#teorie femministe
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⚠️ NOVITÀ IN LIBRERIA ⚠️
Anne Trewby e Iseul Turan
DONNE, SVEGLIATEVI!
Per farla finita con le menzogne femministe
Sottomesse alla tecnologia, alla disponibilità totale e ai ritmi frenetici, le donne del terzo millennio vivono una “liberazione” immaginaria, frutto di una propaganda femminista che – nella realtà dei fatti – ha imposto nuove costrizioni. L’attuale “guerra dei sessi” – alimentata ad arte da un progressismo woke imbevuto di livore e votato alla fluidità individualista – ha scacciato il marito dal nucleo familiare, destrutturando l’ordinamento comunitario e la naturale complementarietà della “cellula fondamentale della società”.
In un’epoca in cui il progresso si degrada, il controllo sociale si diffonde e le libertà civili diminuiscono, cosa significa veramente essere liberi? Due secoli dopo l’appello di Olympe de Gouges, Anne Trewby e Iseul Turan raccolgono le teorie del femminismo e suggeriscono una via d’uscita dalla modernità e dalla “tirannia dei diritti”. Un appello libero, sincero e controcorrente, che smaschera i limiti della narrazione dominante e parla al cuore di ogni donna.
INFO & ORDINI:
www.passaggioalbosco.it
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Un nuovo post è stato pubblicato su https://www.staipa.it/blog/la-disinformazione-nel-ring-come-la-propaganda-ha-trasformato-due-pugilesse-in-bersagli/?feed_id=1617&_unique_id=66b351d3d338d %TITLE% Non sono uno "sportivo", non come lo intende chi lo sport lo segue dalla poltrona, e non sono particolarmente attratto dagli sport competitivi. Ma come ormai si nota sono attratto dai temi sociali e politici e per qualche motivo queste Olimpiadi 2024 sembrano più interessanti per questi ultimi che per le performance sportive. A questo punto, tocca scriverne. Tutto è iniziato con un banchetto dionisiaco in cui qualcuno ha visto un'ultima cena, nonostante un tizio vestito di blu con in testa frutta e verdura su un tavolo pieno di fiori e frutta non ricordasse propriamente un richiamo ai miti giudaico-cristiani. Tuttavia, era un buon modo per fare polemica, per offendere la Francia e il suo senso di libertà, per far parlare di sé come difensori di qualcosa che non ha gran bisogno di essere difeso. Il tutto, badiamo bene, perché gli attori non erano normo conformati a quanto prescritto dagli uomini di chiesa. In fondo, la solita invidia per la capacità dei Francesi di essere liberi e di manifestare il proprio senso di libertà. Sarebbe potuta finire lì, avrebbe potuto non sembrare solo un pretesto per parlare ancora e lamentarsi ancora del fantomatico complotto mondiale del gender, lo sarebbe stato se si fosse chiusa lì, fino all'arrivo dell'incontro tra Imane Khelif e Angela Carini. A quel punto, un'atleta che da anni sta facendo la propria normalissima carriera, di cui nessuno si è lamentato, è diventata praticamente il caso mediatico del millennio. Per capire se questo sia solo un pretesto, come quello di scambiare un banchetto con un uomo blu pieno di frutta per l'ultima cena, forse basta seguire la storia di questa notizia. La presunta notizia di due pugili "uomini" alle Olimpiadi del 2024 è un esempio emblematico di come l'ecosistema dell'informazione contemporaneo possa distorcere la realtà. Sì, perché in realtà l'avversaria della nostra atleta italiana non era l'unica in una situazione simile. Parlare di questa vicenda e di come si sia sviluppata è un buon modo di parlare di come le posizioni radicali possano mescolarsi indistintamente con il mainstream, e come insinuazioni, diffamazioni e fatti possano confondersi fino a creare narrazioni ingannevoli. Le principali vittime di questa disinformazione sono state l'algerina Imane Khelif, soprattutto in Italia, e la taiwanese Lin Yu-ting. Queste atlete però rappresentano solo gli ultimi bersagli di una guerra ideologica che va avanti da molto tempo e che non si concluderà con le Olimpiadi di Parigi, né con l'introduzione di nuove regole per le future edizioni, posto che le regole attuali sui livelli di testosterone non siano già sufficienti. Il primo sito di rilievo a riportare la notizia della presunta partecipazione di due pugili squalificate dall'IBA alle Olimpiadi di Parigi è Reduxx, un sito che si autodefinisce di "notizie femministe" ma che in realtà pubblica esclusivamente articoli negativi sulle persone trans. La strategia di Reduxx è simile a quella di altri siti o pagine razziste che pubblicano solo notizie di reati commessi da immigrati, creando così una percezione distorta e pericolosa di interi gruppi sociali. Tra le co-fondatrici di Reduxx c'è Anna Slatz, nota per le sue collaborazioni con siti di estrema destra come Rebel News o The Publica, dove i contenuti transfobici si mescolano a quelli razzisti e alle teorie cospirazioniste sui vaccini. L'articolo di Reduxx, pubblicato il 27 luglio, evita termini come "atlete transgender" o "maschi", utilizzando invece eufemismi e insinuazioni, spesso con l'uso di virgolette ("female boxers"). Slatz avanza l'ipotesi che le atlete in questione possano avere un Disordine dello Sviluppo Sessuale (DSD), e cita la questione dei "cromosomi" nel titolo, riferendosi a un lancio dell'agenzia Tass del marzo 2023 e a un articolo di Russia Today.
L'articolo include anche un'intervista con una co-fondatrice dell'Independent Council on Women’s Sports, che ribadisce l'importanza di reintrodurre i test del sesso alle Olimpiadi. Secondo questa intervista, le federazioni dei paesi delle due atlete avrebbero approfittato delle dispute tra IBA e CIO per "far salire pugili maschi sul ring contro le donne, competendo per le medaglie olimpiche femminili". La rilevanza dell'articolo di Reduxx è duplice: non solo per la tempistica, ma anche perché introduce le parole di Kremlev e il sospetto che le due atlete siano "uomini". Il discorso sui "corpi maschili" e la transfobia esplicita sono sostituiti da discussioni su cromosomi, livelli di testosterone e DSD. La diffusione dell'articolo di Reduxx non è limitata ai circuiti del femminismo critico nei confronti del gender, ma coinvolge anche figure di spicco che condividono posizioni contro l'ideologia gender, come il biologo evoluzionista Richard Dawkins. Dawkins, riprendendo le parole di Kremlev, parla di "uomini mascherati da donne". The Guardian, con un articolo del 29 luglio firmato dal giornalista sportivo Sean Ingle, contribuisce ulteriormente a diffondere la voce sui cromosomi. Ingle, che ha trattato spesso le questioni relative all'ammissione di atleti trans nelle federazioni sportive femminili, cita Kremlev senza contestualizzare le accuse transfobiche né i dubbi sui test condotti. Ad esempio, non menziona che le due atlete non avevano superato un test del Campionato Mondiale del 2022, ma era stato loro permesso di partecipare l'anno successivo dopo aver effettuato il test nelle fasi finali. Né specifica che la decisione di squalifica nel 2023 era stata presa da Kremlev e un altro dirigente e successivamente ratificata dal direttivo, o che la federazione taiwanese avesse effettuato test di verifica. Un altro aspetto peculiare di come Ingle ha gestito il caso è in un tweet dove condivide le domande inviate al CIO. La prima recita: “Il CIO pensa sia giusto che chi è passato attraverso una pubertà maschile abbia la possibilità di competere nelle categorie femminili - dove i rischi per la sicurezza sono alti?”. Mentre la seconda chiede un commento su chi accusa il CIO di “sminuire le fondamenta stesse della categoria femminile”. La domanda insinua così un’informazione non vera, ossia che le due atlete squalificate siano passate attraverso una pubertà maschile, o che alle Olimpiadi ci siano “maschi biologici” nelle categorie femminili. https://twitter.com/seaningle/status/1818317476184440905 Sono quindi domande che portano nello scenario concreto (il caso della squalifica e dei test) degli scenari fittizi e dei sospetti, in un clima già inquinato dalla disinformazione. Difatti poi nella fase finale dell’articolo si riporta un dato scientifico che serve solo ad alimentare il framing “uomini che picchiano le donne sul ring”: “Le ricerche scientifiche”, scrive Ingle, “hanno dimostrato che la potenza media di un pugno di chi è passato attraverso una pubertà maschile è superiore del 162% rispetto a quello di una donna”. Dopo la pubblicazione dell’articolo, il caso dilaga ed è ormai discusso ovunque, dalle editorialiste gender critical della stampa britannica a Donald Trump, Elon Musk e J.K. Rowling. Personaggi notoriamente critici verso queste tematiche. https://twitter.com/realDonParody/status/1818999754526753235 https://twitter.com/elonmusk/status/1818986936310075743 https://twitter.com/jk_rowling/status/1819007216214573268?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E1819007216214573268%7Ctwgr%5E17eb2bb1752843ba18dbdc3649b7942d4187b5b6%7Ctwcon%5Es1_&ref_url=https%3A%2F%2Fdeadline.com%2F2024%2F08%2Fjk-rowling-elon-musk-attack-olympics-imane-khelif-angela-carini-boxing-1236028749%2F Nonostante uno di loro abbia una figlia transessuale (https://short.staipa.it/jxtf3). La storia di Lin Yu-ting, in Italia quasi ignorata, è particolarmente significativa. L'opinione pubblica taiwanese ha alzato gli scudi dopo dato che è stata proprio la violenza di genere a spingere la ragazza verso la boxe.
Figlia di un padre violento è stato il desiderio di proteggere la madre a portarla a scoprire la sua vocazione sportiva. In tutto questo nessuno, al di fuori di chi ha fatto le analisi e certificato la loro idoneità sa davvero nulla di cosa ci sia, o non ci sia, di diverso nelle due donne rispetto alle loro concorrenti. L'IBA stessa, unica a dare dettagli, li ha dati contraddittori, dichiarando in una fase perfino che la squalifica del 2023 non fosse relativa a un problema con il testosterone. Questo non ha impedito a politici e persone di spettacolo di cavalcare le opinioni, di bullizzare con la solita narrazione della prepotenza (e dell’ignoranza) (https://short.staipa.it/g4kud). Con lo scudo della violenza sulle donne e della loro difesa non si sono preoccupati di cosa voglia dire per una atleta olimpica essere sotto i riflettori delle accuse, degli insulti e delle offese del mondo intero proprio durante una competizione della quale non ha violato nessuna regola e nella quale è stata valutata, analizzata e accettata pienamente. Il tutto proprio durante la competizione. Se fosse accaduto un analogo tentativo di intimorire un qualsiasi altro atleta prima di un incontro per un qualunque altro motivo, chiunque avrebbe capito quanto sbagliato fosse. Si sarebbe addirittura parlato di incontro truccato nei confronti dell'altra parte, in questo caso probabilmente altrettanto vittima di una pressione sociale mostruosa. Cosa sarebbe accaduto se a cadere sotto la pressione mediatica fosse stata l'atleta algerina? Questa storia mostra come la disinformazione possa distorcere la realtà e danneggiare le persone, creando un clima di sospetto e odio basato su pregiudizi e disinformazione, ed è proprio su questo clima di odio che si basa la campagna politica di molti. Di tutti quelli che hanno cavalcato quest'onda senza sapere nulla della realtà, perché nulla è stato ufficialmente detto. Parole al vento, bullismo contro due atlete olimpiche durante le competizioni, e nessuna scusa.
#Cultura#Polemipolitica#DonaldTrump#gender#ImaneKhelif#J.K.Rowling#LinYuting#Olimpiadi#transfobia#UguaglianzadiGenere
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[Bibbia queer][Mona West][Robert E. Shore-Goss]
Testi di studiosi e pastori attingono alle teorie femministe, queer, decostruzioniste e utopiche, alle scienze sociali e ai discorsi storico-critici per offrire una lettura della Scrittura come non si era mai fatto. L’attenzione è rivolta sia al modo in cui la lettura da prospettive contestuali influisce sulla lettura e sull’interpretazione dei testi biblici, sia al modo in cui i testi biblici…
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#2023#Bibbia#Bibbia queer#Bibbia queer. Un commentario#Bible#EDB#Gianluca Montaldi#LGBT#LGBTQ#Martin M. Lintner#Mona West#nonfiction#queer#religione#Robert E. Shore-Goss#Selene Zorzi#Take Back the Word: A Queer Reading of the Bible#USA
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PILLOLE DI GOSSIP: BARBIE SOLERI
È il film del momento, il caso cinematografico dell'anno, la pillola più discussa e - udite udite - tratta vita, opere, remore e miracoli della creatura di casa #Mattel. È #Barbie la protagonista indiscussa delle sale mondiali e in Italia non sono mancati volti noti e inutili in occasione della Premiere milanese.
In quest'ultima categoria rientra miss "poetessa ascellare" #GiorgiaSoleri, influencer nota per essere la poliamorosa oramai ex di #DamianoDavid. La giovane ha speso parole di miele per la regista della pellicola #GretaGerwig, ritenuta dalla influencer nientemeno che "visionaria e geniale". Mentre ci chiediamo dove stia la genialità nel parlare di Barbie e #Ken (ma magari il film riserverà sorprese ... Mai giudicare senza vedere), la nostra Soleri è stata accusata di incoerenza. E in effetti, la bionda bambola amata da bimbe di ogni generazione ben poco ha a che fare con l'ideale femminista (o pseudo tale) promulgato dalla Giorgia, che nel frattempo non ha mancato di abbinare outfit confetto alla visione del blockbuster.
Io, intanto, continuo a chiedermi perché si dà così tanto peso alle teorie femministe e non della ex di Damiano, amante della lametta come io lo sono della polenta.
Ma vabbè.
#pilloledigossip #matryoshka #pubblicista #copywriter #blogger #harusphotos #influencer
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Lea Melandri "Come nasce il sogno d’amore", Fernandel Edizioni
Fernandel ripropone una delle voci più autorevoli del femminismo italiano, Lea Melandri. Come nasce il sogno d’amore: un libro che Asor Rosa definisce come uno dei più significativi del Novecento italiano. Come nasce un sogno d’amore è il primo titolo della collana Le tre ghinee, Teorie e pratiche femministe di ieri e di oggi diretta da Barbara Domenichini, collana che pubblicherà testi di…
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Le conseguenze emotive di queste prime esperienze rimangono per sempre negli individui come memorie emotive potenti ma spesso inconsce. (Quando studiare diventa un piacere) -lostintheoceanoflifeoflife (via @lostintheoceanoflifeoflife)
#teorie femministe#femminismo#femminismo psicoanalitico#conseguenze emotive#emozioni#sentimenti#rapporti persi#ricordi#memorie#amore perso#amore passato#legami persi#primo amore#mai dimenticato
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#femminismo#femminist#teorie femministe#libri femministi#libri belli#libro#libri#books and libraries#antologia#antologia femminista#libri gratis#le tre ghinee#una stanza tutta per sé#virginia wolf#xenofeminism#xenofemminismo#transfeminism#transfeminismo#manifest#manifesto#manifesto femminista#girl power#eve ensler#monologhi della vagina#mario mieli#chimamanda ngozi adichie#dovremmo essere tutti femministi#we should all be feminists#roxane gay
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È bastato un tweet in supporto di J.K. Rowling per far perdere il posto ad un compositore nella sua stessa azienda.
E con una frase manipolatoria tipica del movimento transattivista queer, ovvero “la sua frase ha ferito molte persone” viene fatto passare come mostro, quando ha solo detto una cosa ragionevolissima. Ha semplicemente mostrato preoccupazione verso le “cliniche gender” che danno ormoni bloccanti della pubertà ai bambini, in particolare si riferisce alla clinica Tavistock, appena chiusa dal governo inglese.
Come lui hanno perso il posto tantissime femministe, intellettuali, operaie, artiste, insegnanti, etc. Solo perché si mostrano critiche verso le teorie queer. Vengono chiamate TERF, fatte passare come transfobiche, ostracizzate, addirittura minacciate, dalla “be nice” gang, quel gruppo di persone che si spacciano per progressiste ma usano tutti i metodi fascisti possibili immaginabili, incluso le liste nere.
Diffidate da questo movimento e dai politici che senza accorgersene ci sono cascati dentro con tutte le scarpe.
Restare vigili a questo colonialismo culturale di stampo anglosassone che sta facendo danni enormi.
Diffidate soprattutto da chi ci dice che se criticate questo movimento siete come Pillon.
Quelli sono Proprio quei soggetti incapaci di pensiero critico.
Leggete qui: https://www.spiked-online.com/2022/09/07/christian-henson-spitfire-audio-and-the-brutality-of-cancel-culture/?fbclid=IwAR0zaP_1LesW4B7Ttqvqr7W2aMVaxUSgYUtxX0CgLwsJAEiBpdq3WJbuPJM#l7ssj5kbdu8g9lry2j
Dalla pagina fb
"Facebook favorisce il cyberbullismo contro le donne"
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Perché Carla Lonzi sputa su Hegel?
Riflessione su filosofia hegeliana, teoria marxista e femminismo, ovvero perché la liberazione femminile non è conciliabile con le teorie politiche maschili.
“Il marxismo-leninismo ha bisogno di equiparare i due sessi, ma la regolazione di conti tra collettivi di uomini non può che produrre una elargizione paternalistica dei propri valori alla donna. E si chiede il suo aiuto più di quanto si è disposti ad aiutarla”.
Questo è ciò che denuncia Carla Lonzi, teorica dell’autocoscienza e della differenza sessuale, già nelle prime pagine del suo saggio “Sputiamo su Hegel”, pubblicato nel 1970 a seguito del suo lavoro all'interno del collettivo femminista "Rivolta Femminile". All’interno di tale scritto, l’autrice analizza la condizione femminile nella storia, evidenziando come essa sia sempre dipesa dalla relazione della stessa con l’uomo.
Nella premessa, Lonzi chiarisce come abbia scritto “Sputiamo su Hegel" perché “rimasta molto turbata constatando che quasi la totalità delle femministe italiane dava più credito alla lotta di classe che alla loro stessa oppressione.” Infatti, all’inizio del testo evidenzia chiaramente l’esistenza di strutture patriarcali all’interno degli stessi presupposti, risultati e obiettivi dei movimenti rivoluzionari.
Nel trattare il comunismo nello specifico, Lonzi parte dall’analisi della dialettica servo-padrone hegeliana. Il filosofo, da cui Marx riprenderà la sua teoria dell’alienazione all’interno dei “Manoscritti economico-filosofici del 1844”, introduce la suddetta dialettica nella sua “Fenomenologia dello spirito”, definendo la stessa come una delle figure tramite la quale la coscienza si esprime nel suo realizzarsi attraverso la storia. Una volta che la coscienza diviene autocoscienza, si scontra con altre autocoscienze per ottenere il riconoscimento di sé stessa. Da questa lotta originano i ruoli di padrone, il vincitore, è servo, colui che per paura della morte si sottomette. Eppure è in virtù della sua condizione di lavoratore alle dipendenze del padrone, che il servo si rende conto della propria indipendenza. È il lavoro che permette al servo di riconoscersi in quanto autocoscienza, di operare tramite la ragione.
Il padrone, secondo Hegel, non opera questo riconoscimento, vivendo solo attraverso il lavoro del servo ed essendone quindi dipendente più di quanto il secondo non lo sia da lui. È grazie a questa presa di coscienza che il rovesciamento dei ruoli si pone come inevitabile.
È qui che troviamo la fonte di ispirazione più forte per la teoria marxista: la spinta alla lotta del proletario sottomesso, che dopo essersi alienato nel proprio lavoro ne trae la spinta per riconoscersi come coscienza attiva.
La conclusione marxiana del processo dialettico si espleta nella lotta di classe e nell’instaurazione della dittatura del proletariato, fase transitoria tramite la quale giungere a una società egualitaria priva di sfruttamento, oppressori e oppressi.
Da questi presupposti, Lonzi introduce la sua critica alla filosofia hegeliana e alla conseguente ispirazione marxista da essa tratta. La teorica femminista mostra alla lettrice ciò che resterà una costante nella sua spiegazione delle filosofie e delle ideologie nel corso della storia: i rapporti espressi al loro interno appartengono puramente al mondo maschile.
La dialettica servo-padrone non è applicabile alla liberazione femminile in primis perché il patriarcato non concepisce la condizione femminile come una problematica umana. Per la stessa storia, la stessa cultura di cui sono figli filosofi e teorici politici, l’oppressione femminile è un dato naturale. Hegel non considera la donna una serva e l’uomo un padrone.
Egli stesso ha posto in essere una dialettica che definisse la differenza tra i sessi secondo due “principi”: il principio divino femminile e il principio umano maschile, spiegando tramite i suddetti il ruolo delle donne relegato al “presiedere la famiglia”, e non la comunità come invece è competenza dell’uomo. Lonzi inoltre spiega come, anche se il filosofo avesse voluto inserire la donna nella dinamica del servo e del padrone, avrebbe riscontrato diversi problemi dati dalla natura stessa della condizione femminile, la quale non risale a un semplice ruolo sociale che può essere abbandonato, tramite una presa di potere del servo che diventa padrone, in quanto non è possibile operare un ribaltamento del fattore su cui l’oppressione femminile si basa, ossia il sesso.
Il fattore biologico, e quindi non circostanziale, ha operato come giustificazione della sottomissione delle donne sin dagli albori della storia, per via dell’incapacità maschile di concepire che un altro individuo potesse partecipare della natura umana e possedere la ragione pur essendo differente da lui. L’autrice chiarisce poi il rapporto tra patriarcato e capitalismo, rettificando il modello riduttivo del suddetto presentato dal comunismo.
La scrittrice definisce il patriarcato un’eredità che la storia ha tramandato al capitalismo, piuttosto che un figlio dello stesso modello economico, ribaltamento presentato dal materialismo storico, il quale ignora che l’affermazione del potere di tutti gli uomini su tutte le donne abbia origini diverse da quella che riguarda alcuni uomini contro altri uomini. Che gli uomini, progressisti come conservatori, abbiano ignorato tutto ciò che non si concili con condizioni a loro vicine risulta lampante. Ed è questa mancanza che “Sputiamo su Hegel” denuncia, l’incapacità delle lotte rivoluzionarie precedenti di riconoscere l’unicità femminile, la quale invece è stata trascurata a favore di una ricomprensione nel modello maschile. I nostri obiettivi sono stati sacrificati anche da coloro che si ponevano in antitesi all’uomo “borghese”, in virtù della comunanza che caratterizza gli uomini in quanto tali nella loro contrapposizione con il sesso femminile. “In questo nuovo stadio di consapevolezza- scrive Lonzi - la donna rifiuta sia il piano dell’ uguaglianza che quello della differenza” con il sesso maschile, dimostratosi incapace di riconoscere la natura femminile non come giustificazione di un ruolo sottomesso, ma come autocoscienza parallela a quella maschile, che non necessita di essere definita in base all’altra, né come inferiore che eguale, ma autonoma nella sua natura.
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La la la la la la la la La la la la la la la la
Dio mi salvi dalle commedie, dai cosplayer Da chi sposa la causa solo quando gli conviene Dai politici sempre più simili ad influencer Finché non candideranno loro direttamente
Da femministe suprematiste vs Le teorie degli incel, la lotta di gender Da polemiche su attori e doppiatori Che per darti i ruoli devono sapere con chi scopi
Dalla F word, la N word Che non cancellano il concetto, le shitstorm Politicamente corretto, sì, però Com’è che prima erano tutti Charlie Hebdo?
Dalle love story mediatiche, dalle attese messianiche Da cosplayer di cosplayer che manco hanno visto l’anime Da te che inizi col rap perché va tra i generi Ma poi ci molli come Phil Collins coi Genesis
La popstar con gli occhi lucidi per il decreto? Vade retro, ritorna dal tuo creator Emo senza emo, il Joker di Jared Leto Fluidi senza scambi di fluidi, un Purdi estremo
Da ‘sti rapper complessati che parlano di f*ghe 4L, 4L perché fanno quattro lire Il reggaeton in Italia è cultura, c’è chi lo dice Vado a sentire ed è lo stacchetto delle veline
Dio proteggimi da loro Da quelli che d’estate si commentano in spagnolo Dal logo per la foto per la promo per la F.O.M.O Da quelli che non vanno a tempo e hanno un bell’orologio
Dai rapper con il botox Dal biondo patriota, sui social si prodiga per noi Ma in realtà è il più merda come il Patriota in The Boys Vabbè, al massimo si scatena, tanto ambassador non porta pena
Dai ribelli per Mara Venier Dagli studenti dello IULM, della NABA, lo IED Da chi sbandiera i risultati e ha comprato gli stream E da chi è infame sulle carte ma fuck da police
Fa una diretta in centro, prende pure le botte Se ne torna contento che ha portato a casa il content A chi dice ti rode , a chi invece si espone Chi cerca esposizione bravo hai vinto il premio IG Nobel
Sì punk, fluid ma non siete i Pink Floyd Sembra cool e voi come avvoltoi Ra ra ra ra ra ra ra ra
Puoi essere qualcuno che non sei Ra ra ra ra ra ra ra ra È proprio un bel raduno di cosplay
Noi, loro e gli altri Da chi ti vestirai oggi? Ahahah Puoi essere quello che vuoi Perché se non c’è cultura non c’è appropriazione culturale
Dio ci salvi dall’ipocrisia Dal rumore di fondo E da chi sceglie solo le proteste monetizzabili, mhm Noi, loro e gli altri
Da cosa ti sei vestito oggi? Oggi che possiamo rivendicare di essere bianchi, neri, gialli, verdi O di essere cis, gay, bi, trans o non avere un genere Non possiamo ancora essere poveri
Perché tutto è inclusivo a parte i posti esclusivi, no? Oggi che tutti lottiamo cosi tanto per difendere le nostre identità Abbiamo perso di vista quella collettiva L’abbiamo frammentata
Noi, loro e gli altri Noi, loro e gli altri Persone
#sto pezzo avrei potuto scriverlo io#luridi#cosplayer#siete#finti#come#le#vostre#finte#battaglie#marracash#noi loro gli altri#rap italiano#Spotify
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Il mio nome è clitoride L’8 marzo scorso il gruppo Gang to Clito, fondato da Julia Petri, ha fatto galleggiare nell’aria un gonfiabile di 5 metri che riproduce perfettamente una clitoride. L’iniziativa si è svolta in piazza Trocadero, proprio davanti alla Tour Eiffel: “davanti al fallo più famoso di Parigi” – ha dichiarato alla stampa Julia Petri – “è stata compiuta un’azione simbolica per denunciare le disparità di trattamento e l’analfabetismo sessuale istituzionale”. La clitoride è stata ignorata per secoli dalla scienza medica che la riteneva un fallo abortito, viene descritta in molti testi come “pene rudimentale” ma è un piccolo organo sofisticato capace di una sequenza di orgasmi. E’ stata cancellata dal linguaggio e anche purtroppo dal corpo delle donne attraverso la violenta pratica dell’infibulazione, un fenomeno ancora diffuso in una trentina di Paesi africani, in Medioriente e in Asia con in testa Egitto e Somalia per numero di donne che hanno subito la parziale o totale mutilazione dei genitali femminili esterni. La clitoride nell’universo patriarcale e fallocentrico è l’organo scandaloso che disconferma la centralità del fallo nel piacere sessuale delle donne e conferma una realtà inconfutabile: la fisiologia della sessualità femminile è un unicum perché attesta che il piacere delle donne può essere completamente slegato dalla riproduzione ed è fine a stesso, alla faccia dell’antico adagio “non lo fo per piacer mio ma per dare figli a Dio”. Sulla scandalosa clitoride sono state sparse cortine fumogene e nebbiose teorie, dal fintontismo di medici che per secoli si sono chiesti a cosa servisse (ma dai?), al paraculismo di Sigmund Freud che divise le donne tra clitoridee e vaginali: le prime psicologicamente immature e instabili, le seconde mature perché grate alla penetrazione. La teoria freudiana patologizzò l’orgasmo clitorideo e contribuì a diffondere false credenze sulla sessualità delle donne. In realtà recenti studi hanno messo una pietra tombale sulla fittizia distinzione di orgasmo clitorideo e vaginale fondata più sul pregiudizio che sulla scienza. La rimozione simbolica e la mutilazione della clitoride sono state e sono la manifestazione di una guerra combattuta contro il desiderio e l’orgasmo delle donne per affermare un controllo totale su un corpo destinato ad essere silenziato e al servizio della riproduzione e del piacere sessuale maschile (che poi sulla qualità di un piacere sessuale unilaterale ci sarebbe da riflettere). Questa strategia funziona ancora oggi se molte giovani donne non conoscono il loro corpo. Quasi cinquant’anni fa, i gruppi di autocoscienza femministi portarono alla luce il problema dell’insoddisfazione sessuale delle donne ma ancora oggi ci sono molte giovani che non conoscono il loro corpo, che vivono la masturbazione con imbarazzo o non la praticano mentre il principale veicolo di conoscenza della sessualità sono i siti porno con contenuti sempre più violenti e focalizzati ossessivamente sulla penetrazione di un corpo femminile. Con quali conseguenze? Secondo uno studio del Chapman University dell’Indiana University e del Kinsey Institute, le donne eterosessuali sono quelle che in percentuale hanno meno orgasmi (solo il 65% ) rispetto alle donne lesbiche (86%), agli uomini etero (95%) e ai gay (89%) mentre il 95% delle donne ha un orgasmo immediato con la masturbazione. “C’è una forte valenza simbolica costruttiva e propositiva – ha commentato con grande lucidità Monica Lanfranco – nel portare finalmente alla luce la clitoride, organo unico nella specie umana presente solo nei corpi femminili che presiede esclusivamente al piacere. Questa peculiarità è estremamente interessante perché, a differenza del pene e della vagina, non ha nulla a che fare con la ‘produzione’ e la finalizzazione (eventuale) ad altro (la gravidanza, l’eiaculazione). Piacere, sollievo, estasi, e basta, pare poco? Parlando per metafore si potrebbe sollevare un dubbio: se il simbolico millenario, invece che al fallo, si fosse ispirato alla clitoride forse avremmo avuto meno disastri causati dalla compulsione produttiva, e oggi vivremmo una civiltà fondata su una riproduzione sociale della specie più rilassata, pacifica e incline al piacere invece che al potere? Le giovani generazioni potrebbero mettere in nota questa dritta di noi anziane femministe”. Vi segnalo il docufilm uscito l’8 marzo, Il mio nome è clitoride di Lisa Billuart e Daphnè Leblond (già disponibile su Mymovies) che prende le mosse da un proverbio croato: “Non cercare la verità in lungo e in largo, potresti trovarla in mezzo alle tue gambe” per raccontare l’esperienza di codici ragazze tra i 20 e i 25 anni che descrivono come hanno scoperto il proprio corpo e il rapporto con l’organo erettile femminile. Un documento che smantella la fallacia di alcune teorie fondate su pregiudizi e lascia la parola alle donne. Qua potete seguire il trailer. Non c’è che da augurare a tutte l’avvento di una rivoluzione simbolica ispirata alla clitoride e forse la rivoluzione è già cominciata. Nadia Somma
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È che quando si parla di femminismo solo una cosa si può fare, parlando con delle pseudo-femministe, ovvero: tacere. Il perché è semplice: si parlano due lingue diverse. Uno sta là magari a dire che ehi, forse la cosa andrebbe vista su un piano un poco diverso, una sfaccettatura sottile che però va presa in considerazione e quelle invece stanno là a dirti: NOI ABBIAMO SEMPRE RAGIONE, NON È COME DICI TU, NON È QUELLO CHE SI VOLEVA DIRE, NON È QUELLO CHE STO DICENDO, HO RAGIONE IO E HAI OFFESO LA SENSIBILITA’ MIA E QUELLA DI TUTTE LE DONNE, CI HAI MANCATO DI RISPETTO TU E LE TUE TEORIE MASCHILISTE. E quindi che vuoi fa’? Taci e amen. E se è snervante e sale odio ad una femmina, figuriamoci cosa accade nei maschi (sia chiaro: in certi maschi) già per loro brutti e cattivi tutti da sempre e per sempre sfruttatori e stupratori seriali. E parla pure una che ha sempre avuto il terrore dei maschi e c’ha un rapporto conflittuale con l’altro sesso. Secondo il nostro misero e modesto parere parlano secondo uno schema mentale preimpostato e rigido: l’uomo ha sempre trattato male la donna, la donna rimarrà sempre inferiore all’uomo - classificandosi paradossalmente come inferiori. Non accettano altre prospettive. E fin quando lo schema resta fisso a queste due sole forme, senza prospettiva di mobilità e di cambiamento, il dibattito sarà impossibile, frustrato e frustrante. Parlano, come tutti su qualsiasi argomento, pure il più futile che possa esserci, solo per avere ragione, solo per avere conferme. Bene, vuoi far finta di avere ragione? Guardati allo specchio e parla da sola. Io vado a curarmi la piantina del cazzomenefrega ché fare giardinaggio rilassa e ci ricongiunge con noi stessi e la nostra pace interiore.
#femmine#femmine per le femmine#miseri e modesti pareri che non interessano a nessuno#dalla stanza della noia#tautologie dialettiche
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Ma non vi fate schifo?
Davvero, non vi fate schifo nemmeno un pochino a rivolgere insulti ed accuse ad una persona, una donna come voi, di cui non conoscete nient’altro che il nome, solo perché la sua presenza - a che titolo nemmeno si sa per certo - nella vita di un uomo che state ridicolizzando e bistrattando vi guasta la festicciola e lui non è così accomodante da darvi il contentino e tenerla chiusa in casa?
La verità è che a voialtre non frega un cazzo di Ermal e Fabrizio, né come artisti né come persone. Non ve ne frega un cazzo adesso e non ve n’è fregato un cazzo mai, siete sempre in prima fila quando c’è da umiliarli, sminuirli e diffamarli. Sempre.
Ai firmacopie ci andate per collezionare foto e guardare attentamente se per caso uno dei due indossa un capo di vestiario che forse assomiglia a qualcosa che una volta avete visto anche addosso all'altro, ai concerti cercate ombre, voci, nomi in codice e passate la serata a scrivere PALO LOLOLOL sui social se non avviene il miracolo del coming out in diretta a reti unificate, poi tornate a casa e vi sbrodolate su quanto siano braaaavi, beeeelli, buoooni.
Vorrei vedervi prendere il coraggio a quattro mani e, al prossimo firmacopie, dire loro: ciao, mi ha detto la figlia inesistente di un anonimo pezzo grosso dell’industria musicale che voi due in realtà siete sposati, ma non lo dite a nessuno perché siete due poveri, tristi, pietosi repressi che si vergognano di sé stessi e noleggiano fidanzate finte da esibire al bisogno, e siete pure così ingenui da non accorgervi che quelle lì vi stanno usando come trampolini di lancio per una promettente carriera da vallette mute a Sanremo.
Già, perché coerenti come siete fate le femministe quando un discutibile showman dice che le compagne degli uomini famosi dovrebbero restare un passo indietro a loro, ma quando le presunte compagne di due uomini famosi che vi interessano solo in quanto personaggi delle vostre fantasie stanno loro accanto, e non indietro, zitte e a capo chino, non esitate a chiamarle poco di buono, arrampicatrici sociali, cercatrici d’oro, attrici in un’improbabile commedia ricca di misoginia, omofobia interiorizzata e patetismo un tanto al chilo.
Perché tanto che cazzo ve ne frega di loro? Non ci pensate al fatto che siano due donne in carne ed ossa con una loro sensibilità, dei sentimenti, un orgoglio che non esitate a ferire e fare a pezzi. Loro sono il nemico. Sono un elemento che fa traballare le teorie del complotto, che forse conferma la veridicità delle affermazioni di due uomini dalle cui labbra pendete quando dicono qualcosa che vi piace, ma che fate finta di non sentire quando dicono qualcosa che non si allinea perfettamente alle vostre convinzioni, supportate da persone che “sanno”, “vedono”, “dicono” ma mai che portino uno straccio di prova a supporto delle loro affermazioni.
Ma cosa pensate, che essere donne anche voi vi deresponsabilizzi da questi atti di odio e misoginia? Che il fatto di sperare in una relazione gay vi autorizzi ad accusare due perfetti estranei di essere dei repressi che tengono più alla fama che al loro amore, e le loro presunte (perché sempre presunte sono, ma per voi è già troppo, sarebbe troppo anche se fossero amiche o colleghe, per voi non devono esistere proprio) compagne di essere delle approfittatrici?
Ma come vi permettete? Ma con quale diritto aprite bocca e sparlate?
Poi mi raccomando, domani tornate tutte a cantare Non Mi Avete Fatto Niente per combattere l’odio e Vietato Morire perché ci tenete tanto alle altre donne.
In transenna ai loro concerti e in prima fila a diffamarli.
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Cesena, incontro con Silvia Federici e Rita Monticelli
Cesena, incontro con Silvia Federici e Rita Monticelli. Sabato 26 novembre alle 17.30, in occasione della Giornata Internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale organizza al Teatro Bonci di Cesena l’incontro Caccia alle streghe all'origine della violenza di genere con l’attivista e teorica femminista Silvia Federici: Professoressa Emerita della Hofstra University, Federici è autrice di un libro cardine del pensiero di genere, Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria – pubblicato da Mimesis nel 2015 e tradotto in varie lingue – che analizza il rapporto tra l’avvento del capitalismo e le radici di questa violenza. In collegamento da New York, dialoga con Rita Monticelli, ordinaria dell’Università di Bologna che coordina il Master internazionale GEMMA (Women’s and Gender studies). Filosofa e attivista per la parità di genere, Silvia Federici è una delle maggiori esponenti del pensiero femminista contemporaneo nel panorama internazionale. Come studiosa del rapporto tra autorità patriarcale, capitalismo, identità e soggettività femminile, ha condotto una profonda revisione della teoria marxista sull'organizzazione del lavoro, interpretando l’attività riproduttiva femminile come elemento indispensabile a produrre forza-lavoro per il mercato: la sua tesi è che le discriminazioni di genere e il ruolo subalterno assegnato alle donne, con i processi di espropriazione economica e sociale che ne conseguono, sono strettamente funzionali alla riproduzione dei sistemi capitalistici. La caccia alle streghe in Europa, che ha raggiunto la sua acme tra la fine del sedicesimo e la metà del diciassettesimo secolo, ha rappresentato, in questo contesto, il tentativo perpetrato dagli stati di addomesticare la donna, renderla cioè adatta alla mansione di procreare e allevare la prole, istituzionalizzando il controllo sul corpo femminile come condizione necessaria del suo assoggettamento. Chi è la strega? È una vecchia: incapace di generare; è povera, fa morire ciò che tocca; è lasciva e lussuriosa, cerca il rapporto fuori dal matrimonio, dalla famiglia, distrae la forza-lavoro. La strega pratica la magia e vola, ha un corpo non localizzabile, che non si piega ai ritmi del lavoro. La strega non ha figli: è il contrario della forza generatrice. Attenta, perciò, pericolosamente all’ordine imposto dal capitalismo. La riflessione di Federici si intreccia con quella di Rita Monticelli, studiosa di diritto, culture postcoloniali, storia e teorie della cultura, nell’identificare quelle figurazioni femministe che, riappropriandosi del corpo e delle culture delle donne, denunciano la violenza patriarcale e coloniale mentre valorizzano le genealogie e le esperienze delle donne per una cultura di equità e di etica dell’inclusione. A partire dalle inquietanti rispondenze tra le ragioni che innescarono la caccia alle streghe e i femminicidi di oggi, una preziosa occasione per entrare nei territori di un’altra declinazione della violenza, quella culturale e linguistica, dove si annidano discriminazione, sessismo e razzismo. L’incontro si svolge all’indomani del debutto al Teatro Bonci dello spettacolo di Giacomo Garaffoni Voglio soltanto le ossa, ispirato dalla scomparsa di Cristina Golinucci: una produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale in prima assoluta a Cesena da venerdì 25 a domenica 27 novembre. Nel lavoro di elaborazione teorica che ha dato origine al progetto teatrale l’autore e regista indica Calibano e la strega come un pilastro, grazie a cui ha potuto focalizzare con chiarezza il concetto di rimozione e desessualizzazione del corpo femminile in questo caso di cronaca: da subito, infatti, la figura della vittima diventa un’icona immateriale e ogni forma maschile è allontanata dall’epicentro della vicenda. Quella che rimane intorno alla scomparsa è una comunità composta quasi esclusivamente da donne, ampiamente marginalizzata, tanto dalle istituzioni ecclesiastiche, quanto dalle forze dell’ordine. Il modello di ribellione verso l’assenza messo in campo da queste donne risulta continuamente fallimentare quando si avvicina al reale, al vero e quindi alla sfera di competenza di un’autorità patriarcale, che tale non potrebbe essere se dissociata dall’elemento capitalista. Lo spettacolo Voglio soltanto le ossa e l’incontro sono stati inseriti anche nel programma 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere coordinato dal Comune di Cesena – Assessorato ai Diritti e alle Politiche delle Differenze e organizzato in collaborazione tra Forum Donne, Centro Donna, Azienda Unità Sanitaria Locale di Cesena, in occasione della Giornata Internazionale per 'eliminazione della violenza contro le donne (25 novembre) e della Giornata Mondiale dei Diritti Umani (10 dicembre).... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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FORME DI VITA E PRATICHE POLITICHE
Recensione su Il Manifesto di Cristina Morini del libro Ecologie della cura. Prospettive transfemministe
ITINERARI CRITICI. A proposito di «Ecologie della cura», di Maddalena Fragnito e Miriam Tola, pubblicato da Orthotes. È condivisa da tutte le autrici la necessità di problematizzare il campo di azione del «care» nel quale si giocano stratificazioni di genere, razza e classe
Forme di vita e pratiche politiche
Cristina Morini Una poesia di Sylvia Plath, scritta nel 1962, rende in modo folgorante le contraddizioni cui può esporre la cura, tra il sibilo del bollitore e «lampi d’emicrania». Bellezza e creatività sono sembianze in dissolvenza nello spazio privo di finestre dove «impacchi le dure patate» e insieme «impacchi bambini» e «impacchi gattini malati», benché tu sia «colma d’amore». Da cui il verso iniziale, un vero e proprio grido: «Perversità in cucina!». Ecco perché, soprattutto in un momento tanto cruciale della storia umana, qualora si nomini la cura lo sguardo delle donne è un tramite da cui non si può prescindere. Ed ecco perché un libro come quello curato da Maddalena Fragnito e Miriam Tola, Ecologie della cura. Prospettive transfemministe, da poco uscito per Orthotes editore (pp. 214, euro 18), si rivela uno strumento prezioso da un punto di vista teorico e politico. Nei dodici testi raccolti nel volume, come scrivono le curatrici nell’introduzione, vengono infatti assunte «come lente privilegiata quelle prospettive femministe che, non da oggi, hanno reso la cura un dispositivo critico, sensibile ai paradossi e alle ambivalenze».
NON PUÒ INFATTI ESSERE omesso il contesto nel quale «naturalmente» si dispiega la cura, vale a dire la famiglia eterosessuale, la divisione sessuale del lavoro, l’essenzialismo destinico del lavoro di cura addossato alle donne. Né, d’altro lato, può essere negato il ruolo delle relazioni e dei legami, l’importanza costitutiva della dimensione affettiva per l’individuo all’interno di una collettività, che si traduce anche in cura. Dunque, una «materia umile», da sempre relegata nelle stanze più interne della casa storicamente abitate dai «subalterni», per usare le parole di Joan Tronto, fossero donne, schiavi o domestici, può rappresentare un bagaglio suggestivo per improntare in senso innovativo le politiche solo se «riorientata in senso socio-ecologico» e «ridefinita come pratica di relazione tra esseri umani e sistemi viventi e non-viventi», chiariscono le curatrici. La riconfigurazione dal basso della cura, scrivono Fragnito e Tola, indica infatti che «su questo terreno si gioca la possibilità di generare modi di vita che vale la pena vivere». Un passaggio obbligato nel presente, poiché è urgente costruire un risveglio dopo il trauma, mai davvero elaborato collettivamente, della pandemia, tra guerre dove ci muoviamo con profondo dolore e senso di vuoto. Ineludibile che i femminismi prendano parola sulle antinomie della cura che rischiano di presentarsi, oggi più di ieri, come conferma della logica del sistema in cui sono inglobate. Risuonano, perciò, empaticamente, alle orecchie, alcune domande cruciali dell’introduzione: «Quali relazioni sociali vale la pena di rigenerare e quali invece devono essere disfatte per trasformare le condizioni di vita in comune? Quali cure generano altri mondi?».
L’UNIVERSO DI PENSIERI e pratiche cui attingere, parlando di cura, è davvero immenso e il volume cerca di restituirlo, consapevole di non poterne tratteggiare tutte le sfaccettature. Si osservano dunque quelle genealogie «complesse, non-lineari e animate da prospettive e progettualità distinte» che meglio vengono richiamate dagli interventi racchiusi nel volume: il rapporto tra etica della cura e teorie della riproduzione sociale; le forme di decostruzione e reinvenzione delle comunità curanti a partire dagli apporti del femminismo nero, decoloniale e trans; il ruolo dell’approccio ecologico e delle tecnologie nella cura. Cosicché, insomma, è condiviso da tutte le autrici e da tutti i contributi, pur tra analisi e proposte differenti, la necessità di problematizzare il campo di azione del care nel quale si giocano stratificazioni di genere di razza e di classe. Non è un campo innocente, come dice Maria Puig de la Bellacasa, non va idealizzato come il luogo del sollievo o del conforto o della sollecitudine. L’assunto centrale del testo è l’utilizzo del concetto di cura come categoria politica, osservandone le potenzialità ma anche i limiti, continuando a considerare con attenzione le costruzioni ideologiche che pretendono di trasformarne la «realtà» per identificarla con ciò che è funzionale all’organizzazione della normalizzazione del corpo sociale. I vari contributi dialogano tra loro, nel tentativo di fornire risposte a un tema ambivalente: è ancora l’introduzione a sottolineare come da un lato la cura sia «un codice» utilizzato dal potere, dall’altro che «forme di cura alternative hanno creato rifugi tra le pieghe di un universo che si sfalda». Quindi, si tratta di reinventare e sperimentare un welfare pubblico basato sul lavoro di cura universale con soluzioni finanziate dallo Stato ma organizzate a livello locale (Brunella Casalini), ma ciò significa anche che, «al di là della cura, la questione del comune, del comunitario, della comunità, delle trame comunitarie, sono elementi cruciali» (Amalia Pérez Orozco).
DA QUESTO PUNTO DI VISTA, la privatizzazione dei servizi pubblici, «la privatizzazione del futuro», accelerata con la pandemia non stupisce il collettivo Pirate Care (Valeria Graziano con Tomislav Medak e Marcell Mars) che invita a mettere tali problematiche al centro dell’azione politica, senza limitarsi a mobilitazioni emergenziali e di solidarietà. Si aggiungono le questioni dell’aumento del lavoro domestico per le donne durante la pandemia nonché quelle poste «dalla lunga storia di organizzazione politica delle lavoratrici domestiche», messe in luce da Valeria Ribeiro Corossacz, mentre, su un altro fronte, Laura Centemeri affronta la cura da un doppio punto di vista: come logica arricchente della molteplicità delle relazioni oppure come lavoro invisibile, che sfrutta e depaupera. In tutto questo non manca, con Mackda Ghebremariam Tesfaù, un approccio differente alla cura che viene dal femminismo nero: esso già presuppone una politicizzazione dello spazio domestico, visto il rapporto di conflitto e resistenza da sempre esistente tra nucleo domestico nero e nucleo domestico bianco. E, analogamente, è la «cura trans e queer» descritta da Hil Malatino a schiuderci universi immaginativi diversi per la cura: non più famiglia e donna eterosessuale, bensì spazi interconnessi, la strada, il bar, la clinica, il centro comunitario, l’aula scolastica sono la scena in cui si muovono le reti di mutuo soccorso e di supporto emotivo messe in piedi dalle comunità transfemministe. La cornice cambia radicalmente attraverso questo decentramento e insieme a essa cambiano anche l’approccio alla salute, ai servizi sanitari, alle forme egemoniche della cura, come spiegano Olivia (Oli) Fiorilli e Márcia Leite.
IN QUESTI PANORAMI trasformati, la cura si configura così come ce la restituisce Ilenia Caleo: un ecosistema, «un’intra-azione della materia attiva in tutte le sue forme estese e pensanti, noi comprese». Oppure, ancora, come un processo, orientato dalle domande di Françoise Vergès in dialogo con Maddalena Fragnito, Miriam Tola e Marianna Fernandes: «Che cosa ci tiene insieme? Perdersi nella foresta può diventare un momento di condivisione?». Si tratta di mantenere «uno stato di curiosità permanente», di «aprirsi a momenti imprevisti e imprevedibili» e di «chiarire di continuo per quale politica della cura stiamo lottando». Evidentemente, la dimensione globale delle relazioni di cura non sfugge alla trama di questo libro e riguarda senza dubbio l’ambiente naturale («il territorio terra-corpo» di Giulia Marchese – Red Sanadoras Ancestrales) così come, sul fronte solo apparentemente opposto, le estensioni virtuali dei social network e le dinamiche riproduttive che, letteralmente, essi incorporano (Bue Rübner Hasen e Manuela Zechner). L’insegnamento che possiamo trarre, alla fine del viaggio tra queste pagine, è che la cura, se guardata sempre con una lente politica, non è solo una pratica, non è solo una disposizione affettiva ma può essere interpretata come una «forma di vita», capace di sovvertire le disposizioni individualiste ed egoistiche della contemporaneità.
Pubblicato circa 16 ore fa Edizione del 2 luglio 2022
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