#indagini difensive
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indagini difensive
L’attività investigativa svolta dal difensore presenta alcune specifiche peculiarità che la distinguono da quella propria dell’Accusa pubblica: è meramente facoltativa, in contrapposizione alla obbligatorietà tipica delle investigazioni del Pubblico Ministero; ha una finalità unilaterale, nel senso che mira esclusivamente alla difesa dell’assistito, laddove il Pubblico Ministero, ex art. 358…
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L'incredibile storia del pastore sardo condannato all'ergastolo per tre omicidi a causa di testimonianze influenzate dai poliziotti. L'avvocato Trogu racconta cosa ha portato all'apertura del processo di revisione e alla sua liberazione
Trentadue anni in carcere da innocente. Il prossimo 19 dicembre, salvo sorprese, gli italiani verranno a conoscenza del più grave errore giudiziario della storia del nostro paese. Protagonista, suo malgrado, è Beniamino Zuncheddu, ex allevatore di Burcei (Cagliari) di 58 anni, di cui 32 trascorsi in carcere a causa di una condanna definitiva all’ergastolo per la cosiddetta “strage del Sinnai”: un triplice omicidio avvenuto l’8 gennaio del 1991, quando sulle montagne di Sinnai furono uccisi tre pastori e una quarta persona rimase gravemente ferita.
Inizialmente le indagini non portarono a nessun risultato. L’unico superstite e testimone oculare, Luigi Pinna, riferì agli inquirenti di non aver potuto riconoscere colui che aveva sparato perché aveva una calza da donna sul volto ed era notte. Un pastore della zona disse invece di aver saputo di minacce da parte di Zuncheddu nei confronti di uno degli allevatori uccisi, ma di non aver mai assistito a queste. Tutto cambiò nel giro di un mese e mezzo. “Il cambio di versione di entrambi i soggetti avvenne a seguito dell’opera di convincimento da parte di un poliziotto”, racconta al Foglio l’avvocato Mauro Trogu, che nel 2016 ha preso in carico la difesa di Zuncheddu portando all’apertura di un processo di revisione. “Nel febbraio del 1991 – racconta – entrambi i soggetti cambiarono improvvisamente versione, dicendo a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro di aver visto in faccia chi aveva minacciato uno degli allevatori uccisi e chi aveva sparato: Beniamino Zuncheddu”. Zuncheddu fu condannato all’ergastolo. Ha trascorso gli ultimi 32 anni nelle carceri sarde di Badu ’e Carros, Buoncammino e Uta.
Il destino del pastore sardo sembrava ormai segnato, fino a quando nel 2019 l’avvocato Trogu, attraverso le sue indagini difensive, è riuscito a convincere l’allora procuratrice generale di Cagliari, Francesca Nanni, ad aprire un processo di revisione per esaminare le nuove prove a sostegno dell’innocenza di Zuncheddu. “Nell’estate del 2019 la dottoressa Nanni giunse alla conclusione che gli omicidi erano collegati a un sequestro di persona che si era consumato in quella zona nello stesso periodo – spiega Trogu –. C’erano delle strane coincidenze spazio-temporali tra i due delitti. Questi elementi, per esempio il fatto che gli autori della strage apparivano essere più di uno, sarebbero risultati molto utili nel processo a carico di Beniamino, ma non vennero mai presi in considerazione”.
Riaperto il caso, la procura autorizzò nuove intercettazioni ambientali nei confronti del superstite Luigi Pinna dalle quali emersero ammissioni e anche parziali pentimenti sull’accusa rivolta oltre trent’anni prima nei confronti di Zuncheddu. L’ammissione definitiva, tuttavia, è giunta lo scorso 14 novembre nell’udienza del processo di revisione. Pinna ha infatti riferito che all’epoca un poliziotto, Mario Uda, gli mostrò una foto di Zuncheddu prima di essere interrogato dal magistrato. “E’ lui il colpevole”, disse il poliziotto a Pinna, indirizzando le indagini. Pinna accusò così proprio Zuncheddu.
Queste testimonianze hanno indotto la corte d’appello di Roma, dove si sta tenendo il processo di revisione, a concedere dieci giorni fa a Zuncheddu la sospensione provvisoria dell’esecuzione della pena. Dopo 32 anni di carcere, il pastore sardo è tornato in libertà, in attesa che il 19 dicembre i giudici mettano definitivamente la parola fine sulla sua incredibile vicenda giudiziaria.
“Dopo la scarcerazione ho trovato Zuncheddu felice come non lo avevo mai visto”, rivela Trogu. “Le dico la verità. Tra luglio e agosto di quest’anno ho avuto molta paura per le sorti di quest’uomo, perché ha avuto un crollo psicologico preoccupante. In quel momento ho interessato la garante dei detenuti della Sardegna, Irene Testa, anche perché far muovere il servizio sanitario in carcere non è mai facile. Ha vissuto dei mesi di grande pesantezza. Con la scarcerazione c’è stato un ribaltamento. Ora quando lo chiamo ride per un nonnulla, è proprio felice”.
Trogu si dice “molto contento di vedere Beniamino così”, ma non si sente un eroe, anzi: “Continuo ad avere il rimorso di non essere riuscito a fargli ottenere la libertà prima. Ho chiesto la scarcerazione dal novembre 2020 e sento che gli sono stati rubati altri tre anni di libertà senza motivo”.
Trogu aspetta comunque fiducioso la sentenza del 19 dicembre. Nell’ordinanza con cui hanno concesso la sospensione provvisoria dell’esecuzione della pena, i giudici hanno infatti scritto che sono ormai “realtà processualmente accertata” sia “il fatto storico dell’avere” il poliziotto “segretamente mostrato a Pinna la fotografia di Zuncheddu”, sia “l’aspetto dell’avere indotto Pinna a sostenere che quello era lo sparatore da lui visto in viso e a tacere che aveva già visto quella fotografia”. Insomma, i presupposti per vedere confermata la caduta delle accuse contro Zuncheddu ci sono tutti.
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Indagato vescovo di Piazza Armerina, avrebbe coperto il prete condannato per molestie
Le indagini sarebbero state chiuse e ora Il vescovo di Piazza Armerina, Rosario Gisana e il vicario giudiziale della diocesi, monsignor Vincenzo Murgano, hanno 30 giorni per farsi interrogare o presentare memorie difensive. Il quotidiano “La Repubblica” riporta che i due sono indagati per falsa testimonianza dalla procura di Enna per le dichiarazioni fatte durante l’inchiesta e poi nel processo a…
#condannato#Giuseppe Rugolo#indagati#indagato#indagini#minori#molestie#processo#responsabilità#Rosario Gisana#Sicilia#storia#tutela dei minori
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Ceccano, interrogatori, chi parla e chi no
Strategie difensive diverse per gli imputati dell’inchiesta sugli appalti per il PNRR a Ceccano. Se l’ex sindaco Caligiore ed alcuni dei tecnici si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, così non è stato per il dirigente dell’ufficio e per uno degli imprenditori coinvolti che invece hanno risposto alle domande del giudice delle indagini preliminari. Ora si attende la conclusione degli…
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Le tecniche investigative dell'avvocato
Un approfondimento sulle più moderne attività di indagine del difensore
L’acquisizione della prova scientifica nelle indagini difensive
Gli artt. 391-bis c.p.p. consentono ai difensori di compiere atti di indagine a favore del proprio assistito.
Prima di tutto occorre che, in questa attività investigativa, il difensore non incorra nella “tagliola” dell’art. 191 c.p.p., ciò che comporterebbe l’inutilizzabilità delle acquisizioni probatorie in quanto, come recita tale norma: «Le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate».
Una volta aggirato questo primo ostacolo, restano delle altre insidie a cui prestare attenzione, soprattutto quando la prova da acquisire presenta i caratteri di una elevata complessità scientifica o tecnologica.
Invero, il rischio, quando si devono acquisire prove di questo tipo, è quello di non riuscire a preservarne la genuinità ed autenticità.
Il nostro ordinamento processual-penalistico si informa, in tema di prove, al principio di atipicità delle stesse, come si ricava dal disposto dell’art. 189 c.p.p. (prove non disciplinate dalla legge). Nel processo penale, nell’intento di tendere il più possibile verso l’accertamento della verità, non si preclude l’ingresso, in esso, di prove che non trovino una compiuta disciplina codicistica, purché idonee alla ricostruzione storica dei fatti.
Tutte le prove, dunque, avranno una loro valenza e, a seconda del loro grado di affidabilità ed attendibilità, avranno anche un maggiore o minore peso specifico.
Tutte, però, anche quelle meno convincenti, anche quelle solo meramente indiziarie, saranno rimesse al prudente apprezzamento del Giudice.
Di sicuro, però, ci si attende dal difensore, nell’acquisizione delle prove, anche di quelle digitali o comunque di quelle che presentano un progredito avanzamento tecnologico, lo stesso rigore che si pretende dalla Procura della Repubblica quando la stessa ricerca prove a carico dell’imputato o dell’indagato ed è sempre auspicabile il massimo rispetto di criteri, metodi e canoni di acquisizione che salvaguardino la genuinità e la autenticità della prova in modo che essa non sia fuorviante e rispecchi in modo veritiero i fatti che è rivolta a dimostrare.
Questo concetto potrà essere più comprensibile richiamando una casistica assai frequente nella realtà processuale: l’introduzione, come prove, degli screenshot, ossia quelle fotografie che catturano l’immagine che appare sul display di un dispositivo elettronico (come smartphone, tablet, computer o altro).
Il più delle volte queste immagini raffigurano messaggi di testo inviati o ricevuti dal dispositivo da quale sono estratte.
Queste fotografie vengono di frequente prodotte in giudizio e sono tenute in considerazione dall’organo giudicante che arriva anche fondarvi la sentenza che definisce il procedimento.
Tuttavia il modo più rigoroso, completo e ortodosso di acquisire il testo di queste chat o conversazioni intrattenute attraverso qualsivoglia servizio di messaggistica, non è quello che si estrinseca in una riproduzione visiva come quella fotografica, bensì consiste nella integrale estrapolazione dello scambio di comunicazioni procurandosene una copia forense.
Ebbene, questa operazione dovrebbe essere affidata a specialisti tecnici in modo da avere la certezza che la prova non sia stata alterata, nel pieno rispetto dell’impronta digitale (il codice hash).
L’impronta hash di un testo o di un file, senza entrare troppo nello specifico, è una sequenza di lettere e di cifre, ottenuta applicando un particolare algoritmo di calcolo alla sequenza di bit che formano il testo o il file. Questo algoritmo, peraltro, non è invertibile: questo significa che da un file o da un gruppo di file sarà possibile generare una ed una sola impronta (dunque univoca), ma da questa stringa non è possibile ricavare l’origine con un procedimento inverso.
Queste operazioni devono essere eseguite avvalendosi di appositi programmi che assicurano la genuinità dell’acquisizione. Non tutti i software garantiscono questo risultato.
Qualora, invece, la conversazione o lo scambio di messaggi venga prodotto in forma meramente fotografica, l’integrità del loro contenuto non sarà salvaguardato per almeno due ordini di motivi.
Innanzi tutto una fotografia, con qualsiasi banale programma di ritocco fotografico, può essere modificata, alterando così il contenuto dei messaggi.
Inoltre, la produzione in giudizio di singoli messaggi, estrapolati da una più ampia conversazione, avulsi dunque dal loro contesto, può condurre a valutazioni distorte circa il reale significato delle comunicazioni che gli interlocutori si sono scambiati.
Tutte le prove che confluiscono nel processo, insomma, all’esito del contraddittorio delle parti, vengono assoggettate al sindacato del Giudice, tuttavia in forza del disposto di cui all’art. 192 c.p.p. ogni apporto probatorio sarà oggetto del suo apprezzamento e, in diversa misura, potrà fondare il suo convincimento.
Ebbene, una conversazione integrale estrapolata da un dispositivo con metodi tali da garantirne la genuinità avrà senz’altro un’efficacia probatoria maggiore di singoli messaggi offerti alla cognizione del Giudicante attraverso semplici screenshot.
Vi sono poi altre moderne tecniche di ricerca della prova, alcune delle quali costituiscono una trasposizione digitale di tecniche investigative tradizionali. Una di queste è il pedinamento elettronico.
Si tratta di quella operazione investigativa volta a tracciare gli spostamenti di una persona fisica attraverso l’impiego di strumenti tecnologici estremamente avanzati. Nella gran parte dei casi, il pedinamento elettronico si effettua installando in maniera occulta un rilevatore GPS su un bene mobile, precipuamente le autovetture. A prescindere dalla tecnologia adoperata, l’elemento distintivo del pedinamento elettronico è che consente, parimenti a quello effettuato fisicamente da un investigatore, di localizzare una persona senza seguirla fisicamente. Da un certo punto di vista, si potrebbe anche affermare che esso rappresenti una modalità di tracciamento meno invasiva e discreta di quella consistente nel seguire fisicamente la persona nei suoi movimenti.
Si pone però, al riguardo, una questione giuridica dalla cui risoluzione dipende la liceità o meno di tale tecnica di indagine.
Ci si deve chiedere, in particolare, se il pedinamento elettronico sia equiparabile ad un’attività di intercettazione. In caso di soluzione affermativa, invero, lo stesso non sarebbe lecitamente effettuabile dagli investigatori privati autorizzati, in quanto lederebbe il diritto alla riservatezza della persona.
La Corte di Cassazione però ha affermato che il pedinamento elettronico è un’operazione investigativa non assimilabile alle intercettazioni dal momento che non è finalizzata alla captazione occulta di messaggi o comunicazioni, ma alla verifica della presenza di una persona in un determinato luogo in uno specifico momento. Di conseguenza, argomenta il giudice di legittimità, il tracciamento elettronico è ontologicamente equiparabile al pedinamento fisico (Cass., sez. II, 13 febbraio 2013, B., in ced Cass., rv. 255542 e altre conformi).
Si può, quindi, concludere che il pedinamento da remoto con mezzi tecnologici è un atto di indagine non vietato dalla legge e dunque le sue risultanze saranno processualmente utilizzabili.
Altro problema che può prestarsi a diverse interpretazioni ermeneutiche attiene alla liceità del prelievo di materiale biologico all’insaputa dell’interessato.
Al riguardo, il Tribunale di Milano, Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari, 22 settembre 2020 - Giudice Dott.ssa Anna Calabi, in un caso del genere, ha disposto l’archiviazione.
In tema di investigazioni difensive, con questo provvedimento, il Tribunale di Milano, in merito all’ipotesi di prelievo di materiale biologico ai fini della determinazione del DNA senza il consenso dell’interessato (nel caso di specie, il materiale era stato raccolto da una tazzina di caffè, da un cucchiaino e da una bottiglietta di plastica), ha ritenuto lecite le investigazioni difensive – disponendo conseguentemente l’archiviazione degli indagati – ritenendo che le operazioni di raccolta del materiale biologico, poste in essere accedendo a luoghi pubblici o aperti al pubblico, si fossero realizzate «nel pieno rispetto della libertà personale e della dignità del soggetto», sebbene a sua insaputa.
La raccolta di materiale biologico – si legge nel provvedimento – «ha in concreto riguardato oggetti utilizzati ed in seguito abbandonati dal soggetto: il materiale prelevato, pertanto, non faceva più parte della persona dell’interessato e non ha comportato alcun atto coercitivo o forzoso nei suoi confronti». Copiosa giurisprudenza – continua il provvedimento – «afferma che quando il materiale biologico sia ormai separato dalla persona e sia ricavabile da oggetti come bicchieri, mozziconi di sigaretta o bottiglie abbandonate, diventando res derelicta, l’attivitàdi prelievo non richiede alcun intervento coattivo/manipolativo sul soggetto e deve considerarsi, pertanto, legittima anche senza autorizzazione dell’autorità giudiziaria».
Le indagini difensive pongono anche delicati profili deontologici per l’avvocato e quanto più tecnologicamente progredite sono le prove da acquisire, tanto più il medesimo dovrà prestare attenzione al loro grado di genuinità ed autenticità.
Il difensore dovrà sempre tenere ben presente che, nelle sue investigazioni e nella successiva produzione in giudizio di prove raccolte in questa sua attività di indagine, sarà tenuto al rispetto dell’art. art. 50 del Codice deontologico che impone il dovere di verità: «L’avvocato non deve introdurre nel procedimento prove, elementi di prova o documenti che sappia essere falsi».
Sarà necessario, soprattutto, filtrare e vagliare con estremo rigore, tutto il materiale probatorio che non abbia formato personalmente e direttamente, ma che provenga dal suo assistito: qualora abbia il sospetto che una prova, fornita da quest’ultimo, sia stata oggetto di una qualsivoglia alterazione, dovrà astenersi dal versarla in atti fino a quando non abbia provveduto alle verifiche necessarie ad appurarne l’integrità.
Una riflessione conclusiva investe comunque il problema della effettiva realizzabilità di certe attività di indagine, considerato l’elevato costo delle stesse, che non tutti possono permettersi.
Per procedere ad atti di indagine come quelli sopra ricordati occorre rivolgersi ad investigatori, ad esperti di informatica forense e a personale altamente qualificato e le operazioni stesse da costoro eseguite sono estremamente costose.
Se, dunque, era già accentuato il divario di mezzi, di personale e di capacità economica di spesa tra la Procura e i privati cittadini, ora, in presenza di un sempre più avanzato progresso tecnologico delle prove da acquisire, questo scarto si prospetta ancora più rilevante.
Le indagini difensive sono orientate, in definitiva, al raggiungimento di una tendenziale parità nella raccolta di prove tra accusa e difesa, ma di fatto il continuo avanzamento tecnico dei moderni apporti probatori ha l’effetto di accrescere questa disparità originaria tra le parti nel processo penale.
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La Procura di Milano ha chiuso le indagini nei confronti di Chiara Ferragni
La Procura di Milano ha chiuso le indagini, in vista della richiesta di rinvio a giudizio, nei confronti di Chiara Ferragni e di altre persone per truffa aggravata. Al centro dell'inchiesta ci sono i casi di presunta pubblicità ingannevole legata alle vendite, avvenute tra il 2021 e il 2022, del pandoro"Pink Christmas" Balocco e delle uova di Pasqua Dolci Preziosi. Per la Procura di Milano l'ingiusto profitto contestato all'influencer sarebbe di poco più 2 milioni e 200mila euro. Attraverso i suoi avvocati, Ferragni ha dichiarato di "avere fiducia nel lavoro della magistratura". Oltre a Chiara Ferragni, l'atto di chiusura dell'inchiesta riguarda Fabio Damato, suo ex stretto collaboratore, Alessandra Balocco, titolare dell'azienda piemontese produttrice del Pandoro, e Franco Cannillo della Dolci Preziosi. Come si legge in una nota della Procura sono stati ipotizzati i reati di truffa continuata e aggravata in relazione alle operazioni commerciali 'Pandoro Balocco Pink Christmas, Limited Edition Chiara Ferragni' (Natale 2022) e 'Uova di Pasqua Chiara Ferragni - sosteniamo i Bambini delle Fate' (Pasqua 2021 e 2022). Ferragni: "Confido venga acclarata presto mia innocenza" "Riteniamo che questa vicenda non abbia alcuna rilevanza penale e che i profili controversi siano già stati affrontati e risolti in sede di Agcom. Avvieremo al più presto un confronto con i Pubblici Ministeri e confidiamo in una conclusione positiva della vicenda. Chiara Ferragni ha fiducia nel lavoro della magistratura e che la sua innocenza venga acclarata quanto prima.". Così gli avvocati di Chiara Ferragni hanno commentato la chiusura delle indagini. Secondo i legali dell'influencer, Giuseppe Iannaccone e Marcello Bana, la vicenda è già stata risolta davanti all'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Le due società della influencer, Tbs Crew e Fenice Srl, hanno infatti versato una ingente somma. I due legali, ora, dopo aver letto le carte che verranno depositate, studieranno le contromosse difensive. Read the full article
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Taurianova (RC): 2 vigili urbani non intervengono per un incidente mortale, entrambi sospesi
Taurianova (Reggio Calabria): 2 vigili urbani non intervengono per un incidente mortale, entrambi sospesi I Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria, coordinati dal Procuratore Emanuele Crescenti e dal Sostituto Procuratore Davide Lucisano della Procura di Palmi, hanno notificato la sospensione dai pubblici uffici per 10 mesi a due agenti della Polizia Municipale di Taurianova, indagati per omissione di atti d’ufficio. I fatti risalgono alla mattina 6 dicembre 2023, a seguito di un incidente stradale verificatosi lungo la Circonvallazione di Taurianova, nel corso del quale aveva trovato la morte un 52enne. L’uomo, da solo alla guida della propria autovettura, aveva perso il controllo del veicolo a causa di un malore ed era impattato violentemente contro un palo della luce, a pochi metri dal ciglio della strada. All’evento avevano assistito diversi testimoni e uno di questi, incrociando la pattuglia della polizia locale composta dagli odierni indagati, aveva dato loro l’allarme. Quanto successo dopo è stato oggetto di un’accurata ricostruzione fatta dai Carabinieri della Stazione e della Sezione Operativa di Taurianova. I militari dell’Arma, infatti, incrociando le dichiarazioni testimoniali dei presenti con le video registrazioni delle telecamere in zona, nonché con il tracciato GPS dell’autovettura di servizio dei due vigili, hanno riscontrato come questi ultimi, presa conoscenza del sinistro, si erano effettivamente recati sul posto ma, una volta giunti, proseguivano avanti, omettendo totalmente di attivare la macchina dei soccorsi o di mettere in sicurezza l’arteria stradale. L’omissione, secondo quanto è emerso dalle investigazioni, comportava un notevole ritardo nell’intervento delle forze dell’ordine, tanto che, solo un’ora dopo, a seguito di una chiamata al 112, giungevano sul posto i Carabinieri della Compagnia di Taurianova, accertando il decesso del 52enne. La ricostruzione degli investigatori ha altresì permesso di sconfessare le tesi difensive finora avanzate dai due agenti, che nel corso delle indagini hanno anche reso interrogatorio innanzi al Gip che ha adottato la misura cautelare, dott.ssa Francesca Giovinazzo del Tribunale di Palmi. Il magistrato non ha infatti accettato l’argomentazione degli indagati, che affermano di non essere stati in grado, all’atto del passaggio documentato dal GPS dell’autovettura di servizio, di individuare il luogo dell’incidente. Sulla base invece degli elementi di prova sinora raccolti dalla Procura di Palmi, secondo l’ipotesi d’accusa sposata dal Gip, la macchina incidentata sarebbe stata ben visibile da entrambi i sensi di marcia, anche perché la vegetazione al bordo della carreggiata non era poi così fitta. Il procedimento è attualmente pendente in fase di indagini e l’effettiva responsabilità delle persone destinatarie della misura cautelare, in uno con la fondatezza delle ipotesi d’accusa mosse a loro carico, saranno vagliate nel corso del successivo processo. Non si escludono ulteriori sviluppi investigativi e probatori, anche in favore delle persone sottoposte ad indagini.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Convegno di criminologia a Napoli con famiglie vittime innocenti
E’ prevista anche la testimonianza di familiari di vittime innocenti della criminalità al convegno di criminologia intitolato “Dalla parte delle vittime. Indagini difensive e indagini scientifiche” in programma dalle 9 dell’11 aprile nel complesso monumentale San Domenico Maggiore di Napoli. Al tavolo dei relatori interverranno il generale Luciano Garofano, in video collegamento, che aprirà i…
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30 set 2023 17:42
“RENZI LE HA DETTO CHE LA PORTA IN PARLAMENTO. IO HO RISPOSTO: ‘NUN CE ANNA’ CHE TE PIJA PER IL CULO” – PIETRO TIDEI, IN UNO DEI NUMEROSI VIDEO REGISTRATI NEL SUO UFFICIO DI SINDACO COMUNE DI SANTA MARINELLA (QUELLI IN CUI NON FACEVA SESSO) PARLA ANCHE DI MATTEONZO, CHE HA IMBARCATO LA FIGLIA, MARIETTA, IN ITALIA VIVA. LA DONNA REPLICÒ AL PADRE: “MALE CHE VADA, VADO ALLA REGIONE”. E COSÌ È STATO: ORA È CAPOGRUPPO DEL PARTITO DEL SENATORE DI RIAD – GLI INQUIRENTI VALUTANO DI DISTRUGGERE TUTTE LE INTERCETTAZIONI NON INERENTI ALL’INCHIESTA PER CORRUZIONE, E IL PD TACE…
Estratto dell’articolo di Giacomo Amadori e François De Tonquédec per “La Verità”
L’affaire del video hot del sindaco pd Pietro Tidei di Santa Marinella si è arricchito di un’altra puntata. Venerdì 22, gli inquirenti hanno fatto sequestrare il cellulare del consigliere comunale d’opposizione Roberto Angeletti, che attraverso il suo avvocato aveva ottenuto copia dei filmati (compreso quello hard) realizzati di nascosto in municipio nell’ambito di un’inchiesta per corruzione in cui lo stesso Angeletti è indagato.
L’uomo è il principale sospettato per la diffusione delle immagini (che ritraggono Tidei «intento a consumare un rapporto sessuale con due donne» si legge nel decreto di perquisizione) e per questo è stato iscritto anche per il reato di revenge porn.
Ieri pomeriggio, i carabinieri del Nucleo di Civitavecchia hanno sequestrato pure il telefonino della sorella Bruna, una poliziotta in pensione. Angeletti aveva subito ammesso con gli investigatori di aver inviato diversi file, tra cui quello al centro della nuova inchiesta, alla parente, la quale lo avrebbe aiutato ad ascoltare e correggere le trascrizioni […].
[…] Adesso la Procura dovrà verificare che il video sia rimasto all’interno della ristretta cerchia, legittimamente in possesso del materiale e impegnata in indagini difensive. […] Intanto il clamore mediatico causato dalla vicenda ha convinto gli inquirenti di Civitavecchia a correre ai ripari e a chiedere immediatamente un’udienza stralcio per distruggere le intercettazioni non inerenti all’inchiesta per corruzione consegnate ad Angeletti, in un procedimento, lo ricordiamo, innescato dalle confidenze di Tidei al comandante della locale caserma dei Carabinieri. A rischio cancellazione sono le migliaia di ore registrate dalle telecamere fatte installare dagli inquirenti in tre stanze del Comune di Santa Marinella.
[…] Ma la Procura si trova nella morsa Italia viva-Forza Italia, partiti che sono scesi in campo per difendere Tidei da una presunta «barbarie». Lo stesso politico dem ha annunciato di volersi rivolgere al ministro della Giustizia Carlo Nordio.
In prima fila in questa battaglia c’è Matteo Renzi, che ha arruolato nelle fila del proprio movimento Marietta Tidei, figlia del sindaco e che ha organizzato la festa nazionale di Iv proprio nel Comune di Santa Marinella. Una kermesse inaugurata da Tidei senior, il quale, dal palco sotto il Castello di Santa Severa, ha arringato la platea offrendo come modello e laboratorio politico per l’Italia l’esperienza della maggioranza che governa il suo paese: un Pd alleato con Iv, i centristi e alcuni fuoriusciti di Forza Italia.
A pungolare il fu Rottamatore è stato il sito Dagospia alle 11.10 di ieri, quando ha battuto questo flash, ricordando i legami politici e di amicizia del senatore con la famiglia del politico laziale: «Ma il noto parlamentare di Riad Matteo Renzi, non ha nulla da dire su Pietro Tidei?». L’ex premier, che alle grigie e sorde aule parlamentari preferisce i social, ha subito replicato, senza citare Roberto D’Agostino, e, al solito, ha usato le vite altrui per parlare della propria e frignare.
[…] Nei video di Tidei, il sindaco parla anche di Renzi. «Marietta non può fare il sindaco» dice l’ex parlamentare. «Conviene andare più in alto» commenta un’interlocutrice. «Dice che Renzi le ha detto che la porta in Parlamento» spiega Tidei e riporta il proprio consiglio alla figlia: «Nun ce anna’ che te pija per culo». E la risposta di Marietta sarebbe stata questa: «Male che vada, vado alla Regione». Come in effetti è avvenuto e dove è diventata capo gruppo di Italia viva, dopo essere stata parlamentare Pd, al posto del padre.
Ma se Renzi, pungolato via Internet, è finalmente sceso in campo a difendere il suo anfitrione, dal Pd continua a non alzarsi una voce sui comportamenti da marchese del Grillo del loro sindaco. L’uomo che promette a tutti aiuti, posti di lavoro, raccomandazioni, interferenze, concorsi su misura e, forse, non mantiene, ma soprattutto che usa le sedi istituzionali come un motel è stato rimosso dal discorso politico della maggioranza, ma soprattutto dell’opposizione.
Chiacchiericcio politico a parte, resta il fatto che migliaia di ore di video, in pratica un reality show sulla conduzione di una giunta comunale, rischiano di finire in un cestino, ancor prima di una seria valutazione del materiale.
Noi abbiamo già raccontato di alcuni dialoghi quanto meno politicamente scivolosi e, comunque, meritevoli di una verifica da parte degli investigatori di possibili notizie di reato. Ne aggiungiamo oggi uno che riguarda la gara per l’affidamento della spiaggia Perla del Tirreno, la più bella della località balneare.
Qui, insieme con Tidei, il protagonista è l’ex assessore al bilancio Emanuele Minghella, oggi presidente del Consiglio comunale. Minghella: «Mencarelli (Ermanno, architetto e dirigente dell’ufficio tecnico condoni, reti informatiche e lavori pubblici, ndr) ha parlato con quelli per tre mesi, e quelli non hanno letto il bando?». Tidei: «Secondo me non lo hanno letto».
Minghella: «Si sono parlati per tre mesi, almeno una volta alla settimana e hanno fatto ‘st’errore, ma guarda un po’». Tidei: «Io conosco Mencarelli, è un figlio di una buona donna che non finisce mai. Ma a Mencarelli questi qui gli mettono solo paura, non li vuole vedere manco scritti». Il dialogo prosegue e a un certo punto Minghella chiede: «E l’errore chi l’ha fatto?».
Tidei: «E chi l’ha fatto, Mencarelli? […]. Ma c’è un bando (urla, ndr), porco… leggete il bando, no?». Poi aggiunge: «Quelli hanno fatto un’offerta senza leggersi il bando. Ti devi leggere il bando se sei un imprenditore serio. Siccome, a quelli, gli è stata data rassicurazione da noi, troppa, e quelli manco il bando si sono letti».
Minghella commenta, ma la voce è coperta da quella di Tidei, che risponde: «Come no, da noi, certo. Stavamo insieme quando ci abbiamo parlato». Ma il clima che si vive nel Comune di Santa Marinella, in questi giorni, dopo i nostri scoop, assediato dalle telecamere, non deve essere dei migliori.
Tidei ne parla con una delle sue amiche in uno dei video sotto esame. Il dialogo parte da un esilarante equivoco. La donna ha mostrato una delle case di Tidei a una persona interessata all’acquisto. Ma la richiesta è stata ritenuta troppo esosa dall’aspirante acquirente. E allora per non lasciarla vuota il sindaco propone di metterci un letto per trasformarla in una garçonnière per lui e l’amante.
«Ci sono i letti quelli che si gonfiano, m’hanno detto che so’ tanto comodi» suggerisce la signora. Ma Tidei capisce tutt’altro: «Me gonfiano?». La donna prova a spiegarsi: «C’è sta un letto che se gonfia». Tidei: «Ah pensavo che me gonfiano de botte, “ti gonfiano, ci gonfiano”». Il discorso passa al riposino che il primo cittadino si è fatto all’ora di pranzo. «Sono andato a casa, sì, ma mi sono buttato un attimo sul letto perché mi faceva male la testa» spiega l’uomo.
«Tu non devi lavorare troppo» gli consiglia l’amica. «Lavoro troppo? Ma non lavorano (i suoi collaboratori, ndr), non fanno un cazzo, ieri sera li ho dovuti strapazzare, stamani li ho strapazzati, ieri sera ho strapazzato praticamente a tutti. Mo’ questi si incazzano.
Mia moglie mi ha detto: “Adesso guarda che questi ti mandano a casa come è successo a Civitavecchia”». Per il primo cittadino quelli che lavorano con lui ��non fanno veramente niente». «Chi pensi che faccia qualcosa?» chiede la donna.
Risposta: «Ma nessuno… io credevo che Minghella che era uno che faceva, non fa niente… robette… tutte cosette così, stronzate. Io pensavo che era strategico e, invece, tutte cosette così…».
[…] Ma mentre la discussione procede, insieme alle «effusioni», come le chiama Tidei, qualcuno bussa alla porta della sala Romeo. «Sì, chi è?» esclama il sindaco. Che evidentemente ha usato l’ufficio come un albergo mentre qualcuno si aggirava nei corridoi.
Ora minaccia querele per diffamazione a destra e a manca, ma nel frattempo alla sbarra è finito lui. Ha infatti pesantemente offeso un giornalista, Cristiano Degni. Il primo cittadino, sui social, ha attribuito al cronista, colpevole di criticarlo, «ripetuti insuccessi anche professionali», «profonde insoddisfazioni» e lo ha accusato di essere «artefice di un’informazione distorta, capziosa, non veritiera, strumentale e soprattutto fondata su falsità». Tidei ha anche aggiunto il carico: «Credo che sia arrivato il tempo di rivelare, magari in un pubblico contraddittorio, alcuni accadimenti e comportamenti che lo riguardano, quali alcune sue richieste di denaro che forse dovrebbero essere note a tutti». Quest’ultima insinuazione ha convinto Degni a denunciare il politico e sei mesi fa il pm Alessandro Gentile ha disposto il rinvio a giudizio di Tidei.
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I servizi dell’agenzia FM-investigazioni
Attività di indagine in ambito aziendale
Diverse tipologie di minacce possono danneggiare il patrimonio di una società, che sia esso scientifico, tecnologico o economico, tangibile e intangibile. A tal fine, l’investigazione aziendale riguarda un’attività d’indagine che punta alla tutela del valore d’impresa, a fronte della richiesta del titolare d’azienda, del legale rappresentante o enti giuridici, anche in sede giudiziaria. La verifica della veridicità delle informazioni fornite da candidati all’assunzione, dipendenti, soci, fornitori, rappresentanti ed esterni consente di sanare situazioni di natura pregiudizievole al buon andamento di una azienda. Parallelamente l’Agenzia FM – Investigazioni offre i propri servizi in difesa delle compagnie assicurative contro quei comportamenti fraudolenti che tendono a conseguire, oppure ad aumentare, l’incasso di un rimborso da parte della stessa agenzia. Si incastrano a queste tipologie di indagini anche quelle di carattere informatico e tecnologico per la prevenzione di furti di informazioni e dati aziendali.
Le indagini condotte dall’Agenzia FM – Investigazioni prevedono l’impiego di professionisti e strumentazione tecnologica all’avanguardia al fine di raccogliere prove documentali e testimoniali che evidenzino inconfutabilmente l’illecito a danno del nostro cliente, materiale da utilizzare anche in fase stragiudiziale o giudiziale.
I servizi che offriamo alle aziende:
Indagini sul curriculum vitae;
Infedeltà di un collaboratore e licenziamento per giusta causa;
Forensic due diligence aziendale;
Violazione del patto di non concorrenza;
Concorrenza sleale di ex dipendenti;
Indagini per il recupero credito;
Indagini a tutela della proprietá intellettuale;
Indagini per contrasto alle frodi assicurative;
Indagini informatiche forensi;
Bonifiche ambientali e su dispositivi elettronici.
L’Agenzia FM – Investigazioni garantisce una consulenza preliminare gratuita ed assoluta riservatezza, sia nel caso di accettazione che di non affidamento dell’incarico investigativo. Maggiori dettagli sui servizi sono reperibili sul sito web: www.francomalatesta.it. Se desiderate richiedere un preventivo per i nostri servizi, contattateci all’indirizzo e-mail: [email protected] oppure compilate il modulo sul medesimo sito.
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Nel silenzio pavido e servile dei media e della politica, tra pochi giorni saremo chiamati a rispondere ai quesiti del REFERENDUM SULLA GIUSTIZIA.
E’ fin troppo chiaro che tale subdolo mutismo sia finalizzato al non raggiungimento del quorum.
Ed è lo stesso obiettivo che si prefiggeva l’arguto presidente della corte costituzionale nel cassare il quesito dotato di maggior forza trainante: quello sulla responsabilità civile dei magistrati che sbagliano.
Però, malgrado tale assurda amputazione, giustificata tra l’altro con una pronuncia così ambigua ed incomprensibile da far assurgere la supercazzola a fonte del diritto, alcuni dei quesiti superstiti hanno le potenzialità di colpire al cuore l’arrogante onnipotenza di una magistratura faziosa, politicizzata, autoreferenziale ed impunita.
Poiché molti non hanno le idee chiare e non tutti i quesiti proposti sono buoni e giusti, nel mio piccolo tenterò di rendere il più comprensibile e sintetico possibile il contenuto delle questioni giuridiche cui saremo chiamati a rispondere (i cultori del diritto mi perdoneranno la brutale semplificazione).
Vi dico subito che, a mio parere, dei 5 quesiti presenti 3 meritano un SÌ dirompente, uno merita un netto NO e l’ultimo un… BOH!
Ma andiamo con ordine…
La prima difficoltà la incontreremo nel tradurre in lingua corrente la formulazione delle domande.
Ci troveremo, infatti, dinanzi ad arzigogolati geroglifici del tipo: “Volete voi che sia abrogato il testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alle seguenti parole…”
Roba che l’azzeccagarbugli di Manzoniana memoria gli spiccia casa.
Ma lì dove il testo risulta artatamente inintelligibile, ci aiuteremo con i colori.
Ogni quesito, infatti, sarà apposto su una scheda di diverso colore.
LA SEPARAZIONE DELLE FUNZIONI – Scheda GIALLA
Ci verrà chiesto se vogliamo abrogare la norma che pone nello stesso ambito la magistratura requirente e quella giudicante.
Se vogliamo, cioè, separare la figura del Pubblico Ministero (che formula l’accusa) da quella del Giudice (che valuta se quell’accusa è fondata o meno e se l’imputato è colpevole o innocente).
La distinzione tra le due figure non compare solo nel processo, ma anche nelle indagini preliminari.
Se, per esempio, il PM vuole intercettare un indagato deve chiedere al Giudice il decreto. Se vuole che l’indagato sia arrestato deve chiedergli un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Se i termini delle indagini sono conclusi senza aver conseguito prove sufficienti deve chiedergli una proroga… e così via.
Un Giudice imparziale non dovrebbe avallare ciecamente qualsiasi richiesta del PM, bensì vagliare obiettivamente le fonti di prova emerse, comprese quelle individuate nel corso delle indagini difensive, e prendere le sue decisioni.
Ma esiste questa equidistanza tra accusa e difesa?
Assolutamente NO!
PM e Giudici sono indissolubilmente legati tra loro.
Fanno lo stesso concorso, la stessa carriera, appartengono allo stesso sindacato, allo stesso CSM e sono addirittura intercambiabili tra loro (chi fa il PM un domani potrà fare il Giudice e viceversa).
Tale connubio porta inevitabilmente il Giudice a soddisfare le richieste del PM… di quello stesso PM che un domani potrà assurgere agli scranni del CSM e decidere sulla sua promozione, sul suo trasferimento, sulla sua punizione disciplinare.
La risposta al quesito per me è un netto SI’!
L’EQUA VALUTAZIONE DEI MAGISTRATI – Scheda GRIGIA
Ci verrà chiesto se vogliamo abrogare la norma attuale che regola l’avanzamento di carriera dei magistrati.
Ogni quattro anni, infatti, i magistrati (sia PM che Giudici) per avanzare di carriera ricevono una valutazione del loro operato che può essere “positiva”, “non positiva”, o “negativa”.
Chi esprime tale valutazione?
I Consigli Giudiziari costituiti presso ciascun distretto di Corte d’Appello.
Di tali consigli fanno parte sia magistrati che avvocati e professori di diritto.
Però, quando si tratta di formulare la valutazione sui magistrati, gli avvocati e i professori di diritto non hanno diritto di parola.
Risultato: Todos Caballeros!
Con il sistema attuale oltre il 99 per cento delle toghe viene regolarmente promosso, compreso quelli che hanno commesso errori giudiziari madornali.
Insomma, si autopromuovono, autoassolvendosi da qualunque peccato.
La risposta al quesito per me è un netto SI’!
NOMINA DEL MAGISTRATO AL CSM – Scheda VERDE
Ci verrà chiesto se vogliamo abrogare la norma sulle elezioni dei magistrati al Consiglio Superiore della Magistratura.
Il CSM è l’organo di autogoverno più potente in seno alla magistratura.
Lì si decidono i trasferimenti, le promozioni, le nomine ai gradi apicali, le sanzioni disciplinari.
Tale organismo dovrebbe essere composto dai migliori… ma è così?
Assolutamente NO!
Come si viene nominati al CSM?
Un magistrato che voglia candidarsi deve raccogliere dalle 25 alle 50 firme dei suoi colleghi.
Pare facile, ma non lo è.
In una piccola procura non c'è neanche la metà dei magistrati a cui chiedere la firma.
Ne consegue che l’unico ente in grado di raccogliere il numero di firme necessarie è la “corrente” (Magistratura Democratica, Indipendente, Unicost, Area e via cantando).
Ogni corrente fa riferimento ad una ideologia politica…e già basterebbe questo per farci rabbrividire.
Se un magistrato, seppur bravo e stimato dai colleghi, non ha l’appoggio di una corrente, non ha speranza alcuna di far planare il proprio deretano sugli scranni.
E così, tali associazioni politicizzate divengono veri centri di potere in grado di condizionare l’intera macchina della giustizia, con le disastrose conseguenze che il clan Palamara ci ha insegnato.
Se tale norma venisse abrogata, ogni magistrato, anche quello apolitico e non inserito in alcuna corrente, si potrebbe candidare.
La risposta al quesito per me è un netto SI’!
...E ora passiamo alle dolenti note…
LIMITAZIONE DELLA CUSTODIA CAUTELARE - Scheda ARANCIONE
Ci verrà chiesto se vogliamo abrogare la norma che prevede l’emissione di una misura cautelare per "pericolo di reiterazione del reato”.
Mi spiego…
Quando un delinquente commette un grave reato può essere arrestato dalle forze di polizia solo se beccato in flagranza (nell’atto di commetterlo).
In caso contrario, la polizia, raccolte le prove a suo carico, le trasmette al Pubblico Ministero, il quale, se lo reputa necessario, chiede al Giudice l’emissione di una misura cautelare (che può essere la custodia in carcere, ai domiciliari, oppure può prevedere l’obbligo di firma, o di non allontanarsi dal comune di residenza, etc etc).
Attualmente per emettere una misura cautelare serve almeno uno dei seguenti presupposti:
- il pericolo di inquinamento delle prove;
- il pericolo di fuga;
- il pericolo di reiterazione dei reati.
Ebbene, l’ultimo presupposto, a meno che non si tratti di reati di mafia o terrorismo, con la vittoria del SI’, sparirebbe.
Facciamo un esempio.
Gli investigatori, tramite intercettazioni, tabulati e la visione delle immagini di telecamere, hanno raccolte evidenti fonti di prova in ordine ad una banda di ladri seriali che ogni notte svaligia appartamenti.
Non riuscendo a beccarli in flagranza, mandano l’incartamento al PM sperando che costui si attivi per richiedere al Giudice l’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere.
I ladri, però, non essendo a conoscenza delle indagini in corso non possono inquinare prove che non conoscono e, dato che i loro loschi affari stanno andando bene, non hanno la minima intenzione di fuggire.
L’unica possibilità per il giudice di farli arrestare è quella di motivare l’ordinanza con il pericolo di reiterazione dei reati.
Se vincesse il SI’, ciò non sarebbe possibile e i malfattori potrebbero proseguire indisturbatamente i loro raid.
Stessa esempio si potrebbe fare per un gruppo di spacciatori in azione e addirittura per lo stalker (al quale non si potrebbe neanche più imporre il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa).
Ne consegue che la risposta al quesito per me è un deciso NO!
ABOLIZIONE DELLA LEGGE SEVERINO - Scheda ROSSA
Ci verrà chiesto di abrogare la legge che prevede l’incandidabilità, l’ineleggibilità e la decadenza automatica per i parlamentari, per i rappresentanti di governo, per i consiglieri regionali, per i sindaci e per gli amministratori locali in caso di condanna.
E qui, anche io ho seri dubbi su cosa votare.
Che un pregiudicato non si possa candidare alle elezioni parrebbe una norma di buon senso.
Se avessimo una magistratura imparziale e non politicizzata, non avrei il minimo dubbio nel votare NO a tale quesito.
Ma di fronte ad una magistratura che usa spudoratamente la giustizia come lotta politica per eliminare gli avversari, qualche serio dubbio me lo pongo.
Penso, poi, che il popolo debba essere sempre e comunque sovrano, nel bene e nel male.
Se i cittadini, pur consci che quel candidato è stato condannato, lo votano lo stesso, peggio per loro.
Il politico corrotto lo puoi sempre mandare a casa. Il magistrato incapace e fazioso invece te lo devi tenere...
Ne consegue che la risposta al quesito per me è un… BOH!
Su cosa invece non ho il minimo dubbio è l’assoluta necessità di andare a votare.
Se avete avuto la pazienza di seguirmi, vi sarete resi conto di quanto possa migliorare la macchina della giustizia, quanti errori in meno si registrerebbero, quanta maggiore attenzione i pubblici ministeri sarebbero costretti a porre, di come si limiterebbe la loro politicizzazione e complicità.
Il silenzio del mainstream che accompagna i referendum dovrebbe anche farci capire che nessuna forza politica avrà mai la forza ed il coraggio di riformare la giustizia.
Se non lo facciamo noi, non lo farà mai nessuno…
Disertare i referendum è complicità!
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attività investigativa del difensore
L’attività investigativa svolta dal difensore presenta alcune specifiche peculiarità che la distinguono da quella propria dell’Accusa pubblica: è meramente facoltativa, in contrapposizione alla obbligatorietà tipica delle investigazioni del Pubblico Ministero; ha una finalità unilaterale, nel senso che mira esclusivamente alla difesa dell’assistito, laddove il Pubblico Ministero, ex art. 358…
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House to House sanzionata per pratiche commerciali scorrette.
L’AGCM, nel bollettino n°3 di lunedì 21 gennaio 2019, ha pubblicato notizia della sanzione comminata a House to House, azienda attiva nel network marketing, per “caratteristiche dei prodotti non veritiere”.
Riportiamo i punti a nostro parere più importanti, rimandando per il testo completo alla fonte originale (link in fondo all’articolo).
House to House S.p.A. (nota anche come House o HtH), è attiva nel settore della vendita di elettrodomestici per il lavvio e l’igiene della biancheria.
Nel 2017 ha fatturato per 9 milioni di euro.
Qui di seguito il servizio di “Mi Manda Raitre”:
Vediamo qual’è l’accusa:
“Il procedimento concerne il comportamento posto in essere dal professionista, consistente nella diffusione, tramite gli agenti di vendita porta a porta e nei messaggi pubblicitari contenuti nella brochure illustrativa del prodotto nonché sul sito internet della società — www.housetohouse.eu — di informazioni non veritiere circa le caratteristiche dei due modelli dell’Asciugastiratrice Agento Professional commercializzati dal professionista: il primo venduto tra il febbraio 2013 e l’agosto 2017 (Agento vecchio modello), il secondo venduto a partire dal settembre 2017 e denominato Asciugastiratrice Agento Professional A37 (Agento nuovo modello).
3. Specificamente, con riferimento all’Agento vecchio modello, commercializzato dal febbraio 2013 all’agosto 2017, le informazioni non veritiere concernono la classe energetica pubblicizzata, la A+, quando in realtà il prodotto in questione era in classe B, la capacità di carico 9kg invece di 7 kg (Cfr. fig. 1 e 3) e la capacità di stirare i capi, desumibile dal nome commerciale del prodotto “Asciugastiratrice”.
Le accuse quindi sono abbastanza chiare:
Consumo energetico superiore a quanto dichiarato (vecchio modello);
Capacità di carico inferiore a quanto dichiarato (vecchio modello);
Dichiarazione di “capacità di stirare” non corrispondente al vero.
In più:
“5. Infine, con riguardo a entrambi i modelli, il professionista riproduce nei messaggi, per avvalorare le proprie affermazioni pubblicitarie, i loghi del comitato scientifico H-Global quale ente scientifico certificatore della qualità del prodotto.
Sanzione House to House — Le evidenze acquisite.
Nel procedimento, la AGCM sottolinea “la consapevolezza da parte del professionista circa le reali caratteristiche dell’Asciugastiratrice Agento Professional e dei problemi occorsi ai consumatori a causa delle scarse prestazioni energetiche del prodotto”.
Si parla di “4000 segnalazioni di cui 140 afferenti l’eccessivo consumo di energia elettrica”, che ha portato in più casi a far saltare la corrente in tutto l’appartamento e in almeno un caso in tutto il palazzo.
Altri clienti pongono dei dubbi relativamente ai tempi e alla qualità di asciugatura, che dovrebbe essere uno dei punti di forza di Agento in quanto “asciugastiratrice”.
Le evidenze riguardano sia il vecchio che il nuovo modello.
La certificazione di H-Global
In questo caso, la faccenda si fa ancora più intricata. Il comitato scientifico H-Global, il cui logo compare nelle pubblicità dell’asciugastiratrice, è la società H-Global S.r.l., il cui unico socio e amministratore è lo stesso amministratore, presidente e socio unico di HtH1. Quindi è l’azienda che certifica sé stessa tramite una società di comodo, senza alcuna autorità.
Inoltre, agli atti non sono state acquisite specifiche attività di verifica e certificazione svolte dalla suddetta società.
Diritto di recesso.
“Nel periodo — settembre 2016 luglio 2018 sono pervenute circa 630 richieste di recesso, alle quali è seguito un tentativo di recupero del cliente da parte della società. Circa il 50% dei tentativi di recupero del cliente sono andati a buon fine”.
Seguono le argomentazioni difensive, per leggere le quali vi rimandiamo al documento.
Sulla dicitura “asciugastiratrice”.
Dagli accertamenti effettuati nel corso del procedimento è emerso che il prodotto Agento — vecchio e nuovo modello — pur possedendo alcuni accorgimenti tecnici e alcune delle caratteristiche vantate nella pubblicità — in relazione ad esempio alla tecnologia utilizzata e alla capacità di stendere le fibre e quindi ridurre i tempi di stiratura, — non raggiunge le prestazioni ottenibili con i tradizionali ferri da stiro nelle operazioni di stiratura e quindi non sostituisce la necessità di dover ricorrere a queste. L’asciugatrice Agento può facilitare la stiratura degli indumenti, può ridurre i tempi di stiratura ma non potrà mai sostituire integralmente la funzione del ferro da stiro. Come emerso dalle risultanze istruttorie, il sistema “Stop Stiro System 3”, permette di “aprire accuratamente le fibre, ottenendone una significativa distensione” ma non certo un effetto stiratura.
A conferma di ciò risultano rilevanti le segnalazioni e le richieste di assistenza dei consumatori, che dimostrano come le aspettative di non dovere più stirare siano disattese.
69. Da quanto sopra emerge, pertanto, che sotto questo profilo, sia la vecchia Agento che la nuova Agento A37 non hanno le caratteristiche tecniche e prestazionali corrispondenti a quelle pubblicizzate, aspetto peraltro di cui HtH è ben consapevole.
70. Infatti, in relazione alla presunta capacità di stirare gli indumenti, desumibile dal nome stesso del prodotto, il professionista non ha fornito alcuna dimostrazione della possibilità di poter far a meno della fase di stiratura vera e propria e nello stesso senso depone la circostanza che nel già citato contratto di distribuzione il bene sia individuato semplicemente come “asciugatrice”.
La capacità di sola asciugatrice della macchina è confermata anche dalle stesse affermazioni del professionista in ordine alla capacità di ridurre i tempi di successiva stiratura dei capi di abbigliamento trattati con “Agento” contenute nella brochure di presentazione del prodotto. Peraltro, in base alle lamentele di alcuni consumatori, anche i tempi di durata del ciclo di asciugatura sono più lunghi di quelli pubblicizzati: “la macchina impiega per il programma di asciugastiratura il tempo medio di 2 ore e 12 minuti (mai di meno!) a fronte dei tempi previsti dalla sua scheda tecnica dai 45 ai 75 minuti”.
Sanzione House to House — Quantificazione.
Questa è una parte importante, che qualunque networker dovrebbe tenere a mente, nel corso della sua attività:
Con riguardo alla gravità della violazione, si tiene conto nella fattispecie in esame della dimensione del professionista, facendo riferimento al bilancio 2017, in quanto ultimo bilancio approvato, e del sistema di vendita particolarmente invasivo quale è quello della vendita porta a porta.
Tale sistema, infatti, pur consentendo al consumatore di provare e apprezzare il prodotto, determina una situazione di vulnerabilità a causa della presenza in casa del venditore stesso. Si tiene altresì conto del pregiudizio economico potenzialmente derivante per i consumatori considerato l’importo elevato del prodotto. La condotta deve, infine, considerarsi grave in ragione del fatto che essa appare scorretta sotto una pluralità di profili, relativi sia alle affermazioni pubblicitarie che a comportamenti considerati ingannevoli di per sé dal legislatore.
Delibera AGCM.
Viste le considerazioni precedenti, AGCM delibera le seguenti (pag. 127 del testo):
a) che la pratica commerciale descritta al punto II, del presente provvedimento, posta in essere dalla società House to House S.p.A., costituisce, per le ragioni e nei limiti esposti in motivazione, una pratica commerciale scorretta ai sensi degli articoli 21, lettera b), e 23, lettera d), del Codice del Consumo, e ne vieta la diffusione o continuazione;
b) di irrogare alla società House to House S.p.A. una sanzione amministrativa pecuniaria di 270.000 € (duecentosettantamila euro).
In conclusione:
AGCM ha sanzionato House To House per le seguenti motivazioni:
Pubblicità ingannevole sul reale consumo energetico, superiore a quanto dichiarato (vecchio modello Agento);
Pubblicità ingannevole sulla reale capacità di carico, inferiore a quanto dichiarato (vecchio modello Agento);
Pubblicità ingannevole sulla reale capacità ed efficacia dell’apparecchio nel sostituirsi alla stiratura.
Pubblicità ingannevole sulla certificazione H-Global.
[FONTE ORIGINALE: Bollettino AGCM n°3 Gennaio 2019]
RETTIFICA: Come da segnalazione dello Studio Legale dell’Avv. Michele Casagrande, abbiamo provveduto alla rettifica sulle sanzioni, riguardanti il vecchio modello Agento, riguardo al consumo energetico e alla reale capacità di carico.
Aggiornamento del 27 maggio 2019.
L’AGCM, nel bollettino n°21 di lunedì 27 maggio 2019, ha pubblicato notizia dell’avvio di una seconda istruttoria a carico di House To House, per non aver rispettato le indicazioni emerse nel primo provvedimento.
In particolare, di aver continuato ad usare il termine “asciugastiratrice”, vietato perchè a giudizio dell’Autorità “ingannevole”, sia sui Social che sulle inserzioni comparse sui giornali e TV.
[FONTE ORIGINALE: Bollettino AGCM n°21 di lunedì 27 maggio 2019]
Aggiornamento del 30 settembre 2019.
Dando seguito alle indagini avviate con bollettino del 27 maggio, L’AGCM, nel bollettino n°39 di lunedì 30 settembre 2019, ha pubblicato notizia della sanzione di 270 mila euro, inflitta a House To House per “caratteristiche prodotti non veritiere”.
[FONTE ORIGINALE: Bollettino AGCM n°39 di lunedì 30 settembre 2019]
Qui puoi leggere la nostra analisi del provvedimento.
Aggiornamento del 5 novembre 2019.
L’associazione codici ha comunicato di aver depositato presso il tribunale di Venezia, in data 5 novembre 2019, l’azione di classe nei confronti di House to House.
Cliccando su questo link, puoi il comunicato ufficiale.
Cosa possono fare i consumatori ingannati?
“Ci sono segnalazioni di clienti che hanno avuto diversi problemi — sottolinea l’Associazione Codici — salti di corrente, tempi lunghi per l’asciugatura, qualità della stiratura insufficiente.
Parliamo di prodotti venduti a quasi 2mila euro, quindi un investimento importante per i consumatori, che si sono fidati delle brochure illustrative e delle informazioni degli agenti di vendita.
Purtroppo, come accertato dall’Antitrust, i clienti hanno acquistato elettrodomestici dalle caratteristiche buone solo su carta, tant’è che in molti dovevano poi ricorrere all’uso del tradizionale ferro da stiro.
Di fronte a questa violazione del Codice del Consumo, a questa pratica commerciale scorretta, siamo a disposizione dei clienti per aiutarli ad ottenere il giusto risarcimento per l’acquisto fatto”.
I clienti che hanno comprato l’AsciugaStiratrice Agento Professional presso la società House to House, sanzionata dall’Antitrust, possono richiedere assistenza all’Associazione Codici contattando il numero 06.5571996 oppure scrivendo all’indirizzo email [email protected].
I clienti che si sentano ingannati, possono anche aderire all’azione di classe promossa dall’Associazione Codici compilando l’apposito modulo.
Puoi approfondire come prendere parte all’azione cliccando qui [link alla pagina sul sito dell’associazione].
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intercettura
«Un’intercettazione distorta mi è costata ventun anni di galera. È giustizia questa?» - L’inferno giudiziario di Angelo Massaro, di Giulia Merlo
In dialetto pugliese, morto si dice “muerto”, un oggetto ingombrante invece si dice “muerso”. Il giorno in cui è stato intercettato erano le 8.30 del mattino, Angelo Massaro stava portando da un paese all’altro un mezzo meccanico attaccato a un carrello dietro la macchina e discuteva al telefono con la moglie. Lei era innervosita, perchè lo stava aspettando per portare il figlio all’asilo, lui le spiegava che sarebbe arrivato il prima possibile, ma che era rallentato da quel “muerso” che stava trasportando. Per gli inquirenti che indagavano sulla scomparsa di un amico di famiglia di Massaro e avevano messo i telefoni sotto controllo, però, il carico trasportato era un cadavere. Ci incontriamo fuori dall’auditorium di Modena, dove Massaro è stato invitato a raccontare la sua storia nell’ambito del Festiva della giustizia penale, e pochi minuti prima di cominciare lui è un poco agitato: in sala ci sono ottocento posti e non ha mai parlato davanti a una platea così vasta. Al centro c’è la sua storia: imputato e condannato ingiustamente per sequestro di persona, occultamento di cadavere e omicidio con l’aggravante della premeditazione. Tre gradi di giudizio, macinati alla velocità record di tre anni: «Sono stato condannato a 24 anni in primo grado, confermati in appello e Cassazione. Contro di me non c’erano nè il corpo del reato, nè l’arma del delitto, nemmeno il movente. Solo un’intercettazione trascritta male». Un’intercettazione trascritta male e le parole di un pentito, nell’ultima fase del processo: «Ha riportato fatti che non poteva conoscere se non avendo letto gli atti processuali e ha detto che “pensava” che il colpevole fossi io. Poi, questo collaboratore è stato smentito in altri processi e dichiarato inattendibile. Io, però, ero già in carcere».
Dal 15 maggio 1996, data del suo arresto, Angelo Massaro è stato detenuto in sette carceri e le elenca velocemente: «Taranto, Lecce, Foggia. Poi Rossano Calabro, Carinola, Melfi e infine Catanzaro», dove si è svolto anche il processo di revisione.
Sette carceri in ventun anni, senza mai un permesso premio. Massaro, dopo l’elenco delle città, spiega con semplicità la ragione di tanto peregrinare: «Non accettavo la pena, quindi venivo considerato un detenuto polemico e contestatario». Per questo, non ha mai avuto un permesso premio: «In alcuni istituti mi hanno chiesto di fare la cosiddetta “revisione critica di passato deviante”, in pratica di ammettere la mia responsabilità, ancorandola alla concessione di permessi premiali». Massaro, però, non ha mai cambiato versione dei fatti, anche a costo di non uscire mai di cella e di peregrinare per tutti gli istituti del sud Italia come detenuto problematico. In quei lunghi anni, è diventato un testimone delle condizioni delle carceri italiane: «Una volta ho sentito un ministro dire che il nostro ordinamento penitenziario è il migliore d’Europa, peccato che sia applicato per meno del 30%». In tre istituti l’acqua corrente nelle docce e nelle celle era solo fredda tutto l’anno, lo stato delle strutture «da terzo mondo». La cosa peggiore, però, è stata il distacco dalla famiglia. L’ordinamento penitenziario prevede che questo non avvenga, ma Angelo racconta che il detenuto per prima cosa viene allontanato di fatto dai suoi affetti: «Per nove anni non ho mai visto la mia famiglia. Non potevano venirmi a trovare per problemi economici e l’unico contatto era un colloquio telefonico alla settimana, per 10 minuti. Immagini 10 minuti ogni sette giorni: 180 minuti per ogni figlio, 120 minuti con mia madre e 120 con mia moglie. Questo, secondo il ministero della Giustizia, significa mantenere gli affetti familiari» . La vita in carcere è durissima: «Vivevo col tormento di essere innocente e di essere dove non dovevo. Più chiedevo il rispetto dei miei diritti anche carcerari, più ero considerato un detenuto problematico. Per questo venivo inserito tra gli “indesiderati” e spostato di carcere in carcere». Nel raccontarlo, Massaro sorride con amarezza: «Chi chiede diritti in carcere non piace, il detenuto modello è quello che mangia, dorme e non dà fastidio». Ma dentro ha mai trovato la solidarietà di qualcuno, il conforto di un’amicizia? «Umanità l’ho trovata in qualche agente della polizia penitenziaria. Ho raccontato loro la mia storia e non volevano crederci». Tra gli altri detenuti, invece, nulla. «In carcere impari che non puoi confidarti con nessuno. In 21 anni, non ho mai detto ad anima viva la ragione della mia condanna». La ragione sta in una delle prime regole che si imparano: «In carcere, per avere un beneficio, sono tutti pronti a vendersi anche la madre. Dal primo momento ho iniziato a lavorare per la revisione del processo e si immagini: parlavo con qualcuno e poi questo andava a raccontare che “Massaro mi ha detto che...”. Poi valla a smontare un’altra accusa. No, dovevo tenermi tutto dentro». Per arrivare alla revisione, sono serviti vent’anni: in carcere, Massaro ha iniziato a studiare giurisprudenza e si è scritto da solo l’istanza di revisione. L’ha mandata a molti avvocati, fino a quando non ne ha trovato uno che gli ha creduto e ha accettato di combattere con lui. Reperire la documentazione, però, è stato difficile e l’avvocato ha dovuto svolgere indagini difensive per ascoltare tutti i testimoni in grado di smontare l’accusa. «In pratica, abbiamo fatto la ricostruzione che avrebbero dovuto fare, nell’immediatezza dei fatti, gli inquirenti». In un certo senso, lo studio lo ha salvato: «Mi ha salvato la testa, insieme alla meditazione e allo yoga. Ma più importante di tutti è stata la mia famiglia». Che però, senza i permessi premio, riusciva a vedere e sentire pochissimo. Massaro interrompe il racconto e ci pensa: «Un permesso l’ho ricevuto, nell’ultimo anno di carcere. Fu il magistrato di Catanzaro a dirmi di presentare la domanda anche se io mi rifiutavo di fare ammissione di colpa. Ricevetti il permesso dopo sette mesi ed era già in corso il processo di revisione, poi seppi che il magistrato me lo aveva concesso dopo aver letto la mia sentenza di condanna, che lui stesso definì “illogica”».
Ora, Angelo Massaro è un uomo libero: è tornato a casa sua, in provincia di Taranto, e si sta faticosamente ricostruendo una vita, «perchè il passato in carcere genera sempre pregiudizi, anche se ho sconta- to una condanna da innocente». Contemporaneamente, sta portando avanti il giudizio per il risarcimento per ingiusta detenzione, ma si tratta di un percorso lungo e Angelo apre le braccia, «nulla potrà comunque ripagarmi di quello che ho perso». Quando è entrato in carcere, i suoi figli avevano due anni e pochi giorni, ora sono due ragazzi quasi adulti e quando parla di loro si commuove, come è successo sul palco del Festival: «La madre li ha cresciuti bene, con senso dello Stato, nonostante quello che è successo a me». Un senso dello stato che lo stesso Massaro ha conservato, anche se la sua è una di quelle storie che legittimano a mettere in discussione il meccanismo giudiziario italiano: «Il senso della giustizia me lo ha fatto ritrovare il procuratore generale che ha chiesto la mia assoluzione in sede di revisione. Gli ho stretto la mano e lui mi ha detto che stava solo facendo il suo dovere». Nessun odio, nessuna vendetta nei confronti di chi ha deciso di rubargli ventun anni di vita: «Sbagliare è umano e quel che è successo a me non può cambiare», liquida in poche parole il discorso ma, quando gli si chiede cosa vorrebbe sentirsi dire da quegli stessi giudici, risponde «una conferenza stampa, in cui dicono che si impegneranno a fare indagini con criterio, in futuro. Si ricordino che dietro un detenuto innocente ci sono mogli, figli e genitori».
Quando è finalmente uscito dal carcere di Catanzaro due anni fa, la prima cosa che ha fatto è stato andare al mare e buttarsi tra le onde, anche se era dicembre.
«Così ho ricominciato a vivere» .
da Il Dubbio di stamani 18 giugno 2019
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Alcune registrazioni audio (disponibili sul canale Youtube di Avvenire) ottenute nel corso di indagini difensive, rischiano di trascinare le autorità della penisola davanti alle corti internazionali che stanno investigando sui respingimenti e i morti in mare.
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Si è riunito questa mattina il collegio dei giudici preposto a pronunciarsi sulla richiesta da parte della PM Pedrotta della richiesta di sorveglianza speciale e di divieto di dimora per cinque italiani accusati di pericolosità sociale per aver negli ultimi anni raggiunto e partecipato dal 2016 a oggi alla lotta all’ISIS nei territori della Siria del Nord. L’udienza è stata aggiornata al 25 marzo.
Sorveglianza speciale a chi combatte l’ISIS: rinviata la decisione
Nella giornata di oggi sono stati acquisiti gli atti prodotti dalla difesa. Tra questi una documentazione relativa all’operato delle Forze Siriane Democratiche e delle strutture civili della rivoluzione confederale in Siria del Nord alle quali i cinque si sono uniti, una��lettera del padre di Valeria Solesin, la giovane italiana rimasta vittima nell’attentato terroristico del Bataclan, le ricostruzioni difensive sulle indagini di polizia adottate dal castello accusatorio del Pubblico Ministero per giustificare la pericolosità sociale dei cinque. Sono state anche lette davanti al giudice delle dichiarazioni spontanee.
È stata invece rigettata la richiesta di sentire come testimone un’avvocata che è stata in Rojava in quanto persona informata della situazione politico-sociale in Siria del Nord. Nella mattinata è stata contestata dalla PM Pedrotta la richiesta di far presenziare in aula il regista Carlo Bachschmitt con il suo operatore. Nonostante il parere favorevole dei giudici di ammettere in aula il regista la polizia ha impedito il suo ingresso adducendo la contrarietà della Procura Generale che ha di fatto scavalcato il parere del tribunale competente pur di non concedere alle telecamere di raccontare la battaglia per la legittimità della lotta all’ISIS con il sostegno all’esperienza rivoluzionaria della Siria del Nord.
Qui un commento audio sull’udienza odierna di Davide Grasso, uno dei cinque sui quali grava la richiesta di sorveglianza speciale.
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