#facciamo qualcosa di nuovo su questo blog ogni tanto
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frammenti--di--cuore · 5 months ago
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sono appena rientrata da un viaggio pazzesco nelle mie 800+ bozze e raga, sono state un pugno allo stomaco. Mi sono chiesta come mai certe cose non le avessi pubblicate nonostante fossero pensieri carini; forse nelle bozze c'è una parte di emozioni troppo intense che non sarei mai riuscita a postare in quel preciso momento. Quindi ho pensato, per un po' ho voglia di rispolverare pensieri vecchissimi e postarli adesso nonostante alcuni risalgano ad anni fa. Penso sia giusto dare uno spazio a quelle emozioni che ho messo da parte per così tanto tempo. Alcuni sono pensieri ancora attuali, altri un po' meno...ma sono sempre e comunque una parte di me.
zoe, che in realtà ha un botto da fare ma nei momenti di pausa viene posseduta da questa irrefrenabile voglia di malinconia ✌🏻
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pizzakaijuisekai · 10 months ago
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Il giorno in cui non ho fatto niente e si è rotto tutto
11 aprile 2024.
Ore 7:30
Non ho chiuso occhio. Deboroh ha miagolato non so verso quale ora, dopodiché solita notte di merda all'insegna dei cartoni animati non desiderati. Mi allenerò senza voglia, poi spesa, poi video. Ho già fame. Devo piantarla di non mangiare nulla appena sveglia. Vabbè, ormai è andata. Ho già fatto diversi lavori, oggi devo anche risolvere la questione telefono (che ovviamente va restituito, troppo una chiavica) e vedere se posso pagare a rate qualcosa che non voglio ma è l'unica roba che c'è disponibile. Un mese per rimpiazzare telefono e bicicletta e non ci sono riuscita. Allucinante.
Ieri il video spazzatura di sottomarche è fallito, quindi basta, non ripeterò più l'esperimento. Vado, chi si ferma è perduto.
Ore 12:30
Sono del tutto sorda. Seriamente. Devo iniziare a riposarmi da palestra e riposarmi in generale. Oggi non avrei dovuto fare una ceppa. Continuo a non capire questa voglia inutile di allenarmi che tanto non porta da nessuna parte. Questa è un'altra cosa che vorrei cambiare. Non ho preso manco la pillola. Infine, tanto per gradire, si è rotta la ps4. Volevo la ps5, ma io devo sempre cambiare un telefono. Non so bene da dove far uscire i soldi, quello che faccio è il massimo che posso fare e mi sembra che già sia parecchio (guadagno più adesso di quando andavo a lavorare nella vita vera). Il fatto è che da sola non è fattibile e aiuti non ce ne sono. Comincio ad avere fame. Oggi ho segnato gli orari, la cosa funziona, mi do il tempo di fare le cose e sentire appetito. A colazione ho mangiato le gallette con un paio di burri di frutta secca, molto buono. Sono riuscita a non mangiare la marmellata all'alba e sinceramente sono contenta. Avevo fame, ma niente di proibitivo.
Ho aggiornato il blog. Nient'altro.
Ore 21
Giornata vuota. La mia vita è sempre stata solo un susseguirsi di liste di cose da fare. Ho avuto sempre la fissa di dover fare cose, di imporle persino, e che fare due volte di seguito la stessa non era cosa buona perché sennò sai che palle. Quando cerco di uscire da questa routine di hobby/impegni, rimane il vuoto. Con Alfredo non si riesce a fare niente. Da quando non lavora più (ormai 5 anni) ho smesso di giocare. All'inizio pensavo fosse una coincidenza, ma no. La realtà è che lui vive su quella playstation, che io ho sempre i minuti contati e che la libertà di stare 6 ore su un videogioco, ogni giorno, io non ce l'ho. Io, a quanto pare, ho libertà di lavorare 12, ma se faccio qualcosa di mio e basta, senza scopo, non si può fare. Perché rubo il tempo a qualcosa che neppure facciamo più. Sicuramente me lo autoimpongo, questo limite (non ricordo mi abbia mai detto robe del genere), ma di fatto quello che accade è questo: ho smesso di giocare. La playstation non è più mia. E infatti ho comprato una Nintendo, che non uso, perché non mi piace.
Sono riuscita a inserire i cartoni animati perchè sono unità brevi (e anche perché i film li avevo debellati da tempo senza neppure rimpiazzarli: piuttosto guardavo il vuoto che quella spazzatura americana). E quindi diventando un'abitudine, ormai si guardano e basta. Riesco a leggere, perché pure lì si tratta di intervalli brevi. Ma se domani volessi prendermi Dragon Dogma e giocare 24 ore (non dormire, persino, per giocare, come facevo prima)... non è più possibile. Ci fosse almeno una ragione. Tipo Questo tempo serve a questo. No, quel tempo serve a rodermi dentro, a guardare un telefono che detesto, a leggere e guardare puttanate (cosa che non posso fare nemmeno quasi mai, perché come metto un video lui ci parla sopra. Se poi tolgo il video, di nuovo silenzio per ore. Sembra quasi lo faccia apposta). Ne ho pieno il cazzo di questa vita qui. Ne ho pieno il cazzo un po' di tutto. Ma più che lamentarmi non posso fare perché non mi viene in mente nulla da fare in alternativa. ho esaurito del tutto le idee.
Stamattina alle sei avevo deciso di vedere un film. Sono le nove, prima delle nove e mezza non inizieremo a guardarlo e quello che so è che non riuscirò a guardarlo. Perché ho sonno, stanotte non ho chiuso occhio.
So che la playstation è rotta. Che il telefono è rotto. Che devo spendere altri mille euro (e questi mesi abbiamo già cambiato pc e frigorifero e aggiustato mille minchiate) di botto e la cosa mi deprime tantissimo.
Che giornata di merda.
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len-scrive · 4 years ago
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Rating: Mature
Fandom: Slam Dunk
Relationships: Hanamichi Sakuragi/Kaede Rukawa
Characters: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa, Haruko Akagi, Takenori Akagi, Yohei Mito, l’Armata Sakuragi, Hisashi Mitsui, Ryota Miyagi, Ayako, Anzai, Taoka, Akira Sendou
Tags: Sakuragi e Rukawa imparano a conoscersi, questo non toglie che continuano a battibeccare, adorabili idioti, Parlano, Perfino Rukawa
Lingua: Italiano
Sommario: L’inizio del nuovo anno scolastico porterà Hanamichi a collaborare con colui che da sempre definisce il suo acerrimo nemico. Ma forse l’odio tanto decantato per Rukawa si basa su qualcosa che non esiste e Hanamichi comincerà a farsi qualche domanda.
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Capitolo 1 - Un genio alla deriva
 Neanche in campo aveva mai corso così veloce e non era sicuro che fosse una buona idea sforzare in quel modo la schiena. Ma non poteva rallentare; le gambe si erano attivate nell’esatto istante in cui Yohei aveva parlato.
“Hanamichi, sono quasi sicuro che Haruko abbia deciso di dichiararsi a Rukawa. Mi ha fatto tutto un discorso sul prendere in mano le redini della propria vita, buttarsi, essere pronti a rischiare… E ha nominato Rukawa, ecco…”
E per quello si era messo a correre.
Continua a leggere su AO3
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Questa settimana comincia la storia che sto scrivendo ormai da Dicembre.
È ambientata nel mondo di Slam Dunk, che io ho amato per anni tanto e tanto tempo fa, ma che poi ho messo in un cantuccio, certa di aver letto e imparato abbastanza da quei ragazzi. È stato forse il manga che ho letto di più in vita mia.
Poi qualche mese fa @wisesnail mi ha annunciato che lo stava rileggendo, eravamo a Novembre. E visto il suo entusiasmo così contagioso ho pensato che era ora anche per me di rileggerlo, erano passati quasi vent’anni.
Ed è stato un amore rinato in modo completamente diverso.
Se avete voglia di leggere qualcosa di più a riguardo questo è il link al post che ho scritto sul mio blog.
Slam Dunk (ieri e oggi)
Mentre rileggevo io, stava rileggendo anche Wisesnail ed è stato un continuo scambio di impressioni, analisi dei personaggi, risate per le parti più divertenti e lacrime per quelle più toccanti.
Come ho già detto anche a lei, il Natale 2020 doveva essere a tutti gli effetti una mezza schifezza, invece per me è stato uno dei più belli degli ultimi cinque anni.
Ho iniziato a scrivere guidata dalla voglia di avere per le mani personaggi così diversi da Hannibal e Will, per una volta. Ad un certo punto ho desiderato tantissimo parlare di come poteva evolversi un sentimento tra ragazzi del genere: appassionati, brillanti, vivaci, pieni di vita e così belli dentro.
Quelli di Slam Dunk sono tutti personaggi indimenticabili, a partire dai loro tratti così diversi, dalle loro caratteristiche fisiche che Inoue ha così ben differenziato, fino al loro carattere. E si fatica a trovarne di antipatici.
Sono tutti motivati dal grande amore per il basket e tutti con una loro storia alle spalle che, anche se non viene raccontata, è bello potersi immaginare. Così come abbiamo fatto e tuttora facciamo io e Wisesnail su ogni singolo personaggio a cui ci dedichiamo.
Per questa storia a capitoli ho scelto Sakuragi e Rukawa, perché mi sono resa conto che non li avevo mai capiti come li capisco adesso. Rileggere Slam Dunk ora è stato una rivelazione con tanti, tantissimi momenti in cui mi sono resa conto che a leggerlo nel corso dei miei vent’anni mi ero persa troppe cose che invece ora mi toccano profondamente.
Questa storia è dedicata a Wisesnail, ovviamente, perché per merito suo ho riaperto i miei volumetti custoditi gelosamente su uno degli scaffali della mia libreria e perché è merito suo e dei suoi disegni se ogni giorno sono stata ispirata ad andare avanti con questo racconto.
In più la ringrazio infinitamente per tutte le chiacchierate sul Giappone, che lei conosce molto meglio di me, sugli usi e costumi, sul cibo meraviglioso, sul sistema scolastico e lo sport in generale, anche se ad oggi ci capisco ancora poco e lo noterete. Ho piegato Kanagawa un po’ al mio volere, ma questo è un mio marchio di fabbrica, sapete che odio parlare dei posti geograficamente corretti.
E le tempistiche di campionati, lezioni e allenamenti sono anche quelle un po’ a sentimento.
Ringrazio ancora Wisesnail per tutte le traduzioni che le ho chiesto dal manga originale e che lei mi ha fatto tirandomi su di morale, perché è vero che Slam Dunk è tradotto benissimo in italiano, ma se vi concentrate sui personaggi e sul loro studio come abbiamo fatto Wisesnail ed io, vi accorgerete che alcuni insulti, alcuni epiteti, alcuni modi di rivolgersi agli altri come sono stati tradotti in Italia sono semplicemente inaccettabili ed infatti non erano così in originale. Sapere che Inoue non ha usato termini come “donnicciola” nella sua opera mi rincuora e sapere che Hanamichi non si rivolgerebbe mai a delle ragazze dando loro delle “cretine” è semplicemente quello che mi aspettavo da lui.
Avrei da dire il mondo ancora, ma verrebbe fuori un altro capitolo della fanfic e allora vi lascio alla lettura.
Solo sappiate che per quanto si parli di ragazzi giovani, io non riesco a separare questa consapevolezza dal fatto che poi nel manga sono disegnati con aspetto molto più grande. Quindi prendete la loro maturità e i loro discorsi come il risultato del meraviglioso lavoro che ha fatto Inoue nel rendere questi ragazzi dei giovani adulti nelle loro molteplici sfaccettature e già incredibilmente decisi e determinati nella vita.
Sarò qui ad ogni capitolo come sempre, per qualunque cosa abbiate voglia di condividere su Slam Dunk.
Vi auguro buona lettura.
 Len  
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pleaseanotherbook · 5 years ago
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Non fiction: una selezione di saggi
Leggere più libri fuori dalla mia comfort zone è stato uno dei miei propositi per il nuovo anno, uno di quelli che faccio spesso e che cerco di mantenere nonostante tutte le possibili difficoltà che lo stress della mia vita mi mette davanti. È difficile perché sono un’abitudinaria cronica, la mia routine è quello che mi tiene salda di nervi e soprattutto oppongo una fiera resistenza ai cambiamenti. Li abbraccio alla fine della fiera, ma se dipendesse da me non farei nulla per cambiare il circo della mia vita. Ma mi rendo perfettamente conto che sono necessari e inevitabili e quindi bello strappo di cerotto e si salta nel vuoto. Al contrario di altri aspetti della mia vita però, le mie letture sono cambiate molto rispetto a quando ho aperto il blog, il mio modo di reagire alle storie è cambiato e a volte riguardo certe recensioni e mi chiedo che cosa avessi nel cervello. Quasi nove anni però mi sembrano un periodo ragionevole di tempo per rendermi conto che forse non tutte le storie sono dei capolavori, ecco (ho appena scritto davvero nove anni? Dal 2011 sono davvero passati nove anni? OMG! Chiudiamo immediatamente questa parentesi. Mayday! Mayday!).
Tutta questa premessa per dire che la quantità di non fiction che arriva tra le pile di libri che infestano il mio appartamento sta aumentando, e la lettura di saggi mi sta coinvolgendo molto. Ecco quindi perché oggi vi propongo una selezione degli ultimi saggi che ho letto, in quarantena e non:
I tre fratelli che non dormivano mai – Giuseppe Plazzi
Le disobbedienti: Storie di sei donne che hanno cambiato l'arte – Elisabetta Rasy
Manuale per ragazze rivoluzionarie: Perché il femminismo ci rende felici – Giulia Blasi
L'inferno è una buona memoria – Michela Murgia
Vita su un pianeta nervoso – Matt Haig
Enjoy!
I tre fratelli che non dormivano mai – Giuseppe Plazzi
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Nulla è più misterioso della nostra mente quando dormiamo. Accadono infatti cose che neanche la fervida fantasia di un grande scrittore saprebbe immaginare, e molte sono le domande che tutti ci facciamo, senza però trovare risposta. Com'è possibile guidare una macchina, parlare lingue misteriose o camminare per ore durante il sonno? Da dove vengono quelle inquietanti visioni di demoni, folletti e spettri che infestano la nostra stanza? Che cosa spinge i bambini a gridare terrorizzati nel cuore della notte? Perché alcune volte abbiamo l'impressione di cadere da una sedia e ci svegliamo? Il neurologo Giuseppe Plazzi ci apre le porte del suo laboratorio, dove ogni giorno pazienti con disturbi del sonno rari e affascinanti - oppure molto diffusi, come il sonnambulismo, l'insonnia, il terrore notturno e la sindrome delle gambe senza riposo - riscrivono i limiti scientifici delle nostre conoscenze e, forse, della nostra realtà. Tre fratelli affetti da un'insonnia letale, un frate perseguitato dal diavolo, un uomo capace di volare, una donna tormentata da fantasmi col collo lungo, un giovane sonnambulo colpito da una mutazione genetica, le acrobazie sessuali di una coppia durante il sonno, un intero paese caduto in letargo: sono soltanto alcune delle molte storie raccolte in queste pagine dal dottor Plazzi, dalle quali emerge un universo notturno costellato di sogni, incubi, allucinazioni, capacità soprannaturali e imbarazzanti risvegli in cui ogni lettore, con sorpresa, non faticherà nel suo piccolo a riconoscersi. Un'opera dal ritmo romanzesco e dalla temperatura letteraria - nel solco della tradizione di Oliver Sacks -, spaventosa a volte, altre volte divertente, grazie alla quale scoprire gli angoli più bui delle nostre notti, capire i meccanismi segreti del sonno e acquisire una consapevolezza preziosa: neanche solcando tutti i mari, guadando tutti i fiumi, attraversando tutte le terre o arrampicandoci sulle più impervie cime che punteggiano questo mondo riusciremmo a vedere tante cose quante il nostro cervello è in grado di mettere in scena in una notte.
Una mia cara amica mi ha parlato di questo libro e quando Il Saggiatore lo ha messo a disposizione gratuitamente nell’ambito del progetto Solidarietà Digitale in quarantena ho colto la palla al balzo. In periodi particolarmente stressanti della mia vita soffro di insonnia, resto ore e ore a fissare il soffitto, a pensare, con la mente che va più veloce del mio respiro e i rumori della notte e ombre strane che si muovono per avvicinarsi alla mia mano a inquietarmi. Il sonno quindi è un argomento che mi ha sempre affascinata, vuoi perché spesso ne sono privata, vuoi perché è tanto fondamentale per la nostra salute. Più il sonno è frammentato e non continuo, più funzioniamo male. Il Dottor Plazzi è un esperto di disturbi del sonno e racconta alcuni dei casi più affascinanti e curiosi che ha incontrato nella sua esperienza pluriennale spiegandone le dinamiche e rassicurando il lettore che certi disturbi sono più comuni di quanto si pensi. Plazzi non scende nel tecnico e i casi clinici sono pienamente fruibili anche da chi non è un esperto in materia, e riesce sempre a tenere desta l’attenzione, anche quando sembra di leggere un romanzo e non una raccolta di casi clinici. Forse è questo che mi ha fatto perdere un po’ dell’entusiasmo iniziale, lo stile di Plazzi forse troppo divulgativo, ma che riesce sempre a descrivere in pieno l’argomento trattato. Un viaggio tra sogni e incertezze, diagnosi e sintomi, dolore e guarigione, in un dualismo che non sempre si risolve al meglio.
Le disobbedienti: Storie di sei donne che hanno cambiato l'arte – Elisabetta Rasy
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Che cosa unisce Artemisia Gentileschi, stuprata a diciotto anni da un amico del padre e in seguito protagonista della pittura del Seicento, a un'icona della bellezza e del fascino novecentesco come Frida Kahlo? Qual è il nesso tra Élisabeth Vigée Le Brun, costretta all'esilio dalla Rivoluzione francese, e Charlotte Salomon, perseguitata dai nazisti? C'è qualcosa che lega l'elegante Berthe Morisot, cui Édouard Manet dedica appassionati ritratti, alla trasgressiva Suzanne Valadon, l'amante di Toulouse-Lautrec e di tanti altri nella Parigi della Belle Époque? Malgrado la diversità di epoca storica, di ambiente e di carattere, un tratto essenziale accomuna queste sei pittrici: il talento prima di tutto, ma anche la forza del desiderio e il coraggio di ribellarsi alle regole del gioco imposte dalla società. Ognuna di loro, infatti, ha saputo armarsi di una speciale qualità dell'anima per contrastare la propria fragilità e le aggressioni della vita: antiche risorse femminili, come coraggio, tenacia, resistenza, oppure vizi trasformati in virtù, come irrequietezza, ribellione e passione. Elisabetta Rasy racconta, con instancabile attenzione ai dettagli dell'intimità che disegnano un destino, la vita delle sei pittrici nella loro irriducibile singolarità.
Sono una grande appassionata di lettura, passerei il mio tempo a visitare pinacoteche, a rimanere incantata davanti alle pennellate di grandi artisti del passato. I maestri pittori, come gran parte delle figure di spicco del passato sono uomini ma esistono delle donne che si sono imposte in ambienti prettamente maschili regalandoci delle opere straordinarie. Di Artemisia Gentileschi ho un ricordo molto bello di una mostra che sono andata a vedere con C. una delle mie amiche più care e di cui ci siamo entusiasmate particolarmente. Artemisia è figlia d’arte, ma soprattutto è una di quelle donne che non si lasciano mettere i piedi in testa da nessuno e sfida una società intera a riconoscere la sua innocenza. Non si arrende finché non viene riconosciuta come una pittrice. Berthe Morisot è la dama dell’Impressionismo (una delle mie correnti preferite): la potevi trovare impressa nelle tele ma soprattutto a dipingere dietro le tele con la creatività e la forza di Monet e Degas. La forse troppo sfruttata Frida Kahlo una donna indomita dalla forza straordinaria, tormentata da malattie debilitanti è sempre riuscita ad emergere con i suoi colori sgargianti e la sua fantasia esplosiva. Ma anche donne come Charlotte Salomon che non si è lasciata mettere in silenzio dal boia nazista, affida la sua memoria ai disegni che raccontano tutta la sua esistenza. Élisabeth Vigée Le Brun e Suzanne Valadon in modi e in tempi diversi sfidano la società del proprio tempo per emergere fulgide con le loro opere e le loro vite. È una prospettiva molto interessante quella che regala la Rasy composta da aneddoti, sfumature, impressioni, contesto storico, dei ritratti di donne a tutto tondo che non si lasciano facilmente ostacolare, che nonostante le vite difficili, le difficoltà evidenti, la disperazione innata si ribellano a tutto anche a loro stesse.
Manuale per ragazze rivoluzionarie: Perché il femminismo ci rende felici – Giulia Blasi
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Care lettrici (e cari lettori) di ogni età, questo appello appena lanciato da Giulia Blasi non è una boutade, ma un invito serio, formulato dopo anni passati a osservare come si muovono uomini e donne in Italia. Una società che oggi è tecnologica, in rapida evoluzione, ma purtroppo non ancora paritaria fra i sessi in termini di rispetto, opportunità, trattamento. Certo non si può dire che nel Novecento non siano stati fatti enormi passi avanti per le donne, basti pensare al diritto di voto o alle grandi battaglie per il divorzio e l'aborto. Ma dagli anni '80 in poi il femminismo si è come addormentato, mentre il successo nel lavoro (e in politica, nell'arte) ha continuato a essere per lo più riservato ai maschi e in tv apparivano ballerine svestite e senza voce. Per non dir di peggio: la violenza sulle donne non si è mai fermata e chi denuncia le molestie tuttora corre rischi e prova vergogna. Ecco perché oggi è giunto il momento che le ragazze di ogni età raccolgano il testimone delle loro nonne e bisnonne per proporre un cambiamento epocale, per fare una rivoluzione che ci porti tutti - maschi e femmine - a un mondo in cui ciascuno abbia le stesse occasioni per affermarsi secondo i propri talenti e non si senta più obbligato a aderire ai modelli patriarcali - cacciatori & dominatori vs angeli del focolare & muti oggetti di desiderio sessuale - che, spesso in forme subdole, continuano a esserci proposti. Sembra impossibile? Non lo è! In questo saggio profondo ed elettrizzante Giulia Blasi analizza con spietata lucidità le situazioni che le donne oggi quotidianamente vivono e offre, in una seconda parte pratica del libro, consigli concreti per mettere in atto un femminismo pieno di ottimismo e spirito di collaborazione (evviva la sorellanza!) che possa rendere tutti più sereni, rispettosi, appagati e felici. Anche gli uomini.
Siamo in una società che ancora non è riuscita a sradicare tutti i pregiudizi sociali di cui è affetta, intrinsecamente. Viviamo in una società in cui c’è ancora bisogno di parlare di accettazione delle minoranze, in cui è necessario mettere in luce i drammi che vivono le categorie meno protette di tutti gli strati sociali. Viviamo in una società in cui il femminismo è ancora un imperativo categorico. Un femminismo inclusivo, completo, che non lascia spazi a dubbi sulle motivazioni della lotta, che non si ferma a giudicare. La Blasi espone chiaramente situazioni e prospettive e poi si ferma a fornire consigli utili. Mettere in evidenza i comportamenti sbagliati, sensibilizzare su argomenti apparentemente banali o che alcuni giudicano come ormai superati. A cosa serve il femminismo se avete gli stessi diritti degli uomini? Beh non è proprio così, si continua a giudicare con due pesi e due misure ogni passo in avanti fatto ha una intercapedine in cui si infilano i precetti di consuetudini che sono dure a morire. C’è ancora bisogno di libri del genere, c’è ancora bisogno di spiegazioni, di discussioni, di volontà forti che non si lasciano intimorire, c’è ancora bisogno di puntare contro ai comportamenti maschilisti, ad un mondo che vede le donne ancora in una posizione di svantaggio. Questo mondo in cui viviamo e che dobbiamo proteggere a tutti i costi, deve essere costruito anche sulla collaborazione attiva di tutti. È un cane che si morde la coda, un circolo vizioso da spezzare, ma sono certa che prima o poi ce la faremo, inizierò a preoccuparmi quando non proverò più indignazione.
L’inferno è una buona memoria – Michela Murgia
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Quanto somiglia Cabras, Sardegna, paese natale di Michela Murgia, ad Avalon, Britannia, luogo mitico di Re Artù e della spada nella roccia? Se Morgana, Igraine e Viviana, le “Signore del Lago”, hanno il potere di sollevare le nebbie con le parole e influenzare le vite dei cavalieri della Tavola Rotonda, Michela Murgia, nata in mezzo alle acque di Cabras, ha il potere di sollevare le nebbie intorno alle storie e alle idee che ci circondano, raccontandoci la versione delle donne, nel solco ideale di Ave Mary. In un viaggio che comincia in mezzo al mare e in mezzo al mare ritorna, una delle maggiori scrittrici italiane racconta come e perché è diventata femminista, come e perché ha cominciato a temere le gerarchie religiose, come e perché non ha mai smesso di giocare di ruolo nel mondo magico di Lot, come e perché certi libri che ci hanno fatto crescere, in effetti, li abbiamo mangiati più che letti, e soprattutto come e perché creare ogni giorno il mondo che ci circonda è un gesto politico.
Della Murgia ho parlato in un post intitolato “Michela Murgia: un ritratto”, ma avevo completamente dimenticato questo breve saggio. La scrittura della Murgia è lineare e incantevole e anche se parla di un argomento che apparentemente è lontano dal lettore, pure lo irretisce, e lo accompagna alla scoperta di un nuovo mondo. In questo caso è quello de “Le nebbie di Avalon” il libro di Marion Zimmer Bradley una delle pietre miliari della letteratura fantasy e del ciclo legato ai cavalieri della Tavola Rotonda. La Murgia racconta i personaggi femminili, la strega Morgana, Igraine e Viviana, le “Signore del Lago” e ne analizza i punti di forza in un mondo dominato da figure maschili che partono, viaggiano, combattono, salvo poi tornare sempre da dove sono partiti. Un cerchio che si riunisce nella storia personale della Murgia e nei temi che di solito accompagnano le sue storie. Il femminile che si distacca dalle sue radici per esplodere con una forza eccezionale nei momenti più impensabili. Ma non solo, si esplora il misticismo e la religiosità e si racconta un libro che qualcuno potrebbe definire di serie B, è solo un libro fantasy in fondo, ma che nasconde diverse chiavi di lettura per interpretare il reale e il nostro presente.
Vita su un pianeta nervoso – Matt Haig
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Il mondo ci sta confondendo la mente. Aumentano ondate di stress e ansia. Un pianeta frenetico e nervoso sta creando vite frenetiche e nervose. Siamo più connessi, ma ci sentiamo sempre più soli. E siamo spinti ad aver paura di tutto, dalla politica mondiale al nostro indice di massa corporea. Come possiamo rimanere lucidi su un pianeta che ci rende pazzi? Come restare umani in un mondo tecnologico? Come sentirsi felici se ci spingono a essere ansiosi? Dopo anni di attacchi di panico e ansia, queste domande diventano questione di vita o di morte per Matt Haig. Che inizia a cercare il legame tra ciò che sente e il mondo intorno a lui. Vita su un pianeta nervoso è uno sguardo personale e vivace su come sentirsi felici, umani e integri nel ventunesimo secolo.
In quarantena Edizioni E/O ha messo scaricabile gratuitamente questo volume di Matt Haig ed è stato un volume illuminante. Haig ha raccontato la sua esperienza in un mondo che ci vuole sempre agili, scattanti, veloci, interattivi e di come questo atteggiamento abbia contribuito a peggiorare la sua salute mentale. Lo scrittore inglese non offre risposte, ma offre una prospettiva diversa e una serie di consigli su cosa ha funzionato per lui. Allontanarsi dalle situazioni di stress, fare un passo indietro, prendersi il proprio tempo, capire quando è arrivato il momento di alzare le mani e non andare oltre, perché non se ne hanno più i mezzi o le possibilità. Fermarsi non è una sconfitta, è solo il passo necessario per stare meglio, il passo necessario per rendersi conto che questo è si un pianeta nervoso, ma noi non siamo costretti ad esserlo. Haig esplora le situazioni più conflittuali, la presenza sui social network, lo sviluppo tecnologico che sta crescendo in maniera esponenziale, la società che vi vuole workaholic e sempre informati, il bisogno di non perdere la testa di fronte a questo mondo che si estende enorme di fronte ai nostri occhi. Prendersi il proprio tempo diventa la condizione senza la quale non possiamo davvero essere sereni. Non c’è niente di meglio che staccare tutto e rilassarsi per superare le situazioni terribili che si affastellano nella nostra quotidianità.
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frasi-italiane-blog · 6 years ago
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Anche sta sera ho bisogno di sfogarmi. A volte mi distraggo e basta. Oggi, invece, è una di quelle sere in cui i pensieri sono più forti delle distrazioni. È una di quelle sere in cui ti chiedi cos'hai sbagliato per meritati tutto questo, e poi inizi a pensarci troppo arrivando alla conclusione che il problema non sono gli altri ma sei tu. Arrivi alla conclusione di sentirti un peso per qualsiasi persona. Arrivi al punto che non ne puoi più di perdere. Non ne puoi più di sentirti senza nessuno accanto, ma sai benissimo che non puoi farci nulla e allora continui come hai sempre fatto. Te stessa e quella marea di sensi di colpa e pensieri disprezzanti su qualsiasi cosa. Arrivi al punto che non ne puoi davvero più. Arrivi al punto di non riuscire a fidarti e di avere paura di amare di nuovo. Arrivi al punto di dire basta e poi ci ricadi come una pera. Arrivi al punto. A un'altro punto. Sperando sia l'ultimo che concluda così bruscamente questa frase. Sperando in qualche virgola ogni tanto. Sperando magari un nuovo inizio. Con qualcuno che non ti illuda, ma ti faccia sapere che sei qualcosa di più di uno sbaglio. Che sei più di quello che pensi. Speri sempre in quel qualcuno che ti faccia dimenticare qualcosa. Tutti noi ne abbiamo bisogno. Solo non arriverà mai. E nel mentre che lo cerchiamo, cadiamo. Ci facciamo male. Tanto male. Ci facciamo curare dalle persone sbagliate. E finiamo per stare solo che peggio. Non do le colpe agli altri che mi hanno illusa per secondi fini. Do le colpe a me per averci creduto. Per essermi fidata. Per essermi fatta prendere in giro. Do le colpe a me che ci ho messo troppo cuore. Do le colpe a me se vorrei di nuovo ubriacarmi fino a vomitare. Do le colpe a me se voglio l'ennesima cicca tra le mie dita. Do le colpe a me se sto sveglia di notte a piangere. Do le colpe a me che ci sto male. Do le colpe a me che non lo dico. Do le colpe a me che nascondo. Do le colpe a me che sono falsa quanto loro, illudendo me, di queste false virgole, sbagliate. Come me.
@frasi-italiane-blog
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predarubia · 6 years ago
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Something. Somewhere. Sometime. Someone. Predarubia. 8 Settembre 2017. One day.
Una canzone è come una macchina del tempo... Questo è uno dei tanti incipit che, non approdando a niente, ho cancellato. Con uno sforzo di fantasia si può immaginare il resto di questo inizio che lascio a memoria degli altri che ho eliminato. Credo che si debba scrivere per una ragione e non possa essere un esercizio fine a se stesso. Qualcuno identifica questa ragione in una urgenza comunicativa, ma sono tutte cazzate, siamo vittime di un romanticismo esasperato. Qualcuno muore, si innamora, scoppia una guerra, perde un amico, il treno. Non importa quello che accade, ciò che conta è che c’è qualcosa da raccontare, c’è una storia da narrare. Ed è inevitabile per chi si trova perennemente invaghito del bisogno di raccontare, in qualsiasi sua forma, di aver voglia di farlo. Racconto perché mi va, scrivo perché ne ho voglia, nient’altro. “Non posso farne a meno, devo rispondere a quell’urgenza.” Bello, fosse vero. Ma chi ve lo ha chiesto? Immagino qualcuno camminare per strada ed inciampare cadendo rovinosamente a terra. Voi lì pronti a soccorre il malcapitato ed arriva qualcuno di corsa tutto trafelato. Vi corre incontro urlando ”Presto, presto. Vai a scriverci un articolo, un romanzo, una canzone. Non perder tempo.” Non vi resta che abbandonare il malcapitato al suo destino e correre verso la macchina da scrivere, imbracciare la prima chitarra a tiro, sedere al pianoforte. Sì lo so è molto forzato e paradossale, ma ugualmente quell’urgenza mi pare una grossa cazzata. Non è solo una frase fatta, è il segno inequivocabile che di vero non c’è niente, quasi un segnale convenzionale messo lì appositamente per darti l’opportunità di non essere ulteriormente ingannato. Non è la parola in se che ti avvisa, perché in altre situazioni, in contesti differenti, non ti fa mettere in dubbio ciò che segue. “Scusa, mi puoi indicare la toilette, devo andare urgentemente al bagno.” Nessun campanello d’allarme, sei pronto a credergli ed indicargli il luogo dove espletare quell’urgenza, che sai essere sempre in fondo a destra. Lo diceva Gaber e non puoi non credergli. Ma se alla domanda del giornalista che chiede cosa vi ha spinto ad iniziare a scrivere canzoni si risponde “nasce dall’urgenza...” è inutile proseguire nella lettura ed ancor più inutile andarvi a cercare quelle canzoni che sono nate sotto quella spinta, perché di vero non troverete niente. Serve una ragione per scrivere, ed è una ragione che asseconda un solo ed unico bisogno:  la voglia di farlo. Ma non basta, perché se non c’è verità, questa  ragione viene a mancare. A questo punto possono essersi verificate 3 situazioni. La prima è che io abbia cancellato l’ennesimo inutile incipit che non è approdato a nulla, in quel caso queste parole non esistono e non le state leggendo. La seconda è che non abbia cancellato niente, ma dopo poche righe vi siate giustamente rotti il cazzo e pertanto queste parole e quelle che seguono è come se non esistessero. La terza è che siate arrivati fin qui, ed io in quel caso vi devo una ragione e la verità. La ragione è che per mantenere il social vivo devo necessariamente pubblicare qualcosa. Potrei pubblicare la foto di noi 4 al bar mentre ci gustiamo un cappuccino, oppure mentre peliamo le patate o facciamo la spesa. Chiaramente in molti lo fanno, ma un conto è postare la propria giornata per farlo sapere ai nostri amici e parenti, per dire loro che eravamo in quel posto e sentirci rispondere che, la prossima volta, se possono, ci verrano anche loro. L’altro è di fare altrettanto su una pagina che è li al solo scopo di far conoscere la nostra musica e ciò che è strettamente connesso ad essa. Lo so che Gianni Morandi lo fa con molto successo e che molti altri, molto meno noti di lui, fanno altrettanto. Ma a dirla tutta a me di Gianni che fa la spesa non frega un cazzo e mi sorprende che interessi a qualcuno. Mi sorprende ancor di più che un perfetto sconosciuto, con una pagina simile alla nostra, mi racconti cosa sta mangiando e che debba scorrere un bel pò la sua pagina per capire se sia un cantante, un ballerino, uno scrittore, un clown. La verità è che non mi va di farlo tanto per farlo, non mi va di pubblicare qualcosa al solo scopo di mantenere vivo il social. La verità è che avrei voglia di parlare delle nuove canzoni, del nuovo album, ma non si può parlare di canzoni che solo in pochi, al momento, hanno potuto sentire. La verità è che avrei voluto parlarvi di One day, perché è una delle poche di Somewhere Boulevard di cui non ho ancora scritto sul blog. La verità è che per quanto avrei voluto non ho un cazzo da dirvi al riguardo, perché Simone Gazzola, che ha diretto il video di One day, mi ha derubato di tutte le immagini che avevo in testa quando ho scritto il brano, sostituendole con quelle che ha lui girato. La verità è che se ora penso a One day penso a quel cazzo di VW arancione, penso alla neve ed al freddo di quei giorni. Penso a Simone sdraiato nella neve che ci riprende. Penso a Marco che si imbosca in cerca di tepore, a Simone che ci parla convinto di averlo ancora al suo fianco. Penso al freddo, all’odore del VW, alle lunghe ore di ripresa, al mal di schiena che avevo, a Simone che dice “buona” e subito dopo “ne farei un’altra” e poi un’altra ancora, ed un altra ancora. Penso alla bellezza di stare insieme con l’unica ragione della musica, alla voglia di raccontare quella bellezza, a sentire che non appartiene più solo a noi 4, ma che anche Simone e Marco ne fanno parte. La verità è che raccontarlo non ha senso, perché tutto questo è nel video, potete vederlo e le mie parole non aggiungerebbero niente. E se non riuscite a vederlo, allora cosa potrei mai dire per riuscire a mostrarvelo? La verità è che Simone si è preso ogni immagine che avevo tranne questa con le parole che l’accompagnano. La verità sta tutta nell’immagine, nelle parole. La verità è che avrei potuto parlarvi di questo e dirvi di chi sono gli occhi, di quale città siano le luci e quale tempo mi sia stato promesso. La verità...One day or another Giuseppe Pocai Per ascoltare la canzone: https://itunes.apple.com/it/album/one-day/1273723314?i=1273723426 Per vedere il video: https://youtu.be/-ILrVG0buSE
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violet-in-my-life · 3 years ago
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Maggio 2022
È da tanti mesi che non mi faccio viva. Troppi. La scrittura per me è catarsi, ma anche una grande prova di coraggio. Ogni volta che decido di aprirmi un po’ a me stessa, su questo blog, finisco per rattristarmi. Ma in effetti, se scrivo qui, è perchè spesso lo sono già. Triste, intendo.
Sono in preciclo. Quando sono in preciclo, c’è un un giorno preciso, tra i tanti, che mi rende malinconica, arrabbiata, inconsolabile. Ho come un vulcano che mi esplode dentro, che brucia le pareti interne del mio corpo, di una lava azzurra, che danneggia senza dare calore. Vorrei gridare, stare bene, trovare qualcosa o qualcuno che mi calmi, ma niente o nessuno ci riesce, a calmarmi. Sono inconsolabile. 
Mi sto abituando alla mia nuova vita  a Londra, intanto, in questa casa con altre due donne italiane. Non è facile, le due Francesche (si, si chiamano entrambe Francesca... che strano, vero?) sono molto, ma molto pignole, per usare un eufemismo; entrambe single (e si capisce anche perchè). A volte facciamo discorsi intelligenti, piacevoli. Mi fanno conoscere i loro amici, stiamo insieme quando non ho progetti per il weekend. Ma le sento ancora così distanti... Non sono mie amiche. 
Non penso di avere più amiche a Londra. Mi sono allontanata ormai da tutti. Li sento, li vedo, sporadicamente. Laura la Lituana è tornata a Londra, ma con il nuovo fidanzato; forse la contatterò più in là. Penso di essere ancora un po’ in collera con lei, per come se n’è andata senza salutare. E Diletta. Diletta non è mai venuta a trovarmi a casa, dice che è troppo lontana da casa sua. Un’altra persona che non considero più mia amica. A volte mi manca, ma molto raramente. Vedo Hajar di tanto in tanto. Mi fa divertire, ma il suo opportunismo non mi permette di fidarmi del tutto. Noemi, la ragazza pugliese con il figlio, è l’unica più di cuore; ma ha una vita incasinata ed è molto più giovane di me. 
Insomma, diciamo che ho più conoscenze che amicizie al momento. E mi sta abbastanza bene così. Mi sento più tranquilla e più in pace con me stessa. Ho imparato a dire no quando non mi va di fare qualcosa. Come qualche giorno fa, per esempio, al Salsa Bar a Temple. In passato, per il semplice gusto di ballare, accettavo l’invito di tutti, soprattutto vecchi e indiani, che poi si rivelavano dei pervertiti sudati che mi chiedevano di ballare solo per strusciarmi addosso l’arnese (che vomito gli uomini!). L’altra sera ho detto NO ad almeno 4 persone. Ma ovviamente, mi è capitato il Mr Bean biondo della situazione... vabbè. Ho comunque fatto un passo avanti rifiutando gli altri.
Ciò che non cambia - e ormai penso non cambierà più - è la mia relazione con Marco. Vivere lontani pensavo ci avrebbe fatto bene. Ma non abbiamo fatto grandi progressi per essere una coppia che si vede solo nel weekend. Non parliamo quasi mai. Eppure ci vediamo la metà del tempo rispetto a prima. Addirittura a volte penso che anche lui volesse separarsi da me, per vivere da solo. Mai una volta mi ha detto che gli manco, o che vorrebbe tornassimo a vivere insieme, se non per pagare metà affitto... Questo è il motivo per cui non mi andava di scrivere nulla sul blog. Realizzo cose che non avrei realizzato sennò. Scrivere mi fa paura. Mi fa pensare a quando sono debole. Mi prendo cotte a destra e sinistra, ma poi non lo lascio. Minaccio di lasciarlo. Ma poi non lo lascio. Non lo lascio mai. E lui lo sa. Sa che non lo farò. E questo mi fa imbestialire. Quante persone se ne approfittano di me, del fatto che sono sempre così accondiscendente! Poi covo rabbia, la tengo dentro per secoli, finchè non scoppio. E con Marco, scoppio spesso. E divento insopportabile. Ma qual è la novità, dopotutto? 
Oggi mi è capitato di pensare ad Alessio. All’amore che provavo per lui. Ho guardato le sue foto su FB, quelle vecchie, in cui lo riconosco. Mi è venuto da piangere all’improvviso. Anche se l’ho negato per anni (a volte lo nego ancora), quanto ho amato quel ragazzo! Eppure non c’era chimica fra noi. Il sesso non era un’opzione. Però ero persa... ero completamente stregata da lui. Un amore senza sesso. L’unico amore che ho realmente conosciuto. Non ho più amato così. Quanto mi manca essere innamorata... Mi manca fidarmi di qualcuno, sentire l’emozione che cresce quando lo vedo, pianificare insieme.
Ho l’età per pianificare, ma mi riesce davvero male farlo al momento. E questo momento dura da 31 anni. E penso che gran parte dei motivi per cui non ci riesco, sono legati a Marco e la mia vita qui a Londra. Il mio lavoro mi piace: lavoro finalmente in una mainstream school come Learning support assistant. Non è un ruolo importante, lo so, ma è stimolante. Sto imparando tante cose, seguo le lezioni con i ragazzi: è come andare di nuovo a scuola, ma pagata! E sto provando a migliorare l’inglese. Ma sembra di essere sempre allo stesso punto con la lingua. Sono asociale a scuola. Non faccio amicizia con i colleghi perchè non li capisco quando mi parlano e mi vergogno per il mio accento; così mi isolo. E mi sa che sono salita anche sul cazzo a parecchie persone. E questo mi ricorda un po’ quando ero davvero al liceo. Il liceo linguistico è stata una croce per me. Ero chiusa in un guscio dorato fatto d’insicurezza e arroganza. Mi sentivo fuori luogo e i compagni si prendevano gioco di me. E io li odiavo, li odiavo ogni giorno di più, e odiavo me perchè non avevo le palle di reagire, di difendermi. Come ho sempre fatto del resto. Come faccio con Marco. Non ho le palle di difendermi. E per questo non smetterò mai di disprezzarmi. Dovrei rompere questa catena di ferro battutto... ma come si fa? Nemmeno la terapeuta mi ha aiutato davvero. Quindi boh. Aspettiamo il Principe Azzurro, fino a 50 anni. 
Insegno italiano online, su una piattaforma che si chiama Italki. Mi piace farlo, ho conosciuto tanta gente diversa, a cui piacciono le mie lezioni, ma mi pagano pochissimo. In generale, anche il mio lavoro principale è pagato pochissimo. E potrò vivere solo nelle case condivise a Londra. Penso per sempre. Anche lo stipendio da insegnante sarebbe ridicolo a confronto dei prezzi di un monolocale  a Londra. Se non mi assumeranno a scuola a Settembre, dovrò pensare seriamente a cosa fare. Sarò sempre un’extracomunitaria qui. Sempre. Qualunque lavoro farò. E sono stanca di esserlo. Voglio mettere radici. 
Penso a Laura S. Lo faccio spesso. A volte scrivo alla mamma per sapere come sta il bambino, come se la cavano in generale. Un po’ mi sembra di essere con lei quando sento la madre. Ma solo un po’. A volte penso che la rivedrò, solo per qualche secondo lo penso, e mi viene da sorridere. Un sorriso che subito si perde nel vuoto, assieme ai miei occhi. Avevamo qualcosa in comune io e Laura, questo retrogusto amaro della vita che cercavamo di mandare via con il peggiore degli zuccheri, quelli che ci facevano male. Quelli che fanno ancora male a me. Io però in qualche modo me la sono cavata. Sono ancora viva. L’amaro che lei portava in gola l’ha affogata, del tutto. Le ha magiato la gola, lo stomaco, il cuore. Sei diventata nera, Laura, sempre più nera, dicono. Eppure io questo non l’ho potuto vedere. Non ci siamo più incontrate. Io in Dio non ci credo. Da tanto tempo ormai. Come non credo più nelle favole. Da tanto tempo, ormai. Ma quanto vorrei credere che esisti ancora, tu, da qualche parte, Laura, col tuo bel sorriso da cantante. Ogni volta che canto, penso a te, la mia maestra. La mia Nana. Ci sono cose che non riesco più a fare, per il momento forse, come guardare Nana o cantare. O forse ci riesco, ma mi si blocca qualcosa in gola e mi si dimezza il respiro. Io preferisco ricordarti mentre canti, mentre voli, non mentre sei seduta su quel letto tra mille cicche di sigarette e con le palpebre scese. Mi sento ancora così in colpa, Laura, per non averti voluto bene abbastanza... 
Quando sono sola nel mio letto la mattina presto e la notte, penso ai miei genitori. A come moriranno. A quanto siano stati infelici, a quanto lo siano. A quanto non sia stata una buona figlia. Sono scappata. Da loro, da me, da una vita che mi metteva paura. Avevo paura che la tristezza mi divorasse, che il fallimento mi corresse dietro. Ero sicura che nessuno mi avrebbe mai amato. Lo sono anche adesso. Penso che morirò sola. Non voglio avere figli. Solo l’idea di averli mi devasta, mi scava dentro, dove nascondo le paure più profonde. Non voglio che nessun essere cresca nella mia pancia, lo trovo... assurdo. La vita e la morte. Per me sono assurde. La mancanza di amore. Assurda. Tutto è assurdo per me al momento. E a volte si, mi sembra di essermi atrofizzata nel corpo e nella mente. Come se esistesse solo il presente. Un presente senza colori, un presente tiepido, meschino, che se ti fermi per pensare, ti vomita in faccia gli anni e tutto quello che non hai. A volte vorrei dissolvermi nell’aria, diventare tramonto, dimenticarmi di tutto, perdermi nelle nuvole, non provare più niente. Un po’ ci sono riuscita a raffreddare le mie emozioni, in questa città fredda come la brina del mattino, umida, che ti si appiccica sulle ciglia, si mischia con un pianto secco, che si ferma a metà guancia. Vorrei essere una nota, un bemolle, di una melodia classica, suonata in un’orchestra, di quelle importanti. Solo una nota, lunga, di un violino o di un clarinetto, che mentre non è nota, non è nulla. Aspetta di essere nota. Perchè si, io sono brava ad aspettare. Sarebbe bello essere una nota. Sarei eterna, sempre uguale. Sarei eterna. 
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lavoroconstile · 4 years ago
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Trova il lavoro che desideri: come diventare seo copywriter e social media manager
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Claudia Moreschi ci racconta come ha trovato il lavoro dei suoi sogni
Sono solita dividere la mia vita in due momenti: la mia vita prima del 2014 e quello che è venuto successivamente. Il 2014 è stato per me un anno a dir poco cruciale: nel maggio di quell’anno ho dato un taglio netto alla mia vita, lavorativa ma non solo, licenziandomi in tronco. Arrivavo sì da nove anni di lavoro dipendente con contratto a tempo indeterminato, tredicesima e quattordicesima e tutto il resto, ma ero profondamente, terribilmente infelice. Troppo infelice. Il lavoro da ufficio era diventato per me troppo stretto (da anni era ormai chiaro che il lavoro da ufficio non faceva proprio per me), le vessazioni del mio datore di lavoro insopportabili, stavo male psicologicamente e fisicamente. Insomma, non potevo pensare di continuare così. Poi un bel giorno di primavera, dopo aver toccato il fondo, ho capito: perché farmi del male in questo modo? Chi me lo fa fare? Si cambia!
Il percorso fino alla decisione di diventare freelance
Il mio sogno era quello di essere autonoma e indipendente, finalmente padrona del mio tempo e della mia vita, “capo di me stessa”, ma soprattutto libera di fare quello a cui tenevo più di ogni altra cosa: occuparmi di scrittura e comunicazione, la mia vera vocazione. Prima di lanciarmi di petto nel mondo dei freelancer, ho voluto però prendermi una pausa ristoratrice da dedicare a una mia altra grande passione: viaggiare. Per leccarmi le ferite, ritrovare me stessa e fare luce su quello che volevo veramente fare, ma anche per mettermi alla prova e valutare se potevo davvero farcela come freelancer.A novembre del 2014 sono partita per il Sud-est asiatico, sola e con uno zaino da dieci chili sulle spalle, da brava backpacker, con un biglietto aereo “aperto”: sapevo quando sarei partita (il 12 novembre) ma non sapevo con esattezza quando sarei tornata. Durante quello che è stato il viaggio più memorabile e intenso della mia vita, da cui sono tornata rinata e con un bagaglio di immenso di esperienze, mi sono spostata via terra esplorando Thailandia, Laos, Vietnam, Cambogia e quindi Singapore, da cui sono ripartita.Sono rientrata dal mio viaggio in solitaria cinque mesi dopo, nell’aprile del 2015, rilassata e piena di energie e speranze, pronta a lanciarmi a capofitto in una nuova fase della mia vita. Il mio sogno più grande era diventare libera professionista e la vita non è fatta di rimpianti: quindi perché non provare? Prima di buttarmi a capofitto nel mio nuovo lavoro ho però voluto consacrare la mia esperienza e raccontare della mia decisione di cambiare vita e di viaggiare in solitaria con un biglietto di sola andata: nell’autunno del 2015 è uscito Clamore in Asia, il mio primo libro, un racconto di viaggi, riflessioni e stimoli per chi vuole cambiare vita.
Da quando ho aperto la partita iva
Il passo successivo è stato altrettanto decisivo. Era arrivato il momento ufficiale: a gennaio 2016 ho finalmente trovato il coraggio di fare una cosa che rimandavo da tempo, ovvero aprire la mia partita IVA. Sono quindi diventata a tutti gli effetti una libera professionista specializzata in SEO Copywriting, Social Media Marketing e articoli per il web, con una predilezione (non poteva non essere così) per il mondo del turismo.Un aiuto fondamentale nel mio processo di cambiamento professionale è arrivato dal mio blog di viaggi: aperto nella primavera del 2012, il mio blog mi ha aiutata fin da subito a farmi conoscere sul web e a stringere le prime collaborazioni di scrittura, collaborazioni che con il tempo si sono consolidate fino a darmi una base solida di clienti da cui partire. Negli anni il mio blog di viaggi è diventato anche fonte di ispirazione per tanti che come me, cercavano di dare un taglio alla propria vita ma magari tentennavano o temevano di non farcela.Essere di aiuto e stimolo per loro è stato, e lo è tuttora, un aspetto molto gratificante, che mi riempie di gioia, qualcosa che faccio volentieri, così come hanno fatto altri con me quando ero nella loro stessa situazione.Cosa fa un SEO Copywriter e Social Media Manager professionistaUn SEO copywriter è uno specialista della scrittura (soprattutto web ma può anche occuparsi di scrittura offline): i contenuti che realizza sono sempre in ottica SEO, cioè ottimizzati per i motori di ricerca. Per diventare SEO copywriter serve quindi un’ottima padronanza della lingua, creatività e abilità nella scrittura a cui si aggiunge una buona conoscenza della SEO. Spesso – come nel mio caso – un SEO copywriter può occuparsi anche di social media marketing, quindi creazione di contenuti e strategie per la comunicazione sui social media. In questo caso, in più, serve una conoscenza approfondita del mondo dei social media (mondo in evoluzione quotidiana) e delle dinamiche del web marketing: saper gestire la stesura di piani editoriali e la creazione di post, ma anche la creazione di campagne pubblicitarie e analisi dei dati statistici.Come mi sono formata per lavorare nel copywritingNel frattempo mi sono dedicata alla specializzazione: già prima di aprire partita IVA ho frequentato un corso intensivo di social media marketing per la gestione degli eventi, quindi un corso internazionale di travel writing e mi sono dedicata ad approfondire l’ambito del copywriting con letture a tema, webinar e corsi di scrittura.Per il copywriting sono state per me illuminanti le letture di Luisa Carrada e Annamaria Testa, ma ci sono stati anche altri libri “esistenziali” che hanno segnato il mio ingresso nel mondo dei freelancer: ne ho letti tantissimi, ma tra i primissimi che mi vengono in mente ci sono “La mucca viola” di Seth Godin, “4 ore alla settimana” di Timothy Ferriss e “Adesso basta” di Simone Perotti. Leggere, leggere, leggere, leggere tanto è tra le primissime cose che consiglio a chi vuole intraprendere la strada del copywriter. La formazione è qualcosa che deve essere costante non solo in una fase preliminare di costruzione del proprio lavoro, ma anche durante, a maggior ragione per chi, come è, è anche social media manager: i social media sono un mondo in fermento e in evoluzione quotidiana (e questo è uno dei motivi per cui li amo così tanto), per cui non si può mai restare indietro. A distanza di anni, ormai nel sesto anno della mia attività come freelancer, non c’è mai stato un giorno in cui non sia stata felice della mia scelta. Probabilmente questo è proprio il posto giusto in cui avrei sempre dovuto essere, perché non ho mai avuto difficoltà particolari o momenti di crisi. Da inguaribile ottimista quale sono, penso che se davvero vogliamo una cosa con tutta la nostra forza, se davvero facciamo di tutto per ottenerla, il premio poi arriva. E con esso la felicità. Come recita una delle frasi-mantra che preferisco, “fai quello che ami e non lavorerai un solo giorno della tua vita”.Come iniziare a lavorare come SEO Copywriter e Social Media Manager professionistaCome dicevo sopra, le mie prime collaborazioni sono arrivate grazie al mio blog, che è stata ed è tuttora una vetrina importante per farmi conoscere. Agli inizi mi sono iscritta a portali internazionali dedicati al lavoro dei freelancer: le tariffe in genere sono basse ma può essere un buon trampolino di lancio da cui partire per farsi conoscere e trovare i primi clienti. Oltre a questo serve un sito professionale ben posizionato per farsi trovare da chi cerca servizi di SEO copywriting e social media, dove creare anche una sezione portfolio per mostrare i propri lavori e le proprie collaborazioni. Sullo stesso argomento puoi leggere su Lavoro con Stile: Come diventare copywriter da zero! Trovare lavoro come blogger... Come diventare social media manager. Come entrare in contatto con Claudia MoreschiChi vuole sapere di più su chi sono e quello che faccio può trovarmi qui: https://www.claudiamoreschi.it/ http://www.travelstories.it/ il mio blog di viaggi. e infine i miei canali social: https://www.linkedin.com/in/claudiamoreschi/ https://www.instagram.com/clamore_travelstories/ https://www.facebook.com/TravelStories.it https://www.facebook.com/ClaudiaMoreschi.it Un ringraziamento speciale a Claudia Moreschi per essersi raccontata con generosa e genuina autenticità! Ti aspettiamo come sempre nei commenti se ti va! Read the full article
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trucchigiochigratuiti · 4 years ago
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Gold and Goblins Trucchi - Gold and Goblins Trucco Gemme e Elisir
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Gold and Goblins Trucchi - Gold and Goblins Trucco Gemme e Elisir
Gold and Goblins Trucchi – Gold and Goblins Trucco Gemme e Elisir Gratuite
Questo nuovo Gold and Goblins Trucchi è pronto per essere utilizzato e vedrai che ti divertirai di più dal momento in cui deciderai di approfittarne. Dobbiamo dirvi che questo strumento cambierà le cose per voi. Prima di andare avanti e provarlo, vi preghiamo di leggere le prossime righe sul gioco e sul Gold and Goblins Trucco che sarà il vostro aiuto. Imparerete sicuramente cose utili che vi saranno d’aiuto lungo il vostro cammino verso la grandezza.
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Informazioni su Gold and Goblins Questo gioco vi porta un mix tra i giochi Idle e Merging in un modo che crea un’esperienza incredibile. Avete l’opportunità di costruire miniere e cannoni goblin. In questo modo sarai in grado di aiutare i Goblin a ricostruire la loro fortuna. Puoi unire quanti più goblin possibile per potenziarli. Questo è il tuo momento per trovare tesori e oro estraendo tutte le rocce che troverai. La migliore strategia di cui puoi approfittare per aumentare le tue entrate in oro è quella di sbloccare nuovi pozzi minerari. Potrete scoprire tonnellate di miniere dove potrete vedere quanti segreti troverete. Questo gameplay vi offre la possibilità di raccogliere carte che potrete aggiungere alla vostra collezione. Scopri tutte le abilità che ti aiuteranno ad avere successo in questa avventura. Siete in grado di entrare in eventi a tempo limitato che possono portarvi a guadagnare molte ricompense incredibili. Non è necessario essere online 24/7, vedrete che otterrete oro inattivo anche se siete offline. Ci sono più di 100 miniere uniche da esplorare e in cui trovare cose molto interessanti. Vedrai che incontrerai giocatori da tutto il mondo con cui potrai competere per dimostrare che alla fine sei il miglior giocatore con la strategia vincente. Il consiglio che possiamo darvi per raggiungere questo obiettivo è quello di ottenere il più forte dei goblin e raccogliere tutti i potenziamenti delle carte che potete trovare. Un altro grande consiglio che vorremmo condividere con te è quello di utilizzare il prossimo strumento che abbiamo preparato per te. Perché usare Gold and Goblins Trucchi è così importante? Questo nuovo Gold and Goblins Trucchi aggiungerà tutte le gemme e l’elisir di cui hai bisogno direttamente sul tuo dispositivo nel giro di pochi secondi. Ciò significa che se decidete di approfittarne, otterrete il set completo di caratteristiche che cambieranno il livello di divertimento che stavate avendo fino ad ora. Vi incoraggiamo a beneficiare di questo Gold and Goblins Trucco immediatamente e ottenere un’esperienza di gioco completamente diversa nel processo. Potrai godere di un’altra caratteristica che è stata incorporata in questo Gold and Goblins Trucchi e che è la caratteristica Anti-Ban che ti offre protezione. Questa mantiene i tuoi dati personali e privati nascosti. Nessuno noterà mai il fatto che stai usando questo Gold and Goblins Trucchi e la tua attenzione può rimanere sul gioco e sull’esperienza divertente che ti porterà. Un impatto importante per decidere se questo Gold and Goblins Trucchi è giusto per te potrebbe essere la prossima notizia che vorremmo condividere. Prima di tutto, questo Gold and Goblins Truco può essere utilizzato sia su dispositivi iOS che Android. Puoi andare avanti e prendere uno di questi dispositivi che già possiedi e migliorare la tua strategia proprio ora. Funzionerà bene, non importa quante volte darete questo Gold and Goblins Trucco una prova. Facciamo costantemente miglioramenti e aggiornamenti ad esso in modo da ottenere la migliore versione di questo strumento. Non c’è dubbio sul fatto che questo Gold and Goblins Trucchi ti piacerà molto e sarà la strada giusta per te. La seconda grande notizia di cui parlavamo è il fatto che non dovrai pagare nulla. Non ti sarà richiesto di prendere il tuo portafoglio e darci un centesimo. Tutti i vostri obiettivi possono diventare realtà, gratuitamente, in pochi secondi. Questo è l’aiuto perfetto per te come giocatore di questo gioco e ti evolverai così tanto che ti sembrerà quasi un sogno. Gareggiate contro qualsiasi altro giocatore senza nemmeno un pensiero che non vincerete. Questo Gold and Goblins Trucchi può rendere tutto questo possibile.
Qualche parola sul Gold and Goblins Trucchi
Ciao giocatori! Di fronte a voi c’è il miglior generatore di Gold and Goblins Trucchi che potete trovare online in questo momento! Finalmente possiamo presentarvi con orgoglio questo fantastico strumento generatore che può aiutarvi a ottenere molti Gemme e Elisir gratuite. So che questo suona ridicolo ma dopo tante ore di sviluppo di questo strumento di lavoro finalmente siamo in grado di godere in questo trucchi per Gold and Goblins! Premete il pulsante qui sotto e sarete reindirizzati alla pagina degli imbrogli. Seguire i passi sulla pagina del generatore o leggere tutto il post del blog sottomano per scoprire come hackerare Gold and Goblins e ottenere Gemme e Elisir!
Come utilizzare Gold and Goblins Trucchi
Se state ancora leggendo, allora volete avere qualche informazione veloce su come usare questo trucchi, quindi cercherò di descrivere il vostro processo in poche parole. Non è mai stato così facile ottenerne Gemme e Elisir. Questo processo è così semplice che anche un bambino di cinque anni può completare interi passi in pochi minuti e ora vi farò sapere come fare. Il primo passo è già stato fatto. Sei finalmente sul sito migliore per Gold and Goblins Trucchi e ora puoi semplicemente rilassarti e divertirti, perché è davvero difficile trovare strumenti di hacking di lavoro al giorno d’oggi! Dopo aver premuto il pulsante ‘Accedi Trucchi’ verrai reindirizzato a questa pagina dove avrai il tuo Gold and Goblins Trucchi. Una volta cliccato il pulsante troverai la pagina del generatore e la prima cosa da fare è collegare il tuo account di gioco al generatore. Aspetta un paio di momenti che il generatore colleghi il tuo account. Assicurati di lasciare l’email/nome utente dell’account a destra e seleziona il tuo dispositivo! Gold and Goblins Trucchi è il modo migliore per ottenere Gemme e Elisir gratuitamente. Tutto quello che devi fare è usare il generatore collegato qui sotto. E’ molto semplice – devi digitare il tuo nome utente Gold and Goblins, scegliere quanti Gemme e Elisir gratuiti vuoi e poi cliccare sul pulsante Continua. L’intero processo è automatizzato e richiede fino a 5 minuti. La connessione con il server è protetta da server proxy e da una crittografia AES a 256 bit, in modo che il tuo account sia completamente sicuro. Spendere il tuo denaro è finalmente giunto al termine! È sempre la stessa situazione. Il gioco è nuovo, ma per andare avanti ci vuole troppo tempo. Sei stanco di giocare così a lungo per fare finalmente progressi. Ecco perché stai pensando di comprare il Gemme e Elisir. Ma non deve essere per forza così nel Gold and Goblins, perché con l’trucchi Gold and Goblins ti diamo la possibilità di ottenere tutti i Gemme e Elisir gratuiti che vuoi. La cosa migliore di questo Generatore Gold and Goblins, tuttavia, è che siete completamente protetti e non dovete avere paura di incantesimi o altro. In Gemme e Elisir trucchi puoi decidere quanti Gemme e Elisir ne vorresti. In pochi minuti lo riceverete direttamente sul vostro smartphone. Per inciso, il Generatore Gold and Goblins Gemme e Elisir funziona perfettamente per tutti gli smartphone iOS e Android. Vi fa risparmiare un sacco di tempo, pazienza e soprattutto denaro!
Perché il Gemme e Elisir è così importante?
Con questi potrete semplicemente includere molto più divertimento all’interno del gioco. Potrai ottenere driver migliori e persino sbloccare nuovi personaggi. Purtroppo il gioco è “Paga per vincere”. Questo significa che le possibilità di successo sono molto più alte nel caso in cui siate disposti a spendere dei fondi. Ecco perché abbiamo prodotto un Gold and Goblins trucco che si può usare ovunque e in qualsiasi momento. L’trucchi vi offre la possibilità unica di ottenere tutte le cose e le costose valute straniere in gioco completamente gratis. Tutto quello che devi fare è cliccare sul particolare generatore online e non sei pronto ad andare. Scegliete voi stessi il numero di no cost Gemme e Elisir che una persona vorrebbe trovare. Nel giro di poco tempo potresti trovarli. In ogni nostro tutorial abbiamo spiegato esattamente come funziona. Conclusione Per la migliore esperienza, è possibile controllare le recensioni per la credibilità. Questo metodo vi sarà sicuramente utile e vi renderà un giocatore avanzato dello stesso. Speranza, questa guida vi sarà utile e vi permetterà di saperne di più sullo stesso. Se non sapete come progredire, allora potete ottenere gratuitamente Gemme e Elisir utilizzando questo strumento. Assicuratevi di non utilizzarlo più di cinque volte al giorno. In pochi mesi dal rilascio di Gold and Goblins è già nella top 10 dei migliori giochi per cellulari per quest’anno. Qualcosa del genere ci si aspettava da un gioco che è stato rilasciato da una casa di gioco rispettabile. Il gioco ha avuto un successo esponenziale nonostante l’incredibile concorrenza che ha avuto nell’anno in corso. Continueremo a mantenere il nostro trucchi per mantenere felici i nostri visitatori. Grazie per aver letto il nostro articolo. Saluti!
Gold and Goblins Trucchi Caratteristiche:
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Come hackerare Gold and Goblins
Infine, lancia il nostro Gold and Goblins Trucchi, quindi segui le istruzioni e goditi la quantità illimitata di Gemme e Elisir! Fare clic sul pulsante “Accedi Trucchi” qui sotto Digitate il vostro nome utente e scegliete il sistema del dispositivo e cliccate su “Connetti”. Inserire l’importo di Gemme e Elisir Aspetta qualche secondo, l’trucchi sta lavorando per te ora! Godetevi il vostro Gemme e Elisir su Gold and Goblins In primo luogo, grazie per aver utilizzato i nostri strumenti – se vi piace, lasciate i simili, iscrivetevi ai nostri canali youtube e condividete il nostro lavoro sui social media. Questo ci spingerà a fare un altro strumento di hacking! Controllate anche i nostri altri imbrogli qui!
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theoldbookwormsnest · 7 years ago
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Senza nuvole, Alice Oseman
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Scheda del libro
Titolo originale Solitaire
Titolo italiano Senza nuvole (…)
Autore Alice Oseman
1ª ed. originale 1 agosto 2014
1ª ed. italiana 5 marzo 2015
Editore Newton Compton
Pagine 287 pagine
Genere Young Adult
Lingua originale Inglese
Sinossi Il mio nome è Tori Spring. Mi piace dormire e mi piacciono i blog. L’anno scorso avevo degli amici. Prima che succedesse tutto quel casino con mio fratello, prima di dover affrontare la dura realtà dei miei voti e delle domande per l’iscrizione all’università e prima di rendermi conto che avrei dovuto iniziare a parlare con la gente… Le cose erano molto diverse, credo. Ma adesso è tutto finito. Ora c’è qualcuno che si firma Solitaire che sta cercando di terrorizzare tutta la scuola con strani messaggi e minacce. E, a dire la verità, ci sta riuscendo anche bene! E poi c’è quello nuovo, un certo Michael. Sì, ok, è dolce e sensibile, ma perché mi sta così addosso? Nessuno ha detto che non sia carino e so che molte ragazze in classe lo trovano anche sexy. Ma non io. A me non interessano le storie d’amore e detesto i mielosi romanzi della Austen. Ma con tutta questa confusione ho davvero paura di non capirci più nulla…
Dettagli
Inizio lettura: 6 Maggio
Fine lettura: 12 Maggio (AIUTO)
Tempo di lettura: 7,7h x 169 p/m
Rating: ★★★½
I say...
Di questo libro mi è piaciuto molto solo il punto di vista su Jane Auten e Orgoglio e Pregiudizio (tranne quando l’ha definito l’equivalente letterario di una telenovela squallida). Sono seria. Non immaginate la depressione che mi ha messo addosso questo libro. È buffo perché è vero. È vero, specifica bene che “non è una storia d’amore”, però è deprimente. Non finiva mai. MAI. Poi, non basta che il libro è di suo una noia spaziale, no, ci si mette anche quel cane di traduttore! Da “Ma tu sei di scuola nostra!” a “P!nk mi dice di sollevare gli occhiali” (l’originale è Raise your GLASS e non glasses – e poi, perché mai dovrei sollevare gli occhiali!?), non c’è limite al peggio. Poi, oh, odia pure Dirty Dancing!!! Eppure, sapete cosa? Sotto sotto mi è piaciuto. Tori mi rispecchia in un preciso periodo della mia vita, e certe volte mi sento ancora così.
Prendo posto su una sedia girevole, lontana dal Nostro Gruppo, e penso alle mie caratteristiche distintive. Pessimista. Guastafeste. Insopportabilmente maldestra e probabilmente paranoide. Una povera illusa. Sgradevole. Folle borderline, psicopatica maniaco-depre… «Tori».
Solo che, al contrario di Tori, sono già allo step successivo (essere felici con quello che si è e che si ha, allontanare le persone sgradevoli ed essere, a mia volta, meno sgradevole). Sono contenta che la Oseman abbia pubblicato una novella su Charlie e Nick, che ho adorato.
Citazioni
A volte le persone le odio proprio. E probabilmente questo non giova alla mia salute mentale.
«Stamattina ho visto un vecchio lungo la strada. Stava seduto alla fermata dell’autobus ascoltando qualcosa dall’iPod e batteva il tempo con le mani sulle ginocchia, mentre guardava il cielo. Quando mai ti capita una cosa del genere, un vecchio con l’iPod? Ancora mi chiedo cosa stesse ascoltando. Uno penserebbe a un brano di classica, però poteva essere qualsiasi altra cosa. Chissà, magari era una musica triste». Alza i piedi e li incrocia poggiandoli sul tavolo. «Spero proprio di no». «La musica triste va bene», aggiungo, «se usata con moderazione».
Lui si avvicina e io mi tiro indietro strascicando i piedi. «Tu», dice, «non parli mai sul serio, vero?». Rido ancora: una specie di patetico sbuffo d’aria, ma per me rientra nella categoria “risata”. «Tu chi sei?». Lui si blocca e si ritrae, poi allarga le braccia come se fosse il Secondo Avvento di Cristo e annuncia con voce profonda e riecheggiante: «Mi chiamo Michael Holden». Michael Holden. «E tu chi sei, Victoria Spring?». Non mi viene in mente niente da rispondere perché questa sarebbe proprio la mia risposta: niente. Sono un vuoto. Sono un nulla. Sono niente.
«Insomma, Tori, c’è una cosa che voglio dirti». Batto le ciglia, le mani sotto il sedere. Lauren, Becky, Evelyn, Lucas e Rita hanno drizzato le orecchie per ascoltare. Michael li guarda uno a uno da sopra gli occhiali. «Però… io, be’, non mi ricordo cosa». Lucas sogghigna: «L’hai inseguita fino a questo ristorante per dirle qualcosa e ora non ti ricordi nemmeno cosa?». Stavolta Michael si accorge del tono di Lucas: «Scusami tanto se la mia memoria è un colabrodo. Penso di meritarmi un pizzico di fiducia dato che ho fatto lo sforzo di arrivare fin qui». «Ma non potevi semplicemente mandarle un messaggio su Facebook?» «Facebook serve per le banalità, roba tipo che cosa stai mangiando o il numero di LOL che ieri sera hai scambiato con la tua “bella”». Lucas scuote la testa. «Proprio non capisco perché ti sei precipitato qua per poi dimenticarti. Se fosse stato importante, non sarebbe successo». «Invece, forse è più facile dimenticarsi delle cose che più ti importano».
«Doveva essere una pipì molto lunga», commenta Michael mentre mi risiedo. È ancora qui. Parte di me sperava che se ne fosse andato. «Sembra che la cosa ti abbia colpito». «In effetti sì». Becky, Evelyn e Lauren adesso stanno chiacchierando con le ragazze del nostro anno, sedute al capo opposto della tavolata, che non conosco bene. Lucas accenna un sorriso diretto a me. Rita sorride soprattutto a Lauren: stanno parlando di una ragazza che ci frequentava e che si è trasferita al Truham per l’ultimo biennio, dichiarando che preferiva «i ragazzi alle ragazze», e adesso non fa che organizzare feste dove ti siedi a terra e ti fai di acidi e di fumo. «Quindi, sei gay?», gli chiedo. Batte le palpebre. «Wow, ragazzi, per voi è proprio una faccenda importante». Non è importante, in realtà non me ne frega niente. «Ti attraggono i ragazzi?», insisto facendo spallucce. «O le ragazze? C’è un modo per verificarlo, se non ne sei sicuro». Di nuovo alzo le spalle. Non m’importa. Non m’importa. «Mi attraggono tutti, francamente», mi risponde. «Anche per piccoli particolari: alcune persone hanno mani bellissime. Non lo so. Mi sa che mi innamoro un po’ di chiunque incontro, ma credo che sia normale». «Allora sei bisex». Sorride mentre si sporge in avanti. «Ami tutte queste parole, non è vero? Gay, bisex, attrazione…». «No», lo interrompo, «no, le detesto». «Allora, perché mettere un’etichetta sulle persone?». Inclino il capo. «Perché è la vita. Senza un’organizzazione cadremmo nel caos». Si raddrizza sulla sedia mentre mi guarda divertito. Non posso crederci: ho usato la parola “cadere”. «Be’, se ci tieni tanto, allora tu cosa sei?», mi domanda. «Cosa?» «Cosa sei? Lesbo, normale, una infoiata o cosa?» «Ehm… normale». «E sei certa di essere normale? Ti è mai piaciuto un ragazzo?». In effetti, no. Mai. Ma è perché ho un’opinione molto bassa della maggior parte della gente. Abbasso lo sguardo. «Allora facciamo così: se mi innamoro di una ragazza ti avverto subito».
«Volevo soltanto dirti che ti avevo già conosciuta». Mamma mia, di nuovo: «Me lo hai detto ieri». «Ma non alla Higgs. Ti ho conosciuta quando hai visitato il Truham. L’anno scorso. La visita alla scuola l’hai fatta con me». La rivelazione fa rifiorire un ricordo. Ma certo. Michael Holden mi ha premurosamente mostrato il Truham all’epoca in cui dovevo decidere la scuola da frequentare per il sixth form. Mi aveva chiesto che materie volevo affrontare per la maturità, se mi piacesse tanto la Higgs, se avessi degli hobby e se fossi una patita dello sport. Infatti, tutto quello che aveva detto era indiscutibile. «Ma…». È impossibile. «Ma tu eri così… normale». Alza le spalle sorridendo, mentre qualche goccia di pioggia gli bagna il volto e sembra che stia piangendo. «Ci sono luoghi e momenti in cui essere normali. Per la maggioranza delle persone, essere normali è la modalità standard. Però, per alcuni, come te e me, la normalità è qualcosa che dobbiamo indossare, come un abito elegante per una cena chic».
Un tizio muscolosissimo fa la corte a Bella. Non è bello, ma capisco il suo disgusto per la letteratura. «A lei leggere piace tanto», dico scuotendo il capo verso la ragazza vestita d’azzurro. «Scoprirà che non è salutare». «Ma tu non porti Inglese per la maturità?» «Sì, perché qualche stronzata lì me la invento, ma non lo approvo. Odio i libri». «Io avrei dovuto scegliere Inglese, sarei stato bravo». «E perché non l’hai fatto?». Mi guarda e sorride: «Credo che leggerli, i libri, sia meglio che studiarli».
«Odio la scuola», affermo. «Tu odi tutto». «È buffo perché è vero».
«Piove». Si appoggia alla mano. «Se uscisse il sole, ci sarebbe un arcobaleno. Sarebbe bellissimo». Guardo fuori dalla finestra. Il cielo è grigio. «Non c’è bisogno di un arcobaleno perché sia bello».
So che, se resistessi per qualche pagina, probabilmente finirei per godermi la lettura, ma non lo faccio. Non leggo i romanzi perché so che niente di quello che c’è scritto è vero. Già, sono un’ipocrita. I film non sono reali eppure li adoro. Però i libri… sono diversi. Quando vedi un film, è come se fossi un osservatore dall’esterno. Con un libro… sei proprio lì. Ci stai dentro. Sei tu il personaggio principale.
«È tipo…», dico, «insomma, tu… insomma, tu vuoi essere mio amico». La sua espressione è leggermente imbarazzata, quasi di scusa. «È come se lo stessi facendo per te stesso», continuo. «Ogni amicizia è egoista. Se fossimo tutti altruisti, forse ci lasceremmo in pace». «A volte è la cosa migliore».
«Michael è okay. Lo ha dimostrato. Non capisco perché non riesci ad accettare cose come queste. Se non riesci ad accettare quello che non comprendi, allora passerai la vita a farti domande su tutto. Vivrai nel tuo mondo ideale». «Perché è importante. Ormai alle cose importanti non bada più nessuno». Divago. «Siamo talmente abituati alle catastrofi che alla fine le accettiamo. Pensiamo di meritarcele». Il suo sorriso incerto si spegne. «Secondo me, nessuno merita una catastrofe. Penso che un sacco di gente la desideri perché è l’unica cosa rimasta in grado di attirare l’attenzione». «Attirare l’attenzione?» «C’è chi non ne riceve affatto», spiega, e qui è di nuovo il ragazzo della pista di pattinaggio: serio, autentico, imbronciato e pieno di rabbia dentro. «C’è chi non riceve mai attenzione. Se passi la vita ad aspettare qualcosa che magari non arriverà mai, si può anche capire perché la desideri tanto».
«Michael», esclamo, «sei letteralmente straordinario». Si mette a ridere. «Straordinario è solo un’espansione di ordinario».
«Vuoi sapere cos’ha detto papà?», dice Charlie, tornando a guardare oltre il parabrezza. Non si rivolge direttamente a me ma a tutti i presenti. «Ha detto che probabilmente è successo perché lui ha letto Il giovane Holden troppe volte quando aveva la nostra età, e che questo è stato assorbito dai suoi geni». Becky sospira. «Cristo. È mai possibile che un adolescente non possa essere triste senza essere paragonato a quel libro?». Lucas le sorride. «Insomma, qualcuno l’ha mai letto?», chiede Becky. Segue un coro unanime di «no». Neppure Lucas l’ha letto. Buffo.
Note
L’autrice ha creato dei blog e scritto delle side stories e fatto dei disegni e creato una playlist e perfino il suo cast da sogno per un film che non faranno. Cristo, come la capisco! Trovate tutto qui: www.aliceoseman.com Inoltre, qui trovate la mia chiacchierata con Alice Oseman a proposito del titolo “Senza Nuvole”.
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La mia prima esperienza con Internet: quasi preistoria
Salve, mi chiamo Chiara e sono una studentessa di Ingegneria Aerospaziale al Politecnico di Torino, insieme ai miei colleghi Veronica, Annamaria e Lorenzo abbiamo creato questo blog per il corso di Rivoluzione Digitale.
Adesso mi è molto facile usufruire di Internet per creare blog oppure profili social ma non è stato sempre così. Il primo computer fisso è arrivato a casa quando ero ancora molto piccola perché mio padre ne aveva bisogno per il suo lavoro e a me e le mie sorelle era proibitissimo andare a giocarci. Durante le scuole elementari una delle mie maestre ogni tanto ci portava nel laboratorio di informatica e ci insegnava ad usare i programmi base; nel frattempo a casa, i miei genitori diventarono più permissivi e ci era concesso di usare il computer per fare delle ricerche su Encarta, un’enciclopedia multimediale che mio padre aveva comprato in formato CD-ROM.
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Figura: simbolo Encarta kids; Fonte: microsoft_encarta.it.downloadastro.com
Una delle primissime esperienze che ricordo con Internet vero e proprio è stata quando avevo circa dieci anni, i miei genitori mi regalarono una web-cam da installare al computer e un paio di cuffie con il microfono cosicché potessi fare delle videochiamate tramite Skype con i miei amici. È stato un regalo per entrambi in effetti perché io usavo quel programma per chiacchierare e giocare con i miei amici ma loro lo usavano per sentirsi e vedersi con mia zia che abita a più di 700 km di distanza. Ricordo che la qualità di Internet era molto scarsa e inizialmente passavamo i primi dieci minuti a parlare da soli al microfono finché la connessione non si stabilizzava e finalmente potevamo vederci per davvero e fare ore e ore di partite a battaglia navale.
Un altro ricordo che mi è rimasto nella mente è quando fu permesso a mia sorella maggiore di creare un suo profilo Facebook. Era il 2010 e non era ben chiaro a cosa servisse realmente avere un profilo social ma questo non mi importava affatto, il mio unico pensiero era quello poter giocare a Pet Society; così entravo nel suo profilo con la supervisione dei miei genitori e andavo subito a giocarci. Non passavo molto tempo su Internet perché comunque preferivo giocare all’aria aperta, così una volta passata l’eccitazione per quel qualcosa di nuovo l’utilizzo che facevo del computer era circoscritto più che altro ad Encarta per le ricerche e qualche gioco nei pomeriggi di pioggia.
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Figura: logo Pet Society; Fonte: onlinegameslist.org
Ancora oggi mi sento di ringraziare i miei genitori perché mi hanno educato all’uso responsabile di Internet e del computer, in un’era in cui ogni cosa che facciamo è strettamente connessa con il web posso dire di saper sfruttare a pieno le sue capacità.
Se anche voi volete condividere la vostra prima esperienza con Internet vi chiediamo di farlo lasciando un commento sotto questo post oppure su Twitter taggando il nostro profilo @darksidewebblog.
Chiara My
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paoloxl · 6 years ago
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In questi giorni del mese di gennaio Cesare Battisti è di nuovo prigioniero, mentre vent'anni fa, nella bottiglia d'orzata, moriva per la prima volta Fabrizio De André. Poi, è andata a finire che De André è morto e rimorto, quasi quotidianamente. Nella normalizzazione che ne è stata fatta. Nei monumenti, nelle strade e nelle piazze che gli sono state dedicate, quasi altrettante che a Cesare Battisti (quello impiccato nel 1916 a Trento). Nella sua costante e capillare neutralizzazione come una sorta di poeta nazionale, quando era ed è stato quanto di meno “nazionale” si possa immaginare (la qualifica di “poeta”, così tanto amata quanto vuota, non mi interessa). Nella rassicurante imposizione che è stata diffusa: deve piacere a tutti, bovinamente e in quanto tale. Nella sua pressoché sacralizzazione. In origine, quando si veniva dichiarati sacri (sacer esto, “sia fatto sacro”, si leggeva nelle Leggi delle XII Tavole dell'antichità romana) significava essere messo a morte in sacrificio a un qualche dio, in esecuzione di una ben precisa condanna. In queste ore sta girando, in una serie di ghetti della “grande Rete” (siti, blog, pagine Facebook...), un'immagine, quella che si vede sotto il titolo (che riprendo dalla Militant). Un giovane Cesare Battisti dietro alle sbarre, e dei versi di Fabrizio De André (da “Nella mia ora di libertà”, album Storia di un Impiegato, 1973). Nulla da dire sull'immagine; qualcuno la avrà materialmente prodotta, ma sono certo che sarà venuta in mente a chiunque condivida, in tutte le diversità, gli amori e gli odi possibili e immaginabili, uno straccio di percorso, un brandello di storia, un grido di ribellione strozzato nella repressione, nella standardizzazione, e sovente nella solitudine e in destini più o meno ridicoli. Per questo parlo di ghetti. Ghetti personali, ghetti di piccole organizzazioni, ghetti di singoli frequentati da altri singoli sparsi, ghetti di qualsiasi genere che la “Rete” ha fabbricato a migliaia e migliaia, e che non di rado vengono chiamati “oasi”. Un'oasi, come si sa, è circondata dal deserto. Si tratta, appunto, di una perfetta desertificazione. Anche questo blog, per quello che possa valere, è un ghetto dove, da stamani, gira conseguentemente l'immagine di Cesare Battisti coi versi di De André. Ci girerà, tra un po', anche un grido di libertà scritto perbene, in tutte maiuscole come da prassi o da consuetudine. C'è una sola cosa con la quale non mi riesce proprio essere d'accordo: la primavera. Tante le grinte, le ghigne i musi, ma non c'è, purtroppo, nulla da spiegare. Non è primavera. Occorrerebbe, forse, spiegare bene che è un lungo e duro inverno di cui non si vede la fine. Un inverno che può avere anche i trentadue gradi di Santa Cruz de la Sierra, Bolivia. Un inverno che si twitta e si fa i selfie. Un inverno che ha mille e mille facce, grinte, ghigne, musi; e non solo quelle che, più o meno, ci si aspettano. Non ha solo la faccia di Salvini, di Trump, di Bolsonaro, di questo o quel fascista. Ha anche la faccia di Evo Morales. Ha la faccia dei queruli pennaioli e tastieranti di “Repubblica” che infilano tra gli articoli le tiratine sulla “libertà di stampa”, sulla “scomodità” e sulle “fake news”, quando la menzogna informativa e servile è oramai generalizzata ed eletta a necessario sistema. Ha la faccia di tutti gli zombies chini sui telefonini -che, tra le altre cose, a parecchi servono pure per accedere ai propri ghetti e a diffondere le immagini di Cesare Battisti, di De André e del gattino miao, gli appelli, i filmini raccapriccianti, edificanti, divertenti, interrogativi. Le verità rivoluzionarie e le morali. Gli insulti e le “condivisioni”. Non c'è mai stata un'epoca come questa, quando si “condivide” ogni cosa e non esiste più nemmeno un milligrammo di solidarietà, di empatia, di assunzione reale di ciò che si dice e si fa. Per questo, o anche per questo, è inverno pieno. E' inverno quando ti propinano che l'accanimento su Cesare Battisti non sarebbe “vendetta, ma giustizia” (ancora una volta, farina del sacco di “Repubblica”, come dubitarne). No, no, è proprio vendetta, vendetta cieca e assai mirata. Capillare e ben al di là di Cesare Battisti e delle sue vicende. Dietro a quelle sbarre, quelle dell'immagine, non  deve stare soltanto lui; ci deve stare chiunque abbia, nei modi più disparati possibili, condiviso realmente qualcosa, che abbia o meno impugnato le armi per un periodo della sua vita in una guerra che ha avuto dei vincitori e dei vinti. Gli appelli a “liberare gli anni '70”, così come si legge in queste ore, sono giocoforza destinati a cadere nel vuoto. Al massimo, a girare tra i luoghi dove già girano da tempo, vale a dire nei ghetti fisici e virtuali (che, oramai, si confondono appieno). Prova ne sia che qualsiasi tentativo di parlarne, con la presenza o meno di qualche “protagonista” (o deuteragonista, o tritagonista, o nullagonista), viene stroncato e delegittimato a colpi di grancassa mediatica, “social” e poliziesca (a tutti coloro che si sono infilati a orgasmico capofitto nei “social” mi premerebbe ricordare la primaria funzione di controllo e di polizia che hanno, specie quando ripetono come automi “dipende dall'uso che se ne fa”). L'inverno consiste nel fatto di non avere, attualmente, nessun'altra possibilità che esporsi con dei mezzi che permettono un controllo e una repressione immediata e capillare. Secondo quanto si legge, persino Cesare Battisti è stato beccato mentre cercava un wi-fi per le strade di Santa Cruz. E probabilmente, ciò è avvenuto perché attualmente, in una fuga, non si hanno altri mezzi per cercare in qualche modo di sfuggire: uscire da un luogo più o meno sicuro per cercare di mettersi in contatto con qualcuno che ti aiuti e ti sostenga. Si tratta di un'impasse nella quale ci troviamo tutti, attualmente, anche chi non è certamente costretto a fuggire e a nascondersi. Anche chi non è braccato da uno Stato, dall'Interpol, dai fascisti mediatici e dal “popolo”. Anche chi non ha mai toccato un'arma in vita sua. Anche chi desidererebbe esprimere un semplice pensiero, un'idea, una proposta che vada contro a ciò che, oramai, non si può più nemmeno definire “maggioranza”: è, realmente, una massa planetaria ben plasmata e felicemente intrappolata in dèi, legalità, telefonini, sport, cuochi, vittime, ammòre, fiction e razzismi. E' inverno, e occorre andare a spiegarlo in modo a mio parere assai brutale e chiaro, perché la primavera è morta. Cinguettiamo come uccellini, ma coi “tweet” e coi cinguettii di Whatsapp. Per il resto siamo pienamente in gabbia, e non cantiamo per amore, ma per rabbia. Liberare gli anni '70? Bisognerebbe liberare la Storia, tutta quanta, e invece ce la facciamo raccontare in TV da Paolo Mieli, mi scappa da ridere. “Assaltare il cielo”, come si legge sulla Militant? Dai ghetti si assalta poco o punto, i ghetti sono fatti di mura, di chiusura, di ingressi rigidamente controllati a chi vuole entrarvi, e di uscite impossibili per chi è dentro. Viviamo quindi tranquilli e beati nei nostri ghetti, nel blogghino, nella paginetta Facebook, in qualche “spazio libero” che tanto fra due o tre giorni verrà chiuso e sgomberato con tante belle denunce fresche fresche, nella stanzetta o nella baracca, nell'oasi e nell'illusione di sfuggire. Stiamo anche noialtri cercando un wi-fi. Fra poco ci estradano. In quel Cesare Battisti dietro alle sbarre ci siamo tutti, in dei casi senza nemmeno rendercente conto. In altri casi, sotto sotto forse nemmeno del tutto scontenti perché di “compagni” che ho sentito dire che “se l'è andata a cercare” ne ho sentiti più di uno. CESARE BATTISTI LIBERO! LIBERIAMO GLI ANNI '70.
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pleaseanotherbook · 4 years ago
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PREFERITI DEL MESE #9: Settembre
Ah settembre… settembre mi è sembrato di viverlo tutto in apnea, come non mi succedeva da un po’, un attimo ero in ferie, ho chiuso gli occhi, e l’attimo dopo ero immersa di nuovo in giornate lavorative tutte uguali. Ma non voglio lamentarmi. Avevo un disperato bisogno di staccare la spina, di non stare tutto il giorno attaccata al pc, di vivere la mia famiglia come non mi capitava da tempo. A inizio anno avevo programmato di stare almeno una settimana a Parigi per le ferie ma naturalmente la situazione attuale mi frena dall’andare a cacciarmi in situazioni non gestibili, quindi ho fatto una mega valigia piena di vestiti che non ho quasi usato e ho passato due settimane a Montelupone, a farmi coccolare dai miei dietro le proteste di mia sorella, ad uscire con i miei amici e in generale a rilassarmi, dormire, vegetare sul divano, rincorrere il gatto, non pensare per quanto me lo consente la mia mente sempre sull’orlo dell’ansia. È stato bello, è durato troppo poco. Ma settembre è stato anche un altro weekend insieme al Lachimolala team e devo dire che non mi aspettavo minimamente di poter ancora urlare di gioia, ballare davanti ad un laghetto di notte, mangiare in un ristorante coreano. Non dovrebbe stupirmi neanche più trovare così tanti posti in cui sentirmi a casa, eppure continuo a farlo perché non voglio dimenticare mai la meraviglia di rendermi conto di essere stata abbracciata piena di gioia da persone tanto speciali. Ma settembre è stato anche festeggiare compleanni in ritardo, ospitare nel mio monolocale una delle mie più care amiche e goderci un meraviglioso weekend insieme, e insomma, vivere.
Comunque, per cambiare le carte in tavola e dare una rinfrescata a questo blog, da inizio anno ho deciso di portare qui su questo spazio di web una delle rubriche che più mi piace guardare su Youtube e che sostanzialmente dimostra che non mi so inventare niente, ma che amo inglobare nel mio modo di essere espressioni, modi e idee che mi colpiscono l’immaginario. “I preferiti del mese” è un format che forse non si presta molto alla parola scritta ma ci proviamo, che tanto se non funziona lo facciamo funzionare a modo nostro.
Enjoy!
MUSICA
A settembre ho ripreso la mia playlist “L’indie è morto” e l’ho rivista completamente: ho eliminato un sacco di canzoni, l’ho riordinata, ho aggiunto una marea di canzoni (naturalmente le solite sono ancora lì in pole position, ma non ne parliamo). A settembre ho scovato Here I dreamnt I was an architect di The Decemberists una ballad dal mood molto malinconico che ben si associa a questo clima ormai perfettamente autunnale. Distant axis di Matt Berninger è un altro nuovo acquisto anche questo incredibilmente triste ma questo è il mood che di solito accompagna la musica che ascolto. Tra l’altro non avevo mai ascoltato Matt Berninger ma completamente innamorata della sua voca profonda. Terza e ultima canzone che vi consiglio è Non cambierà de I segreti, un gruppo indie di Parma che mi hanno conquistato con il loro ritornello. Ripescata per caso anche I like me better di Lauv che ho iniziato ad ascoltare solo di recente, ma questa canzone mi ha conquistata dal primo ascolto e mi mette un sacco di buon umore.
LIBRI
Ah…. La bellezza è che tornata dalla ferie ho ripreso a leggere e il libro di settembre (si ok, l’ho finito ad ottobre, ma chiudiamo un occhio) sarà sicuramente Il cuore di un ape di Helen Jukes. Si tratta di un viaggio alla scoperta del mondo delle api, ma soprattutto della propria vita, in un caleidoscopio di esperienze e suggestioni, che appassionano e mostrano una nuova prospettiva. Se le api sono in pericolo, vuol dire che tutta la Terra lo è, in fondo gli impollinatori sono le sentinelle del nostro ecosistema. La Jukes infatti racconta un intero anno passato a diventare apicoltrice di città, ma soprattutto racconta come si è avvicinata alle api e al loro mondo. Mi è piaciuto molto, ma come sapete io sono completamente fissata con le api. Per un po’ però ho deciso di darci un taglio e cambiare completamente genere.
FILM & SERIE TV
Con il Drama Club abbiamo finalmente finito di guardare Sky Castle e anche se l'ultimo episodio mi ha lasciato estremamente perplessa pure posso essere d'accordo con tutti quei coreani che lo hanno reso un record di ascolti. 
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E' la storia di un quartiere residenziale, lo Sky Castle, abitato da famiglie di medici che crescono figli destinati ad entrare all'Università di Medicina di Seoul per diventarlo a loro volta, per alzare lo status sociale e diventare i nuovi potenti di domani. Le madri hanno un solo obiettivo, far entrare i figli all'università e per farlo rinunciano a tutto: alla carriera, all'indipendenza, alla felicità. I figli diventano degli automi guidati da coordinatori scolastici interessati al denaro e investiti da un sistema scolastico colluso. Quattro sono le famiglie principali: la famiglia dell'Ortopedico Prof. Kang, quella del suo assistente il Prof Woo, quella del professore di Neurochirurgia Hwang e quella del professore di legge Cha. Ognuna di queste famiglie gestisce l'istruzione dei figli in maniera diversa, con obiettivi diversi, ma tutti dovranno fare i conti con le problematiche e le ribellioni dei figli adolescenti, che hanno delle aspirazioni che molto spesso sono lontane anni luce da quelle dei genitori. In mezzo un omicidio, tradimenti e scene comiche che lasciano lo spettatore incollato allo schermo. Il drama ha dei punti un po' morti, e a mio avviso poteva avere qualche episodio in meno ma da parte mia è stato illuminato da Kim Dong Hee (piccolo Jin), il protagonista di Extracurricular, che adoro profondamente e anche se il suo ruolo è estremamente marginale pure mi ha sempre impressionata. Menzione anche per la soundtrack molto bella.
BEAUTY
Il prodotto beauty di questo mese è una frivolezza immane, che francamente potevo evitare di acquistare perché veramente inutile. Sono mesi che non faccio un full face, perché francamente mi da fastidio imbrattare la mascherina di fondotinta, blush e rossetto, e quindi ormai trucco solo gli occhi. Per farlo ho comprato un eyeliner colorato fuchsia: il Matte Signature di L’Oréal che ha un bellissimo finish. Allego una foto di me che lo indosso anche se non SI VEDE NIENTE.
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CIBO
Mentre ero a casa dai miei mia madre mi ha coccolato non solo comprandomi tutte le mie cose preferite ma anche facendomi un timballo di pasta con le melanzane che ancora mi sogno la notte. Mi manca tantissimo la cucina di mia madre, vorrei stare lì adesso, anche se mi rendo conto che in questo momento della mia vita non sarebbe davvero concepibile.
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E… voglio citare anche questo straordinario dolce che abbiamo mangiato al Rock Burger qui a Torino dove sono stata a festeggiare con le mie amiche. Veramente veramente buono.
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RANDOM
Mentre avevo qui ospite la Chiara abbiamo partecipato insieme al tour della Torino Magica. Torino si trova ad uno dei vertici del triangolo della magia bianca con Lione e Praga e ad uno dei vertici del triangolo della magia nera con Londra e New York. Bene e male si sono sempre combattuti in questa città dai mille volti e le mille incongruenze, e da sempre è associata sia al maligno che alla purezza. Un sacco di palazzi storici della città nascondono segreti e allusioni e ogni punto cardinale ha qualcosa di speciale da scoprire.
A settembre ho comprato i packing cube e ho scoperto che sono davvero la svolta: sono una serie di sacchetti da utilizzare per organizzare al meglio la propria valigia. Sembra che da un momento all’altro possa entrare più roba del previsto. La mia valigia delle ferie al ritorno è riuscita a contenere molta più roba dell’andata. FANTASTICI!
Nell’atmosfera di Venere è stata rilevata una molecola di solito associata ai processi biologici che sembrerebbe apparentemente inconciliabile con tutto quello che sappiamo di questo pianeta. Forse quindi potrebbe esserci della vita su Venere. Naturalmente questi fatti mi affascinano incredibilmente.
E voi che avete combinato a settembre?
Raccontamelo in un commento.
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kindofexperience-blog · 5 years ago
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Roma, 13 marzo 2020 (quale giorno di "quarantena" fa)
Ci è stato chiesto di rimanere in casa fino al 3 aprile, cioè per altri 21 giorni, tre settimane. Tre settimane tra le mura di casa.
Casa. Una parola di cui si parla tanto, per la quale ci sono solo lati positivi. Casa è dove sei al sicuro e dove nulla può ferirti, farti stare male, un luogo dove rifugiarsi. Sì, noi persone siamo molto poetiche, ci piacciono le belle parole e ci fanno sentire parte di un dramma shakespeariano e distaccati dalla vita vera, quella che, nonostante siamo immersi nelle nostre fantasie teatrali, viviamo ogni giorno.
Eppure, non appena una voce ci ha detto di farlo, di restare in casa, di limitare gli spostamenti, di mostrare un modulo quando andiamo a fare la spesa per non farci fare una multa, non appena qualcuno ci ha chiesto di fare questo, tutte le belle frasi sul concetto di “casa” sembra che ce le siamo dimenticate.
“A casa? Senza uscire? E che sono un criminale io che devo giustificarmi perché mi vado a fare una passeggiata?”. “Ma chi me lo dice? Il governo. Ah il governo! Eh si svegliano solo ora!”.
Sì, probabilmente la maggior parte di noi ha reagito, seppure non a parole, in questo modo.
Quanto ci aveva dato soddisfazione il dire, nei giorni scorsi, che non sanno fare niente quelli lì che ci governano, che se devono chiudere le scuole e le università allora devono chiudere tutto, che non ci dovevano permettere di prendere il treno allora. E poi, siamo stati smentiti. E chi se lo aspettava… toccava trovare qualcos’altro di cui lamentarsi ora. E l’abbiamo trovato infatti.
Siamo così abituati alla monotonia e alla normalità che ogni provvedimento un po’ più risolutivo è visto come una delle scene di quei drammi che sì ci piacciono tanto, ma che sono troppo impegnativi per noi, per affrontarli veramente.
Ogni volta che i programmi tv si sono interrotti in questi giorni per mostrare in diretta le conferenze stampa in cui si annunciavano nuove misure per contenere il contagio del virus, tutti ci siamo guardati negli occhi e abbiamo visto lo sconcerto e l’incredulità nello sguardo di chi ci era accanto. Prima di tutto ci siamo chiesti cosa potevamo e cosa non potevamo fare con le nuove leggi, solo dopo qualche attimo ci siamo resi conto che ce lo stavamo chiedendo, e abbiamo realizzato che no non era un film sull’apocalissi o su chissà quale catastrofe che si abbatte su Londra o su New York, non era una scena vista al cinema: eravamo noi, sul divano, col pigiama indosso e il telecomando in mano.
La normalità è tale che non ci accorgiamo di quanto sia essenziale per noi fino a quando ne siamo privati. E questo è accaduto pochi giorni fa, quando abbiamo realizzato che avremmo passato le prossime tre settimane senza quello che era sempre stato, appunto, normale.
Il giorno dopo, anche i meno atletici hanno pensato che andare a correre non era contro il decreto appena entrato in vigore, e sono andati a vedere se avevano ancora qualche tuta o maglia da palestra nel cassetto. Perché noi siamo fatti così, non ci sta mai bene nulla e dobbiamo trovare qualcosa che giustifichi la nostra voglia di evadere, di non accettare la realtà.
Casa. Che bella parola, eppure noi a casa non ci volevamo proprio stare. Ma non perché non ci piaccia, ma perché ci è stato imposto e a noi non piace quando ci impongono le cose, a noi non piace essere controllati.
Ma non ci hanno “rinchiusi” perché siamo criminali, non abbiamo fatto nulla di male.
Anzi, possiamo fare del bene.
Ed ecco subito il messaggio positivo che ci solleva dalla nostra insofferenza e ci fa rialzare, convincendoci che no, non abbiamo fatto del male, ma anzi ci viene chiesto di aiutare. Ecco riaprirsi il sipario sulle scene di quei drammi immaginari, nel palcoscenico della nostra testa; ecco di nuovo che abbandoniamo la realtà e ci innalziamo a ruolo di eroi. Eroi della quarantena. Eroi italiani.
Ecco, sta in quella parola il succo della nostra positività. Italiani.
Ma no, non perché gli italiani siano più solidali di altre popolazioni, ma perché questa parola rappresenta una parte di noi, ci fa sentire parte di un tutto, e all’uomo piace sentirsi parte di qualcosa di grande. All’uomo non interessa la solitudine o l’egoismo, come a volte fa credere, gli interessa invece non sentirsi solo. E il solo fatto di essere nella medesima situazione di altri sessanta milioni di persone lo fa stare bene con se stesso. Questo ci dà la forza di andare avanti, di mettere da parte il nervosismo e di tornare a vedere le notizie al telegiornale, i post su Facebook su qualche nuova iniziativa dedicata a questi giorni di quarantena.
Sapere di essere in molti, di condividere le stesse frustrazioni e paure degli altri, ci basta per dire “sì, facciamolo”.
Siamo i primi a dire che l’ “Italia va a rotoli”, che non siamo buoni a nulla, e che dovremmo prendere esempio dagli altri Paesi. Ma ora no, ora che l’Italia ha bisogno di noi, ora che ci sentiamo utili e che abbiamo l’occasione di sentirci dire che stiamo facendo bene, che stare a casa è una dimostrazione di tenacia, ora no: l’Italia è splendida ed è splendida perché ne facciamo parte noi.
È per questo, per sentirci parte di quest’Italia buona che la gente si è affacciata al balcone ed ha intonato l’inno italiano, che in mezzo a tutte le incoerenze che diciamo si fa spazio, ci si pone davanti e ci ricorda che apparteniamo a qualcosa e quindi tanto male non siamo. Non siamo male come nazione, come italiani, ma non siamo male neanche come singoli.
Queste parole non sono solo per l’italiano, sono per l’uomo. Perché tra qualche giorno saranno i francesi a provare queste sensazioni, e guarderanno il tricolore bianco, rosso e blu con occhi diversi, gli stessi con cui gli americani guarderanno la bandiera a stelle e strisce. Siamo tutti patriottici quando serve a farci stare bene, quando il patriottismo ci dà uno scopo da inseguire.
Siamo inseguitori di scopi noi uomini, siamo alla ricerca di un fine che ci faccia sentire utili.
E questo stare a casa molti di noi lo hanno preso proprio così, come la ricerca di un fine, di un obiettivo. Riuscire a fare quel puzzle che sta nella scatola da quando ce lo hanno regalato, provare quella ricetta trovata su un blog ma che non abbiamo mai sperimentato perché non avevamo tempo, recuperare i capitoli che ci mancano da studiare, finire quel libro impolverato che con la scusa del “sono stanco” non riprendiamo mai, abbandonandoci alle stories di instagram.
E se questo ci fa stare meglio e ci fa superare questo sconvolgimento della nostra cara e amata normalità, allora va bene, facciamolo.
Non è sbagliato, è umano, è nostro. Siamo noi.
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lacepaint08-blog · 6 years ago
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10 anni di Juls’ Kitchen, un giveaway e un podcast
Quel giorno, al ritorno dall’ufficio, trovai mamma che stava preparando la cena: gli occhiali calati sul naso, un grembiule scolorito che non riusciva comunque a proteggerla dagli schizzi di olio e dalla sbadataggine, un tratto di famiglia, e un golf di lana per tenerle calde le spalle. La stufa bruciava in un angolo, spandendo un calore che arriva dritto alle ossa e che ti accoglieva a casa come un abbraccio.
Nonostante fossero a malapena le sette, era già tutto pronto. A mamma è sempre piaciuto iniziare per tempo. La tavola era quasi apparecchiata, sul fuoco stava finendo di cuocere un pentolone di minestra di verdura. Dall’odore acre nell’aria e dal rumore della cappa che faceva a gara con il telegiornale regionale in sottofondo, capii che mamma aveva bruciato il soffritto della cipolla per l’ennesima volta. Si distrae, mette il fuoco al massimo sotto la pentola e aggiunge la cipolla tagliata a fette troppo spesse in un olio ormai trasparente per il calore: pochi secondi e la cipolla inizia a sfrigolare, si attacca e alla fine, invariabilmente, brucia. Mamma non si dà per vinta, versa la minestra di verdura congelata dalla busta direttamente sulla cipolla bruciata. I cubetti di verdura sibilano e sputacchiano, ma lei li copre di acqua e li lascia cuocere sul fuoco finché la minestra non raggiunge la tonalità e la consistenza esatta che ricerca, l’unico modo in cui lei abbia mai mangiato la minestra di verdura. La cipolla bruciata è il tratto distintivo della minestra di mamma, lascia un retrogusto affumicato e dolciastro. Con gli anni ho imparato a riconoscere in quel gusto il sapore di casa.
Mamma, la minestra lasciala a domani, stasera faccio un risotto.
Da quando leggo i blog di cucina, ho scoperto nuovi ingredienti che non avevano mai varcato le mura di casa: la zucca, per dirne una. Tagliare la zucca e sentire il rumore secco del coltello che la attraversa, accarezzarne la scorza liscia e irregolare, tostare il riso fino a che non diventa traslucido e non inizia a scoppiettare, quasi fosse popcorn, ecco di cosa avevo bisogno. Sentivo l’urgenza fisica di mantecare il riso con la zucca, con convinzione e dedizione, stringendo il mestolo di legno così saldamente in mano da sentirne tutte le fibre, mescolando finché la zucca non si fosse disfatta nel riso, tingendolo del colore di un tramonto. Solo quello mi avrebbe fatto dimenticare l’ennesima giornata storta in un lavoro che avevo inseguito con caparbietà, ma che adesso mi stava togliendo quell’entusiasmo e quel sorriso nei quali mi ero sempre riconosciuta.
Ancora una volta la cucina mi stava salvando. 
Al liceo cercavo di farmi qualche amico portando una torta quando c’era un’occasione da festeggiare, anche se finivo col parlare con la professoressa o i bidelli di ricette. Le torte non mi rendevano popolare quanto passare i compiti di greco appena arriva in classe, ma erano un ottimo argomento di conversazione durante l’intervallo.
Questa abilità in cucina mi era però tornata utile all’università: la mia pasta al forno mi aveva aperto le porte di tante feste, anche se poi la porta dietro la quale mi sentivo più a mio agio era sempre quella della cucina. Avevo cominciato a capire che il saper cucinare non era solo un divertimento, ma una risorsa, una terapia nei giorni più bui.
Poco dopo a tavola, mangiando quel risotto alla zucca che mi aveva fatto ricacciare indietro le lacrime del giorno, annunciai che avrei aperto un blog di ricette. Dirlo a voce alta sembrava dare spessore a un progetto che mi girava nella mente da qualche tempo. La prima scettica ero proprio io. Chissà se durerà quanto tutte le mie altre passioni…
Più tardi, nella mia camera sopra la cucina, mi vedevo riflessa nella finestra che si apriva sul buio della campagna invernale: fuori c’era un’oscurità piena e profonda, erano sparite tutte quelle lucine degli agriturismi che in estate punteggiano la collina di fronte. La luce del monitor del computer illuminava un viso stanco.
Digitai poche frasi, impetuose, finalmente piene di quella passione che avevo sentito spegnersi piano piano in me. Pubblica.
Era il 1 febbraio 2009 e avevo appena dato inizio alla mia nuova vita.
Da quel momento sono passati 10 anni. Da una parte sono volati, dall’altra non ricordo cosa volesse dire non avere un blog. Dieci anni sono tanti, e il blog ha totalmente cambiato il mio modo di percepire il mondo: sono più attenta alle storie che mi circondano, ai cambiamenti della natura, a quello che mangio e a quello che cucino. Non avevo aperto un blog per cambiare la mia vita, ma in qualche modo è successo. Grazie a Juls’ Kitchen ho un lavoro che amo.
Ho incontrato Tommaso grazie al blog. Ho incontrato te, che mi leggi in treno, o in autobus, che mi leggi in pausa pranzo in ufficio o a colazione la mattina prima che si sveglino tutti, che non hai mai provato una ricetta, ma ti riprometti di farlo presto, o che ormai conosci a memoria gli ingredienti della torta di mele e dell’arista. Ho incontrato anche me stessa, nascosta in cucina, un po’ intimorita da tutto, ma sempre fiduciosa che qualcosa di buono dovesse accadere.
Oggi ti facciamo un regalo per festeggiare i 10 anni di Juls’ Kitchen.
Ci piacerebbe aprire le porte dello studio e farti sedere a tavola con noi, chiacchierare con una tazza di tè e una fetta di torta di mele, o magari davanti a un piatto di pici tirati a mano. Tante volte, in questi anni, mi è sembrato che questo blog ci abbia aiutati a superare barriere di spazio e tempo, a sentirci vicini, come se, alzando gli occhi da questo computer, potessi vederti seduto al di là dello schermo, così da poter riprendere un discorso che dal virtuale passa al reale.
Grazie al Fettunta Party e ai corsi di cucina tante volte siamo riusciti a rendere vero questo incontro nella vita reale, e quindi abbiamo pensato di festeggiare i 10 anni di Juls’ Kitchen con il nostro primo giveaway, mettendo in palio come primo premio proprio un incontro nella vita vera, tra mercato e cucina. Vediamo quindi come funziona.
Questi sono i premi del giveaway:
1 premio: corso di cucina del mercato per 2 persone, in data da concordare insieme
2 premio: una copia di La Cucina dei Mercati in Toscana, oppure dell’edizione inglese, From the Markets of Tuscany 
3 premio: 2 grembiuli di Juls’ Kitchen, perché è bello cucinare insieme
Come partecipare al giveaway?
Metti like alla pagina FB di Juls’ Kitchen
Segui @julskitchen su Instagram
Metti like a questo post e commenta con la tua ricetta preferita di Juls’ Kitchen 
Tagga in questo post 2 persone che potrebbero essere interessate a partecipare al giveaway
Il giveaway è aperto ai partecipanti di ogni nazionalità e si concluderà il 14 febbraio. Il 15 febbraio sorteggeremo in diretta su Instagram i vincitori con CommentPiker, e li annunceremo sia su Instagram che qui sul blog.
Update! I vincitori!
Congratulazioni a @azaharcuisine, @warmandwolly e @lauraelesuericette! 
E adesso, siamo noi a chiederti un regalo per questi 10 anni di Juls’ Kitchen.
Ci racconti qual è il post che ti è piaciuto di più in questi anni di blog? C’è stata una ricetta che ti è piaciuta tanto da entrare a far parte della tua routine familiare? Oppure, ti ricordi quando ti sei imbattuto per la prima volta in Juls’ Kitchen?
E adesso, rullo di tamburi, introduciamo anche l’ultima novità. Oggi lanciamo Cooking with an Italian Accent, il primo podcast firmato Juls’ Kitchen.
Cooking with an Italian Accent, il podcast di Juls’ Kitchen
Parto subito con la domanda che so verrà fuori immediatamente. Perché in inglese? Io e Tommaso ci abbiamo pensato a lungo, e alla fine abbiamo dovuto scegliere, a malincuore, una sola lingua, perché il lavoro di ricerca, registrazione e editing è già abbastanza oneroso in termini di tempo e impegno con una lingua, figuriamoci due.
Abbiamo scelto l’inglese perché ci permette di raggiungere un pubblico più ampio, rispetto all’italiano, e perché il mio inglese con forte accento italiano – da qui il titolo del podcast – è sicuramente comprensibile a tantissimi italiani, molto più di quanto lo sarebbe il mio italiano con accento toscano a chi non parla italiano.
Tommaso ci ha messo mesi a convincermi a provare, perché da sempre non sopporto di riascoltare la mia voce, soprattutto quando parlo inglese. Ma ho deciso di prenderlo come un gioco, e di divertirmi. Credo tantissimo nel detto che un accento straniero sia un segno di coraggio, e quindi ho messo da parte ansia da prestazione, senso di inadeguatezza a parlare una lingua non mia e tutte quelle domande che mi faccio continuamente: sarò abbastanza brava per farlo? Sarò interessante abbastanza?
Ci proviamo, senza aspettative, solo con l’intenzione di comunicare attraverso un mezzo ancora diverso quella passione che in questi 10 anni ci ha portati fin qui. Prima era solo il blog, poi sono arrivati i social, poi i video, adesso ci confrontiamo con i podcast. Questo non vuol dire che lasceremo indietro il resto, anzi. Non mi stanco mai di ripetere che per noi il contenuto più importante resterà sempre qui, sul blog. I social servono per tenerci in contatto in maniera più istantanea, per raccontare tanti dietro le quinte, ma con il podcast puntiamo a una comunicazione ancora più intima, più calda. Funzionerà? Per noi durerà finché ci divertiremo a farlo.
Abbiamo iniziato con calma, con qualche episodio in cui ci raccontiamo, per scaldarci un po’ e per prendere confidenza con il nuovo mezzo, poi arriveranno puntate in cui parleremo di cucina toscana e italiana, o di ricette, in cui intervisteremo amici e produttori. Non voglio mettermi in cattedra, non ci saranno ricette della tradizione scolpite nella pietra, o verità assolute a cui inchinarci. Saranno chiacchiere, come se fossimo seduti attorno allo stesso tavolo, come se fossimo in cucina a stendere la pasta o a tenere d’occhio un ragù.
Oggi lanciamo il trailer e poi, da mercoledì, ogni settimana, uscirà una nuova puntata. Trovi tutte le info per ascoltare il trailer e le prossime puntate nella pagina del blog Podcast: Cooking with an Italian Accent.
Abbiamo bisogno di un grande, grandissimo in bocca al lupo!
   Source: https://it.julskitchen.com/altro/life/10-anni-blog-giveaway
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pangeanews · 7 years ago
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Franz Krauspenhaar: “Mi sono rotto i coglioni della letteratura”
È pazzo. È fuori. Completamente fuori. Per uno scrittore come lui non ci vorrebbe un intervistatore, ma un domatore di leoni, o uno psichiatra. Eppure, è vero, autentico. Di rado un autore è anche solo vagamente associabile all’immagine che cerca di trasmettere attraverso i suoi scritti. Più di frequente, ti aspetti un eroe e ti trovi davanti una mezzasega. Invece, Franz è così: disordinato e privo di baricentro, ma comunque animato da una sua insondabile logica. Gli chiedi di parlare in merito a un argomento specifico e lui se ne sbatte. Si mette, piuttosto, a ragionare a voce alta di quello che gli passa per la testa. Forse si è strafatto di farmaci. Se non fosse che ha avuto un infarto, si potrebbe pensare che abbia alzato il gomito. Ma no, lui è così. Smadonna, sputa, ti parla di letteratura e poi ti racconta di una con cui è finito a letto. Una specie di strano incrocio tra la serietà di Houellebecq e l’ordinaria follia di Bukowski. È un genio, ma in pochi l’hanno realmente compreso. L’ho intervistato in occasione dell’imminente uscita, prevista per febbraio, del suo nuovo romanzo. Mi ha salutato con un “Ciao, vecchio porco”. Ha continuato preso da una strana ebbrezza da squilibrato, dicendomi: “Quando vieni a Milano che ci facciamo una birra e vediamo di trovarci qualche troia?”. Abbiamo riso. “Non vorrai rompermi i coglioni con un’intervista seria?”, mi ha chiesto. “Buon Dio, no, stai sereno!”, gli ho risposto io. Dunque questa è un’intervista e, allo stesso tempo, non lo è. Mettetevi l’anima in pace. Aprite una birra e stateci a sentire.
Come diavolo ti è venuto in mente di cominciare a scrivere?
“Si potrebbe dire che l’ho sempre fatto. Alle elementari iniziai con le prime storielle. A volte mi capitava di guardare un film e poi fare la novelization, cioè scrivere una storia partendo da ciò che avevo visto. Essendo appassionato di disegno, mi dilettavo anche nello schizzare brevi strisce di fumetti. Cominciai a far sul serio verso i quaranta. Prima di allora avevo lavorato, soprattutto nell’ambito commerciale, cercando di costruirmi una posizione che poi mandai a farsi fottere. Fu in seguito ad alcuni eventi particolarmente tragici che decisi di dedicarmi anima e corpo alla letteratura. In particolare, fu per via della morte di mio fratello. Reagii con dolore, ma anche con rabbia e questo mi portò a fare la mia scelta, per cui fino ad allora non avevo avuto abbastanza palle”.
Quindi, si potrebbe dire che la scaturigine della tua scelta è drammatica? Al cospetto dell’ineluttabilità della morte e del dolore, tu decidi che la vita va vissuta fino in fondo, che nel tuo caso vuol dire facendo letteratura.
“Sì, facendo quello per cui si è stati chiamati, anche se poi magari si è stati chiamati da nessuno. Percorrendo quella che è la tua vera strada, anche se è irta di ostacoli, per carità, ma che ti consente di aderire a quello che è il tuo sentire. Insomma, da un percorso tragico verso un percorso di rinascita attraverso la letteratura. Invece di tante sedute dallo psicanalista, io ho scelto di scrivere. Già, perché io faccio letteratura, non scrivo semplicemente libri”.
Preso da questa smania, dunque, inizi a scrivere. Cosa esattamente?
“Inizio subito con un romanzo. Era il ’99 e in due settimane e mezzo butto giù Le cose come stanno. Si tratta di un romanzo catartico, non autobiografico, o almeno solo io so cosa possa esserci di realmente vissuto nella storia di questi due fratelli. Una volta scritto, decido di inviarlo ai dieci maggiori editori italiani, facendo una scommessa – visto che non avevo appoggi – e dicendomi: se nessuno lo accetta, mollo il colpo e torno alla mia vita di sempre. Non avevo voglia di pregare qualcuno per vedere stampato questo romanzo che è carta della mia carne. Alle solite, la maggior parte di loro non mi rispose. Mi arrivò però una lettera dalla Feltrinelli, da parte della Signora D’Ina, in cui si diceva che ci sarebbe stato da apportare qualche miglioria e cambiamento. A ogni modo, rifiutano il testo, pur accompagnando il tutto con i loro migliori complimenti. Almeno si trattava di una lettera scritta di suo pugno. Qualche giorno dopo arriva una telefonata da Baldini&Castoldi, nella persona di Michele Dalai. Questo testo uscirà nel 2003, ma prima, nel 2000, pubblico un libro che avevo già scritto al principio dei ’90, Avanzi di balera, una storia grottesca e terrificante su questi giovani che vanno in giro per sale da ballo a cercare di cuccare. Balera da intendersi come luogo della perdizione della mediocrità. Si trattava di un romanzo di racconti, un romanzo di scene, che pubblicai per una piccola casa editrice di Milano che avrebbe voluto pubblicare anche Le cose come stanno, ma che avevo gentilmente mandato a fare in culo perché il testo era già piazzato. Baldini&Castoldi mi rispose nel 2000, ma dovetti aspettare fino al 2003 per vederlo pubblicato. Il mio editor era Tirogelli, uomo ben conosciuto nelle patrie lettere, che mi diede pochi suggerimenti, ma molto validi. La pubblicazione, a ogni modo, veniva sempre procrastinata perché ce n’erano altri da mandare avanti. Ricevette, poi, buone recensioni, magari non il successo che avrebbe meritato. Ma io, allora, ero molto inesperto, non sapevo bene come farmi pubblicità. Non come questi esordienti di oggi che sanno già come muoversi, a chi andare a leccare il culo e a chi succhiare l’uccello. Io, invece, ho cominciato pian piano, nella convinzione che un minimo di gavetta sia necessaria. Ma a me non me ne frega nulla di fare di questi movimenti ondulatori e sussultori, perché in letteratura è la carta che deve cantare”.
Quando iniziasti, invece, a scrivere poesia?
“Anche quella l’ho sempre scritta. Ho intere sillogi nel mio magazzino personale, roba che avevo battuto a macchina, perché al computer ci sono arrivato tardi. Anzi, il primo romanzo lo scrissi a mano e poi lo feci copiare. Io sono post-tecnologico”.
Ma quando ti rendesti conto di avere tra le mani una vera e propria raccolta poetica e a chi la proponesti?
“Diciamo che la cosa si fece più seria intorno al 2007. Condivisi le liriche sul mio blog personale, nella loro prima bozza, poi ci lavorai ulteriormente. Vedevo che anche poeti e poetesse abbastanza conosciuti venivano a commentare positivamente. Mi resi conto quindi che queste poesie avevano un buon impatto. Intervenne a quel punto Tiziano Fratus, un poeta che adesso pubblica per Feltrinelli e che allora era direttore editoriale di Manifattura Torino Poesie, che faceva parte della Marco Valerio Edizioni. Fratus mi diede qualche dritta su come portare avanti il discorso. Il dattiloscritto che gli consegnai divenne poi Franzwolf – un’autobiografia in versi. Fu la mia prima silloge pubblicata. Cominciai a portarla in giro. Sai com’è: della poesia si deve parlare, non è che si possa sperare che venda. Soprattutto, se ne dovrebbe parlare attraverso i premi, ma io a quelli ho sempre partecipato senza successo. I premi, in fondo, sono qualcosa che ti gratifica e io non sono contro, sono contro il modo in cui vengono gestiti, cioè come è gestito il Parlamento, la politica, lo sport…”.
Su base mafiosa?
“Guarda, questo paese è una ciofeca. È un paese di merda. Anche se, da parte mia c’è ancora un grande amore per l’Italia. Io sono un po’ nazionalista. Non sono di quelli che vorrebbero farne un rogo di questo paese. Sulla questione politica, poi, potremmo parlare per ore, perché io non sono quello che molti pensano. Non sono un fascista, o cripto fascista, come dicono. Il fascismo, per me, è finito nel 1945. Nella maggior parte dei casi, i rimasugli di oggi sono da evitare, anche se alcune volte hanno fatto cose buone. Ma tanto io evito chiunque, quindi non mi possono dire che sono di una parte o dell’altra. Non ho voglia di intrupparmi con nessuno. Sono un artista, un poeta, e non sono veicolo di niente, se non di me stesso. Mi hanno dato del fascista varie volte, facendomi uscire da certe realtà editoriali. Ma non è vero. Se io metto un like a un articolo di una rivista di estrema destra, non è che sono fascista. È che, in quel momento, sono d’accordo con quello che dicono nel racconto dei fatti, non tanto nelle ideologie. Ciò mi succede a volte anche con l’estrema sinistra, solo che questi più che estrema sinistra sono estrema debolezza, l’estrema minestra di un’ideologia morta”.
La tua opinione sulle scuole di scrittura?
“Non ho una grande stima delle scuole di scrittura, questo è noto. Secondo me la scrittura non si può insegnare, casomai si può porgere come esempio. Voglio dire, se tu frequenti un grande scrittore e lui ha un esempio da darti, anche umano, morale – perché la morale esiste, altrimenti saremmo già deflagrati, una morale personale, se vuoi, un proprio vangelo – magari anche al di là della sua volontà, quella è la migliore scuola di scrittura. Comunque, l’importante per imparare a scrivere è saper leggere. Quello che una scuola di scrittura dovrebbe fare all’inizio sarebbe proprio questo. Certo, può trasmettere delle tecniche, ma leggere è fondamentale. E poi, questi ritrovi spesso sono solo dei piccoli bordelli dove si impara a conoscere il personaggio importante da leccare. Si entra come in una bolla pseudo letteraria. C’è gente che ha pochissima esperienza e già si apre una scuola di scrittura. Io non lo accetto dal punto di vista estetico. È peggio della monnezza di Roma. Poi che facciano quello che vogliono, ma che non vengano a dire che loro sono dei maestri della prosa, perché non hanno né i mezzi, né la forza morale per insegnare alcunché a nessuno. Oramai, in questo paese, ci sono più scuole di scrittura che locali per coppie scambiste. E, in effetti, questi personaggi qui sono ridotti a fare scambismo. Attenzione: non scambio di idee, ma scambismo di idee. Questo è vero e incredibile allo stesso tempo. Vanno a scoparsi le idee come si scopa la moglie di un altro. È una cosa che fa schifo e non perché io sia contro lo scambismo. Non l’ho mai fatto perché non ho il bernoccolo per la cosa. Anche perché io sono l’ultimo degli eterosessuali e mi scoccerebbe avere il marito dell’amante a guardarmi, o che tentasse di entrare in un mio pertugio. Non sono neanche omossessuale e mi hanno dato dell’omofobo e del maschilista, ma probabilmente lo sono molto più loro perché non dicono la verità. Si nascondono dietro un pensiero debole e sinistrato, addirittura sinistro”.
Franz, chi è un esempio letterario per te?
“Da qualche anno sono molto amico di Milo De Angelis. Forse il miglior poeta che abbiamo, oggi, in Italia. Spesso ci troviamo a casa sua per vedere le partite di calcio e chiacchierare con la sua compagna, una bravissima fotografa ed ex attrice, Viviana Nicodemo. Lui è un esempio, per me, perché non si è dato via ed è comunque diventato una persona potente. Io non ne ho mai approfittato, nel senso che il nostro è un rapporto basato unicamente sulla simpatia e sull’affetto. Chiaramente, mi piace molto la sua poesia, altrimenti non riuscirei a parlargli e ad ascoltarlo. Devo stimarlo uno scrittore, un poeta, per averci a che fare.
L’amico di Franz, il poeta Milo De Angelis: “Spesso ci troviamo a casa sua per vedere le partite di calcio”
La sua scrittura è diversa dalla mia, ma ci apprezziamo vicendevolmente. Lo considero il numero uno, in questo momento. È riuscito a cambiare le carte in tavola, anche se un po’ di tempo fa. Purtroppo, non tutta la sua produzione è allo stesso livello, ma questo capita a ognuno di noi. Poi, ne ho conosciuti tanti altri. Potrei citare anche il Piero Gelli che mi fece da editor da Baldini&Castoldi e che fu per me illuminante. In poche battute mi disse come migliorare il libro. Non mi precisò dove intervenire ma, a seguito dei suoi consigli, trovai autonomamente i punti da rivedere”.
Dimmene uno che ti sta sul cazzo?
“Guarda, uno che mi sta sul cazzo è Lagioia, anche se un amico mi ha detto che è simpatico. Non mi piace come scrive, non mi piace la sua faccia, non mi piace quello che è, non mi piace il potere che rappresenta. Non che lo voglia sostituire. Io non lotto per il potere, ma per la libertà d’espressione dei reietti come me. Lagioia, invece, mi sembra uno che ha saputo inserirsi nei meccanismi, ma non uno scrittore valido. Il suo La ferocia è un libro veramente insufficiente sotto tutti i punti di vista. Poi ce n’è un altro, Antonio Scurati. Lo conobbi a una presentazione e gli dissi il mio nome. Lui mi rispose ‘Anche mio cugino si chiama Franz’. Ecco, uno che ti risponde in questo modo non lo puoi prendere sul serio. A parte questo, i suoi libri sono assolutamente dimenticabili. È uno di quei casi in cui non si capisce come possa arrivare in finale allo Strega… o meglio si capisce. Scrive dei romanzi che non hanno né un inizio né una fine”.
Senti, cosa mi dici delle donne nella letteratura italiana attuale?
“Tu mi vuoi far dire cattiverie, vero, brutto figlio di puttana? (ride) Il fenomeno della Ferrante non lo capisco e lo capisco. Mi pare Carolina Invernizio versione 2000, con una patina di letterarietà. In realtà, sono delle storie abbastanza banali. Poi c’è questa Napoli… Non si capisce perché, ma quando c’è Napoli di mezzo ci si copre d’oro. Non è La pelle di Malaparte, comunque, questo è sicuro. Io amo Malaparte, perché era un anarchico come me, uno che è andato sotto tutte le bandiere, perché non apparteneva a nessuno. Lo amo in tutte le sue contraddizioni. Le contraddizioni fanno parte della vita di uno scrittore. Non si può essere tali essendone privi. Chi non le ha non vale un cazzo. Quando sento parlare di coerenza metto mano alla pistola, cazzo! Come posso essere coerente io che oggi ho le palle girate, domani sono inaspettatamente euforico e il giorno seguente vorrei distruggere l’umano consesso? Io devo vivere, convivere e superare le mie contraddizioni, continuamente, ma non è una battaglia che si può esaurire e quindi dobbiamo viverci e trasformarle in arte. Ci servono per rendere il nostro vissuto e di conseguenza i nostri scritti più validi, più ricchi, più paradossali e quindi più umani, più aderenti alla realtà in modo tale che possano comunicare. Eh già, perché noi dobbiamo comunicare, non c’è niente da fare. Siamo dei comunicatori forzati. Noi non dobbiamo essere dei pubblicitari come sono molti scrittori, senza peraltro esserlo mai stati nel resto della loro vita. Si fanno solo pubblicità attraverso le loro scuole di scrittura, le loro presentazioni da quattro soldi, le loro quattro vacche che gli leccano il culo e le palle. E noi ci siamo rotti il cazzo!”.
Che cosa vuol significare quella frase che dici nel booktrailer di un tuo libro di poesia, quando sostieni che ti sei rotto i coglioni della letteratura?
“Chiaramente è una provocazione, perché la letteratura la amo. Però mi sono rotto i coglioni di tutto l’ambiente. Mi dà la nausea. Mi danno la nausea i comportamenti, ancora più dei libri degli altri. Il giudizio sui libri dipende dal gusto, per quanto io sia contrario all’idea che ‘i gusti sono gusti’. Un cazzo! Ci sono gusti e gusti. È una nausea di questo mondo letterario oramai in disfacimento, in cui alcuni credono di poter incidere qualcosa, ma non incideranno mai su nulla. Tutti ’sti coglioni che, arrivati al primo libro, solo perché hanno avuto un minimo successo, si danno arie e pontificano e stanno a rompere i coglioni. Non hanno neanche un po’ di senso morale. Si attaccano ai carrozzoni politici, si fanno le scuole di scrittura. Questo ambiente, le case editrici, gli editori, i giornalisti, questi che si occupano di blog, i blogger che si fanno i filmati per parlare di questo e di quello, che discutono solo di novità e se tu non lo sei non ti cagano. Parlano degli esordienti, invece. Ai miei tempi, gli esordienti non se li inculava nessuno. Adesso si parla solo di questi ragazzini che sono stati presi dalle case editrici per essere lanciati non si sa bene dove, se non fuori dalla finestra. Gente che non potrà produrre niente, dopo appena un libro o due. Non come me che sono un sopravvissuto e ho cambiato più editori che mutande. E io sono ancora qui, cosa farò da grande (Franz inizia a cantare e ridiamo). Mi ci ritrovo in questa canzone di Gino Paoli, nonostante Gino Paoli, perché io davvero sono ancora qui. E non mi sento vecchio. Ho una certa carriera alle spalle, chiaro, anche se ho iniziato a fare seriamente solo nel nuovo millennio, ma scrivo dagli anni ’70. Già allora buttavo giù poesie e scrissi anche una commedia dell’assurdo che si chiamava La ciurma acconsente, con un personaggio che si chiama Ciurma. Questo scritto lo persi. Poi scrissi un romanzo negli anni ’80 che si intitolava Rospi sputati su extrastrong da una famiglia col grilletto facile. Una storia di mafia che in un momento di rabbia strappai e buttai nel cesso. Non era un capolavoro, ma era originale. L’originalità non è mai mancata nel mio carnet. E anche questo non aiuta. Bisogna essere inquadrati, scrivere romanzi sulla montagna, che adesso va tanto di moda. Tra un po’ sarà il mare, poi chissà. Ecco, comunque, io mi sono rotto i coglioni di tutto questo, di chi mette in relazione la tematica di un libro con una moda, un qualche cosa a cui agganciarsi ogni volta, perché non si sa più parlare di un libro e allora si parla del contorno. Non si fa più informazione letteraria, si parla del contorno, questo è il problema”.
Ci pensi mai a come verrai percepito dalla posterità? Oppure la vedi come Tinto Brass, secondo cui è meglio passare ai posteriori che ai posteri?
(Ride) “Mi piace molto Tinto Brass, soprattutto i primi, ad esempio Il disco volante e quelli precedenti, degli anni ’60. Era un vero regista indipendente. Ma, a prescindere dalla sua battuta sui posteriori…”.
Sì, insomma, come pensi che verrai percepito dalla posterità?
“Mah… penso che non verrò proprio percepito. Non sarò pervenuto. Magari se venissi tradotto. Anche perché io, forse, funzionerei meglio con un pubblico straniero. Al nord potrei essere più apprezzato che qui. E non ti nascondo che sarebbe un grande riconoscimento per me che, appunto, sono ancora qui e non mollo. Mica mi sono dato alla pesca subacquea. Alla fine, si rimane quello che si è. Un artista vero non deve mollare mai il punto, mai ritirarsi. Io credo nel non ritiro, perché anche se si passano dei periodi in cui non si scrive – e ne ho passati vari – li vivi soffrendo e questo vuol dire che sei uno scrittore, uno scrittore con le unghie un po’ spuntate ma che poi ricresceranno. Credo che mi sentirò scrittore a vita. Mi sono sentito tale fin dalla più tenera età. È un destino. È inutile quindi che mi vengano a parlare di questi scrittorucoli, di questi romanzi in finta pelle – questo sono –, questi romanzi che magari vincono lo Strega, ma che non sono sangue e carne. È solo finta pelle! Ti potrei fare tanti esempi di romanzi e scrittori del genere. Una di questi è la moglie di quell’attore, la Margaret Mazzantini. Dico, una che ti parla di ‘anima sudata’ in un libro. Lo tengo a mente per fare un esempio agli amici, durante le conversazioni, e ridere. Ma nemmeno Henry Miller sotto acidi avrebbe potuto inventarsi una coglionata simile. Nemmeno Dalì in uno dei suoi momenti più grigi, quando sua moglie gli aveva dato un sacco di botte e si era fatta inculare da tutti i surrealisti. È terribile! È di un kitsch, quando ti lasci andare a queste trovate, che possono piacere giusto a un pubblico che non legge. E secondo lei sarebbe poetica! Che poeticità del cazzo! Se lo scrivessi in una mia poesia, i miei amici e soprattutto i miei nemici mi sparerebbero a vista. E sai che ti dico? Farebbero bene!”.
Matteo Fais
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