#legami persi
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worldofdarkmoods · 3 months ago
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La vita continua, dicono. Ma non sempre è vero. A volte, la vita si ferma, resta sospesa in un vuoto che non riusciamo a colmare. Ci ripetiamo che il tempo guarirà ogni cosa, che domani andrà meglio, che con il passare dei giorni, il dolore svanirà. Ma la verità è che a volte la vita non continua. Sì, i giorni scorrono, uno dopo l'altro, in una monotonia senza fine. Il sole sorge, tramonta, e noi restiamo lì, fermi, incatenati a quel momento che ci ha cambiato.
Ci sono ferite che non si chiudono, cicatrici invisibili che ci portiamo dentro. Le persone ci dicono che dobbiamo andare avanti, che non possiamo restare intrappolati nel passato. Ma a volte, non è così semplice. Non si tratta di non voler andare avanti, ma di non riuscirci. È come se fossimo bloccati in una stanza senza porte, senza finestre, e tutto ciò che possiamo fare è osservare il mondo che continua a muoversi, mentre noi restiamo indietro.
E in quel silenzio, in quella solitudine, ci rendiamo conto che la vita non è solo una questione di giorni che passano. È fatta di emozioni, di significati, di legami che ci tengono vivi. E quando quei legami si spezzano, quando perdiamo qualcuno o qualcosa di importante, la vita si ferma. È come se una parte di noi rimanesse intrappolata in quel momento, in quel ricordo, e non volesse più andare avanti.
A volte, il peso di ciò che è stato è troppo grande da portare. Le speranze infrante, le promesse non mantenute, i sogni che non si sono realizzati… tutto si accumula, rendendoci incapaci di vedere un futuro. I giorni passano, certo, ma siamo davvero vivi? O stiamo solo sopravvivendo, trascinandoci da un giorno all’altro, in attesa di qualcosa che forse non arriverà mai?
Forse, la vita non è sempre un continuo movimento in avanti. Forse, ci sono momenti in cui dobbiamo fermarci, accettare il dolore, affrontare la nostra fragilità. Non c'è niente di sbagliato nel sentirsi persi, nel non avere tutte le risposte. A volte, il solo fatto di respirare è già un atto di coraggio. Forse non è vero che la vita continua per tutti. Forse, a volte, i giorni scorrono solo su di noi, mentre cerchiamo di trovare il senso in un mondo che ci sembra vuoto.
Ma in quel vuoto, in quell’apparente immobilità, c'è anche la possibilità di riscoprirci. Di capire chi siamo davvero, quando tutto il resto è crollato. Forse la vita non continua come ci aspettavamo, ma ci offre l’opportunità di ricostruire, di rinascere da quelle ceneri, anche se il processo è lento e doloroso.
Perché la verità è che, anche quando sembra che la vita si sia fermata, dentro di noi c'è ancora una scintilla. Un piccolo segno di resistenza, di desiderio di vivere. E forse, un giorno, riusciremo a farla brillare di nuovo.
-Anonimo🖤
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dottssapatrizia · 2 years ago
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Ci sono legami celati al mondo...
che stringono le anime...
e lasciano i segni
come fantasmi
li senti nel buio di un sospiro...
persi in quegli sguardi nel vuoto...
sono l'ossigeno dei giorni persi.
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mucillo · 1 year ago
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"Senza fretta" Joy Harjo 
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Un viaggio può richiederti ore, un giorno, un anno, qualche anno, centinaia,
migliaia e anche di più ( ��)”.
Per richiamare lo spirito che vaga sulla terra con piedi umani
Posa quel sacchetto di patatine, quel pane bianco, quella bibita.
Spegni il cellulare, il computer, e il telecomando.
Apri la porta, poi richiudila dietro di te.
Fai un respiro offerto da venti amichevoli. Viaggiano per la terra raccogliendo essenze di piante purificatrici.
Restituiscilo con gratitudine.
Se canti questo darà al tuo spirito un passaggio fino alle orecchie delle stelle e ritorno.
Riconosci questa terra che si è presa cura di te da quando eri un sogno che piantava sé stesso nel desiderio dei tuoi genitori.
Lascia che i tuoi mocassini ti portino all’accampamento dei guardiani che ti conoscono da prima del tempo,  che saranno là dopo il tempo. Siedono davanti al fuoco che esiste senza tempo.
Lascia che la terra stabilizzi il suo insicuro nervosismo postcoloniale.
Sii rispettoso dei piccoli insetti, degli uccelli e delle persone animali che ti accompagnano.
Chiedi loro perdono per il male causato da noi umani.
Non preoccuparti.
Il cuore conosce la via sebbene possano esserci grattacieli, autostrade, posti di blocco, soldati armati, massacri, guerre, e quelli che ti disprezzeranno perché disprezzano sé stessi.
Il viaggio può richiederti ore, un giorno, un anno, qualche anno, centinaia, migliaia e anche di più.
Sorveglia la tua mente. Senza preparazione potrebbe fuggire e destinare il tuo cuore all’immenso banchetto umano allestito dai ladri di tempo.
Non avere rimpianti.
Quando troverai la via per il cerchio, per il fuoco tenuto acceso dai custodi della tua anima, sarai il benvenuto.
Devi purificarti con cedro, salvia, o altre piante di guarigione.
Recidi i legami col fallimento e la vergogna.
Lascia andare il dolore che trattieni nella mente, nelle spalle, nel cuore, e giù fino ai piedi. Lascia andare il dolore dei tuoi antenati per far strada a coloro che si dirigono nella tua direzione.
Chiedi perdono.
Chiedi aiuto a coloro che ti amano. Questi aiutanti assumono molte forme: animale, elemento, uccello, angelo, santo, pietra, o antenato.
Richiama il tuo spirito. Può essere intrappolato in angoli e pieghe di vergogna, giudizio, e abuso umano.
Devi chiamare così da invogliare il tuo spirito a fare ritorno.
Parlagli come faresti con un bambino amato.
Accogli il tuo spirito che torna dal suo vagabondaggio. Può tornare in pezzi, in frantumi. Radunali insieme. Saranno felici di essere ritrovati, dopo essersi persi così a lungo.
Il tuo spirito avrà bisogno di dormire un po’ dopo che lo avrai lavato e gli avrai dato vestiti puliti.
Ora puoi dare una festa. Invita tutti coloro che sai che ti amano e ti sostengono. Lascia uno spazio per coloro che non hanno altro posto dove andare.
Rendi omaggio, e ricorda, fai discorsi brevi.
Poi, devi fare questo: aiuta il prossimo a trovare la sua strada nel buio.
Joy Harjo (Tulsa, Oklahoma, 1951; prima poetessa nativa americana ad avere il titolo di Poeta Laureato degli Stati Uniti), da Conflict Resolution for Holy Beings: Poems, 2015
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lastilo · 2 years ago
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Viaggio giocoso
Danzano le foglie, su e giù le gambe, seguendo la foga del gaudio celebrando il gioco.
Oscillano i fili d'erba, mossi dalla corrente, diventiamo dei puntini persi nell'immensità dell'Universo.
Fermi gli alberi, a osservare noi, stringhe che si formano o legami che si dissolvono.
Respiro di Natura, che ai più desti doni vita, stolti noi che andiamo bendati camminando su un binario sommerso.
Fa si che ritorni in noi quella fiamma che tinge l'iride, potere che esorcizza la Morte.
Acqua che scorre imperterrita, ripulisci i nostri cuori, torni a risplendere la purezza del fanciullo, scaccia la putrida malvagità che circola nelle nostre stringhe.
Salpa oggi il battello per i mondi inesplorati, sta a noi decidere se unirci o se accomodarci nella nostra bara.
CS ~ 18/03/2023
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messaggioinbottiglia · 2 years ago
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Sono ancora debole. Da una parte profonda del mio petto emergono i rami di una pianta, che silenziosi si accartocciano su sé stessi e formano delle trame avvolgenti. Scompaio dietro all’involucro di tali tralicci che, irrispettosi, si nutrono delle mie negatività. Con le loro radici contorte si alimentano avidamente delle mie insicurezze, delle mie ansie, del buco nero di abbandono e perdizione che mi hai lasciato in dono. Crescono rigogliosi e creano una barriera di isolamento nei confronti di tutto quello che c’è fuori. Impediscono che possa di nuovo mettermi in gioco, che possa nuovamente provare a stringere legami pregnanti, che possa inavvertitamente, ancora una volta, rimanere mortalmente ferito. Mi proteggono, mi oscurano. E lo faranno fino a quando un bel giorno, persi nel loro periodo primaverile, daranno alla luce coloratissimi fiori e in un attimo svaniranno in un turbinio di petali. E sarà allora come nascere un’altra volta e sarà come tornare a scoprire che una vita d’amore è possibile.
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rabbiasoffocata · 1 year ago
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E' come se tutto il bello fosse già passato, e sia rimasto incastrato nel passato con i ricordi, le persone e i legami che si sono persi.
#x
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Le conseguenze emotive di queste prime esperienze rimangono per sempre negli individui come memorie emotive potenti ma spesso inconsce. (Quando studiare diventa un piacere) -lostintheoceanoflifeoflife (via @lostintheoceanoflifeoflife)
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a-dreamer95 · 3 years ago
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Tieniti stretto chi ha conosciuto i tuoi momenti difficili ed ha visto svanire i tuoi sogni, ma ha scelto di restare. 🌷💞❤️‍🩹
Chi ha condiviso i nostri momenti difficili e ha visto svanire i nostri sogni merita una gratitudine speciale. Queste persone hanno visto il lato più vulnerabile di noi stessi e hanno scelto di non voltare le spalle, ma di restare, offrendoci il loro sostegno e il loro affetto. Sono coloro che ci tendono la mano quando ci sentiamo persi, che ci ascoltano senza giudicare e che ci incoraggiano a non arrenderci.
La presenza di queste persone nella nostra vita ci dona una grande forza interiore. Sapere di poter contare su qualcuno che ci conosce profondamente e che sceglie ancora di amarci e sostenerci nonostante le difficoltà ci infonde coraggio e fiducia. Questi legami profondi ci aiutano a superare gli ostacoli e a rimanere saldi nei momenti di tempesta. Inoltre, la reciproca condivisione di esperienze difficili crea un legame unico tra le persone. Il processo di superare insieme le sfide rafforza il legame emotivo e porta ad una maggiore intimità e comprensione reciproca. Le esperienze condivise diventano una fonte di connessione e di fiducia profonda, creando legami che resistono alla prova del tempo.
In un mondo in cui le relazioni spesso sembrano superficiali e transitorie, è fondamentale riconoscere e apprezzare chi resta al nostro fianco durante i momenti più difficili. Coloro che ci hanno visto cadere e ci hanno aiutato a rialzarci meritano il nostro rispetto e la nostra gratitudine. Teniamoli stretti, perché sono loro il vero tesoro della nostra vita, i pilastri su cui possiamo sempre contare quando il mondo sembra crollare intorno a noi. ❤️
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annegatasstuff · 2 years ago
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Amo i solitari, i diversi, quelli che non incontri mai... Quelli che incontri molto raramente, quelli persi, andati, spiritati, fottuti....Quelli con adrenalina addosso.....Amo quelli con l'anima in fiamme... ma dentro hanno tutto quello che serve, uno spirito libero che non si può domare....Amo quelle che quando parlano non comunicano, creano legami e abbracci con l'anima di chi li ascolta, amo quelle che usano il silenzio per entrare nell'anima, Amo quelle che fuori hanno la furia del fuoco ardente ma dentro conoscono la pace dei sensi, quelle che mordono con i denti la vita e non hanno bisogno di sentirsi dire cosa fare...
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8iunie · 3 years ago
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giorgiasoleri_: la condivisione è sempre stata per me il segreto per ingannare il male, per dargli una forma, un’utilità. la condivisione è la mia catarsi personale, processo di metamorfosi che da essere umano mi moltiplica e moltiplica così i miei simili, le nostre esperienze, le nostre voci. un esercito di corpi e menti simili eppure unici, simili e unici.
pubblicare un libro dove si ha ristretto tramite l’imbuto della scrittura un concentrato di dolore, tenacia, fragilità, legami persi e legami così forti da superare l’umana paura, è una prova di condivisione ma soprattutto di fiducia. vi sto offrendo senza protezioni ciò che di più caro ho: il mio cuore, che è strumento di scoperta e percezione. nei prossimi giorni condividerò tramite storie (che poi saranno salvate in evidenza, in modo da non perderle) alcune delle poesie contenute all’interno de La signorina Nessuno. ve le dono, in qualche modo, per renderle molteplici e farle riecheggiare. fatene ciò che volete, stampatele, screenshottatele, dedicatele, appendetele ai muri della vostra stanza o lasciate che il vostro amore le trovi nella cassetta delle lettere, tra bollette e pubblicità. e se vi va, poi, scattate una foto e condividitela con me e con gli altri attaverso gli hashtag #LaSignorinaNessuno #SharingIsCaring per dare una continuità a questa condivisione che non conosce confini.
perché ricordate che, sempre, condividere è prendersi cura. - 15.04.2022
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canesenzafissadimora · 2 years ago
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Ciao Gì, come stai?
Va tutto bene qui, siamo cresciuti, le nostre vite sono cambiate, qualcuno dentro è rimasto fermo, qualcun altro ha trovato la forza di voltare pagina, ma non dimenticarti, quello no, quello è impossibile. Sai cosa ho imparato ultimamente? Che qualcuno resta nonostante tutto, e che col tempo molti dei ricordi che avevamo invece spariscono, dicono sia colpa del nostro cervello che non riesce ad assimilare tutto e allora i vecchi ricordi li mette dentro ad una scatola, e li ripone dentro uno stanzino. Io credo di avere uno stanzino tutto nostro, di quegli anni, scatole piene di sorrisi e di ricordi, fotografie di vita che escono fuori quando qualcuno mi parla di te e mi ricorda cose successe. Tuo fratello ha i tuoi stessi occhi, mi è capitato di vederlo quest’estate e senza volerlo ci guardavamo e sorridevamo, ha tanto di te e spero che qualcuno glielo dica ogni tanto, perché è una cosa bella. Non ti nego che dopo di te certi legami si sono persi, sono passati nove anni e non è mica semplice tenere tutto stretto, qualcosa si slega, qualcuno racconta e qualcun altro dimentica. Lo sai come sono fatto, io non dimentico niente, ma sono diventato più freddo anche io, la vita lo fa non credi? Ti fa vivere cose e ti trasformi, cresci, impari, o forse non impari mai. Tutto cambia, tranne il fatto che tu non ci sei più, vorrei potesse cambiare anche quello. Io non ci credo nei segni, credo in quello che rimane, e qualcosa è rimasto dentro ogni persona che hai sfiorato. Me lo dicevi sempre che con le parole sarei arrivato lontano, ed è per questo che ogni anno mi fermo un attimo qui a scrivere di te, tu ci credevi, e io ho fatto di tutto per arrivare dove sono, e so che l’ho fatto per me stesso, ma anche per te, te lo dovevo.
Ciao fratè.
#adessoscrivo
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paoloxl · 3 years ago
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Università negate per la Palestina. L’apartheid culturale è anche qui
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Prima martedi all’università La Sapienza di Roma, poi all’università Orientale di Napoli, le direzioni dei due atenei hanno negato le aule per due diverse iniziative sulla questione palestinese.
A Roma si trattava della presentazione del rapporto di Amnesty International sull’apartheid di Israele verso la popolazione palestinese. A Napoli una iniziativa analoga si sarebbe dovuta tenere il prossimo 1 aprile. La motivazione con cui il rettore ha accompagnato il proprio diniego: “l’Ateneo non concederà mai, almeno finché sarò Rettore, il proprio spazio per iniziative correlate a qualsiasi forma o modalità di boicottaggio accademico”. Così quindi è stata negata l’aula per il dibattito “Università libere dall’apartheid israeliana”, previsto per la mattina del 1° aprile.
Già troppo spesso in passato le direzioni degli atenei italiani avevano ricevuto pressioni dall’ambasciata israeliana per negare agibilità a conferenze e dibattiti che avessero come tema la Palestina.
A Roma la motivazione per negare l’aula all’evento “Presentazione del Report di Amnesty International sull’Apartheid Israeliana in Palestina”, è stata ancora più ipocrita. Il giorno precedente l’evento, l’Ateneo ha deciso improvvisamente, dopo una sollecitazione di cui è “ignoto” l’autore, di dichiarare la più netta opposizione all’iniziativa che di comune accordo era stata organizzata con l’autorizzazione del Dipartimento di Filosofia.
La condizione posta dall’ateneo affinché l’iniziativa potesse svolgersi come da programma è stata quella di imporre all’iniziativa un relatore o relatrice della UGEI – Unione Giovanile Ebrei d’Italia – che, a detta dell’amministrazione – avrebbe svolto il necessario ruolo di “contraddittorio”.
Una motivazione questa ancora peggiore di quella dell’Università di Napoli e non tanto per la rivendicazione di un contraddittorio che però viene richiesto esclusivamente sulle iniziative che parlano di Palestina, quanto perché trattandosi di un tema e di responsabilità politica di uno Stato, semmai il contraddittorio sarebbe dovuto avvenire con un rappresentante dell’ambasciata israeliana e non di una associazione di giovane ebrei italiani.
Questo significa continuare a mistificare l’informazione sulla questione palestinese come problema tra gli ebrei e gli arabi e non come questione politica tra uno Stato e un popolo oppresso.
Sulla funzione delle università sia gli attivisti napoletani che quelli romani avanzano denunce ben precise. “Negli anni, le campagne BDS (https://bdsitalia.org/…/campagne/boicottaggio-accademico) hanno documentato i profondi collegamenti esistenti tra le università e il complesso sistema militare, di sicurezza e di oppressione israeliani” – scrivono in un comunicato gli attivisti del Centro Culturale “Handala Ali” di Napoli – “Oggi è tanto più necessario che chi ha responsabilità nel mondo della cultura e della ricerca si rifiuti di assecondare la costruzione di accordi e legami tesi a rafforzare e rendere ancora più feroce l’Occupazione”.
Da Roma gli studenti che hanno organizzato la conferenza negata dal Rettorato denunciano come con tale presa di posizione la Sapienza “conferma di non voler in alcun modo tutelare i diritti fondamentali del popolo palestinese, che anzi contribuisce attivamente a minare attraverso accordi bilaterali che coltiva ad esempio con il Technion – Israel institute of Technology di Haifa, legato al comparto militare israeliano, e con la Leonardo s.p.a, azienda di “aerospazio, difesa e sicurezza” leader nel comparto industriale militare ed impegnata addirittura con gli armamenti nucleari attraverso la joint venture MBDA Missile Systems”.
Gli studenti e gli attivisti romani non si sono persi d’animo ed hanno tenuto lo stesso la conferenza nel giardino della facoltà. A Napoli è partito l’invito alle realtà studentesche e tutta la comunità dell’Orientale a esprimere la propria condanna nei confronti di questo atto arbitrario e complice dell’oppressione.
da Contropiano
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I consigli dei bibliotecari...
Per la serie "anche i bibliotecari leggono", ecco alcune delle nostre letture in tempo di lock-down che vi consigliamo caldamente.
Bellissimi i due Simenon pubblicati da Adelphi nel 2020: I superstiti del Télémaque (abbiamo la versione MLOL, mentre quella cartacea è una vecchia edizione Mondadori) e Il signor Cardinaud. Molto diversi tra loro, il primo è un giallo in cui si improvvisa investigatore il fratello dell'accusato, ma la vicenda è resa più complessa dal rapporto con un passato oscuro e inquietante che ne fa un vero e proprio cold case. Il secondo libro tratta invece di un tradimento, ma anche in questo caso la trama è complicata da omicidi e avventure di varia malvivenza: sarà un'impresa titanica per il povero Signor Cardinaud dipanarne le fila. Per chi ama i racconti, la novità del 2020 è La linea del deserto (due titoli di questa raccolta sono stati anticipati in una "versione lock down" dal titolo Un delitto in Gabon, in formato MLOL): come sempre avventura, paesaggi esotici, divertimento assicurati.
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Se vi siete persi le uscite del 2019, eccole: Marie la strabica e Il sospettato, in cui Simenon, da consumato autore, traccia ritratti di vividi personaggi con poche pennellate, e le raccolte di racconti La cattiva stella e Il castello dell'arsenico.
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Per i fortunati che non lo avessero ancora letto nella vecchia edizione Mondadori (che lo ha stampato in varie collane), Sellerio ha appena ripubblicato quell'autentico capolavoro che è Il treno per Istanbul di Graham Greene. Un libro che possiede tutti gli ingredienti per piacere ad un pubblico eterogeneo: le vicende di personaggi tra i più disparati (uno scrittore di successo, una giornalista e la sua compagna, un assassino, un politico rivoluzionario, una giovane ballerina, un ricco mercante ebreo e molti altri), narrate in uno stile avvincente, si intrecciano, arricchendosi e complicandosi, a bordo dell'Orient Express, treno quanto mai evocativo di intramontabili successi letterari...
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È uno scrittore che andrebbe senz'altro riscoperto, anche perché molti sono gli adattamenti cinematografici dei suoi libri (Il terzo uomo con Orson Welles, Joseph Cotten e Alida Valli; Il nostro agente all'Avana con Alec Guinness; Il console onorario con Richard Gere; In viaggio con la zia con Maggie Smith, ma in tutto sono una cinquantina i film ispirati alle sue opere). Segnaliamo soltanto L'americano tranquillo, da cui è stato tratto un film (remake di una pellicola del 1948) nel 2002 con Michael Caine, godibile anche se non raggiunge le vette dell'originale, libro breve ma pregnante, il cui protagonista, sarcastico e disincantato giornalista di mezza età, ci guida tra le atrocità della guerra del Vietnam, le miserie umane, il tradimento e l'amore. Le vicende, inoltre, per quanto rocambolesche e avventurose, sono tratte dall'esperienza personale dello scrittore che ha avuto un'esistenza particolarmente intensa: giornalista, romanziere, saggista, drammaturgo, sceneggiatore, critico letterario, inviato speciale in tempo di guerra, grande viaggiatore, agente segreto per il Servizio britannico. Anche i suoi legami amorosi furono piuttosto movimentati: il matrimonio con Vivien Dayrell-Browning durò tutta la vita, nonostante le numerose relazioni intrecciate da Greene, alcune delle quali suscitarono scandalo per le alte personalità coinvolte.
Restiamo in tema di spionaggio anche passando per la Sicilia dell'ultimo (ahinoi) Montalbano, Il cuoco dell'Alcyon, che non può deludere gli affezionati fans del celebre commissario di Vigàta. Definito "una Iliade di guai", il giallo intreccia vicende nostrane con interventi dell'FBI, tentativi di mobbing alternati a momenti di pura action, l'apparizione di un misterioso vascello fantasma con i meccanismi della commedia degli equivoci: mirabolante ed evocativo come il titolo.
Fantasmi anche nell'ultimo giallo di Mariolina Venezia, Via del riscatto, in cui il sostituto procuratore di Matera Imma Tataranni (magistralmente interpretata da Vanessa Scalera nella serie da poco trasmessa da Rai 1) dirige l'indagine, che si articola proprio tra i Sassi. Questa ambientazione dimostra una volta di più come sono proprio le storie radicate nel territorio quelle che riscuotono maggior successo per la loro autenticità e per la possibilità che offrono al lettore di riconoscersi e immedesimarsi. Un vero caratteraccio, la nostra Piemme, sia in famiglia sia in Procura, ma abile investigatrice, donna di spirito, nemica di ogni ipocrisia.
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Se non vi siete persi il primo giallo dedicato da Marco Malvaldi al grande gastronomo di Forlimpopoli Pellegrino Artusi, Odore di chiuso (nell'audiolibro il romanzo è letto da Alessandro Benvenuti, che interpreta anche uno dei "malefici" vecchietti del BarLume), sicuramente non vi sarete fatti sfuggire il secondo, uscito proprio quest'anno, ovvero Il borghese Pellegrino (prossimamente nelle biblioteche), di cui parla l'autore stesso in questa intervista. Si tratta di un giallo storico, ambientato in un castello della Maremma carducciana, nei pressi di Bolgheri, nel 1895. Il fine settimana in località amena è in realtà il pretesto per un incontro d'affari, che vede coinvolti il padrone di casa con famiglia e famuli, il celebre dottor Mantegazza, un fotografo, un fascinoso funzionario dell'Impero Ottomano, un politico, un banchiere, un assicuratore. Il delitto è di quelli "della camera chiusa", in perfetto stile Agatha Christie, con un tocco di fantasia tutta italiana.
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Ora che anche noi bibliotecari siamo tornati sui nostri scranni, vi aspettiamo per offrirvi (e ricevere!) sempre nuovi consigli bibliografici!
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theangeloflucifer · 4 years ago
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Dicembre 2017
14. 
Volevo porre un punto. 
 Gli dissi chiaramente che non ne potevo più di quella situazione, ormai insostenibile. Non riuscivo più a reggere quei litigi, quei continui scontri che duravano giorni e giorni. Nonostante avessi sopportato per mesi e mesi, sentivo di non riuscirci più, come se ad un tratto il mio cervello avesse detto no. 
Era scattato qualcosa dentro me, e non riuscivo a ribellarmi a quella voce che mi diceva “basta”.
Sentivo che mi mancava tranquillità, stabilità, e serenità, e le desideravo più di ogni altra cosa.
Ricordo che quando tornai a casa e dissi a mia madre che non ne volevo più sapere niente, che era finita. Mi guardò e mi disse che si trattava solo di un litigio, avremmo presto risolto. Comprensibile, pensai. Sono mesi che ci vedono litigare e poi far pace, come un cane che si morde la coda. Ma quella non era una discussione adolescenziale, bensì l’inizio della fine.
Non è stato stato semplice. Per settimane ha continuato a cercarmi, a chiedere spiegazioni, come se la valanga di problemi che da un pezzo erano presenti, fossero una novità. Mi contattava, chiamava. Voleva vedermi per parlare ad ogni costo, ma io non potevo accettare. Avevo troppa paura. Temevo una sua reazione, e soprattutto che sarebbe accaduto ancora. Di certo il fatto che ci allenassimo insieme, il vederci tutti i giorni non ha aiutato. 
Non è stato semplice, per niente. Tutte le volte che mi chiedevano il motivo  della mia decisione, dover nascondere tutto dietro ad un “non andavamo d’accordo”, fingere  indifferenza, mentre tutto dentro me andava in frantumi.
Sono state settimane pesanti, prima che lui si rassegnasse all’idea che ero andata via, che quel noi si era ormai sgretolato del tutto. 
Pensavo che a quel punto il peggio era passato, e invece mi resi conto che non fu così. Mi ero tirata fuori dal tunnel della violenza, ma mi toccava fare i conti con la realtà. Giorno dopo giorno mi guardavo intorno e mi rendevo conto che mi aveva tolto tutto.
Piangevo mentre mi guardavo allo specchio, a notte fonda, e mi chiedevo come era potuto accadere.
Pensavo a due anni prima, e mi rendevo conto che non mi mancava nulla. 
Ero una comune 16enne, una studentessa liceale, con tanti amici, una vita piena. Avevo deciso di intraprendere la strada dell’agonismo, e quindi ogni sera era dedicata al karate. Ore ed ore dedicate per quella passione immensa. Allenamento dopo allenamento, mi preparavo a tutte le gare che prevedeva la tabella di marcia. Ogni mese una gara internazionale diversa, in una città diversa. Girare per l’Italia con un sogno in tasca, sostenuta dalla mia famiglia, la squadra che ogni atleta dovrebbe avere. Non mi avevano mai fatto mancare il loro supporto. Avevano sempre appoggiato ogni mia decisione, incoraggiato ogni mio obiettivo e mi avevano sostenuta in ogni percorso intrapreso. Sentivo il loro calore sempre, in ogni circostanza, su ogni tatami che calcavo. Non mi sentivo mai sola.  Viaggi lunghissimi, emozioni forti, e un unico obiettivo. A caccia di medaglie, convocazioni nella nazionale giovanile, e intanto  gli occhi che mi brillavano dinanzi ad ogni palazzetto. 
Ero una privilegiata. Mi sentivo fortunata.  Mi rendevo conto che non tutti i miei coetanei avevano la fortuna di potersi creare il proprio futuro con le proprie mai, e ricevere tutte quelle occasioni. 
“Non mi mancava nulla!” Pensavo di continuo.
Quanto mi mancava quella spensieratezza, quella pace!
Ormai era cambiato tutto. I miei amici li avevo persi. La sua gelosia e qualche coincidenza poco fortunata, me li avevano fatti allontanare a poco a poco, e avvertivo la mancanza di quel pezzo di adolescenza che non potevo più avere indietro. Ormai erano legami che si erano interrotti, e di tempo ne era passato fin troppo. 
“Indietro non si torna” pensai. 
Avevo ancora la mia passione però. O per meglio dire quello che ne era rimasto.
Era andato malissimo quell’ultimo trimestre. Avevo fallito in tutte le gare importanti, miseramente. Ma oltre alle medaglie e alle occasioni mancate, avevo perso l’entusiasmo. Camminavo a piedi nudi sul tatami, quel posto che sapeva farmi vibrare l’anima, e l’unica cosa che sentivo era un senso di apatia.
Ero spenta. Completamente disinteressata a tutto. Sentivo di non riuscire ad assaporare più nulla. Il tempo mi scivolava tra le dita, e non sentivo di vivere a pieno. 
Avevo perso ogni tipo di contatto con la mia vita, come se fossi un telespettatore che guarda dall’esterno.
Non ero entusiasta del mio percorso universitario, nonostante mi desse buoni risultati, il karate non mi dava più pace nè adrenalina, e avevo completamente perso ogni tipo di interesse per qualsiasi obiettivo, anche il più piccolo. 
Mi guardavo allo specchio, e non mi piaceva per niente ciò che vedevo, da nessun punto di vista. 
E mentre tutto crollava, fuori fingevo calma e spensieratezza.
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pangeanews · 4 years ago
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“Un unico interesse, un unico pensiero, un’unica passione – la rivoluzione”. Il leggendario Nečaev e “Il catechismo del rivoluzionario”
La tempra – l’ossessione, piuttosto – si misura lì, tra le mura della fortezza di Pietro e Paolo, nel pozzo di una cella, occhio di drago in muratura. Gli fu impedito di leggere. Poi di scrivere. I rari compagni di cella – ideologi della rivoluzione, antizaristi, delinquenti straordinari – storditi dalla solitudine, da quel vuoto senza eco, impazzivano. Lui no. Diventava più forte. Riuscì a conquistare i soldati addetti alla custodia dei prigionieri; nessuno dubitava del suo potere ipnotico, era posseduto dal verbo. Le pene s’inasprivano e lui progettava fughe prodigiose. Morì di scorbuto, nel dicembre del 1882, era stato arrestato dieci anni prima, a Zurigo. I servizi russi, con ramificazioni in Svizzera, Francia, Germania e Inghilterra, lo braccavano dal 1869. Aveva ammazzato un suo discepolo: non gli obbediva con coerente disciplina. Figlio di un imbianchino e di una serva della gleba, presto orfano, con infiniti fratelli, la vita di Sergej Gennadievič Nečaev affonda nella leggenda. Alcuni hanno dubitato della sua esistenza.
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La figura di Nečaev, giovanissimo ideatore di rivoluzioni, è decisiva. Insegna, intanto, che l’uomo, per natura, è in rovina e ambisce alla rivolta. Esiste, cioè, un cuore nero nella storia, un nido di mosche nell’uomo che ammette che la rivoluzione – qualunque – non si fa ‘a fin di bene’, per il meglio, per le umane sorti progressive, ma perché bisogna farla, perché non c’è altro fine che il sangue. Nečaev, voglio dire, fa fare un salto all’ideologia rivoluzionaria: la Rivoluzione è la sola divinità e per perseguirla, è naturale, occorre ammazzare. Perfino ammazzare i confratelli. La Rivoluzione è buona in sé, pur priva di contenuti, priva di aggettivi, come l’Uno, va eseguita senza interrogarla, non ammette sconti. “L’originalità di Nečaev sta nel giustificare la violenza fatta ai fratelli”, scrive Albert Camus ne L’uomo in rivolta. “Nečaev fa di più che militarizzare la rivoluzione dal momento che ammette che i capi, per dirigere i loro subordinati, abbiano il diritto di usare la violenza e la menzogna… Il reclutamento faceva tradizionalmente appello al coraggio e allo spirito di sacrificio. Nečaev decide che si possono ricattare oppure terrorizzare gli esitanti, e ingannare i fiduciosi”. Insomma, Nečaev leva ogni mascara morale alla Rivoluzione, per compiere la quale ogni atto è lecito. Soprattutto se illecito.
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Nečaev fu illuminato da Dmitrj Karakozov, che attentò alla vita di Alessandro II, fallendo – il dio/zar dimostrò una carnosa fragilità. Lo affascinava il profilo di Filippo Buonarroti, rivoluzionario italiano che praticò in Francia, e il pensiero di Pëtr Nikitič Tkačëv. Fu Bakunin, tuttavia, a dare forza e forma alla sua vita. Si incontrarono a Ginevra: il fondatore dell’anarchismo fu totalmente sedotto dal ventenne che sembrava un ispirato, mentiva – diceva d’essere stato arrestato più volte, a Mosca, e altrettante fuggito –, si presentava come il Messia della Rivoluzione. “Vi amavo profondamente e vi amo ancora… credevo fermamente, troppo fermamente in voi”, gli scrive, Bakunin, il 2 giugno del 1870. Nečaev si era già rivelato: scaltro, cinico, opportunista. Un totem d’acciaio. Due settimane dopo, agli amici, a proposito di Nečaev, sempre Bakunin: “Non ho ancora incontrato un rivoluzionario sincero e conseguente come lui… è intelligente, molto intelligente, ma la sua intelligenza è selvaggia come la sua passione, e il suo sviluppo, benché considerevole, non è stato armonioso”.
Nelle rare fotografie che abbiamo di lui, Nečaev (1847-1882) non è mai uguale a se stesso, la contraffazione gli è connaturata, pare
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Il vecchio anarchico si era accorto di aver fomentato in seno una serpe, il pittbull della Rivoluzione. In Russia, Nečaev fonda l’organizzazione “Giustizia popolare sommaria”: il simbolo è un’ascia, l’obbiettivo rovesciare lo zar, attraverso un’azione collettiva dei contadini. Nečaev era certo che nel 1870 la Rivoluzione avrebbe sradicato le fondamenta della Madre Russia. Nella cultura russa due figure, drasticamente diverse ma sostanzialmente simili, emergono con ossessiva potenza: lo jurodivyj, il ‘folle di Cristo’, che abbandona questo mondo in vista dell’altro, si pone ai margini della Storia, vive esule sulla marea della Provvidenza, e il rivoluzionario, che abita nel cuore della Storia e vuole cambiare il mondo, questo. Entrambi, jurodivyj e rivoluzionario, abitano l’estremismo: uno vive donato a Dio, l’altro dà la vita per la causa. Entrambi vivono senza temere la morte, nell’insussistenza. Dostoevskij, che ragiona sul rivoluzionario ne I demoni, pensava a Nečaev come a una figura minore, meschina, “questo personaggio mi sembra quasi comico”, scrive in una lettera a Michail Katkov. Eppure, Dostoevskij dedica a Nečaev un lungo articolo nel suo “Diario di uno scrittore”, è il 1873, Una delle falsità contemporanee. In sostanza, lo scrittore, negandolo, ammette che la vita di Nečaev, paradigmatica, è il fondamento filosofico dei Demoni. “Tra i Nečaev si possono trovare degli esseri assai cupi, assai desolati e stravolti, con una sete di intrigo e di potere complicatissima nella sua origine, con un bisogno passionale e morbosamente precoce di affermare una personalità… quelli di loro che sono veri mostri possono essere persone molto intelligenti, furbissime e perfino colte. Oppure voi credete che le conoscenze, gli ‘studi’, le nozioncine scolastiche (magari universitarie) formino così definitivamente l’anima del giovane che, ottenendo la laurea, egli acquisti immediatamente l’incrollabile talismano per conoscere, una volta per sempre, la verità ed evitare le tentazioni, le passioni e i vizi?”. Orrida per Dostoevskij è l’idea di poter considerare un “mostruoso e ripugnante assassinio” – come quello di Ivanov, ordito da Nečaev a Mosca – alla stregua di “un fatto politico utile per l’avvenire della futura ‘grande causa comune’”. L’uomo, d’altronde, è così: eleva l’idea a dio, la esplicita in ghigliottine e Gulag, la ciba con carneficina.
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La passione di Nečaev e la testa di Bakunin forgiano centocinquant’anni fa, un testo di prodigiosa potenza, Il catechismo del rivoluzionario, oggetto di uno studio importante da parte di Michael Confino (1973; in Italia stampa Adelphi). Pensato e scritto nel 1869, Il catechismo è pubblico dal 1871, e agisce, nei sotterranei dell’epoca, con indubitabile fascino. La struttura, per punti, ricorda le ‘regole’ monastiche: tutto è teso, in effetti, a conquistare ‘fratelli’, a confermare e organizzare la loro opera. Il primo punto del Catechismo – “L’edificio dell’organizzazione poggia sulla fiducia nelle persone” – sarà il discrimine nei rapporti tra Nečaev e Bakunin. Per Nečaev bisogna avere fede nella Rivoluzione, non nei rivoluzionari: egli propone una sorta di ‘via negativa’ alla Rivoluzione, che consideri, come pratica inquieta, la sovversione dei valori, la menzogna, l’astuzia tra i pari. “Voi, caro amico mio – e questo è il vostro principale, il vostro colossale errore – vi siete incapricciato del sistema di Loyola e di Machiavelli, dei quali il primo si proponeva di ridurre in schiavitù l’umanità intera, mentre il secondo cercava di creare uno Stato potente (monarchico o repubblicano non ha importanza) per ridurre in schiavitù il popolo. Innamorato come siete dei principi e dei metodi polizieschi e gesuitici, avete avuto l’idea di fondare su di essi la vostra stessa organizzazione, la vostra stessa forza collettiva segreta, per cui agite verso i vostri amici come se fossero nemici: giocate d’astuzia con loro, cercate di dividerli e perfino di metterli in discordia l’uno con l’altro…”. Soprattutto – come si legge dal brandello del Catechismo che ricalco –, incendia il principio per cui si è persi nel profondo, tanto da poter profondere ogni sforzo nella rivolta. Già. Tra Rivelazione e Rivoluzione la differenza è un velo – vanto è vivere nel grido e nel segreto. (d.b.)
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Atteggiamento del rivoluzionario verso se stesso
1. Il rivoluzionario è un uomo perduto in partenza. Non ha interessi propri, affari privati, sentimenti, legami personali, proprietà, non ha neppure un nome. Un unico interesse lo assorbe e ne esclude ogni altro, un unico pensiero, un’unica passione – la rivoluzione.
2. Nel suo intimo, non solo a parole, ma nei fatti, egli ha spezzato ogni legame con l’ordinamento sociale e con l’intero mondo civile, con tutte le leggi, gli usi, le convenzioni sociali e le regole morali di esso. Il rivoluzionario è suo nemico implacabile e continua a viverci solo per distruggerlo con maggior sicurezza.
3. Il rivoluzionario disprezza ogni dottrinarismo e ha rinunciato alle scienze profane, che egli lascia alle generazioni future. Per questo, e soltanto per questo, egli studia attualmente la meccanica, la fisica, la chimica e perfino la medicina. Pr questo egli studia giorno e notte la scienza viva – gli uomini, i caratteri, le situazioni e tutte le condizioni del regime sociale presente, in tutti gli strati. Lo scopo è uno soltanto: la distruzione rapida di questo immondo regime.
4. Egli disprezza l’opinione pubblica. Disprezza e detesta la morale vigente nella società in ogni suo motivo e manifestazione. Per lui è morale tutto ciò che contribuisce al trionfo della rivoluzione; immorale e criminale tutto ciò che l’ostacola.
5. Il rivoluzionario è un uomo perduto, spietato verso lo Stato e verso la società istruita in genere; da essa non deve dunque aspettarsi nessuna pietà. Fra lui da una parte, lo Stato e la società dall’altra, esiste uno stato di guerra, visibile o invisibile, ma permanente e implacabile – una guerra all’ultimo sangue. Egli deve imparare a sopportare la tortura.
6. Duro verso se stesso, deve essere duro anche verso gli altri. Tutti i sentimenti teneri che rendo effeminati, come i legami di parentela, l’amicizia, l’amore, la gratitudine, lo stesso onore devono essere soffocati in lui dall’unica fredda passione per la causa rivoluzionaria. Per lui non esiste che un’unica gioia, un’unica consolazione, ricompensa e soddisfazione: il successo della rivoluzione. Giorno e notte, deve avere un unico pensiero, un unico scopo: la distruzione spietata. Aspirando freddamente e instancabilmente a questo scopo deve essere pronto a morire, e a distruggere con le proprie mani tutto ciò che ne ostacola la realizzazione.
7. La natura del vero rivoluzionario esclude ogni romanticismo, ogni sensibilità, entusiasmo e infatuazione. Esclude anche l’odio e la vendetta personali. La passione rivoluzionaria, diventata in lui una seconda natura, deve in ogni momento essere unita a un freddo calcolo. Dovunque e sempre, egli deve essere non ciò cui lo incitano le sue tendenze personali ma ciò che l’interesse generale della rivoluzione gli prescrive.
*In copertina: Kazimir Severinovič Malevič, “Cerchio nero”, 1915
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waitthetimeyouneed · 5 years ago
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Sfogo - 4
Siamo inarrestabili. La furia della tempesta. La candida neve si sciolta e quello che rimane è soltanto fango e poltiglia che bagna gli abiti. Siamo persi nell’oceano, l’acqua ci entra in bocca, per farci affogare. Siamo lumi spenti con alito di paura, se non ci vedi, non ci trovi. Giochiamo a nascondino con i sentimenti. Li distruggiamo fino a quando non proviamo più nulla. Siamo affamati di una cosa che non potremmo più avere. Siamo in piedi sotto il vuoto, pronti a spiccare un salto. Siamo lacrime inghiottite con dolore. Siamo scelte giuste forzate. Siamo legami sciolti. Siamo anime spaventate. Siamo pensieri irruenti. Siamo ossessioni. Punti nevralgici. Forze che ci respingono, niente più gravità. Voci vuote.
Sono un’Anima scarlatta.
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