#guardarsi le spalle
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“Non voltarti... perchè vivere è come scalare le montagne: non devi guardarti alle spalle, altrimenti rischi le vertigini. Devi andare avanti, avanti, avanti... Senza rimpiangere quello che ti sei lasciato dietro, perchè, se è rimasto dietro, significa che non voleva accompagnarti nel tuo viaggio.”
— Giulia Carcasi
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Tutti parlano di rispetto. È una di quelle parole che riempiono la bocca, che scivolano via come se fossero scontate, come se tutti ne avessero compreso il vero significato. Tutti si ergono a grandi maestri di vita, pronti a dispensare lezioni, a dirti cosa è giusto e cosa è sbagliato. “Rispetto prima di tutto” dicono. Ma poi, sono proprio loro i primi a dimenticare cosa significhi davvero.
Mi fa male pensare a quante volte ho sentito questa parola uscire dalle bocche sbagliate. Quante volte ho visto persone parlare di educazione mentre calpestavano chiunque non fosse all’altezza delle loro aspettative. Quante volte ho sentito prediche sulla sincerità da chi non riesce neanche a guardarsi allo specchio senza mentire. È come vivere in un mondo al contrario, dove i colpevoli sono sempre pronti a puntare il dito, dove chi più sbaglia si sente sempre il più giusto.
La verità? Viviamo in una società in cui il rispetto non è più un valore, ma una maschera. Lo indossano tutti, ma pochi lo portano davvero nel cuore. Si parla di rispetto quando conviene, quando fa comodo, quando è un modo per apparire migliori agli occhi degli altri. Ma quando le luci si spengono e nessuno guarda, quella maschera cade, rivelando volti che di rispetto non hanno nemmeno l’ombra.
Cosa vuol dire rispettare davvero? Non è solo dire le parole giuste, non è solo comportarsi bene quando fa comodo. Rispettare è riconoscere l’altro nella sua interezza, con i suoi limiti, i suoi errori, le sue fragilità. È capire che ogni persona porta con sé un peso invisibile, una storia che non conosciamo. Ma chi lo fa davvero?
La maggior parte delle persone è pronta a giudicare. È facile, no? Guardare dall’alto e sentenziare, come se tutto fosse bianco o nero, come se bastasse un’occhiata per capire chi hai davanti. È così semplice credersi migliori degli altri quando non ti fermi a riflettere, quando non provi a metterti nei panni di chi hai davanti.
Ma il rispetto, quello vero, è difficile. È scomodo. Ti costringe a guardare oltre, a mettere da parte i pregiudizi, a fare uno sforzo per comprendere. E oggi, nessuno ha voglia di fare quello sforzo. È più semplice vivere di apparenze, fingersi persone migliori di quelle che si è realmente.
Mi chiedo spesso dove sia finita la sincerità. Quella vera, quella cruda, quella che non ha paura di mostrarsi imperfetta. Viviamo in un mondo dove tutti vogliono apparire impeccabili, come se ammettere di avere difetti fosse un crimine. E così, ci ritroviamo circondati da facce che sorridono per convenienza, da parole che suonano vuote, da persone che si riempiono la bocca di lezioni che non applicano mai a loro stesse.
E sai cosa fa più male? È che spesso queste persone sono quelle che più ti feriscono, quelle da cui meno te lo aspetti. Parenti, amici, conoscenti che ti parlano di rispetto e poi ti voltano le spalle. Che ti predicano educazione e poi non si fanno scrupoli a mancarti di rispetto. Che ti parlano di sincerità e poi ti raccontano bugie senza battere ciglio.
Io sono stanca. Stanca di vedere l’ipocrisia travestita da virtù. Stanca di ascoltare chi parla senza sapere, chi giudica senza conoscere, chi predica bene ma razzola male. Sono stanca di dovermi giustificare, di dover dimostrare sempre qualcosa, mentre chi mi giudica non si ferma neanche un secondo a guardarsi dentro.
Ma sai cosa ho imparato? Che il rispetto non si mendica. Non si può chiedere a chi non lo conosce, a chi non lo ha mai vissuto davvero. Non posso pretendere che chi non ha rispetto per sé stesso ne abbia per gli altri. Posso solo scegliere di non lasciare che la loro ipocrisia mi tocchi.
Ho deciso che non voglio più dare potere a chi non lo merita. Non voglio più permettere che le loro parole mi feriscano, che le loro azioni mi facciano dubitare di me stessa. Il rispetto che non ricevo dagli altri lo darò a me stessa, perché merito di più di ciò che alcuni sono disposti a offrire.
E se c’è una cosa che ho capito è questa: il rispetto non è un privilegio, ma una scelta. Non riguarda gli altri, ma te stessa. Riguarda il modo in cui scegli di vivere, il modo in cui scegli di trattare gli altri, anche quando il mondo intorno a te sembra aver dimenticato il significato di quella parola.
Non voglio essere come loro. Non voglio indossare una maschera. Voglio essere autentica, anche quando è difficile, anche quando mi espone al giudizio degli altri. Voglio vivere in un modo che mi permetta di guardarmi allo specchio e sapere che, nonostante tutto, non ho mai smesso di rispettare me stessa e chi mi sta intorno.
Perché alla fine, ciò che conta davvero non sono le lezioni che gli altri cercano di darti, ma ciò che scegli di insegnare a te stessa ogni giorno. E io scelgo di essere diversa. Di essere vera. Di essere quella che, anche in mezzo a tutta questa ipocrisia, non smette mai di credere nel valore del rispetto, della sincerità, dell’educazione. Anche se il mondo intorno a me sembra averli dimenticati.
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TRINITY BLOOD
RAGE AGAINST THE MOONS
(Storia: Sunao Yoshida // Illustrazioni: Thores Shibamoto)
Vol.1 From the Empire
FLIGHT NIGHT - Capitolo 3
Traduzione italiana di jadarnr dai volumi inglesi editi da Tokyopop.
Sentitevi liberi di condividere, ma fatelo per piacere mantenendo i credits e il link al post originale 🙏
Grazie a @trinitybloodbr per il suo prezioso contributo alla revisione sul testo originale giapponese ✨
“È ferita?”
Gli occhi di Jessica fissavano il vuoto senza espressione. “S—sono… sono tutti morti. Tutti…” balbettò. Crollò sul pavimento, stringendo le braccia attorno a sè.
Erano riusciti a correre via lontano dal ponte, ma non riusciva a fare a meno di guardarsi intorno nervosamente. Le sembrava che quel mostro fosse ancora con lei, ne sentiva ancora il sudiciume addosso.
Abel poteva quasi a vedere i pensieri che le passavano per la testa. Cercò di calmarla e portarla a concentrarsi su quello che avrebbero dovuto fare ora.
“Non ci seguirà. Persino un vampiro avrá bisogno di tempo per guarire da ferite del genere. Quello che il Duca ha detto é vero?”
“Sì, ha detto che avrebbe fatto schiantare la nave su Roma” singhiozzò “E il signor Dickins ha cercato di fermarlo, ma… e poi il capitano…” le sue parole si spezzarono a mezz’aria.
“Va tutto bene… Ora cerchi di calmarsi.”
Abel mise un braccio attorno alle spalle di Jessica scosse dai tremiti ed alzò lo sguardo verso il soffitto come se cercasse aiuto da Dio. Che incubo. Il computer di bordo era compromesso, c’era un vampiro terrorista a piede libero ed il ponte di comando era inservibile. Se i passeggeri lo fossero venuti a sapere, si sarebbe scatenato il panico.
“Padre, cosa dovremmo fare?” Chiese Jessica.
“Dobbiamo fermarlo.”
Ma come? Si domandò Jessica. Tutto l’equipaggio era morto ed il computer era stato sabotato. Non avevano possibilità di salvezza.
“Ho visto il progetto di questa nave. Ha un ponte inferiore, giusto? Si trova nell’hangar dove ci sono i tutti dispositivi di comunicazione. Possiamo controllarla da lì.”
“Impossibile” disse la ragazza, chiedendosi come avesse fatto il prete a mettere le mani sui disegni di progettazione della nave. “La Tristan ha inserito l’auto pilota al momento. Disabilitarlo manualmente è estremamente complicato, ci sono innumerevoli livelli di sicurezza. Dovremmo poterli sbloccare. Ed è tutto controllato dal computer.”
I computer erano una delle reliquie più misteriose lasciate indietro dopo l’Armageddon. Solo specialisti chiamati ‘programmatori’ erano in grado di decifrare l’enorme volume di codici e dare una logica a tutti quegli uno e zero. Non sapeva cosa il vampiro potesse avere fatto al sistema, ma un neofita ci avrebbe messo anni a capirlo.
“Ho un’idea. Potremmo disconnettere i controlli del computer e pilotare la nave dal ponte inferiore”
Lei esitò: “Tecnicamente… potremmo farlo. Ma non abbiamo un timoniere”.
Sia il timoniere che il comandante erano morti. Anche il navigatore era stato assassinato. Come mai avrebbero potuto pilotare la nave e farla atterrare?
“Il timoniere é proprio qui, davanti ai miei occhi”
Jessica sussultò: “Cosa?” Si allontanò da lui, con un’espressione come se fosse stata colta sulla scena di un crimine.
“Impossibile! Assolutamente impossibile! Non sono in grado”
“Ma prima stasera ha detto—“ iniziò Abel ma lei lo interruppe.
“Teoria e pratica sono due cose completamente diverse! Io sono solo una hostess…”
“Allora la situazione si complica…”
Gli occhi del prete si spostarono improvvisamente verso il corridoio. Si sentivano dei passi avvicinarsi lentamente.
“Oh no! Non può essere…”
“Non é lui, i passi sono troppo leggeri” disse Abel.
Il ragazzino con il palloncino rosso apparve timidamente da dietro l’angolo. Sembrava essersi perso. Quando vide Jessica corse verso di lei, scoppiando in lacrime.
“Piccolo, vieni qui. Ti sei perso?” Disse Jessica abbracciandolo ed asciugandogli le lacrime.
Il bambino annuì energicamente. Era spaventato anche lui, perché tremava tutto.
“Non ti avevo detto di tornare dalla tua mamma?” Gli chiese
“La mia mamma non è qui”
“Come?”
Il ragazzino tirò su col naso e continuò “La mamma sta lavorando a Roma. Il papà ed io stiamo andando a trovarla.”
Il bimbo sorrise, probabilmente pensando a quando avrebbe rivisto la sua mamma a Roma l’indomani.
Jessica si morse il labbro. Questo bambino non vedrá più la sua mamma. Probabilmente morirà. E non solo lui. Tutti gli altri passeggeri, compresa lei, sarebbero morti, e la nave che la sua stessa madre aveva contribuito a costruire sarebbe stata distrutta.
“Padre?” Sussurrò.
“Sì Jessica?”
Abel sorrise riconoscendo la luce nello sguardo di Jessica. La disperazione e lo shock avevano lasciato il posto ad una forte determinazione— ora era pronta.
“Mi può aiutare? Per prima cosa dobbiamo riportare questo bambino dal suo papà”
“E poi?”
Si strinse nelle spalle “E poi faremo ciò che si deve fare”.
“Sì, lo faremo insieme. Mi piace questa determinazione degli esseri uman—“ Abel si interruppe a metá frase e scosse la testa.
La trasmissione radio che arrivò alle 01.40 di mattina era forte e chiara, nonostante il suo significato fosse assurdo: Il Vaticano deve liberare tutti i vampiri prigionieri entro un’ora o distruggeremo Roma.
“Abbiamo ricevuto delle informazioni preliminari dal Dipartimento dell’Inquisizione!” Gridò un assistente.
“Il Duca di Meinz, Alfredo, vampiro— ricercato per sessantasette omicidi e furto di sangue. Come diavolo ha fatto quel pazzo omicida a salire sulla Tristan? Come ha fatto a superare la sicurezza in aeroporto?”
Era una follia. Al Castello di Sant’Angelo, il Salone dell’Angelo Messaggero, anche conosciuto come la war room del Vaticano, era in fermento—persone urlavano e volavano scartoffie da tutte le parti. Tutti quelli che contavano erano lì presenti: il Sacerdote Capo della Sicurezza Papale, il Ministro dei Trasporti e perfino la sorella del Papa, Ministro degli Affari Esteri. Erano stati tutti buttati giú dal loro letto, ma nessuno di loro mostrava segni di stanchezza.
Il ragazzo magrolino a capotavola, d’altro canto, sembrava sul punto di addormentarsi.
“Vostra Santità, siete ancora sveglio?”
Il giovane, Alessandro XVIII, trecentonovantanovesimo Papa, la bocca spalancata in un enorme sbadiglio, alzò lo sguardo sorpreso verso la bellissima donna in piedi accanto a lui, vestita con l’abito rosso da Cardinale.
“Scusa sorella mia, devo essermi assopito” disse imbarazzato.
“Non serve che tu stia alzato per questo, Alex. Possiamo occuparcene noi.” Disse la Duchessa di Milano, Ministro degli Affari Esteri Cardinale Caterina Sforza, guardando Alex calorosamente da dietro il suo monocolo. “Dovresti essere a riposare ora”.
Lui sbattè le palpebre rapidamente “Sto bene. Cosa sta succedendo?”
“Qualcosa di brutto”. La sua espressione calma minimizzò la gravitá della faccenda.
La situazione all’interno della nave era ancora poco chiara, e non c’era nulla che il Vaticano potesse fare a quel punto. “Nella peggiore delle ipotesi dovremo accontentare le loro richieste” disse Caterina.
“S—se gli ostaggi sono in pericolo, non c’è altro che possiamo fare, giusto?”. Balbettò il giovane Papa.
Annuendo seriamente, Alessandro tamburelló sulla superficie del tavolo. “Sì, rilasceremo i prigionieri.” Dichiarò.
Una profonda voce baritonale si alzò per obiettare: “Non possiamo farlo Sua Santità” tuonò la voce.
“Fratello maggiore?”
“Cardinale Medici” Caterina fece un cenno con il capo, salutando l’uomo che aveva parlato.
I fratelli si scambiarono un’occhiata gelida.
Il Segretario della Dottrina Papale Vaticana Francesco de’ Medici era un uomo grande e minaccioso. Il suo corpo era più adatto alla guerra che al clero. Si tolse il suo copricapo e si inchinò rigidamente al Papa, senza mostrare traccia di emozione. “Sono tornato dalla mia visita alla Base Aerea di Assisi”.
“Q—quando siete arrivato, fratello? Pensavo che saresti stato via fino alla p—prossima settimana” balbettò il ragazzo.
“Sono appena arrivato. Ed ho appreso dell’incidente sulla Tristan. Ebbene Caterina?” Chiese il Cardinale Medici.
La bellezza bionda si irrigidì al suo tono di rimprovero.
“Dovresti dare consigli migliori al Papa che dirgli di accontentare le richieste di terroristi vampiri. Così diventerá un debole ai loro occhi— un pupazzo che possono prendere in ostaggio ogni volta che lo vorranno. Dovresti vergognarti!” Abbaiò.
“Fratell… mi scuso, volevo dire Cardinale Medici” si rivolse al suo fratellastro “Cosa dovremmo fare? La Tristan viene da Albion, ed è piena di civili di Albion. La deadline per la firma del trattato di pace col Regno di Albion è la prossima settimana. Non possiamo permetterci che il minimo problema ostacoli i negoziati di pace. Le questioni riguardanti Albion devono essere trattate con delicatezza” spiegó. Il suo volto rimase sereno, ma i suoi occhi non mostravano la minima traccia di calore.
“Il Vaticano non negozierà con i terroristi. Specialmente terroristi vampiri!” si scherní il Cardinale Medici “Vostra Santitá, non dobbiamo sottometterci alle loro richieste. Bisogna impedire che entrino nello spazio aereo del Vaticano.”
“Obbediranno ai nostri ordini?” Si chiese il Papa. Nella sala calò il silenzio ed il giovane ed inesperto Papa sentì gli occhi di tutti su di lui. Deglutí faticosamente “Se fossero stati il tipo di persona che obbediscono agli ordini non avrebbero nemmeno dirottato la nave, giusto? Scusate, sono proprio inutile.”
“Sì, probabilmente sarebbe uno spreco di tempo” confermò Caterina.
“Allora cosa possiamo fare?” Chiese timidamente il Papa.
“Gli daremo un ultimatum. Se invaderanno il nostro spazio aereo, li abbatteremo. È molto semplice.” Disse il Cardinale Medici. Le sue parole si abbatterono sulla sala come una tonnellata di mattoni.
Caterinà protestò urlando “Sei forse fuori di testa, Cardinale Medici?! Ho appena detto che la Tristan é una nave di Albion!”
“Beate sumpto qui muribundum in Dominum. Beati coloro che muoiono nel nome del Signore. Stiamo parlando della gloria di Dio e della dignitá umana. Non possiamo dare ascolto a quelle empie voci!” Rispose Francesco, battendo con forza lo scettro da Cardinale sul pavimento come se fosse una spada, con un impeto degno di un rappresentante di Dio in terra.
“Il Vaticano è la più alta autoritá terrena ed il potere più forte dell’umanitá. Una tale istituzione sacra ed inviolabile non può piegarsi a nessuna minaccia! Non è questa un’opportunità perfetta per dimostrare a questi abomini che non esiste la parola ‘negoziazione’? Facciamo vedere a quei parassiti che non sanno qual’é il loro posto in terra quale sará il loro destino!”
“Beati coloro che muoiono nel nome del Signore!” ripetè con voce fervente uno dei sacerdoti in piedi accanto a Francesco. Un coro di voci eccitate si alzò da varie parti del Salone in risposta a quelle parole.
“Noi siamo il Vaticano—l’autoritá esecutrice della volontà di Dio in terra!”
“Non possiamo tirarci indietro!”
Caterina guardó ognuno degli uomini presenti in sala, ma vide solo bestie assetate di sangue.
Il suo fratellastro maggiore era un uomo molto carismatico, ma abusava troppo spesso della sua autoritá all’interno del Vaticano. I tempi sono cambiati. Il popolo non tollererá altra violenza inutile. Le persone non sono più un gregge di pecore senza opinioni. Il filo dei pensieri di Caterina fu interrotto da uno dei Diaconi.
“Cardinale, signora, abbiamo un’informazione urgente” disse il Diacono precipitosamente. Porse velocemente a Caterina una lista di nomi.
“È la lista dei passeggeri della Tristan? Ottimo lavoro”
Il cuore di Caterina sprofondò quando vide quanto lunga era la lista di nomi. Ognuno di loro era un fratello o una sorella, una madre o un padre, un figlio. Ed erano tutti in grave pericolo.
Ma quando si accorse di un nome in particolare, il suo atteggiamento cambiò istantaneamente. “Non può essere… Ne avete la certezza?”
“Sissignora. È stato confermato da tre fonti differenti” disse il Diacono avvicinandosi alla donna “È un’informazione certa. C’è un Crusnik sulla Tristan. L’abominio infernale era di ritorno al Vaticano dopo aver arrestato Padre Scott”.
“Faccia attenzione a come parla, Diacono. L’ ‘abominio infernale’ è uno dei miei più leali agenti. Convochi subito tutti gli agenti della AX. Chi di loro può essere immediatamente disponibile?
Il Diacono si inchinò: “Le porgo le mie scuse, Cardinale. La Iron Maiden e Gunslinger sono pronti a partire. Possono essere in contatto con la Tristan in quattro ore.
“Loro due potranno essere di supporto al Crusnik e mettere al sicuro la Tristan. Ci sarà dello spargimento di sangue…” si interruppe, prendendo un profondo respiro “Saranno accettabili vittime finchè rimarranno sotto al cinquanta percento dei passeggeri. Un numero più alto rovinerebbe le nostre possibilità di pace con Albion.”
Caterina si guardò intorno. Il Salone continuava ad essere in frenetica attività. Il Cardinale Medici abbaiava ordini. Sembrava un pazzo che riusciva a malapena a controllarsi. Nel frattempo il povero Alec sembrava completamente sopraffatto. Avere il suo piú fidato agente della AX a bordo della Tristan era stato certamente un dono del Signore.
Allora forse Roma era ancora tra le grazie del Signore. E così lo era anche lei.
#abel nightroad#sunao yoshida#trinity blood#flight night#jessica lang#rage against the moons#trinity blood novels#caterina sforza#francesco de medici#cardinale medici#thores shibamoto#traduzione italiana
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comunque se non gli fanno accettare il fatto che è bi la rai deve guardarsi le spalle
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Tutti parlano di quanto sia difficile essere una donna a questo mondo, quando in realtà ormai è "come è difficile essere se stessi a questo mondo." Ma nel mio caso essendo una ragazza non posso sapere come possa essere difficile essere un ragazzo a questo mondo... in realtà un pó si avendo amici maschi, ma non posso sapere tutte le difficoltà. Essere una ragazza al mondo di oggi volete sapere cosa vuol dire?
Vuol dire non camminare in posti isolati per paura di essere aggredite.
Vuol dire in metropolitana mettersi distante il più possibile da tutti per paura che qualcuno ti tocchi.
Vuol dire camminare a testa bassa davanti a gruppi di ragazzi che cercano di attirare la tua attenzione sperando che smettano.
Vuol dire guardarsi le spalle se stai salendo le scale della metropolitana, soprattutto di sera, per essere certo non ci sia nessuno.
Vuol dire accellerare il passo se cammini da sola anche se in una strada piena o fingere di stare al telefono.
Vuol dire accettare di sentirsi dire che hai avuto quel voto perché sei una ragazza e il professore un uomo. E questo per la maggior parte delle cose.
Vuol dire sentirsi strana se hai passioni "non convenzionali" per una ragazza e sentirsi dire "sicura di non essere un ragazzo?"
Vuol dire tacere a volte per paura di dire la cosa sbagliata o sentirsi in difetto quando si è in un gruppo di persone.
Vuol dire... tante... troppe cose, tutte sbagliate. E permettere che questo influenzi te stessa è il peggior errore che puoi fare.
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L’amica geniale 4, episodi 1 e 2: un inizio all'altezza delle aspettative
Laura Bispuri dirige la stagione finale della serie tratta dalla tetralogia di Elena Ferrante. Protagoniste Alba Rohrwacher e Irene Maiorino.
L'avevamo lasciata a guardarsi nello specchio del bagno di un aereo Lenù, con il passaggio di testimone tra Margherita Mazzucco e Alba Rohrwacher. La ritroviamo di spalle con un lungo e leggero abito verde dirigersi nella hall di un albergo per chiamare l'Italia dove le sue figlie sono rimaste con il padre dopo la fuga con Nino Narratore (Fabrizio Gifuni). La saga letteraria di Elena Ferrante è tornata con l'adattamento televisivo de L'amica geniale - Storia della bambina perduta, quarto e ultimo romanzo della tetralogia. Dopo il passaggio a Tribeca Film Festival, la messa in onda negli Stati Uniti su HBO Max, la serie arriva - finalmente - anche in Italia.
Alba Rohrwacher e Irene Maiorino
Dopo le prime due stagioni dirette da Saverio Costanzo - rimasto nella veste di produttore esecutivo e sceneggiatore insieme a Francesco Piccolo, Laura Paolucci ed Elena Ferrante - e Daniele Luchetti alla guida del terzo capitolo, ora è il turno di Laura Bisturi di sedere dietro la macchina da prese dei dieci episodi finali.
La separazione
Il capitolo 25 de L'amica geniale 4, intitolato La separazione, racconta dei mesi ed anni immediatamente successivi alla decisione di Lenù di lasciare la vita che si era costruita accanto a Pietro (Pier Giorgio Bellocchio) per seguire l'amore viscerale e totalizzante per Nino Sarratore. Un sentimento così forte, profondo, impetuoso da convincerla a lasciare le sue due bambine, Dede ed Elsa, alle cure della nonna paterna. Un ambiente fatto di regole e disciplina, di stabilità. La stessa che lei, sempre con la valigia in mano per lavoro e per amore, non può darle.
Fabrizio Gifuni e Irene Maiorino ne L'amica geniale 4
È drammatico il racconto di questa donna che alla fine degli anni Settanta attraversati da dibattiti, tensioni, contestazioni e tentativi di rivoluzione ammette a sua madre arrivata da Napoli per farle fare pace con il marito che "vuole bene ad un altro". Una confessione dalla quale non si può tornare indietro, che - una volta pronunciata ad alta voce - diventa realtà. Tutti, dal marito alla suocera passando per la madre, vogliono decidere per lei, farle ammettere di aver sbagliato e dimenticare quella fuga. Una madre separata con figli e ambizioni. Ognuno di loro sembrano dirle che le due cose insieme non possono coesistere, che deve rinunciare. Ma Nino Sarratore è per Lenù come il canto delle sirene. Seducente e fatale.
Una donna divisa in due che deve fare i conti prima di tutto con se stessa e una verità difficile da accettare nell'intima confessione interiore con il proprio io. Il corpo e la voce di Lenù, che nelle stagioni precedenti erano separate, si uniscono grazie ad Alba Rohrwacher che a quella voce fuori campo regala un volto, gesti, movimenti. La sua Lenù smette di subire e decide, con tutto il dolore e i sensi di colpa che questo comporta, di provare ad essere lei alla guida della sua vita. Non è un caso che il suo libro parli "dell'invenzione della donna da parte dagli uomini". Ora è lei che inventa se stessa. O almeno così crede. Perché Nino Sarratore è il manipolatore di sempre che la muove come un burattino.
La storia privata e collettiva
Fabrizio Gifuni e Alba Rohrwacher in un momento della serie
La Storia, come nelle stagioni precedenti, è sia sullo sfondo che in modo diretto nel racconto. Il rapimento di Aldo Moro, i posti di blocco, i morti ammazzati, la violenza fascista, la prevaricazione maschile che passa anche solo per il cognome tramandato di padre in figlio. C'è tantissimo nel primo episodio de L'amica geniale - Storia della bambina perduta che Laura Bispuri decide di riprendere concentrandosi sui primi piani dei suoi protagonisti - un cast tutto nuovo che coinvolge, tra i tanti, Stefano Dionisi, Lino Musella, Edoardo Pesce e Sonia Bergamasco - e i dettagli strettissimi di mani che si cercano, soffrono, provano rabbia e sconforto.
Chi manca quasi del tutto fisicamente, ma è una presenza quasi asfissiante per Lenù nel corso di tutto l'episodio, è Lila. L'amica con la quale ha un rapporto di attrazione e respingimento che le accompagna dall'infanzia. Rimasta a Napoli, la giovane donna è diventata un'imprenditrice informatica. Ad interpretarla Irene Maiorino, attrice dalla somiglianza incredibile con Gaia Girace, che cerca di mettersi in contatto con l'amica scrittrice per metterla in guardia su Nino.
Dispersione
Il capitolo 26, Dispersione, racconta dell'ulteriore perdita di coordinate di Lenù. Pronta ad andare a vivere a Napoli con le sue bambine insieme a Nino in una casa da cui si vede il mare, la voce narrante de L'amica geniale scopre le bugie dell'amato e decide di dirottare temporaneamente la sua vita a Milano ospite con le figlie della cognata Maria Rosa (Bergamasco) che vive insieme all'amore di gioventù Franco (Dionisi). Quella di Nino è una delusione enorme che la schiaccia e non le permette di scrivere nonostante abbia firmato per un nuovo romanzo. Anche in questo episodio la sceneggiatura inserisce la tematica femminile grazie a una riflessione sui "corpi informi" delle madri che non sono "corpi di donna" agli occhi dei loro figli. Lenù, come tante donne di quegli anni e di oggi, tenta una riappropriazione di se stessa. Essere donna oltre la maternità, oltre lo sguardo maschile.
Ma in lei c'è forte una divisione interiore. Da un lato la consapevolezza e il pensiero, dall'altra il cuore. Quello che la fa sentire come una bugiarda quando viene rappresentata libera e autonoma. Anche in una scelta non convenzionale per l'epoca, Lenù finisce per essere come la protagonista di un copione visto milioni di altre volte. Una donna innamorata che accetta tanto, troppo. Anche di essere una moglie parallela. Ma una volta tornata a Napoli, Lenù non deve affrontare solo le sue scelte di vita sentimentale. Deve tornare faccia a faccia con il rione. Lo stesso dal quale era fuggita anni prima, un cumulo di vie fatte di violenza, maschilismo e nessuna prospettiva di crescita. È arrivato il momento della resa dei conti.
Conclusioni
Quarto e ultimo capitolo della saga letteraria di Elena Ferrante, L’amica geniale -Storia della bambina perduta è l’ultima stagione della serie HBO e Rai-Fiction. Alla regia Laura Bisturi che prende il testimone da Saverio Costanzo prima e Daniele Luchetti poi. Nei primi due episodi vediamo Lenù, interpretata da Alba Rohrwacher che unisce corpo e voce della protagonista - cercare il suo posto nel mondo dopo la separazione con il marito e l’inizio della relazione con Nino Sarratore. Due episodi incentrati sulla scrittrice e il suo dramma interiore. La Storia, da prese presente nella serie, ci parla dell’atmosfera tesa della fine degli anni Settanta mentre la regia si concentra sui dettagli per enfatizzare un senso di vicinanza con i protagonisti.
👍🏻
La regia intima di Laura Bisturi.
La scelta del cast che “si parla” con i personaggi e le stagioni precedenti.
La riflessione sul femminile.
La Storia sempre presente in modo diretto nel racconto.
👎🏻
La poca presenza di Lila, anche se funzionale al racconto.
#l'amica geniale#my brilliant friend#l'amica geniale 4#my brilliant friend 4#la storia della bambina perduta#hbomax#hbo#rai 1#elena ferrante#lila#lenu#lenu greco#alba rohrwacher#irene maiorino
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Shirin&Arsen
Nevermore Academy – Palestra
Il ticchettio delle decolté echeggiava ritmico tra le pareti antiche dell’antica Academia. Shirin Edgerton procedeva quasi senza guardarsi intorno con quel fare naturalmente elegante di cui era dotata, lo sguardo fisso d’innanzi a sé, ben decisa sulla direzione in cui quei passi l’avrebbero condotta. Non era ordinario vederla in quegli spazi della Nevermore, giacché la dottoressa trascorreva la maggior parte del suo tempo nell’infermeria e, solo di rado, si faceva vedere altrove.
Gli ultimi tempi l’avevano vista quasi sempre lontana da lì, persino trascurando i doveri per i quali aveva deciso di farsi assumere, perché, senza menzogne, la sua priorità era sempre stata un’altra ed aveva un nome ed un volto preciso. Tyler Galpin.
Il ragazzo che nascondeva dentro sé il mostro di nome Hyde, era stato l’obiettivo principale di Shirin fin dall’inizio. Trovarlo era stato l’unico pensiero che aveva mosso le sue scelte, essergli d’aiuto l’unica volontà a cui la donna voleva adempiere.
Ci era riuscita, sebbene non nella maniera che aveva immaginato, Shirin avrebbe voluto evitargli di finire al Willowhill anche solo di passaggio, ma aveva dovuto fare buon viso a cattivo gioco e accettare quel compromesso per poter avere il tempo di lavorare sulla gestione della bestia che dimorava nell’animo e nel corpo del giovane Galpin.
Shirin lo doveva a Francoise e, soprattutto, lo doveva a quel ragazzo a cui il mondo intero aveva voltato le spalle e abbandonato a sé stesso.
La donna arrestò la sua avanzata solo una volta giunta nella palestra della Nevermore dove, l’ultima sessione di lezione di scherma era appena terminata. Gli studenti sfilarono ai fianchi di Shirin tutti con fretta evidente. La dottoressa dispensò qualcuno dei suoi soliti sorrisi e, solo quando i ragazzi si allontanano definitivamente, ella si decise ad avanzare di nuovo. Le braccia conserte e l’espressione seria.
-Prima o poi dovremo parlarne Arsen. Ne sei consapevole?
Domandò in via del tutto retorica non appena fu certa che Arsen Addams potesse udirla.
Nell’arrivare alla Nevermore, gli obiettivi di Arsen Addams erano ben differenti dai propri. Lui voleva proteggere sua nipote eliminando la fonte di quel male mostruoso che l’aveva colpita nel corso del precedente anno. Shirin aveva taciuto in proposito per non destare sospetti e non se n’era pentita neppure per un momento. Eppure, nonostante l’evidenza della distanza fra le loro intenzioni, Shirin si era sentita in dovere di andare fin lì da lui. Non per domandare scusa, non aveva in sé alcuna traccia di rammarico per quanto compiuto, ma per ribadire, forse, le intenzioni che l’avevano condotta a quelle scelte.
Perché altre mille volte Shirin avrebbe scelto di aiutare Tyler e per altre mille, ancora, avrebbe deciso di proteggerlo da tutto e tutti.
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Il tipo di domanda che bussa alla porta e fa vibrare la serratura, chiedendo una risposta risoluta e senza mai alzare una scarpa per spostare la sua ombra dal gradino, sta semplicemente facendo del suo meglio per ingannarti e bloccare la luce.
Ci sono due modi per rispondere a una domanda del genere. Il primo è alzarsi in punta di piedi e guardarsi alle spalle e menzionare educatamente la fila di dubbi, suppliche, contestazioni e obiezioni che ha causato dietro di sé. Dovrai attirare l’attenzione sul fatto che si estendono lungo il sentiero fino al cancello del giardino.
L’altro è più subdolo. Inviti la domanda entrare, le offrì la sedia migliore, le versi da bere, le chiedi di aspettare solo un momento, poi silenziosamente esci dalla porta sul retro.
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Kevin Mark Ireland
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~ Il pianista e la bambina ~
Primo pomeriggio d'estate. Di quelli che si suda da fermi ed a trovare la forza di stare fuori, correndo nella calura dell'asfalto tremolante, ci possono riuscire solo i bambini.
In quel complesso di palazzine popolari, l'eco di un pianoforte, proveniente da uno degli appartamenti al piano rialzato, si fa strada tra gli schiamazzi infantili ed i rimbombi delle pallonate. Sotto la finestra mezza aperta di quell'appartamento, una bambina è seduta spalle al muro, sul suo super-santos, testa inclinata sulla spalla, lunghi capelli raccolti di lato, occhi socchiusi, sembra che dorma. In effetti sta sognando, trasportata da quelle note, a tratti incerte, di Chopin.
Per lei quella musica è un richiamo più forte di quello dei giochi con le sue amiche. Le fa battere il cuore. Ed il pensiero che a creare quella melodia siano le mani di quel ragazzo delicato e sfuggente, glielo accelera al galoppo. Lo immagina col capo chino, il ciuffo biondo scomposto che ondeggia, le dita veloci tra i tasti bianchi e neri, l'aria concentrata e mesta, la maglietta bianca. Non scende mai a giocare con gli altri ragazzini, raramente lo ha visto affacciarsi. Lei sa che lui è lì in casa soltanto quando inizia a suonare e, sedendosi sotto la sua finestra, gli fa segretamente compagnia mentre studia.
Mentre segue mentalmente i passaggi che stanno per portare al punto più struggente della composizione, lui smette di colpo di suonare. Le ci vuole un po' prima di realizzare che forse la musica non avrebbe ripreso, così alza di riflesso la testa verso la finestra, quasi a voler capire perché, trovandolo lì che guarda in basso verso di lei. Le mani del ragazzo stringono forte l'inferriata, le labbra socchiuse come in procinto di dirle qualcosa. Sembra un angelo in gabbia. Quegli occhi chiari, i più belli mai visti, che fissano proprio lei, sono un tuffo al cuore troppo grande per una bambina di dodici anni e, senza aspettare che parli, corre via col cuore in gola e la faccia sudata, paonazza di imbarazzo.
Lui rimane lì, immobile, e quello che non aveva trovato il coraggio di dirle gli muore in gola, mentre fissa il pallone della ragazzina rotolare sul marciapiede. Un filo di voce sarebbe bastato a richiamarla, a dirle "resta ancora per favore", ma ha solo quattordici anni e, con essi, tutte le insicurezze ed i turbamenti del mondo. Aspetta a lungo sperando di rivedere quei grandi occhi nocciola tornare a recuperare il pallone, ma alla fine si arrende e scende lui a prenderlo. Sul pallone c'è scritto in stampatello perfetto "di Stefy", con la bic blu calcata e ricalcata più volte. Di lei in giro nessuna traccia, così non gli resta che lasciarlo nel portone del palazzo dove sa che lei abita.
Da quel giorno, lei continuò ad ascoltarlo suonare ma sedendosi qualche metro più in là, dove la musica arrivava ancora forte e chiara, forse ingenuamente convinta di non essere più vista così. Lui tra un esercizio e l'altro, suonò sempre un pezzo di quel brano di Chopin, guardandola attraverso il riflesso dell'anta della finestra mezza aperta, come aveva sempre fatto. Era un modo per salutarla, per farle capire che lui sapeva della sua presenza anche se non stava più sotto la sua finestra.
Crescendo, lei tornò un passo alla volta alla sua vecchia postazione, fermandosi lì sotto al ritorno da scuola. Restava un po' appoggiata al muro, occhi socchiusi, zaino in spalla e vocabolario abbracciato e, quando lui smetteva e si affacciava, non scappava più. Anzi divenne quasi un appuntamento, solo per guardarsi appena e dirsi timidamente "ciao". C'era tanto in quel sospiratissimo "ciao".
Passò così qualche primavera e venne il tempo del conservatorio, "quello prestigioso a cui mica vengono ammessi tutti", andava vantandosi la madre. E la finestra si chiuse.
Anni dopo, in una freddissima mattina di gennaio, in cui non ci si aspetta niente dalla vita, nella cassetta della posta le venne recapitato un invito per un concerto al Teatro San Carlo. L'azzurro della carta di quell'elegante invito le ricordava già quegli occhi, rimasti tatuati nella mente, prima ancora di aprirlo. Tra i vari titoli in programma c'era scritto "Chopin Studio Opera 10 n. 3 esegue il maestro Gennaro De Paola". Bum!
"È lei... È venuta davvero?". Quella sera lui si sentí mancare un po' la terra sotto i piedi quando la vide seduta al posto riservato. Quella che gli sorrideva era una stupenda, elegante, giovane donna. Di quella ragazzina erano rimasti solo i grandi occhi nocciola, scintillanti sotto le luci del teatro. "Ciao" lesse sulle sue labbra. Le sorrise timidamente di rimando, mentre si accomodava al pianoforte mantenendo più contegno possibile. Le luci si abbassarono e le mani sudate smisero di tremare solo quando toccarono i tasti.
Le note che conosceva a memoria riempirono il silenzio e coprirono il rumore del tamburo impazzito che era il suo cuore. Ed anche se la sala era gremita di gente lui suonó per lei, solo per lei, tra mille brividi, guardandola finalmente negli occhi come aveva sempre sognato.
Le note che conosceva a memoria riempirono il silenzio della sala ma, dopo tanto tempo, fu come sentirle per la prima volta mentre a stento conteneva l'emozione che le affannava il respiro. Finalmente, tra mille brividi, lei poteva guardarlo suonare senza nascondersi più.
@conilsolenegliocchi 🐞
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Episcopalians on Facebook
Hayden Vaughn
President Trump,
1. Much like those who do not want you to be president, you do not get to decide whether a bishop’s office is legitimate. She was chosen by the people of her diocese to be their bishop. Then, she was granted consent to be a bishop by other bishops and standing committees of our church’s dioceses. Beginning by calling her a “so-called” bishop is an obvious low blow to discredit her as a person, rather than what she actually said that you disagree with. The Episcopal Church was legitimate enough to hold your third wedding, the funeral of Melania’s mother, and the baptism of your son, Barron. Barron also attended an Episcopal day school. Now you have an issue with how we do things when it doesn’t go your way?
2. You didn’t have an issue with politics being brought into the church by the ministers who spoke at your inauguration, or by yourself for that matter. They were blatantly partisan, crediting God for your political success: “Mr. President, the last four years there were times I'm sure you thought it was pretty dark, but look what God has done," Graham said.
3. She wasn’t nasty in tone, plain and simple. I can’t remember ever hearing a homily given in such a gracious manner and calm tone. If you disagree, listen to her speak. You may disagree with what she said, but her tone was in no way “nasty.” Additionally, insulting her intelligence, rather than quoting what you disagreed with, is a very typical play coming from a narcissist.
4. The vast majority of people who have committed crimes in the U.S. are U.S. citizens. Defending yourself about being asked to have mercy on immigrants by saying a “large number of illegal migrants came into our country and killed people” is a gross misrepresentation and does not make sense. By that logic, we should be locking up or deporting all Americans because the majority of crimes were committed by citizens. We do need to improve our immigration system, but scripture commands us as Christians to have mercy. Mercy is a central tenet of our faith. Matthew 5:7 says “Blessed are the merciful, for they will be shown mercy. Leviticus 19: 33-34 says, “When a foreigner resides among you in your land, do not mistreat them. The foreigner residing among you must be treated as your native-born. Love them as yourself, for you were foreigners in Egypt. I am the Lord your God.” If you have a take issue with this, take it up with God.
5. Saying the service was boring and uninspiring is a move to discredit the event, rather than what specifically was said. However, it’s worth mentioning that the purpose of a service is not to be “exciting”. There are several purposes for our services, such as honoring God, bringing us closer to God, and being in community with one another. Being “exciting” is not one of them. As far as inspiration goes, that is in the eye of the beholder. You get as much out of it as you put into it.
6. The bishop does not owe you an apology. Our church does not owe you an apology. All you were asked to do is what scripture directly asks us to do. If you could quote one thing she asked of you that isn’t asked of us in scripture, we would apologize. Someone recently reminded me of something I often heard growing up in church. If you are offended by a minister’s sermon or feel that it was a personal attack, look to see if you can find anything they said that was out of line with scripture and the teachings of Jesus. If you can’t, that feeling is what we call, “being convicted of your sin”. The fact you are so offended by what was said shows you know there is truth in it. To your supporters who also feel offended by it, the same goes.
E dopo quel post Mariann Budde dovrà guardarsi le spalle in ogni minuto della sua vita pubblica. Soprattutto con i criminali dell'assalto al Campidoglio rimessi in libertà e desiderosi di vendetta.
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🖤
Quanto sono belle le persone serene.
Da loro non c'è mai da guardarsi le spalle, perché chi sta bene con sé, non fa mai male agli altri ♡
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La spada di Damocle
L' uso dell’espressione "spada di Damocle", con il significato di minaccia sempre presente, grave pericolo che incombe su una persona, si è diffuso dal XIX secolo, ma la leggenda a cui si collega è molto più antica. Quella della Spada di Damocle è una metafora tramandata da Cicerone nella sua opera "Tuscolanae disputationes", in cui si riprende l'aneddoto dello storico Timeo di Tauromenio. Il protagonista del racconto è Damocle, abitante di Siracusa nel periodo della tirannia di Dionigi il Vecchio (430- 367 a.C.). Damocle, invidioso della sua autorità e prestigio, adulava il tiranno per la fortuna che aveva a vivere nella sua condizione. Un giorno fu invitato dallo stesso Dionigi a sedere per una volta sul suo trono al suo posto nel corso dello svolgimento di un ricco banchetto. Durante la cena l'adulatore si accorse di una spada sospesa in aria proprio sulla sua testa, legata ad un sottile crine di cavallo. Essa pendeva in maniera talmente precaria che sarebbe potuta cadere da un momento all'altro e ucciderlo. Intimorito da quella minaccia, Damocle pregò subito di poter abbandonare il trono per tornare ai suoi umili panni di cortigiano. Dionigi aveva posizionato la spada in bilico sul trono per dimostrare a Damocle il rischio che si nasconde dietro al potere di un uomo in una posizione di comando. Una tiranno, infatti, deve guardarsi continuamente le spalle dai rivali, non sa di chi potersi fidare e vive nel timore che qualcuno possa sovvertire lo stato delle cose. Ergo, la spada di Damocle dimostrava la doppia faccia del potere.
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Il Salvatore II
Redenzione soprannaturale offerta
Avendo compreso l’azione di redenzione presente nell’evoluzione interiore, possiamo passare a capire la più complessa redenzione offerta.
Pensate a un santo che è vicinissimo all’unione con Dio, vive nella pace, ha già le sue lotte per via dell’azione redentrice spontanea ma viene consolato immensamente dalla pace che gli infonde lo Spirito Santo e dona facilmente a Dio il dolore che gli provocano. Se questo santo è cristiano sa di avere una scelta, lo impara e ci crede per fede: se vuole farsi simile al suo Maestro può offrirsi vittima. Deve farlo volontariamente perché non è un’azione spontanea, non è parte delle leggi che governano il mondo nonostante le sfrutti, non è evolutiva, è molto di più, è un’invenzione soprannaturale che solo chi conosceva perfettamente le leggi di Dio, il suo stesso Verbo, poteva creare.
Non essendo spontanea va espresso il proprio fiat, la volontà personale di offrirsi come vittima per i peccatori.
Ma chi sono questi peccatori? Tutti noi? Ah sì certo lo siamo tutti e tutti dobbiamo proseguire senza sosta la nostra purificazione ma, alla luce di quanto abbiamo detto prima (precedente articolo), chi sono i peccatori?
I distruttivi. Quelli che mai vorrebbero guardarsi dentro, mai vorrebbero migliorare, mai vorrebbero purificarsi, quelli che hanno tonnellate di impurità e irrisolti, risposte distruttive inconsce e dolori occultati che quando salgono fanno un male cane. Sono coloro che, tra l’altro, spingono tante altre persone manipolabili, che di loro non sarebbero cattive, al male. Sono quindi anche pedine importantissime nella lotta contro il male. I distruttivi, nel cristianesimo, sono definiti dannati, lo sono già o sono vicinissimi ad esserlo. Sono gli irrecuperabili. Se ci pensate, anche a detta dei maggiori esperti di psicologia, la possibilità della conversione alla semplice bontà umana e naturale, nei narcisisti maligni, è talmente rara da poter essere convenzionalmente negata. È talmente insolita che gli psicologi stanno agendo al contrario, non potendo aiutare loro che non vogliono farsi aiutare, aiutano tutte le vittime e i complici, più o meno consci di esserlo, a conoscere il fenomeno e a liberarsi dalle trame negative innescate da questi individui. Se siete vittime di un narcisista maligno vi si dirà di scappare perché non cambiano. Potete cambiare mille terapisti ma la risposta rimarrà la medesima.
Gesù ha però creato, attuato e diffuso, sulla terra, un potente contrattacco, che agisce proprio sui distruttivi, l’unico che ha un potenziale di riuscita altissimo. Chi si offre vittima, infatti, prende sulle sue spalle il carico del peccatore, prova al suo posto quei dolori nascosti che quando salgono fanno un male cane, paga al posto suo e lo riscatta. Tornando alla metafora del pentolino col latte, l’azione del santo-vittima è proprio quella di trascendere tutta l’ebollizione del narcisista senza creare caos, senza schizzare, senza macchiare, senza scatenare distruttività, solo in nome dell’amore di Dio e dei fratelli, con l’ovvio risultato di togliere la distruttività dal mondo. Non solo quella presa in carico, perché quando il distruttivo fa del male, colui che lo riceve, a meno che non sia un santo, gestirà male il dolore a sua volta e lo trasformerà in ulteriori risposte distruttive o, per lo meno, nevrotiche o auto-distruttive. La propagazione del dolore e della distruttività è virale. Inoltre, come già accennato, quelli che erano, o sarebbero stati, influenzati al male dal distruttivo vengono liberati sia in caso fossero complici diretti sia che fossero manipolati inconsciamente al male. Infine c’è l’effetto, forse il più importante, di annullare la punizione che quella distruttività porta con sé. Tutto questo male infatti si paga e quando arriva il conto a livello di specie travolge con punizioni e catastrofi che l’uomo causa praticamente a se stesso, attirando su sé la distruttività. Per capirlo di più vi sprono alla lettura de ‘la comprensione della mente’, testo più dedicato agli aspetti del meccanismo psicologico dell’inconscio, che scatena questo fenomeno di restituzione inconscia della distruttività, a livello personale e di specie, per puro tentativo di risoluzione.
Questo concetto è simile a quello del karma, che è molto compreso e diffuso ormai in tutto il mondo, però è molto poco compreso in termini cristiani. Il karma viene inteso quasi sempre come personale e sottintende la continuità della vita sulla terra, ma si sa che ci sono effetti karmici anche più ampi, a livello di nazione, di specie e più veloci come quelli del karma istantaneo. Il concetto che il peccato si paghi caro e la nozione delle punizioni divine, invece, che sono identici nel senso, ad esclusione della credenza in molteplici vite, fanno quasi allontanare dalla cristianità, che si vede come religione severa, accusatrice, nonché triste, per via della speciale missione che assolve. Un trattamento più ingiusto a chi sta garantendo la salvezza dell’essere umano come specie non è stato riservato mai a nessuno, fuorché al suo Capostipite. Stiamo trattando queste perle di Santi e di saggezze esattamente come abbiamo accolto Gesù. Per questo la traduzione spicciola in linguaggio semplice e comune di alcuni dei capisaldi della cristianità può tornare utile, almeno spero, a far capire il suo infinito valore.
Tornando alla punizione, che sia personale, di massa, di nazione o addirittura di specie, io personalmente credo che pochissime di queste siano dovute a diretti interventi divini. Ci sono anche questi sicuramente e a volte avvengono proprio attraverso i santi. I figli di Dio diventano infatti delle ‘prove’ per gli altri e come vengono accolti è un test e un giudizio per tutti coloro che orbitano intorno a lui. Molto più spesso, però, siamo semplicemente soggetti alle leggi di natura che conosciamo e sfruttiamo bene a livello esteriore ma non capiamo affatto a livello interiore. Tali leggi operano perfettamente e quando noi le trasgrediamo, prendendo come un insignificante dogma quello della conseguenza del peccato e non sapendo come funzioni il nostro inconscio, ci attiriamo sciagure, guerre, devastazioni e catastrofi, causate solo ed unicamente dalla nostra negligenza nell'evolvere interiormente. Dobbiamo allora capire come operano queste leggi e cos’è il peccato.
Se non capiamo che ogni nostra azione ha conseguenze gravissime sia per noi stessi che per gli altri e se non capiamo il grande ruolo che copre la gestione del dolore nel ripulire le nostre azioni esterne, non riusciremo a capire il Mistero della Croce.
LEGGI E RUOLO DEL DOLORE
Partiamo dalle leggi. La coscienza stessa è dotata intrinsecamente di un potere proiettivo per risolvere le dinamiche psicologiche irrisolte. Interiormente siamo delle opere incompiute ed essendoci urgente bisogno di evolvere e migliorare, meno ci si dedica alla pulizia della propria coscienza più si richiama una proiezione, ossia un’esperienza esterna, che dona possibilità di farlo, per cambiare.
Queste esperienze comportano un nuovo passaggio attraverso il dolore, poiché il ruolo del dolore è cruciale, essendo il sentimento spartiacque tra distruttività e creatività. Avendolo precedentemente buttato nell’inconscio e trasformato in distruttività, l'inconscio causa esperienze esterne atte alla sua risoluzione. Il processo di proiezione di cui parliamo è dunque di dinamiche prettamente psicologiche. Più si ignora l’inconscio più esso fa baccano esternamente. Non è una punizione, in realtà, ma un’eccellente meccanismo di riproposizione delle dinamiche psicologiche arretrate nell’essere umano. Possiamo addirittura dire che se il contenuto celato nell’inconscio è ignorato e distruttivo, il meccanismo che lo ripropone è invece super conscio e tende a costringerci alla purificazione nonché all’evoluzione della coscienza umana, proprio per evitare che arriviamo ad auto-distruggerci come specie.
Il dolore vissuto, risolto e trasceso porta amore in sé e per gli altri, comprensione, empatia e compassione. A livello personale, più si vigila interiormente e più pace e ordine si proverà, l’unico limite a tale pace è dato dal fatto che oltre ad essere individui siamo parte di una specie e viviamo comunque nella proiezione della distruttività insita nella coscienza umana. Per questo i più evoluti stanno meglio da soli.
La proprietà di riproposizione degli irrisolti garantisce l’opportunità di cambiare ed evitare che il dolore si trasformi in distruttività, a tutti. La reazione però, come detto, può essere estremamente diversa. Se per chi si dedica alla propria santificazione è una purificazione e per i manipolati inconsciamente al male è un’opportunità di risveglio e conversione al bene, diventa giudizio per chi si rifiuta di guardarsi dentro e mettersi in discussione. Quando il narcisismo è distruttivo, come dicevamo, il cambiamento è davvero poco probabile. Nonostante non ci sia nessun impedimento, l’atteggiamento superbo di negazione e di proiezione verso gli altri delle proprie colpe, trasforma la grazia in giudizio. La grazia di essere venuto in contatto con un figlio di Dio che lo costringe alla purificazione diventa giudizio quando il maligno punisce il suo catalizzatore. Quando questo giudizio si compirà non sta a noi saperlo. Nel cristianesimo è nota la nozione che i peggiori vivono il giudizio e la punizione alla morte quando la coscienza finalmente si apre e si palesa per ciò che è, restituendo tutto il male dato e pensato.
Se capiamo il potere proiettivo dell'inconscio a livello individuale e lo portiamo a livello di nazione o addirittura di specie, come purtroppo è il nostro caso, capiremo facilmente che, vivendo la maggioranza senza guardarsi dentro, senza volersi purificare e mettere a posto la coscienza, la stessa coscienza umana proietta forti esperienze dolorose per dar modo a tutta la specie di svegliarsi da questo torpore interiore e fare il proprio dovere evolutivo come esseri umani. Questo purtroppo equivale a vivere guerre, calamità e catastrofi che nessuno vuole vivere.
La vigilanza interiore, la pulizia della coscienza, la meditazione, la lectio divina, la preghiera, tutti questi sono gli strumenti che abbiamo per evolvere interiormente e sono parte integrante del cristianesimo. Colgo l’occasione per spezzare una lancia anche per la confessione, tanto poco apprezzata e capita. Essa tenta di costringere i più pigri a guardarsi dentro con onestà, anche quel tanto che basta per riferire ciò che si è visto con chiarezza nella coscienza. È un tentativo di spingere l’attenzione del tiepido dentro di sé per cominciare il lavoro di conoscenza di sé indispensabile alla purificazione interiore; è un primo freno alla distruttività personale.
In parole povere dobbiamo rendere conscio l’inconscio, ciò che ignoriamo in noi, le risposte distruttive non solo esterne bensì interiori. La pulizia interiore è più importante del controllo delle azioni, perché è da ciò che abbiamo dentro che scaturiscono le risposte e le azioni e solo una coscienza pulita può operare il bene.
Se quanto detto e, spero, meditato, ha aperto un orizzonte sul funzionamento e sull’impatto del nostro mondo interiore sul mondo esterno, potrete tranquillamente capire ora l’amore perfetto di Gesù nonché il Mistero della Croce, a cui dedicheremo il prossimo articolo, rendendo evidente il ruolo di Salvatore di Gesù Cristo.
Abbiamo già anticipato che ci sono tre gradi nell'evoluzione interiore, considereremo i primi due brevemente per aiutarci a capire più agevolmente il più raro e potente di tutti: l’immenso mistero della Croce.
Nel primo grado l’individuo soffre per la distruttività che ha dentro e per il suo dolore personale precedentemente mal gestito. Se si occupa in autonomia della sua purgazione interiore sta progredendo semplicemente come individuo dalla necrofilia (distruttività-odio) alla biofilia (creatività-amore).
Chi invece si dedica costantemente a questa opera di purificazione e lo fa interiormente, comincia a purificarsi più profondamente, ad assorbire e trasmutare il male in bene, la distruttività in amore, a livello di specie. Questo è il secondo grado. Come specificato, diventa un catalizzatore di purificazione in modo localizzato, ossia per chi è in contatto con lui e aiuta tutti coloro che si impegnano in questa trasformazione.
Il terzo grado è raggiunto da pochi. L’amore perfetto di Gesù è una vera e propria presa in carico del dolore altrui, personale o generale, per porre un freno alle inevitabili conseguenze che l’inconscio proietterebbe esternamente. Questo amore non ha alcun limite spazio temporale, è del tutto soprannaturale.
Non è perdono o trascendenza è molto, molto di più. La redenzione offerta è la goccia che non fa traboccare il vaso.
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Blue feather
Parte III
Le profezie non sono mai semplici da interpretare, e molto spesso chi cerca di prevenire gli eventi non fa altro che accelerarli. Gli Dei è così che comunicano, parlando di tutto ciò che può essere potendo districarsi attraverso ogni variabile del fato, e rimanendo incomprensibili agli umani che riescono a cogliere solo il loro singolo piano d’esistenza. I Corvidei, in quanto messaggeri degli Dei, sono gli unici che possono riuscire a fare da tramite tra i due mondi. Comprendendo gli Dei meglio degli umani, e fornendo loro una direzione tangibile in quanto parte del loro mondo.
Le raffiche di vento non furono più un problema quando la piccola gazza riuscì a trovare quella giusta da solcare, senza che dovesse sforzarsi troppo nel volo. Ora che doveva preoccuparsi solo di tenere d’occhio la sua meta decise di sfruttare il tempo che aveva per riportare alla mente i dettagli della missione. Non aveva una vera informazione sulla sua meta e sapeva solo di dover raggiungere un passo tra le montagne. I suoi genitori non le avevano spiegato nel dettaglio la strada che avrebbero preso, ne preparata ad affrontarla totalmente da sola, pensando che essendo ancora un pulcino avrebbe imparato imitando loro.
Gei dovette sforzarsi di ricordare ogni singola informazione che li aveva sentiti scambiarsi. Sapeva che lungo la catena montuosa c’era un castello, forse era la sua meta oppure vi avrebbe potuto trovare informazioni. Sua madre le aveva raccontato qualche storia sugli elfi e le altre razze per poterle distinguere e riconoscere i loro tratti caratteristici nelle folle. Ricordava il padre lamentarsi del numero dei nemici, ma Gei voleva credere che stesse esagerando quando parlava di 400 o 500 soldati.
Si chiese come avrebbe fatto a radunare un esercito per proteggere un intero villaggio e convincerli a seguirla se persino lei non sapeva cosa dovesse fare.
Con un frullio più forte delle ali si costrinse a non lasciarsi abbattere da quei pensieri. Era in missione, e l’avrebbe portata a termine anche per i suoi genitori. Aveva una meta e per il momento decise di preoccuparsi solo di questo.
Un’ombra dall’alto la coprì per un istante attirando la sua attenzione e facendola fermare di colpo, sbattendo freneticamente le ali per rimanere in quota mentre cercava di guardarsi intorno. Una gazza le si affiancò rimanendo a volteggiarle intorno con uno sguardo sorpreso. Era due volte il pulcino e le bastavano un paio di battiti di ali per rimanere al suo fianco.
Per un istante Gei aveva pensato che stesse per attaccarla, ma invece di vederla avvicinarsi la sentì gracchiare divertita e indicarle una piccola radura verso nord. Probabilmente non si aspettava di incrociare lei, un pulcino solitario, perché quando le diede le informazioni su dove trovare Fjdrhamr, l’artefatto che aveva identificato nella zona, assunse un’aria tra divertito e dubbioso come se non credesse davvero che quelle informazioni potessero servirle.
Gei avrebbe voluto ribattere che era anche lei una componente dei Corvidei, e che se il compito di quella gazza era dare dritte ai membri in viaggio avrebbe dovuto trattarla come una pari, ma si limitò ad accettare le informazioni e aggiustare la rotta nella direzione che la gazza le aveva indicato prima di allontanarsi.
Nel sentirla gracchiare divertita sempre più lontana alle sue spalle si costrinse a farsi forza per dimostrarle che poteva essere degna di quelle indicazioni come tutti gli altri. Avrebbe recuperato Fjdrhamr e avrebbe raggiunto la sua meta.
Gei Specie - Gazza (pica pica) Fase di vita - Pulcino Ambientazione - Fantsy
Basato sul manuale "Be Like a Crow", GDR in solitaria di Tim Roberts (Critical Kit) e portato in versione italiana da Mana Project Studio.
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IL POSTO DI ROSA MANNETTA
Il posto
Occorre guardarsi alle spalle. Bisogna evitare o schiacciare le persone ambigue che vanno dal dirigente di azienda, nella stanza della impiegata o dell’impiegato di turno. I pettegolezzi circolano come le fave che si versano dal cestino, come la frutta che deborda dal cestello del frigorifero. Ed ecco la frutta, le noci, le fave si diffondono come parole dispiegate per colpire. Colpire a segno. Il protagonista a cui sono rivolte le parole malefiche, deve tacere per vivere. Sceglie la strada silente come la roccia che non parla, che non ride, che non piange. Le persone ambigue meritano…cosa meritano? Prima o poi, succederà a loro, qualcosa di inaspettato. Si deve attendere. Vincenzo Cardarelli scriveva: “L’autunno passa…”.
Rosa Mannetta
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