#il diario che non fu
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Il programma iniziale per la fase conclusiva dei recuperi, quelli basati solo sulla mia memoria, prevedeva di chiudere con Mishel. Fu una gran bella scopata, quella, pur non essendo all'altezza né di Nina né di Kristi, e chiuse in bellezza un 2021 durante il quale ripresi ad andare a puttane in maniera abbastanza regolare.
Poi ho pensato che la lettura della seconda volta che sono finito a letto con lei, nonostante non si sia conclusa con una penetrazione, è più che sufficiente per darvi un'idea di come sia questa bella mignotta che spero torni ancora a Milano.
Per cui con Nina, la miglior scopata del 2021, si concludono i recuperi, sia quelli del diario che non fu, sia quelli del diario in viaggio, che in qualche modo vi dovevo. Da adesso in poi ci saranno solo troie fottute di fresco!
In ogni caso, visto che ve ne ho parlato, mi piace mostrarvela in tutto il suo splendore, visto che il suo corpo non ha nulla da invidiare né a Nina né a Kristi.
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" Un pensiero o idea di trasferimento [del popolo palestinese risale] ai primi tempi del movimento sionista, come mostrerebbe un'annotazione del diario di Theodor Herzl: «Dobbiamo espropriare con delicatezza. […] Cercheremo di indurre la popolazione in miseria ad attraversare il confine procurandole un'occupazione nei paesi di transito; negandogliela, però, nel nostro. […] Il processo di espropriazione e di sgombero dei poveri deve avvenire con discrezione e circospezione.»¹ A distanza di quarant'anni, Ben-Gurion ribadiva il concetto: «Il trasferimento di popolazione è già avvenuto nella valle di Jezreel, nella piana del Sharon e in altri luoghi. Siete a conoscenza del lavoro del Fondo nazionale ebraico in proposito. Ora occorre realizzare un trasferimento di ben altre dimensioni.»² Durante la guerra del 1948, Ben-Gurion mise in pratica le sue raccomandazioni. In una campagna nota come "Operazione Hiram" fu realizzato un trasferimento indiscriminato di popolazione dalla Galilea. Durante questa campagna, ha scritto Morris, le forze armate sioniste eseguirono "un numero insolitamente elevato di esecuzioni di popolazione civile contro muri o nei pressi di un pozzo con notevole metodicità". Molto scrupolosamente, Morris cita ventiquattro episodi di terrorismo o di massacro, di cui i più efferati ebbero luogo a Saliha (78 uccisi), Lod (250), Dawayima (centinaia) e, ovviamente, nel già citato villaggio di Deir Yassin. Alcuni di questi massacri furono probabilmente perpetrati per ragioni tattiche: a Dawayima, nei pressi di Hebron, per esempio, "una colonna entrò nel villaggio sparando all'impazzata e uccise qualsiasi cosa si muovesse". Altri massacri rispondevano, invece, all'intento strategico di terrorizzare la popolazione affinché fuggisse. Questi massacri non furono certo tenuti nascosti dalla popolazione palestinese. Dopotutto, come ebbe a dire una volta Lenin, l'intento del terrorismo è terrorizzare. (Morris, ricordiamo per inciso, ha giustificato i sionisti richiamandosi alla logica del ben noto aforisma di Lenin: "Per fare la frittata occorre rompere le uova").
Secondo un testimone oculare di Deir Yassin: «Deir Yassin era un villaggio che fu attaccato dagli israeliani, o dai sionisti, il 9 aprile 1948. […] Incontrerà delle persone che le diranno: "Questo è quello che successe a Deir Yassin", perché loro erano là. Ho incontrato una donna che mi ha detto che le portarono suo figlio e le dissero di prenderlo in grembo e poi lo uccisero. Usavano coltelli, baionette. Un macello; non un combattimento. Non c'era nessuno da combattere. Erano prevalentemente donne e bambini. Molte, moltissime persone furono massacrate in quel villaggio. Questo massacro terrorizzò l'intera Palestina. Tutti parlavano del massacro di Deir Yassin.» Complessivamente, furono cancellati oltre cinquecento villaggi palestinesi. La maggior parte dei palestinesi che fuggì fini in Cisgiordania, nella striscia di Gaza, nei paesi arabi limitrofi. Quelli con un certo grado di istruzione, con specializzazioni o disponibilità economica cercarono di rifarsi una vita meglio che poterono, talvolta in luoghi lontani come il Golfo persico, l'Europa, le Americhe. Quelli che non furono altrettanto fortunati finirono nei campi profughi, organizzati, inizialmente, dallo United Nations Releif for Palestine (Unrp). "
¹ B. MORRIS, Revisiting the Palestinian Exodus of 1948, in E. L. ROGAN e A. SHLAIM (a cura di), The War of Palestine, Rewriting the History of 1948, Cambridge University Press, Cambridge, 2001, p. 41 [trad. it. La guerra per la Palestina: riscrivere la storia del 1948, Il Ponte, Bologna, 2004]. ² Ibidem, p. 43.
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James L. Gelvin, Il conflitto israelo-palestinese. Cent'anni di guerra, traduzione di Piero Arlorio, Einaudi (collana Piccola Biblioteca Einaudi n° 357), 2007¹; pp. 179-181.
[Edizione originale: The Israel-Palestine Conflict, Cambridge University Press, 2005]
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Collage
Dalle tue labbra, la sigaretta è caduta. La breve traccia, ti unisce a lei. E lei è un viso Dentro una bolla, un profilo morbido Tutto intento a te. Chissà chi guardava, sul giornale, quell'attrice, Che nome aveva la sua felicità O se sola, si curvava sullo specchio Su se stessa, come ogni mattina Quando solo i gatti lo sapevano e lo sanno. Molte cose avvengono Senza che nessuno le veda e le dica E di queste cose, infine, è fatta la vita. Nel tuo collage, che sembra un quadro di Chagall, Tu sei risibile con quel corpo piccino Un poco goffo sotto la grande testa. Lei è una statua, che danza e che rotea La corta gonna sulle gambe snelle. La bella donna, dall'espressione stupita, È come presa dal vortice di te. Non ha capelli né cervello per soffrire: Soltanto un viso, per farsi ammirare E con lo sguardo illude che le ciglia Siano cortine di una grande tenerezza. Ma le donne sono un popolo nemico, Che tu le batta, le usi, le ricordi, Restano libere dal pensiero di te, Sono la dea che ti guarda come straccio Senza vita che il suo cane le riporta.
Pure, su questa danza tragica Io rido come immagino abbia sorriso tu. E il motivo è che c'è una nostra parte Superiore, che ci guarda dall'alto E non ci fa essere immersi nelle cose Come a volte, ci sembra, a soffocare.
Saremo liberi dal male della vita, Cadranno i chiodi dalla croce dove stiamo, Completeremo la nostra passeggiata Sulla collina più alta, senz'affanno.
Spiegazione: ho scritto di getto questa pagina del mio diario dopo aver visto, nella sezione fotografica della biografia di Cesare Pavese, "Il vizio assurdo" di Davide Lajolo, quello che lo stesso definisce "un fotomontaggio". Esso fu ritrovato, alla morte dell'Autore, fra le sue carte. Nella mia pagina, lo definisco un "collage". Esso è costituito da ritagli di giornale, che compongono l'immagine di una coppia che danza: l'uomo ha il volto di Pavese. Sulle due figure, all'altezza del grembo, è incollato un titolo di stampa, "La luna e i falò".
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TESTIMONI
Salvi per caso
LILIANA SEGRE, La memoria rende liberi
Da anni, ogni volta che mi sento chiedere: "Come è potuto accadere tutto questo?", rispondo con una sola parola, sempre la stessa. Indifferenza. Tutto comincia da quella parola. Gli orrori di ieri, di oggi e di domani fioriscono all'ombra di quella parola. Per questo ho voluto che fosse scritta nell'atrio del Memoriale della Shoah di Milano, quel binario 21 della Stazione Centrale da cui partirono tanti treni diretti ai campi di sterminio, incluso il mio.
PRIMO LEVI, Se questo è un uomo
Ognuno si congedò dalla vita nel modo che più gli si addiceva. Alcuni pregarono, altri bevvero oltre misura, altri si inebriarono di nefanda ultima passione. Ma le madri vegliarono a preparare con dolce cura il cibo per il viaggio, e lavarono i bambini, e fecero i bagagli, all'alba i fili spinati erano pieni di biancheria infantile stesa al vento ad asciugare.
HANNAH ARENDT, La banalità del male – Eichmann a Gerusalemme
Adolf Eichmann andò alla forca con gran dignità. Aveva chiesto una bottiglia di vino rosso e ne aveva bevuto metà. […] Era completamente padrone di sé, anzi qualcosa di più: era completamente se stesso. Nulla lo dimostra meglio della grottesca insulsaggine delle sue ultime parole. […] Era come se in quegli ultimi minuti egli ricapitolasse la lezione che quel suo lungo viaggio nella malvagità umana ci aveva insegnato – la lezione della spaventosa, indicibile e inimmaginabile banalità del male.
Il guaio del caso Eichmann era che di uomini come lui ce n'erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali. Dal punto di vista delle nostre istituzioni giuridiche e dei nostri canoni etici, questa normalità è più spaventosa di tutte le atrocità messe insieme, poiché implica – come già fu detto e ripetuto a Norimberga dagli imputati e dai loro patroni – che questo nuovo tipo di criminale, realmente hostis generis humani, commette i suoi crimini in circostanze che quasi gli impediscono di accorgersi o di sentire che agisce male.
ELIE WIESEL, La notte
Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata. Mai dimenticherò quel fumo. Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto. Mai dimenticherò quelle fiamme che consumarono per sempre la mia Fede. Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l'eternità il desiderio di vivere. Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i mei sogni, che presero il volto del deserto. Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai.
Ormai non mi interessavo ad altro che alla mia scodella quotidiana di zuppa, al mio pezzo di pane raffermo. Il pane, la zuppa: tutta la mia vita. Ero un corpo. Forse ancora meno: uno stomaco affamato. Soltanto lo stomaco sentiva il tempo passare.
ETTY HILLESUM, Diario 1941-1943
Si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite.
BRUNO BETTELHEIM, Sopravvivere
La nostra esperienza nei campi di concentramento non ci ha insegnato che la vita non ha senso, che il mondo dei vivi è un grande bordello, che bisognerebbe vivere secondo le primordiali esigenze del corpo, ignorando le creazioni della cultura. La nostra esperienza ci ha insegnato che per disgraziato che sia il mondo in cui viviamo, la differenza che esiste tra di esso e il mondo dei campi di concentramento è grande come quella tra la notte e il giorno, tra l'inferno e il paradiso, tra la morte e la vita.
PRIMO LEVI, I sommersi e i salvati
Definirlo "nevrosi" [quello stato di perenne disagio del prigioniero] è riduttivo e ridicolo. Forse sarebbe più giusto riconoscervi un'angoscia atavica, quella di cui si sente l'eco nel secondo versetto della Genesi: l'angoscia inscritta in ognuno del "tòhu vavòhu", dell'universo deserto e vuoto, schiacciato sotto lo spirito di Dio, ma da cui lo spirito dell'uomo è assente: non ancora nato o già spento".
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𝗗𝗶𝗮𝗿𝗶𝗼 𝗱𝗲𝗹𝗹'𝗔𝘃𝘃𝗲𝗻𝘁𝗼
𝟱 𝗱𝗶𝗰𝗲𝗺𝗯𝗿𝗲 𝟮𝟬𝟮𝟯
Caro diario,
questa mattina la giornata si è aperta sotto grandi auspici.
Mentre mi avviavo per un vicolo deserto per raggiungere il centro cittadino, avevo un appuntamento di lavoro per me importante, ecco che noto per terra una banconota da cinquanta euro.
Cinquanta euro. Il mio primo pensiero è stato quello de "sarà sicuramente un facsimile, una di quelle banconote false che dietro riportano una pubblicità di un possibile sconto e bla, bla, bla"
Mentre il "bla, bla, bla" riecheggiava nella mia mente mi chino con molta goffaggine a raccogliere la valuta cartacea.
Si goffamente, perché io di avere la fortuna nel trovare banconote per terra non sono abituato. Mica sono Gastone Paperone cugino del più sfortunato Paperino.
Dopo averla raccolta, avendola controllata bene, mi accorgo che quella è una banconota autentica. La piega che portava mi ha fatto comprendere che era stata tenuta in un portafoglio o in una tasca.
Mi guardo attorno con aria di colpevolezza, come a voler trovare a tutti i costi il proprietario di quella banconota. Nessuno.
Alzo la testa per vedere se qualcuno, da qualche finestra, abbia visto la scena; pronto a scusarmi con un "l'ho trovata per terra, mica l'ho rubata". Nessuno.
Quella banconota mi spetta quindi di diritto, un po' come a dire "chi la trova se la tiene". Cose da asilo Mariuccia per intenderci.
Ripongo la banconota in tasca e mi avvio al luogo dell'appuntamento. Mentre cammino ripenso alla mia fortuna con il denaro. A parte qualche monetina, spiccioli in lire o centesimi, l'unica volta che trovai una consistente cifra di denaro fu... all'interno di un corposo portafoglio.
Quindici marzo millenovecentottantanove, al ritorno da San Siro dopo una partita di Coppa Campioni, così si chiamava l'attuale Champion League, passeggero in auto di un amico ci fermammo al casello autostradale di Milano per rientrare a casa. Notai qualcosa per terra dal lato passeggero e senza pensarci, mentre il conducente prelevava il biglietto, aprii la portiera e acciuffai al volo il malloppo.
C'era dentro tutto, oltre a circa ottocento marchi tedeschi, i documenti che davano un nome e un cognome al proprietario. Anche la foto del suo gatto.
Per restituire il tutto, denaro compreso, dovetti fare dei salti mortali. Neanche i Carabinieri, a cui mi ero rivolto, mi assicuravano che il denaro sarebbe arrivato a destinazione. Così rintracciai il proprietario da solo, farmi dare le sue coordinate bancarie e dopo aver versato la valuta sul mio conto fargli un bonifico. Il tutto stando attento al cambio valuta. Non volevo che gli mancassero dei soldi.
I documenti, foto del gatto compresa, glieli feci arrivare tramite un pacco assicurato con una società di spedizioni.
Tutta qui la mia fortuna.
Nel tardo pomeriggio, rientrato a casa, trovo figlio numero due sull'orlo della disperazione.
Gli chiedo cos'è successo, con gli occhi arrossati e tanta rabbia mi racconta che aveva messo da parte del denaro per comprare il regalo di Natale alla sua Rebecca. Ma una volta arrivato in negozio gli mancavano dei soldi, aveva perso cinquanta euro. Non sapeva né come né dove. Ha lavorato alcune sere per metterli da parte.
Lo rassicuro, può capitare un attimo di distrazione, e guarda caso fuori dal nostro cancello di casa ho trovato una banconota da cinquanta euro tra le foglie secche degli alberi. Mimetizzata. Ma che l'occhio vigile del papà l'ha notata. Recuperandogliela.
Mi guarda incredulo, ma ancora più incredulo è il suo sguardo quando dalla mia tasca estraggo la banconota. Lui sa che io non giro quasi mai con del denaro in tasca. Tra App per i parcheggi e i pedaggi, oltre alle carte per gli acquisti, ho sempre le tasche vuote.
Mi abbraccia, tira un sospiro di sollievo, rimette la banconota con le altre del "budget Rebecca" e mi promette che starà più attento. Così domani andrà di corsa in negozio a comprarle il regalo, prima che finisca.
Questa mattina era iniziata sotto un buon auspicio, questa sera è finita con un'aspettativa più grande. Quella di aver donato la serenità a mio figlio. Non avrei potuto utilizzare meglio quel denaro.
A fine giornata dunque non mi sono ritrovato "più ricco", ma "molto più felice". Perché convinto che chi ama si preoccupa di dare e non di ricevere.
#libero de mente#racconto#diario dell'avvento#avvento#Natale#figli#denaro#pensieri#frasi#fortuna#amore
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Falsi ortopedici
Capita a tutti di citare erroneamente. capita anche di credere vera una citazione o un aforisma legati a qualche personaggio che si ammira. Io che ne scrivo tante, ne sono certo, avrò fatto qualche errore di valutazione. Qualche volta però mi capita di incuriosirmi e verificare: per esempio una molta bella e famosa dice
Volevo scriverti, non per sapere come stai tu, ma per sapere come si sta senza di me. Io non sono mai stato senza di me, e quindi non lo so. Vorrei sapere cosa si prova a non avere me che mi preoccupo di sapere se va tutto bene, a non sentirmi ridere, a non sentirmi canticchiare canzoni stupide, a non sentirmi parlare, a non sentirmi sbraitare quando mi arrabbio, a non avere me con cui sfogarsi per le cose che non vanno, a non avermi pronto lì a fare qualsiasi cosa per farti stare bene. Forse si sta meglio. Forse no. Però mi e venuto il dubbio, e vorrei anche sapere se, ogni tanto, questo dubbio è venuto anche a te. Perché sai, io a volte me lo chiedo come si sta senza di te, poi però preferisco non rispondere che tanto va bene così. Ho addirittura dimenticato me stesso, per poter ricordare te.
Attribuita nientemeno a Kierkegaard nel suo Diario di un seduttore. Ebbene, grazie anche ad una mia splendida amica lettrice, ho constatato che nel libro non esiste niente di tutto ciò, e la citazione è costruita prendendo parti diverse da altri libri.
In questi giorni, mi è capitato di rileggere un post che sostiene questo:
Anni fa, uno studente chiese all'antropologa Margaret Mead quale riteneva che fosse il primo segno di civiltà in una cultura. Lo studente si aspettava che Mead parlasse di armi, pentole di terracotta o macine di pietra. Ma non fu così. Mead disse che il primo segno di civiltà in una cultura antica era un femore rotto e poi guarito. Spiegò che nel regno animale, se ti rompi una gamba, muori. Non puoi scappare dal pericolo, andare al fiume a bere qualcosa o cercare cibo. Sei carne per bestie predatrici che si aggirano intorno a te. Nessun animale sopravvive a una gamba rotta abbastanza a lungo perché l'osso guarisca. Un femore rotto che è guarito è la prova che qualcuno si è preso il tempo di stare con colui che è caduto, ne ha bendato la ferita, lo ha portato in un luogo sicuro e lo ha aiutato a riprendersi. Mead disse che aiutare qualcun altro nelle difficoltà è il punto preciso in cui la civiltà inizia. Noi siamo al nostro meglio quando serviamo gli altri. Essere civili è questo.
L'autore è qualche volta sconosciuto, altre volte Ira Byock, un medico scrittore americano. Dato che sono in vacanza, mi sono messo a cercare un po' di notizie, poichè secondo me questa affermazione è altamente improbabile che l'abbia detta l'antropologa Margaret Mead.
La prima evidenza della frase appare in un libro del 1980, Fearfully and Wonderfully Made, del chirurgo Paul Brand e di Philip Yancey, in cui dice "reminded of a lecture given by the anthropologist Margaret Mead, who spent much of her life studying primitive cultures".
La storia però cambia quando un articolo di Forbes durante la pandemia (del Marzo 2020) cita lo stesso episodio: How A 15,000-Year-Old Human Bone Could Help You Through The Coronacrisis di Remy Blumenfeld:
Years ago, the anthropologist Margaret Mead was asked by a student what she considered to be the first sign of civilization in a culture. The student expected Mead to talk about clay pots, tools for hunting, grinding-stones, or religious artifacts. But no. Mead said that the first evidence of civilization was a 15,000 years old fractured femur found in an archaeological site. A femur is the longest bone in the body, linking hip to knee. In societies without the benefits of modern medicine, it takes about six weeks of rest for a fractured femur to heal. This particular bone had been broken and had healed.
L'aggiunta è questa datazione del reperto osseo, e l'articolo continua suggerendo pratiche di condivisione di aspetti gioiosi e comunitari nei periodi di segregazione sociale imposto dal Covid19. L'articolo diviene virale e diffonde sul web lo stesso misterioso passo.
Tuttavia, pur ammettendo che in una determinata occasione non documentata Margaret Mead abbia detto come sopra, ad una domanda specifica "When does a culture become a civilization?", l'antropologa rispose così:
Well, this is a matter of definition. Looking at the past we have called societies civilizations when they have had great cities, elaborate division of labor, some form of keeping records. These are the things that have made civilization. Some form of script, not necessarily our kind of script, but some form of script or record keeping; ability to build great, densely populated cities and to divide up labor so that they could be maintained. Civilization, in other words, is not simply a word of approval, as one would say “he is uncivilized,” but it is technical description of a particular kind of social system that makes a particular kind of culture possible. (Bene, questa è una questione di definizione. Guardando al passato abbiamo definito civiltà le società quando hanno avuto grandi città, elaborata divisione del lavoro, qualche forma di conservazione dei documenti. Questi sono i fattori che hanno fatto la civiltà. Una qualche forma di organizzazione ( il senso di script è questo N.d.t.), non necessariamente il nostro tipo di organizzazione, ma una qualche forma di organizzazione e di conservazione dei documenti; capacità di costruire grandi città densamente popolate e di dividere il lavoro in modo che potessero essere mantenute. La civiltà, in altre parole, non è semplicemente una parola di approvazione, come si direbbe ad un altro “è un incivile”, ma è la descrizione tecnica di un particolare tipo di sistema sociale che rende possibile un particolare tipo di cultura. - fonte Talks with Social Scientists, a cura di Charles F. Madden, Southern Illinois University Press, 1968).
Che non è affatto la stessa cosa. Ci sono poi altre questioni, ancora più profonde: tra tutte, è "la cura medica" il fulcro della umanità? Non è che quella esigenza, in quel contesto storico preciso, era necessariamente più sentita e ben accolta?
Probabilmente non saprò mai se davvero Margaret Mead ha raccontato la storia del femore. Ma sono certo che ha scritto questo:
La natura umana è incredibilmente malleabile, tale da adattarsi accuratamente, con aspetti contrastanti, a condizioni culturali in contrasto (Sesso e temperamento in tre società primitive, Il Saggiatore, 1967, pag 184)
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THoO - EMERALD GREEN - Royal Stones Collection - Eau de Parfum -
Most precious jewel nobody can steal. Emerald and unconditional love go together.
Deeply in love with this scent gem, one of four in the Royal Stones Collection by THoO, and the artistic inspiration behind the creation. A message of endless devotion in the Victorian Age revives in Emerald Green which, more than just a fragrance, is a magnificent tribute to faithful love, epitome of a feeling that never cease to renew and expand itself limitless over time.
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Il gioiello più prezioso che nessuno potrà mai rubare. Di smeraldi e amore incondizionato. E profumi che ne illuminano il ricordo.
È una grande storia d'amore a scandire la narrazione, a collegare e non disperdere i sottili filamenti della memoria. È nella storia del regno britannico, nell'illustre epoca Vittoriana, il regale legame di appassionati amanti, la regina Vittoria e il principe consorte Alberto di Sassonia ad ispirare questa pregevole gemma olfattiva.
Emerald Green, una delle quattro composizioni dell'esclusiva Collezione Royal Stones di THoO, elogia la forza dei sentimenti profondi, le suggestioni e i turbamenti della passione, quella inesauribile energia che si rinnova ed espande oltre il tempo.
'Lo amo, lo amo più di quanto non sappia dire, mai avrei immaginato di trovare così tanto amore sulla terra', scriveva Vittoria nel suo diario. Molte furono le manifestazioni di commozione e trasporto che Alberto le rivolse, non ultimo il sontuoso dono di una parure di smeraldi e diamanti, che disegnò personalmente, in cui spiccava una magnifica tiara (oggi in esposizione permanente a Kensington Palace). La scelta degli smeraldi non fu casuale, la pietra verde è infatti associata alla vivida immutabile freschezza del sentimento.
La fragranza è la trascrizione aromatica del simbolismo di questa gemma preziosa. Dominata da una distinta raffinatezza chypre, ha un piglio affabile, elegante, degno di regalità. L'apertura ha in serbo una limpida vivacità agrumata con mandarino, arancia rossa, bergamotto sfavillante di tonalità verdeggianti, presto conquistate dall'avvento di facette più pungenti balsamiche di pepe rosa, zenzero e cardamomo.
Qui le nuance smeraldo si addensano senza opacizzarsi e tra i freschi riverberi vegetali filtra la lucentezza candida e vezzosa del gelsomino. L'evoluzione si assesta su coloriture più calde e soffici, l'eterea presenza del muschio bianco a moderare l'impeto sensuale del patchouli e la sublime velatura d'antan, come riaffiorata da un dipinto ottocentesco, dell'ambra grigia, a sancire un'emozione di beltà vissuta e mai scordata.
Non serve sottolineare la bellezza di questi flaconi collectible, realizzati artigianalmente, unici nel loro genere.
Creata da Cristian Calabrò.
Eau de Parfum 75 ml. Online qui
©thebeautycove @igbeautycove
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In piena crisi esistenziale del 2004 ho un diario testimonianza di un mal di vivere di cui non vedevo vie d'uscita.
Davo esami all'università, conoscevo tanta gente, uscivo il fine settimana, fu l'anno in cui un tizio arrivò a cercarmi anche in radio, lavoravo part time e potevo togliermi molti crucci, avevo amiche con cui parlare, le spalle coperte da genitori affidabili, un fratello e una sorella preziosi, un cane che era gioia pura.
Eppure leggevo i pensieri di Pessoa come fossero romanzi della Nothomb, sentivo il vuoto assoluto e per come si stava mettendo ero pronta a lasciare tutto.
Il mondo non è migliorato...
Non è mai un fattore esterno che produce un cambiamento, forse innesca la tua storia, ma il perché provi quello che provi lo devi capire tu.
Questo raccontino breve perché, a distanza di tempo, sono quasi certa che il dolore della gente non sta nelle frustrazioni che manifesta (ormai in pieno caos), ma sta dentro ciò che di sé non sa né leggere né capire.
La maggior parte delle persone non sono furiose perché il mondo è cattivo, perché le bollette sono alte, il datore di lavoro è uno stronzo o non trovano l'amore...
Le persone si auto distruggono perché non hanno idea del motivo per cui sono nate.
#consapevolezza#testimonianze#crescere#lavoro su di sé#zombie#società malata#mondo marcio#società#svegliatevi#sistema#matrix#spiritualità#conosci te stesso#se o sé#crescita personale#aprite gli occhi#manipolazioni#catene#controllo#scelte#fernando pessoa
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JOHN MARTIN , l’editore che scopri e lancio Buk🖤wski……
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Cento dollari al mese per il resto della vita, per mollare il lavoro alle Poste e fare lo scrittore a tempo pieno. Nessuna noia, bega e seccatura con uffici stampa, reading e conferenze, o quasi. Alla distribuzione avrebbe pensato lui, la moglie Barbara avrebbe disegnato le copertine. Non ci volle molto a convincere Charles Bukowski, nel 1969, a partecipare all'impresa semifamiliare di John Martin: un atto temerario, un salto nel buio per entrambi. John si stava giocando un quarto delle sue entrate per mantenerlo e tentare una sfida dal cui esito sarebbe dipeso il loro futuro, ormai in condivisione. Per Charles non sarebbe stato facile rimettersi a bussare a 50 anni alle porte di magazzini, macelli e ditte di facchinaggio. Si dice che dietro ogni uomo di successo ci sia una grande donna (e viceversa). E questo è senz'altro vero per Bukowski, che s'accasò la sua Linda Lee dopo una lunga raccolta di Donne riassunte nel '78. Ma se oggi le frasi con cui lo scrittore americano semplicemente inframmezzava i dialoghi sono diventate aforismi stracondivisi in Rete, e se le case editrici continuano a raschiare il fondo dei cassetti delle stamberghe in cui ha soggiornato per pubblicare l'impubblicato, bisogna ringraziare un mite, sobrio, discreto ingegnere - perfino un po' bacchettone - che la sera, tornato a casa da lavoro, dopo aver cenato con moglie e figlia, si rilassava sul divano leggendo su riviste underground racconti border line che non riuscivano a vedere la luce della rilegatura. «Questo tizio è troppo bravo, non può continuare a uscire su questi giornalini amatoriali» pensava John. Finché una sera, 50 anni fa, la decisione: lasciare tutto e fondare la Black Sparrow Edition, solo per pubblicarlo. A consentirgli di realizzare il sogno, il ricavato del business messo in piedi a Los Angeles nel settore degli uffici e una maxi raccolta di prime edizioni di D.H. Lawrence, vendute alla UC Santa Barbara per 50mila dollari (era un appassionato collezionista di libri originali fin da quando aveva 20 anni). Prima di tutto però, toccava contattare il postino poeta.
«Non l'ho mai visto ubriaco» è il titolo choc di un’intervista di Jonathan Smith, l'unica mai tradotta in italiano, pubblicata online da Vice nel 2014. Per forza: i due si sono incontrati di persona una manciata di volte in tutta la loro carriera, sentendosi principalmente al telefono o scrivendosi. E in quelle occasioni, in cui bisognava parlare d'affari, Bukowski si faceva trovare evidentemente meno sbronzo del solito. L'amico ideale per il misantropo Charles, secondo cui il miglior dono che potesse fargli un fan era quello della sua assenza. Niente di più semplice, per cominciare, che prendere un po' di scritti sparsi e riordinarli in un diario. «Mi mandava il manoscritto man mano che lo scriveva, e dopo aver letto ogni capitolo dovevo sedermi, ricompormi e sperare che non fosse tutto vero - racconta in quell’intervista -. Credevo in lui quanto credevo in me stesso: una fede quasi religiosa, una cosa a cui non si può smettere di credere». Nacque così Taccuino di un vecchio porco (o sporcaccione, secondo le traduzioni), il primo vero libro di Bukowski. Fu preceduto da un piccolo opuscolo nel 66, True Story, pubblicato in appena 30 copie: una sorta di prova generale per amici e parenti. Convinto che avrebbe attirato più dei racconti, Martin si fece scrivere anche un romanzo da tenere di scorta: Post Office, in realtà un "concept" di disperate istantanee biografiche sul mortificante mestiere appena abbandonato. Potrà pubblicarlo con comodo due anni dopo: il successo del Taccuino sarà folgorante, almeno per le aspettative da cui erano partiti. Sarà sempre la moglie di Martin a escogitare anche l'originale impaginazione: il formato da 10x24 cm, più grande delle misure standard e adatto allo scaffale, divenne una nota distintiva della casa. Anche questo contribuì alla vittoria, immediata, della scommessa: quasi da subito il personaggio di Henry "Hank" Chinaski, detto "Gambe d'elefante", divenne il fenomeno letterario e culturale di livello mondiale, che ancora conosciamo. E il compenso passerà a 10mila dollari ogni due settimane.
( Web)
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Ad un certo punto della discussione sull’era atomica, parliamo del 1957, appare il libro di Karl Jaspers, Die Atombombe und die Zukunft des Menschen. Günther Anders si trovava in Giappone per una serie di iniziative contro la proliferazione degli armamenti nucleari. A stretto contatto con le vittime. Quell’esperienza è raccontata in Essere o non essere. Diario di Hiroshima e Nagasaki. In Italia fu pubblicata da Einaudi nel 1961 con la prefazione di Norberto Bobbio. Anders non accetta la posizione di Jaspers, dalla quale emergerebbe la possibilità che in date circostanze la guerra nucleare possa essere interpretata come un sacrificio moralmente accettabile. Anders si chiede: chi si dovrebbe sacrificare, a chi e chi sacrificherebbe. In caso di guerra nucleare è l’umanità ad essere sacrificata, da parte di un potere che da lei stessa promana e che diventerebbe lui stesso il dio esigente che impone a tutti l’estinzione per uno soprassalto insensato della propria volontà. Le osservazioni di Anders stigmatizzano un concetto, quello di sacrificio, in quel contesto, senza alcun senso, essendo infatti privo “di un dio a cui si sacrifica, che esige il dono, che lo accoglie e a cui esso è gradito”.
Disperazione piena per un sacrificio senza dativo – non c’è più dio – un sacrificio in bianco. “Com’era innocua [la religiosità vaga e intransitiva dei vecchi secolarizzati] di fronte a questa forma estrema e paurosa di secolarizzazione, la loro fede in bianco!”. Jaspers, forse senza rendersene del tutto conto, restituiva legittimità al sacrificio richiesto dal mondo delle idee, degli ideali politici, della concettualità proliferante dei sostituti di Dio, o degli stessi dèi pretenziosi di un paganesimo che si rinnovava nella forma della potenza economica egemonica di una forma di vita, quella occidentale.
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Nel mio dettagliato programma di recuperi, questo sarebbe dovuto essere il momento di parlarvi di Alina, ma visto che di Aline me ne sono fottute diverse, mi è venuto il dubbio che forse potrei aver confuso l'Alina del 2019 e quella del 2021. E allora, giusto per mantenere un po' il programma, vi propongo la foto, e solo la foto, di Natali, la troietta russa con cui iniziai l'anno, ma che purtroppo non riuscì a farmelo diventare duro.
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E' il 4 maggio del '99, i primi raggi del sole illuminano l'ossidiana lucida di La Palma: quattro curiosi individui (giovanissimi, a parte Fabio, più che trentenne, figlio dell'unione di Giorgio con la prima compagna Lucia Morellato), dopo aver riempito Passat e Taunus di polistirolo, viveri, strumentazione, e averle dotate di una zattera di salvataggio sul tetto, varano queste altrettanto curiose imbarcazioni.
E' l'alba, momento scelto dagli autonauti per evitare la Guardia Civìl. Le auto proseguono sospinte da due fuoribordo finché non finisce la benzina. I ragazzi non ci pensano due volte: staccano i motori e li guardano sparire negli abissi dell'oceano.
[...]
Tutto bene fino al 25 maggio, quando saltano i contatti con la terraferma. Il telefono satellitare Imarsat si spegne, forse per il contatto con l'acqua ("imbarchiamo acqua dal sedile davanti!" scrive Amoretti sul diario di bordo), o per la mancanza di sole, che alimenta le batterie fotovoltaiche (solo energia pulita a "bordo").
I due paiono scomparsi nel nulla. Marco Amoretti, 23 anni, e Marco De Candia, 21, potrebbero aver fatto una brutta fine. "Silenzio dall'Atlantico", titola il Secolo XIX, e tutta Sarzana (dove si sono stabiliti gli Amoretti) si ritrova in subbuglio. In realtà i ragazzi se la passano alla grande, sono in perfetta sintonia.
[...]
LE MACCHINE SI RIVELANO MEZZI RELATIVAMENTE SICURI
Nettuno è magnanimo e le depressioni oceaniche (tra cui l'uragano Emily) risparmiano i ragazzi. Urge un altro parallelo con Alain Bombard, che dopo 53 giorni di navigazione incrociò la nave inglese Arakaka: Amoretti e De Candia incontrano per puro caso la petroliera Chevron Atlantic, il cui comandante si dimostra generoso e lancia in mare numerose provviste recuperate da Marco a nuoto. Sono al 108° giorno di oceano e l'avvistamento della nave lascia intendere che la terra è vicina.
Nel frattempo, Fabio, Mauro e Serenella sono giunti nelle Antille per organizzare l'arrivo delle auto. Sorvolano il tratto di mare antistante la Martinica portando con loro i giornalisti increduli: i due folli danteschi ce la stanno facendo, sono ad un passo dal traguardo.
In un contatto radio, Serenella decide di rivelare a Marco la morte del padre, per evitare al ragazzo una terribile delusione a terra. Arrivati a Port Tartane il 31 agosto, dopo 119 giorni in mare, gli autonauti vengono accolti come eroi dai media italiani ed esteri.
POI, IL BUIO.
Troppe cose non piacevano. Troppe cose scomode da ammettere: era possibile attraversare l'Oceano quasi per gioco, con delle macchine sgangherate. Erano riusciti a farlo due ragazzi totalmente estranei al mondo della vela solitaria, privi di conoscenze nautiche, mezzi tecnici e sponsor, peraltro poco dopo la vittoria di Giovanni Soldini alla Around Alone.
La stampa locale ligure fu l'unica a giocare su questo contrasto tra modi antitetici di vivere il mare, perché sia Soldini che gli Amoretti erano legati a Sarzana. Oggi, a più di una decina di anni di distanza, le immagini dell'insolito viaggio continuano ad emozionare. Se dopo due lustri possiamo già essere considerati posteri, allora sì, fu vera gloria.
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[...] Celebre fu il suo rapporto amicale con Antonio Ranieri, sodalizio che venne immortalato a Napoli anche dal poeta tedesco August Von Platen che, nel 1834, dedicò questi versi ai due inseparabili amici (li lasciò su un bigliettino dietro la porta, che non gli venne aperta, appunto perché Ranieri era fuori casa e Leopardi sonnecchiava, n.d.r.):
"A.P. saluta
Giacomo Leopardi
che si alza tanto tardi
e Antonio Sempre - fuori
dottissimi signori."
Sempre dal suo diario, condividiamo con voi questa citazione dalla quale emerge molto della personalità di Giacomo.
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𝗗𝗶𝗮𝗿𝗶𝗼 𝗱𝗲𝗹𝗹'𝗔𝘃𝘃𝗲𝗻𝘁𝗼
𝟭° 𝗱𝗶𝗰𝗲𝗺𝗯𝗿𝗲 𝟮𝟬𝟮𝟯
Caro diario,
questo mese di dicembre mi sta stremando, sembra non finire mai.
In piena notte ho fatto di necessità virtù, quindi essendo rimasto a piedi con l'auto ho fatto l'autostop. Mai fatto prima in vita mia
Devo dire che ho avuto un discreto successo con il pollice all'insù, visto anche l'orario e la mia faccia, alla terza automobile mi hanno caricato.
La prima era un'auto di lusso e sappiamo bene che con le auto di lusso non si danno passaggi in piena notte. A parte qualche caso che ho potuto vedere con i miei occhi, ma si trattava di signorine lungo il bordo delle strade, altrimenti non è etichetta dei benestanti fare queste cosa. Non si sa mai cosa rischiano.
All'interno della seconda auto c'era una coppietta, lei mi ha guardato quasi come a dire "seeeee certo, proprio a te diamo un passaggio", mentre lui ha volutamente girato lo sguardo dall'altra parte.
La terza auto si ferma, li raggiungo. Sono tre extracomunitari. Mi guardano fisso e seri, molto seri. Rimango di sasso. Poi quello davanti dal lato passeggero, rivolgendosi agli altri due, dice:
- Oh, sembra brava persona.
- E se ci ruba? - risponde quello seduto dietro.
- Tu cosa dici? - dice di nuovo quello davanti rivolto a chi guida.
- Mmh, così sembra Gesù, tutto bagnato. Dai vieni - risponde quello alla guida, che mi invita anche con un cenno della mano.
- Infatti sono un povero Cristo - rispondo d'istinto facendo il brillante... con dei, probabili, mussulmani. Che idiota sono stato.
Non capendo se fossero seri o se mi stessero prendendo in giro, decido di salire. Del resto non mancavano molti chilometri a casa mia.
- Grazie - dico con un filo di voce quasi in tono reverenziale - grazie mille
- Noi non dare passaggi agli sconosciuti, molto pericoloso - dice quello che guida e gli altri due si mettono ridere.
Noto che quello seduto con me continua a fissarmi con molta insistenza, è uno molto alto si vede. Si fanno quattro chiacchiere sul perché fossi a piedi, su che lavoro facevano loro e da dove venivano. Insomma discorsi di normale routine.
Ma il tizio al mio fianco non ha mai parlato e mi fissava sempre tra il serio, il perplesso e il pensieroso.
Poi a un certo punto spalanca gli occhi, me ne sono accorto perché al buio con la loro pelle scura gli occhi e i denti erano uno spettacolo pirotecnico.
- Adesso mi ricordo di te - mi dice puntandomi il dito
In quel momento non avevo compreso se fosse una minaccia, un'accusa o una rivelazione spirituale.
- D-di me? Ti ricordi di me? - chiedo
- Si, tu uscivi da una pisseria con pissa in mano. Io passavo a piedi e avevo chiesto un'informasione. Tu ricorda?
- Io? - rispondo come quando mia madre mi accusava di aver sbafato tutta la Nutella - sei sicuro?
- Si, mi ricordo di te. Poi tu messo pissa in bagagliaio e dato me passaggio a casa.
A quel punto come da un cassettino dei ricordi lontani mi esce un ricordo, di me che con una pizza calda nel cartone stavo per tornare a casa. Il tipo di colore sudato con un enorme zaino che mi incrocia sul marciapiede e mi chiede le indicazioni per un Comune della Val Seriana. Mi ricordo che con il dito gli indicai la direzione, quella che in effetti stava seguendo, salvo poi rendermi conto che a quella destinazione mancavano dodici chilometri.
Mi ricordo che glielo feci notare e alla domanda se avrebbe percorso tutta quella strada a piedi, lui rispose allargando una mano con uno sguardo che diceva "pensi che abbia altre alternative?".
Fu allora che buttai la "pissa" calda nel bagagliaio e gli diedi un passaggio. Mi ricordo che continuava a ripetermi che io ero davvero una brava persona, a mani giunte, durante tutto il tragitto.
- Ma si ora ricordo - gli dissi
La conversazione e i ricordi finiscono, sono davanti a casa.
Scendo li ringrazio e al tipo della "pissa" stringo forte la mano.
- Questo è karma - gli dico.
- Chi casso è karma? - mi risponde stranito.
Caro diario, siamo al primo giorno dell'Avvento e qui da me sono già passati i tre re Magi. Sotto il segno di una stella cometa di nome karma. Ma che non tutti conoscono.
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Non mi sono mai sentita parte del mondo.
È questa la sensazione base che mi ha spinta a trovare numerosi interessi, tutti volti a dissociarmi dalla realtà e se dovessi stillare una lista, non potrei non citare la scrittura.
La scrittura mi accompagna in diverse forme sin da quando ho memoria.
Sono sempre stata una bambina con una grande fantasia, fantasia che non ha mai trovato spazio nella vita reale.
Credo che se non fosse esistita la scrittura mi sarei sentita come un rubinetto che sgocciola a vuoto o avrei trovato conforto in qualche altra arte, tipo la pittura.
Il mio primo ricordo legato alla scrittura risale a quando ancora non sapevo scrivere ma adoravo tirare fuori delle storie semplicemente osservando delle immagini, storie che mia madre trascriveva su di un quadernetto apposito.
In realtà dubito che le cose siano andate realmente così, dopotutto è passato un sacco di tempo e sicuramente avrò romanzato la storia ma è così che mi piace ricordarla.
Quando avevo 8 anni scrissi il mio primo diario.
Mi fu regalato da mio zio in una delle rare occasioni in cui era di ritorno dalla Germania, era un diario di Hello Kitty con la chiave e il lucchetto e io ci scrivevo in maniera abbastanza abituale.
Non ricordo quando smisi di scriverci o perché.
Forse quando mi resi conto che quello non fosse un reale lucchetto e che di conseguenza non servisse effettivamente la chiave per poter accedere al contenuto del diario.
A 15 anni tentai di scrivere un romanzo.
La protagonista era una strega moralmente grigia a cui ne facevo passare di tutti i colori, probabilmente perché in quel modo era molto più semplice tornare alla mia realtà dopo aver indossato i suoi panni.
I miei problemi venivano di colpo ridimensionati.
Tuttavia non sono mai riuscita a terminare la storia e alla fine, ho abbandonato l'idea.
Un anno dopo, quando lasciai la scuola, cominciai a scrivere canzoni.
Erano deprimenti da morire ma devo ammettere che fossero molto più originali di tante canzoni che passano oggi in radio.
Le ho cancellate tutte, non appartenevano ad un bel periodo e leggerle me lo ricordava fin troppo ma di una in particolare ne ricordo vividamente la trama.
L'avevo intitolata "Un foglio solitario" e narrava la storia di questo foglio macchiato d'inchiostro che si sentiva diverso, circondato da mille fotocopie di un foglio perfettamente bianco.
Stanco di sentirsi escluso, il foglio decideva di allontanarsi per intraprendere la sua strada da solo ma dopo varie peripezie si accasciava a terra, arreso.
A quel punto gli si avvicinava un uomo, che iniziava a narragli una storia bellissima e colma di colpi di scena.
E dopo essersi specchiato per la prima volta in una pozzanghera, il foglio si rendeva conto che quella storia era la sua.
L'uomo aveva semplicemente letto quello che c'era scritto su di lui con l'inchiostro.
La frase finale era "io sono un foglio macchiato dalla mia storia ma voi siete il nulla perché non avete una vostra storia, la perfezione vi ha resi tutti uguali non potrete mai narrare storie originali".
C'è poi stato un momento in cui scrivere per me stessa non mi bastava più.
È così subentrato il lungo capitolo della mia vita in cui passavo le giornate scrivendo sulle applicazioni anonime.
Scrivevo praticamente di tutto, non saprei dire il perché: forse volevo solo essere vista, forse speravo che qualcuno leggesse il mio inchiostro vedendoci qualcosa di più o forse sono sempre e solo stata un egocentrica.
Mi sono anche illusa di aver trovato degli amici, mi sono anche illusa di aver trovato l'amore.
Ma i rapporti online non durano mai, adesso lo so.
E adesso eccomi qui, cercando di reintrodurre la scrittura nella mia vita ma senza essere certa di sapere come farlo.
La verità è che è da almeno 3 anni che tento di dare vita a questo blog per poi cancellare il tutto subito dopo.
Sono una perfezionista che non ha le doti per eccellere.
Tuttavia credo che tutti meritino un posto in cui la loro versione è l'unica che conta, un posto in cui sono i protagonisti.
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Da grande lettrice il regalo che preferisco fare (e ricevere) è un libro perché è qualcosa che va oltre la carta stampata e alcune letture te le porti dentro tutta la vita. 💝
Se siete alla ricerca di un bel libro da regalare a un vostro caro o amico o da regalare a voi stessi, perché è bello anche farsi qualche auto-regalo, posso consigliarvi "Il tesoro è nei ricordi. Diario di un amore felino". È una lettura che vi lascerà qualcosa, un romanzo autobiografico delle mie gatte, Nanà e Muschy, piena di amore, che immedesima il lettore e lo sensibilizza al rispetto e amore per gli animali ed è adatta anche ai più piccoli.
Una lettura piena di amore❣️
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"Non puoi amare se non ti permetti di soffrire."
Nanà e Muschy, le due povere gatte compagne di vita dell'autrice, sono le protagoniste di questo diario memoir. Grazie a loro Elena conobbe un mondo nuovo e affascinante, fatto di giochi, piccoli riti quotidiani e racconta come ne fu arricchita a sorpresa.
Nel momento di dirgli addio per l’autrice contarono l'affetto e i ricordi, perché non furono solo animali domestici o, peggio, oggetti sostituibili, ma visse un vero e proprio lutto.
Un'intima confessione d'amore, fatta di coccole e graffi, scoperte e dubbi, curiosità e paure, gioie e rimpianti, crescita e colpe, in cui le emozioni si mescolano ai ricordi e al senso di colpa, fino a diventare un potente strumento catartico.
Un romanzo autobiografico per gli amanti dei gatti.
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