo urbano codifica ed accelera un processo che è già in atto e che nelle aule di Tribunale ha già prodotto numerosi precedenti: su tutti basterebbe pensare alla feroce repressione abbattutasi nel 2014 contro decine di esponenti del movimento dei disoccupati napoletani, incarcerati o condotti agli arresti domiciliari per diversi mesi con l’accusa di “estorsione” associata alla richiesta di lavoro, o al già citato caso di Aldo Milani, condotto agli arresti con la stessa accusa il 26 gennaio 2017 a seguito di un blitz delle forze dell’ordine a un tavolo di trattativa sindacale in cui si stava discutendo di 55 licenziamenti nell’azienda di lavorazione carni Alcar Uno e della possibilità di interrompere le agitazioni nel caso in cui i padroni avessero sospeso i licenziamenti e pagato quanto dovuto ai lavoratori…
In secondo luogo, il Daspo urbano va ad affiancarsi a un già ampio ventaglio di misure restrittive e limitative della libertà personale: fogli di via obbligatori, obblighi e divieti di dimora, avvisi orali, sorveglianza speciale, ecc.: riguardo quest’ultima, il caso forse più eclatante è rappresentato dalla sentenza del 3 ottobre 2016 con cui il Tribunale di Roma ha imposto un rigido regime di sorveglianza speciale a carico di Paolo Di Vetta e Luca Faggiano, due tra i principali esponenti del movimento romano per il diritto all’abitare (questa misura è poi diventata, negli ultimi anni, il principale strumento repressivo teso a colpire il movimento anarchico in varie città). D’altra parte va evidenziato che rispetto alle misure sovracitate, il Daspo Urbano si contraddistingue per la tempestività di attuazione in quanto diviene immediatamente esecutivo senza dover attendere l’iter processuale.
L’approvazione nello stesso giorno della legge Minniti, intitolata “Disposizioni urgenti per la tutela della sicurezza delle città” e della legge Minniti- Orlando intitolata “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale e per il contrasto dell’immigrazione illegale” non è casuale, bensì risponde a una precisa strategia tesa ad associare l’“emergenza-sicurezza” con l’“emergenza immigrati”, presentandole agli occhi dell’opinione pubblica come due facce della stess medaglia. D’altrone, le norme contenute nella legge immigrazione voluta dal PD, per il loro tenore discriminatorio e repressivo non si fanno mancare davvero niente. Al suo interno sono previsti, tra l’altro: l’ampliamento e la moltiplicazione dei centri di espulsione (ribattezzati CPR al posto dei CIE creati dalla Bossi-Fini) che da 5 passano a 20; l’accelerazione delle procedure di espulsione attraverso l’abolizione del secondo ricorso in appello per le richieste di asilo; l’abolizione dell’udienza (il testo del decreto, poi modificato, prevedeva addirittura la creazione di tribunali speciali ad hoc, vietati dalla Costituzione) e l’introduzione del lavoro volontario, cioè gratuito, per gli immigrati. Contestualmente, nelle stesse settimane il governo Gentiloni siglava un memorandum con il governo libico in cui veniva garantito il massimo supporto in funzione anti-Ong alla guardia costiera libica, cioè a coloro che sono universalmente riconosciuti come responsabili di violenze e torture nei campi di detenzione. Non è un caso che questa legge abbia ricevuto dure critiche persino dall’ARCI e dalle ACLI (senza però mai tradursi in mobilitazioni concrete per la sua cancellazione).
Da questa ampia disamina dovrebbe dunque apparire chiaro come i due decreti- Salvini siano tutt’altro che piovuti dal cielo, e men che meno il semplice frutto di un “colpo di mano” ad opera di un estremista di destra: al contrario, Salvini e i suoi soci hanno camminato su un tappeto di velluto sapientemente e minuziosamente preparato dai governi a guida PD.
Il messaggio di questi provvedimenti è sostanzialmente analogo: se sei italiano devi rigare dritto e non osare mai disturbare il manovratore, pena il carcere o la privazione della libertà personale; se sei immigrato, o accetti di venire in Italia, come uno schiavo non avrai alcun diritto e sarai sfruttato per 12 ore al giorno in un magazzino o in una campagna a 3-4 euro all’ora, oppure sarai rimpatriato.
L’escalation repressiva degli ultimi mesi contro il SI Cobas
Avendo a disposizione un menu di provvedimenti tanto ampio, nel corso del 2019 lo stato concentra ancor più le proprie attenzioni contro le lotte sindacali nella logistica e i picchetti organizzati dal SI Cobas col sostegno di migliaia di lavoratori immigrati.
Ancora una volta la città di Modena diviene il laboratorio di sperimentazione del “pugno di ferro” da parte di Questure e Procure. La ribellione delle lavoratrici di ItalPizza, sfruttate per anni con contratti-capestro non corrispondenti alle loro mansioni e discriminate per la loro adesione al SI Cobas, diviene il simbolo di una doppia resistenza: da un lato ai soprusi dei padroni, dall’altro alla repressione statale.
La reazione delle forze dell’ordine è durissima: lacrimogeni sparati ad altezza-uomo, responsabili ed operatori sindacali pesatati a freddo, lavoratrici aggredite mentre sono in presidio. Addirittura si mobilitano a sostegno dei padroni le associazioni delle forze di polizia con in testa il potente SAP.
Ad ottobre si arriva addirittura a un maxiprocesso a carico di ben 90 tra lavoratori, sindacalisti e solidali. Ma la determinazione delle lavoratrici è più forte di ogni azione repressiva, e nonostante l’azione congiunta di padroni, forze dell’ordine e sindacati confederali, la battaglia per il riconoscimento di pieni diritti salariali e sindacali è ancora in corso.
Ma Modena è solo la punta dell’iceberg: nella vicina Bologna, una delle principali culle del movimento della logistica, ad ottobre i PM della Procura della Repubblica tentano addirittura di imporre 5 divieti di dimora per alcuni tra i principali esponenti provinciali del SI Cobas, compreso il coordinatore Simone Carpeggiani, accusati di minare l’ordine pubblico della città per via di uno sciopero con picchetto che si era svolto un anno prima (misura alla fine respinta dal giudice).
Nelle stesse settimane alla CLO di Tortona (logistica dei magazzini Coop), dopo un innumerevole sequela di attacchi delle forze dell’ordine al presidio dei lavoratori a colpi di manganelli e lacrimogeni, il 25 novembre la Questura di Alessandria decide di intervenire a gamba tesa ed emette 8 fogli di via contro lavoratori e attivisti.
A Prato, città attraversata da più di un anno da imponenti mobilitazioni operaie nel settore tessile, dapprima (a marzo 2019) vengono emessi due fogli di via nei confronti dei responsabili SI Cobas locali; poi, a dicembre, nel pieno di una dura vertenza alla Tintoria Superlativa di Prato (in cui tra l’altro i lavoratori pachistani denunciano un consolidato sistema di lavoro nero e sottopagato), si passa ai provvedimenti amministrativi, con la Questura che commina 4 mila euro di multa a 19 lavoratori e due studentesse solidali con le proteste.
Il 9 gennaio il gip di Brescia emette otto divieti di dimora nel comune di Desenzano del Garda a seguito delle proteste del SI Cobas contro 11 licenziamenti alla Penny Market.
A queste e tante altre analoghe misure restrittive si accompagnano altrettanti provvedimenti amministrativi tesi a colpire economicamente le tasche dei lavoratori e del sindacato.
Intanto, i PM del Tribunale di Modena sono ricorsi ( seppure la macchina amministrativa giudiziaria sia intasata da milioni di processi non compiuti) in appello, contro la sentenza di assoluzione piena avvenuta in primo grado nei confronti di Aldo Milani nel già citato processo sui fatti in Alcar Uno.
E’ evidente che un azione talmente incessante e sistematica da parte di Questure e Procure risponde a un organico disegno politico: neutralizzare e decapitare un sindacato combattivo e in continua espansione serve ad assestare l’ennesimo colpo al diritto di sciopero e all’esercizio della libertà di associazione sindacale, entrambi già gravemente compromessi nella gran parte dei luoghi di lavoro e ulteriormente ridotti all’indomani dell’approvazione del Testo unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014, grazie al quale il riconoscimento sindacale diviene un privilegio ottenibile solo in cambio della rinuncia sostanziale allo sciopero come arma di contrattazione.
L’oramai più che decennale processo di blindatura da parte dello Stato verso ogni forma di dissenso e di conflitto è in ultima istanza il prodotto di una crisi economica internazionale che, lungi dall’essersi risolta, si riverbera quotidianamente in ogni aspetto della vita sociale e tende ad alimentare contraddizioni potenzialmente esplosive e tendenzialmente insanabili.
Le leggi e i decreti sicurezza, i quali, una volta scrostata la sottile patina di colore ad essi impressa dai governi di questo o quello schieramento, mostrano un anima pressoché identica, rappresentano non la causa, bensì il prodotto codificato e “confezionato” di questi processi, a fronte dei quali il razzismo e le paranoie securitarie divengono forse l’ultima “arma di distrazione di massa” a disposizione dei governi per occultare agli occhi di milioni di lavoratori e di oppressi una realtà che vede continuare ad acuirsi il divario sociale sfruttatori e sfruttati, capitalisti e masse salariate.
Alla luce di ciò, è evidente che ogni ipotesi “cambiamento” reale dell’attuale stato di cose, ogni movimento di critica degli effetti nefasti del capitalismo (razzismo, sessismo, devastazione ambientale, guerra e militarismo, repressione) può avere concrete possibilità di vittoria o quantomeno di tenuta solo se saremo capaci di collegare in maniera sempre più stretta e organica il movimento degli sfruttati. Unire le lotte quotidiane portate avanti dai lavoratori, dai disoccupati, dagli immigrati, dagli occupanti casa, di chi difende i territori sottoposti a devastazione ambientale e speculazione ecc.
Come dimostra anche la storia recente, affrontare la repressione come un aspetto separato rispetto alle cause reali e profonde che generano l’offensiva repressiva, significa porsi su un piano puramente difensivo e alquanto inefficace.
L’unico reale rimedio alla repressione è l’allargamento delle lotte sociali e sindacali, così come l’unico antidoto agli attacchi alla libertà di sciopero sta nel riappropriarsi dello strumento dello sciopero. Ciò nella consapevolezza che a fronte di un capitalismo sempre più globalizzato diviene sempre più urgente sviluppare forme stabili di collegamento con le mobilitazioni dei lavoratori e degli sfruttati che, nel silenzio dei media nostrani, stanno attraversando i quattro angoli del globo (dalla Francia all’Iraq, dall’Algeria all’India), il più delle volte ben più massicce di quelle nostrane sia per dimensioni che per livelli di radicalità.
Senza la ricostruzione di un vero e forte movimento politico e sindacale di classe, combattivo e autonomo dalle attuali consorterie istituzionali e dai cascami dei sindacati asserviti, saremo ancora a lungo costretti a leccarci le ferite.
Nell’immediato, diviene sempre più necessario costruire un fronte ampio contro le leggi-sicurezza, per chiedere la loro cancellazione immediata e costruire campagne di informazione e sensibilizzazione finalizzate a fermare la scure repressiva che sta colpendo migliaia di lavoratori, attivisti, giovani e immigrati.
Per tale motivo una delle iniziative che vogliamo fare è quella di mettere in campo un’assemblea l’8 febbraio a Roma per un fronte unico di tutti quelli che si battono contro le politiche anti proletarie e repressive borghesi.
SI Cobas
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a cura del Dott. Emanuele Caggegi Sintesi delle principali novità introdotte dalla Legge di Bilancio 2018 Tra nuove disposizioni fiscali e altre riconferme, la Legge di Bilancio 2018 viaggia ormai verso l’approvazione definitiva da parte del Senato. Ecco di seguito una sintesi degli interventi più[...]
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I Numeri Veri
Introduzione alla nota di Aggiornamento al DUP 2020 -2022
Come da programma dell’attuale Amministrazione i primi sei mesi del mandato sono stati dedicati, tra le altre cose, ad effettuare una attenta ricognizione delle risorse disponibili nel bilancio comunale. Al termine della stessa si riconferma, purtroppo, quanto già evidenziato nel DUP redatto a Luglio e cioè che il bilancio del nostro Comune presenta un deficit strutturale per quanto riguarda le partite correnti. Numeri che certificano il fallimentare bilancio dell’ amministrazione precedente.
Nel 2019, infatti, la gestione corrente trova un equilibrio solo grazie ad una entrata una tantum relativa all’incasso anticipato delle concessioni per le antenne telefoniche (235 mila Euro). Tale importo, ovviamente, viene a mancare nel triennio 2020 -2022. Diminuiscono, al contempo, i trasferimenti statali di un 5% nel 2020 e aumentano alcune spese correnti, tra le quali va menzionata quella relativa al sociale. Manca quindi una sostenibilità’ degli equilibri di bilancio di parte corrente nel triennio in oggetto... Preferiamo ancora ricercare soluzioni alternative agendo su altre entrate che non vedono impatti diretti sui cittadini, nonché’ sulla razionalizzazione delle spese correnti di cui si dirà nel proseiguo. Anche perché’ con il nuovo appalto per il servizio di gestione dei rifiuti avvenuto agli inizi del 2019 i cittadini hanno già dovuto supportare un rilevante aggravio in termini di esborso TARI. E su tale fronte potrebbero esserci, purtroppo, altre sorprese negative a seguito di un contezioso che si è aperto con un importante contribuente TARI che reclama l’errata classificazione della sua attività avvenuta nel 2013.
Nel corso del 2019 è stato anche dato grande impulso all’attività di recupero dell’evasione dei tributi locali procedendo con tutti gli anni che risultavano ancora da accertare. Anche qui, però, la maggiore entrata derivante da tale azione è solo temporanea e riguarda unicamente il 2020.Per quanto riguarda l’IMU siamo in attesa di conoscere cosa sarà contenuto nella Legge Finanziaria 2020 per quanto riguarda la sua unificazione con la TASI. Per quanto riguarda le altre entrate, per una precisa scelta dell’attuale amministrazione si e’ deciso di introdurre una modulazione tariffaria per le famiglie calcolata su base ISEE per i servizi culturali e scolastici che riteniamo essere più giusta ed equa e che andrà a diminuire gli incassi per tale area. Purtroppo si stanno delineando altre “nubi” all’orizzonte per i Cittadini e le casse Comunali.Il passaggio della gestione dell’acqua pubblica alla Società ALFA S.p.A., così come prevede la legge e non più rinviabile nei prossimi 3 anni, per la quale notiamo non esservi stata alcuna attività di preparazione, comporterà:·
Un aumento rilevante delle tariffe per i Cittadini attualmente in vigore dal momento in cui la gestione passerà all’Ente terzo;·
Il sostenimento di alcuni oneri da parte della controllata Solbiate Olona Servizi al momento del trasferimento che non risultano ancora accantonati tra le disponibilità liquide della medesima;·
Una spesa aggiuntiva per le casse comunali in quanto occorrerà pagare l’acqua consumata per fini istituzionali (es. scuole, campi sportivi, ecc.) al futuro Ente. Onere che al momento non appare nei bilanci e per il quale la quantificazione e’ ancora incerta. Ma che sicuramente andrà ad aumentare il deficit delle partite correnti.
Sempre sul lato delle entrate correnti vengono meno, purtroppo, anche le attese ottimistiche sulla Farmacia Comunale e cioè le stime di un giro d’affari di 3 milioni di Euro che doveva portare nelle casse comunali almeno 200 mila Euro di proventi, scenario al quale aveva creduto inizialmente anche l’attuale amministrazione. Invece ci siamo dovuti risvegliare in una realtà completamente diversa con una perdita attesa, recentemente riconfermata dal gestore, per l’anno in corso pari a 60 mila Euro comunque in diminuzione grazie agli interventi effettuati rispetto agli 81 mila Euro calcolati sui dati consuntivi al 30/06/2019, che andrà a gravare sul bilancio 2020. Risultato lontano anche dall’iniziale piano quinquennale che prevedeva nel primo anno un utile di quasi 12 mila Euro (pari al momento ad uno scostamento totale di ben 72 mila Euro). Da qui la necessità di limitare i “danni” al più presto passando ad una concessione che non preveda più il ripiano delle perdite in capo al Comune bensì il pagamento di un canone fisso annuo e di una commissione variabile sul fatturato al di sopra di una certa soglia così come proposto dall’attuale gestore.
Anche la piscina si dimostra sempre più un onere insostenibile per la nostra comunità. A parte le varie ispezioni che hanno fatto emergere la necessità di effettuare interventi rilevanti e costosi sugli impianti, rimane l’esiguità di un canone di concessione che frutta solo 10 mila Euro annui, l’obbligo del ripianamento delle perdite, con quella del 2017 pari a 105 mila Euro ancora in discussione con il gestore e, soprattutto, un costo di funzionamento che pesa lato uscite correnti del bilancio Comunale per ben 107 mila Euro annui. Come per la farmacia stiamo cercando una soluzione a quanto sopra provando a negoziare una diversa convenzione che preveda il sostenimento dei costi di gestione al 100% da parte del medesimo, il pagamento di un canone annuo più elevato, il sostenimento delle spese di rinnovo impianti, l’efficientamento energetico della struttura di cui potrebbero beneficiare anche il campo sportivo e la scuola media e la cancellazione della clausola del ripianamento delle perdite. Ovviamente in cambio dell’allungamento dell’attuale convenzione al fine di dare l’opportunità al gestore di operare in un orizzonte di medio/lungo periodo e di spalmare sullo stesso l’ammortamento dei costi di investimento. Tra l’altro abbiamo anche scoperto che la Società Finanziaria che aveva concesso una fidejussione al precedente gestore fallito, per un importo di 200 mila Euro, è stata dichiarata anch’essa fallita in data 2 Marzo 2018. Ovviamente ciò rende ora tale entrata di difficile realizzazione, per lo meno nell’immediato.
Si sta anche faticosamente rimettendo in piedi la gestione del patrimonio residenziale passato dalla Società Solbiate Olona Servizi al Comune a Gennaio 2019. Tale esercizio sta facendo emergere la necessità di procedere con interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria che andranno a drenare ulteriori risorse nel futuro. Gli stessi riguardano anche gli immobili istituzionali che necessiterebbero di interventi di manutenzione, dalla semplice imbiancatura interna sino a interventi più strutturali come, ad esempio, presso il Centro Anziani.
Al contempo tra le uscite correnti si registra il continuo aumento delle spese sociali rispetto a quanto stimato nel bilancio iniziale di previsione 2019. Aumenta in generale la spesa per il personale in quanto nei primi mesi del 2020 giungeranno a termine i concorsi indetti per l’assunzione di 2 nuove risorse, non addizionali, necessarie a completare l’area ragioneria / personale, attualmente sguarnita così come più volte detto, e le posizioni apicali.
Altri aggregati di spesa sono invece stati ridotti proprio per la ricerca di una loro razionalizzazione ad incremento della sostenibilità degli equilibri di parte corrente, come ad esempio le spese energetiche quale conseguenza dei relativi investimenti già in corso e programmati nel 2020. Dopo aver sviscerato i vari punti che caratterizzano il Bilancio di previsione 2020 – 2022, la quadratura di parte corrente è avvenuta, al momento, secondo quanto segue:·
2020: entrate per recupero evasione, affitti grazie anche ai contributi regionali ERP, revisione canone di concessione Farmacia, concessioni cimiteriali visti gli importi in scadenza, che cercheremo di andare a rinnovare ripristinando la durata in vigore ante ultima modifica, utilizzo dei cosiddetti oneri di urbanizzazione per la copertura dei costi ordinari di manutenzione, così come fatto nel passato ed ulteriore indice di disequilibrio strutturale di parte corrente, e, infine, trasferimento risorse dalla Solbiate Olona Servizi. Circa quest’ultima entrata si riconferma quanto già individuato a Luglio, vendita attuale immobile ex centro femminile, pur prevedendo un minore importo trasferito proprio per tenere conto di quegli oneri che stanno emergendo nel passaggio della gestione acqua alla Società ALFA S.p.A.;·
2021 e 2022: aumento entrate per diversa gestione farmacia e piscina, concessioni cimiteriali e diminuzione di costi per efficientamento energetico e impianto natatorio.
Per dare stabilità e continuità alle fonti di entrata, qualora il contenzioso in essere tra la Regione Lombardia e Federalberghi dovesse chiudersi con una sentenza favorevole alla prima è intenzione di questa Amministrazione introdurre l’Imposta di Soggiorno così come si era intenzionati a fare già per l’anno 2020.
Per quanto riguarda le entrate per investimenti, il 2020 vede la possibilità di disporre di un rilevante importo a seguito della richiesta di modifica della convenzione alla Società Tigros S.p.A. (incasso previsto di 500 mila Euro), il rimanente contributo Pedemontana (per 250 mila Euro) e per il resto altri oneri di urbanizzazione e alienazione di aree edificabili. Resta poi l’eventuale avanzo di amministrazione che scaturirà dal bilancio consuntivo per il 2019.A fronte delle suddette entrate si registrano investimenti per un equivalente importo che riguardano in primis l’efficientamento energetico degli edifici comunali.Per gli anni 2021 e 2022, in linea con quanto effettuato negli anni precedenti, si prevedono solo oneri di urbanizzazione, anche qui in parte utilizzati per finanziare le spese correnti di manutenzione. Altri investimenti parte del programma dell’attuale Amministrazione verranno finanziati con i futuri avanzi...
Questo è il quadro che ci siamo ritrovati a gestire e che stiamo cercando in tutti i modi di migliorare.
Tutti i numeri li trovate qui:http://www.comune.solbiateolona.va.it/zf/index.php/atti-amministrativi/delibere/dettaglio/atto/GTVRFNEq1Yz0-H
(Fonte: https://www.instagram.com/p/B6cfws5i0oi/)
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La Sinistra abolisce il bonus bebè
La Sinistra abolisce il bonus bebè
La scelta governativa di non rifinanziare, con la legge di stabilità 2018, il bonus bebè né di considerare proposte di innalzamento della soglia di reddito di ogni figlio affinché continui ad essere considerato a carico e del contributo forfettario a favore delle famiglie numerose, non è affatto – se sarà confermata – decisione casuale. Per nulla. Risulta difatti totalmente coerente col programma…
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RIFIUTI ZERO È SOLO IPOCRITA UTOPIA
RIFIUTI ZERO È SOLO IPOCRITA UTOPIA
ADRIANO BENIGNI E VALTER NOVELLA ALTISSIMI DIRIGENTI DEL PARTITO UNIONE CATTOLICA RIVENDICANO CON ENORME DISAPPUNTO:
POLITICHE ECONOMICHE CIRCOLARI: QUELLA GIALLOROSSA DEI “RIFIUTI ZERO” È SOLO IPOCRITA UTOPIA CHE VANIFICA LO STESSO RICICLO SE A QUESTO NON SI ABBINANO IMPIANTI DI ULTIMISSIMA GENERAZIONE PER VALORIZZARE ENERGETICAMENTE I RESIDUI PLASTICI.
L’EMERGENZA AMBIENTALE, CON GLI OTTO MILIONI DI TONNELLATE DI PLASTICA CHE OGNI ANNO SOFFOCANO GLI ECOSISTEMI ACQUATICI E I TERRENI, UCCIDENDO LA BIODIVERSITÀ’ ALIMENTANDO LE ECOMAFIE E PROVOCANDO TERRIBILI MALATTIE FRA LE POPOLAZIONI PIU’ DEBOLI E INDIFESE, E’ PRIORITARIA NELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA CATTOLICA, E NOI LA AFFRONTEREMO METTENDO LE MIGLIORI TECNOLOGIE AL SERVIZIO DELLA PIENA APPLICAZIONE DELL’ECOLOGIA INTEGRALE PREVISTA DALL’ENCICLICA “LAUDATO SI’” DI PAPA FRANCESCO”.
Rifiuti Zero? Con la dottrina giallo rossa di “zero” rischia di esserci, solamente e nuovamente, la crescita della nostra economia, come sempre di più emerge da una attenta lettura di ciascuno dei 29 punti alla base della nascita del Conte bis, governo protagonista di una sorta di transumanza dal populismo sovranista a quello pauperistica (affidato al colore giallo grillino) e fiscalista (affidato al colore rosso pidino).
Un pauperismo spaventoso e retrogrado, che porta le lancette del tempo indietro di decenni traducendosi in un approccio “bucolico”, medievale e pseudo fiabesco alle scelte politiche da compiere sia sui capitoli infrastrutturali, sia su quelli ecologici e ambientali. Entrambi fanno registrare, nel documento programmatico di Pd e 5 stelle, delle spericolate e avventuriste andature “a gambero” che, se davvero e tragicamente fosse attuata una benché minima frazione di quanto lì dentro si trova scritto, provocherebbero una gigantesca emorragia e fuga di brevetti, tecnologie innovative e professionalità, in due parole: di investimenti strategici che per il nostro Paese sarebbe poi impossibile recuperare anche solo in piccolissima parte.
Sul tema delle infrastrutture ci siamo già reiterate volte soffermati, ma ci pare il caso di ripeterlo: senza collegamenti ad alta velocità, siamo condannati alla decrescita industriale e commerciale al confronto con l’Europa e con il resto del Mondo, e certamente non rappresenta per noi un bel segnale il fatto che il neo ministro degli Esteri Di Maio, non pago della recessione manifatturiera in cui ha precipitato l’economia nazionale negli ultimi 14 mesi – con effetti ultra drammatici nel Sud – abbia deciso di continuare a essere il “facente funzioni” del dicastero dello Sviluppo economico e di far convergere per la seconda volta consecutiva su di sé funzioni amministrative, risorse e personale nei settori dell’Internazionalizzazione che vorrebbe portare in toto alla Farnesina, adesso suo nuovo interregno.
Forse il pauperistica Di Maio non è a conoscenza della circostanza che i ritardi accumulati nei piani di modernizzazione di ferrovie, autostrade, aeroporti, porti e gallerie non aiutano le relazioni estere dell’Italia e in più fanno pagare alle nostre imprese piccole, medie e pure a quelle più grandi una “sovrattassa” di quasi 80 miliardi di euro all’anno in termini di mancate esportazioni: in pratica, è come se le aziende Italiane nel loro insieme versassero i primi 80 miliardi annui di imposte e tasse a uno Stato che poi non le mette in condizione di andare in pari, non le aiuta a uscire dall’isolamento fisico e commerciale e le sottopone, in conclusione, a perdite di fatturato per un totale quasi equivalente al loro esborso fiscale.
Cosicché, fra tasse che non scendono ed export che non sale, il governo costa al sistema nazionale delle imprese all’incirca 160 miliardi di euro ogni anno.
Più che un’economia circolare, quanto si prospetta dal programma su infrastrutture e ambiente è preparatorio a un circolo vizioso, dove il concetto di “realizzare opere veramente utili ai cittadini” appare vacuo e del tutto indefinito e astratto, e più che altro si configura come una scusante per lunghe ed estenuanti valutazioni di costi e di benefici per negare l’evidenza e la necessità, urgente e vitale, di pronunciare dei “Sì”.
Come quelli che occorre dire, a voce alta e senza indugio, a quelle tecnologie di ultimissima generazione che costituiscono esse stesse delle infrastrutture in quanto al servizio di interi
territori e comunità che, con la loro messa a punto e in opera, vengono liberate da rischi inquinanti e sanitari sempre più alti e insidiosi. Parliamo, per esempio, degli impianti complessi, ampiamente testati e validati con moltissime prove scientifiche e pratiche, per la valorizzazione energetica dei rifiuti plastici.
Su questo punto, il programma giallorosso rasenta l’ipocrita utopia al pari di quella che vuole a ogni costo negare l’utilità dei collegamenti strategici: immaginare un settore del riciclo senza il benché minimo abbinamento a soluzioni tecnologiche per l’incenerimento sicuro e il recupero energetico dei detriti plastici non altrimenti recuperabili, è esattamente come pretendere che la nostra industria automobilistica, ferroviaria e componentistica possa rilanciarsi senza autostrade né ferrovie veloci. Proprio come si è preteso di fare qui da noi, salvo poi stupirsi della crescente delocalizzazione legale e produttiva di tutti questi comparti trainanti e ad altissimo valore aggiunto di tecnologia avanzata e occupazione qualificata.
Allo stato attuale, ogni anno otto milioni di tonnellate di plastica soffocano oceani, mari, corsi d’acqua e terreni fertili, mettendo a rischio la stabilità climatica, la salute umana e quella di 100.000 specie viventi. “Non possiamo permettere che i mari e gli oceani si riempiano di distese inerti di plastica galleggiante. Anche per questa emergenza siamo chiamati a impegnarci, con mentalità attiva, pregando come se tutto dipendesse dalla Provvidenza Divina e operando come se tutto dipendesse da noi”: a scriverlo, con la massima autorevolezza, è proprio Sua Santità Papa Francesco nella lettera datata primo settembre 2018 e indirizzata alle Celebrazioni della Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato.
A un anno da tale solenne missiva, e addirittura a quattro anni dalla promulgazione dell’Enciclica Sociale “Laudato Si, nella quale le sfide della Sussidiarietà pubblica e privata e le crescenti diseguaglianze fra individui e fra Popoli vengono affrontate sottolineando la necessità di realizzare un’ECOLOGIA INTEGRALE e una difesa dell’Ambiente come “Creato di Dio” contro lo sfruttamento infinito delle risorse naturali a partire dall’acqua, il monito del Santo Padre Bergoglio resta di epocale attualità e impone – come scrive la Conferenza Episcopale Italiana nel recente messaggio di questo mese di settembre – che l’attenzione ai più poveri si realizzi attraverso la tutela della Biodiversità “la cui perdita è una delle espressioni più gravi della crisi socio-ambientali. E anche il nostro Paese, l’Italia, è esposto a essa con dinamiche che interessano sia il mondo vegetale che il mondo animale, depotenziando la bellezza e la sostenibilità delle nostre terre e rendendole meno vivibili”.
Immaginare un sistema di riciclo fine a se stesso e privato, per legge, di un complementare sistema di valorizzazione energetica dei rifiuti non riciclabili, significa continuare a intasare le discariche e far sì che i due terzi dei detriti che potrebbero essere trasformati in energia aggiuntiva, economica pulita e sicura, allora sì prodotta davvero in modo circolare, al servizio di famiglie e imprese italiane, rappresentino un costo sociale e ambientale netto per tutti e per ciascuno di noi, e al contrario una possibile fonte di ricchezza per quelle Nazioni dotatesi degli impianti tecnologici funzionali.
Per questo motivo, nel nostro libro CATTOLICI UNITI PER BENEDIRE UN’ITALIA NUOVA, ampio spazio dedichiamo alla politica dell’Ambiente e dei Rifiuti intesa come inseparabile e integrata in ogni altra politica Industriale, Energetica, Rurale, Turistica e Sociale dell’Italia. Perché il “rifiuto zero” sarà possibile solo se “zero” saranno i preconcetti verso soluzioni impiantistiche oramai ineludibili, altrimenti l’unica alternativa sarà avere lo “zero” a fianco della crescita economica, e un segno “più” solo in discarica, sul letto dei fiumi, nei terreni fertili e nei bilanci delle ecomafie e agro mafie.
https://unione-cattolica.org/rifiuti-zero-e-solo-ipocrita-utopia/
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«Presidente Sergio Mattarella, parli dei decreti sicurezza nel suo discorso di fine anno»
Signor Presidente, sono trascorsi quattordici mesi da quando ha firmato il decreto legge in materia di sicurezza e immigrazione dell'ottobre 2018, con l'invio contestuale di una lettera al Presidente del Consiglio contenente alcune osservazioni. E sono passati quattro mesi dalla conversione del decreto sicurezza bis, accompagnata da una nuova lettera ai Presidenti di Senato, Camera e Consiglio dei Ministri con la segnalazione di “rilevanti perplessità” su alcuni punti della norma e la conseguente richiesta di un nuovo intervento normativo. I due provvedimenti, tuttavia, non sono stati ancora modificati e né Parlamento né Governo sono intervenuti a correggere le parti che Lei ha chiesto di modificare, nonostante evidenti e pesanti siano le conseguenze di tale inerzia sui nostri territori. Eppure, Signor Presidente, Lei ha indicato chiaramente la direzione verso cui tendere, rimarcando l’intangibilità di alcuni diritti che sono garantiti dalla Costituzione: in particolare, quanto direttamente disposto dall'art. 10 e quanto discende dagli impegni internazionali assunti dall'Italia. In merito alla cancellazione della protezione umanitaria, Lei ha voluto rimarcare che nel nostro Paese è garantito il diritto d'asilo, strettamente legato all'esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana. Riguardo alla messa sotto accusa del soccorso in mare e delle organizzazioni impegnate a salvare vite umane nel Mediterraneo, ha ricordato che nessun decreto può prescindere dalla Costituzione e da quanto discende dagli impegni internazionali assunti dall'Italia: l'obbligo dei naviganti di salvare i naufraghi è prioritario e nessun divieto può essere disposto se travalica gli obblighi internazionali. (...) Nonostante tale drammatica acclarata situazione, l'Italia e l'Unione europea continuano a supportare alcuni corpi militari libici affinché impediscano ai migranti di raggiungere le nostre coste per poi essere nuovamente rinchiusi in condizioni inaccettabili in piena violazione degli obblighi internazionali, a partire dalla Convenzione di Ginevra e dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, oltre che, ancora, della nostra Costituzione. Per tali ragioni crediamo che si debba sospendere il memorandum del 2017 con la Libia, prima della scadenza del prossimo febbraio. Alla luce di tali considerazioni, Le chiediamo, Signor Presidente, di ribadire, durante il messaggio di fine anno agli italiani e con un messaggio alle Camere, la Sua richiesta di intervento a Governo e Parlamento sui decreti “sicurezza” per far rientrare quanto prima il Paese nella legalità costituzionale e nel rispetto degli obblighi internazionali. Sarebbe inoltre un segnale importante in tal senso, dedicare un passaggio alla situazione libica e alla necessità di arrivare al più presto a soluzioni che consentano a quel Paese di trovare finalmente una stabilità e mettere fine alle violenze cui sono sottoposte le migliaia di persone rinchiuse in condizioni disumane, richiamando al contempo al rispetto dei diritti inviolabili di ogni essere umano, come sancito dalle convenzioni internazionali sottoscritte dall’Italia. Confidando nella Sua attenzione, Le porgiamo i nostri più sentiti e cordiali saluti. La lettera può essere sottoscritta qui: https://www.radicali.it/campagne/signor-presidente/
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Un’ipotesi interpretativa dell’Avv. Paolo Cognini. Si è molto discusso in questi giorni su come interpretare le recenti norme introdotte dal decreto legge “Salvini” e successivamente convertito in legge. Diverse amministrazioni comunali si sono interrogate sul come attuare o non attuare alcuni dispositivi. L’intervento dell’Avv. Cognini, non solo delinea un principo giuridico logico interessante, ma allo stesso tempo evidenzia come impedire al richiedente di regolarizzare la residenza implichi anche imporre allo stesso la violazione di norme, sanzionate penalmente, che invece prevedono l’obbligo, per chi ha la dimora abituale nel comune, di procedere alla propria iscrizione negli elenchi della popolazione residente
Riguardo alle problematiche attinenti all’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, insorte in conseguenza a quanto disposto dall’art. 13 del Decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, (convertito con modificazioni nella legge 1 dicembre 2018, n. 132), vorrei proporre un breve riflessione operativa per contribuire ad arricchire il terreno degli strumenti utilizzabili ai fini di una sostanziale disapplicazione del disposto normativo. Premesso che la questione deve essere primariamente affrontata sostenendo in tutte le sedi l’incostituzionalità della norma e la necessità di una disobbedienza radicale alla sua applicazione, resta il fatto che da diverse amministrazioni comunali, pur in assenza di iniziative eclatanti, pervengono richieste di indicazioni operative utili ad aggirare l’ostacolo.
A tale riguardo ritengo che alcuni tentativi possano essere esperiti senza perdere di vista la visione complessiva e la necessità di una battaglia volta alla rimozione giuridica della norma. Sotto questo profilo sono emerse nel corso delle settimane diverse ipotesi di approccio. In alcuni casi è stato individuato l’art.32 del DPR 223/1989 come uno strumento praticabile al fine di pervenire all’iscrizione dei richiedenti asilo nello schedario della cosiddetta “popolazione temporanea”.
Personalmente ritengo tale prospettiva densa di insidie e criticità, sia sotto il profilo delle implicazioni di natura “differenziale” che ne derivano, sia sotto il profilo dell’effettiva efficacia di tale strumento ai fini della tutela dei diritti fondamentali della persona connessi al riconoscimento della residenza. Credo tuttavia che l’art.32 del DPR 223/1989 possa tornare utile sotto una diversa prospettiva. L’articolo in oggetto prevede espressamente che lo schedario della popolazione temporanea concerna “…i cittadini italiani o gli stranieri che, essendo dimoranti nel comune da non meno di quattro mesi,non si trovano ancora in condizione di stabilirvi la residenza per qualsiasi motivo…” (la seconda parte del comma 1 relativa specificatamente agli stranieri non è rilevante in quanto fa riferimento ad un’ipotesi abrogata): l’iscrizione temporanea riguarda, pertanto, coloro che, nonostante risultino dimoranti nel comune da non meno di quattro mesi, non possano stabilirvi la residenza per i più svariati motivi, ovviamente non codificati.
A ben vedere, dunque, il disposto normativo attribuisce alla dimora nel comune da almeno quattro mesi la vis di integrare il requisito oggettivo della stabilità della dimora (necessario per ottenere la residenza) condizione che, tuttavia, nell’ipotesi contemplata dal citato art.32, non sfocia nella residenza a causa di altre variabili che intervengono nel caso specifico. Muovendo da tale dato normativo si potrebbe efficacemente sostenere la possibilità di pervenire all’iscrizione anagrafica ordinaria del richiedente asilo integrando l’esibizione del permesso di soggiorno con la documentazione attestante la presenza del richiedente nel territorio del comune da almeno quattro mesi (facilmente ricavabile dalla documentazione relativa all’inserimento del richiedente in accoglienza). In questo caso il richiamo all’art.32 del DPR 223/1989 avrebbe l’unica funzione di “agganciarsi” ad un parametro temporale “certo” e giuridicamente rilevante, in presenza del quale l’abitualità della dimora non sarebbe né contestabile né ignorabile, con la conseguenza che, in presenza delle altre condizioni, in primis quella della regolarità del soggiorno, il rifiuto dell’iscrizione anagrafica ordinaria (e non quella nella popolazione temporanea) sarebbe chiaramente ingiustificato. L’art.13, co. 1, lett.a, n.2 del D.l. Salvini dispone testualmente che “Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 (ndr permesso per richiesta d’asilo) non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell’articolo 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286” (disposto inserito nell’art.4 del D.lgs. n.142/2015 attraverso il nuovo comma 1bis).
Al fine di enucleare l’effettivo contenuto giuridico della norma è necessario dissociarlo dalla palese volontà “politica” del legislatore, chiaramente orientata ad impedire l’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, per ricondurre l’interpretazione all’interno di canoni rigorosamente giuridici. Il fatto che nel disposto normativo non si sancisca direttamente il divieto di iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, ma unicamente l’asserita inidoneità del titolo di soggiorno, ha una sua implicazione: formalmente non è in discussione il diritto soggettivo all’iscrizione anagrafica (peraltro sancito da plurimi disposti normativi tuttora in vigore) ma il cosiddetto “titolo” atto a conseguirla. Così circoscritto il tema dell’interpretazione giuridica, è necessario interrogarsi sulla effettiva portata del contenuto normativo. A ben vedere, infatti, la normativa che disciplina il procedimento finalizzato all’iscrizione anagrafica non prevede ipotesi di iscrizione anagrafica conseguenti all’esibizione di una sorta di titolo “abilitativo” all’iscrizione stessa.
L’iscrizione anagrafica consegue unicamente alla sussistenza di una serie di condizioni, oggettive e soggettive, che nel loro venire in essere determinano l’insorgere del relativo diritto: tali condizioni sono sostanzialmente riassumibili nella sussistenza di documenti atti ad identificare l’istante, della dichiarazione di volontà dello stesso di stabilire la propria residenza nel territorio comunale, del requisito oggettivo della stabilità della dimora e della documentata regolarità del soggiorno, nel caso in cui si tratti di cittadino straniero.
In tale contesto normativo il concetto di “titolo per l’iscrizione anagrafica” non ha giuridicamente senso: esso potrebbe acquisire significato solo se riferito a specifiche e limitate ipotesi in cui l’iscrizione anagrafica conseguisse alla mera sussistenza del titolo di soggiorno, a prescindere dal concorso delle altre condizioni ed, in particolare, del requisito della dimora abituale (considerato che le altre condizioni risulterebbe comunque assolte).
La questione, se riferita alla posizione dei richiedenti asilo, potrebbe, in astratto, avere una sua logica. In via del tutto teorica, infatti, il permesso di soggiorno per richiesta di asilo potrebbe essere rilasciato anche in tempi molto brevi (la Commissione Territoriale dovrebbe provvedere al colloquio con il richiedente entro 30gg dal ricevimento della domanda, cosa che in realtà non si verifica mai), e, di conseguenza, venire ad esistenza prima ancora che la presenza del richiedente in un dato territorio comunale abbia maturato le caratteristiche della “dimora abituale” (consideriamo anche che non tutti i richiedenti sono inseriti nelle strutture di accoglienza). In un simile contesto sarebbe giusto, per le garanzie che dovrebbero comunque essere assicurate al richiedente, consentire la sua iscrizione anagrafica pur in assenza del requisito della stabile dimora: in tal caso si potrebbe correttamente parlare di “titolo valido per l’iscrizione anagrafica” perché l’iscrizione anagrafica conseguirebbe alla mera sussistenza del titolo di soggiorno, prescindendo completamente dal requisito della stabile dimora. Per le stesse ragioni il disposto di cui all’art.13, co. 1, lett.a, n.2 del D.l. Salvini non può che essere interpretato coma la negazione di tale specifica possibilità e non come il “divieto” generalizzato all’iscrizione anagrafica del richiedenti asilo.
In sostanza, attraverso tale linea interpretativa, l’ipotesi di legge, ovvero l’inidoneità del titolo di soggiorno ai fini dell’iscrizione anagrafica, andrebbe confinata nella mera eventualità che esso non sia integrato con l’elemento oggettivo dell’abitualità della dimora: ove tale titolo di soggiorno venisse prodotto unitamente alla documentazione comprovante “l’abitualità della dimora”, tale inidoneità sarebbe superata. Se così non fosse, l’intero sistema risulterebbe inficiato da una insanabile illogicità.
Nel caso in cui il richiedente asilo formulasse richiesta di iscrizione anagrafica documentando anche la stabilità della dimora nel territorio comunale, nell’ambito del relativo procedimento il titolo di soggiorno risulterebbe rilevante unicamente quale documento attestante l’identità del richiedente e la regolarità del soggiorno sul territorio nazionale.
Nello scrutinio dell’istanza il responsabile dell’ufficio anagrafe non avrebbe alcuna possibilità di valutare il permesso di soggiorno sotto profili diversi da quelli attinenti alla valida certificazione dell’identità del richiedente e della regolarità del suo soggiorno nel territorio nazionale: la normativa in materia di iscrizione anagrafica, infatti, non consente né di chiedere, né di valutare ipotetici titoli “abilitativi” all’iscrizione stessa. Nell’ambito, dunque, del procedimento di iscrizione anagrafica, in cui la richiesta di iscrizione sia stata opportunamente corredata con la documentazione comprovante il requisito della dimora abituale, un eventuale giudizio di “inidoneità” del permesso di soggiorno per richiesta d’asilo, non potrebbe assumere altro significato giuridico se non quello della sua inidoneità identificativa, il che risulterebbe in insanabile contrasto con quanto espressamente affermato nello stesso art.13, co. 1, lett.a, n.1 del D.l. Salvini, secondo cui “Il permesso di soggiorno costituisce documento di riconoscimento ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera c) , del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445” (disposto inserito nell’art.4, co. 1, del D.lgs. n.142/2015).
Sulla base di quanto sopra esposto, si potrebbe, dunque, pervenire ad un’interpretazione applicativa dell’art.13, co. 1, lett.a, n.2 del Decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 secondo cui l’inidoneità del permesso di soggiorno per richiesta di asilo a costituire titolo utile all’iscrizione anagrafica, riguarderebbe unicamente i casi in cui ad esso non sia associato il requisito della dimora abituale, mentre non riguarderebbe la generalità delle richieste di iscrizione che, invece, di tale requisito si possano avvalere.
Ovviamente, il requisito della stabile dimora potrebbe essere comprovato attraverso diverse modalità. Il riferimento al parametro temporale dei quattro mesi che ho trattato nella parte iniziale ha primariamente una finalità “tattica”: considerato il difficile contesto in cui ci troviamo ad agire è bene agganciarsi a parametri formali e generali gestibili che, tuttavia, non esauriscono il campo delle possibilità laddove sia riscontrabile una maggiore elasticità interpretativa sul versante amministrativo.
In ogni caso è bene evidenziare che una richiesta di iscrizione anagrafica corredata dal titolo di soggiorno e dalla prova della dimora nel territorio comunale da almeno quattro mesi, porrebbe l’ufficio competente difronte ad una seria contraddizione: ignorare tout court il dato della dimora nel comune integrerebbe comunque una violazione dell’art.32 del DPR 223/1989, mentre l’iscrizione nella popolazione temporanea (che in ogni caso implicherebbe una specifica attività da parte degli uffici alimentando ulteriori contraddizioni) sarebbe a sua volta illegittima (e quindi impugnabile) in quanto le condizioni per l’iscrizione ordinaria sarebbero tutte sussistenti ed il ricorso allo schedario della popolazione temporanea ingiustificato.
Vale la pena, peraltro, evidenziare che nel maturarsi del requisito della dimora abituale, l’iscrizione anagrafica, oltre a configurare un diritto soggettivo della persona, configura anche un obbligo a cui assolvere. Ai sensi dell’art.2 della L.n. 1228/1954 “…E’ fatto obbligo ad ognuno di chiedere per se’ e per le persone sulle quali esercita la patria potestà o la tutela, la iscrizione nell’anagrafe del Comune di dimora abituale…” ed il mancato adempimento a tale obbligo viene espressamente sanzionato dal successivo art.11 dello stesso testo di legge, ai sensi del quale “…Chiunque avendo obblighi anagrafici contravviene alle disposizioni della presente legge ed a quelle del regolamento è punito, se il fatto non costituisce reato più grave, con l’ammenda da Euro 25,82 a Euro 129,11. Per le persone residenti nei territori dello Stato in seguito ad immigrazione dall’estero, che non hanno provveduto a curare la propria iscrizione e quella delle persone sottoposte alla loro patria potestà o tutela nell’anagrafe del Comune dove dimorano abitualmente… si applica l’ammenda da Euro 51,65 a Euro 258,23”.
Tutto ciò implica che laddove la dimora nel territorio comunale abbia assunto i caratteri dell’abitualità, l’iscrizione anagrafica integra anche gli estremi di un “dovere”, che altra norma dello Stato non può imporre di violare.
Personalmente ritengo che lo schema interpretativo proposto possa essere utilmente esperito, quantomeno al fine di valutarne “sul campo” gli eventuali esiti e di far emergere contraddizioni ed incongruenze che minano alla radice il nuovo assetto normativo. Resta comunque il fatto che, in attesa di risultati su altri piani, siamo costretti a muoverci in una logica di “riduzione del danno”, logica che può essere utile sotto il profilo contingente e tecnico-operativo, ma che non deve in alcun modo ridimensionare la battaglia centrale che siamo chiamati a sostenere, ovvero quella volta all’abrogazione dell’intero impianto normativo del D.L. Salvini, attraverso la sua delegittimazione giuridica (l’incostituzionalità), ma anche sociale e politica.
Avv. Paolo Cognini
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Scuole, via libera ai mutui BEI per 1,55 miliardi di euro
17/04/2019 - È stato pubblicato sul sito internet del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (MIUR) il DM 1 febbraio 2019 che autorizza le Regioni ad utilizzare 1,55 miliardi di euro di mutui BEI per realizzare circa 900 interventi di messa in sicurezza, ristrutturazione e nuova costruzione di scuole. Gli interventi finanziati sono quelli inclusi nei piani regionali triennali di edilizia scolastica di cui alla programmazione unica nazionale definita nel gennaio 2018, selezionati dalle Regioni e approvati dal MIUR. Le Regioni potranno quindi realizzarli con mutui da richiedere alla Banca Europea per gli Investimenti (BEI) oppure alla Banca di Sviluppo del Consiglio d’Europa, attraverso Cassa depositi e prestiti (CDP). 1,55 miliardi di euro è la cifra che risulta dall’‘attualizzazione’ dei ben noti 1,7 miliardi di euro previsti dalla Legge di Stabilità 2016 (Legge 208/2015) e stanziati dalla.. Continua a leggere su Edilportale.com
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Più Solidarietà
CONTRATTO DI SERVIZIO 2019/2021 FRA L'AZIENDA SPECIALE CONSORTILE "MEDIO OLONA SERVIZI ALLA PERSONA" E IL COMUNE DI SOLBIATE OLONA
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A. Area Minori
Servizio tutela minori
Il servizio tutela minori garantisce interventi finalizzati alla protezione/tutela dei minori con provvedimento dell’autorità giudiziaria (sia civile che penale) e al sostegno/recupero delle competenze educative delle famiglie di appartenenza. Offre la consulenza in materia agli operatori dei servizi territoriali, la mediazione famigliare e la consulenza legale.
Servizio di Assistenza Domiciliare Minori
Il servizio di assistenza domiciliare minori, attraverso interventi di tipo educativo realizzati presso il domicilio del minore o presso servizi e strutture del territorio, per prevenire il disagio e riparare situazioni problematiche conclamate.
Servizio affidi
Il servizio affidi, collaborando con le realtà pubbliche e private che si occupano di affido, sensibilizza il territorio al tema fornendo formazione e informazioni.
Valuta le coppie al fine di abbinare minore e famiglia affidataria, accompagnando e monitorando gli stessi nel percorso di affido.
Servizio adozioni
Il servizio adozioni si occupa di informazione, sensibilizzazione e formazione sul tema. Svolge le indagini psico-sociali richieste dall’autorità giudiziaria e offre supporto ai genitori adottivi.
Tempo famiglia
Il servizio tempo famiglia offre occasioni di mutuo-aiuto e supporto professionale sulle strategie educative per indirizzare la famiglia ad un supporto psicopedagogico o ai servizi territoriali più adatti.
Servizi scolastici
Il servizio di assistenza ad personam e/o di gruppo fornisce interventi educativi (e/o assistenziali) sia in orario scolastico che extra scolastico. Si rivolge a studenti con diagnosi funzionale frequentanti gli istituti di ogni ordine e grado.
Il servizio di pre e post scuola garantisce la possibilità di anticipare l’ingresso o posticipare l’uscita da scuola degli alunni rispetto all’orario delle lezioni e favorisce la conciliazione tempo lavoro-vita.
Il servizio di facilitazione linguistica si rivolge ad alunni stranieri che presentano alcune difficoltà
Il servizio di accompagnamento nel trasporto scolastico garantisce personale dedicato durante il tragitto casa-scuola e scuola-casa.
Il servizio di assistenza alla mensa si concretizza in un’assistenza durante il tempo-mensa.
Il servizio di supporto/sportello psicologico e/o psicopedagogico si rivolge sia ai docenti sia ai genitori sia agli alunni per consulenze psicologiche e supporto in situazioni particolari.
Progetto V.Ol.O.
Il progetto V.Ol.O. è un intervento di orientamento verso la scelta della scuola secondaria di secondo grado
B. Area Anziani
Servizio di assistenza domiciliare
Il servizio di assistenza domiciliare offre assistenza diretta nella cura della persona, ma anche al suo ambiente di vita, e di supporto al contesto socio-relazionale, a persone anziane o in situazione di fragilità in un’ottica di prevenzione secondaria e di riabilitazione, nonché di reinserimento e mantenimento della persona nel proprio ambiente di vita.
Pasti a domicilio
Il servizio di pasti a domicilio si rivolge, di norma, a persone anziane (ultrasessantacinquenni) con ridotta autonomia funzionale e persone disabili incapaci di provvedere in modo autonomo alla preparazione dei pasti, che vivono sole o con familiari non in grado di provvedere a tale necessità.
Telesoccorso
Il servizio di telesoccorso risponde alla necessità di soggetti parzialmente non autosufficienti di chiedere aiuto in situazioni di emergenza garantendo un pronto intervento immediato 24 h su 24 h e viene attivato a favore di chi ne fa richiesta.
Trasporto Sociale
Il servizio ha lo scopo di favorire la mobilità delle persone con difficoltà di spostamento per il raggiungimento delle strutture socio-ricreative, sanitarie, socio-sanitarie e assistenziali, con trasporti abituali e/o occasionali, sostenendo l’accessibilità ai servizi di pubblica utilità e garantendo l’autonomia personale.
C. Area Disabili
Servizio di assistenza domiciliare
Il servizio di assistenza domiciliare offre assistenza diretta nella cura della persona, ma anche al suo ambiente di vita, e di supporto al contesto socio-relazionale, a persone anziane o in situazione di fragilità in un’ottica di prevenzione secondaria e di riabilitazione, nonché di reinserimento e mantenimento della persona nel proprio ambiente di vita.
Servizio Inserimenti Lavorativi – Progetto Giasone
Il servizio NIL realizza progetti di integrazione socio lavorativa i disabili e per la generalità dei cittadini che richiedono uno specifico intervento d’accompagnamento sociale.
Il servizio si fonda su una metodologia di intervento che prevede un lavoro di programmazione e di progettazione individuale con i Servizi Sociali Comunali, i Servizi territoriali Specialistici, i Centri per l’Impiego, le realtà produttive-industriali-artigianali, le Agenzie formative, gli Informalavoro comunali, il Collocamento Mirato provinciale e le Associazioni di Categoria.
D. Area Inclusione sociale
Segretariato sociale e Servizio sociale professionale
Il servizio offre informazioni e orientamento per facilitare l’accesso ai servizi nei diversi ambiti di intervento: famiglie, minori, anziani, disabili, utenza diversificata
L’azienda ha costituito nel 2017 un’equipe degli operatori che operano in questo servizio e nel SIA REI, quale occasione di confronto e scambio sui metodi di intervento, sulla gestione delle situazioni più critiche.
Sportello immigrati
Lo sportello immigrati offre ai cittadini italiani e stranieri informazioni e orientamento verso i servizi territoriali e assistenza per il disbrigo delle pratiche
E. Area progetti
Progetto PASS
L’Azienda ha elaborato e sta realizzando il progetto PASS che prevede l’apertura sul territorio dell’Ambito di diversi punti unici di accesso ai servizi socio sanitari e socio assistenziali e fornisce anche servizio di CUP e scelta e revoca.
L’equipe, formata da personale amministrativo e da un assistente sociale è specializzata sul sistema dei servizi rivolti a persone fragili, disabili e anziani, e in caso di bisogni complessi accompagna la persona/famiglia verso il servizio specialistico più adatto.
Con la realizzazione del PASS si attua anche la previsione normativa disciplinata dalla L.R. 15/2015, garantendo l’apertura dello sportello per l’assistenza familiare e l’istituzione/aggiornamento del registro territoriale degli assistenti familiari.
L’Azienda, in qualità di partner, svolge attività di promozione dei progetti realizzati dai Comuni dell’Ambito (es. progetto “Work life balance: crescere insieme cooperando”).
F. Progetti/attività dell’ente capofila
SIA REI
L’Azienda, come ente capofila dell’Ambito di Castellanza, gestisce le risorse di cui al finanziamento dell’Avviso 3/2016 per le annualità 2017-2018-2019 afferente al PON Inclusione 2014-2020. Attraverso tale finanziamento da Dicembre 2016 è garantito per 38 h settimanali il potenziamento del servizio di segretariato sociale dei Comuni dell’Ambito al fine di accogliere e supportare le famiglie in possesso dei requisiti che desiderano presentare domanda di accesso alle misure nazionali di Sostegno all’Inclusione Attiva e di Reddito di Inclusione. È garantita allo stesso tempo la presa in carico dei nuclei che hanno accesso alle misure al fine di elaborare il progetto personalizzato di inclusione sociale e attivazione lavorativa e monitorarne l’adesione, condizione necessaria al fine del mantenimento del beneficio economico concesso. Il finanziamento copre anche parte delle spese per l’implementazione della Cartella Sociale Informatizzata avviata nell’anno 2017, spese per l’acquisto di dotazione strumentale e informatica utile allo svolgimento del servizio e per iniziative formative rivolte agli operatori coinvolti nell’attuazione delle misure.
Reddito di cittadinanza (Fondo Povertà)
Il Fondo Povertà, istituito dalla Legge di Stabilità 2016, prevede l'impiego di risorse per la valutazione multidimensionale finalizzata ad identificare i bisogni del nucleo familiare e per i sostegni da individuare nel progetto personalizzato prevedendo un miglioramento progressivo delle condizioni di vita delle persone e delle famiglie che si trovano in stato di bisogno, attraverso la combinazione di 3 componenti: un adeguato sostegno al reddito, l’accesso ai mercati del lavoro in grado di favorire l’inserimento, l’accesso a servizi di qualità. Possono accedere alle risorse destinate dal Fondo Povertà:
1) Beneficiari della misura Reddito di Cittadinanza
2) Singoli o nuclei in condizione di povertà estrema che non rientrano tra i beneficiari del Reddito di Cittadinanza. Ai fini dell’individuazione delle famiglie in tale condizione, si tiene conto della disponibilità di denaro necessario a soddisfare i bisogni primari, cibo, vestiti, abitazioni, della possibilità di accedere ai beni ed ai servizi necessari per vivere.
Con i fondi assegnati all’Ambito tramite questo fondo si potenziano le attività di segretariato sui comuni e si offrono servizi per la realizzazione dei progetti attivati.
Fondazione del Varesotto
Progetto “welfare inclusivo: un'opportunità per tutti” in collaborazione con il Comune di Busto Arsizio, Fondazione del Varesotto e ASC. Il progetto si sostanzia in formazione svolta dalla Psicologa Marta Zighetti basata sul welfare aziendale inclusivo che si declina, in questo caso, in progetti di inserimento di adulti (rei e rdc) normodotati ma socialmente fragili. La fondazione del Varesotto finanzierà il tempo della formazione, il comune di Busto Arsizio e ASC si relazioneranno con le aziende interessate e finanzieranno il costo dei tirocini mentre il capofila del progetto elaborerà il progetto.
Progetto conciliazione
L’Azienda, come ente capofila dell’Ambito di Castellanza, è soggetto capofila del progetto “La conciliazione…pronti, via sperimentiamo…” che si propone di sensibilizzare il territorio sui temi della conciliazione dei tempi di vita con i tempi lavorativi e di sostenere le famiglie che fruiscono di servizi di conciliazione attraverso l’erogazione di buoni/voucher.
Rete antiviolenza – Centro ICORE
L’Azienda, come ente capofila dell’Ambito, ha aderito alla Rete Antiviolenza interistituzionale di Varese. La Rete, ai sensi della DGR 6714/2017, sta realizzando il progetto Chi. Ama (finanziato da Regione e attraverso il cofinanziamento degli Ambiti territoriali) che prevede di sostenere le attività e gli interventi assicurati dai Centri Antiviolenza
Dipendenza gioco d’azzardo
L’Azienda, come ente capofila dell’Ambito, ha aderito al Progetto #Azzardotivinco 2019 che prevede di realizzare una serie di iniziative finalizzate a sensibilizzare la cittadinanza sulla dipendenza generata dal gioco d’azzardo.
Ambliopia
Ai cittadini dell’Ambito è offerta informazione sull’ambliopia e la possibilità di prenotare visite gratuite di screening per bambini tra i 10 e i 22 mesi al fine di prevenire l’insorgere della patologia e di altri difetti macroscopici della vista.
Politiche abitative
Gestione di misure a sostegno delle famiglie per il mantenimento dell’abitazione in locazione o per la ricerca di nuove soluzioni abitative temporanee, volte al contenimento dell’emergenza abitativa con l’utilizzo di fondi regionali.
Gestione bandi per assegnazione/utilizzo Fondi regionali e nazionali
L’Azienda gestisce, sulla base delle indicazioni normative e della programmazione approvata dall’Assemblea dei Sindaci del Piano di zona, organo esterno all'Azienda, le risorse dei Fondi regionali e nazionali (FNPS, FSR, FNA, Fondo emergenza abitativa).
documentazione completa al link: http://www.solbiateolona.org/c012122/mc/mc_p_dettaglio.php
=====================================================
REGOLAMENTO DEL FONDO SOCIALE
COMUNE D I SOLBIATE OLONA
Art. 1 – Finalità
1.1. Il Comune di Solbiate Olona fonda la propria attività istituzionale anche sul principio della compartecipazione e della solidarietà ai soggetti più deboli
della società e considera di valore preminente tutte quelle iniziative rivolte al
sostegno della famiglia o del singolo individuo.
Sulla base di tali principi è istituito un Fondo di Solidarietà da destinarsi ai casi in cui singole persone o nuclei familiari si trovino a dover fronteggiare un’improvvisa e straordinaria situazione di disagio economico derivante da avvenimenti che mettono in crisi la capacità di reddito ed il menage familiare.
L’esigenza nasce anche in seguito alla valutazione che le risorse, a
disposizione dei servizi sociali sono insufficienti a fronteggiare le varie
emergenze del settore e che risulta improcrastinabile l’individuazione di
idonei strumenti a sostegno delle attività sociali svolte dal Comune.
Gli interventi sono rivolti ai cittadini italiani e stranieri regolarmente
soggiornanti e con residenza anagrafica nel Comune di Solbiate Olona da
almeno tre anni, come previsto dal vigente Regolamento comunale per
l’erogazione di contributi economici ai fini socio-assistenziali.
1.2. Il presente regolamento disciplina gli interventi a sostegno delle persone
che, per ragioni indipendenti dalla loro volontà, versino improvvisamente in
condizioni di gravissima emergenza sia essa di ordine sanitario che sociale e
non possano, quindi, usufruire dell’assistenza istituzionalmente intesa.
Art. 2 – Obiettivi del Fondo
2.1. Il Fondo di solidarietà è destinato oltre che al sostegno delle attività
sociali svolte dal Comune ad incentivare l’attività amministrativa nell’ambito
delle azioni ordinarie per la solidarietà sociale. In particolare il Fondo ha la
funzione di:
a) - integrare le azioni di sostegno per altre situazioni di disagio o di bisogno
non risolvibili con il normale intervento di assistenza sociale;
b) - consentire interventi di sostegno al reddito di natura straordinaria in
relazione a situazioni di crisi occupazionale acute alla cui gestione non si può
provvedere con gli strumenti disposti dalla vigente legislazione;
c) - integrare, laddove non sufficiente, l’assistenza agli anziani privi di parenti;
d) – consentire interventi a tutela e sostegno delle donne e ragazze madri
colpite da gravi disagi familiari (violenza, abusi, maltrattamenti, stalking etc.),
finalizzati a garantire per sé e per i figli una integrazione sociale e l’esercizio dei diritti fondamentali.
Art. 3 – Finanziamento del Fondo di Solidarietà
3.1. Il Fondo di Solidarietà è finanziato con le donazioni di privati cittadini,
imprese, enti, associazioni, società, banche, dai versamenti volontari del
cinque per mille
Allo scopo il Comune si dota di apposito C/C postale.
La donazione da terzi diviene quindi una delle modalità di incremento del
Fondo, al pari delle altre forme eventualmente previste dalle leggi. La sua
istituzione è disciplinata dalla costituzione di un apposito capitolo del bilancio
comunale. Il fondo può essere integrato anche con fondi di bilancio.
Art. 4 – Gestione del Fondo di Solidarietà
4.1. Il Fondo di Solidarietà costituisce parte integrante del Bilancio Comunale.
Per quanto riguarda l’individuazione dei beneficiari, le priorità negli interventi
di sostegno, i criteri generali per la determinazione del contributo, i contributi
temporanei, le modalità di calcolo, le esclusioni, le procedure per l’accesso ai
contributi, i controlli, la deroga ai requisiti previsti si rimanda al vigente
Regolamento comunale per l’erogazione do contributi ai fini socioassistenziali.
Art. 5 – Utilizzo straordinario del Fondo di Solidarietà
5.1. Il Sindaco e La Giunta possono su semplice richiesta dell’Assistente
Sociale anticipare parte delle somme presenti nel Fondo di Solidarietà ad
interventi che sono di pertinenza dell’Amministrazione Comunale,
esclusivamente in caso di interventi che richiedano una disponibilità
immediata di fondi che non sia possibile erogare con le normali procedure
amministrative e che rientrino nelle finalità di cui all’art. 1.
5.2. La richiesta dell’Assistente Sociale deve specificare: l’intervento da
finanziare e le motivazioni che giustificano l’utilizzo straordinario del Fondo di
Solidarietà con particolare riferimento alle caratteristiche di urgenza e reale
necessità.
5.3. Le somme così destinate sono in realtà solo anticipate dal Fondo e
devono essere immediatamente reintegrate non appena conclusosi l’iter
amministrativo che avrebbe dovuto finanziare l’intervento per cui è stata fatta
la richiesta.
Art. 6 – Rinvio alla normativa
6.1. Per quanto non previsto dal presente Regolamento si fa riferimento alle
leggi o ai regolamenti vigenti.
Art. 7 – Entrata in vigore
7.1. Il presente regolamento entra in vigore contestualmente alla raggiunta
esecutività della deliberazione inerente la sua approvazione.
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Deficit Pil 2019 al 2,4%, manovra finanziaria, rischio Italia, Fed - Mercati Settembre 2018
Il punto sui più recenti avvenimenti economico-finanziari con Andrea Rocchetti, Responsabile Area Consulenza Moneyfarm. Con il deficit Pil al 2,4% la manovra italiana presentata dal governo 5 Stelle mette sull’attenti i mercati. La Legge di stabilità 2019 costituisce un'inversione di rotta rispetto al passato. La Federal Reserve alza i tassi di interesse. Approfondisci qui: Non ti sei ancora registrato a Moneyfarm? Fallo subito: Iscriviti al nostro canale YouTube: Diventa fan su Facebook: Seguici su Twitter: Read the full article
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Prorogati i bonus casa per ristrutturazione e sicurezza
La legge di Bilancio 2019 proroga tutti i bonus casa, ovvero le detrazioni fiscali su ristrutturazioni, risparmio energetico, bonus verde.
Per quanto riguarda le agevolazioni previste per l'installazione di un sistema di videosorveglianza (ricordiamo che furono introdotte con la Legge di Stabilità del 2016 al fine di accrescere la sicurezza di cittadini e imprese e favorire la prevenzione di atti criminali), sono confermate e rientrano negli interventi agevolabili con il bonus ristrutturazione.
Saranno fruibili per impianti installati fino al 31 dicembre 2019, senza particolari modifiche rispetto alle regole applicate nel 2018 e negli anni scorsi. La detrazione massima consentita è pari al 50% , con la condizione che il pagamento delle suddette spese avvenga tramite bonifico parlante, o bonifico bancario o postale ordinario anche online.
Si ricorda infine che il bonus non viene riconosciuto per i contratti stipulati con le agenzie di vigilanza e che nelle spese agevolabili rientrano anche i costi per il sopralluogo, il progetto e l'installazione degli impianti di videosorveglianza. Sono incluse anche le spese sostenute per il rilascio della certificazione e conformità alla legge sulla privacy e per la documentazione necessaria per accedere all'agevolazione.
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INTERVENTI E SERVIZI DI CONTRASTO ALLA POVERTA', documentazione a cura di: CNOAS - Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali, 28 giugno 2018
INTERVENTI E SERVIZI DI CONTRASTO ALLA POVERTA’, documentazione a cura di: CNOAS – Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali, 28 giugno 2018
Con l’emanazione del decreto di riparto del Fondo Nazionale per la lotta alla povertà e all’inclusione sociale, si intende programmare, mediante indirizzi nazionali, l’utilizzo delle risorse relative alla quota servizi del Fondo Povertà.
Si realizzerà, dunque, quanto previsto dal D.lgs. 147/2017 e dalla legge di stabilità 2018 del 27 dicembre 2017.
Decreto di riparto del Fondo Nazionale https://b…
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