#la stanza di giovanni
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Molto è stato scritto sull'amore che diventa odio, sul cuore che si raffredda quando muore l'amore. E' un processo impressionante. Molto più terribile di qualsiasi cosa abbia mai letto sull'argomento, più terribile di qualsiasi cosa sarò mai in grado di dire.
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Abu Zayd, più precisamente Zayd Abu Zayd Ab-Alh-Rahmann III, meglio conosciuto come "il Moro Zeyt", è un altro dei grandi protagonisti della nascita del Regno cristiano di Valencia.
Ultimo signore almohade di Valencia, era il pronipote del califfo berbero Abd-Al-Mucmin. Pur essendo originario di Baeza, era stato avviato alla politica dal nipote, il califfo Yusuf II, che lo nominò governatore di Valencia.
L’ultimo re almohade di Valencia vide presto sorgere problemi, sia per la pressione delle truppe cristiane a nord sia per quella di altri signori musulmani a sud. Insieme alla corruzione politica, che già esisteva all’epoca, avevano soffocato il popolo.
Dopo la morte del califfo Yusuf II, la decadenza politica si aggravò. Fu allora che Abu Zayd fu costretto a chiedere la protezione di Ferdinando III, il re santo di Castiglia. I raccolti rovinati da una piaga di cavallette e la mancanza di cibo incoraggiarono la ribellione della popolazione. In questa situazione, Zayyan Ibn Mardanis, discendente del re Lobo, arrivò a Valencia da Onda e guidò il rovesciamento di Abu Zayd, che dovette lasciare la città con il suo seguito e la sua famiglia nel 1229, diretto a Segorbe (Castellón).
Qui storia e leggenda si fondono, poiché si dice che la conversione del "moro Zeyt" sia avvenuta a Caravaca de la Cruz, dove la leggenda vuole che sia apparso il simbolo della croce.
Secondo la tradizione locale più diffusa, si dice che dalla fine del 1230 o all’inizio del 1231, il re almohade di Valencia e Murcia, Abu Zayd, si trovava nei suoi possedimenti a Caravaca. Interrogò i cristiani che teneva prigionieri per scoprire quali mestieri esercitassero, con l’obiettivo di occuparli secondo le loro capacità. Tra loro c’era il sacerdote Ginés Pérez Chirinos che, come missionario, era venuto da Cuenca nelle terre saracene per predicare il Vangelo. Egli rispose che il suo compito era quello di celebrare la messa e il re moresco voleva sapere com’era. Fu ordinato di portare da Cuenca i paramenti corrispondenti e il 3 maggio 1232, nella sala nobile della fortezza, il sacerdote iniziò la liturgia. Tuttavia, poco dopo aver iniziato la liturgia, dovette fermarsi, spiegando che gli era impossibile continuare perché mancava un elemento essenziale all’altare: un crocifisso.
In quel momento, attraverso una finestra della stanza, due angeli scesero dal cielo e posero delicatamente una croce a due bracci sull’altare. Il sacerdote poté quindi continuare la celebrazione della messa e, in presenza di tale meraviglia, Abu-Ceyt (insieme ai membri della sua corte presenti) si convertì al cristianesimo. In seguito si scoprì che la croce apparsa era il pettorale del vescovo Roberto, primo patriarca di Gerusalemme, realizzato con il legno della croce dove morì Gesù Cristo.
Quando Abu Zayd si convertì, prese il nome di Vicente Bellvís, come riportano le cronache dell’epoca. Morì tra il 1265 e il 1270.
La morte di Abu-Zayd è precedente all’11 dicembre 1268, data in cui il documento lo dichiara defunto. I suoi figli e parenti ricevettero un’importante eredità e, essendo imparentati con la nobiltà aragonese, divennero anch’essi signori cristiani.
QUI GIACE D. VICENTIUS BELVIS CON I SUOI FIGLI UN TEMPO ZEIT ABUSIÒ RE VALENTIA MAURUS ADEO IL PROTETTORE DELLA SUA RELIGIONE VT DUE UOMINI INNOCENTI BEATI GIOVANNI DI PERUSIA E PIETRO DI SASSO-FERRATICO FIGLI E COMPAGNI DI PADRE FRANCESCO CHE PREDICANO LA VERA FEDE DI CRISTO OTTENUTO ATTRAVERSO LA SPADA MA RICEVERE LA LUCE DEL PADRE ISPIRATORE OGNI PECCATO FU CONSUMATO DAL SANTO BATTESIMO E IL SEGNO DELL’ETERNA RICONCILIAZIONE EGLI DESTINÒ UNA VOLTA LA SUA SALA IN CHIESA E SEDE.
Intorno al 16 giugno 1860, a Valencia fu eretta una lapide che lasciava in vista alcuni resti umani, il cui stato denotava la loro antichità. Nello stesso luogo fu rinvenuta una pergamena che recitava come segue:
Data di nascita:
17 ottobre 1195
Data di morte:
11 dicembre 1268
Titoli:
-Principe musulmano
-Signore cristiano
Etnia:
Berbero
Religione:
Islam
Religione 2:
Cristiano cattolico
Dinastia:
Almohade
Amici:
Ismail Haniyeh e Yasser Arafat
Prestavolti nella trama:
-Alvaro Rico
-Walid Azaro
-Asier Cadenas
-David Raya
-Marco Mengoni
-Stephen Ammell
-Peter Porte (pv attuale)
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"Cosa fai?" "Chiedo denaro alla gente" "Dov'è tuo padre?" "Mio padre e mia madre sono stati uccisi" "Vorrei comprare pomodori e formaggio per i miei fratelli". "Prendi questo denaro" "Che Dio ti protegga e ti benedica" dice il bambino.
Un bambino diventato padre dei suoi fratelli.
Il sacrificio del popolo palestinese ha messo a nudo il fallimento morale della sinistra occidentale e italiana in particolare. Come potranno parlare ancora di diritti umani, di libertà, di autodeterminazione dei popoli quando si sono nascosti o addirittura hanno avallato un olocausto trasmesso in diretta? Le loro ipocrisie dovranno dirle tra loro perché in pubblico troveranno sempre qualcuno che dirà "tu cosa hai fatto, cosa hai detto per fermare il genocidio?".
Gente cresciuta con la politica del "ma anche" che ha devastato la sinistra e ha creato legioni di cagasotto rintanati nella loro comfort zone con la paura di schierarsi dove non conviene. Pesano le parole con le loro supercazzole persino davanti a un genocidio, "attenzione a parlare di genocidio" "attenzione a parlare di fascismo" qualche fascista genocida potrebbe anche offendersi. Si trovano a loro agio con i fascisti e definiscono "estremisti" tutti quelli che tentano di dire qualcosa di sinistra.
Scrisse ironicamente Giovanni Pesce, il leggendario comandante partigiano Visone nel suo libro "Senza tregua" che quando fu incaricato dal Partito Comunista clandestino di organizzare la resistenza urbana nel torinese "nei primi mesi eravamo talmente tanti da poterci riunire tranquillamente in una sola stanza del mio appartamento". Erano in pochi e disposti a morire per combattere i fascisti e l'esercito nazista, il più potente e spietato al mondo.
Ora, immaginate il comandante Visone o Pertini fare la partita del cuore con gente che dà il bacetto della buonanotte al busto del duce.
Poi, pensate all'odierna sinistra che ha paura persino di scrivere un misero tweet in solidarietà con la Palestina.
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When you get this, list 5 songs you like to listen to, publish. Then, send this to 10 of your favorite followers 💌^.^
Okay. Okay. I can do this.
1) Fukai Mori - Do as Infinity
youtube
2) Love Song for a Vampire - Annie Lennox
youtube
3) Hallucinogenics - Matt Maeson & Lana Del Rey
youtube
4) Conoscersi in una situazione di difficoltà - Giovanni Truppi feat. La Rappresentante di Lista
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5) Il cielo in una stanza - Franco Battiato (cover)
(Anyway the original version by Gino Paoli is a damn classic, you absolutely need to listen to it too.)
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#not iy#but still iy#do as infinity#annie lennox#franco battiato#lana del rey#matt maeson#la rappresentante di lista#giovanni truppi#not rumic
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SENSI DELL'ARTE - di Gianpiero Menniti
LA VIOLENZA DELLA TRADIZIONE
Non è mai semplice, per il nostro tempo, comprendere l’opera d’arte che risale nei secoli, la sua origine, la sua ragione, la sua finalità. Si dimentica che l’artista solo tra Ottocento e Novecento ha realizzato la propria libertà d’espressione e soprattutto di scelta dell’oggetto rappresentato. E si tralascia anche la sottile distanza che ha sempre connotato il contenuto, frequentemente richiesto e riproposto, dallo stile della composizione: il medesimo “oggetto” muta attraverso pochi cenni delle figure, la scena, lo sfondo, la luce, i colori. Così, l’oblio della memoria consuma anche il vero significato della tradizione: non pedissequa ripetizione dell’immutabile ma sempre il riflesso di un’interpretazione. L’interpretazione configura il tradimento: la stessa etimologia del tardo latino lascia scivolare la “consegna” in un passaggio che altera di per sè la cosa rimessa. Si tratta di un tradimento necessario, pena la fine stessa dell’espressione d’arte. Ma un tradimento che poggia le sue radici su un’interpretazione che precede: ermeneutica di un’ermeneutica. Non importa che sia un testo letterario o un testo pittorico: lo sguardo abbraccia sempre un’immagine. L’origine scompare. Così, al “Parnaso” (1495 - 1497, Louvre, Parigi) di Andrea Mantegna (1431 - 1506) che trasuda esibita regalità, si contrappone il “Festino degli dei” (1514, National Gallery of Art, Washington) di Giovanni Bellini (1429 - 1516) dal quale emerge il riflesso sorprendente di una nascosta “ricreazione” delle figure divine: appartate, finalmente lontane dagli occhi mortali, abbandonano la loro funzione regale, la partecipazione alle vicende umane fino a raccogliersi nella modestia dei gesti. Pochi anni dividono questi due dipinti. Eppure, lo spazio temporale non giustifica l’abisso della dissonanza. Tra i due, il “Parnaso” (1510 - 1511) della Stanza della Segnatura (Musei Vaticani), l’affresco realizzato da Raffello (1483 - 1520) che mostra dei e mortali uniti nella celebrazione della poesia. Ecco l’anello di congiunzione. Ma è di nuovo un tradimento. Ancora la violenza dell’interpretazione. Il trascendimento della tradizione è, infine, il segno di un passaggio d’epoca. Che fa violenza al passato. A similitudine del processo naturale di nascita e di morte. Nulla permane. Niente è mai assoluto. Nella vita come nell’arte.
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3 and 8 for the book asks? 🧚
3. What were your top five books of the year?
Rinascimento privato by Maria Bellonci
I sette pilastri della saggezza by T. E. Lawrence
Our Wives Under the Sea by Julia Armfield
La stanza di Giovanni by James Baldwin
Il maestro e Margherita by Michail Bulgakov
8. Did you meet any of your reading goals? Which ones?
Sort of.. I wanted to start reading in French, but I'm not at that level yet, but I did manage to read in Latin semi regularly, which was a very important goal of mine. I also wanted to finish the Aubrey and Maturin series, I didn't, but I'm happy I managed to reach book n.7
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Quel ch'io sento per lui non mi par cosa mortale
Dalla lettera di Antonio Ranieri a Giovanni Battista Niccolini in data 10 Novembre 1844:
"Io sono stato infermo nell'ottobre per l'amarissima tenerezza della memoria del Leopardi: e veramente l'esser fatto di terra sensibile è troppo funesto dono. Ho avuto bisogno di un mese intero di ferie per collocare nel suo posto quel monumentino già da gran tempo finito. La chiesetta di S. Vitale a Posilipo è aggregata alla diocesi di Pozzuoli. Chi può dirvi quante volte sono dovuto andare ad inchinare quel vescovo per ottenere i debiti permessi! Il permesso già datone dall'antecessore non giovava! Ed in mezzo ad opere così lacrimevoli e pietose, in contrade così allagate da ogni più grave e pestifera superstizione, giungere un solenne articolo del Sainte-Beuve in cui si prova con documenti l'ateismo del defunto. Dio onnipotente! Che secolo è questo che viviamo! Tanto grande ingegno ci vuole per intendere le terribili conseguenze che un discorso tale può portare in contrade tali! Ah! quanto desidero di vedervi per narrarvi quel che ho dovuto spendere e soffrire. Ma lasciamo ciò; e, rispondendo, usate in subiecta materia, gli universali. La cassa in cui giacciono i suoi avanzi, volli colle mie braccia trasferirla dalla stanza sotterranea nel vestibolo della chiesa, dove l'ho fatta murare sotto il monumento. Ebbi l'imprudenza d'aprirla. Oh Dio! Nulla potette il piombo e l'iniezione contro un disfacimento cominciato già molti anni prima della morte! Gli avanzi della carne disseccata mi rendettero più atroce lo spettacolo, perchè l'occhio offuscato e stupido di lacrime e di dolore cercava le antiche forme sotto la nuova dissoluzione. Insomma nulla mi valse l'avere nella mia passione per la notomia veduti migliaia di cadaveri e rotte e cincischiate molte ossa e carne umana. Il cuore non obbedisce alle infami leggi della materia; e quindi stesso io traggo un argomento contrario alla fiera sentenza che parve sì certa al defunto. Quel ch'io ho sentito e sento e sentirò per lui non mi pare cosa mortale; o almeno non posso concepirla come tale. Ora un solido marmo custodisce quelle ossa. Preghiamo l'Altissimo che i liberali (i neo-guelfi) non pervengano a turbarne l'eterno riposo."
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OFMD Ficlet - XVI
Birds of a feather Izzy
Per lunghi anni, ogni mattino nella vita di Israel Hands si era svolto così. Al primo sospetto di aurora apriva gli occhi, uscendo da un sonno buio e denso come piombo; e come prima cosa, controllava se il proprio amore per Edward Teach fosse ancora lì.
Ci conviveva come con una vecchia ferita. Da tempo non sperava più che potesse smettere di dolere; semplicemente, aveva imparato a sopportarne la muta, costante presenza.
Dopo che con stanca rassegnazione aveva dovuto constatare che, sì, gli importava ancora di quella fottuta bestiaccia, si alzava sospirando e andava nella cabina del capitano.
A volte, entrando, Izzy doveva guadare una distesa di bottiglie vuote; a volte trovava Edward sveglio, imbronciato davanti a una finestra, a guardare il mare con l’aria di non aver chiuso occhio.
A volte, ed erano le mattine più dure, Israel entrava e lo trovava addormentato, riverso sulla branda o con il capo sullo scrittoio, in una nube di capelli sciolti che si confondevano nella barba come quelli di un San Giovanni Battista. Era facile dimenticarsi di quanto Edward fosse indisponente, quando dormiva con l’innocenza di un bambino, i lineamenti resi più dolci dal sonno e il respiro così quieto da fare appena rumore.
Izzy riscuoteva entrambi da quell’incantesimo con un secco battito di mani, e Edward si svegliava di soprassalto come un gatto spaventato. Una volta aveva fatto un balzo tale da sbattere contro l’ennesimo, inutile trofeo appeso proprio sopra il suo letto, un palco di corna ritorte che si erano poi staccate crollandogli addosso. Izzy aveva riso così tanto che era finito per terra.
…Anche quando non dormiva, però, nella sua tana piena di gingilli che non servivano ad altro che a riempirsi di polvere, Edward non si decideva a cominciare il giorno a meno che non fosse Izzy a chiamarlo.
Una volta dato il via al tran tran quotidiano, però, le ore scorrevano facili come un meccanismo ben oliato; un saccheggio di seguito all’altro, un’isola dopo l’altra, finché all’apice della loro fama non dovevano neppure più sguainare la spada per far capitolare intere flotte.
Se questo da un lato aveva reso la crescita della leggenda di Blackbeard una marea inarrestabile, dall’altro aveva precipitato Edward in una noia così profonda da trasformarlo sempre più di frequente in un gremlin dispettoso e crudele.
Qualche volta, la stupida violenza che accartocciava uno dentro l’altro i loro giorni aveva fatto illudere Israel che l’amore per Edward fosse stato corroso da amarezza e disillusione.
E invece ogni mattina guardava fra le ceneri, e lo ritrovava lì.
///
Quando era andato a salutarla per l’ultima volta, sua madre dormiva.
Era sera, ed erano soli in casa, e Israel non avrebbe più avuto un’occasione come quella per scappare. Doveva fare presto, prima che sorgesse la luna, tagliare correndo fra il granturco ancora alto.
Ma sua madre stava morendo.
Così Israel, col suo piccolo fagotto già sulle spalle, era entrato nella sua stanza. Il lume ardeva così fioco che appena si distinguevano il riflesso dello specchio sulla credenza, il luccichio del bicchiere vicino al letto, e gli occhi febbrili di sua madre, quando li aveva aperti lentamente su di lui.
Nel suo volto smagrito parevano enormi. Erano dello stesso colore dei suoi.
Non appena l’aveva visto, aveva capito subito; e gli aveva sorriso.
“Vieni qui, pulcino,” aveva sussurrato, con il luccichio nello sguardo di quando da bambino lo afferrava per fargli il solletico. Israel si era avvicinato al suo capezzale con la gola serrata.
Sua madre aveva preso le sue mani fredde fra le proprie, brucianti di febbre, e con solennità lo aveva benedetto. Poi si era sfilata dal dito l’anello nuziale e glie lo aveva premuto sul palmo. “Ti vorrò per sempre bene come oggi,” aveva bisbigliato; non aveva le forze di sollevarsi dai cuscini, così tremando Israel si era chinato per permetterle di baciargli la fronte. “Non dimenticarlo, bambino mio.”
Quella notte, mentre correva nei campi bagnati dalla luna piena, Israel aveva imparato l’esistenza di un amore che segna come fuoco, e che nessuna distanza, nè il tempo, nè la morte possono toccare.
///
And so no longer live I in fear Them are too greedy to pay my asylum bills This is my life and freedom's my profession This is my mission throughout all flight duration
There is a core and it's hardcore All is hardcore when made with love The love is a voice of a savage soul This savage love is undestructable
Gogol Bordello - Undestructable
#ofmd ficlet in italiano#ofmd spoilers#our flag means death spoilers#ofmd s2#...volevo scrivere di Izzy ma#prima che succedesse quel che è successo e-#.#adesso è tutto un po' inadeguato
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Libri 2023
Se i gatti scomparissero dal mondo, Genki Kawamura
Matilde, Roald Dahl
Menzogna e sortilegio, Elsa Morante
Alice nel Paese delle Meraviglie, Lewis Caroll
Violeta, Isabel Allende
Piranesi, Susanna Clarke
Le aquile della notte, Alice Basso
Tomorrow, and tomorrow, and tomorrow, Gabrielle Zevin
La vita invisibile di Addie LaRue, V. E. Schwab
Good Omens, Terry Pratchett e Neil Gaiman
La stanza di Giovanni, James Baldwin
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“I momenti brutti che ho avuto nella mia vita sono stati solo di natura cosmologica. Una volta durante la notte mi sono alzato, sono venuto in questa stanza e ho guardato in faccia la mia paura, con attenzione, e la crisi si è risolta. Non è facile, perché in quel momento ti senti un essere sbattuto nel nulla, non hai legami con niente. È la notte oscura di San Giovanni della Croce, sofferenze che sembrano insormontabili, insopportabili, e che invece puoi superare in un batter d'occhio. Basta ricordare che siamo impermanenti. Noi pensiamo di essere eterni, questa è la nostra disgrazia. A scuola non ci insegnano a morire; sulla morte invece gli antichi egizi hanno costruito una civiltà.”
Franco Battiato (1945-2021), dall'intervista di Giuseppe Videtti su Repubblica.it, 27 novembre 2011
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Iniziò a piangere. Lo presi tra le braccia. E, mentre sentivo la sua angoscia entrare dentro di me, come acido del suo sudore, e sentivo che mi sarebbe scoppiato il cuore per lui, mi chiesi anche, con involontario, incredulo disprezzo, perché l'avessi mai creduto forte.
#La stanza di Giovanni#la stanza di giovanni#la camera di giovanni#james baldwin#citazioni#citazione#citazioni libri#citazione libro#frasi#narrativa#libri#James Baldwin#incipit#la stanza di giovanni citazione#la stanza di giovanni citazioni#narrativa americana#letteratura#letteratura americana#libri letti
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“ Il metodo Falcone
«Nemico numero uno della mafia», l'etichetta gli resterà attaccata per sempre. Circondato da un alone leggendario di combattente senza macchia e senza paura, il giudice Giovanni Falcone, cinquantadue anni, ne ha trascorsi undici nell'ufficio bunker del Palazzo di Giustizia di Palermo a far la guerra a Cosa Nostra. Queste pagine ne costituiscono la testimonianza. Non si tratta né di un testamento né di un tentativo di tenere la lezione e ancor meno di atteggiarsi a eroe. «Non sono Robin Hood,» commenta in tono scherzoso «né un kamikaze e tantomeno un trappista. Sono semplicemente un servitore dello Stato in terra infidelium». Si tratta dunque piuttosto di un momento di riflessione, del tentativo di fare un bilancio nell'intervallo tra vecchi e nuovi incarichi: il 13 marzo 1991 il giudice Giovanni Falcone è stato nominato direttore degli Affari penali del ministero di Grazia e Giustizia a Roma.
Lontano da Palermo.
La partenza dal capoluogo siciliano, il distacco da una vita che si alternava tra auto blindate, dall'atmosfera soffocante del Palazzo di Giustizia, dalle lunghe notti a leggere e rileggere le deposizioni dei pentiti dietro le pesanti tende di una stanza superprotetta, dai tragitti tortuosi con la scorta delle auto della polizia a sirene spiegate sono forse stati una specie di sollievo. Ma Falcone non si fa illusioni, non dimentica il mancato attentato del 21 giugno 1989. cinquanta candelotti di tritolo nascosti tra gli scogli a venti metri dalla casa dove trascorre le vacanze: «È vero, non mi hanno ancora fatto fuori… ma il mio conto con Cosa Nostra resta aperto. Lo salderò solo con la mia morte, naturale o meno». Tommaso Buscetta, il superpentito della mafia, lo aveva messo in guardia fin dall'inizio delle sue confessioni: «Prima cercheranno di uccidere me, ma poi verrà il suo turno. Fino a quando ci riusciranno!».
Roma è soltanto in apparenza una sede più tranquilla di Palermo; ormai da tempo i grandi boss mafiosi l'hanno eletta a loro domicilio. La feroce «famiglia» palermitana di Santa Maria di Gesù vi ha installato antenne potenti. Senza contare la rete creata dal cosiddetto «cassiere» Pippo Calò, con il suo contorno di mafiosi, gangster e uomini politici. Le ragioni per le quali Falcone ha scelto Roma come nuova sede di lavoro sono diverse: nella capitale di Cosa Nostra non poteva più disporre dei mezzi necessari alle sue inchieste e il frazionamento delle istruttorie aveva paralizzato i giudici del pool anti-mafia. Era diventato il simbolo o l'alibi di una battaglia disorganizzata. Conscio di non essere più in grado di inventare nuove strategie, l'uomo del maxiprocesso, che aveva trascinato in tribunale i grandi capimafia, non poteva rassegnarsi a rimanere inerte. Ha scelto di andarsene. Le informazioni da lui raccolte possono essere utilizzate con profitto anche lontano da Palermo. Certo, non dovrà più svolgere personalmente le indagini, dovrà invece creare condizioni tali per cui le indagini future possano essere portate a termine più rapidamente e in modo più incisivo, dando vita a stabili strutture di coordinamento tra i diversi magistrati. Il clima nel capoluogo siciliano è cambiato: è spenta l'euforia degli anni 1984-87, finita la fioritura dei pentiti, lontano il tempo del pool antimafia, dei processi contro la Cupola istruiti magistralmente. In questa città impenetrabile e misteriosa, dove il bene e il male si esprimono in modo ugualmente eccessivo, si respira un senso di stanchezza, il desiderio di ritornare alla normalità. Mafiosi regolarmente condannati sono tornati in libertà per questioni procedurali, alcune facce fin troppo note ricompaiono nei ristoranti più alla moda. Le forze dell'ordine non hanno più lo smalto di un tempo. I pool di magistrati sono ormai svuotati di potere, il fronte ha smobilitato. Cosa Nostra dal canto suo ha rinunciato all'apparente immobilità. La pax mafiosa seguita alle pesanti condanne del maxiprocesso, da un lato, e al dominio dittatoriale dei «Corleonesi» sull'organizzazione, dall'altro, non è più salda come prima. Si moltiplicano i segnali di un progetto di rivincita delle «famiglie» palermitane per riconquistare l'egemonia perduta nel 1982 a favore della «famiglia» di Corleone, i cui capi, latitanti, si chiamano Salvatore Riina, Bernardo Provenzano e Luciano Leggio, quest'ultimo in carcere. La mafia sta attraversando una fase critica: deve riacquistare credibilità interna e rifarsi una immagine di facciata, in quanto entrambe gravemente compromesse. «Abbiamo poco tempo per sfruttare le conoscenze acquisite,» ripete instancabilmente Falcone «poco tempo per riprendere il lavoro di gruppo e riaffermare la nostra professionalità. Dopodiché, tutto sarà dimenticato, di nuovo scenderà la nebbia. Perché le informazioni invecchiano e i metodi di lotta devono essere continuamente aggiornati.». “
Giovanni Falcone in collaborazione con Marcelle Padovani, Cose Di Cosa Nostra, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli. Prima edizione: 13 novembre 1991.
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Abu Zayd, più precisamente Zayd Abu Zayd Ab-Alh-Rahmann III, meglio conosciuto come "il Moro Zeyt", è un altro dei grandi protagonisti della nascita del Regno cristiano di Valencia.
Ultimo signore almohade di Valencia, era il pronipote del califfo berbero Abd-Al-Mucmin. Pur essendo originario di Baeza, era stato avviato alla politica dal nipote, il califfo Yusuf II, che lo nominò governatore di Valencia.
L’ultimo re almohade di Valencia vide presto sorgere problemi, sia per la pressione delle truppe cristiane a nord sia per quella di altri signori musulmani a sud. Insieme alla corruzione politica, che già esisteva all’epoca, avevano soffocato il popolo.
Dopo la morte del califfo Yusuf II, la decadenza politica si aggravò. Fu allora che Abu Zayd fu costretto a chiedere la protezione di Ferdinando III, il re santo di Castiglia. I raccolti rovinati da una piaga di cavallette e la mancanza di cibo incoraggiarono la ribellione della popolazione. In questa situazione, Zayyan Ibn Mardanis, discendente del re Lobo, arrivò a Valencia da Onda e guidò il rovesciamento di Abu Zayd, che dovette lasciare la città con il suo seguito e la sua famiglia nel 1229, diretto a Segorbe (Castellón).
Qui storia e leggenda si fondono, poiché si dice che la conversione del "moro Zeyt" sia avvenuta a Caravaca de la Cruz, dove la leggenda vuole che sia apparso il simbolo della croce.
Secondo la tradizione locale più diffusa, si dice che dalla fine del 1230 o all’inizio del 1231, il re almohade di Valencia e Murcia, Abu Zayd, si trovava nei suoi possedimenti a Caravaca. Interrogò i cristiani che teneva prigionieri per scoprire quali mestieri esercitassero, con l’obiettivo di occuparli secondo le loro capacità. Tra loro c’era il sacerdote Ginés Pérez Chirinos che, come missionario, era venuto da Cuenca nelle terre saracene per predicare il Vangelo. Egli rispose che il suo compito era quello di celebrare la messa e il re moresco voleva sapere com’era. Fu ordinato di portare da Cuenca i paramenti corrispondenti e il 3 maggio 1232, nella sala nobile della fortezza, il sacerdote iniziò la liturgia. Tuttavia, poco dopo aver iniziato la liturgia, dovette fermarsi, spiegando che gli era impossibile continuare perché mancava un elemento essenziale all’altare: un crocifisso.
In quel momento, attraverso una finestra della stanza, due angeli scesero dal cielo e posero delicatamente una croce a due bracci sull’altare. Il sacerdote poté quindi continuare la celebrazione della messa e, in presenza di tale meraviglia, Abu-Ceyt (insieme ai membri della sua corte presenti) si convertì al cristianesimo. In seguito si scoprì che la croce apparsa era il pettorale del vescovo Roberto, primo patriarca di Gerusalemme, realizzato con il legno della croce dove morì Gesù Cristo.
Quando Abu Zayd si convertì, prese il nome di Vicente Bellvís, come riportano le cronache dell’epoca. Morì tra il 1265 e il 1270.
La morte di Abu-Zayd è precedente all’11 dicembre 1268, data in cui il documento lo dichiara defunto. I suoi figli e parenti ricevettero un’importante eredità e, essendo imparentati con la nobiltà aragonese, divennero anch’essi signori cristiani.
QUI GIACE D. VICENTIUS BELVIS CON I SUOI FIGLI UN TEMPO ZEIT ABUSIÒ RE VALENTIA MAURUS ADEO IL PROTETTORE DELLA SUA RELIGIONE VT DUE UOMINI INNOCENTI BEATI GIOVANNI DI PERUSIA E PIETRO DI SASSO-FERRATICO FIGLI E COMPAGNI DI PADRE FRANCESCO CHE PREDICANO LA VERA FEDE DI CRISTO OTTENUTO ATTRAVERSO LA SPADA MA RICEVERE LA LUCE DEL PADRE ISPIRATORE OGNI PECCATO FU CONSUMATO DAL SANTO BATTESIMO E IL SEGNO DELL’ETERNA RICONCILIAZIONE EGLI DESTINÒ UNA VOLTA LA SUA SALA IN CHIESA E SEDE.
Intorno al 16 giugno 1860, a Valencia fu eretta una lapide che lasciava in vista alcuni resti umani, il cui stato denotava la loro antichità. Nello stesso luogo fu rinvenuta una pergamena che recitava come segue:
Data di nascita:
17 ottobre 1195
Data di morte:
11 dicembre 1268
Titoli:
-Principe musulmano
-Signore cristiano
Etnia:
Berbero
Religione:
Islam
Religione 2:
Cristiano cattolico
Dinastia:
Almohade
Prestavolti nella trama:
-Alvaro Rico
-Walid Azaro
-Asier Cadenas
-David Raya
-Marco Mengoni
-Stephen Ammell
-Peter Porte (pv attuale)
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“E a pensarci bene, per tutta la mia vita, non ho mai cercato nient'altro che di ritrovare la sensazione di quando, da bambini, ti venivo vicino e sentivo che tutto quello che mi interessava e che era importante era lì, nel raggio di un metro da te e dal tuo sguardo
se penso alla mia delicatezza, ai miei nervi tesi, alle mie corse assurde, mi appare chiaro che tutto è disceso da questa mancanza
dalla nostalgia, per una porzione di stanza, nella penombra di mille pomeriggi
che era un mondo con al centro te
e la certezza che ogni cosa, finché fossi rimasto in quel posto, sarebbe stata esatta, giusta e buona.”
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Libri letti nel 2024
1) Lo straniero - Camus (3/5)
2) La stanza di Giovanni - Baldwin (4/5)
3) Che significa diventare adulti? - Yoshimoto (1/5)
4) Nel paese delle donne selvagge - Aoko (1.5/5)
5) Pyongyang - Delisle (3.5/5)
6) Cronache da Gerusalemme - Delisle (3.5/5)
7) I sette mariti di Evelyn Hugo - Reid (2/5)
8) Cronache birmane - Delisle (3/5)
9) Educazione sentimentale - Flaubert (4/5)
10) Butter - Yuzuki (4/5)
#letture del 2024#anno disastroso in termini di letture per via della tesi e delle mie crisi mistiche MA ho scoperto quel fenomeno di guy delisle e ho#finalmente iniziato a leggere anna karenina quindi ad maiora!
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Cass presenta “Caffè”: il singolo che trasforma il quotidiano in emozione
Il brano è disponibile nei digital stores e in promozione nazionale nelle radio
Giovanni Licari, in arte Cass, artista poliedrico (attore, rapper, scrittore e regista) di Torino, lancia il suo singolo “Caffè”, disponibile sui principali digital stores e dal 20 dicembre in promozione nazionale nelle radio. Il brano inaugura il progetto “La Realtà delle Cose”, contenente cinque canzoni (“Caffè”, “Letto”, “Sedia Armadio”, “Cestino”, “Pianta Finta”) e arrangiato dal producer e beatmaker parmense Samuele Reggiani, conosciuto come Reio.
Cass, che si definisce un “Rapper Letterario”, porta in questa traccia un mix unico di poesia e linguaggio crudo, capace di raccontare con intensità emozioni profonde. Nato durante il primo lockdown, “Caffè” prende spunto dai semplici oggetti quotidiani che popolavano la stanza dell'artista in un momento in cui viaggiare fisicamente era impossibile. È così che Cass ha trovato un modo per esplorare nuove dimensioni creative, trasformando la preparazione di una moka nel simbolo di un amore tossico e devastante.
Ascolta il brano
“Ti viene così facile smontarmi, riempirmi di emozioni come l'acqua, e poi mettere un filtro a quegli sguardi” canta l’artista, evocando tutta la sofferenza e la malinconia di un amore finito male. La metafora della moka che si scalda sul fuoco riflette la trasformazione interiore dell'artista, un tumulto emotivo che culmina nel verso “Mi si è sciolto pure il cuore, ora è un liquido nerastro dentro ad un contenitore”.
Con toni malinconici e carichi di introspezione, “Caffè” diventa la colonna sonora di chi ha vissuto relazioni complesse, fatte di manipolazione e abbandono, ma anche di riscoperta e resilienza. È un viaggio sonoro che, come un caffè la mattina, può dare inizio a qualcosa di nuovo, illuminando quelle sfumature emotive spesso nascoste nella routine quotidiana. Cass invita il pubblico a condividere questo viaggio musicale, in cui le piccole cose di tutti i giorni raccontano grandi storie. Un singolo da vivere e sentire, dall'anima malinconica, ma autentica.
Instagram: https://www.instagram.com/cass_ilvero/
Facebook: https://www.facebook.com/CassilVero
Youtube: https://youtube.com/@cassilvero?si=DWljs_JD1iv0G_Ry
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