#diritto del lavoro
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La differenza tra lavoratori autonomi e liberi professionisti
In Germania esistono due tipi di lavoro autonomo: i lavoratori autonomi (Selbstständige) o più esattamente detto gli imprenditori commerciali (Gewerbetreibende) e i liberi professionisti (Freiberufler). Sebbene entrambi i gruppi lavorino in modo autonomo, ci sono importanti differenze legali e fiscali tra loro. Definizione e campi di attività I lavoratori autonomi (Selbstständige)/ imprenditori…
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ITL Asti-Alessandria: Segnalazione attività di vigilanza nel territorio Astigiano I dati dei controlli riferiti al mese di febbraio 2025. Roma
Roma, 13 marzo 2025 – Nel corso del mese di febbraio 2025, l’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Asti-Alessandria, sede di Asti ha condotto numerosi accertamenti ispettivi finalizzati a contrastare il lavoro sommerso e irregolare nonché a tutelare la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro, anche in collaborazione con i NAS e la Squadra Amministrativa della Questura di Asti. Tra le…
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Era l’anno del mio diploma

Avevo compiuto diciotto anni a novembre e circa un mese dopo, dalla Francia venne a darci una mano in casa Claudine, un’amica d’infanzia di mia madre Margot e sua compagna di liceo. Una donna di poco sopra i quaranta, come mamma appunto. Lei era piccolina, ma perfetta. Molto proporzionata. Una francesina bella, pulita, colta e piena di fascino. A differenza di mamma, che s’era sposata giovanissima ed era venuta subito in Italia, lei invece era convolata a nozze un po' più tardi, ma purtroppo era rimasta vedova pochi anni dopo il matrimonio, a causa di un incidente stradale in cui era rimasto coinvolto il marito. S'era trovata per questo, dopo neppure un anno, completamente a terra economicamente. Pur se laureata in lettere moderne, appena sposata avevano deciso di comune accordo col marito che lei avrebbe lasciato l’insegnamento, si sarebbe occupata della casa e avrebbero subito messo al mondo dei figli, che però non fecero a tempo ad arrivare.

Per cui erano ormai già diversi anni che campava di stenti arrangiandosi e che soffriva da morire nel sentirsi sempre poco considerata, dovendo svolgere tutti i lavori più umili pur di sopravvivere. Per giunta, non riusciva a tenersi un lavoro per più di qualche mese. Infatti essendo veramente una bella donna, peraltro vedova e bisognosa, doveva regolarmente respingere le avances aggressive dei vari datori di lavoro. Che si sentivano in diritto di approfittarsene. Per questo, doveva ricominciare ogni volta daccapo a cercare. Con mamma comunque si era sempre tenuta in contatto. Dopo tanto tempo di continua e ininterrotta consuetudine, ebbe un chiarimento finale e risolutivo con mamma via e-mail. Aveva sempre rifiutato l’aiuto che mamma Margot le offriva, ma dopo l’ultimo scambio, evidentemente esasperata e stanca, accettò senza più esitare l’offerta genuina dei miei genitori di poter venire in Italia a casa nostra: un po’ colf, un po’ dama di compagnia e infine, visto l’approcciarsi del mio Esame di Stato, anche quale mia temporanea istitutrice. Arrivò e passò finalmente un Natale sereno con noi. Forse il primo, dopo tanto tempo.

Mio padre è un capace industriale. Mia madre invece è un’insegnante. Di francese, ovviamente. In famiglia abbiamo un discreto agio. Le due donne avevano ritrovato l’antica, intima confidenza e Claudine finalmente era tornata rilassata. Quando sorrideva, illuminava la stanza. Margot passava alla sua amica del cuore un sacco di suoi vestiti ancora nuovi; uscivano spesso insieme per la spesa o per un caffè. Claudine percepiva un regolare stipendio, oltre ad alloggiare e mangiare con noi. Intanto, i miei si ingegnavano per trovarle una sistemazione dignitosa, un vero lavoro. Ma senza troppa fretta, perché intanto in casa si respirava un’aria di novità e maggior serenità. Poi, lei aveva anche questo compito di aiutarmi al pomeriggio coi compiti e guidarmi verso l’esame di stato che ci sarebbe stato di lì a pochi mesi. Era veramente uno spettacolo di femmina: intelligente, spiritosa ed effettivamente sotto la sua guida, per me era divenuto un vero piacere studiare, ripassare e organizzarmi per bene le materie e le interrogazioni.

Prendemmo subito molta confidenza. Io capìì subito che lei era solo un’anima bisognosa di tanto affetto e aveva necessità di tornare a essere finalmente riconosciuta e apprezzata: soprattutto come donna. Gradiva di sicuro essere corteggiata, ma anche rispettata, considerata nei suoi valori. Però intuivo come dentro bramasse essere desiderata, oggetto di genuina passione. Io per parte mia le morivo letteralmente dietro. Sbavavo. Con assoluta discrezione, ovviamente. Nel correggermi i compiti, lei si alzava dalla normale posizione al tavolo ‘a squadra’, avvicinava la sua sedia alla mia e mi si metteva di fianco, sullo stesso lato. Ero letteralmente stordito e rapito dal suo profumo, dal suo fascino di donna matura e sensuale. Diffondeva inconsapevolmente bellezza ed erotismo tutt’attorno a sé. Io ero abbagliato da tanta grazia. Inevitabilmente se ne accorse e prese a provocarmi. Come il gatto col topo. Veniva in camera mia col golfino oversize; se lo toglieva e potevo così ammirare le sue camicette trasparenti o quei top mozzafiato scollatissimi. Poi, le gonne corte che, ritirandosi sulla coscia, quando lei si sedeva, lasciavano intravedere le calze autoreggenti. Tutti indumenti che riconoscevo essere stati in passato di mamma. La sua pelle candida e profumata di pesca reclamava, assetata, delle labbra che la baciassero al più presto ovunque. Mi guardava negli occhi e scherzando mi stuzzicava, mi mandava dei bacini in punta di dita e poi mi toccava, mi accarezzava tenera.

Con me avevo l'impressione sincera che tornasse diciottenne. Non mancava di salutarmi con un dolcissimo bacino sulla guancia, sia entrando in camera che uscendone. Un bacino che durava sempre di più. Alla fine al bacino aveva aggiunto l’abbraccio stretto. La camera degli ospiti dove lei dormiva era vicina alla mia, giù nel seminterrato e vicino al grottino; mentre la stanza da letto dei miei era ben distante, al primo piano e nell’altra ala della villa. Un pomeriggio, dopo che avevamo pranzato, mamma era tornata a scuola per il ricevimento dei genitori. Mio padre come sempre era in azienda. Nel silenzio totale della casa, prima dell’ora stabilita per i compiti - le tre - ognuno di noi due era in camera sua per un breve riposino. Io avevo i sensi acuiti dal folle desiderio di lei, per cui notai comunque un lievissimo mugugnare provenire dalla parete in comune. Non resistetti e andai a sbirciare dalla sua porta. Che aprii appena, senza farmi sentire: c’era una vera Dea nuda, sul letto. Con indosso solo un perizoma. A occhi chiusi, con una mano sul seno e un'altra negli slip, si toccava il basso ventre e si muoveva sospirando, piena di evidente passione erotica. Udì qualcosa, si girò di scatto e s’accorse di me! Però non urlò: dapprima si coprì col lenzuolo. Poi però, rossa in viso e adorabile, mi sorrise e senza rimproverarmi mi fece cenno di avvicinarmi a lei. Ero paralizzato, da tanto spettacolo. Mi disse:

"vieni qui vicino; ormai sei un adulto e potrai ben guardare una donna che si dà piacere. In fondo, è anche questo parte dell’educazione di un giovane uomo, no?" "posso vederti da vicino e sentire il tuo odore, Claudine?" "si, certo. Ma… non mi toccare, capito? Non vorrei mai litigare con Margot: dovrà essere proprio un nostro assoluto segreto, ok?"
E così assistetti allo spettacolo più bello del mondo: una donna che infila le sue dita nella fica e si dà godimento. Lentamente. Quell’aroma, il sudore delle sue ascelle, dell’inguine misto al suo profumo preferito e la vista di quel vero paradiso mi si stamparono in mente. Venne in silenzio, inarcando la schiena. Che cosa meravigliosa. Ogni tanto si girava su un fianco, allargava le natiche, scostava il filetto e mi faceva vedere il suo buco del culo mentre lo contraeva e lo rilassava. Infine, quando fu contenta di essere stata adorata da me per diversi minuti, sorrise soddisfatta.

Poi mi chiese di uscire e di andare a prepararmi per i compiti. Da quel giorno, la sua presenza vicino a me ogni pomeriggio alle tre divenne una vera, dolcissima tortura. Non aspettavo altro. Non desideravo altro. Un pomeriggio si sedette al mio tavolo da studio, al solito a squadra rispetto a me; tolse il golfino e sotto aveva la camicetta di tulle molto trasparente, ma… non portava il reggiseno! Spavaldi e troneggianti in alto sul pianale del tavolo, le sue mammelle erano le protagoniste principali in commedia. Sudavo freddo! Non potevo staccare il mio sguardo da quei trionfi di bellezza, dalla magnetica attrazione sessuale. Lei si accorse del mio stato e mi chiese, finto-stupita: “che c’è, tesoro?” Le risposi che avrei tanto desiderato vederle nuovamente i seni completamente nudi. Non si fece pregare: chiuse a chiave la porta, tolse la camicetta e si sedette di fianco a me a torso nudo. Le chiesi di poter adorare ancora una volta e magari toccare le sue stupende e sode mammelle, di poterle annusare, drogarmi d’amore per lei… arrossì ma alla fine disse: “Ma che dici, stupido! Va bene. Toccale, per alcuni secondi soltanto però, eh?”

Come iniziai a carezzargliele teneramente, i suoi capezzoli istantaneamente crebbero. Smisi, spaventato. Ma lei disse: “no, no: va tutto bene non ti preoccupare. Una donna fa così, quando è eccitata; continua, ti prego…” e io continuai a lungo, altro che secondi! A un tratto mi disse: “vabbè tanto vale che me li baci, no?” Quindi risoluta mi prese la testa, se la premette su un seno e mi mise un capezzolo in bocca. “Succhia, mio piccolo tesoro. Leccami e succhia” stetti una mezz’ora buona in quel paradiso di sapori, odori e perfezione femminile. Le leccai, succhiai intensamente e carezzai entrambi i seni. Riuscii anche a metterle una mano tra le cosce. Sulle prime lei le allargò anche: potetti così sentire inequivocabilmente che era bagnata, da sopra le sue mutandine. Ma poi di colpo mi tolse la mano, si rimise la camicetta, il golfino, si ricompose e cominciammo a studiare. Quel pomeriggio faticai non poco a mantenere un comportamento civile.

Da quel momento, tutti i giorni alle tre passavamo dapprima una mezz’ora in assoluta intimità: lei ad allattarmi e a godere delle mie labbra; io a torturarle, leccarle i seni e a cercare di arrivare con le mani alla sua fica. A volte mi faceva stare anche un minuto, con la mano a coppa sulla sua passera, che sentivo gonfia e calda; ma regolarmente dopo un po’ me la toglieva e la sessione di studio doveva iniziare. Era inflessibile. Un pomeriggio la sentìì più languida del solito: appena arrivata in stanza e chiusa la porta mi prese la testa tra le mani e mi baciò a lungo, lingua in bocca. Potetti subito toglierle facilmente la camicetta e iniziare a leccarle i seni e le ascelle depilate e profumatissime. Cercai di portarla al solito verso il tavolo da studio, dove avevo già disposto le sedie aperte strategicamente, ma lei invece stavolta volle sedersi a bordo letto!

Mentre succhiavo ingordo i suoi capezzoli, stavolta fu lei stessa a prendere la mano e mettersela appena sotto la gonna. Io un po’ esitavo, perché sapevo ormai che il mio arrivare a toccarle le mutandine in genere sanciva la fine del ‘preambolo’ e l’inizio dei compiti. All’orecchio con voce dolcemente roca mi disse: “che fai, mio giovane studente, esiti? Oggi non vuoi salire?” e io presi a salire piano lungo il suo interno coscia. A un tratto il mio cuore sobbalzò… non indossava gli slip!!! Ero impazzito di gioia: potetti infilarle senza che si opponesse dapprima un dito, poi due e infine riuscii con un minimo sforzo a farle entrare tutta la mano! Lei ormai coricata sulla schiena, gonna sollevata completamente e a cosce allargate gemeva, godeva, si muoveva e mi carezzava la testa, mentre le succhiavo i seni. Le baciavo il collo e la bocca. Venne… mordendomi piano un orecchio per non urlare! Mi sarei lasciato divorare tutto, da lei. Quindi al solito, d’improvviso si staccò e ci ricomponemmo.

Siccome da un po’ di tempo il pomeriggio passavamo sempre più tempo a ‘intrattenerci’ e sempre meno a fare i compiti, lo studio soffriva. Quindi lei d’un tratto decise che: "basta! Di pomeriggio si studia e niente altro più." Ci rimasi molto male, ma capii che per lei stava diventando forse qualcosa di imbarazzante. Io, sebbene giovanissimo, ero pur sempre un gentiluomo. Che mai avrebbe voluto forzare la volontà di una signora stupenda e raffinata come lei. Quella stessa notte però, attorno alle undici e quaranta, dormendo ma socchiudendo un occhio per un lieve rumore, vidi aprirsi piano la porta della mia camera e una figura adorata in controluce venire verso il mio letto. In silenzio si mise sotto le coperte con me, mi baciò schiaffandomi mezzo metro di lingua in bocca e poi mi sussurrò all’orecchio: “fottimi, mio giovane stallone. Fammi tua per tutto il tempo che riuscirai a resistermi dentro duro.”

Mi si mise sopra a cavalcioni. Prese l’uccello e se lo infilò dentro. Cavalcò fino a godere una prima volta. Quindi mi mise un seno in bocca e stesa a pelle su di me mi comandò di succhiarla e leccarla a lungo. Dopo che venne di nuovo, si mise a pancia sotto sul letto. Cuscino sotto i fianchi, sollevò il culo in alto a natiche larghe e mi disse: “non vuoi leccarmi ed esplorarmi tutta?” Non me lo feci ripetere: la leccai nell’ano a lungo e per questo lo sentivo aprirsi sempre di più, fino a che mi intimò con una sola parola: “sfondamelo.” Ordine perentorio che mi fece impazzire di gioia e desiderio. La inculai e stantuffai per un’ora almeno: giuro! Sono sicuro che le feci male lavorandola nel culo perché ogni tanto gridava ‘ahia’ però mi diceva di non preoccuparmi e di continuare a cavalcarla, che mi voleva tantissimo. Che sborrassi pure quanto volevo, nel suo culo. La tenevo per le zinne. Non poteva scappare. Né lo desiderava.

Il giorno dopo era più bella che mai. E se a colazione, a pranzo e insieme a mamma Margot era la Claudine di sempre, facendo i compiti con me alle tre era invece diventata castigata e rigorosissima: un’insegnante che non tollerava rilassamenti. Ma non mi dispiaceva. Perché a mezzanotte, quasi tutte le notti, Claudine era mia e potevo incularmela e scoparmela di dritto e di rovescio. Mi faceva dei pompini che mi mandavano in estasi e regolarmente ogni volta, subito dopo ingoiato il mio seme, aveva il vezzo di baciarmi a lungo in bocca. Poi mi infilava un dito nel culo, così mi dava lo stimolo e il tempo di eccitarmi di nuovo. Di ritrovare la voglia insopprimibile di lei e quindi voleva che la inculassi, per ‘punirla’ di quel suo ardire. La prima volta fui sorpreso di conoscere questo suo giochino per stimolare un uomo. Ma poi glielo chiedevo io. Ero innamoratissimo di lei. Dopo l’Esame di Stato, superato da me col massimo dei voti, mio padre riuscì a trovarle finalmente un impiego decoroso in città, in un punto vendita legato alla sua azienda, che aveva filiali e punti vendita in tutta Europa. E ovviamente anche in Francia, per cui in futuro forse avrebbe potuto tornarvi. Si stabilì in un appartamentino poco distante da casa nostra.

Se ne tornò in patria dopo tre anni. Nel frattempo, mentre era ancora in Italia, regolarmente l’andavo a trovare perché "solo un ventenne come te sa farmi sentire la vera donna che sono." Per parte mia mi laureai ed entrai a lavorare in azienda con papà. Mi sposai a ventiquattro anni con Luisa, la donna che amo, di dodici anni più grande di me. Forse ho scelto lei per il mio inconscio e grande desiderio di replicare la storia con Claudine. Ma comunque spesso per lavoro devo andare in Francia, nell’azienda collegata alla nostra e di cui abbiamo delle quote, dove ormai lavora anche lei. Non manco mai di andare a trovarla in ufficio, con la scusa di portarle un souvenir d’Italie. Per poterle invece poi, nel tardo pomeriggio, godere della sua bocca, succhiarle i seni, la fica e incularmela a lungo. Naturalmente, dopo che m’ha fatto il suo giochino preferito post pompino con quelle dita birichine. Ci vediamo invariabilmente nell’albergo dove alloggio. Anche perché lei s’è risposata con un suo collega ed è ormai serena nel suo ménage. Ha una figlia. Con Claudine ci scriviamo tuttora in gran segreto delle porcate assurde, perché ci desideriamo veramente, malgrado la differenza d’età notevole. Mia moglie non l’ha mai saputo. Né lo saprà mai. Mia madre forse lo sa. O molto più probabilmente addirittura le aveva dato lei stessa l’incarico di svezzare e far diventare un vero uomo suo figlio. Un giorno Claudine me lo confesserà! Continuo ad adorarla, nell'intimo del mio cuore. Un amore segreto è l'unica cosa che ti saprà dare un'ottima ragione per vivere, quando sarai soffocato dalla routine.

RDA
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Un professore di Lettere e Filosofia del liceo Tasso, Giancarlo Burghi, ha scritto una lettera aperta al ministro dell’Istruzione Valditara che è un autentico manifesto PARTIGIANO di difesa altissima della cultura e della Costituzione.
È lunga, ma merita davvero di essere letta tutta, condivisa, applicata. Fino in fondo.
“Egregio ministro,
Le scrivo di nuovo dalla desolazione della “trincea”: quella in cui ogni giorno, con le studentesse e gli studenti, combattiamo l’eterna guerra contro la semplificazione e la superficialità. Oggi, però, le scrivo per ringraziarla delle Linee guida sull’insegnamento dell’educazione civica che ci ha inviato all’inizio dell’anno scolastico. Da oggi abbiamo un punto fermo nel nostro lavoro di docenti ed educatori: ci dirigeremo nella direzione esattamente opposta a quanto ci indica. L’educazione civica, secondo lei deve «incoraggiare lo spirito di imprenditorialità, nella consapevolezza dell’importanza della proprietà privata». In modo quasi ossessivo nel documento traccia l’idea di una sorta di “educazione alla proprietà ”.
Ma cosa dovremmo farci di questo slogan vuoto? Stiamo oltrepassando finanche il senso del ridicolo, andando oltre la teoria delle tre “i” di berlusconiana memoria (inglese, impresa, internet). Ai nostri studenti, signor Ministro, l’articolo 42 della Costituzione lo leggiamo e lo spieghiamo: «La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge […] allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere [..] espropriata per motivi di interesse generale". Dice proprio questo la Costituzione! Però non si ispira a Pol Pot ma alla dottrina sociale della Chiesa, al cristianesimo sociale di Giorgio La Pira e Giuseppe Dossetti. Nelle Linee guida Lei continua, poi, con l’affermazione di sapore thatcheriano, ma in realtà generica e vuota quanto la prima, per cui dovremmo insegnare che «la società è in funzione dell’individuo (e non viceversa)».
Vede Ministro, se le dovesse capitare di sfogliare la Costituzione italiana scoprirebbe che il termine “individuo” semplicemente non compare. (…) Mi consenta di farle notare che, se sfogliasse la Costituzione, scoprirebbe che il termine “patria” compare solo una volta (perché Mussolini lo aveva profanato e disonorato) e per di più non ha niente a che fare con “i sacri confini nazionali” da difendere o l’italianità quale identità da salvaguardare contro la minaccia della sostituzione etnica.
La patria è il patrimonio dei padri e delle madri costituenti, vale a dire le istituzioni democratiche non separabili dai valori costituzionali: l’eguaglianza, la libertà, la pace, la giustizia, il diritto di asilo per lo straniero «che non ha garantite le libertà democratiche».
I patrioti non sono quelli che impediscono lo sbarco dei migranti, ma coloro che ogni giorno testimoniano il rifiuto della discriminazione. Cosi come patrioti non erano i fascisti che hanno svenduto la patria a Hitler e l’hanno profanata costringendo milioni di italiani ad offendere altre patrie, ma i membri dei GAP (che non erano i “gruppi di azione proletaria” come ebbe a dire, per dileggio, Berlusconi), ma i “gruppi di azione patriottica (appunto), che operavano nella Brigate Garibaldi dei patrioti comunisti italiani, protagonisti della Resistenza quale secondo Risorgimento.
Ci consenta di formare i nostri studenti ispirandoci a chi di patria si intendeva: non a Julius Evola o Giorgio Almirante, ma a Giuseppe Mazzini che ha ripetuto per tutta la vita che la patria non è un suolo da difendere avidamente ma una «dimora di libertà e uguaglianza» aperta a tutti: «Non vi è patria dove l’eguaglianza dei diritti è violata dall’esistenza di caste, privilegi, ineguaglianze. In nome del vostro amore di patria, combattete senza tregua l’esistenza di ogni privilegio, di ogni diseguaglianza sul suolo che vi ha dato vita. (Dei doveri dell’uomo). Mazzini non contrapponeva la patria all’umanità, ma la considerava il mezzo più efficace per tutelare la dignità di ogni essere umano: «I primi vostri doveri, primi almeno per importanza, sono verso l’ Umanità. Siete uomini prima di essere cittadini o padri. […] In qualunque terra voi siate, dovunque un uomo combatte per il diritto, per il giusto, per il vero, ivi è un vostro fratello: dovunque un uomo soffre, tormentato dall’errore, dall’ingiustizia, dalla tirannide, ivi è un vostro fratello. Liberi e schiavi, siete tutti fratelli. (Dei doveri dell’uomo)
E ci consenta, da educatori democratici, di trascurare le sue Linee guida, per illuminare le coscienze dei giovani con le parole di don Milani: «Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri». Egregio Ministro, dal momento che la costruzione di una cittadinanza consapevole avviene anche attraverso l’esercizio della memoria storica e civile, Lei ci ha inviato a una circolare con cui ha bandito un concorso per le scuole con lo scopo di celebrare la «Giornata Nazionale delle Vittime Civili delle Guerre e dei Conflitti nel Mondo». Il titolo del concorso: «1945: la guerra è finita!» Incredibile! Il 25 aprile 1945 che, prima dell’era Valditara, era semplicemente e banalmente la «liberazione dal nazifascismo» ora diventa un momento della «Giornata Nazionale delle Vittime Civili delle Guerre e dei Conflitti nel Mondo».
Cosa dovrebbero ricordare le giovani generazioni nella sua bizzarra idea di memoria civile? Ecco il suo testo: «Il popolo che ha subito sulla propria pelle gli orrori di quel tremendo conflitto, dai bombardamenti degli alleati alle rappresaglie nazifasciste [equiparati !] fino agli ordigni bellici inesplosi che, nei decenni a venire, hanno continuato a produrre invalidità e mutilazioni». E tutto per andare «al di là della tradizionale lettura vincitori-vinti», opposizione che attentamente sostituisce quella di antifascisti/liberatori e fascisti. Si tratta dunque, secondo lei, di ricordare una guerra tra tante, quasi un ineluttabile evento naturale in cui tutti sono cattivi (i liberatori, gli aguzzini e i partigiani) e dunque tutti ugualmente assolti nel tribunale della neostoria. Del resto, Ministro, devo darle atto di una certa garbata compostezza sulla memoria del 25 aprile. La sua sottosegretaria (la nostra sottosegretaria all’Istruzione) Paola Frassinetti la Festa della Liberazione l’ha festeggiata al campo 10 del Cimitero maggiore di Milano per onorare i volontari italiani delle SS. È immortalata in un video in mezzo a un drappello di camerati che sfidano, tra insulti e minacce, alcuni manifestanti antifascisti. Frassinetti si lascia andare alla rabbia ed esclama “ma vai aff…”.
Sempre a proposito di Linee guida per l’educazione civica… Da sottosegretaria del suo Ministero Paola Frassinetti, il 28 ottobre del 2024, anniversario della marcia su Roma, ha celebrato il “fascismo immenso e rosso”. Capisce, signor Ministro, perché ci sentiamo soli nella trincea? E perché le ho detto che è “passato al nemico” (il nemico è la parzialità, la manipolazione, la contrapposizione faziosa). Ma noi siamo combattenti testardi. Non avendo capi politici da lusingare, la nostra coscienza e la Costituzione antifascista sono le nostre uniche e inderogabili “linee guida” da seguire nel formare cittadine e cittadini liberi e consapevoli. Egregio Ministro, spero che queste parole non mi costino quella decurtazione dello stipendio che ha inflitto a un mio collega per aver pronunciato delle parole che Lei non ha gradito. Sarebbe non solo grave ma anche di cattivo gusto anche perché di recente insieme ad altri ministri lei lo stipendio ha cercato di aumentarselo.”
P. S. Le sue Linee guida stanno conseguendo i primi risultati. Qualche giorno fa uno studente che aveva studiato la divisione dei poteri di Montesquieu ha osservato che se un ministro fa una manifestazione sotto un tribunale per difendere un altro ministro sotto processo viola la separazione dei poteri. Aggiungendo che un ministro non è un semplice cittadino ma un membro dell’esecutivo, cioè di un potere dello stato. Gli ho risposto che ha ragione e gli ho dato un ottimo voto in educazione civica.
Con cordialità, prof. Giancarlo Burghi.
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L’età fragile
Mentre scorrevo le dash mi è capitata sotto gli occhi la notizia che, con tutti i se e tutti i ma, pare che le singole persone potranno aver accesso all’adozione di bambini (ma solo non residenti in Italia, perché sia mai che qualche italico infante possa essere cresciuto soltanto da una persona) e sono stata felice. Il primo pensiero è stato di gioia per tutte le persone che non avrebbero mai avuto “diritto” di farlo. Ho scritto a Emanuele soltanto una frase “finalmente puoi farmi diventare zia” e mi sono commossa sola sola.
Poi il pensiero è sceso più in profondità fino a toccare la mia parte più nascosta. Ho iniziato a pensare che anche io potrei avere possibilità di adottare. E ci ho pensato a lungo, per quanto a lungo possa essere un ragionamento di mezz’ora con me stessa, a una possibilità del genere. Ho un lavoro, una casa e una macchina. Anche i debiti, ma li pago puntualmente.
Mi sono crogiolata nell’idea di me madre, a prendermi cura di un’altra persona totalmente dipendente da me. A crescere una vita.
Potrei farlo.
So farlo.
Certo.
Poi ho capito che non era tanto il desiderio di accudimento a spingermi, quanto quello che in futuro qualcuno avrebbe potuto accudire me. Mi sono spaventata per un pensiero tanto egoista quanto disperato.
Eccola l’età fragile.
È arrivata e non me ne sono accorta.
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Lo so, tante persone odiano questo governo perché non si occupa di sanità, scuola, ambiente, sicurezza sul lavoro, povertà, precarietà e diritto alla casa. Ma bisogna anche capire che ci sono delle priorità. Natale si avvicina e il governo si sta attrezzando per la difesa del presepe.
[L'Ideota]
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Circa vent’anni fa difendere la proprietà privata, era una posizione moderata, oggi è definita di estrema destra.
Circa vent’anni fa, parlare di controllo dell’immigrazione, era una posizione moderata, oggi è definita di estrema destra.
Circa vent’anni fa, che le scelte sessuali dei singoli non toccassero i bambini, era una posizione moderata, oggi è definita di estrema destra.
Circa vent’anni fa, il rispetto dell’ambiente unito indissolubilmente alla tutela del lavoro, era una posizione moderata, oggi è definita di estrema destra.
Circa vent’anni fa, chiedere controlli rispetto a derive estremiste nei luoghi di preghiera islamici, era una posizione moderata, oggi è definita di estrema destra.
Circa vent’anni fa, parlare di sovranità nazionale rispetto all’Europa, era una posizione moderata, oggi è definita di estrema destra.
Non c’è nessun ritorno al fascismo, non c’è nessun nuovo estremismo. C’è una minoranza, organizzata, ben finanziata, padrona quasi totale della narrazione e capace di attirare sempre nuovi adepti, aggregandoli su tematiche specifiche, che ha deciso di attaccare i diritti e il libero pensiero del resto della popolazione.
La politica si basa sulla trattativa, su tavoli di confronto, o perlomeno questo ci è sempre stato detto, ma non vi può essere confronto con chi ti ritiene impresentabile a prescindere, perché il passo successivo è il non diritto alla rappresentanza.
Inutile discutere con un nemico che mira a ledere i tuoi diritti fondamentali. E lo dichiara esplicitamente.
Alex Bazzaro
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I primi riferimenti documentari sull’usura risalgono all’Antico Testamento, che vieta agli ebrei di pretendere interessi sui prestiti concessi ai propri correligionari (Esodo 22, 24 e Deuteronomio 23, 20-21). In Deuteronomio 15-6 è presente una specifica ulteriore: “Tu farai prestiti a molte nazioni e non prenderai nulla in prestito; dominerai così molte nazioni, mentre esse non ti domineranno.”
Qualche millennio più tardi, Mayer Amschel Rothschild (1744-1812), capostipite di una delle più potenti dinastie di banchieri, dichiarò: “La nostra politica è quella di fomentare le guerre, ma dirigendo le conferenze di pace. Le guerre vanno condotte in modo che le nazioni sprofondino sempre più nei loro debiti, e risultino così sempre più soggette al nostro potere.” Un’attitudine descritta dal filosofo Hegel in poche icastiche parole: “Gli ebrei vincono senza aver combattuto.” Mayer Amschel Rothschild affermò anche: “Permettetemi di emettere e gestire la moneta di una nazione, e potrò infischiarmene di chi fa le leggi.”
Forse non è dunque un caso se, con il trattato di Mastricth del 1992, siamo stati spogliati della sovranità monetaria.
Illuminante, a tal proposito, il parere del magistrato Bruno Tarquini, inserito nel suo saggio La banca la moneta e l’usura: “In occasione della ratifica del Trattato di Maastricht, lo Stato ha abdicato alla propria sovranità monetaria, consegnando a un ente privato il potere dal quale dipende la politica generale dello Stato. Senza il potere monetario, la sovranità popolare è un mero concetto, vuoto di contenuto. La rinuncia alla sovranità monetaria e al potere di emettere moneta hanno costretto lo Stato a chiedere in prestito alla Banca Centrale le risorse finanziarie utili al conseguimento dei fini istituzionali. E lo hanno quindi indotto a contrarre debiti. Il denaro ricevuto in prestito va tuttavia restituito, con gli interessi. Ma come fa lo Stato ad adempiere a tale obbligazione? Oltre alla vendita dei beni patrimoniali, alla dismissione del demanio, all’emissione di titoli di credito fruttiferi, lo strumento più efficace e sicuro consiste nell’imposizione fiscale a carico dei cittadini: grazie alle imposte, dirette e indirette, lo Stato riesce a introitare tutto, o quasi, il denaro da restituire all’Istituto di Emissione. Ciò significa che il pagamento del debito viene sopportato perlopiù dai cittadini, cioè dal popolo.”
Analoga opinione fu formulata dall’economista inglese Tim Congdom: “Il potere di emettere la propria moneta, attraverso la banca centrale nazionale, è ciò che principalmente definisce l’indipendenza di uno Stato. Se un Paese rinuncia a questo potere, o lo perde, nel migliore dei casi potrà ambire allo status di ente locale. O di colonia.”
Nel medesimo solco di pensiero si colloca il giurista Giacinto Auriti: “Lo stato di diritto, nel proprio ordinamento costituzionale, riconosce tre poteri: legislativo, giurisdizionale ed esecutivo. Mentre il quarto potere, quello della sovranità monetaria, se lo sono fagocitato, nel silenzio, le banche centrali, ovvero SPA con scopo di lucro.” Auriti ha puntualizzato che “pagare un debito di moneta, con altra moneta emessa a debito, è impossibile, a lungo andare si pagherà con i propri beni o con il proprio lavoro non retribuito, quindi con la schiavitù.”
In Usurucrazia svelata, Cosimo Massaro chiarisce che “Il vero scopo delle tasse è l’espropriazione dei nostri beni. Ne abbiamo la prova quando paghiamo un affitto annuale (IMU-TASI), per risiedere nella nostra abitazione. Se infatti siamo costretti a pagare, per vivere in un locale di nostra proprietà, significa che il bene non è già più nostro.”
Ne La Dittatura europea, l’antropologa Ida Magli ha magistralmente sintetizzato la questione: “Due sono i pilastri che reggono la costruzione del Nuovo Ordine in vista del governo mondiale: il primo è l’accentramento del potere nelle mani dei banchieri, con la produzione del denaro e la creazione del debito pubblico; il secondo è la rete di associazioni create dagli uomini più ricchi e potenti per preparare e realizzare, con l’omogeinizzazione di tutti i popoli, un sistema di governo unico, con una moneta unica, una lingua unica, una religione unica.”
Per certi versi il declino dell’Occidente è insomma il risultato di una strategia millenaria, imperniata sull’usura, ossia sul “prezzo per l’uso della moneta.” Uno strumento che ha alimentato la marcia a tappe forzate verso il mondialismo, scandita da una serie di passaggi-chiave: la fondazione della Banca d’Inghilterra nel 1694; la nascita a Londra della massoneria moderna, nel 1717 ; il Federal Reserve Act del 1913, prodromico all’istituzione della Federal Reserve Bank; gli Accordi di Bretton Woods del luglio 1944; la fine della convertitibilità in oro del dollaro, annunciata da Nixon il 5 agosto 1971, et cetera.
Lungo questa via crucis, i nostri aguzzini hanno allestito la “stazione”, del Fiscal Compact, l’Accordo Fiscale su stabilità, coordinamento e governance nell’Unione economica e monetaria, firmato a Bruxelles il 2 marzo 2012. Che costringe economie e bilanci nazionali a misure draconiane e a vincoli durissimi, preludio di inevitabili spirali deflazionistiche. E produce ulteriori dolorose cessioni di prerogative giurisdizionali nazionali. L’Italia è tenuta a tagliare, per vent’anni, 45 miliardi di debito pubblico all’anno. E a introdurre il pareggio di bilancio in Costituzione. Cosi i signori dell’usura hanno messo le mani anche sull’ultimo brandello di sovranità popolare italiana.
Le perfide élite finanziarie cosmopolite sono sempre all’opera nell’approntare dispositivi atti a vessarci e asservirci. Come riconfermato dal Pnrr (Piano Nazionale di ripresa e resilienza, approvato nel luglio 2021), che impone ai sudditi italiani massicce dosi di transizione ecologica, digitalizzazione, inclusione, a fronte di 68,9 miliardi di sovvenzioni a fondo perduto e di 122,6 miliardi in prestiti che, presumibilmente, sarà quasi impossibile restituire prima del 2050. Dobbiamo dunque desumere che se il Pnrr fa parte del programma Next generation Eu sia perché ai nostri giovani è riservato un destino da schiavi? In definitiva i padroni del mondo non solo ci tengono al guinzaglio di un’economia fasulla, che gestiscono a loro arbitrio e a nostro danno, ma si arrogano addirittura il diritto di stabilire in quale direzione debba svilupparsi il nostro futuro. Corrompono governi, magistratura, media e, con il ricorso a intrighi di palazzo, signoraggio bancario, rincari insostenibili, pressione fiscale alle stelle, privatizzazioni selvagge, flussi migratori fuori controllo, dittature sanitarie, guerre scellerate, coppie lgbt+ e farina di grilli, ci tengono in ostaggio e ci piegano all’obbedienza. Se tuttavia è tanto arduo per noi fuggire dalla prigione dove ci tengono reclusi è proprio perché l’hanno edificata con le sbarre dell’usura.
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E per meglio inquadrare il fenomeno dell’usura, proviamo ora a tratteggiarne per sommi capi le alterne vicende storiche.
Giovanni Marginesu, nel suo recente libro I greci e l’arte di fare i conti, edito da Einaudi, spiega che nell’antica Grecia un prestito ben gestito produceva nuove entrate, sotto forma di interessi, chiamati tokoi. Già Aristotele considerava però l’usura una pratica contro natura.
Nel diritto romano antico, il danneggiato poteva intraprendere un’azione penale contro l’usuraio e ottenere da lui il quadruplo degli interessi ingiustamente percepiti. Alla fine del periodo repubblicano, il livello massimo degli interessi era del 12%, ovvero l’1% al mese. E rimase invariato sino alla prima metà del VI secolo d.C., quando l’Imperatore Giustiniano provvederà ad abbassarlo.
“Se ti aspetti di riavere più di quello che hai prestato, sei un usuraio e sei da condannare.” È il giudizio di Sant’Agostino, (Enarrationes in psalmos, 36, Serm. 3.6.).
“Tutto ciò che si basa su speculazione e azzardo è una forma di usura.” Sant’Ambrogio diede voce a questa sua convinzione nel De Tobia (XIV).
I padri della Chiesa hanno dedicato intere opere a stigmatizzare la pratica del prestito a interesse: San Gregorio di Nissa, Contro gli usurai; San Giovanni Crisostomo, Contro gli usurai; San Giovanni Damasceno, Sul prestito a interesse; Nicola Cabasila, teologo e mistico bizantino, Discorso contro gli usurai.
L’usura, ritenuta peccato mortale, fu condannata in innumerevoli Concili: ad esempio, nel Concilio di Elvira (306), canone 20: con la scomunica ai laici che prestano a interesse; nel Concilio di Arles (314), canone 22: con la scomunica ai chierici che prestano a interesse; nel Concilio di Cartagine (345), canone 5: “Sia vietato a tutti i chierici di prendere interesse da qualsiasi bene. “ “ cosa biasimevole anche per i laici.” Concilio di Ippona (393), canone 22: “Nessuno riceva più di quanto ha prestato, che si tratti di denaro o di qualsiasi altro bene.”
Nella bolla Post miserabile del 1198, Papa Innocenzo III include, fra i privilegi accordati ai crociati, la sospensione dei debiti contratti con gli ebrei, ivi compreso il conto dell’interesse.
Nel Corano gli ebrei sono accusati di “illecita venalità”, (V. 42), “di seminare corruzione sulla Terra.” (V. 64), di essere contaminati dall’usura come “chi è reso epilettico dal contatto con Satana. “(II, 275).
Nella Divina Commedia, Dante accenna all’usura nell’XI Canto dell’Inferno (vv. 94 e seguenti) e nel canto XVII dell’Inferno accusa gli usurai di violenza contro l’arte e contro Dio. Nel Paradiso (vv. 80-81), il sommo poeta lancia il memorabile monito: “…uomini siate e non pecore matte / sì che il Giudeo di voi tra voi non rida.”
Per secoli, in Europa, si sono susseguite le espulsioni degli ebrei, promosse e condotte dalle autorità civili e religiose, allo scopo di sradicare la piaga dell’usura e contrastare l’eccessiva concentrazione di capitali. Nell’arco temporale che va dal Basso Medioevo alla fine del Rinascimento, i giudei furono banditi da vari paesi: dall’Inghilterra, in due fasi, nel 1120 e nel 1290; da Bologna nel 1171, “per lo gran danno che facevano con le loro eccessive usure”. L’Imperatore Federico I il “Barbarossa” li esilia dai suoi domini nel 1182. Nel 1348 molte città svizzere, fra cui Berna, Sciaffusa, Zurigo e San Gallo, li costringono ad andarsene. L’Ungheria se ne libera nel 1349. In Francia, il decreto del 1306, che intima loro di sgomberare, è firmato da Filippo IV il Bello ma, poco a poco rientrati, gli ebrei vengono reiteratamente estromessi nel 1311, nel 1322 e da Carlo VI nel 1394. Sono costretti a emigrare da Vienna nel 1421, nel 1492 dalla Sardegna, dalla Sicilia e dalla Spagna, per ordine dei re cattolici Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia. Devono lasciare la Lituania nel 1495, Vicenza nel 1496, il Portogallo nel 1497. Nel 1525 e nel 1541 Carlo V li scaccia dal regno di Napoli. Dal 1541 la Boemia fu teatro di gravi progrom. Nel 1571 vengono allontanati da Venezia e, nel 1589, dal Ducato di Milano.
Nel 1543 Martin Lutero pubblica il libello Degli Ebrei e delle loro menzogne dove, a più riprese, si scaglia contro l’usura. Ecco lo stralcio di una sua invettiva: “In realtà sono gli Ebrei a tenere prigionieri noi cristiani nella nostra Terra (…) vivono comodamente di ciò che noi abbiamo guadagnato con il lavoro. Tengono prigionieri noi e i nostri beni con la loro maledetta usura (…). Sono dunque i nostri padroni e noi i loro servi.”
In un documento custodito nell’archivio dei canonici del Duomo di Siena, si legge: “Io sottoscritto, dichiaro di aver debito con il Signor Abramo Levi di lire 25, per le quali ritiene in pegno una giubba di mio padre, sei camicie, quattro lenzuola e due tovaglie. Addì 2 marzo 1570. Firmato: Torquato Tasso.
Napoleone proclamò: “Quando per il denaro un governo non dipende dai capi dell’esecutivo ma dai banchieri, sono costoro a controllare la situazione, perché la mano che dà è al di sopra della mano che riceve… Il denaro non ha madrepatria e i finanzieri non hanno patriottismo né decenza: il loro unico obiettivo è il profitto.”
Gli fa eco Thomas Jefferson, in una lettera del 1816 indirizzata a John Madison: “Se il popolo americano permetterà alle banche private di gestire l’emissione della sua moneta, allora, alternando inflazione e deflazione, le banche e le società finanziarie che cresceranno intorno a esse spoglieranno il popolo di ogni proprietà, finché i suoi figli si sveglieranno senza un tetto nel continente che i loro padri conquistarono. (…) Credo che le istituzioni bancarie siano più pericolose per le nostre libertà di quanto non lo siano gli eserciti permanenti. (…) Il potere di emissione deve essere tolto alle banche e restituito al popolo, cui appartiene.”
L’usura era considerato un delitto dal Codice Penale per gli Stati di Parma, Piacenza e Guastalla del 1821, dalla Legge Napoletana del 7 aprile 1828 sugli interessi convenzionali in materia civile e commerciale, dal Regolamento Pontificio del 1832, dal Codice Penale del Regno di Sardegna del 1839, dal Codice Penale del Granducato di Toscana del 1853, dal Codice Estense del 1855.
Il reato di usura era contemplato nel Codice Penale del 1859. Ma nel Codice Penale Italiano del 1889, ispirato a principi economici liberisti, non era più presente. D’altronde se la massoneria ha finanziato l’Unità d’Italia doveva pur avere i suoi motivi. Lo storico della massoneria Silvano Danesi, in un’intervista rilasciata al giornalista Ferruccio Pinotti, confluita nel suo incandescente documentatissimo dossier dal titolo Potere massonico. La“Fratellanza” che comanda l’Italia: politica, finanza, industria, mass media, magistratura, crimine organizzato, ci ricorda che “a favorire e proteggere lo sbarco dei Mille c’erano, al largo, le navi della Marina inglese; e si sa che il gran maestro della massoneria inglese è il re.” “Se oggi c’è l’Italia unita – insiste Danesi – lo si deve in gran parte alla massoneria. Del resto, ha proseguito: “l’incipit dell’inno nazionale è “Fratelli d’Italia”: vorrà pur dire qualcosa.” Un sospetto che, secondo me, sarebbe legittimo estendere anche al nome scelto da Giorgia Meloni per il suo partito.
Per quanto attiene alle interconnessioni fra grandi banche, massoneria e creazione del Regno d’Italia, va sottolineato che fra i protagonisti delle speculazioni finanziare legate ai “Mille” figurano i banchieri israeliti Adami e Lemmi. L’Adami fornì le vettovaglie per la spedizione e, con denaro massonico, pagò sottobanco i vapori “trafugati” Piemonte e Lombardo. Garibaldi lo ricompensò con una concessione per la costruzione delle ferrovie nel Mezzogiorno, ove lo Stato si impegnava ad accollarsi ogni perdita di gestione. Al Lemmi, insignito con la carica di Gran Maestro, toccò il monopolio dei tabacchi.
Chiusa parentesi, torniamo alla nostra carrellata di sconcertanti lampi sull’usura.
Nel Libro ascetico della giovane Italia, (1926), Gabriele D’Annunzio suggerisce: “Separiamoci dall’Occidente degenere che, dimentico d’aver contenuto nel suo nome “lo splendore dello spirito senza tramonto”, è diventato un’immensa banca giudea in servizio della spietata plutocrazia transatlantica.”
Sotto il fascismo, il Codice Penale del 1930 reintroduce il delitto di usura.
Papa Pio XI, nell’Enciclica Quadragesimo anno del 1931, sentenziò: “Ai nostri tempi non vi è solo la concentrazione della ricchezza, ma anche l’accumularsi di una potenza enorme, un’egemonia dell’economia nelle mani di pochi. Questo potere diviene più che mai dispotico in quelli che, tenendo in pugno il denaro, la fanno da padroni: onde sono in qualche modo i distributori del sangue stesso di cui vive l’organismo economico e hanno in pugno, per così dire, l’anima dell’economia, sicché nessuno, contro la loro volontà, potrebbe respirare.”
Ezra Pound ha pagato cara la sua battaglia contro l’usura. Aveva 60 anni quando, dopo settimane di interrogatori, nel maggio 1945 gli americani lo rinchiusero per tre settimane in una gabbia di ferro, esposta al sole e ad accecanti riflettori durante la notte, nel Centro di formazione disciplinare vicino a Pisa. L’inumano trattamento gli procurò un collasso. In seguito, sottoposto a una perizia psichiatrica che lo definì “infermo di mente”, fu internato per 12 anni nel manicomio criminale di St. Elizabeths. Il suo prezioso avvertimento è custodito nello scrigno della poesia eterna (Cantos 45).
“Con usura nessuno ha una solida casa di pietra squadrata e liscia per istoriarne la facciata, con usura non v’è chiesa con affreschi di paradiso con usura non si dipinge per tenersi arte in casa, ma per vendere e vendere presto e con profitto, peccato contro natura, (…) usura appesantisce il tratto, falsa i confini, con usura nessuno trova residenza amena. Si priva lo scalpellino della pietra, il tessitore del telaio CON USURA la lana non giunge al mercato e le pecore non rendono peggio della peste è l’usura, (…) Duccio non si fe’ con usura né Piero della Francesca o Zuan Bellini. (…) L’Angelico non si fe’ con usura (…) l’azzurro s’incancrena con usura (…) Usura soffoca il figlio nel ventre arresta il giovane drudo, cede il letto a vecchi decrepiti, si frappone tra giovani sposi CONTRO NATURA Ad Eleusi han portato puttane Carogne crapulano ospiti d’usura.
Questi versi immortali di Pound prefigurano purtroppo la situazione attuale. Oggi i partiti si dipingono come paladini del popolo. Eppure non si azzardano certo a smascherare la truffa dell’usura. Nemmeno un politico che rivendichi il sacrosanto diritto dello Stato a battere la propria moneta. Neanche un giudice disposto a denunciare l’illegittimità dei Trattati europei, incompatibili con la nostra Costituzione. Nessun giornalista di regime pronto a informare il pubblico sulla circostanza che tutte le banche centrali sono società per azioni in mano a privati, speculatori senza scrupoli che appartengono a poche esclusive famiglie di banchieri, i quali gestiscono e manipolano a proprio vantaggio i cicli del mercato, della borsa e della politica, gonfiando inflazione, debito pubblico e tassi d’interesse. Personaggi che si muovono in ambito sovranazionale, godono di totale immunità, indicono riunioni a porte chiuse e deliberano nella massima segretezza, senza dover giustificare il proprio operato ad alcun organo di controllo istituzionale esterno. La Fed, ad esempio, non stila un bilancio né è sottoposta a revisione contabile. Riguardo poi alle decisioni assunte dalla Banca Centrale Europea, i singoli governi non hanno alcuna voce in capitolo (per i dettagli si consulti il SEBC, Protocollo sullo Statuto del sistema Europeo di banche centrali e della Banca centrale Europea).
Marco Pizzuti, in Rivelazioni non autorizzate – Il sentiero occulto del potere, ricostruisce due scenari che aiutano a comprendere il motivo per cui qualunque azione concreta in difesa della sovranità monetaria sia destinata a naufragare. Abraham Lincoln, per finanziare la Guerra di secessione americana, anziché indebitare il suo Paese con i banchieri internazionali che pretendevano tassi d’interesse tra il 24 e il 36%, nel 1865 firmò un provvedimento che consentì di mettere in circolazione quattrocento milioni di dollari non gravati da debito né da interessi, i c.d. green bucks. Il 14 aprile 1865 fu freddato con un colpo di rivoltella alla nuca, mentre dal palco presidenziale assisteva a uno spettacolo presso il Ford Theatre di Washington. E la legge da lui emanata venne revocata di lì a poco.
Dopo quasi un secolo, il 4 giugno 1963, J.F.Kennedy firmò l’ordine esecutivo num.11110, per impedire alla Federal Reserve Bank di continuare a prestare al Governo degli Stati Uniti soldi gravati da interesse. Quando il 22 novembre dello stesso anno fu assassinato a Dallas, la circolazione dei quattro miliardi di dollari, che il Dipartimento del Tesoro aveva nel frattempo provveduto a stampare, fu bruscamente interrotta.
La nostra memoria corre infine al 1966. A quel tempo Aldo Moro, incline a una politica di stampo sovranista, era Presidente del Consiglio dei Ministri. E intendeva finanziare spese statali per 500 miliardi di lire. La Banca d’Italia non si rese disponibile a soddisfare la sua richiesta. Decise allora di emettere biglietti di Stato a corso legale, cartamoneta da 500 lire. Un’operazione che si realizzò in virtù di tre diversi DPR (decreti del Presidente della Repubblica), firmati rispettivamente il 20 giugno 1966 e il 20 ottobre 1967 da Giuseppe Saragat e il 14 febbraio 1974 da Giovanni Leone. Moro dimostrò così che si poteva creare denaro senza indebitare il Paese. Il 9 maggio1978 fu barbaramente assassinato. Il 15 giugno 1978 il Presidente Giovanni Leone diede le dimissioni anticipate. La cartamoneta da 500 lire venne subito tolta dalla circolazione. L’ipotesi di emettere moneta non a debito cadde nel dimenticatoio.
Solo una catena di strane coincidenze? Oppure tre lezioni esemplari, pervase di una formidabile carica deterrente, che potrebbero perciò aver contribuito a dissuadere gli amministratori della cosa pubblica dal coltivare qualsivoglia velleità patriottica in materia di moneta? I maggiordomi della cupola atlantista prediligono in effetti tuffarsi a capo fitto in questioni irrilevanti. Si occupano di animare il patetico teatrino di quel pluralismo fasullo che in noi suscita ormai soltanto orrore e disgusto. Poiché a governarci in realtà è una banda di Giuda. Untuosi traditori al servizio del nemico, eseguono ordini criminali, finalizzati a svendere l’Italia. Oltre che a umiliare in tutti i modi gli Italiani, con un fisco rapace, una burocrazia tirannica, la sanità pubblica al collasso, la previdenza sociale e le tutele ai lavoratori sbriciolate, un’immigrazione fuori controllo, la dragonesca distruzione creativa delle aziende zombie, una propaganda fanatica su gender e ius soli, la desertificazione dell’istruzione, i ponti autostradali che crollano, e via dicendo. Costoro meritano quindi il massimo del disprezzo. A chiedercelo sono i nostri avi, che hanno conquistato con il sangue questa terra splendida, affinché vi fiorissero genio e bellezza. Mai avrebbero tollerato che, con lo sterco del demonio, venissero comprate le anime dei loro discendenti.
E bando alle ingenuità: siamo inquilini del Terzo millennio, e se davvero la Storia è maestra di vita, come possiamo illuderci che una volontà politica autenticamente orientata al bene della collettività possa scaturire da una società fondata sulla logica del profitto, e stritolata fra le spire dell’usura? Organizziamoci dunque per salvare la nostra civiltà: moneta parallela, sanità alternativa. E una scuola per restare umani. Ma evitiamo, per favore, di insozzarci con la feccia dei partiti.
-Lidia Sella
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CARI AMICI UOMINI
Dopo avere letto una pletora di articoli di giornale polemichetti e frignosetti sull'argomento, mi permetto, in quanto tesserato da 50 anni presso il Patriarcato, di raccontarvi come andrà a finire.
Intanto due o tre considerazioni sulle donne.
Le donne non devono essere 'conquistate'... Le donne hanno voglia di trombare tanto quanto voi, quindi se non le state trombando significa che non vi vogliono trombare. Punto.
Non dovete convincerle, non le dovete ammansire o ammaliare, non stanno facendo 'le difficili'... non vi vogliono trombare per una serie di motivi che voi non capite o che magari non hanno voglia di spiegarvi, anche perché magari ci sono donne stronze (o stanche o a cui girano i coglioni per fatti loro) che non hanno voglia di dare spiegazioni.
Non vi hanno fatto perdere tempo facendovela annusare.
Magari è successo l'esatto contrario, perché loro si aspettavano un uomo più interessante, perdendo così tempo prezioso nel credervi migliori di quanto non siate poi risultati.
Nessuno deve niente a nessuna. E viceversa.
Impacchettate le vostre palle blu e segatevi a casa. Ri-punto.
Ho incontrato parecchi omuncoli tambleri con le palle e l'orgoglio feriti che, frignanti per le aspettative tradite, sentivano di dover in qualche modo pareggiare i conti...
Mi piacerebbe insultarvi in modo colorito e fantasioso ma credo che il vostro specchio ogni mattina stia facendo un lavoro migliore del mio.
E vi svelo un segreto, a voi che vi sentite demascolinizzati da tutte queste donne disinibite, rompicoglioni e pretestuose con le loro lotte femministe.
Le donne sono disinibite?
Scopatevi una bambola gonfiabile ascoltando in loop l'mp3 di vostra mamma che vi dice che voi valete.
Le donne sono pretestuose e rompicoglioni con le loro lotte?
Credo che 10.000 anni di patriarcato abbia conferito loro questo diritto e se a volte alcune polemiche possono sembrare davvero pretestuosamente costruite, pazienza... ci sta che per i primi tempi qualcha uomo possa pagare le colpe dei propri padri, dei propri nonni, dei propri bisnonni, di tutti i parenti defunti dal principio alla fine sino ad arrivare a quel coglione di Agamennone. Si difenderà e sarà riabilitato, lusso poco concesso all'altro 50% dell'umanità.
Se la vostra virilità è così fragile da sentirsi minacciata dalla normalità, allora si merita di essere distrutta senza rimorso alcuno.
Prima ci fate pace con questa consapevolezza, prima smetterete di lagnarvi e accetterete questa nuova normalità, più giusta perché restituisce allle donne il diritto negato da sempre di sentirsi intere.
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Nel link il discorso di J.D. Vance a Monaco.
Mi è stato detto che è un discorso più che sensato. Secondo me è stato formulato in modo da apparire perfettamente logico e sensato.
Personalmente ritengo che sia fondamentale e necessario mantenere il giusto equilibrio: è assurdo che venga multato un uomo che prega in silenzio vicino ad un centro per l' aborto, ma non è ammissibile una manifestazione con slogan e cartelli (per fare un esempio) di anche fosse solo un centinaio di persone accanto a un centro per l' aborto. Ed è folle se davvero qualcuno pensa di voler tornare alle persecuzioni, ovvero censurare il credo religioso o le opinioni di qualunque persona, finché questo non nuoce o non intende limitare la libertà di qualcun altro. Siamo diventati tutti un po' troppo sensibili in nome del politically correct. Se qualcuno vuole sostenere che "I gay fanno schifo" è libero di esprimere il suo parere. Così come io sarò libero di esprimere il parere che costui è un imbecille. La questione dei migranti richiama sempre il problema del giusto equilibrio. Il punto non è la migrazione in sé ma le strutture e i mezzi per accogliere in modo dignitoso e i mezzi per controllare: devo avere i mezzi per garantire a queste persone la giusta integrazione (ovvero l' integrazione che conosce e rispetta l'altrui cultura, da una parte e dall' altra, senza ledere o perdere la propria), un' esistenza dignitosa (e non ai margini della società) e i mezzi per controllare realmente che tutto ciò avvenga. Se io impongo che il numero dei migranti autorizzati sia quello che viene richiesto dalle aziende che hanno bisogno di forza lavoro, devo controllare che poi queste aziende realmente li assumano con contratti regolari e offrano loro tutte le garanzie alle quali un lavoratore ha diritto, commisurate alla mansione che andrà a svolgere. In Italia tutto ciò non esiste.
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Questo uomo no, #141 - Quello che secondo lui il patriarcato non esiste più
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Premessa importante: questo testo non è "contro" un ministro ignorante che dice ingiuste e violente inesattezze in una sede istituzionale intervenendo neanche di persona a sproloquiare di cose che non sa, in modo quantomeno inopportuno. Quanto successo alla presentazione della Fondazione Giulia Cecchettin in Senato è già successo innumerevoli volte, e succederà ancora per molto tempo. Questo testo è l'ennesima ripetizione di cose già sapute e stabilite scientificamente da chi studia le questioni di genere e i femminismi da decenni, e che ripete a ogni occasione perché questo è il suo lavoro: la ricerca e l'azione volte a dare strumenti per risolvere problemi sociali gravi e inderogabili e a puntualizzare concetti importanti per quella ricerca e quell'azione.
"Il patriarcato è finito nel 1975, con la riforma del diritto di famiglia" non è una opinione nuova, è una vecchia ignoranza che in molte forme diverse va in giro appunto dal 1975, sostanzialmente per due motivi. 1) Un punto temporale indietro nel tempo - il '75 è cinquant'anni fa! - fa sembrare questo argomento vecchio, datato, superato, e insieme a lui i femminismi che lo combattono. La realtà è che se intendiamo il patriarcato come modello politico-sociale che informa le leggi del nostro paese, è nel 1981 che viene abolito il delitto d'onore, è nel 1996 che lo stupro è classificato reato contro la persona e non contro l'onore. In più, se anche per le questioni di violenza possiamo fermarci al 1996, il patriarcato è presente nelle leggi del nostro paese in molti altri luoghi dei codici: le leggi sulla cittadinanza basate sul sangue sono leggi patriarcali, le leggi che regolano l'eredità sono patriarcali, la presenza nei nostri codici dell'espressione "buon padre di famiglia" con valore regolativo è patriarcato. Nel '75 sono finite tante cose nelle leggi italiane, ma il patriarcato no. 2) Il secondo motivo riguarda la strumentalizzazione del termine patriarcato, che da questione culturale si cerca di chiuderlo a questione legislativa. Questo è l'esempio di uno dei modi tipici di invalidare le critiche femministe e gli studi di genere: delimitare la complessità della parola patriarcato a un significato, a un solo ambito disciplinare. Si usa l'antropologia per dire che il patriarcato è un modello familiare ormai scomparso dalle nostre società; si usa la storia per rinchiuderlo in tempi lontani e civiltà remote; si usa l'etimologia per sostenere la sua inconsistenza, dato che la figura paterna ha perso potere rispetto a quella materna, la maschile rispetto a quella femminile; si usa la linguistica per sostenere che il termine è inadeguato alla complessità e alle trasformazioni della famiglia e della società contemporanee. E così via, pur di limitarne l'unico uso sensato in queste questioni: l'uso che ne fanno, da qualche secolo, i femminismi e gli studi di genere.
Il patriarcato è il nome di una relazione di potere tra esseri umani o tra istituzioni umane basata su valori sociali comunemente e tradizionalmente associati a ciò che, in una determinata cultura, viene considerato maschile. Questo è il motivo per cui: - il patriarcato non è un modo di "attaccare" o "accusare" gli esseri umani maschi, perché come forma di potere può essere usato (e nei fatti viene usato) da persone di qualsiasi genere; - il patriarcato non è il nome di una struttura sociale, di una relazione o di una forma espressiva (parola, locuzione, testo, opera d'arte), ma il nome del potere che viene usato - anche insieme ad altri - in quelle situazioni o in quelle espressioni. Quindi non esistono parole o azioni "patriarcali" da vietare, ma usi patriarcali di espressioni e situazioni che andrebbero evitate. - il patriarcato non è la "causa" della violenza di genere subita dagli esseri umani, ma il potere usato in tutte le forme di violenza di genere subite dagli esseri umani in maniera differente a seconda dei loro corpi e del loro genere. A questo proposito varrà la pena ricordare che questo è il motivo per cui non esiste alcuna "simmetria" tra la violenza di genere subita dalle donne rispetto a quella subita dagli uomini, e poi tra etero e non etero, e così via. Ogni particolarità di genere subisce forme di violenza di tipo patriarcale; 350 anni e più di femminismi permettono oggi di identificare e parlare con certezza di quelle subite da qualsiasi genere non sia l'uomo eterocis, mentre quest'ultimo genere continua, in tantissimi casi che capitano nella vita dei suoi membri, a non saperla neanche riconoscere, data l'assenza di una competenza diffusa proprio su questo aspetto specifico degli studi di genere: la maschilità. Ecco anche detto il perché in nessun senso il patriarcato è una ideologia, o può essere assimilato a un atteggiamento ideologico: il patriarcato è un fatto sociale esistente e funzionante nelle nostre società, e la sua esistenza è oggetto di studi e ricerche scientifiche da moltissimi anni, in tutte le sue forme (linguistiche, sociali, filosofiche, economiche, storiche). Può essere certamente ideologica, e di fatto lo è, la scelta di non occuparsene oppure sì, di non riconoscerlo oppure sì, di discuterne come fatto sociale del quale occuparsi nelle proprie vite oppure no.
Oppure ancora, come è stato fatto di recente seguendo un andazzo molto in voga tra le persone ignoranti e schierate contro i femminismi di ogni tipo, si può dichiarare che il patriarcato è finito e che ci sono in giro "solo" forme di maschilismo - ignorando il legame tra i due, che non sono sinonimi - e che la violenza di genere diffusa è dovuta anche all'immigrazione.
Dalle mie parti fare così si chiama "buttàlla in caciara", ed è il tipico atteggiamento di chi è ignorante e/o vuole ottenere credibilità e consenso spostando le argomentazioni altrove. Questo uomo no.
Probabilmente anche io, che studio queste cose a livello accademico dalla metà degli anni '90 e che da più di un decennio ne ho fatto un lavoro apprezzato e un'opera di divulgazione che ha aiutato moltissime persone, vengo considerato "ideologicamente schierato". Evidentemente, sapere le cose e usarle per il bene comune anche professionalmente adesso qualcunə preferisce chiamarlo così, sperando che ne possa rimanere fuori. Invece, anche se da diversi posizionamenti, o si conosce e affronta il problema, o si è parte del problema. Buon patriarcato a tuttə. P.S. per chi è più esigente, qui una mia bibliografia aggiornata a fine '23. Ci metto solo quello che leggo, studio e ho usato con risultati, quindi non ci sono pubblicazioni troppo recenti.
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Confindustria Alessandria: focus sulle novità lavoristiche, previdenziali e fiscali.
Un convegno per aggiornare le imprese sulle ultime normative e strategie operative.
Un convegno per aggiornare le imprese sulle ultime normative e strategie operative. Si è tenuto oggi ad Alessandria un importante convegno organizzato da Confindustria Alessandria, dedicato alle novità lavoristiche, previdenziali e fiscali per il 2025. L’evento ha visto una partecipazione significativa di imprenditori, consulenti e professionisti del territorio, tutti accomunati dall’esigenza di…
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Punti di vista, affari di gusto e olfatto

-Sono brutta. Non mi calcola nessuno. Mi prendono in giro sin da quando ero ragazza.
-Smettila!
-No: sono veramente brutta, nessuno mi si fila…
-Allora oltre che brutta sei scema…
-Aooooh… Che vuoi dire?

-Ma secondo te perché perdo tutto questo tempo con te? Non ti sei accorta che mi struggo di passione se solo mi ti appendi al braccio? Che così mi sento un vero cavaliere medievale e cammino a un palmo dal terreno? Che ti difenderei da qualsiasi drago?
-Ma… che cazzo dici? Sei sposato con una vera Dea; una gnocca che levati… ma che vuoi, da me? Lasciami perdere, per favore. Non mi illudere, che poi ci credo. Vai a quel paese, vai… ma come ti permetti...

L’ho presa per un braccio immediatamente, portata nel magazzino stoccaggio pneumatici della ditta in cui lavoriamo. Poi l’ho inchiodata a una pila di ruote di trattore e l’ho baciata. L’ho girata e le ho messo direttamente una mano tra le cosce, perché non ne potevo proprio più e lei, sgranando gli occhi dalla sorpresa, ma comunque felicissima di essere finalmente desiderata da un uomo, mi ha detto che non potevamo rischiare il licenziamento. Ci siamo ricomposti e siamo tornati ognuno al proprio posto di lavoro.

La sera stessa, con la scusa di un improvviso ritrovato interesse per il calcetto, sono andato dritto a casa sua. Lei non ha neppure fatto a tempo ad aprire e dire: “ciao, non ti aspettav…” che in trenta secondi l’ho spogliata e quindi le ho fatto provare tutto ciò che una donna di quarant’anni deve assolutamente provare, semplicemente perché ne ha diritto. Ogni donna deve poter godere delle gioie che può darle un uomo con gli attributi. L’ho assaggiata, leccata e fatta godere in tutti i modi possibili. Dio, se era felice! E io più di lei.

Mi spiace tantissimo per mia moglie, che da giovane era una fotomodella e ancora oggi è una femmina stupenda. Ma per questa donna piccola, zitella, dal poco seno, naso aquilino, gambe a X e tutti i complessi del mondo nella testa, io ho proprio perso la trebisonda. Il suo sapore mi ha catturato definitivamente. Il suo odore m’è entrato nell’anima. La voglio. Di continuo. Non so neppure io come sia potuto accadere. Boh?!? Perché l’amore è semplicemente un mistero. Una trappola in cui però ognuno vuole assolutamente cadere. Il prima possibile.

RDA
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IN ITALIA ANCHE I SENZATETTO POTRANNO AVERE DIRITTO ALL’ASSISTENZA SANITARIA

L’Italia ha approvato la legge che rende disponibile l’assistenza sanitaria anche ai senza fissa dimora.
Il provvedimento colma un vuoto di tutela che si pone in contrasto con gli articoli 3 e 32 della Costituzione e con i princìpi ispiratori della legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, in base ai quali l’assistenza sanitaria andrebbe garantita a tutti coloro che risiedono o dimorano “nel territorio della Repubblica, senza distinzione di condizioni individuali o sociali”. I senza dimora attualmente sono nell’impossibilità di essere iscritti al Servizio sanitario nazionale e di scegliersi un medico di medicina generale. La nuova legge e il programma sperimentale mirano ad “assicurare progressivamente il diritto all’assistenza sanitaria” ai senza dimora e per consentirgli di iscriversi nelle liste degli assistiti delle aziende sanitarie locali, di scegliersi un medico, di accedere ai LEA (le prestazioni incluse nei Livelli Essenziali di Assistenza).
“La norma recepisce la richiesta, avanzata anche con la nostra Carta civica della salute globale, di garantire l’assistenza sanitaria di base ai più fragili e agli invisibili, svincolandola dalla residenza anagrafica. Un esempio importante anche di quello che istituzioni, organizzazioni civiche e singoli cittadini possono fare insieme per migliorare le politiche pubbliche del nostro Paese e renderle sempre più vicine ai bisogni delle persone, a partire dai più fragili”, commenta Anna Lisa Mandorino, Segretaria generale di Cittadinanzattiva. Secondo le rilevazioni e gli indirizzi dell’ISTAT, il provvedimento sarà avviato inizialmente in 14 città metropolitane: Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma, Torino e Venezia.
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Fonte: Presidenza del Consiglio dei Ministri; Cittadinanzattiva; immagine di Mart Production
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Si può morire anche da vivi, lentamente, mentre ci si illude di essere ancora in tempo. L’Italia è entrata da anni in una crisi demografica che non ha il fascino delle emergenze e per questo viene lasciata sul fondo della pila. Eppure, i numeri raccolti da Lorenzo Ruffino raccontano un declino costante: nel 2024 siamo scesi a 58,97 milioni di abitanti, il 2,3% in meno rispetto al 2014. In dieci anni abbiamo perso quasi un milione e mezzo di persone. Le nascite non arrivano più. Da oltre sedici anni diminuiscono. Nel 2008 erano 577 mila, nel 2023 solo 379 mila. Nello stesso anno i decessi sono stati 661 mila. Un divario strutturale, non una parentesi. Il tasso di fecondità oggi è 1,2 figli per donna. Servirebbe almeno 2,1 per tenere stabile la popolazione. Intanto l’Italia invecchia. L’età mediana è arrivata a 48,7 anni. Negli anni Sessanta era 31,2. E mentre la popolazione in età lavorativa si assottiglia, gli over 65 sono aumentati del 72% rispetto al 1990. Il futuro è già iniziato, ma nessuno sembra accorgersene. Neanche chi governa. Il dettaglio che pesa di più è la geografia del declino. Il Mezzogiorno ha perso in dieci anni oltre un milione di residenti. I giovani se ne vanno, i vecchi restano. Le scuole chiudono, le nascite crollano, i servizi si svuotano. E nel 2050 metà degli italiani vivrà al Nord. La crisi demografica non è una condanna, ma una scelta. Non si combatte con le crociate sulla natalità, ma con asili, lavoro stabile, diritto alla casa. Invece si taglia proprio lì dove si dovrebbe investire. Così un Paese intero si spegne, in silenzio, nel complice disinteresse di chi avrebbe dovuto tenerlo acceso.
Un Paese che si spegne in silenzio - di Giulio Cavalli
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Sbilanci
C´é un sacco di silenzio, adesso, ancora. Ho sentito mia mamma al telefono e non mi sono riconosciuta in questo mio nuovo tono sempre adulto, nella sua voglia di volare oltre la paura che le porto, che é anche la paura che le faccio. Ho paura perché non funziona più niente, o almeno così a me sembra e sono stanca, mamma, sono così stanca di essere viva. Pensavo di esserlo stata tante volte in passato e non avevo ancora la misura del macigno reale che é la depressione che arriva quando non la puoi imputare proprio a niente, quando la guerra é finita - almeno per me. Non ho più problemi reali, lo vedo. Questo dipende anche dal fatto che il senso del problema nella mia vita da vecchia bambina é una roba del tutto nuova, ed io mi rifiuto di riconoscere il peso di una scadenza di lavoro, di un altro aereo prenotato, delle voci di indifferenza nel sottobosco della vita che ho lasciato in Italia, degli amici che vorrei sentire e che non chiamo, che non mi chiamano. Sono sopravvissuta all´inferno, mamma. Sono sopravvissuta alla fine e al nuovo inizio.
Sabato notte, per esempio, sono andata a ballare. Qui adesso ho una amica, la promessa di una amicizia, con la tenerezza abbacinante di scoprirne le fragilità e farmi dire le mie, la prima di una serie instancabile di you are not bothering me. Ballare mi piace mille volte di più, ora che sono vecchia. Non mi ferma più niente: la solitudine, i mezzi pubblici, avere o non avere soldi e cellulare. Poi ad un certo punto mi addormento, mi risveglio, e sono stanca. Domani devo presentare un lavoro che non ho fatto, e sono stanca. Ho questo appuntamento inutile con l´Università Federico II di Napoli, e mi sale il vomito. Non so se é normale - non so se questa é la norma in casi come il mio, non so molto di cosa succede agli altri quando sopravvivono e non gli frega poi molto di non essere morti, ma gli frega di dovere ancora vivere, stanchi e disgustati.
Giovedì viene a trovarmi la mia migliore amica da Bologna, resta qui da me per quattro giorni. Se ne va il giorno prima che me ne vada via anche io, potenzialmente per sempre, ma non ci crede nessuno (nemmeno io). Il mio contratto scade il ventotto Febbraio, ho preso tutte le ferie che rimanevano per essere a Napoli il ventisette, giorno in cui la sacrosantissima commissione si arrogherà il diritto di darmi qualcosa che é già mio. Forse suona presuntuoso, forse lo é, o magari lo sarebbe se fossimo in un mondo giusto, ma questo mondo non é giusto manco per il cazzo ed io non ho più rispetto da devolvere in favore di chi non ha essenza, di chi non ha cuore da mettersi nella bocca prima di far partire lo sputo. Siamo esseri umani e possiamo odiarci, dobbiamo amarci, ma se proprio devo vivere, allora che stiano fuori dal mio vivere tutti quelli che non si interrogano mai sulla banalità del male.
Ci sono delle cose di cui mi accorgo di vergognarmi. Io la vergogna non me la tollero, quando ne annuso l´ombra parto in una ispezione marziale, e se la trovo la espongo istantaneamente in piazza, per il pubblico ludibrio. You are so kind with other people but you are mean to yourself. Ci volevi tu, dopo due mesi, ci volevate voi a ricordarmelo qui, nella mia vita nuova. Certo che hai ragione. Certo che avete tutti ragione, quando fate pulsare il sangue fin su nello sputo, e allora vi posso amare e vi amo tutti. Ma questa vita nuova, questa vita bella, la amo? No. Non amo la vita. Se la amo adesso non lo vedo, ma devo averla amata, no? Altrimenti averei potuto scivolare quando se lo aspettavano tutti, quando era legittimo. Se scivolassi adesso sarebbero tutti stupiti, non ci sarebbe nessuno a tenermi. Non ci sarebbe stato nessuno neanche allora, ma che importa? Chissà se, annusando l´ombra di una mano ferma dietro alla mia schiena, chissà se a quel punto sarei caduta, chissà come é brutta e bella la pazzia, chissà se morirò presto anche io. Stasera l´idea di essere dimenticata da morta mi é dolce, più aspro é invece il sapore delle mezze misure, e degli amici che mi mancano, verso cui mi sento in colpa, verso cui provo una rabbia smorzata in partenza da una lista di giuste ragioni, una rabbia che non mi serve a niente. Alla fine non mi é mai servito niente, mia mamma lo ha raccontato sempre. Marcella dove la metti la ritrovi, se vuole una cosa non la chiede, lo sa che non deve lamentarsi. Che poi quando sono cresciuta é stato un progressivo ti lamenti sempre, ma ho scoperto che era una bugia, perché lamentarsi fa male all´altro ed io sono so kind with other people.
Ho vinto uno dei progetti che ho presentato al ministero dell´educazione e della ricerca tedesco. Sugli altri due non si sa ancora niente. Questo significa un nuovo contratto, tra una manciata di mesi. Tutti mi dicono che mi vogliono qui stabilmente, che stanno lavorando per concretizzare una proposta adeguata. Io pensavo che non avesse molto senso, ma a quanto pare altri sono passati per questa isola felice e non si sono dimostrati in grado di sostenerne i ritmi e la cultura organizzativa. Io non mi riesco a lamentare di un posto dove una volta al mese sono invitata ad un club organizzato dal mio capo dove mi offrono bibite e manicaretti per riflettere insieme su potere ed appartenenza. Non posso lamentarmi perché si può dire tutto, o almeno io nella mia ingenuità da bambina vecchia dico tutto e mi sento libera. E´ divertente anche perché questo é davvero il mio capo - assunzione diretta - mentre la persona che si attribuiva il ruolo analogo in Italia doveva essere il mio tutor, e le parole sono importanti tanto quanto i contratti e, che lo dico a fare, il punto é sempre la cultura organizzativa e tutto quanto di marcescente si trascina dietro, compreso un meccanismo di resistenza totale ad ogni riflessione che possa favorire il cambiamento. Se c´é una cosa per cui vorrei essere ricordata, da morta, é l´aver promosso quel cambiamento, ma la mia psicoterapeuta me lo aveva chiarito da subito che questo non sarebbe successo. Infatti, non é successo, ma li ho spaventati senza avere mai alzato la voce, e se vi va potete ricordarmi per questo, quando sarà il momento.
Nel frattempo, la depressione, che é depressione nel momento in cui é altro da me - dentro di me - e non posso farci proprio niente, non basta andare a ballare o pensare ad altro. Ho sentito mia mamma al telefono ed ho provato a dirglielo, poverina, é passata subito a commentare le canzoni di Sanremo di questo mio primo festival da italiana all´estero: l´ho guardato tutte le sere che non ho passato fuori a ballare, sul mio divano in prestito mentre su Berlino nevicavano fiocchi bellissimi e mi sono fatta una tenerezza gentile, dolce. Allora a mia mamma ho provato a dire cosa penso a livello musicale dei brani in gara quest´anno, ma le é venuto in mente della tintura per capelli che giorni fa le ho chiesto di spedirmi e si é fatta prendere da questa urgenza. Mamma, sei irraggiungibile. Forse sono io, non lo so, ma mi sembra di non riuscire mai davvero a parlare con te. Forse sono io, mamma, di sicuro sono io che non sono lucida. Scusami, devo andare. Ti abbraccio.
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