#la stanza di giovanni
Explore tagged Tumblr posts
Text
Molto è stato scritto sull'amore che diventa odio, sul cuore che si raffredda quando muore l'amore. E' un processo impressionante. Molto più terribile di qualsiasi cosa abbia mai letto sull'argomento, più terribile di qualsiasi cosa sarò mai in grado di dire.
#La stanza di Giovanni#la stanza di giovanni#la camera di giovanni#james baldwin#citazioni#citazione#citazioni libri#citazione libro#frasi#narrativa#libri#James Baldwin#incipit#la stanza di giovanni citazione#la stanza di giovanni citazioni#narrativa americana#letteratura#letteratura americana#libri letti#amore#amore e odio#odio
5 notes
·
View notes
Text
Abu Zayd, più precisamente Zayd Abu Zayd Ab-Alh-Rahmann III, meglio conosciuto come "il Moro Zeyt", è un altro dei grandi protagonisti della nascita del Regno cristiano di Valencia.
Ultimo signore almohade di Valencia, era il pronipote del califfo berbero Abd-Al-Mucmin. Pur essendo originario di Baeza, era stato avviato alla politica dal nipote, il califfo Yusuf II, che lo nominò governatore di Valencia.
L’ultimo re almohade di Valencia vide presto sorgere problemi, sia per la pressione delle truppe cristiane a nord sia per quella di altri signori musulmani a sud. Insieme alla corruzione politica, che già esisteva all’epoca, avevano soffocato il popolo.
Dopo la morte del califfo Yusuf II, la decadenza politica si aggravò. Fu allora che Abu Zayd fu costretto a chiedere la protezione di Ferdinando III, il re santo di Castiglia. I raccolti rovinati da una piaga di cavallette e la mancanza di cibo incoraggiarono la ribellione della popolazione. In questa situazione, Zayyan Ibn Mardanis, discendente del re Lobo, arrivò a Valencia da Onda e guidò il rovesciamento di Abu Zayd, che dovette lasciare la città con il suo seguito e la sua famiglia nel 1229, diretto a Segorbe (Castellón).
Qui storia e leggenda si fondono, poiché si dice che la conversione del "moro Zeyt" sia avvenuta a Caravaca de la Cruz, dove la leggenda vuole che sia apparso il simbolo della croce.
Secondo la tradizione locale più diffusa, si dice che dalla fine del 1230 o all’inizio del 1231, il re almohade di Valencia e Murcia, Abu Zayd, si trovava nei suoi possedimenti a Caravaca. Interrogò i cristiani che teneva prigionieri per scoprire quali mestieri esercitassero, con l’obiettivo di occuparli secondo le loro capacità. Tra loro c’era il sacerdote Ginés Pérez Chirinos che, come missionario, era venuto da Cuenca nelle terre saracene per predicare il Vangelo. Egli rispose che il suo compito era quello di celebrare la messa e il re moresco voleva sapere com’era. Fu ordinato di portare da Cuenca i paramenti corrispondenti e il 3 maggio 1232, nella sala nobile della fortezza, il sacerdote iniziò la liturgia. Tuttavia, poco dopo aver iniziato la liturgia, dovette fermarsi, spiegando che gli era impossibile continuare perché mancava un elemento essenziale all’altare: un crocifisso.
In quel momento, attraverso una finestra della stanza, due angeli scesero dal cielo e posero delicatamente una croce a due bracci sull’altare. Il sacerdote poté quindi continuare la celebrazione della messa e, in presenza di tale meraviglia, Abu-Ceyt (insieme ai membri della sua corte presenti) si convertì al cristianesimo. In seguito si scoprì che la croce apparsa era il pettorale del vescovo Roberto, primo patriarca di Gerusalemme, realizzato con il legno della croce dove morì Gesù Cristo.
Quando Abu Zayd si convertì, prese il nome di Vicente Bellvís, come riportano le cronache dell’epoca. Morì tra il 1265 e il 1270.
La morte di Abu-Zayd è precedente all’11 dicembre 1268, data in cui il documento lo dichiara defunto. I suoi figli e parenti ricevettero un’importante eredità e, essendo imparentati con la nobiltà aragonese, divennero anch’essi signori cristiani.
QUI GIACE D. VICENTIUS BELVIS CON I SUOI FIGLI UN TEMPO ZEIT ABUSIÒ RE VALENTIA MAURUS ADEO IL PROTETTORE DELLA SUA RELIGIONE VT DUE UOMINI INNOCENTI BEATI GIOVANNI DI PERUSIA E PIETRO DI SASSO-FERRATICO FIGLI E COMPAGNI DI PADRE FRANCESCO CHE PREDICANO LA VERA FEDE DI CRISTO OTTENUTO ATTRAVERSO LA SPADA MA RICEVERE LA LUCE DEL PADRE ISPIRATORE OGNI PECCATO FU CONSUMATO DAL SANTO BATTESIMO E IL SEGNO DELL’ETERNA RICONCILIAZIONE EGLI DESTINÒ UNA VOLTA LA SUA SALA IN CHIESA E SEDE.
Intorno al 16 giugno 1860, a Valencia fu eretta una lapide che lasciava in vista alcuni resti umani, il cui stato denotava la loro antichità. Nello stesso luogo fu rinvenuta una pergamena che recitava come segue:
Data di nascita:
17 ottobre 1195
Data di morte:
11 dicembre 1268
Titoli:
-Principe musulmano
-Signore cristiano
Etnia:
Berbero
Religione:
Islam
Religione 2:
Cristiano cattolico
Dinastia:
Almohade
Amici:
Ismail Haniyeh e Yasser Arafat
Prestavolti nella trama:
-Alvaro Rico
-Walid Azaro
-Asier Cadenas
-David Raya
-Marco Mengoni
-Stephen Ammell
-Peter Porte (pv attuale)
23 notes
·
View notes
Text
"Cosa fai?" "Chiedo denaro alla gente" "Dov'è tuo padre?" "Mio padre e mia madre sono stati uccisi" "Vorrei comprare pomodori e formaggio per i miei fratelli". "Prendi questo denaro" "Che Dio ti protegga e ti benedica" dice il bambino.
Un bambino diventato padre dei suoi fratelli.
Il sacrificio del popolo palestinese ha messo a nudo il fallimento morale della sinistra occidentale e italiana in particolare. Come potranno parlare ancora di diritti umani, di libertà, di autodeterminazione dei popoli quando si sono nascosti o addirittura hanno avallato un olocausto trasmesso in diretta? Le loro ipocrisie dovranno dirle tra loro perché in pubblico troveranno sempre qualcuno che dirà "tu cosa hai fatto, cosa hai detto per fermare il genocidio?".
Gente cresciuta con la politica del "ma anche" che ha devastato la sinistra e ha creato legioni di cagasotto rintanati nella loro comfort zone con la paura di schierarsi dove non conviene. Pesano le parole con le loro supercazzole persino davanti a un genocidio, "attenzione a parlare di genocidio" "attenzione a parlare di fascismo" qualche fascista genocida potrebbe anche offendersi. Si trovano a loro agio con i fascisti e definiscono "estremisti" tutti quelli che tentano di dire qualcosa di sinistra.
Scrisse ironicamente Giovanni Pesce, il leggendario comandante partigiano Visone nel suo libro "Senza tregua" che quando fu incaricato dal Partito Comunista clandestino di organizzare la resistenza urbana nel torinese "nei primi mesi eravamo talmente tanti da poterci riunire tranquillamente in una sola stanza del mio appartamento". Erano in pochi e disposti a morire per combattere i fascisti e l'esercito nazista, il più potente e spietato al mondo.
Ora, immaginate il comandante Visone o Pertini fare la partita del cuore con gente che dà il bacetto della buonanotte al busto del duce.
Poi, pensate all'odierna sinistra che ha paura persino di scrivere un misero tweet in solidarietà con la Palestina.
8 notes
·
View notes
Text
SENSI DELL'ARTE - di Gianpiero Menniti
LA VIOLENZA DELLA TRADIZIONE
Non è mai semplice, per il nostro tempo, comprendere l’opera d’arte che risale nei secoli, la sua origine, la sua ragione, la sua finalità. Si dimentica che l’artista solo tra Ottocento e Novecento ha realizzato la propria libertà d’espressione e soprattutto di scelta dell’oggetto rappresentato. E si tralascia anche la sottile distanza che ha sempre connotato il contenuto, frequentemente richiesto e riproposto, dallo stile della composizione: il medesimo “oggetto” muta attraverso pochi cenni delle figure, la scena, lo sfondo, la luce, i colori. Così, l’oblio della memoria consuma anche il vero significato della tradizione: non pedissequa ripetizione dell’immutabile ma sempre il riflesso di un’interpretazione. L’interpretazione configura il tradimento: la stessa etimologia del tardo latino lascia scivolare la “consegna” in un passaggio che altera di per sè la cosa rimessa. Si tratta di un tradimento necessario, pena la fine stessa dell’espressione d’arte. Ma un tradimento che poggia le sue radici su un’interpretazione che precede: ermeneutica di un’ermeneutica. Non importa che sia un testo letterario o un testo pittorico: lo sguardo abbraccia sempre un’immagine. L’origine scompare. Così, al “Parnaso” (1495 - 1497, Louvre, Parigi) di Andrea Mantegna (1431 - 1506) che trasuda esibita regalità, si contrappone il “Festino degli dei” (1514, National Gallery of Art, Washington) di Giovanni Bellini (1429 - 1516) dal quale emerge il riflesso sorprendente di una nascosta “ricreazione” delle figure divine: appartate, finalmente lontane dagli occhi mortali, abbandonano la loro funzione regale, la partecipazione alle vicende umane fino a raccogliersi nella modestia dei gesti. Pochi anni dividono questi due dipinti. Eppure, lo spazio temporale non giustifica l’abisso della dissonanza. Tra i due, il “Parnaso” (1510 - 1511) della Stanza della Segnatura (Musei Vaticani), l’affresco realizzato da Raffello (1483 - 1520) che mostra dei e mortali uniti nella celebrazione della poesia. Ecco l’anello di congiunzione. Ma è di nuovo un tradimento. Ancora la violenza dell’interpretazione. Il trascendimento della tradizione è, infine, il segno di un passaggio d’epoca. Che fa violenza al passato. A similitudine del processo naturale di nascita e di morte. Nulla permane. Niente è mai assoluto. Nella vita come nell’arte.
24 notes
·
View notes
Text
Quel ch'io sento per lui non mi par cosa mortale
Dalla lettera di Antonio Ranieri a Giovanni Battista Niccolini in data 10 Novembre 1844:
"Io sono stato infermo nell'ottobre per l'amarissima tenerezza della memoria del Leopardi: e veramente l'esser fatto di terra sensibile è troppo funesto dono. Ho avuto bisogno di un mese intero di ferie per collocare nel suo posto quel monumentino già da gran tempo finito. La chiesetta di S. Vitale a Posilipo è aggregata alla diocesi di Pozzuoli. Chi può dirvi quante volte sono dovuto andare ad inchinare quel vescovo per ottenere i debiti permessi! Il permesso già datone dall'antecessore non giovava! Ed in mezzo ad opere così lacrimevoli e pietose, in contrade così allagate da ogni più grave e pestifera superstizione, giungere un solenne articolo del Sainte-Beuve in cui si prova con documenti l'ateismo del defunto. Dio onnipotente! Che secolo è questo che viviamo! Tanto grande ingegno ci vuole per intendere le terribili conseguenze che un discorso tale può portare in contrade tali! Ah! quanto desidero di vedervi per narrarvi quel che ho dovuto spendere e soffrire. Ma lasciamo ciò; e, rispondendo, usate in subiecta materia, gli universali. La cassa in cui giacciono i suoi avanzi, volli colle mie braccia trasferirla dalla stanza sotterranea nel vestibolo della chiesa, dove l'ho fatta murare sotto il monumento. Ebbi l'imprudenza d'aprirla. Oh Dio! Nulla potette il piombo e l'iniezione contro un disfacimento cominciato già molti anni prima della morte! Gli avanzi della carne disseccata mi rendettero più atroce lo spettacolo, perchè l'occhio offuscato e stupido di lacrime e di dolore cercava le antiche forme sotto la nuova dissoluzione. Insomma nulla mi valse l'avere nella mia passione per la notomia veduti migliaia di cadaveri e rotte e cincischiate molte ossa e carne umana. Il cuore non obbedisce alle infami leggi della materia; e quindi stesso io traggo un argomento contrario alla fiera sentenza che parve sì certa al defunto. Quel ch'io ho sentito e sento e sentirò per lui non mi pare cosa mortale; o almeno non posso concepirla come tale. Ora un solido marmo custodisce quelle ossa. Preghiamo l'Altissimo che i liberali (i neo-guelfi) non pervengano a turbarne l'eterno riposo."
2 notes
·
View notes
Text
OFMD Ficlet - XVI
Birds of a feather Izzy
Per lunghi anni, ogni mattino nella vita di Israel Hands si era svolto così. Al primo sospetto di aurora apriva gli occhi, uscendo da un sonno buio e denso come piombo; e come prima cosa, controllava se il proprio amore per Edward Teach fosse ancora lì.
Ci conviveva come con una vecchia ferita. Da tempo non sperava più che potesse smettere di dolere; semplicemente, aveva imparato a sopportarne la muta, costante presenza.
Dopo che con stanca rassegnazione aveva dovuto constatare che, sì, gli importava ancora di quella fottuta bestiaccia, si alzava sospirando e andava nella cabina del capitano.
A volte, entrando, Izzy doveva guadare una distesa di bottiglie vuote; a volte trovava Edward sveglio, imbronciato davanti a una finestra, a guardare il mare con l’aria di non aver chiuso occhio.
A volte, ed erano le mattine più dure, Israel entrava e lo trovava addormentato, riverso sulla branda o con il capo sullo scrittoio, in una nube di capelli sciolti che si confondevano nella barba come quelli di un San Giovanni Battista. Era facile dimenticarsi di quanto Edward fosse indisponente, quando dormiva con l’innocenza di un bambino, i lineamenti resi più dolci dal sonno e il respiro così quieto da fare appena rumore.
Izzy riscuoteva entrambi da quell’incantesimo con un secco battito di mani, e Edward si svegliava di soprassalto come un gatto spaventato. Una volta aveva fatto un balzo tale da sbattere contro l’ennesimo, inutile trofeo appeso proprio sopra il suo letto, un palco di corna ritorte che si erano poi staccate crollandogli addosso. Izzy aveva riso così tanto che era finito per terra.
…Anche quando non dormiva, però, nella sua tana piena di gingilli che non servivano ad altro che a riempirsi di polvere, Edward non si decideva a cominciare il giorno a meno che non fosse Izzy a chiamarlo.
Una volta dato il via al tran tran quotidiano, però, le ore scorrevano facili come un meccanismo ben oliato; un saccheggio di seguito all’altro, un’isola dopo l’altra, finché all’apice della loro fama non dovevano neppure più sguainare la spada per far capitolare intere flotte.
Se questo da un lato aveva reso la crescita della leggenda di Blackbeard una marea inarrestabile, dall’altro aveva precipitato Edward in una noia così profonda da trasformarlo sempre più di frequente in un gremlin dispettoso e crudele.
Qualche volta, la stupida violenza che accartocciava uno dentro l’altro i loro giorni aveva fatto illudere Israel che l’amore per Edward fosse stato corroso da amarezza e disillusione.
E invece ogni mattina guardava fra le ceneri, e lo ritrovava lì.
///
Quando era andato a salutarla per l’ultima volta, sua madre dormiva.
Era sera, ed erano soli in casa, e Israel non avrebbe più avuto un’occasione come quella per scappare. Doveva fare presto, prima che sorgesse la luna, tagliare correndo fra il granturco ancora alto.
Ma sua madre stava morendo.
Così Israel, col suo piccolo fagotto già sulle spalle, era entrato nella sua stanza. Il lume ardeva così fioco che appena si distinguevano il riflesso dello specchio sulla credenza, il luccichio del bicchiere vicino al letto, e gli occhi febbrili di sua madre, quando li aveva aperti lentamente su di lui.
Nel suo volto smagrito parevano enormi. Erano dello stesso colore dei suoi.
Non appena l’aveva visto, aveva capito subito; e gli aveva sorriso.
“Vieni qui, pulcino,” aveva sussurrato, con il luccichio nello sguardo di quando da bambino lo afferrava per fargli il solletico. Israel si era avvicinato al suo capezzale con la gola serrata.
Sua madre aveva preso le sue mani fredde fra le proprie, brucianti di febbre, e con solennità lo aveva benedetto. Poi si era sfilata dal dito l’anello nuziale e glie lo aveva premuto sul palmo. “Ti vorrò per sempre bene come oggi,” aveva bisbigliato; non aveva le forze di sollevarsi dai cuscini, così tremando Israel si era chinato per permetterle di baciargli la fronte. “Non dimenticarlo, bambino mio.”
Quella notte, mentre correva nei campi bagnati dalla luna piena, Israel aveva imparato l’esistenza di un amore che segna come fuoco, e che nessuna distanza, nè il tempo, nè la morte possono toccare.
///
And so no longer live I in fear Them are too greedy to pay my asylum bills This is my life and freedom's my profession This is my mission throughout all flight duration
There is a core and it's hardcore All is hardcore when made with love The love is a voice of a savage soul This savage love is undestructable
Gogol Bordello - Undestructable
#ofmd ficlet in italiano#ofmd spoilers#our flag means death spoilers#ofmd s2#...volevo scrivere di Izzy ma#prima che succedesse quel che è successo e-#.#adesso è tutto un po' inadeguato
7 notes
·
View notes
Text
Libri 2023
Se i gatti scomparissero dal mondo, Genki Kawamura
Matilde, Roald Dahl
Menzogna e sortilegio, Elsa Morante
Alice nel Paese delle Meraviglie, Lewis Caroll
Violeta, Isabel Allende
Piranesi, Susanna Clarke
Le aquile della notte, Alice Basso
Tomorrow, and tomorrow, and tomorrow, Gabrielle Zevin
La vita invisibile di Addie LaRue, V. E. Schwab
Good Omens, Terry Pratchett e Neil Gaiman
La stanza di Giovanni, James Baldwin
13 notes
·
View notes
Text
“I momenti brutti che ho avuto nella mia vita sono stati solo di natura cosmologica. Una volta durante la notte mi sono alzato, sono venuto in questa stanza e ho guardato in faccia la mia paura, con attenzione, e la crisi si è risolta. Non è facile, perché in quel momento ti senti un essere sbattuto nel nulla, non hai legami con niente. È la notte oscura di San Giovanni della Croce, sofferenze che sembrano insormontabili, insopportabili, e che invece puoi superare in un batter d'occhio. Basta ricordare che siamo impermanenti. Noi pensiamo di essere eterni, questa è la nostra disgrazia. A scuola non ci insegnano a morire; sulla morte invece gli antichi egizi hanno costruito una civiltà.”
Franco Battiato (1945-2021), dall'intervista di Giuseppe Videtti su Repubblica.it, 27 novembre 2011
4 notes
·
View notes
Text
“ Il metodo Falcone
«Nemico numero uno della mafia», l'etichetta gli resterà attaccata per sempre. Circondato da un alone leggendario di combattente senza macchia e senza paura, il giudice Giovanni Falcone, cinquantadue anni, ne ha trascorsi undici nell'ufficio bunker del Palazzo di Giustizia di Palermo a far la guerra a Cosa Nostra. Queste pagine ne costituiscono la testimonianza. Non si tratta né di un testamento né di un tentativo di tenere la lezione e ancor meno di atteggiarsi a eroe. «Non sono Robin Hood,» commenta in tono scherzoso «né un kamikaze e tantomeno un trappista. Sono semplicemente un servitore dello Stato in terra infidelium». Si tratta dunque piuttosto di un momento di riflessione, del tentativo di fare un bilancio nell'intervallo tra vecchi e nuovi incarichi: il 13 marzo 1991 il giudice Giovanni Falcone è stato nominato direttore degli Affari penali del ministero di Grazia e Giustizia a Roma.
Lontano da Palermo.
La partenza dal capoluogo siciliano, il distacco da una vita che si alternava tra auto blindate, dall'atmosfera soffocante del Palazzo di Giustizia, dalle lunghe notti a leggere e rileggere le deposizioni dei pentiti dietro le pesanti tende di una stanza superprotetta, dai tragitti tortuosi con la scorta delle auto della polizia a sirene spiegate sono forse stati una specie di sollievo. Ma Falcone non si fa illusioni, non dimentica il mancato attentato del 21 giugno 1989. cinquanta candelotti di tritolo nascosti tra gli scogli a venti metri dalla casa dove trascorre le vacanze: «È vero, non mi hanno ancora fatto fuori… ma il mio conto con Cosa Nostra resta aperto. Lo salderò solo con la mia morte, naturale o meno». Tommaso Buscetta, il superpentito della mafia, lo aveva messo in guardia fin dall'inizio delle sue confessioni: «Prima cercheranno di uccidere me, ma poi verrà il suo turno. Fino a quando ci riusciranno!».
Roma è soltanto in apparenza una sede più tranquilla di Palermo; ormai da tempo i grandi boss mafiosi l'hanno eletta a loro domicilio. La feroce «famiglia» palermitana di Santa Maria di Gesù vi ha installato antenne potenti. Senza contare la rete creata dal cosiddetto «cassiere» Pippo Calò, con il suo contorno di mafiosi, gangster e uomini politici. Le ragioni per le quali Falcone ha scelto Roma come nuova sede di lavoro sono diverse: nella capitale di Cosa Nostra non poteva più disporre dei mezzi necessari alle sue inchieste e il frazionamento delle istruttorie aveva paralizzato i giudici del pool anti-mafia. Era diventato il simbolo o l'alibi di una battaglia disorganizzata. Conscio di non essere più in grado di inventare nuove strategie, l'uomo del maxiprocesso, che aveva trascinato in tribunale i grandi capimafia, non poteva rassegnarsi a rimanere inerte. Ha scelto di andarsene. Le informazioni da lui raccolte possono essere utilizzate con profitto anche lontano da Palermo. Certo, non dovrà più svolgere personalmente le indagini, dovrà invece creare condizioni tali per cui le indagini future possano essere portate a termine più rapidamente e in modo più incisivo, dando vita a stabili strutture di coordinamento tra i diversi magistrati. Il clima nel capoluogo siciliano è cambiato: è spenta l'euforia degli anni 1984-87, finita la fioritura dei pentiti, lontano il tempo del pool antimafia, dei processi contro la Cupola istruiti magistralmente. In questa città impenetrabile e misteriosa, dove il bene e il male si esprimono in modo ugualmente eccessivo, si respira un senso di stanchezza, il desiderio di ritornare alla normalità. Mafiosi regolarmente condannati sono tornati in libertà per questioni procedurali, alcune facce fin troppo note ricompaiono nei ristoranti più alla moda. Le forze dell'ordine non hanno più lo smalto di un tempo. I pool di magistrati sono ormai svuotati di potere, il fronte ha smobilitato. Cosa Nostra dal canto suo ha rinunciato all'apparente immobilità. La pax mafiosa seguita alle pesanti condanne del maxiprocesso, da un lato, e al dominio dittatoriale dei «Corleonesi» sull'organizzazione, dall'altro, non è più salda come prima. Si moltiplicano i segnali di un progetto di rivincita delle «famiglie» palermitane per riconquistare l'egemonia perduta nel 1982 a favore della «famiglia» di Corleone, i cui capi, latitanti, si chiamano Salvatore Riina, Bernardo Provenzano e Luciano Leggio, quest'ultimo in carcere. La mafia sta attraversando una fase critica: deve riacquistare credibilità interna e rifarsi una immagine di facciata, in quanto entrambe gravemente compromesse. «Abbiamo poco tempo per sfruttare le conoscenze acquisite,» ripete instancabilmente Falcone «poco tempo per riprendere il lavoro di gruppo e riaffermare la nostra professionalità. Dopodiché, tutto sarà dimenticato, di nuovo scenderà la nebbia. Perché le informazioni invecchiano e i metodi di lotta devono essere continuamente aggiornati.». “
Giovanni Falcone in collaborazione con Marcelle Padovani, Cose Di Cosa Nostra, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli. Prima edizione: 13 novembre 1991.
#antimafia#mafia#letture#leggere#saggistica#magistrati#Giovanni Falcone#magistratura#anni '90#Palermo#saggi#Marcelle Padovani#pool antimafia#maxiprocesso#Corleonesi#Cose di Cosa Nostra#Salvatore Riina#Luciano Leggio#Sicilia#Bernardo Provenzano#Siciliani#giustizia#Tommaso Buscetta#criminalità organizzata#scritti saggistici#Pippo Calò#libertà#Storia d'Italia del '900#politica italiana#libri
13 notes
·
View notes
Text
“E a pensarci bene, per tutta la mia vita, non ho mai cercato nient'altro che di ritrovare la sensazione di quando, da bambini, ti venivo vicino e sentivo che tutto quello che mi interessava e che era importante era lì, nel raggio di un metro da te e dal tuo sguardo
se penso alla mia delicatezza, ai miei nervi tesi, alle mie corse assurde, mi appare chiaro che tutto è disceso da questa mancanza
dalla nostalgia, per una porzione di stanza, nella penombra di mille pomeriggi
che era un mondo con al centro te
e la certezza che ogni cosa, finché fossi rimasto in quel posto, sarebbe stata esatta, giusta e buona.”
3 notes
·
View notes
Text
Iniziò a piangere. Lo presi tra le braccia. E, mentre sentivo la sua angoscia entrare dentro di me, come acido del suo sudore, e sentivo che mi sarebbe scoppiato il cuore per lui, mi chiesi anche, con involontario, incredulo disprezzo, perché l'avessi mai creduto forte.
#La stanza di Giovanni#la stanza di giovanni#la camera di giovanni#james baldwin#citazioni#citazione#citazioni libri#citazione libro#frasi#narrativa#libri#James Baldwin#incipit#la stanza di giovanni citazione#la stanza di giovanni citazioni#narrativa americana#letteratura#letteratura americana#libri letti
2 notes
·
View notes
Text
Gli affreschi di Boldini per Villa la Falconiera di Pistoia
Era il 1868 quando Giovanni Boldini dipinse in una stanza di Villa la Falconiera a Pistoia, un gruppo di otto composizioni a tempera. Fu Isabella Falconer a commissionare quel lavoro. Aveva avuto l’occasione di conoscere Boldini mediante l’intercessione di amici comuni: signorini e Uzielli. Boldini raffigurò ambientazioni e atmosfere tipicamente toscane, dipingendo scene di vita rurale con un…
#antonietta bandelloni#art#artblogger#arte#artinfluencer#bellezza#boldini#english#Il dipinto del giorno#painting#pistoia#toscanaovunquebella#Tuscany
0 notes
Text
Abu Zayd, più precisamente Zayd Abu Zayd Ab-Alh-Rahmann III, meglio conosciuto come "il Moro Zeyt", è un altro dei grandi protagonisti della nascita del Regno cristiano di Valencia.
Ultimo signore almohade di Valencia, era il pronipote del califfo berbero Abd-Al-Mucmin. Pur essendo originario di Baeza, era stato avviato alla politica dal nipote, il califfo Yusuf II, che lo nominò governatore di Valencia.
L’ultimo re almohade di Valencia vide presto sorgere problemi, sia per la pressione delle truppe cristiane a nord sia per quella di altri signori musulmani a sud. Insieme alla corruzione politica, che già esisteva all’epoca, avevano soffocato il popolo.
Dopo la morte del califfo Yusuf II, la decadenza politica si aggravò. Fu allora che Abu Zayd fu costretto a chiedere la protezione di Ferdinando III, il re santo di Castiglia. I raccolti rovinati da una piaga di cavallette e la mancanza di cibo incoraggiarono la ribellione della popolazione. In questa situazione, Zayyan Ibn Mardanis, discendente del re Lobo, arrivò a Valencia da Onda e guidò il rovesciamento di Abu Zayd, che dovette lasciare la città con il suo seguito e la sua famiglia nel 1229, diretto a Segorbe (Castellón).
Qui storia e leggenda si fondono, poiché si dice che la conversione del "moro Zeyt" sia avvenuta a Caravaca de la Cruz, dove la leggenda vuole che sia apparso il simbolo della croce.
Secondo la tradizione locale più diffusa, si dice che dalla fine del 1230 o all’inizio del 1231, il re almohade di Valencia e Murcia, Abu Zayd, si trovava nei suoi possedimenti a Caravaca. Interrogò i cristiani che teneva prigionieri per scoprire quali mestieri esercitassero, con l’obiettivo di occuparli secondo le loro capacità. Tra loro c’era il sacerdote Ginés Pérez Chirinos che, come missionario, era venuto da Cuenca nelle terre saracene per predicare il Vangelo. Egli rispose che il suo compito era quello di celebrare la messa e il re moresco voleva sapere com’era. Fu ordinato di portare da Cuenca i paramenti corrispondenti e il 3 maggio 1232, nella sala nobile della fortezza, il sacerdote iniziò la liturgia. Tuttavia, poco dopo aver iniziato la liturgia, dovette fermarsi, spiegando che gli era impossibile continuare perché mancava un elemento essenziale all’altare: un crocifisso.
In quel momento, attraverso una finestra della stanza, due angeli scesero dal cielo e posero delicatamente una croce a due bracci sull’altare. Il sacerdote poté quindi continuare la celebrazione della messa e, in presenza di tale meraviglia, Abu-Ceyt (insieme ai membri della sua corte presenti) si convertì al cristianesimo. In seguito si scoprì che la croce apparsa era il pettorale del vescovo Roberto, primo patriarca di Gerusalemme, realizzato con il legno della croce dove morì Gesù Cristo.
Quando Abu Zayd si convertì, prese il nome di Vicente Bellvís, come riportano le cronache dell’epoca. Morì tra il 1265 e il 1270.
La morte di Abu-Zayd è precedente all’11 dicembre 1268, data in cui il documento lo dichiara defunto. I suoi figli e parenti ricevettero un’importante eredità e, essendo imparentati con la nobiltà aragonese, divennero anch’essi signori cristiani.
QUI GIACE D. VICENTIUS BELVIS CON I SUOI FIGLI UN TEMPO ZEIT ABUSIÒ RE VALENTIA MAURUS ADEO IL PROTETTORE DELLA SUA RELIGIONE VT DUE UOMINI INNOCENTI BEATI GIOVANNI DI PERUSIA E PIETRO DI SASSO-FERRATICO FIGLI E COMPAGNI DI PADRE FRANCESCO CHE PREDICANO LA VERA FEDE DI CRISTO OTTENUTO ATTRAVERSO LA SPADA MA RICEVERE LA LUCE DEL PADRE ISPIRATORE OGNI PECCATO FU CONSUMATO DAL SANTO BATTESIMO E IL SEGNO DELL’ETERNA RICONCILIAZIONE EGLI DESTINÒ UNA VOLTA LA SUA SALA IN CHIESA E SEDE.
Intorno al 16 giugno 1860, a Valencia fu eretta una lapide che lasciava in vista alcuni resti umani, il cui stato denotava la loro antichità. Nello stesso luogo fu rinvenuta una pergamena che recitava come segue:
Data di nascita:
17 ottobre 1195
Data di morte:
11 dicembre 1268
Titoli:
-Principe musulmano
-Signore cristiano
Etnia:
Berbero
Religione:
Islam
Religione 2:
Cristiano cattolico
Dinastia:
Almohade
Prestavolti nella trama:
-Alvaro Rico
-Walid Azaro
-Asier Cadenas
-David Raya
-Marco Mengoni
-Stephen Ammell
-Peter Porte (pv attuale)
12 notes
·
View notes
Text
8 ago 2024 19:51
COSA C’È DIETRO L’OMICIDIO PECORELLI? LA TRAMA OSCURA CHE METTE IN CONNESSIONE IL DELITTO MORO, LA P2 E LICIO GELLI, ACCUSATO DI AVER ORDINATO L’OMICIDIO DEL GIORNALISTA (CHE PER CINQUE MESI FU ISCRITTO ALLA LOGGIA MASSONICA) – GELLI FU INQUISITO INSIEME A CARMINATI, EX CAPO DEI NAR, MA IL FASCICOLO FU ARCHIVIATO FINO A QUANDO LE RIVELAZIONI DI PENTITI RIAPRIRONO LE INDAGINI: PEZZI DA 90 DI COSA NOSTRA E DELLA MAGLIANA VENNERO ACCOMUNATI AD ANDREOTTI, TIRATO IN BALLO DA TOMMASO BUSCETTA CHE RIVELÒ COSA GLI DISSE IL BOSS TANO BADALAMENTI: "PECORELLI FU ELIMINATO SU RICHIESTA DI ANDREOTTI PERCHÉ STAVA APPURANDO COSE COLLEGATE AL SEQUESTRO MORO…" -
Giovanni Bianconi per il “Corriere della Sera”
Del delitto Moro Mino Pecorelli scrisse molto, facendo capire di saperne anche di più. La sua agenzia di stampa OP s’era trasformata in settimanale pochi giorni dopo il sequestro del leader democristiano, e da allora cominciò ad avanzare dubbi, allusioni e domande che ricorrono tutt’oggi sui misteri (fondati o meno) intorno a quella vicenda. Ad esempio sul memoriale dell’ostaggio trovato dai carabinieri del generale Carlo Alberto dalla Chiesa il 1° ottobre 1978 e diffuso poco dopo, incompleto fino alla seconda scoperta, nello stesso covo brigatista, del 1990; già di fronte alla prima versione Pecorelli accennava a «memoriali veri e memoriali falsi», e a un documento «mal confezionato», con richiami criptici e incomprensibili al grande pubblico. Non invece ai selezionati destinatari dei suoi messaggi.
C’è chi dice che il direttore di quell’anomala agenzia divenuta rotocalco sia stato assassinato per questo, il 20 marzo 1979, a un anno e quattro giorni dal rapimento di Moro. Con quattro colpi di pistola calibro 7,65 silenziata, uno in pieno volto. Un omicidio senza testimoni — a parte sommarie descrizioni di un killer con l’impermeabile bianco e di presunti complici in attesa della vittima — eseguito con modalità più mafiose che terroristiche. Rivendicazioni ce ne furono, ma false. Gli avvertimenti e le minacce passate, invece, erano vere.
Troppi moventi Di possibili moventi, caso Moro a parte, c’era solo l’imbarazzo della scelta. Basta scorrere gli articoli di OP per leggere continui riferimenti agli scandali del tempo (Lockeed, Italcasse, Imi-Sir, Sindona e non solo), alle stragi, ai dossieraggi e alle trame del sottobosco politico romano, ai servizi segreti e alle loro guerre intestine, alla massoneria infiltratasi finanche in Vaticano.
Ambienti dove Pecorelli mostrava di muoversi con grande disinvoltura, probabilmente troppa. Nei quali c’era forse chi lo voleva morto e sicuramente chi continuò a muoversi per indirizzare o depistare le indagini. Da subito.
La sera del 22 marzo, un anonimo chiamò sul telefono di casa il procuratore di Roma Giovanni De Matteo, indicando il mandante del delitto in «tal Lucio Gelli, residente all’Hotel Excelsior di Roma, stanza 127». Ipotizzò pure un movente: «Rivelazioni fatte o da fare in merito al possesso di documenti esplosivi riguardanti alte personalità», forse collegate all’uccisione avvenuta tre anni prima del magistrato romano Vittorio Occorsio, che indagava sui contatti tra neofascisti, criminalità e massoneria.
Il procuratore De Matteo chiese accertamenti al colonnello dei carabinieri Antonio Cornacchia, il quale una settimana dopo comunicò che effettivamente all’ Excelsior alloggiava «tale Licio (non Lucio) Gelli, diplomatico. Nessuna controindicazione, almeno per il momento, è emersa nei suoi confronti».
Quando nel 1981 fu scoperchiata la Loggia segreta P2 guidata proprio da Gelli, il nome di Cornacchia comparve tra gli iscritti, dall’aprile 1980, nonostante lui abbia sempre negato; Pecorelli invece aveva aderito il 1° gennaio ’77, ma dopo 5 mesi si era dimesso con una risentita lettera inviata al Venerabile Maestro.
L’ombra di Gelli Anni dopo Licio Gelli fu accusato, fra l’altro, di aver ordinato l’omicidio di Pecorelli. Non per la segnalazione anonima al procuratore De Matteo, ma per altri elementi. Tra cui i duri attacchi rivolti da OP al Venerabile e alle sue manovre occulte, con riferimenti a dossier e rapporti ambigui nel mondo politico e militare. Un dato certo, che prescinde dell’esito dell’inchiesta.
Insieme a Gelli fu inquisito l’ex colonnello dei servizi segreti Antonio Viezzer (tessera P2 1618), mentre Valerio Fioravanti e Massimo Carminati — l’ex capo dei Nar accusato da alcuni pentiti dell’eversione nera, e il neofascista legato alla banda della Magliana — come presunti esecutori. Ma gli indizi non si tramutarono in prove, e nel 1991 il fascicolo finì in archivio. Finché l’anno successivo altri pentiti, stavolta di mafia e della criminalità romana, provocarono la riapertura delle indagini su Carminati. Con altri complici e mandanti: nomi importanti di Cosa nostra e della Magliana accomunati a quello di Giulio Andreotti, il sette volte presidente del Consiglio tirato in ballo da Tommaso Buscetta, il principe dei «collaboratori di giustizia» che aveva guidato Giovanni Falcone nei meandri della mafia ma solo dopo la morte del giudice decise di svelare i legami a più alto livello tra Cosa nostra e la politica romana.
Ne scaturì un processo (celebrato a Perugia dopo che i pentiti della Magliana chiamarono in causa l’ex magistrato romano Claudio Vitalone) in cui furono tutti assolti, salvo la parentesi di una condanna in appello per Andreotti e il boss Tano Badalamenti, annullata definitivamente dalla Cassazione.
Secondo Buscetta, proprio Badalamenti gli aveva riferito che il giornalista era stato eliminato su richiesta dell’allora capo del governo perché stava «appurando cose politiche collegate al sequestro Moro»: ancora quell’azione brigatista così dirompente nella storia della Repubblica. A «chiamare» Carminati erano state invece le dichiarazioni dei pentiti della Magliana. Tra cui Fabiola Moretti, protagonista di una delle «collaborazioni» più contrastate: disse che Danilo Abbruciati, uno dei capi della gang ammazzato nel 1982, le parlò di una pistola in dotazione alla banda su cui c’era «l’abbacchio di Pecorelli»; espressione cruda ma efficace per indicare l’arma con cui fu ucciso il giornalista.
Che non è stata mai trovata, e rappresenta uno dei buchi neri di questa storia.
Pistole e proiettili Sempre nel 1992 un altro «dichiarante» — il neofascista ergastolano Vincenzo Vinciguerra, mai pentito ma reo confesso della strage di Peteano — raccontò che Adriano Tilgher, suo ex «camerata» in Avanguardia nazionale, gli aveva confidato che un altro militante di An, Domenico Magnetta, chiedeva aiuto all’organizzazione per uscire dal carcere, minacciando altrimenti di consegnare agli inquirenti la pistola che sparò a Pecorelli. Ipotesi suggestiva, poiché Magnetta, nell’aprile 1981, era stato arrestato mentre cercava di passare il confine tra Italia e Svizzera insieme a Massimo Carminati.
Tilgher e Magnetta hanno smentito Vinciguerra, e i successivi accertamenti non hanno aggiunto riscontri. Comprese le comparazioni fatte tra alcune armi sequestrate nel 1995, che sarebbero state nella disponibilità dell’ex militante di An, e i bossoli recuperati sul luogo del delitto Pecorelli: due di marca Fiocchi e due Gevelot. Quelle pistole furono poi distrutte con regolare autorizzazione; non altrettanto i bossoli, uno dei pochi punti fermi di questo omicidio e allo stesso tempo un ulteriore mistero.
Le analisi sui due Gevelot, all’epoca piuttosto rari, dimostrarono la provenienza dei proiettili da uno stock della stessa marca scoperto nel 1981 in un deposito clandestino nascosto negli scantinati del ministero della Sanità; un arsenale al quale avevano accesso i banditi della Magliana e i neofascisti dei Nar. Oggi però quei bossoli sembrano spariti: negli archivi giudiziari non ce n’è più traccia, e non ci sono verbali di distruzione.
Restano le foto scattate all’epoca delle perizie, indizio sicuro (forse l’unico) su dove cercare gli assassini: in quel grumo fascio-criminale al servizio di interessi esterni, entrato in azione altre volte.
Ad esempio nel 1982, quando Abbruciati fu ucciso a Milano mentre sparava al vicepresidente del Banco Ambrosiano Roberto Rosone, altra oscura vicenda di stampo piduista.
Chi ce l’aveva mandato è rimasto un enigma anche per i suoi complici della Magliana.
Delitto su commissione L’omicidio del direttore di OP sembra avere lo stesso marchio del delitto su commissione. Nel 2023 gli avvocati di Rosita Pecorelli, sorella del giornalista, hanno chiesto la riapertura delle indagini a carico di Fioravanti, sulla base delle considerazioni svolte dai giudici di Bologna nelle ultime sentenze sulla strage del 2 agosto 1980 che lo additano come un killer per conto terzi. Strada strettissima e impervia, dove è difficile scorgere reali elementi di novità.
Il pomeriggio del 20 marzo ’79 Rosita andò a trovare il fratello in redazione, insieme alla figlia che festeggiava il compleanno. Lui le confessò di sentirsi stanco ma sollevato dalla promessa di un finanziamento con il quale sarebbe stato in grado di saldare tutti i debiti, e in un paio d’anni contava di ritirarsi per condurre una vita più tranquilla.
Non fece in tempo, qualcuno ancora sconosciuto aveva fretta di chiudergli la bocca.
0 notes
Text
Definitivo e tombale, tutti gli altri discorsi sono discorsi da celebrolesi! L'Attimo Vincente - di Giulio Zoppello 02 Agosto 2024·
Vediamo di fare il punto della situazione su ciò che è successo sul ring, su #AngelaCarini e togliere un po' di roba inutile dal tavolo. Sta girando il tweet di un giornalista che parla della #Imane come di una sorta di brocco che solo una piagnona magari plagiata dagli strumenti del minculpop nostrano poteva far vincere. Ecco il giornalista Giovanni Rodriquez (di cui vedo condividere il post ovunque) di boxe sa poco, infatti dà una lettura dei dati e della carriera non solo erronea, ma da chiaro non conoscitore di questo sport. Partiamo dall'elefante nella stanza: #ImaneKhelif non è un'atleta trans. Si tratta di un caso molto particolare per il quale al momento la definizione è lungi dall'essere conclusiva. Diciamo che per la maggiore va il definirla un'atleta intersex, un termine usato per includere tutte le variazioni innate nelle caratteristiche del sesso che non rientrano nelle tipiche nozioni dei corpi considerati femminili o maschili. Queste variazioni possono interessare i cromosomi sessuali, i genitali, gli ormoni e l'apparato riproduttivo. Tali persone non possono essere categorizzatile secondo il consueto sistema binario maschio/femmina.
Stiamo parlano di una percentuale che conta qualcosa come l'1% della popolazione. Ci sono variazioni nei cromosomi sessuali? La Khelif è nata donna ma con cromosomi maschili, una condizione compatibile con un disordine della differenziazione sessuale: un sesso cromosomico di tipo XY e un fenotipo femminile. Il che ci porta al famoso tasso di testosterone, che in dosi sopra la norma permetterebbe alla pugile algerina di avere un surplus non da nulla in termine di potenza e forza. Ma è proprio qui il pomo della discordia. Nel 2023 la Khelif era stata sospesa dalla IBA, la Associazione Internazionale Boxe Amatori presieduta dal russo Kremlev, dopo i Campionati Mondiali dove aveva preso l'argento. Il livello di testosterone era troppo alto secondo gli standard IBA, differenti da quelli del CIO in virtù dei quali la Khelif aveva partecipato a Tokyo 2020. Attenzione, le Olimpiadi di Tokyo però, ebbero la boxe organizzata anche dalla IBA! Il CIO dopo il 2023, ha deciso di ammettere la Khelif ma secretandone i testi ed i dati, dicendo che erano però conformi ai suoi standard. Gli standard della IBA e del CIO sono diversi. Il che è un grosso problema.
La guerra tra CIO e IBA è però particolare. Parte con la corruzione sistematica nella IBA, che ha trasformato la boxe alle Olimpiadi in una schifezza di cui questa Paris 2024 è il triste canto del cigno. Non ci sarà più boxe dai prossimi giochi, troppi verdetti assurdi, furti, mafie e sconcezze. La Federazione Pugilistica Italiana ha lasciato la IBA, disconosciuta dal CIO dal 2019, ad inizio di quest'anno il che per me spiega il perché di certi verdetti di questi giorni. La IBA per inciso ha sempre invitato atleti russi e bielorussi e questo è stato un altro elemento nella crisi. Un bel casino eh? Bene. Ora il punto è: che la Khelif sia una donna non credo ci siano dubbi. Sul fatto che possa gareggiare contro altre donne invece io penso che sia un problema non da nulla. Non tanto per la sua identità o condizione, quanto perché questa non la rende uguale alle sue avversarie. Di questo ovviamente la Khelif non ne ha nessuna colpa. Non è un atleta trans che effettua una transizione per gareggiare contro altre donne con tutti i problemi noti del caso. Lei è vittima della sua sfortunata condizione.
Imane Khelif non è una pugile mediocre. Questo lo direbbe uno che non conosce minimamente la boxe e non sa leggere un minimo i dati. Il suo vero record disponibile su BoxRec di parla di un 36 (5) - 9 (0) - 0 prima di oggi. Percentuale di KO? 12%, non proprio bassa per una pugile donna dilettante. E tenete presente che 6 delle sconfitte le ha subite nei primi 9 match, nel 2018, nel primo anno da dilettante. Così giusto per inquadrare la cosa. Chi altri l'ha battuta? #MiraPotkonen tipo 260 combattimenti in carriera e una sfilza di medaglie lunga come la mia gamba. Rodriquez ha scritto "ha perso ai quarti di Tokyo" come a dire: è una pippa. Ha perso contro #KellieHarrington, un'altra top mondiale con una sfilza di medaglie, un satanasso che poche ore fa ha commentato: “Se la Khelif fosse un uomo e venisse accertato al 100%, io sarei disgustata dal fatto di esserci salita sul ring così come molte altre. Un uomo contro una donna non è assolutamente ok. Ma ora come ora nessuno sa qual è la verità”.. E tenete presente: aveva 21 anni. Oggi ne ha 25, è nell'età in cui si entra nel prime per un fighter. Ai mondiali del 2022 con chi perde in finale (come se una finale fosse facile da raggiungere)? #AmyBroadhurst altra fighter eccezionale.
Tutte sanno chi è la Khelif e negli ultimi anni negli USA e UK si è discusso ferocemente su di lei, non è cominciato adesso tutto questo casino. Se seguite la boxe lo sapete, sennò cascate dal pero ma non è colpa vostra. Tutti hanno visto quanto è migliorata dagli inizi, è anche normale, è determinata e sa credo di avere qualcosa in più data la sua condizione. Non finirà certo con questi Giochi tutto questo. Ho letto molti dare della vile o della buffona o peggio della marionetta in mano alla destra alla #Carini. State zitti. Non sapete di che parlate. Angela Carini è stata bronzo mondiale ed europeo, ha più di 110 combattimenti in carriera, è esperta, è brava. Ma vedendo il match era chiaro che l'avversaria è arrivata armata di una fisicità e potenza totalmente sproporzionate. Eccessive e connesse alla sua situazione particolare? I primi due colpi hanno quasi fatto saltare il caschetto alla Carini. Mai vista sta cosa nei welter. Sul ring anche col caschetto puoi finire in coma. Avete mai fatto guanti con gente più grossa? A me è capitato due volte e tutte e due le volte è finita molto male. Me lo ricordo ancora. Qui è stato come chiedere ad un medio di combattere un massimo leggero.
La Carini ha mangiato merda in vita sua che voi manco vi sognate. Sveglia alle 4, diete, corse fino a scoppiare, migliaia di sessioni di allenamento con guanti, sacco, colpitori, sparring. Il naso è bello schiacciato, i denti non sono rimasti tutti, mani e costole hanno preso colpi su colpi. Conosce una sofferenza che voi non conoscente. Sa cosa può reggere. Ha capito subito che non poteva vincere, che avrebbe riportato danni enormi. Il peso non c'entra, che siano entrambe donne non c'entra. C'è una sproporzione inedita a livello di potenza e fisicità che era nota e per me va risolta. Creando una categoria ad hoc? Forse. Ma non vorrei essere nei panni delle avversarie di qui in avanti. E se pensate che il CIO sia l'impero del bene svegliatevi: la sua storia è tetra come l'IBA, lo è sempre stata. Intanto Angela sa che il suo sogno, per cui si è fatta il culo, quella medaglia che voleva dedicare al padre scomparso, non c'è più. Questo forse le fa più male di ogni pugno, ma di pugni si muore ancora oggi sul ring.
1 note
·
View note
Text
Five nights at Speranza
Breve vacanza di 5 notti dalla nostra cara amica Speranza in Cilento
Venerdì 5 luglio 2024
Partenza e viaggio. Alloggio dalla nostra amica Speranza all’agriturismo Bel Tempio (San Giovanni a Piro). Pomeriggio in piscina e cena in agriturismo con annessa partita a scopa.
Sabato 6 luglio 2024
Bel giro di snorkeling a Sapri. Pranzo a Sapri da PonziPò: pizza fritta eccellente (2ª al campionato internazionale di pizza). Pomeriggio riposo in agriturismo. La sera avremmo voluto vedere Inside Out 2 in un cinema locale ma hanno avuto problemi tecnici e siamo tornati mestamente in agriturismo, dove abbiamo cenato…
Domenica 7 luglio 2024
Mattinata qualche spesa a Policastro e Scario. Poi un tuffo in piscina e pranzo al sacco in stanza. Pomeriggio riposino, poi bagno in una spiaggia di Scario e di nuovo in stanza a prepararci.
Siamo andati finalmente a vedere Inside Out 2 a Policastro Bussentino. Bellissimo film che ci ha colpito parecchio… A seguire cena alla pizzeria Quo Vadis di Scario.
Lunedì 8 luglio 2024
Gita a Maratea. Volevamo fare un giro in kayak ma a me sembrava troppo impegnativo (3h dalle 14), abbiamo visto per le barche ma costava un po’ troppo, abbiamo ripiegato su 1h di pedalò… 😅 La zona di Maratea è talmente ricca di cose da fare che meriterà una vacanza apposita.
Rientro nel tardo pomeriggio e cena da Speranza.
Martedì 9 luglio 2024
Notte travagliata e disturbata da una mosca. Quest’ultima giornata si prospetta piuttosto faticosa da affrontare. Dopo un po’ di fatica andiamo a Marina di Camerota cercando un battello per la visita alle spiagge più belle ma alla fine, complice anche la stanchezza, decidiamo per una spiaggia poco distante. Torniamo prima di pranzo dopo un bagno e ci prendiamo un panino a Scario. Pomeriggio di riposo e spese in vivaio, dove andiamo ogni anno. Per cena, volevamo andare in un ristorante poco distante, e abbiamo fatto una prenotazione tramite The Fork. Invece, con nostra somma sorpresa, il locale era chiuso e sul posto abbiamo trovato due ragazzi romagnoli che avevano avuto la nostra disavventura. Allora, abbiamo deciso di tornare da Speranza, portandoli assieme a noi per salvare la cena e stare in compagnia. Silvia e Marco (i due ragazzi) erano molto simpatici e cordiali e la cena è stata piacevole.
Mercoledì 10 luglio 2024
Partenza la mattina dopo colazione.
Se vi interessa, c’è un album di foto più ricco.
Post creato da La Tana del Gigante
0 notes