#ferita torace
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pier-carlo-universe · 11 days ago
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Arrestato a Novi Ligure un uomo per aggressione con coltello: i Carabinieri ricostruiscono i fatti
Un episodio di violenza nel centro storico porta all’arresto del responsabile
Un episodio di violenza nel centro storico porta all’arresto del responsabile In data odierna, i Carabinieri del Comando Provinciale di Alessandria hanno comunicato l’arresto di un uomo accusato di aver accoltellato un conoscente nel centro storico di Novi Ligure, durante una lite. La vicenda, avvenuta pochi giorni fa, ha avuto un risvolto drammatico e violento, che ha richiesto l’intervento…
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raffaeleitlodeo · 1 year ago
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ELENA
Elena non la conoscevo. Così come non conoscevo Walter, Roberto, Fausto, Iaio, Ivo, Claudio. Tutti ammazzati dai fascisti in dodici mesi.
Settembre 1977, settembre 1978.
Ma la morte di Elena Pacinelli non è solo terribile. Non è morta sul colpo. Uccisa a freddo. Se n’è andata via in disparte, senza bandiere. Nell’anonimato di una malattia troppo precoce. Di lei, si sa poco o niente. Forse non solo per la riservatezza dei familiari.
E’ il 29 Settembre del 1977. Intorno alle 22 e 30, una Mini Minor si aggira in Piazza Igea. Un finestrino si abbassa e parte una scarica di proiettili. Destinatari i compagni che stazionano nella piazza. Un rosso vale l’altro.
Il quartiere è il Trionfale. Roma Nord. Un fazzoletto di palazzoni conteso dai fascisti della Balduina, che si sono già presi Vigna Clara e Monteverde.
Tre di quelle pallottole colpiscono Elena al torace e al polso sinistro.
Elena Pacinelli che ha solo diciannove anni. Un altro proiettile si conficca nel borsello di Claudio, senza conseguenze. Appena 48 ore prima un’altra compagna, Paola Cavignani, era stata ferita a pistolettate nei pressi della stazione Eur-Fermi della metro.
Elena non si è più ripresa da quell’agguato. Dopo un travaglio di sofferenze, un male incurabile e si è spenta. La sua storia è strettamente collegata a quella di Walter [Rossi], assassinato dai fascisti la sera successiva mentre denunciava proprio il ferimento di Elena.
Come per Walter, anche per Elena nessuno ha pagato nonostante mille evidenze sulla dinamica dei fatti. L'inchiesta è stata archiviata. Per sempre.
Alfredo Facchini, Facebook
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lamilanomagazine · 11 months ago
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Roma: il report del Dipartimento della Pubblica Sicurezza per il Capodanno 2024
Roma: il report del Dipartimento della Pubblica Sicurezza per il Capodanno 2024. Roma, i dati del Capodanno 2024 elaborati dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza, concernenti gli esiti dei servizi predisposti per la prevenzione ed il rilevamento degli incidenti derivanti dall’uso dei prodotti pirotecnici, corredati delle tabelle e dei grafici riepilogativi. La rilevazione dei dati è stata effettuata, come di consueto, con la procedura informatizzata di supporto all’analisi denominata R.I.Se.C. I dati relativi agli incidenti verificatisi nel corso dei festeggiamenti per il Capodanno 2024 hanno purtroppo fatto registrare un evento mortale a Napoli, una donna di 45 anni, nel comune di Afragola, è stata raggiunta alla tempia da un proiettile vacante nel corso dei festeggiamenti, probabilmente ad opera di un componente dello stesso nucleo familiare. La donna ricoverata d’urgenza all’Ospedale “Cardarelli” in prognosi riservata, successivamente decedeva. FERITI Il numero totale dei feriti è di 274, di cui 12 dovuto all’uso di armi da fuoco e 262 da fuochi d’artificio. I ricoverati di quest’anno sono stati 49. I dati evidenziano un aumento rispetto allo scorso anno in cui ci furono 180 feriti, con 48 ricoveri. Con riguardo, invece, ai minori che hanno subito lesioni, si registra un aumento sono infatti 64 i minori che hanno riportato lesioni, confronto ai 50 dello scorso anno. Inoltre, la proiezione dei dati sui feriti gravi ha registrato un aumento, in quanto ci sono stati 2 casi con prognosi superiore ai quaranta giorni, per ferita d’arma da fuoco, rispetto a 1 caso dell’anno precedente; mentre sono stati 25 i casi, con prognosi superiore ai quaranta giorni, dovuti ai fuochi d’artificio, rispetto ai 10 casi dell’anno precedente. Infine, le proiezioni dei dati sui feriti lievi, hanno fatto registrare lo stesso dato dello scorso anno ovvero 10 casi con prognosi inferiore o uguale ai quaranta giorni, per ferita d’arma da fuoco, mentre dai 159 casi con prognosi inferiore o uguale ai quaranta giorni, dovuti ai fuochi d’artificio, si è passati agli attuali 232 casi. Ancora una volta gli episodi più gravi devono essere ricondotti all’uso scorretto di prodotti pirotecnici di sovente illegali. Di particolare rilievo, risultano i seguenti episodi occorsi: - a Napoli: una donna di 50 anni giungeva al pronto soccorso in quanto attinta da colpo di arma da fuoco al fianco mentre assisteva ai festeggiamenti del Capodanno sul balcone della propria abitazione. Risulta in prognosi riservata e in pericolo di vita; - ancora a Napoli: un cittadino di nazionalità algerina di anni 50, mentre camminava in strada, veniva raggiunto da un proiettile che lo attingeva alla spalla e raggiungeva il polmone. Il predetto risulta in prognosi riservata in attesa di intervento chirurgico; - a Foggia: un uomo di anni 47 riportava lesioni con amputazioni multiple alle dita della mano sx e ustioni di secondo grado a seguito dell’esplosione di un petardo; - sempre a Foggia: un ragazzo di 17 anni, a seguito dello scoppio di un petardo artigianale, ha riportato l’amputazione della mano sx con prognosi di 30 gg; - a Grosseto: l’esplosione di un petardo nel corso dei festeggiamenti occorsi all’aperto feriva 3 minorenni. Il più grave è un minore di 15 anni che riportava la quasi totale amputazione della mano sx ed escoriazioni al viso e al torace. Vista la gravità delle ferite veniva trasportato all’Ospedale Careggi di Firenze; - a Milano: un 18enne di nazionalità egiziana, a seguito dell’esplosione di un artificio pirotecnico, riportava la perdita delle dita di entrambe le mani; - sempre a Milano: un uomo di 36 anni giungeva all’Ospedale di Legnano e veniva ricoverato in prognosi riservata con ustioni di III grado a mani e volto, per aver maneggiato polvere pirica nel tentativo di creare un manufatto artigianale; - ancora a Milano: una minorenne di nazionalità filippina, nel maneggiare un’arma ad aria compressa, riportava un trauma alla mano sx con prognosi di 30 gg.; - a Siena: un 15enne è stato trasportato con urgenza all’ospedale di Careggi di Firenze per le gravi lesioni riportate alla mano a seguito dello scoppio di un petardo avvenuto nel comune di Poggibonsi. La prognosi è riservata; - a Latina: tre minori di anni 15, 10 e 6 nel corso dei festeggiamenti nel giardino della propria abitazione situata a Terracina, nell’accendere una batteria di fuochi d’artificio riportavano feriti giudicate guaribili rispettivamente in giorni 30, 15 e 10 per ferite al volto e alle gambe; - a L’Aquila: nel comune di Pacentro, un giovane romano di anni 20, mentre si trovava in compagnia di 3 amici, rimaneva ferito alla mano dx per lo scoppio di un petardo. Trasportato all’Ospedale di Sulmona veniva sottoposto ad intervento chirurgico per la ricostruzione dell’arto. Prognosi superiore ai 40 gg s.c.; - a Varese: un minorenne di anni 17 riportava l’amputazione della mano dx e il ferimento dell’occhio sx a seguito dell’esplosione di un petardo; - a Trento: un uomo di nazionalità marocchina di 54 anni riportava l’amputazione del III raggio dopo aver raccolto un petardo inesploso; - sempre a Trento: un uomo di origine moldava di 23 anni perdeva la mano sx a seguito dell’esplosione di un petardo cosidetto “cipolla”; - a Lucca: un minorenne di anni 15 ha perso il pollice e l’indice della mano durante l’utilizzo di un petardo. Una valutazione globale sull’andamento del fenomeno registrato nel corso degli ultimi dieci anni, viene rappresentata dai grafici che seguono che riportano, in sintesi, il dato complessivo dei decessi, quello dei feriti con prognosi superiore ai quaranta giorni e quello dei feriti più lievi giudicati guaribili con prognosi inferiore o uguale ai quaranta giorni. Dalle comunicazioni trasmesse dagli Uffici periferici (oltre ai singoli dati inseriti nel sistema di rilevazioni R.I.Se.C.) e dai dati desumibili dalle open sources relative agli incidenti con feriti provocati dallo scoppio di prodotti pirotecnici, si rileva che le patologie tipiche prodotte dall’esplosione di prodotti pirotecnici ad “effetto scoppiante” si confermano essere i traumi alle mani e al volto. Frequenti sono le lesioni ai bulbi oculari e le fratture e/o amputazioni di dita e/o falangi. MISURE RESTRITTIVE E SEQUESTRI Durante il periodo del rilevamento che ha interessato l’intero mese di dicembre 2023, sono state denunciate 304 persone in stato di libertà, con un dato in aumento rispetto a quello dello scorso anno quando ne vennero segnalate 273, e sono state arrestate 50 persone in aumento rispetto alle 35 del dicembre del 2022. Di seguito si riportano i quantitativi complessivi dei materiali sequestrati nel mese di dicembre, anche se è possibile ipotizzare che nelle prossime ore i dati potranno subire degli incrementi in ragione di aggiornamenti tardivi del sistema, da parte degli Uffici territoriali: - n. 473 strumenti lanciarazzi (583 lo scorso anno); - n. 7 armi comuni da sparo (8 lo scorso anno); - n. 23 munizioni (11.953 lo scorso anno); - kg. 836 di polvere da sparo (1.818 lo scorso anno); - kg. 12.490 di manufatti appartenenti alla IV e V categoria Tulps (37.108 lo scorso anno); - kg. 41.755 di manufatti recanti la marcatura “CE” (26.246 lo scorso anno); - kg. 3.475 di prodotti comunque non riconosciuti e cioè non ricompresi nelle categorie Tulps o “CE” perché illegali, non correttamente etichettati, non conformi alle norme CE, non rispondenti ai decreti di riconoscimento e classificazione, abusivi e/o altro (9.866 lo scorso anno); - n. 156.085 di pezzi di articoli pirotecnici di varia natura che, per motivi operativi, sono stati indicati dagli Uffici in pezzi anziché in chili (1.785.815 lo scorso anno); - n. 186 detonatori (72 lo scorso anno); - n. 3521 capsule innescanti (1.301 lo scorso anno). Tra i motivi principali che hanno legittimato i provvedimenti di sequestro si segnalano: - l’illecita detenzione da parte di chi non ne aveva titolo; - la natura illegale degli stessi prodotti sequestrati, dovuta a mancanza di marcatura CE; - l’eccedenza dei carichi detenuti dai titolari delle licenze. ATTIVITÀ DI CONTROLLO Nella seguente tabella, sono rappresentati i dati aggregati concernenti le attività di controllo operate dalle Forze di Polizia nell’arco di tutto il mese di dicembre, presso le fabbriche, i depositi e gli esercizi di minuta vendita autorizzati con specifica licenza di P.S.: In conclusione, dunque, anche quest’anno i dati riferibili alle numerose attività info investigative operate sul territorio, quali i controlli amministrativi, gli arresti e i sequestri, testimoniano come l’impegno prodotto dalle Forze di Polizia, abbia consentito di prevenire l’illecita immissione in commercio di grandi quantitativi di prodotti pirotecnici illegalmente detenuti e il conseguente contenimento degli eventi dannosi.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Scontri in Cisgiordania, un palestinese ucciso a Nablus
Un palestinese è stato ucciso in scontri con l’esercito israeliano nel campo profughi di Askar vicino Nablus in Cisgiordania. Lo hanno riferito, citate dall’agenzia Wafa, fonti mediche palestinesi spiegando che il palestinese (25 anni) “è morto per una ferita grave al torace” e che ci sono anche altri 10 feriti. Incidenti e scontri sono stati poi segnalati a Tammun vicino Nablus e a Jenin nel…
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wdonnait · 2 years ago
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Antrace : cutanea, polmonare e gastrointestinale
Nuovo post pubblicato su https://wdonna.it/antrace-cutanea-polmonare-e-gastrointestinale/114895?utm_source=TR&utm_medium=Tumblr&utm_campaign=114895
Antrace : cutanea, polmonare e gastrointestinale
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L’antrace è una malattia infettiva causata dal batterio Bacillus anthracis. Può colpire gli animali e gli esseri umani e si trasmette attraverso il contatto con tessuti infetti o con polvere contenente spore del batterio.
Ci sono tre forme di antrace: cutanea, polmonare e gastrointestinale. La forma cutanea si manifesta con una lesione dolorosa sulla pelle, la forma polmonare si manifesta con febbre, tosse, difficoltà respiratorie e sudorazione notturna, mentre la forma gastrointestinale si manifesta con diarrea e dolori addominali.
La diagnosi di antrace è effettuata attraverso test di laboratorio che identificano il batterio nelle lesioni o nei tessuti del paziente. Il trattamento consiste nell’uso di antibiotici, come la penicillina o il ciprofloxacina. La prevenzione dell’antrace comprende la vaccinazione degli animali e la pulizia delle aree contaminate.
Come si contrae l’antrace?
L’antrace si contrae attraverso il contatto con le spore del batterio Bacillus anthracis, che possono essere presenti in tessuti infetti di animali o nella terra contaminata. Ci sono tre modi principali in cui le persone possono contrarre l’antrace:
Contatto con la pelle: la forma cutanea dell’antrace si sviluppa quando le spore del batterio entrano nella pelle attraverso una ferita aperta o una lesione.
Inalazione: la forma polmonare dell’antrace si sviluppa quando le spore del batterio vengono inalate e si depositano nei polmoni. Questo può accadere quando si lavora con animali infetti o con materiali contaminati.
Ingestione: la forma gastrointestinale dell’antrace si sviluppa quando le spore del batterio vengono ingerite e si depositano nell’intestino. Questo può accadere quando si mangiano cibi o bevono liquidi contaminati.
E’ importante notare che l’antrace è una malattia rara e solo un piccolo numero di casi si verificano ogni anno. La maggior parte dei casi si verifica in aree rurali o in paesi in via di sviluppo.
Antrace Cutanea sintomi
La forma cutanea dell’antrace è la più comune e si manifesta con i seguenti sintomi:
Una lesione dolorosa sulla pelle, che può essere una piccola ferita o una piaga. La lesione può essere di colore rosso, nero o viola e può avere un bordo arrossato e gonfio.
Dolore nella zona interessata, che può peggiorare con il tempo.
Formazione di una vescicola piena di liquido sulla lesione.
Febbre, brividi e malessere generale.
Linfonodi ingrossati nella zona vicina alla lesione.
I sintomi possono comparire tra 1 e 12 giorni dopo l’esposizione al batterio. Se non trattata, la forma cutanea dell’antrace può diffondersi ad altre parti del corpo e causare complicazioni come sepsi o meningite.
Antrace Gastrointestinale
  La forma gastrointestinale dell’antrace è meno comune rispetto alle altre forme della malattia, si manifesta con i seguenti sintomi:
Diarrea, dolori addominali, nausea e vomito
Febbre, brividi, e debolezza generale.
Perdita di peso e appetito
I sintomi possono comparire tra 1 e 60 giorni dopo l’esposizione al batterio. La forma gastrointestinale dell’antrace può essere grave e causare complicazioni come peritonite, sepsi, e shock settico. E’ importante che un medico venga consultato se si sospetta di avere una forma gastrointestinale di antrace. Il trattamento consiste nell’uso di antibiotici, come la penicillina o il ciprofloxacina. La prevenzione dell’antrace comprende la pulizia delle aree contaminate, la sterilizzazione degli alimenti, e la vaccinazione degli animali.
Antrace Polmonare
La forma polmonare dell’antrace è la meno comune e si manifesta con i seguenti sintomi:
Tosse, difficoltà respiratorie, febbre, sudorazione notturna e affaticamento
Dolore al torace
Cianosi (colorazione bluastra della pelle e delle mucose)
Emoftoe (emissione di sangue dalle vie respiratorie)
I sintomi possono comparire tra 1 e 60 giorni dopo l’esposizione al batterio, anche se possono comparire anche dopo mesi dall’esposizione. La forma polmonare dell’antrace può essere grave e causare complicazioni come insufficienza respiratoria, sepsi e shock settico. E’ importante che un medico venga consultato se si sospetta di avere una forma polmonare di antrace. Il trattamento consiste nell’uso di antibiotici, come la penicillina o il ciprofloxacina. La prevenzione dell’antrace comprende la pulizia delle aree contaminate, la sterilizzazione degli alimenti, e la vaccinazione degli animali.
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scorpiosass · 2 years ago
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Io avevo gli occhi color sangue
Braccia senza pace
Senza un cuore nel torace
Senza il tempo di poterti dire quanto mi dispiace
Dove giace il nostro corpo freddo, bianco, stanco morto
Dentro un vuoto che riporti in vita come il tuo ricordo
Tonfo sordo nel cadere
Dentro frasi, ragnatele
Quanto t'odio già lo sai
Quanto t'amo, stai a vedere
I miei problemi sono scogli, questi fogli sono chele
Che stringono forte tutto ciò che non mi è dato avere
Vita mia, voli via come sogni in avaria
Pronti all'atterraggio di emergenza sulla scrivania
Vengono a guarire il mio dolore, la mia malattia
Tornano a dividere l'amore, una lobotomia
Mammamia, brutto affare
Butto via le mie pare
Uso la magia del tuo sapore come intercalare
Nell'intercapedine di insulti poco salutare
Ora è tardi amore, ciao, ci dobbiamo salutare
Poi ti racconto un'altra
Un emozione, una canzone triste come ben so fare
Che gli adolescenti canteranno quando stanno male
Altri la dedicheranno a troie un po' per rimorchiare
Altri non l'ascolteranno neanche, forse, menomale
Vedo ovale, cerchi in testa, vedova delle mie gesta
Solo e triste come un contrabbasso che aspetta l'orchestra
Come un passo fatto falso scalzo nella mia foresta
Lars Von Trier, Antichrist, sei tu stessa la tua bestia
Lascia adesso, torna presto, fai come se non ti ho chiesto nulla perché tanto per te nulla vale tutto questo
Culla calda il nostro letto dove tu mi tieni stretto
Dove il sesso è un'amnesia che cancella tutto il resto
Vita mia stai planando
Qui si cade maturando
Qui ne va della mia sanità mentale, cristo santo
Fuori è caldo, ma l'inverno tornerà come ogni anno
Apri gli occhi e annaffia il melograno che si sta seccando
Ed anche quando questa storia che noi crediamo sia magica sarà finita
Io convincerò tutti i miei amici che non sei esistita
Mai come mai mi sono sentito amato nella vita
Sai come il tempo cura e non cancella ogni ferita
Hai cicatrici grandi come canyon che non vedo
Dai, lo sappiamo che volevo solo un vodka lemon
Poi mi son trovato una famiglia, un cane e un altro cane
Quando il vero cane sono io, vuoi vedere che fame
Non sono quello che tu hai conosciuto anni fa
Adesso non so neanche quale sia la mia città
Io che confondo la finzione con la verità
Odio le falsità
Chissà se capirai
Quando la guardo dentro gli occhi scuri vedo il vuoto
Come uno squalo bianco
Durante un maremoto
Riprendo fiato e nuoto, sembro Giovanni Caboto
Sulla terra ferma mi riposo e fisso la tua foto.
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gregor-samsung · 4 years ago
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“ Caterina non si perdeva in fronzoli, parlava schietto e preciso, forava il timpano dell’interlocutore con discorsi sensati; questa schiettezza, unita al moto perpetuo, la rese scomoda, odiata e perseguitata. Nel 1856 un ordigno di potenza inaudita scoppiò nei pressi di Caterina che non fece una piega, si tappò le orecchie per non sentire, il naso per non odorare e la bocca per non proferire timido sproloquio. Nel 1900, non ancora a cavallo delle due guerre, Caterina subì un nuovo attentato: si trovava con la zia Canuta a trascorrere una lunga mezz’ora di relax in una campagna verde e assolata, distribuita su tutta la superficie visibile fino all’incrocio tanto agognato con il mitico orizzonte. D’improvviso un rumore di cavalli a piedi fece sobbalzare i corpi mingherli di Caterina e zia Canuta. I cavalli sembravano inferociti, quasi cinghiali, quasi leoni con la zampa ferita, i denti aguzzini fuori dal circolo della bocca bagnata da una bavetta che anticipava l’estasi di un pranzo di lì a poco succulento. I cavalli, zoccoli alla mano, si dirigevano baldanzosi contro le due donne che erano paralizzate dallo spavento, inchiodate a terra con i corpi ancora seduti, quasi tranquilli, stranamente posati in un momento cruciale e violento. Caterina fece una mossa azzardata, armò il torace e lo scaraventò contro gli equini che ancora oggi giacciono martoriati in una terra di nessuno: Canuta, vecchia e poco agile, perì in un disastro aereo pochi mesi dopo l’attentato. Nel 1921, finalmente, Caterina morì in circostanze a dir poco rocambolesche: un trattore, di cui giace matricola e numero di telaio negli archivi della motorizzazione incivile, sfuggito al controllo del capo trattorista, esplose nei pressi di una casupola abbandonata dove Caterina si incontrava, nei giorni da lei ritenuti dispari, con l’amante Rodolfo di Bisantropo. Il sellino, ancorato a dovere, si scollò dal trattore in fiamme e colpì uno dei testicoli di Rodolfo di Bisantropo che, imbastardito, fece fuoco su Caterina senza che il suo gesto abbia mai destato curiosità alcuna. Il corpo stralunato della giovane venne inumato in un cimitero privato sito a seicento metri di distanza dal luogo della sciagura aerea in cui perse la vita la zia Canuta. Rodolfo, superati vari momenti di shock, si rifugiò in un castello e fece alcuni dei suoi bagagli per prendere baracca e burattini e trasferirsi, pro tempore, in una mansarda fuori mano da dove, arraffati pochi oggetti ed alcuni bagagli, si diresse verso una palazzina a tre piani. Entrato nell’appartamento preparò alcuni dei bagagli a lui più congeniali e si trasferì in luogo sicuro, una baita alle pendici del monte da dove, bagagli alla mano, reperì altri oggetti misti e un bagagliaio ampio dove mettere alcuni degli oggetti reperiti. Venne l’inverno, la stagione era rigida, Rodolfo correva carico di bagaglio alla ragguardevole velocità del suono, alcuni lo vedevano, tutti lo rispettavano, altri ne ignoravano l’esistenza e tiravano dritti. Le campagne rigate di bianca neve caduta in nottata erano strette dalla morsa del gelo, nessuno usciva, nessuno si mostrava, tutto il circondario era deserto, dalle rade finestre sporgevano teste intriganti che spiavano i passi di Rodolfo, ma se Rodolfo avesse avuto un reale bisogno, se Rodolfo si fosse tuffato da par suo nel vortice dei sentimenti, nessuno lo avrebbe soccorso, alcuno avrebbe compatito un uomo la cui unica colpa era quella di essersi incontrato con Caterina in giorni apparentemente dispari. Ma i giorni non si spareggiano tra loro, se alcuni giorni fossero veramente dispari avrebbero qualche cosa di diverso da altri che scorrono insulsi sulla pelle rattrappita fatta uomo. Rodolfo non faceva caso a queste piccolezze, tirava dritto lui e dritti i suoi bagagli, unico fronzolo ereditato dal padre nella prima fase della giovinezza quando tutto attecchisce e troppo sembra vago. “
Antonio Rezza, Non cogito ergo digito (romanzo a più pretese), La nave di Teseo (collana i Delfini, n° 62), 2019; prima edizione: Bompiani, 1998. [ Libro elettronico ]
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pyraaaaaaa · 4 years ago
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Scacchiera Gigante, Ottobre 2076
Il nostro gruppo di “prescelti” si trova in un corridoio secondario del secondo piano, proprio uno di quegli spazi che riescono bene a collegare vari ambienti, quali ad esempio le aule, la biblioteca, l’infermeria e i bagni. Un corridoio che è più facile da percorrere, visto che si collega a ferme rampe di scale secondarie, a chiocciola, elicoidali, ben meno frequentate rispetto a quelle principali. Se chi passa di lì ricerca tranquillità e velocità nel raggiungere un luogo, senza incappare in rampe girevoli e in incontri poco graditi, transitandovi risulta più facile. E tutto sembra tranquillo e “come tutti i giorni”, se non fosse che per tutti i presenti, voi, tutto si fa nero. Un nero che non permette di vedere nulla, per qualche attimo, anche perché poi la luce di enormi candele che ardono rischiara l’ambiente. Vi accorgerete ben presto che avete di fronte agli occhi una enorme scacchiera. Si tratta infatti di una scacchiera della dimensione di 8 metri per 8 metri, con quadrati ovviamente chiari e scuri, in una texture legnosa. Riuscite a vedere le pedine bianche che vi danno la schiena, mentre davanti a voi, lontane, si trovano quelle nere. Sono proprio queste che iniziano a far rumore, battendo le loro armi sulla solida superficie, come ad annunciare una battaglia. Delle scritte rosso fuoco si formano sopra la schiera rumorosa delle pedine nere come se qualcuno, di enorme, le stesse scrivendo con la bacchetta dopo aver castato un persìgno. “Benvenuti” viene scritto per primo, passando a quanto segue. “Siete chiamati a giocare, e se vincerete avrete svelato un luogo segreto”. Quale? Non lo dice. “Prendete posto” è la nuova indicazione, che preannuncia anche la comparsa di alcune piccole pedane attaccate alle pedine bianche, atte a sorreggere ognuno di voi.
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[...]
“Il vostro tempo a disposizione è finito” scrive lento, come se qualcuno lo stesse ripetendo lentamente per scandire bene le sillabe. “La partita è così conclusa con la vostra sconfitta” scrive, mentre una risata malvagia si fa spazio nel nero che avvolge gli studenti. E anche questa volta l’oscurità dura poco, e tornano tutti nel corridoio secondario del secondo piano, senza alcun segno di ferita ma con degli effetti inaspettati. Gli studenti si possono accorgere subito infatti di aver qualcosa che non va. NEERA si ritrova con la voce molto molto acuta, mentre DOMINIC e AZADE avranno la voce molto profonda. Per quanto riguarda CORNELIA e MASON invece, si ritrovano con gli incisivi molto più grandi, impendendo così la riuscita delle lettere D e T. HEAVEN e LUKE non possono evitare di grattarsi la propria schiena e torace. È la volta di ALEXA e LAIN che avranno le gambe ballerine, che andranno dove vogliono con rapidi scatti. REBECCA si ritrova a ridere a crepapelle, in modo anche un po’ isperico, mentre PAUL beh.. è costretto a parlare a voce alta, pronunciando i propri pensieri a voce alta.
Ma è nel corridoio che un quadro li richiama. «Dame e Cavalieri». Il soggetto che chiama i prescelti si trova in quella che sembra essere una Torre Medievale, dalla quale feritoia si può osservare un paesaggio fatto di campagne. L’uomo ha una certa età, è pelato sulla parte alta della testa, mentre dai lati e da dietro scendono dei lunghi capelli neri. E sono lunghi pure i baffi e il pizzetto, e pure il naso non è da meno. Vestito con abiti medievali, quali tunica e mantello sui toni del rosa e fucsia, muove le mani guantate con far di altri tempi. «Cosa vi è successo ho notato» afferma con il tono di voce da recita di una poesia «di un’ingiustizia vi ha tormentato» esclama ora. «Mi pongo il dovere di aiutare » e ancora « voi miei Signori, andando ad indagare» e detto questo, infatti, dopo un inchino sparisce, lasciando che poi una dama dai capelli rossi, e tunica verde, possa tornare proprio in quel quadro, sbuffando, ma tornando nella sua posizione, seduta, a lisciarsi i capelli guardando fuori dalla finestra.
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yaiathings · 5 years ago
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re-united • reylo’s oneshot
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Palpatine era morto.
Rey fissò il trono di pietra dove qualche secondo prima l'imperatore sedeva e che, di fronte alla potenza dello scontro che li aveva visti protagonisti, si stava sgretolando, come tutto intorno a lei.
Rey aveva vinto, la luce aveva dominato l'oscurità e la galassia era salva.
Sul volto della giovane si accese un debole sorriso, ma fu un attimo che il suo corpo perse le forze e lei cadde a terra esanime.
Rey era morta.
Le sue spoglie giacevano sul terreno freddo di Exogol, minacciate dalla distruzione che la battaglia aveva portato con sé. Tutt'intorno le pareti si sbriciolavano, enormi voragini si stavano creando, un susseguirsi di esplosioni di navi dell'Ordine Finale, ma anche grida gioiose di soldati vittoriosi.
In un burrone, qualche metro più in là, Ben Solo scalava la parete rocciosa più ripida della sua vita.
Tutto quel tempo perso a rincorrere desideri sbagliati, a inseguire chimere di potere e ad immaginarsi a capo di un impero, su quel trono, nel bel mezzo della galassia, nonostante quella solitudine che ormai era diventata un'abitudine.
Come poteva essere stato così sordo al richiamo della luce? Perché preferire quell'oscurità capace solo di togliere e mai di dare. Incontrare il lato Oscuro aveva significato perdere la tranquillità, la spensieratezza e la libertà; la sua era sempre stata una lotta contro qualcuno, un rincorrere le volontà di un altro, un continuo sottostare ad ordini e desideri altrui, senza sosta e riposo; la sua era stata una vita priva di emozioni, sentimenti e sogni. Ben non aveva mai visto il potere come un sogno, forse Kylo, ma non Ben.
Ben desiderava solo essere visto per ciò che era e non come il figlio di Han Solo e Leia Organa. Ben voleva solo essere Ben e non il potente Ben. E se per tutto quel tempo aveva incolpato i suoi genitori e la Forza per averlo tradito e mai riconosciuto, ora sapeva che l'unica cosa che lo aveva imbrogliato non era altro che la paura di essere se stesso, nonché la vittoria prima di Snoke e poi di Palpatine.
La roccia era dura al tatto e la parete così ripida da rendere veramente difficile la scalata. Le sue cattive condizioni fisiche non gli avrebbero dato poi così tanto tempo, non dopo che Palpatine gli aveva assorbito la maggior parte della linfa vitale, non dopo quella caduta nel vuoto, ma lui doveva aiutarla, lui doveva combattere con Rey.
Rey, la luce, quel faro che aveva avvistato nell'oscurità, che aveva più volte ignorato ma dalla quale si sentiva magicamente attratto fin dal primo momento in cui l'aveva vista.
Diade nella Forza, così l'aveva chiamata l'imperatore, un potere forte come la vita stessa, una connessione, un legame. Era forse quello il motivo di quell'innata attrazione per la ragazza di Jakku?
Ancora uno sforzo e avrebbe raggiunto il campo di battaglia. Pochi passi e finalmente avrebbe aiutato Rey a sconfiggere Palpatine una volta per tutte, insieme come sentiva avrebbe voluto la Forza.
Si aggrappò all'ultima pietra ed uscì dalla voragine. Ci mise qualche istante a recuperare le forze necessarie per alzarsi. L'addome gli doleva: la ferita infertagli da uno dei suoi stessi cavalieri stava perdendo troppo sangue, ma non poteva fermarsi, non ora che stava per raggiungere Rey.
Alzò il viso e ciò che vide lo turbò.
Rey, la cercatrice di rottami, giaceva inerme davanti al trono dell'ex imperatore. Era avvolta nel suo abito bianco, ma non dava nessun cenno di vita.
Ben recuperò quelle poche forze che gli erano rimaste e zoppicò con una mano sul fianco lungo il terreno umido di quell'ormai nascondiglio distrutto. Quei minuti parvero interminabili: per quanto il giovane cercasse di camminare il più velocemente possibile, la ferita era troppo dolorosa da impedirglielo.
Quando la raggiunse le si lasciò cadere accanto. La scostò quel tanto per vederle il viso e rabbrividì.
Rey fissava il vuoto. Gli occhi vitrei e la bocca leggermente spalancata nel suo dolce viso ora di porcellana, bianca come la luna di Exogol soprastante.
Una lacrima rigò il volto del giovane Solo. 
Ben sollevò lentamente il corpo di Rey e lo avvolse in un dolce abbraccio. Era così fredda.
Le accarezzò i capelli, respirò ogni singola particella del suo profumo, la strinse così forte a sé per far sì che almeno una volta nella vita i loro cuori combaciassero.
A quel tocco gli parve tutto così chiaro. Niente era mai stato così ben delineato nella sua mente come lo era adesso. La Forza gli stava  dando la risposta a tutto. In fin dei conti erano la sua diade.
Ben posò una mano sull'addome di Rey. Tremava e non sapeva se era più per l'emozione, per la paura, per la rabbia o a causa dell'adrenalina per ciò che stava per fare, ma era tutto così chiaro, così ovvio che non poteva sottrarsi per l'ennesima volta alla chiamata della luce.
Cercò di rilassarsi, come suo zio Luke gli aveva insegnato, come un Jedi alle sue prime lezioni, come Ben e l'universo con i suoi elementi. I rumori intorno a lui si attenuarono, permettendo al giovane isolarsi completamente da tutto ciò che stava accadendo nelle vicinanze. Esplosioni, urla e festeggiamenti erano nulla di fronte al suo respiro che divenne sempre più pesante; Ben sentiva il sangue scorrergli nelle vene, pompare nel cuore e gli occhi bruciare.
Pian piano la sua mente si scinse dal corpo guidata dalla mano invisibile della Forza e si incamminò per un sentiero, sfiorò un corso d'acqua in cui vide chiaramente del metallo. Il fiumicello terminava in una sorgente, laddove le radici degli alberi ne assorbivano l'energia. Più in là una pianta bruciava, generando cenere, polvere che, toccando il suolo, diveniva uno con esso.
I cinque elementi, il loro flusso dinamico e il loro divenire.
Un formicolio invase la mano di Ben che Rey coprì con la sua.
Ben incredulo osservò la giovane spalancare gli occhi. Rey aveva la fronte corrugata in cerca di una spiegazione, ma lo sguardo di chi non aveva mai smesso di combattere.
Ben sentì gli occhi inumidirsi ed il cuore picchiare velocemente nel petto, mentre un dolce sorriso si distendeva lungo le labbra.
Anche Rey sorrise, ma l'espressione del suo volto cambiò nel momento in cui vide Ben accasciarsi dinnanzi a lei. La giovane gli si avvicinò, cercava disperatamente di capire se ci fosse del battito, del respiro, se fosse vivo o meno. Ma Ben, l'invincibile cavaliere dell'Oscurità, giaceva esanime con gli occhi chiusi e un debole sorriso sulle labbra. Rey strinse la sua mano tiepida sperando di potergli trasmettere un po' di quella linfa che prima lui stesso aveva sacrificato per lei. Cercò la Forza, la pregò, scavò nei suoi desideri più profondi, si immerse nel suo cuore e lo sentì battere al ritmo di quello dell'universo.
Nulla. La vita stava pian piano scivolando dal corpo di Ben e lei lo sentiva, percepiva quel soffio debole perdersi nell'atmosfera intorno a loro.
Le lacrime ormai scendevano imperterriti lungo le sue guance. Lo aveva perso.
Era trascorso così poco tempo dalla vittoria contro Palpatine, così poco tempo da quando aveva combattuto al fianco di Ben. Rey ricordava perfettamente quello sguardo, non più accecato dal potere, ma invaso di luce, di volontà, di speranza, e che ancora lei portava dentro di sé e che per così poco era riuscita a vivere.
Lo aveva odiato, disprezzato, voluto uccidere, ma mai quanto lo avrebbe voluto al suo fianco, come nella visione di qualche anno prima che ancora le metteva i brividi.
Era forse questa la diade nella Forza che aveva nominato Palpatine?
Diade, cosa mai importava? Ben stava morendo.
Rey si accasciò sul corpo del ragazzo, la sua mano ancora intrecciata a quella inerme del giovane Solo. Fissava il petto di Ben muoversi al ritmo dei suoi ultimi respiri. Ne aveva contati cinque quando il torace del giovane rimase immobile. Rey non tentò nemmeno un istante di trattenere le lacrime che ormai cadevano incessanti.
Era di nuovo sola, anzi forse era sempre stata destinata ad esserlo. Le persone transitavano nella sua vita come ad un incrocio, senza però mai fermarsi per più di qualche passo insieme. I suoi genitori, Luke, Leia, Finn e Poe probabilmente caduti in battaglia e Ben. Forse era arrivato il momento che accettasse questa triste condizione.  Sarebbe sempre stata sola.
Strinse la mano di Ben in una morsa d'addio.
Poi lo vide. Il corpo senza vita di Leia, la sua maestra, lontano migliaia di anni luce da Exogol sparire sotto il lenzuolo bianco nel quale era stata avvolta dall’istante sua morte.
Percepì una brezza calda accarezzarle il viso e per un istante le parve di sentire il profumo della principessa.
Nella sua mano, quella di Ben si mosse leggermente.
Rey strabuzzò gli occhi incredula, la sua mano ancora intrecciata a quella del giovane così calda, così vera e così viva.
<<Ben>> sussurrò e lui annuì.
La giovane strinse dolcemente il volto di Ben tra le sue mani. Ne delineò il profilo, ne accarezzò la pelle fino a sfiorargli la bocca con le dita. La cicatrice che lei stessa gli aveva provocato in uno dei loro famigerati scontri era solo un ricordo. Sul viso del giovane si era disegnata la gioia di una vittoria ben più importante: la vita.
Rey accorciò quella che era la distanza minima fino ad unire le sue labbra con quelle di Ben in un dolce bacio dal tocco salato. L'energia che li avvolse fece loro tremare i cuori.
Ben sorrise sulle labbra di Rey, invaso da tutte quelle emozioni che per una vita intera aveva cercato di cancellare. Le accarezzò quel volto di porcellana le cui gote splendevano ora di un timido rosso, illuminate dal sorriso che per anni lo aveva tormentato dolcemente. Poi si guardò attorno. Macerie e detriti avevano coperto completamente la vecchia sala del trono di Exogol, ma dell'imperatore non vi era nessuna traccia. Cosa n'era stato di Palpatine? E la battaglia? Avevano vinto o quello era l'inizio della fine?
Rey percepì le domande del giovane accanto a lei e non riuscì a trattenersi dall'accarezzargli il volto. Gli alzò quel poco il mento per far incentrare gli occhi nei suoi. La Forza che li univa era ancora presente, forse più di prima.
<< È morto, Ben. Palpatine non c'è più>>
La guerra era finita e la galassia era salva. E lei non era sola, Ben era tornato da lei.
<<Loro erano con me>>
Ben posò la mano su quella di Rey stringendola dolcemente. Sapeva che si stava riferendo al potere dei Jedi, lo aveva percepito nel burrone e lo sentiva ancora di più ora che l'energia della Forza si era riunita attraverso di loro.
In Rey scorreva non solo la sua Forza, ma anche quella del passato, del presente e del futuro. La cerca rottami di Jakku era divenuta l'ancora di salvezza, non solo per lui, ma anche per la galassia e per la Forza stessa. Lei, figlia dell'Oscurità con in sé la Luce.
<<Rey>> la chiamò e per un istante gli parve di percepire dello stupore fluire nell'animo della giovane, la quale risolse tutto con un dolce sorriso.
<<Avevi visto questo nella grotta di Ahch-to quando le nostre mani si sono sfiorate?>> le chiese.
<< Si e tu?>>
<< Anche io >> mentì Ben perché in realtà lui aveva visto molto di più.
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paoloxl · 5 years ago
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Il racconto delle giornate del luglio 2001 di Lorenzo Guadagnucci, giornalista e vittima di tortura nella scuola Diaz-Pertini. “La gente, tanta gente”, il “dolore per l’omicidio di Carlo”. E poi la confusione, i lacrimogeni, lo spavento. E quella notte, l’ingresso degli agenti, di corsa, urlando; le persone con le mani alzate che dicono, implorando, “no violence”. “Dobbiamo ricordare ogni minuto perché non è vero che la storia è finita”
Il racconto delle giornate del luglio 2001 di Lorenzo Guadagnucci, giornalista e vittima di tortura nella scuola Diaz-Pertini. “La gente, tanta gente”, il “dolore per l’omicidio di Carlo”. E poi la confusione, i lacrimogeni, lo spavento. E quella notte, l’ingresso degli agenti, di corsa, urlando; le persone con le mani alzate che dicono, implorando, “no violence”. “Dobbiamo ricordare ogni minuto perché non è vero che la storia è finita”
Ricordo i sacchi a pelo, gli zaini, le persone nella palestra della scuola Diaz-Pertini che parlottano; quelli che già dormono, per terra; il mio zaino nell’angolo a sinistra; il sonno che arriva presto; ricordo i rumori che mi svegliano; l’ingresso degli agenti, di corsa, urlando; le persone con le mani alzate che dicono, nemmeno urlando semmai implorando “no violence”; gli agenti che corrono, urlano e picchiano, a calci e colpi di manganelli tutti quelli che si trovano di fronte; ricordo gli agenti che arrivano nella mia direzione; due di loro che prendono a calci in faccia la ragazza seduta vicino a me; ricordo i due agenti che mi prendono a manganellate; i colpi spaventosi che mi arrivano sulle braccia, fortissimi, mentre mi riparo la testa; le braccia sanguinanti, deformate, gonfiori che sembrano palline da ping pong sotto la pelle; ricordo il sangue che scorre sugli avambracci e sotto le ginocchia; il dolore che mi impedisce di muovermi; gli agenti che picchiano altre persone; le grida di paura e di dolore; i pianti; l’agente con la camicia bianca che torna verso di me e mi riempie di botte sulla schiena, mentre sono adagiato a terra e tento di proteggermi la nuca; ricordo gli agenti che ci minacciano; la gente che piange; io che mi sposto strisciando alla parete di fronte, per eseguire l’ordine di radunarsi su quel lato; ricordo la gente che piange e dice mamma mamma; il ragazzo in crisi epilettica; la ragazza che mi consiglia di togliermi la maglia per tamponare una ferita sul braccio; io che non riesco a togliermi la maglia per il dolore al torace; ricordo il tempo che non passa; l’infermiere che arriva a mani nude e non sa da dove cominciare; il medico che separa i feriti più gravi dagli altri; le barelle che cominciano a caricare e portare via i feriti; il medico che dice di me: questo ha tutte e due le braccia rotte; ricordo l’infermiere che mi stecca le braccia con i cartoni rigidi di due quadernoni; ricordo la barella che mi porta fuori; l’agente con la camicia bianca che chiede all’infermiera dei guanti di lattice per non sporcarsi le mani con il sangue altrui; la gente al cancello che urla; gli agenti che fanno cordone; l’elicottero assordante sopra le nostre teste.
Ricordo l’ambulanza che mi porta in ospedale; le mie prime telefonate agli amici; il corridoio del pronto soccorso pieno di lettini; i medici che mi tolgono gli abiti e scoprono le ferite, gli ematomi; le radiografie; i punti che mi ricuciono le ferite; ricordo l’arrivo all’alba nella camera d’ospedale; i poliziotti che mi aspettano e mi dicono che sono in stato d’arresto ma non sanno dirmi perché; ricordo la disperazione; i poliziotti che parlano con me e sembrano stupiti; le batterie del telefono che si scaricano; i colleghi che vengono a trovarmi, anche se non potrebbero; i medici che mi visitano; le ore che non passano; il Corriere della Sera che racconta la mia storia e dice che sarò portato in carcere; ricordo gli agenti che mi sorvegliano anche in bagno; io che supplico i medici di non mandarmi in carcere; Arnaldo che viene portato nella mia camera; lui che conciona, con un braccio e una gamba rotti, sulla grande partecipazione ai cortei; gli agenti che ridono; il poliziotto di Bologna che conosce il mio collega che fa la nera; ricordo i magistrati che arrivano a interrogarmi; le strane domande che mi fanno: ha visto delle bombe molotov sopra un tavolo all’ingresso della scuola?; ricordo il terrore d’essere portato in carcere; l’agente che porta l’ordine di scarcerazione; i poliziotti che lasciano la camera; la signora che in piena notte è ancora sveglia e mi presta un caricabatterie; ricordo la telefonata per dire che mi hanno liberato; gli amici che da Milano vengono a prendermi per riportarmi a casa.
Di Genova 2001 ricordo tutto perché Genova stava cambiando molto, se non tutto. E molti altri, forse tutti quelli che si trovarono a Genova in quei giorni potrebbero raccontare quel che fecero, quel che videro, quel che subirono fino nei minimi dettagli, tale fu il trauma personale e collettivo. Un movimento competente e creativo fu fermato, anche se non distrutto, in quella calda estate del 2001. Non era troppo tempo fa ed è giusto ricordare tutto perché vorrebbero farci credere che siamo alla fine della storia, che la navigazione di piccolo cabotaggio è l’unica possibilità che abbiamo. È bene ricordare tutto, fino nei minimi dettagli, anche la parte più dolorosa di quei giorni, perché viviamo nel Paese della menzogna e dell’oblio e invece il futuro ha bisogno di poggiare sul meglio avvenuto in passato, pur senza dimenticare il peggio. Un movimento popolare è stato soffocato nel sangue e questo non si può perdonare, perché il Paese è stato spinto alla rassegnazione e alla mediocrità e la violenza delle istituzioni è stata proposta -e da molti accettata- come una soluzione. Ma dobbiamo ricordare ogni minuto che meno di vent’anni fa si è pensato di fare insieme, in tanti, con intelligenza, superando le frontiere, qualcosa di importante per il bene comune. È accaduto e quindi accadrà di nuovo. Dobbiamo ricordare tutto perché non è vero che la storia è finita.
Lorenzo Guadagnucci
da Altreconomia
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beavakarian · 6 years ago
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MORE THAN A TRICKSTER - ATTO XVI [ITA]
Autore: maximeshepard (BeatrixVakarian)
Genere: Mature
Pairing: Loki/Thor
Sommario: questo è il mio personale Ragnarok. Si parte e si finirà alla stessa maniera, alcune scene saranno uguali, altre modificate, altre inedite. Parto subito col precisare che qui troverete un Loki che non ha nulla a che fare con il “rogue/mage” in cui è stato trasformato in Ragnarok, e un Thor che si rifà a ciò che abbiamo visto fino a TDW.
Loki e Thor sono stati da sempre su due vie diverse, ma quando il Ragnarok incomberà inesorabile su Asgard, le cose cambieranno. Molte cose cambieranno.
Capitoli precedenti: Atto I - Atto II - Atto III - Atto IV - Atto V - Atto VI - Atto VII - Atto VIII - Atto IX - Atto X - Atto XI - Atto XII - Atto XIII - Atto XIV - Atto XV
@lasimo74allmyworld @miharu87 @meblokison @piccolaromana @mylittlesunshineblog
GROSSA PREMESSA: sono viva. Scusatemi.
Allora, è successo un po’ di tutto... Tra salute ed Endgame, la mia ispirazione, o meglio, la mia concentrazione sia mentale, che fisica, è andata a farsi benedire. Ho avuto quello che si chiama il “blocco”. Sono caduta nel “buco”, per citare Black Mirror - Bandersnatch. 
Se la terapia che faccio per i miei problemi fisici mi porta molte difficoltà nel concentrarmi, Endgame mi ha dato proprio la botta finale. Ho passato giorni, sia prima, che dopo il film, con il pc sulle ginocchia a fissare il foglio bianco. Alla fine mi sono presa una pausa, perché era inutile continuare. 
Però... La scorsa settimana sono andata a conoscere Simo. E lì... Mi sono sfogata, un po’ di tutto. Mi sono svuotata le tasche... E l’ispirazione è come rifiorita, tanto da farmi finire questo benedetto capitolo incominciato due mesi fa. Mi serviva come l’aria. 
Grazie, Simo. E grazie a tutte voi per il supporto che mi date, non solo per questa fic, ma anche con il mio blog personale e il side degli Odinson. ^^
Prometto che stringerò i denti. Non manca molto alla fine, ma ho bisogno di calma per dare il giusto peso a determinati eventi in conclusione.
Ed ora, buona lettura! 
*COFF*unpo’diThorki*COFF*maleggeroleggero*COFF*comecepiaceanoi*COFF*vipromettocheprimaopoi*COFF*INSOMMACESIAMOCAPITE*COFF.
Sti malanni di stagione...
- ATTO XVI -
Gli era bastato sfiorare le ferite per rimarginarle con estrema semplicità. E aveva anche proposto a Thor di ridargli le sue precedenti sembianze – quei meravigliosi ciuffi lunghi e biondi – ma suo fratello aveva gentilmente stretto la sua mano e l’aveva portata al suo cuore.
“No” aveva semplicemente esalato, quasi in un sussurro, guardandolo con quel suo unico occhio rimasto quasi velato dalle lacrime. Loki stinse le labbra e abbassò lo sguardo, non riuscendo a sostenere quel vortice azzurro di emozioni.
Per quanto avesse cercato di ironizzare, a suo modo, quella situazione, entrambi si sentivano come reduci da una grande e sanguinosa battaglia. Entrambi erano distrutti, sia nel corpo che nello spirito – Thor si sentiva a pezzi, Loki avvertiva un mal di testa martellante, il quale non gli concedeva tregua da più di un’ora, ormai.
“Fammi vedere quello” indicò, in un secondo momento, l’orbita oculare devastata da quella terribile cicatrice. Thor si sporse leggermente – le gambe che penzolavano giù dalla scrivania sulla quale si era seduto per farsi medicare – ritraendosi di scatto non appena Loki poggiò le dita.
“Ti fa così male?” chiese, sorpreso.
“Un po’…”
“Un po’” Loki sottolineò l’ovvio, con un sopracciglio alzato, guadagnando una flebile risata da parte del fratello. “Non morirò per questo” citò le sue stesse parole, al che Loki portò gli occhi al cielo e gli bloccò il viso a livello del mento, esaminando la ferita.
Quando la luce verde si esaurì, Thor passò un braccio attorno alla sua vita, stringendolo a sé e nascondendo il viso nell’incavo del suo collo. Loki non potè far altro che portare le mani alla base del collo di suo fratello, giocherellando per qualche istante con quelle ciocche corte e avvertendo un sordo dolore in fondo al suo cuore.
“Grazie” bofonchiò Thor nel tessuto ormai stracciato dell’abito di Loki, il quale sorrise, osservandolo dall’alto e si lasciò andare in un lungo sospiro, massaggiando il retro della nuca di Thor delicatamente.
“Andiamo a riposare un po’?”
 Thor si risvegliò con il volto affondato in quei riccioli corvini, scompigliati dagli eventi appena vissuti e dalle quattro, cinque ore di sonno appena passate. Si ricordava chiaramente di essersi addormentato accanto a lui, appoggiando la mano sulla sua, in un caldo e rassicurante contatto.
Non erano ritornati sul discorso, se non per rimandare la questione, amaramente, per questioni di forza maggiore. Avevano semplicemente bisogno di riposarsi, fermarsi per un istante e respirare. Tutto il resto poteva attendere.
In quel breve sonno non aveva sognato, probabilmente però si era mosso diverse volte e si era avvinghiato a suo fratello, inglobandolo in quell’abbraccio sicuro, ricercando nel calore del suo corpo un briciolo di serenità. E da quel gesto, Loki non era fuggito: si era svegliato, sentendo il corpo di Thor riversarsi sul suo – come non accorgersene? Si era voltato leggermente a guardarlo, passandogli il dorso della mano sulla fronte, impercettibilmente e contando i suoi respiri, per capire se fosse sveglio o stesse dormendo.
Si raggomitolò quindi in quell’abbraccio, facendosi letteralmente sommergere. Un lungo sospiro, le dita intrecciate con quelle della mano libera di Thor, che era andata ad appoggiarsi al suo torace – a stringerlo a sé.
 Inspirò profondamente in quei morbidi ciuffi, sentendo Loki muoversi sotto di lui e sfiorare la mano sul suo petto e spingendo un poco il capo indietro, come se stesse cercando più contatto. Poi lo sentì immobile, se non per l’indice della sua mano sinistra che scivolava su e giù sul dorso della sua mano.
“Perché non me l’hai mai detto?”
Quelle parole sussurrate, parvero assordanti alle orecchie di Loki. Aprì gli occhi, lucidi a prescindere, osservando la parete di quella stanza grigia e asettica e poi spostando lo sguardo nello spazio cosmico e nella sua oscurità.
“Perché non mi avresti dato retta” sussurrò in replica alla domanda del fratello. Thor inspirò col naso, scuotendo la testa.
“Dovevi obbligarmi a farlo. A costo di farmi male”.
Loki si voltò piano, rigirandosi nell’abbraccio e puntò quei meravigliosi occhi verdi dritti in quello di Thor – uno sguardo serio e determinato, ma anche disperato.
“E’ proprio per questo che ho taciuto” rispose, appoggiando la fronte al mento del fratello. Si concesse un sospiro lungo e silenzioso, per poi aggiungere “Non volevo che nessun’altro ne fosse coinvolto, tu in particolar modo. Asgard e tutto il resto”.
Sentì la mano di Thor appoggiarsi sul suo capo e sorrise amaramente.
“Non so nemmeno io cosa tentassi di fare per evitare le implicazioni di New York… Mi è sfuggito tutto di mano, come al solito. Volevo solo sparire”. Le sue unghie graffiarono leggermente il suo petto, lasciando flebili segni rossastri. Per quanto affrontare quel discorso fosse difficile, il calore di quell’abbraccio era tale da lenire quell’inquietudine in lui sempre così viva ed inesorabile.
Sentì le labbra di Thor appoggiarsi sulla sua fronte e chiuse gli occhi.
“Non permetterò che ti faccia altro male, Loki” sussurrò, strofinando le labbra leggermente, alla base dell’attaccatura dei capelli. Loki sollevò piano il viso e i loro sguardi si incrociarono: Thor rivide il terrore nei suoi occhi e quell’immagine di suo fratello così vulnerabile, gli spezzò il cuore.
Loki in quel momento aveva abbassato tutte le difese. Non vi erano bugie, non vi erano maschere, non vi erano armature atte a nascondere punti deboli. Lui era lì, in tutta la sua disperazione, con quel viso proteso verso di lui, alla ricerca di un appiglio.
Gli ricordò lo sguardo di quella volta, appeso a Gungnir, sul baratro, mentre Odino teneva salda la caviglia del suo primogenito.
Si trovò a desiderare quelle labbra con tutto sé stesso e quel pensiero lo colpì nel profondo. Si trovò a desiderare di stringere suo fratello così forte, quasi ad inglobarlo dentro di sé e vivere della sua essenza, celarlo all’universo, proteggerlo da qualsiasi cosa, persona, destino.
“Ti ucciderà, Thor…”
La voce di Loki tremò. La mano di Thor salì lungo la sua guancia e il suo pollice si fermò all’angolo della sua bocca, accarezzando le labbra delicatamente, mentre l’azzurro di quell’occhio diventava lucido, ma allo stesso tempo carico di determinazione.
“Non ti fidi delle mie capacità…?” sussurrò Thor in risposta, abbassando lo sguardo su quelle labbra sottili e avvicinandosi lentamente. Loki lo guardò in preda alla confusione e alla disperazione, accorciando però ulteriormente la distanza tra loro due.
“Conosco quel pazzo e so di cosa è capace” replicò, sfiorando la punta del naso contro la guancia del fratello. Il respiro si fece più greve, il battito del suo cuore più incalzante.
“Non deve toccarti. Mai più”.
Le dita di Thor andarono a posarsi salde sulla sua mandibola, alzandogli il mento e portandolo verso di sé e Loki non porse resistenza. Chiuse gli occhi, quasi in apnea.
Nell’esatto istante nel quale le loro labbra si sfiorarono, tre rapidi colpi alla porta chiusa della loro camera li fece trasalire.
Era Brunhilde.
 Loki si guardò allo specchio, passando distrattamente le dita sulla pelle di quell’abito trovato nell’armadio della camera adiacente: non era esattamente di suo gusto, come modello, ma era meglio del vestito stracciato che teneva ormai addosso da troppo tempo. Per lo meno i colori erano accettabili e non avrebbe avuto distrazioni a mantenere un glamour decente con la magia. Essa serviva ad altro, ora come ora.
Si era fatto finalmente una doccia, dopo che Thor l’aveva preceduto per raggiungere gli altri nella sala comando della nave. Si era preso il suo tempo, passando diversi minuti a districare i riccioli neri arruffati, a massaggiarsi la spalla, a lavarsi e rilavarsi più volte, per togliersi di dosso non solo lo sporco di quei giorni, ma anche gli orribili pensieri.
Rimase poi immobile sotto il getto d’acqua tiepida, gli occhi chiusi, la schiena appoggiata alla parete metallica. Una mano risalì lenta verso il suo viso, l’indice sfiorò le labbra e ripensò a ciò che era successo poco prima.
La sua mano tremò, assieme al suo petto: aprì gli occhi, incurante dell’acqua. Il respiro di Thor sulle sue labbra, la sua mano stretta attorno alla sua mandibola, la sua barba a solleticargli il viso.
Erano sensazioni… Si scoprì a desiderare quell’occasione negata, interrotta sul più bello. Si scoprì a desiderarla con tutto sé stesso e ciò, per quanto lo terrorizzasse, non lo sorprese. Affatto.
 Ed ora, davanti a quello specchio, si ritrovava a fissare la sua espressione pensierosa, acconciandosi accuratamente i capelli, cercando di capire il motivo per il quale il suo cuore si sentisse così leggero e così pesante, tutto d’un tratto.
Aveva confessato a Thor tutto quello che era successo. Thor aveva visto attraverso la sua mente ed ora sapeva. Per quanto Loki avesse tentato di risolvere da sé quella situazione, doveva ammettere che confessarlo a suo fratello era stato come togliersi un macigno dal petto.
Sebbene… Sebbene ora Thor fosse diventato un bersaglio quanto lui.
Le ultime parole scambiate tra i due riguardarono la promessa di parlarne a dovere dopo il combattimento contro Hela, dopo che Asgard fosse stata riconquistata, dopo… Sempre che ci fosse stato, un dopo.
Parlare. Quella di Thanos era solamente la questione più urgente, la prima voce di quella lunga lista di cose non dette tra loro due.
Sospirò lungamente, riportando deciso gli occhi sulla sua immagine riflessa: avrebbe dovuto fare una scelta, presto o tardi. E forse infrangere una promessa, aggiunse mentalmente, sorridendo amaramente all’ironia della sorte.
  Quando i suoi occhi si abituarono alla luce intensa, non poté non notare con orrore i piccoli corpicini ai suoi piedi, inermi, in una pozza di sangue. Poco più in là, su quello che appariva come il trono di Asgard, quasi completamente distrutto, fatta eccezione per una parte della seduta, Volstagg giaceva riverso sulla pietra. Lo guardò con la morte negli occhi e nel cuore.
Un fiotto di sangue scivolò dalle sue labbra, quando chiamò le sue bambine e quelle non risposero. I suoi occhi, ormai spenti, si posarono su Thor: vi era rassegnazione, paura e dolore.
E una muta accusa. Non disse nulla, esalando il suo ultimo respiro, ma il suo sguardo si volse in un punto indeterminato alle spalle di Thor, prima che le porte della sala si sgretolassero e Surtur si presentasse con la sua mole e il fuoco di Muspelheim tutto attorno a lui – il magma che, inesorabile, penetrava nelle fondamenta del palazzo. Avvertì quel calore insopportabile bruciargli la pelle. E di nuovo la luce intensa.
 Si svegliò di scatto, avvertendo una mano sul suo petto. La mano di Loki. Thor si mise a sedere – il cuore in gola – mentre suo fratello lo osservava preoccupato e si scusava per averlo fatto trasalire in quella maniera.
Thor scosse la testa, appoggiando la mano sul suo avambraccio.
“Non è colpa tua, stavo sognando” mormorò, per poi passarsi la mano sinistra sul viso e stropicciarsi gli occhi. Fece per tirarsi indietro i capelli, ma quel gesto andò a vuoto, riportando la mente a quella precisa realtà.
Loki strinse le labbra, accomodandosi accanto a lui: la sua mano salì verso il mento di Thor, facendolo voltare verso di lui. Accarezzò la guancia con il pollice, delicatamente.
“Dobbiamo prepararci. Manca solo più un’ora al wormhole e i motori stanno progressivamente accelerando” spiegò Loki, misurando il tono in modo che Thor riprendesse fiato e si calmasse.
Thor scosse lievemente il capo in un gesto d’assenso, abbassando l’occhio, ma la mano di Loki non gli permise di abbassare anche il viso: riprese contatto con il suo sguardo, con un’espressione interrogativa.
“Sono con te” fu la risposta di Loki, trafiggendo il fratello con quegli occhi verdi come smeraldi. L’espressione sul viso di Loki era di determinazione, ma tradiva anche apprensione.
Thor sorrise flebilmente, portando il polso del fratello alle labbra e lasciando un lieve bacio sulla parte interna.
  - Due minuti al contatto - fece eco la voce del pilota automatico.
Thor osservò Loki al suo fianco, il quale annuì brevemente. Il suo occhio si spostò poi in direzione di Brunhilde, atta a sistemare la spada celeste nel fodero appeso alla sua cintura.
“Puoi ancora cambiare idea” commentò, ma la Valchiria fece cenno di tacere. I suoi occhi osservavano l’immensità nero rossastra del portale galattico.
“No” sussurrò, per poi schiarirsi la voce “E’ giusto così. Loki conosce come le sue tasche la zona ove Heimdall ha trovato rifugio. Scenderò io sul Bifrost, con te e Banner”.
Thor portò lo sguardo avanti a sé, sorridendo con orgoglio. Brunhilde avrebbe lottato al suo fianco.
“Una volta entrati nel sistema di Asgard, prenderò il comando manuale della nave e voi vi sgancerete con lo shuttle. Noi saremo esattamente dietro di voi” prese parola Loki, rivolgendosi poi a Rekis.
“Faremo il giro dalla parte opposta al Bifrost, alzando il sistema di occultamento e atterreremo nei pressi della base della montagna. Una volta messi al sicuro gli abitanti, decollerete con la nave e rimarrete in orbita. Io mi unirò a Thor nel più breve tempo possibile” concluse, appoggiando le mani allo schienale della poltrona di comando. Rekis annuì e così fecero gli uomini di Brunhilde.
- Venti secondi. -
Presero i posti a sedere, allacciarono le cinture.
- Dieci secondi. -
Loki si voltò leggermente verso Thor e posò la mano su quella del fratello, seduto accanto a lui. Thor intrecciò le dita con le sue.
- Cinque. -
“Li vendicheremo…” sussurrò Loki.
Thor inspirò bruscamente con il naso, annuendo con convinzione. Strinse la mascella.
- Tre. -
“Non farti ammazzare”.
- Due. -
Thor sogghignò.
“Nemmeno tu”.
- Uno. -
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robertevansclark · 5 years ago
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A place - Part III
Che sensazione di disgusto sta provando. Il sapore ferroso del sangue e quello della bile gli riempiono tutto il palato. Si sente uno schifo dentro e fuori. Difficile capire dove sia messo peggio. Ogni respiro è una vampata di dolore rovente, si irradia per tutto il torace che era già stato messo a dura prova precedentemente. Altro respiro, altra zaffata che si ramifica dalla spalla sinistra fino al braccio. Il nucleo centrale di tutto questo, il bossolo incastrato tra i suoi tendini e i suoi muscoli. Fissa il cielo terso, qualche stella solitaria, la luna calante sollevata oltre la sagoma delle montagne nere. Ora vi è solo il silenzio, solo l'armeggiare celere di Susan, al suo fianco, concentrata, preoccupata mentre prova a tamponare la sua ferita. Il sangue non smette di sgorgare. La nuova camicia hawaiana del mutante è pregna di fiori ormai sporchi di terra e di sangue. L'aveva trovata stesa in un vicolo. Era persino della sua taglia. Un colpo di fortuna. L'adrenalina sta scemando poco alla volta e il dolore si fa sempre più forte così come i sensi di colpa che si affacciano quando posa gli occhi azzurri in direzione del volto di Susan. Fissa quel suo occhio nero, livido, che le gonfia la palpebra superiore, che le deforma il volto e la vista. Lei si strappa parte della sua divisa da infermiera con un coltello a serramanico, fa diverse strisce lunghe.
"Ti devo portare in ospedale"
"Niente ospedale. Portami a casa tua"
La voce di Robert è bassa, gutturale, sporca ma non accetta repliche, il tono è abbastanza eloquente. Ogni respiro pare costargli fatica ma non si lamenta, solo il suo volto si contrae, gli occhi si velano, si sforza di rimanere lucido in quel dolore che sente di meritarsi. Delle volte si sente come se fosse una calamita per i guai, per i casini. Dove va succede sempre qualcosa. È la maledizione trasmessa da quel sangue marcio. Da suo padre.
Susan lo guarda intensamente, le pulsa la faccia, scuote il capo mentre le sue mani abili ma ancora tremanti cercano di sollevare il telecineta, di sederlo contro quella terra fredda e marrone. L'altro si lamenta con forza questa volta, la pelle tira dannatamente.
"A casa non avresti le stesse cure... E non ho tutto il necessario..."
"Procuratelo. Come lo giustifico un trauma balistico?" ringhia quando le bende si stringono contro la sua ferita, gli occhi pieni di vita si gettano dentro quelli caldi dell'infermiera "Se vado in ospedale mi faranno degli esami e..." esita strizzando gli occhi e serrando la mascella "scopriranno che non sono registrato".
Susan si ferma per un momento, lo guarda, scuote il capo e sospira. Desiste dunque, dopo le ultime parole di Robert, termina di bendarlo e poi si solleva, recupera la borsa gettata chissà dove e il pugnale. Aiuta il mutante ad alzarsi, stringe la sua mano. Si ritrovano in piedi, in silenzio, mano nella mano, qualche passo e fissano quel corpo ormai privo di vita.
Robert fissa la sagoma inerme, lo sguardo vuoto e spento. Non prova alcun rimorso. Certe cose vanno fatte. Per proteggere gli altri. Indurisce lo sguardo. Qualcosa si è rotto dentro di lui. Per sempre.
"Mors tua, vita mea" ripete in un sussurro. Ma non era la sua di vita ma quella di Susan. Nessun altro Dominic Clark avrebbe toccato madri e figli. Lui li avrebbe protetti tutti anche a costo di scivolare sempre di più verso l'oscurità.
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lamilanomagazine · 2 years ago
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Monza: tenta di uccidere il marito con una coltellata al petto
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Monza:  una donna di 34 anni tenta di uccidere il marito 76enne con una coltellata in pieno petto. I Carabinieri della Compagnia di Monza hanno tratto in arresto una donna di origini Keniote, resasi responsabile del delitto p. e p. (previsti e puniti) dal combinato disposto degli articoli 56, 575 e 577 c.p. (tentato omicidio aggravato), avendo trafitto il petto del proprio coniuge con un coltello da cucina all’interno dell’abitazione a Lesmo (MB). È stata lei stessa ad allertare i soccorsi dopo il gesto, ammettendo al telefono “ho accoltellato al petto mio marito”. Immediato l’intervento dei Carabinieri della Stazione di Arcore che, appena fatto accesso nell’abitazione, hanno trovato l’uomo adagiato sul divano con una profonda lesione al centro del torace. Nonostante l’importante ferita, per cui dopo le prime medicazioni è stato trasportato in codice giallo al Pronto Soccorso dell’Ospedale San Gerardo di Monza, il 76enne riusciva a fornire i lineamenti fondamentali della vicenda. Nello specifico raccontava che la moglie, a seguito di una discussione e dopo aver ingerito importanti quantitativi di bevande alcoliche, senza preavviso e con un gesto d’impeto ha afferrato un coltello da cucina infilzandoglielo con decisione al centro del petto. È stato proprio l’uomo a indicare ai militari operanti l’arma del delitto, appoggiata dalla 34enne sul tavolo della cucina dopo l’azione criminosa e ancora intriso di sangue, successivamente sequestrata dai militari. I sanitari sono comunque riusciti a stabilizzare il quadro clinico, che rimane severo ma stabile, escludendo il pericolo di vita. Per ulteriori accertamenti la donna è stata quindi condotta in caserma ove, sottoposta all’alcoltest finalizzato a verificare il quantitativo di alcol presente nel sangue, risultava positiva con un tasso di 2,07 g/l. Alla luce delle evidenze raccolte, i Carabinieri della Compagnia di Monza hanno quindi proceduto all’arresto della Keniota per tentato omicidio nei confronti del congiunto. Al termine delle formalità, l’arrestata è stata tradotta presso il Carcere di Milano San Vittore, a disposizione dell’A.G. di Monza.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Con l'escalation più difficile la trattativa sugli ostaggi - LIVE
07:16 Scontri in Cisgiordania, un palestinese ucciso a Nablus    Un palestinese è stato ucciso in scontri con l’esercito israeliano nel campo profughi di Askar, vicino a Nablus, in Cisgiordania. Lo hanno riferito, citate dall’agenzia Wafa, fonti mediche palestinesi spiegando che il palestinese (25 anni) “è morto per una ferita grave al torace” eche ci sono anche altri 10 feriti. Incidenti e…
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corallorosso · 6 years ago
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Caro Salvini, hai mai visto un rapinatore che muore?
“Rapina in corso in un negozio del Portuense“, disse così una voce concitata al telefono della cronaca di Roma del Messaggero. Era il 1996. E chi scrive, allora cronista alle prime armi, si trovò scaraventato per le vie di Roma a bordo di un’auto con il fotografo. ... Correvamo, correvamo più veloce possibile mentre la striscia bianca sull’asfalto ci si srotolava davanti e il cuore cominciava a batterci nelle tempie. Che cosa ci saremmo trovati davanti? I rapinatori erano ancora lì? Stavano sparando? Avevano preso ostaggi? ...Arrivammo per primi. All’improvviso ci trovammo in una piazza quadrata, immersa in una luce abbacinante. Non c’era quasi nessuno. In mezzo, riverso sull’asfalto, si vedeva un corpo immobile accanto a una moto rovesciata. Scendemmo e corremmo da lui. Era un ragazzo, avrà avuto poco più di vent’anni, come me. Accanto al suo torace si vedeva una macchia – di un rosso brillante, ancora vivo – che si allargava, pulsava a ogni respiro. Aveva un foro minuscolo proprio sotto l’ascella. Il ragazzo ci guardava, me, il fotografo, la folla che si raccoglieva rapidamente, gli agenti che urlavano “via, via, fate largo”. E io provavo a immaginare che cosa gli stesse passando per la testa, per l’ultima volta, mentre sentiva di morire sotto gli sguardi di decine di persone. Cosa vedeva? A chi pensava? Fu un attimo, ne sono certo, i nostri occhi si incrociarono. ...Quando lo guardai di nuovo vidi gli occhi diventati opachi, come se la luce non ci entrasse più dentro. Ricordo che ci fu un attimo di silenzio, che ci cercammo uno con l’altro: l’agente che avevo accanto, il fotografo, l’edicolante della piazza, il verduraio. Poi ripresero il suono delle sirene, dei clacson, le urla dei passanti: la città chiudeva rapidamente la ferita. Il ragazzo, mi raccontò una persona, aveva sfondato la vetrina durante la pausa pranzo; pensava che il negozio fosse vuoto. Ma il proprietario era sul retro, era stato preso dal terrore, aveva afferrato un’arma e aveva inseguito il ragazzo, gli aveva sparato quando era già a bordo della sua moto. Forse non voleva, di certo non immaginava che il proiettile passando sotto il braccio sarebbe arrivato dritto al cuore. Ricordo anche la sua voce, un lamento disperato mentre gli amici lo abbracciavano. Non so più il nome di quel ragazzo. Nemmeno riesco a ritrovare il suo volto nella memoria. Forse nessuno oggi si ricorda più di lui. Era un rapinatore. di Ferruccio Sansa
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romanticasemiva · 6 years ago
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thieves!au
All’interno della sala d’attesa della clinica, Fabrizio si reggeva la testa con le mani, il cuore e la mente come due macigni. Non riusciva a non pensare agli occhi sbarrati del compagno, il sangue che usciva a fiotti dal torace e sporcava la camicia bianca, la sua mano premuta sulla ferita mentre con l’altra, ancora tremante, reggeva la pistola. L’aveva colpito in pieno petto con una calibro 22, un unico foro. 
Un'infermiera si affacciò e lo chiamò piano. Lo fece entrare nella stanza con il monito di non farlo affaticare.   
Fabrizio si mosse piano, tremante entrò. Davanti ai suoi occhi Ermal e i ricci scuri sparsi sul cuscino, gli occhi serrati, le bende che gli fasciavano il petto macchiate di sangue, un ago nel braccio e gli elettrodi attaccati alla pelle diafana.
Respirava piano, come se stesse dormendo.
“Perchè non me l’hai mai detto?” soffiò piano sedendosi sulla sedia in parte al letto. “Ho passato le pene dell’inferno.”
“Pensavo di essere messo peggio di te.” aprì gli occhi Ermal. “Mi sono beccato una pallottola in pieno petto dal mio partner.” rise ma subito dopo il volto si contorse in una smorfia di dolore. 
“Perchè non mi hai detto che …” 
Ermal lo interruppe prontamente: “Me lo disse il medico all’età di sette anni, mi mostrò la mia lastra al contrario spiegandomi che quella era la fotografia di una persona normale. Poi la girò mostrandola nel verso giusto spiegandomi il situs inversus” 
“Hai il cuore a destra, campione.”
“... ovvero hai gli organi al contrario.” concluse Fabrizio.
“Uno su un migliaio, dicono.”
“Perchè non me l’hai mai detto? Pensavo fosse una cosa importante per te.” chiese Fabrizio scosso.
“Lo è ma lo sai meglio di me che nel nostro mondo meno dici, meglio è!” disse poi con un sorrisetto sghembo sulle labbra.
“Io …” cominciò Fabrizio “pensavo di averti ammazzato.”
“Meglio, così anche Il Capo lo crederà.”  e sorrise.
Ah, la thieves!au che mi logora il cervello. Chissà se mai arriverà. 
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