#nonsenso
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gregor-samsung · 6 months ago
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" Dopo tre anni di pontificato mediocre papa Carlo rimase vittima di un attentato: dalla pensilina della tettoia di un autobus cadde del marcio che colpì papa Carlo sulla papalina. Carlo era cosciente ma la papalina iniziò a grondare sangue e tutti intorno a Carlo e tutti a preoccuparsi della papalina che veniva ricoverata d’urgenza mentre papa Carlo rimaneva tramortito sotto la pensilina. La papalina respirava a fatica, il cuore batteva fioco fioco, migliaia di medici erano al suo capezzano, annaspavano, sforzavano: all'improvviso un uomo di non più di alcuni anni si diresse, pistola alla mano, verso il letto dove la papalina era ricoverata, sfondò il posto di blocco, e svuotò mezzo caricatore contro la papalina che spirò morta. L’uomo venne arrestato mentre papa Carlo faceva ritorno a piedi in Vaticano. Entrò Carlo e venne bloccato e dai a spiegare che lui era papa, e vai a parlare dell'attentato, di quella cascata di marcio che lo aveva colpito rendendolo in fin di papalina, e dai a mostrare i documenti con scritto “Professione Papa”. Venne cacciato da Roma e si trasferì per un po’ di tempo a Istanbul dove cercò di riunificare le tre chiese. "
Antonio Rezza, Non cogito ergo digito (romanzo a più pretese), La nave di Teseo (collana i Delfini, n° 62), 2019; prima edizione: Bompiani, 1998. [ Libro elettronico ]
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valentina-lauricella · 10 days ago
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Di Davide Lajolo, l'incontro con Poli
Cesare Pavese aveva un "amico geniale", il conte Grillo, conosciuto come Poli, personaggio principale del Diavolo sulle colline. "Un pazzo migliore di noi": il giudizio di Pavese, anche a distanza di molti anni dalla stesura del romanzo, si conferma corretto. Ma qual era il pensiero di Poli, al di là del personaggio? Le sue risposte, nel dialogo con Davide Lajolo, ce lo rivelano, o meglio, ce lo fanno intuire...
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"Scrissi Il «vizio assurdo». Storia di Cesare Pavese senza avere volutamente incontrato la donna dalla voce rauca, divenuta tutt’altra donna, e senza potere invece parlare con Poli come avrei voluto, perché nelle confuse notizie che ero riuscito ad avere, nessuno sapeva dove il protagonista del Diavolo sulle colline continuasse a vivere dopo che aveva esteso il suo itinerario nel mondo. [...] Quel diavolo era il personaggio che Pavese aveva dovuto riscrivere meno con la sua fantasia.
[...] «La matematica può tutto, mi disse, ma a un determinato livello va ricalibrata completamente». Sempre assimilando una sigaretta dietro l’altra, cominciò a parlarmi di un libro che aveva pubblicato, L’uomo cinque, dei suoi calcoli precisi per separare la prenatalità dell’uomo dal nulla, per liberare il mondo dalla fame, dalla illibertà, dalla schiavitù della moneta biunivoca: se la moltiplicazione di due numeri deve sempre essere superiore alla loro somma, perché uno per uno fa sempre solo uno e uno più uno fa due? Perché la particella elementare è singolarità del campo, mentre il campo non ammette singolarità?
[...]
«E Pavese?» «All’inizio mi guardava come lei, con l’aria appunto di parlare con un folle. Poi s’interessò. Sono cose estremamente semplici». «Non per me».
«Un pazzo come me pensava che può essere giusto se mai diventare poveri ma non nascere poveri, essere erede della povertà. Ma l’idea, la prassi, la propedeutica sbagliata, è la vecchia divisione. Quella giusta è una moltiplicazione nuova che la cultura non conosce ancora e la natura sì». [...] Sembrava che esistesse in lui un dono di evinzione comune di tutti i principali universi specifici, quasi che il massimo della unità e il massimo della molteplicità fossero in suo pieno potere.
«Se il momento del reddito e il momento della spesa, della stessa moneta, dello stesso pezzo di carta di chi lo guadagna e di chi lo spende, non seguono le regole del moltiplicatore naturale e rendono la moneta invece biunivoca nella realtà fungibile delle due voci salario che è pur sempre un reddito, per quanto basso, e prezzo, che invece è altissimo, come possiamo parlare della più elementare giustizia economico sociale? Dov’è l’errore nascosto di questo nonsenso? Il segreto è nella natalità prenatale, non solo dell’uomo ma di tutte le cose. Non si può arrivare alla vera essenza dell’uomo, se non si corregge quella del numero. Ricorda lei “la misura di tutte le cose”? Come si può iniziare dallo zero?»"
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yellowinter · 1 year ago
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vaghiamo nel nonsenso più assoluto, tutti
#.
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abatelunare · 2 years ago
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Libri che vanno letti 7
Ogni lettore ha - io credo - i propri miti letterari, gli scrittori di riferimento dai quali mai prescinde. Achille Campanile è uno dei miei. Ho fatto la sua conoscenza - del tutto casuale - al liceo. Comprando al buio un suo romanzo. Be’, mi è andata bene. Costui era un genio del nonsenso linguistico. Prendeva le parole, le svuotava del significato originario e le frullava insieme, dando vita a bisticci impensati. In pochi mi hanno fatto ridere quanto lui. Un esempio tipico del suo umorismo fulminante sono queste sue Tragedie in due battute, che si consumano nel brevissimo volgere di poche pagine. Se non le avete mai lette, non potete conoscere il vero umorismo.
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julianworker · 3 months ago
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Exploring Utopia: Insights from More's Two Books
Utopia comprises Book One and Book Two. In Book 1, Sir Thomas More is conducting some personal business in Antwerp when he meets a young man called Peter Gilles who knows a well-travelled man called Raphael Nonsenso. Raphael went on the last three of Amerigo Vespucci’s four voyages in the New World. He requested that he be one of the twenty-four men that Vespucci left behind in the fort located…
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popolodipekino · 5 months ago
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tempo a punti
Ma il tempo è fatto di punti, di istanti, di irruzioni folgoranti e fugaci, prodotti dalla rapidità dell'azione divina: tra ognuno di questi istanti si estende un abisso, che nessun ponte mentale può valicare; tra ognuna di queste irruzioni la creazione è annichilita. (da P. Citati, Lo specchio dei colori e dei profumi, in La luce della notte)
[XV] - Gli esseri umani vivono nel tempo, ma il nostro Nemico li destina all'eternità. [...] Del momento presente, e soltanto di esso, gli esseri umani hanno un'esperienza analoga a quella che il nostro Nemico ha della realtà intera; soltanto in esso viene loro offerta la libertà e la realtà. [...] [XXVII] - Se tu tentassi di spiegargli come le preghiere umane di oggi sono una delle innumerevoli coordinate con le quali il Nemico armonizza il tempo di domani, egli risponderebbe che dunque il Nemico sapeva che gli uomini avrebbero fatto quelle preghiere e, se è così, essi non pregarono liberamente ma furono predestinati a farlo. [...] Ciò che invece dovrebbe dire è , naturalmente per noi, evidente: che cioè il problema di adattare un tempo particolare a particolari preghiere è la semplice apparizione in due punti della sua maniera temporale di percezione, del problema totale di adattare l'intero universo spirituale all'intero universo corporeo; che la creazione opera nella sua interezza in ogni punto dello spazio e del tempo, o piuttosto che il loro genere di consapevolezza li obbliga ad affrontare l'atto creativo, intero e che basta a sé, come una serie di eventi successivi. Perché quell'atto creativo lasci spazio per il loro libero arbitrio è il problema dei problemi, il segreto dietro il nonsenso del Nemico intorno "all'amore". Come poi avvenga non è per nulla un problema, perché il Nemico non prevede gli esseri umani che danno i loro liberi contributi in un futuro, ma li vede agire così nel Suo illimitato ora. (da C. S. Lewis, Le lettere di Berlicche)
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archiviodelmaestro · 2 years ago
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Vecchi giochi divertenti di italiano
In questo articolo useremo nuovamente come fonte d'ispirazione le idee geniali di Rodari presenti nella "Grammatica della Fantasia". In particolare tre vecchi giochi surrealisti.
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Il gioco dei titoli di giornale Il primo di questi giochi consiste nel ritagliare i titoli del giornale e mescolarli tra loro, per ricavarne notizie di avvenimenti assurdi, sensazionali o semplicemente divertenti. Facciamo un esempio: "La cupola di San Retro ferita a pugnalate fugge in Svizzera con la cassa Grave scontro sull'A2 tra un tango e l'altro in onore di Alessandro Manzoni" Si possono comporre interi poemi, forse senza senso ma non senza fascino, con un giornale e un paio di forbici. Sicuro questo esercizio esalta l'inventare storie. Gli eventi bislacchi prodotti dall'operazione descritta possono darci effetti comici senza durata o spunti da sviluppare in una vera e propria narrazione. Tecnicamente, il gioco spinge alle estreme conseguenze il processo di "straniamento" delle parole e dà luogo a vere e proprie catene di "binomi fantastici" (qui il link per l'articolo sul binomio fantastico: https://www.archiviodelmaestro.it/il-binomio-fantastico/) o meglio in questo caso "polinomi fantastici". Il gioco della sigaretta Un altro gioco, diffuso in tutto il mondo, è quello dei bigliettini a domanda e risposta. Si parte da una serie di domande che già configurano avvenimenti in serie, cioè una narrazione. Per esempio: "Chi era? Dove si trovava? Che cosa faceva? Che cos'ha detto? Che cos'ha detto la gente? Com'è andata a finire?" Il bambino che inizia del gruppo risponde alla prima domanda e piega il foglio, perché nessuno possa leggere la risposta. Il secondo risponde alla seconda domanda e torna a piegare il foglio. Così di seguito, fino a terminare le domande. Si leggono poi le risposte come un racconto. Queste possono rappresentare un totale nonsenso o incollanarsi in un embrione di storia comica. Per esempio: "Un morto sulla torre di Pisa faceva la calza ha detto: quanto fa tre per tre? la gente cantava "Va' pensiero" è finita tre a zero" Si leggono le risposte, si ride, e tutto finisce lì. Oppure si analizza la situazione ottenuta per ricavarne una storia. Infondo è lo stesso che scegliersi per tema delle parole a caso. La differenza essenziale è che, in questo procedimento, si sceglie una "sintassi a caso". Invece del già visto binomio fantastico, una "trama fantastica" Il disegno a più mani Un altro famoso gioco surrealista si fa componendo un disegno a più mani. Il primo del gruppo disegna una figura, suggerisce un'immagine, traccia un segno che può avere un significato o nessuno. Il secondo prescinde, in ogni caso, da quel significato e usa il segno del primo come elemento di un'altra figura, di diverso significato. Così fa il terzo, non per completare il disegno dei primi due, ma per mutare la sua direzione, per stravolgerlo. Il prodotto finito è assai spesso un disegno incomprensibile, in cui nessuna forma si fissa, ma tutte trapassano l'una nell'altra, in una specie di moto perpetuo combinatorio. Facciamo un esempio possibile: Il primo bambino disegna, poniamo l'ovale di un occhio. Il secondo, interpretando diversamente l'ovale, gli fa delle zampe di gallina. Il terzo fa nascere un fiore al posto della testa e così via... Il risultato finale importa meno del gioco, della lotta che si crea per dominare le forme altrui e imporre le proprie. Alla fine, però, le figure possono contenere una storia. Appare senza farlo apposta un mostro o un paesaggio fantastico e a questo punto le parole possono continuare il gioco. Il movimento è di nuovo dal nonsenso al senso. Lo stimolo per l'immaginazione nasce anche in questo gioco dall'intuizione di un legame nuovo tra due elementi che il caso mette in contatto: e possono essere "forme dell'espressione" o "forme del contenuto", ma il ritmo binario rimane al fondo dei loro scambi. L'impero della didattica si estende anche sui territori dell'immaginazione. La grammatica della fantasia Per comporre questo articolo mi sono servito in gran parte del libro scritto da Gianni Rodari, "Grammatica della fantasia", vi lascio perciò il link qui per acquistarlo se vi ha incuriosito: https://amzn.to/3MqSugm
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Gianni Rodari, l'autore del libro. Read the full article
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cinquecolonnemagazine · 2 years ago
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La poesia lineare di Carla Bertola
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Il “Lasciatemi divertire” di Aldo Palazzeschi, cioè il giocare con le parole, lo troviamo – per fortuna – in un buon numero di poeti contemporanei. Ma perché si gioca con le parole? Si gioca con le parole, no per un semplice divertissement ma ˗ come dice Giangiacomo Amoretti ne Il gioco della poesia1 ˗ « un tentativo di rompere il continuum dell’esperienza quotidiana, dominata dalla coscienza e dal senso della realtà, per aprirlo a una verità diversa», alla traslazione del quotidiano. La sfida dei “manipolatori di parole” è con loro stessi e con il linguaggio che vorrebbero gli appartenesse con la sua piena autonomia eteronima e riproposte ascrivibili non al proprio quotidiano contraddetto dal paradosso e all’antinomia. Ma cosa vuol dire “traslare il quotidiano”? Proprio quello che stavamo dicendo, lavorare per una poesia/linguaggio/scrittura antinomica che non dica di sé, del sé poeta, ma che vada al di là di ciò che quotidianamente facciamo, in modo da postulare un continuo movimento “del fare”. In buona sostanza allontanarsi dal proprio dettato autobiografico, dalla routine di tutti i giorni che forse non interessa nemmeno al poeta stesso. Si sa che la parodia e il nonsense sono due importanti attrattori affinché in poesia emerga il “giocare con le parole”, quasi due anarcoidi, nella forma e nella sostanza, ma non per questo meno curiosi e interessanti. È una «rivoluzione della mente», se vogliamo, come dice Italo Calvino, non meno seria e sensata. E un po’ tutti i poeti, quando il clima si fa tragico ed incerto, «anche la “vecchia” poesia italiana si trasforma, facendosi in essa meno netti i confini tra senso e nonsenso, tra serio e tragicomico ridicule . Sanguineti ad esempio, soprattutto dagli anni Settanta, infila nei suoi libri, quasi uno dietro l’altro, tautogrammi, ribattimenti leporeambici, acrostici acrobatici (da qui un titolo come Acrobistico), invenzioni e scomposizioni lessicali come “versavice viceversa e dice” alla maniera del Carroll di Jabberwocky. C’è poi Antonio Porta, che nella sua famosa antologia per Feltrinelli, Poesia degli anni Settanta, celebra – come scrive lui – “l’ultrasenso del nonsenso” di Toti Scialoja, tanto da rivendicarne una certa organicità al discorso della neoavanguardia. E ancora nell’antologia portiana ritroviamo poeti della Neoavanguardia di seconda generazione ad alto contenuto nonsense come Corrado Costa, Vincenzo Spatola o Giulia Niccolai»2. Uno dei poeti contemporanei che gioca con le parole è senza dubbio Carla Bertola che è anche una eccellente poeta visiva e sonora: Berenice  Berenice bere anice non si addice Il berbero burbero bercia in berberesco ˗ mai bere barbaresco ˗ La bergère berce le berceau ˗ ma non beve solo l’eau ˗ Bere cin zio e cin zia che bere ci formi! Nel bergamasco con voi berrò. La dolce berceuse si fa   berleffe del berillo,    la berghinella     bergola assai, alla berlina non ci va mai? Berk  ber  ché?  Berlicche  lecca  chicche  viaggia  in  berlina  fino  a Berlino, spende berlinghe in berlingozzi  (che almeno s’ingozzi)  alla berlocca.                 Ber ma alle Bermude, cacciando bernacle un poco bernecche,                             berneggiando qua e là.                                          Sfoggiavo    una bernia (dopo la sbornia)    che bernoccolo sotto il berretto! Il berrettaio  ha  la  berretta  facile,  più  del  fucile.  Chi  ha  il  ber retto può bere assai                                  Il bersagliere berrovéria il bersaglieresco ben fresco, anche il bers’aglio ber sà. Ber so,  Berta  cara,  Berta  bello  è  ber  e  berteggiar, ma  attenta  che la                                 bertesca ti addesca. Bertibello, Bertino, Bertocchio, Bertolo finto tonto.       Bertone       lenone, Berto vello di bertuccia. Se    ti     tolgo dal berretto, un     beruzzo di berzemino te lo fai?       (al Bar Zemino mi troverai) (In «Risvolti», n. 1, settembre 1998, pp. 32-33) Carla Bertola vive a Torino dove è nata nel 1935. Artista visuale scrittrice performer promotrice di iniziative culturali ha partecipato a moltissime mostre internazionali. Numerose le mostre individuali così come le performances di poesia sonora e d’azione in varie città europee oltre che in Canada Messico Brasile Cuba. È stata Artist in Residence presso il Sirius Arts Centre in Irlanda nel 2010. Ha editato e diretto dal 1978, insieme ad Alberto Vitacchio, la rivista internazionale multimediale «Offerta Speciale» ed eseguito il maggior numero di performences sonore e pièces denominate  Poesiteatro. Ha pubblicato soltanto due libri di poesie lineari (almeno in Italia), I Monologhi, (SIC, 1973) e Ritrovamenti (Eureka Edizioni, 2016). I suoi libri verbovisuali libri d’artista e poesie si trovano in molti cataloghi, antologie, collezioni pubbliche e private, riviste cartacee e online («Letteratura»; «Altri Termini»; «Carte Segrete»; «Uomini e Idee»; «Anterem»; «Testuale»; «Salvo Imprevisti»; «Amenophis»; «Plages»; «D(o)cks»; «Dopodomani»; «Risvolti»; «L’Intranquille»; «Otoliths»; «Ulu-late»; «Margutte»; «Utsanga»; «Frequenze Poetiche», etc.). Una rappresentativa selezione delle sue opere è presente al Museo della Carale di Ivrea. Tra le antologie segnaliamo Poesia Totale (Mantova, 1998); A point of View Visual ʼ90 (Russia, 1998); Libri d’Artista in Italia (Torino, 1999); International Artists’ Books (Ungheria, 2000). Ma chi è veramente Carla Bertola? Ad una rivista non-rivista on line, «Margutte» (così si definiscono i responsabili, anzi, le responsabili di questa rivista: Gabriella Mongardi e Silvia Pio), così si autodefinisce: «Ho cominciato a scrivere da ragazza, senza nessun indirizzo e poche conoscenze letterarie, anche se leggevo molto già a 15 anni . Verso gli anni ’60 ho iniziato a scrivere poesie di una certa consistenza, ispirate dalle letture dei contemporanei Ungaretti, Quasimodo, Gatto. Mi rendo conto adesso che quello che mi attirava, inconsciamente era la musicalità dei loro versi, il ritmo impresso alla parola. Iniziai anche a pubblicare qualche poesia su riviste letterarie. Squarotti mi recensì dicendo che ero la miglior scrittrice su piazza, peccato che lo dicesse di tutti. Anche se non ci credevo, mi azzardai a inviare dei testi al Premio Città di Amalfi, che era presieduto da Quasimodo, ma non ricordo l’anno. Fatto sta che ebbi il terzo premio e lui morì di crepacuore. Sul finire degli anni ‘60 cominciai a scrivere testi interessanti e nel ’72 Franco Cavallo mi pubblicò un libretto I Monologhi nella collana Sic, che purtroppo ebbe breve durata. Erano anni che si leggeva molto in pubblico e io stessa organizzai delle serate di poesia e partecipai a degli incontri con altri poeti. Leggendo in pubblico ci si ascolta e ci si confronta. Si capisce anche cosa si vuole o non vuole fare. Non saprei dire esattamente come venni a conoscenza di scritture verbovisuali. Certamente con la “scoperta” del Futurismo e del Dadaismo. Per approdare alle esperienze del Gruppo ’63 e sentendo io stessa il bisogno di sperimentare nuove forme di scrittura. Non sono mai stata molto incline al sentimentalismo nella poesia. Anche nei miei testi “seri” si intravedeva una vena ironica e «un’assoluta mancanza di pietà verso me stessa» (a detta di un critico che mi criticava anche, meno male)»: La Ballata dei Saldi saldi saldi saldi saldi saldi saldi saldi saldi la tendenza è forte   ma la carne è in scatola vendita promozionale a chi va bene          a chi va male pochi soldi  saldi saldi saldi sa           tanti saldi sa saldi sa melamangio viva           melavvito al dito dietro di lei il deserto             dopo di lui il diluvio davanti a noi il disastro liquidazione totalitaria saldi oh  yes           soldiiiiissssmmmiiiiii  oh yes svendiamo sìì veniamo ci sveniamo non svenite saldiamo sa sal fuori i saldi o sparo      saldi subito spero Il mio corpo ti salderà 3x2 sei fregato  quante volte la luna ho sognato… saldi… saldi Saldano i bastimenti occassioni  ocasssioni   occasioni stracciate straccioni occasionali i sogni si avverano i saldi si azzerano prezzi pazzi pazzi siamo a pezzi prezzi fissi  siete pazzi signori e signore signore ascoltaci signore dacci la saldezza eterna Macbeth you’ll sleep no more  all is sold so sad no sales nomore Un saldo nel buio tenetevi ai soldi tenetevi saldi teniamoci i soldi saldisolsalsolsasooo si saldi chi può (in «Offerta Speciale», n. 6, novembre 1990, p. 18) Dunque, la poesia bertolana è costellata d’ironia spensieratezza allegria; tristezza malinconia aggressive invettive, che a detta della stessa Bertola sono stati i sentimenti sui quali gli editori (italiani, naturalmente) accampavano sempre qualche scusa per non pubblicarla. La poesia di Bertola si compone anche per accumulo, associazione di vocaboli, dissociazioni, allitterazioni, calembours; una fonetica del significante che viviseziona parole e segni con il ritmo e il suono che incalzano ad ogni angolo del foglio che spesso viene occupato (ma sarebbe più adatto dire invaso) in tutto il suo spazio bianco, creando la cosiddetta “parola che si vede”. E non potrebbe essere altrimenti, visto che Bertola è anche una importante poeta visuale. Potremmo dire anche ˗ forse senza essere smentiti ˗ che la poesia lineare di Carla precludeva e preclude in sé tratti di “visualità” fin troppo evidenti, e soprattutto le linee guida delle sue performances sonore. D’altronde, nella nota a Ritrovamenti, ci confida che «La mia scrittura ha iniziato un’evoluzione costante alla fine degli anni ’70 incontrando la poesia visuale e poco dopo la poesia sonora. Tuttavia, rileggendo i testi degli anni sessanta, sparsi in qualche rivista storica del periodo, ritrovo già un ritmo che doveva segnare il percorso successivo fino alle performances e alle opere visive delle attuali installazioni». Un tempo dicemmo che i suoi testi nascevano da sensazioni momentanee e/o spontanee, senza premeditazioni, da spunti spinti sul foglio alla rinfusa, figli del caos. Ma ben altra è la struttura del suo linguaggio. C’è da ribadire ancora una volta che il ritmo e il suono dei fonemi, spesso squamati come si squama una spigola da indesiderate anossie siderali, sono i cardini del suo discorso poetico, più ˗ forse ˗ della voglia di dire o di fare, che pur “dicono” e “fanno” questi versi. Docile e allo stesso tempo sorniona, Carla Bertola, con gli strumenti della consapevolezza e dell’esperienza, ci conduce nel suo mondo, quasi in punta di piedi, dove ogni cosa viene sostituita dal magma della concretezza, dove ogni azione è fecondata da un’azione più prepotente, sia pure per accumulo di parole frante e scorporate da un io lirico e melense di tanta poesia in circolazione («… Salina Lina sa cosa? / Sa lino e seta e lana e / Salì nella Salicornia e Saliva la Saliva / Sali scendi Salimetro salì metrò / Salmi per una Salma Salmastro per un Salmì / Salmodìa sal mi dia il sal m’odia / Sal modico o poco prezzo…3). Quindi si riscontrano tracce di nonsense («Sa lato per lato per / Salpa salpinge…»), di limerichs, d’irrisione pungente («S’Alice nel Salicento sogna l’aceto…») che Bertola propone (anche se a volte cautamente) come modo, se non l’unico, per uscire dall’impasse, dallo spaesamento che attraversa la nostra letteratura. Di qui il senso fisico di vivere dentro le cose, dentro l’azione del corpo, lo spazio tra una parola e l’altra (a volte quasi “siderale”) come una pulsione struggente che diviene fattore di un tempo di rottura di armonie incantevoli e ipnotiche che rifiuta ogni sistema di certezza di un mondo blatero, col rischio di farsi alleata di una catarsi: Un foglio biancofa paura ha un futuroimprevedibile strappare non servepotrebbe servire meglio   scritto se poi è stampatopubblicato tuttoè concesso come un matrimonio   l’incertezza è logorante crudelmentedisumana specie per quelliche restano purtroppo non tutti   capiscono certe creature se unonon le aiuta persino gli insettinon si lasciano in agoniaho visitato tantibar trattorie affini frequentato   chiese ospedali grandimagazzini la solitudineha sempre un odorequalche volta puzza raramenteprofuma le case nuovesono tristi perché non mancaniente eccetto la polvere ciò le rendedisadatte all’amore (Da Ritrovamenti, Eureka Edizioni, 2016, p. 14) I versi di Carla vivono di una verve spinta e convinta, di un hazard in consapevole controllo: le parole si accostano a vicenda, si sezionano, si scrutano e si spezzano in modo elegante, senza subire violenza, quasi pacificamente, in enjambement fedeli al richiamo di un’analisi ulteriore proveniente dalla conoscenza del poeta. Il che da un lato porta a un automatismo che gira attorno all’enigma, dall’altro ad una parechesi e al divertissement, demistificando la parola nell’uso e nel modo che le sono più congeniali: accoppiandola ˗ è proprio il caso di dire ˗ con segni pieni di virilità di quel suono-ritmo di cui abbiamo già detto. Insomma, la sua praxis poetica, tra anafore e bisticci di parole, pur restando tutto sommato ancorata al formale, nonché agli estremi di un gioco ludico, in realtà possiede gli strumenti per rimettersi alla funzionalità del Testo. Inoltre, nei versi della Bertola non soltanto l’ironia e l’autoironia sono assicurate, ma anche un andamento scanzonato che sprizza come quando apriamo una lattina di coca cola agitata, per scardinare le coordinate, le consonanze col senso comune, partorendo alla luce del sole quei segni nascosti e immagini “nuove” indispensabili per imbastire un ricamo di vita diversa, al di fuori degli ambienti minimali e ipnotici dei significanti corrotti e usurati, scontati, che l’incomunicabilità del postmoderno4 custodisce gelosamente come un segreto che non gli appartiene, e che solo il poeta che azzarda riesce a vedere e a denunciare. ____________________ 1  In «Redaction Magazine», 31 dicembre 2020. 2  Andrea Afribo, Tracce di nonsense nella poesia del Novecento, in «treccani.it magazine», 25 giugno 2008. 3  C. Bertola, Il sale e i suoi derivati, in «Offerta Speciale», n. 5, maggio 1990, pp. 31-32. 4  Secondo Jean Baudrillard (La società dei consumi, Il Mulino), in un mondo frammentario e senza legami, di pura rappresentazione, i modelli finiscono con il sostituire le cose, e il soggetto è spinto ad abbandonare la propria condizione di individuo, declinando le proprie scelte personali, per ridursi a personaggio all’interno del discorso autoreferenziale attraverso cui la società mostra e produce se stessa; un mondo di feticci e simulacri, in cui non c’è alcuna distinzione tra significante e significato, in cui il segno è già di per sé ipersignificativo, è già messaggio. È il famoso capitale “giunto a un tale livello di accumulazione da diventare immagine” (Guy Debord, La società dello spettacolo, Massari editore) (Emiliano Zappalà, Postmoderno e Postmodernità: vivere la nostra epoca, in «sulromanzo.it», 31 agosto 2012).   Read the full article
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claudiodangelo59 · 2 years ago
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Frasi della Naja
*Naja*
1- è un bravo Cristiano
2- tiene problemi a casa
3- ha un carattere particolare
4- si è sempre fatto così
5- mai primo, mai ultimo, mai solo e mai volontario
6- ti vedo ma non ti sento
7- il signore sta in cielo e le grazie le fa la madonna
8- la porta è chiusa
9- la chiave non c’è
10- il maresciallo non si trova
11- il parmigiano l’abbiamo grattato
12- missione a fine carriera per aumentare la pensione di 50 euro
13- depocel deflorato
14- pausa caffè dopo alzabandiera
15- non sei prenotato non mangi
16- ottimo e abbondante
17- non esistono trombati
18- il Comando è un onore
19- in montagna chi porta magna
20- capita, capitato, capiterà
21- non campo per sempre
22- prendine due così una almeno la mangi
23- ma ci sta la CFI?
24- io sono cavaliere nero
25- ho la 104 della bisnonna di mio zio
26- Chi tocca il bambino diventa padrino
27- Un problema, opportunamente invecchiato, si risolve da solo
28- Il vestiario di magazzino è disponibile solo in due taglie: troppo grande e troppo piccola
29- Il militare non è idrosolubile
30- aggia i a cas
31- -l’ha detto il comandante
32 - capità, ma i’ aggiamangiá
33- 16:25- teng’ ‘a currier
34 - una cartellina sotto al braccio sinistro ti salva per tutta la giornata
35 - Cardinale m’hanno fatto, Papà non lo devo fare, che me ne fott a me
36- 16.30 casca la penna
37- ho già dato
38- Diamo spazio ai giovani
39- chi te l’ha detto, ndo sta scritto, fammelo vedè
40- pacco postale
41- muto e rassegnato
42- Se non vi sta bene ve ne potete anche andare
43- tranquillo vecchio
44- meglio un culo gelato che un gelato nel culo
45- u begge nun va
46- mai Farsi vedere troppo bravi, mia farsi vedere troppo scemi
47- la parola “volontario” è un nonsenso
48- ci sono volontari? Siamo tutti volontari
49- venerdì? 4 ore!
50- buoni a nulla ma capaci di tutto
51- tiene la guerra n’cap
52- mezza parola
53- capità mabegh’ij
54- Capitá, a facc mie sott i pier vuost!
55- nelle more
56- Non c'è nulla di più definitivo di ciò che è temporaneo
57- come voi mi insegnate
58- amm apparat a machina 59- lavoriamo oggi per avere domani l'esercito di ieri
60- è un padre di famiglia
61- purtroppo chi se ne occupa ha avuto un problema a casa
62 - a ro vai uaglio’ che sei di servizio a Natale? Qual è o problema? Ecchite la parentale!
63 - Chi naja non prova, libertà non apprezza
64- pappa nanna cacca
65- 3 firme e passa la paura
66- hai preso il padulo?
67- le lastrine
68- tanto siamo tutti eccellenti
69- è fernuta a zezzenella
70- la tattica è come la pelle dei coglioni
71- un saluto e un grado da tenente colonnello non si nega a nessuno
72- fallo tu che sei fresco di studi
73- siete il futuro della forza armata
74- mano a paletta
75- tranquillo stai coperto
76- 23 San paganino
77- NoiPA è bloccato
78- intranet è bloccato
79- il sige è bloccato
80- i potenti mezzi della forza armata
81- mettilo in bacheca
82- ritardo sull’anticipo
83- gli effetti letterecci
84- la lisciviatura
85- le spettanze
86- la cromatina
87- la liBBretta
88- l’oro bianco
89- Ordine contrordine disordine
90- A disposizione dei relativi comandanti
91- alla naja in culo gli entra ma in testa no
92- se non hai la soluzione, sei parte del problema
93- adunata già mangiati
94- tacco a terra!
95- massicci e incazzati
96- è previsto
97- non mi compete
98- La naja si combatte con la naja
99- Sono tenente colonnello, Mi chiamano colonnello e mi pagano da generale
100- con la pioggia e col sereno anche oggi un giorno in meno (🍾)
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gregor-samsung · 9 months ago
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" Carlo si arruolò in convento con il sogno pio di divenire papa, papa Carlo, senza primo o secondo, papa Carlo e basta, pontefice della religione, pioniere di un papato incorruttibile e vicino al senso cristiano della vita. Dopo pochi mesi Carlo già primeggiava in ogni disciplina, era terzo in latino, quarto in geografia, ottavo in preghiera a corpo libero, diciassettesimo al salto della cavallina, trentaduesimo al giro delle Fiandre, secondo in goliardia, sesto in condotta, novantaquattresimo in letteratura e settimo nelle opere buone. Tutti parlavano di Carlo, si chiedevano di come potesse eccellere in tutte le discipline, qualcuno sospettava doping e vennero prelevate le urine notturne di Carlo per sottoporle ai test pertinenti.
Le prodigiose urine erano ghiacciate, una granatina di cristalli a trenta gradi sotto lo zero, un escremento cetaceo con una temperatura corporea vicina a quelle norvegesi. Dopo un solo anno Carlo era pretore, eccelleva in diritto e in dovere, scriveva testi di esegetica e continuava a primeggiare in tutte le discipline: quarto in pesca trotacea, diciottesimo al salto triplo, ventunesimo in fioretto cattolico, settantatreesimo in toponomastica e terzo in preghiera con rito rigido. Dopo un anno e due mesi Carlo era arcivescovo di tutte le scozie, eccelleva e basta, senza bisogno di elencarne le vittorie che non sono poche: quinto al Tour, sesto a Stoccolma, ottavo a San Sebastian, centotrentaduesimo sul Tourmalet ecc. ecc. Dopo tre anni Carlo era papa, la fumata era bianca ma Carlo era più bianco della fumata, fumava tutto il vaticano e la cortina nascondeva il pontefice che appariva squarciandola come visione francese. Fumava bene Carlo, spezzava le sigarette, le porgeva ai suoi discepoli e le arricchiva. Il sesto giorno di pontificato Carlo, non vedendo più nulla, proibì il fumo e Roma tornò a respirare. "
Antonio Rezza, Non cogito ergo digito (romanzo a più pretese), La nave di Teseo (collana i Delfini, n° 62), 2019; prima edizione: Bompiani, 1998. [ Libro elettronico ]
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cuordiconiglio · 7 years ago
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L’arrivo della primavera reca séco degli strani imperativi biologici che ogni anno non mancano mai di colpirmi con lo stesso rigore di un fenomeno atmosferico incontrollabile. Quasi sempre coincidono con un’impellenza di rivoluzione cui non so dare nome - primo principio dell’imperialismo: la capacità di attribuirne uno alle cose permette di soggiogarle - ma che sembra voler spingere su qualcosa che giace sopito e che cerca insistentemente di spezzare le corde.   Quando i sensi cominciano a percepire il lieve canto delle rondini - è da un po’ che non sento più i corvi gracchiare in prossimità della mia finestra, sebbene mi fossi abituato alla loro inusuale presenza fino ad attenderne il ritorno ogni giorno - tutto sembra amplificarsi e rendermi sensibile a cose che credevo di aver dimenticato, come lo stupore nel vedere come la pianta di malerba sul davanzale sia riuscita ad insediarsi nel vaso di basilico e a crescere senza che me ne accorgessi, quasi fosse avvenuto in una sola notte. È una strana forma di presa d’atto, a metà strada tra la tenera commozione e il dolore. Riprendo a vedere tutto come se fosse la prima volta, a soffermare l’olfatto sulle note del gelsomino in fiore e dei tralci di glicine purpureo.   Qualche giorno fa la luce era intensa e il cielo di un azzurro profondo, di un acume che pensavo di aver solo immaginato, che mi ha fatto ripensare ad un mattino di Agosto del 2011 in cui mi sforzai di imbottigliare e di riporre in un anfratto dell’animo la sensazione di felicità affiorata spontanea e che mi costrinse a sedere in soggiorno, davanti ad un barattolo di yogurt al limone. È in momenti come questi che il calore prende a pungolare da un punto ben preciso del petto, se chiudo gli occhi mi sembra di vederlo roteare.   Forse tendo solo a dimenticare le cose, a farle scivolare dalle mani, ed è per questo che ogni carineria finisce col sembrarmi tenera a fresca. Da quando ho cominciato a vedere Felicity avverto una dolcezza del distacco che non credevo mi sarebbe mancata, quel piacere che deriva nel disperdere le tracce pur mantenendone un’annotazione segreta da qualche parte.   Ho ripreso a pensare a cose inconsuete che nel mio immaginario hanno sempre goduto di notevole fortuna, come la gravità suscitata da un sorriso, una parola detta male o pronunciata del tutto fuori dal contesto, e alla spontaneità di alcune azioni che piovono non programmate. Quando vado a comprare le uova spero sempre che sia sempre quella ragazza a darmele, mi sono sorpreso a farmi piacere il modo in cui affetta le carote o mi offre una noce cercando di spingermi a comprare cose di cui non ho bisogno, pur non ricordandosi di averlo già fatto la volta precedente  Prima ero in strada ed un ragazzo mi ha fermato, tendendo un tarallo. Quando gli ho detto che non potevo mangiarlo per via dello strutto che sicuramente conteneva, me ne ha dato uno all’olio di oliva, accompagnandolo alla domanda: “Tornerai a trovarci? A trovarmi, volevo dire?”. Mentre sentivo la mandorla tostata intrecciarsi al pepe mi sono chiesto di rimando: “Me lo ha chiesto solo per la campagna commerciale che stava portando avanti? Certo che sì, che motivo avrebbe avuto nel chiedere ad uno sconosciuto di tornare a trovarlo, sennò?”. Eppure mi ha fatto commuovere.   Perché ci sto ancora pensando?   
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buckyball16 · 5 years ago
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Me watching She-Ra: These names are absurd. A magician named Castaspella? A cat named Catra? No self-respecting writer does that.
Sir Thomas More writing Utopia in 1516: Let me tell you a ridiculous story about the people from Tallstoria.
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ministrello · 6 years ago
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abbiamo preso una decisione / non possiamo andare avanti / non tirarci indietro / per cui staremo qui / dentro ciò che è stato deciso / quell'abbraccio in cui ci cerco quando gli altri non ci vedono / credo proprio voglia dire addio / è per questo che ci odio / dobbiam sempre dirci addio We made our decision / we can’t move on / we can’t step back / so we’ll stay here / in what we decided / the hug I look for you in when the others don’t see us / I’m pretty sure it means goodbye / that’s why I hate us / we always have to say goodbye
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panvani · 2 years ago
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The translation of More's Utopia that I'm reading renders Raphael Hythlodaeus' name as Raphael Nonsenso on the basis of "Nonsenso" appearing vaguely Portuguese but being more obviously understandable to English speakers w no education in Ancient Greek... I'm going to sit here annoyed about a Portuguese guy being named Nonsenso when Nãosenço makes more sense w Portuguese orthography...
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julianworker · 4 months ago
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Book Review - Utopia by Thomas More
Utopia comprises Book One and Book Two. In Book 1, Sir Thomas More is conducting some personal business in Antwerp when he meets a young man called Peter Gilles who knows a well-travelled man called Raphael Nonsenso. Raphael went on the last three of Amerigo Vespucci’s four voyages in the New World. He requested that he be one of the twenty-four men that Vespucci left behind in the fort located…
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afriupdatenews · 4 years ago
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CBN’s free meal and rising fiscal complacency
CBN’s free meal and rising fiscal complacency
No penalty on earth will stop people from stealing if it is their only way of getting food,” says Raphael Nonsenso in Utopia. This, according to Thomas More, the author of the 1,516 fictional work, was a response of Nonsenso, a Portuguese traveller, during a dialogue with the Archbishop of Canterbury, John Morton, wherein the former argued that cash hand-outs could reduce theft in the city of…
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