#giulia blasi
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In una società basata sul successo e sulla performatività, abbiamo bisogno di dirci vincenti, di raccontarci che ce la possiamo fare, che le nostre forze basteranno. Ci martellano da una vita con l’idea che tutto dipenda da noi, successo e insuccesso, e che i poveri siano solo gente che non ha voglia di lavorare: la destra lo dice apertamente, e i poveri ci credono. Magari sono solo mezzi poveri, una casa ce l’hanno, campare campano, e hanno votato Meloni perché convinti che quella casa gliela toglieranno gli immigrati, il lavoro pure, e che l’Italia non sarà più Italia se accoglie chi arriva e non ha niente. Non hanno votato di sicuro i partiti di sinistra che da sempre dicono di voler fare politiche “per gli ultimi”, perché gli ultimi sono sempre gli altri. Mica te che tiri avanti con mille euro al mese in trentacinque metri quadri a Tor Sapienza. Mille euro al mese ormai è piccola borghesia. Siamo tutti “ultimi”, o quasi tutti: ci distinguiamo nelle sfumature, qualcuno è penultimo e qualcuno è terzultimo, e l’unica abilità di Meloni e soci è fare in modo che continuiamo a litigare fra noi per assicurarci di non scendere in graduatoria.
Dall’articolo "L'analisi della vittoria" di Giulia Blasi
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Ciao Michela.
Oggi è un mese che sei serena e calda.
Sono stato incredibilmente fortunato a conoscerti. Ti ho conosciuto in un modo che non avrei mai immaginato, durante il covid, in un seminario online, davanti a una platea di psicolog*, mentre ridevamo delle nostre chiacchiere riguardo il genere e la mascolinità tossica.
Poi ci siamo conosciuti di persona a Parma, e mi hai sorriso, e abbiamo fatto ridere insieme, di nuovo, da un palco, con Giulia Blasi. Sapere di riuscire a farti ridere è un vanto che mi porterò sempre nel cuore. Rideremo tutte le volte che ci sentiremo, mi farai ridere in tutte le foto che mi manderai e riderai di tutte le cose che ti mandavo.
Rideremo nel "tuo" ristorante, rideremo in treno, e rideremo anche quando lavoravamo insieme. Abbiamo lavorato insieme! Che incredibile fortuna che ho avuto. Grazie.
Dopo un mese non si sono ancora del tutto placate le voci che hanno continuato a dire stron2ate su di te. S'illudono forse di non sentire più il tuo nome, di non vedere più il tuo volto sorridente. Qualcuna di quelle voci aveva anche un corpo presente al tuo funerale - me ne ricorderò. Come mi avrai insegnato anche prima di conoscerti, ricorderò tutti i nomi, sempre; e ne riderò. Tanto, non faranno che dimostrare continuamente le loro paure.
Fa parte del lavoro sociale che era da fare, e che continuerò a fare. Non sono mai stato solo, e grazie a te saremo moltə di più di prima - di qualsiasi prima.
Grazie di tutto quello che terrò per me. Tutte enormi lezioni gratuite, che avranno anche, come premio ulteriore, un sacco di risate. Sì, è quello che, nel mio piccolo, mi mancherà di più: ridere insieme a te. Adesso potrò solo farti vedere che mi farai ridere e stare bene, mentre mi starai illuminando. Grazie anche di questo.
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C'è un'associazione fascista dentro un immobile di proprietà del demanio a pochi passi da Termini, occupazione abusiva a scopo abitativo: si potrebbe cominciare da lì. Sarebbe un'ottima casa dello studente e un segnale forte. Lo faranno? Certo, come no.
Giulia Blasi su Twitter
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Mare di Libri 2023 a Rimini
Mare di Libri, il Festival dei Ragazzi che leggono, torna nel centro storico di Rimini dal 16 al 18 giugno, con partecipanti, volontari e ospiti da tutta Italia e dall’estero. I giovani saranno come sempre i protagonisti della manifestazione, giunta alla sua sedicesima edizione e con circa 40 appuntamenti, divisi in 30 eventi a cui si aggiungono 11 laboratori e discussioni aperte intergenerazionali su temi contemporanei, dialoghi tra generi e generazioni, tra ragazzi e ragazze e gli autori e le autrici che interverranno in questa edizione. Il format classico è l'incontro con l'autore, e in molti casi l'intervista è affidata a giovani lettori e lettrici di gruppi di lettura provenienti da tutta Italia, con nomi come Manlio Castagna, Davide Morosinotto, Pierdomenico Baccalario, Igor De Amicis, Antonio Ferrara, Cecilia Randall, ma non mancheranno gli ospiti stranieri, che saranno Anne Fine, Guus Kuijer e Dark Visser. Tra le novità c'è quella relativa al Premio Mare di Libri, che giunto alla decima edizione, per la prima volta si apre alla categoria della Graphic Novel. Saranno tre gli eventi durante i quali si rifletterà su grandi temi della contemporaneità con il format 1 parola 2 generazioni, dove la parità sarà al centro di un incontro con Vera Gheno e Giulia Blasi; attorno a scuola dialogheranno Enrico Galliano e Gaja Cenciarellii; su lavoro interverranno i Maura Gancitano e Andrea Colamedici (Tlon). Il format dei generi narrativi tratterà di fantasy, criminalità, narrazioni giovanili e riscritture mitologiche e ogni appuntamento si svilupperà come una conversazione a due voci tra due autori e il pubblico. Quest'anno gli anniversari da celebrare saranno tre, venerdì 16 giugno lo spettacolo Cammelli a Barbiana racconterà la figura di Don Milani, sabato sera sarà la volta di Alessia Canducci e Alfonso Cuccurullo che interverranno su Italo Calvino e domenica sera chiuderà il festival una serata dedicata al mondo Disney, con letture di Nadia Terranova, Giusi Marchetta e la conduzione di Manlio Castagna al Teatro Galli. Sono tanti i laboratori in questa edizione, dove si esplorerà la mindfulness con Elisa Castiglioni, la poesia con Antonio Ferrara e Marianna Cappelli e si parlerà di ambiente con Andrea Vico, e di fumetti con Gud, il fumettista che ha curato l'immagine del poster del festival di quest'anno. Non mancheranno gli speed-date con gli editor, con protagonisti i professionisti di diverse case editrici che hanno il compito di raccontare i libri pubblicati in pochissimi minuti, cercando di incuriosire i lettori. Read the full article
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A L’isola arriva Giulia Salemi ma non è la Giulia Salemi che pensate voi
DIRETTA TV Mancano sempre meno settimane alla nuova edizione de L’isola dei famosi. Il reality condotto da Ilary Blasi andrà in onda a partire dal 17 aprile 2023. C’è da dire che ormai i nomi dei volti che vedremo al programma tv, più o meno, sono già stati svelati tutti. The Pipol Tv però ha dato un nuovo annuncio svelando il nome di uno dei naufraghi che potrebbe sbarcare sull’isola in…
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Le disuguaglianze non sono una falla del sistema. Le disuguaglianze sono il sistema. Il capitalismo e il liberismo, che abbiamo assunto come unica via possibile alla realizzazione individuale e unica forma di società sostenibile, sono interamente basati sulla disuguaglianza, sulla possibilità di pagare le persone sempre meno e sempre peggio e sulla catena di sfruttamento generata da questo dumping salariale, più o meno volontario. Il lavoratore della cultura pagato in spicci comprerà frutta e verdura a basso costo, raccolte da braccianti pagati ancora meno. La junior che cerca di campare a Milano con mille euro al mese si vestirà con abiti cuciti da donne del Bangladesh, perché costano poco: e buona fortuna a verificare che i brand di fascia più alta non facciano altrettanto. Ogni tanto arriva qualcuno che predica la scelta etica, che a volte è percorribile, a volte no, e rimane una decisione individuale presa all’interno di un sistema che rimane immutato. [...] La narrazione sul lavoro è sempre a senso unico: lavoro come dovere, lavoro come necessità, e sempre più spesso lavoro come prova del carattere e dell’entusiasmo del lavoratore, che, come nella celebre scena di Tutta la vita davanti di Paolo Virzì, deve affacciarsi alla sua giornata con il sorriso sulle labbra e la voglia di dare il massimo per il suo team. Quanti colloqui abbiamo fatto, con capi che volevano sapere “Perché vuoi lavorare con noi?” E ogni volta inventarsi una risposta che non fosse “Mi piace mangiare tre volte al giorno”: perché so lavorare in squadra! Perché sono ambiziosa e ho degli obiettivi nella vita! Perché sento di poter dare moltissimo a questa azienda! Lo sanno loro e lo sappiamo anche noi, che è una farsa: che il lavoro ci serve, anche quando non ci piace, perché senza non possiamo provvedere a noi stessi e alle persone che dipendono da noi. Il lavoro dà direzione e struttura alle nostre giornate, scandisce gli orari del sonno e della veglia, inghiotte la maggior parte delle ore. Se va bene, e siamo fortunati, quelle ore saranno occupate da attività che in qualche modo ci rispecchiano, o comunque ci permettono di esprimerci, di non sentirci solo degli ingranaggi in un meccanismo che ci può sostituire da un momento all’altro. Quando va male, sono ore impegnate in compiti che possono essere portati a termine solo spegnendo tutti i recettori della creatività, spesso alle dipendenze di gente priva delle più elementari capacità di relazione o anche solo delle competenze di base necessarie a fare bene il proprio lavoro. Perché quella che chiamano pomposamente “meritocrazia” è solo e soltanto una cosa: la spartizione del potere e del prestigio fra chi parte avvantaggiato, a prescindere dalle abilità personali, raccontata come “se vuoi puoi” e “quelli bravi ce la fanno”. Insomma, se a trenta o quarant’anni ti ritrovi a fare il rider, appeso a un’applicazione per sapere se questo mese riuscirai a mettere insieme il pranzo con la cena, è colpa tua, che non ti impegni. Sei tu ad aver fallito.
Giulia Blasi - La narrazione sul lavoro da rovesciare e un futuro al di fuori del ciclo produci-consuma-crepa
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[…] forse ci sembra brutale perché parlare di soldi è considerato déclassé, dato che i ricchi non ne parlano? (E grazie tante che non ne parlano: sono ricchi.) Io non credo che i soldi siano una misura del valore delle persone, e nemmeno del valore effettivo del lavoro delle persone. Ma non sono nemmeno così ingenua da pensare che ergerci costantemente sopra le considerazioni economiche faccia di noi persone migliori. L'unica cosa che succede è che i soldi che noi non chiediamo per pudore finiscono nelle tasche di qualcun altro. Hell no. Liberiamoci di questo cattolicesimo professionale: il nostro lavoro ha un valore, e quel valore deve essere riconosciuto.
Giulia Blasi | Servizio a domicilio - Lavoratori dell'intelletto, uniamoci | Revue
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Resto,
violentemente fragile,
tra le tue mani.
Guardami,
che io non mi vedo.
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[Fiabe d’altro genere][Karrie Fransman][Jonathan Plackett]
Immagina un mondo in cui patrigni malvagi scagliano incantesimi contro neonati principini, dove il lupo cattivo è femmina e le principesse superano una sfida dopo l'altra per andare a salvare bei principi addormentati…
Da secoli raccontiamo ai nostri figli le fiabe della tradizione, e da sempre qualcuno ha provato a riscriverle, perché i bambini potessero immaginare un mondo in cui gli eroi fossero loro. Anche Karrie e Jonathan leggevano le fiabe alla loro bambina, quando si sono trovati di fronte a un dilemma: mancava qualcosa di fondamentale in quelle storie, e così hanno deciso di fare qualche cambiamento……
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#2021#British Fiction#Carlo Gabardini#fiabe#Fiabe d’altro genere#fiction#Gender Swapped Fairy Tales#Giulia Blasi#Jonathan Plackett#Karrie Fransman#LGBT#LGBTQ#Lia Celi#Lisa Dalla Via#Matteo Bordone#Narrativa#podcast#Rizzoli#Spotify#UK#Young Adult
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Cambiare il mondo non vuol dire cambiare il mondo. Vuol dire fare un milione di cose irrilevanti se prese singolarmente, utili se accorpate al milione di microcose che fanno le persone intorno a noi, fondamentali se aiutate da poche macrocose fatte da chi governa.
Manuale per ragazze rivoluzionarie, Giulia Blasi
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In un paese sensato, la discussione sulle critiche a Giovanna Botteri sarebbe un'occasione per parlare in maniera estesa del problema a monte, cioè l'obbligo della bellezza femminile, le pressioni che vengono fatte alle donne perché siano sempre come minimo "presentabili" (e già qui) e si "valorizzino" e l'attacco all'aspetto fisico come arma per neutralizzarne la voce, ché se sai di dover rispondere prima di tutto di come ti pettini magari rinunci, non dici più niente. Invece ne parliamo come se il punto fosse difendere Botteri nello specifico "perché non se lo merita", per poi dare in pasto ai cani un'altra donna, con lo stesso metodo, perché meno "meritevole" di difesa. Sempre in un paese sensato, tutta la polemica (giustissima) sui "congiunti" ci porterebbe a riflettere più in generale sull'impossibilità di mettere a norma gli affetti in una società che è cambiata in maniera radicale rispetto a quella descritta dal diritto di famiglia su cui si basa l'ultimo DPCM, che comunque sarebbe stato inadeguato già allora. E gli eterosessuali, in particolare, si renderebbero conto della loro posizione di relativo privilegio: noi possiamo parlare di "coniugi" e "parenti", mentre la comunità LGBTQ spesso non può. Dato che gli eterosessuali agiscono da sempre, più che come democrazia, come dittatura della maggioranza, alle persone gay, lesbiche, bisessuali e trans è impedito di avere accesso all'istituto del matrimonio e di riconoscere i figli nati all'interno dell'unione o dei quali si prendono cura. Le persone queer sono fra le più esposte all'arbitrio di questo DPCM, perché spesso vivono lontane dalle famiglie, e non per scelta loro. Hanno una rete di affetti costruita fra amici che rappresentano un vero e proprio cluster familiare, dai quali sono separati per arbitrio, più che per problemi di profilassi pubblica. Io stessa, guardate, ho culo: abito in una città lontana centinaia di chilometri dalla mia famiglia d'origine, e ripeto, è sempre culo che la quarantena me la sia fatta con la persona con cui vivo da quindici anni (e che secondo le FAQ governative ora potrei "andare a trovare", come se invece che in un bilocale al Pigneto vivessimo nel superattico di Bertone). Conosco moltissime persone che sono sole in casa da due mesi in città dove si erano trasferite da poco, e dove gli amici erano tutti gli affetti a loro disposizione. La loro sofferenza è reale, non immaginata. Infine, in un paese sensato non avremmo bisogno di chiedere che ci venga "data voce", perché nel momento in cui lo devi chiedere sai già che anche la tua richiesta cadrà nel vuoto. Se non ti ascoltavano prima, non ti ascolteranno neanche adesso. E allora devi trovare un altro modo per costringerli ad ascoltarti, alzando il volume finché non diventi assordante.
Giulia Blasi
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Non fiction: una selezione di saggi
Leggere più libri fuori dalla mia comfort zone è stato uno dei miei propositi per il nuovo anno, uno di quelli che faccio spesso e che cerco di mantenere nonostante tutte le possibili difficoltà che lo stress della mia vita mi mette davanti. È difficile perché sono un’abitudinaria cronica, la mia routine è quello che mi tiene salda di nervi e soprattutto oppongo una fiera resistenza ai cambiamenti. Li abbraccio alla fine della fiera, ma se dipendesse da me non farei nulla per cambiare il circo della mia vita. Ma mi rendo perfettamente conto che sono necessari e inevitabili e quindi bello strappo di cerotto e si salta nel vuoto. Al contrario di altri aspetti della mia vita però, le mie letture sono cambiate molto rispetto a quando ho aperto il blog, il mio modo di reagire alle storie è cambiato e a volte riguardo certe recensioni e mi chiedo che cosa avessi nel cervello. Quasi nove anni però mi sembrano un periodo ragionevole di tempo per rendermi conto che forse non tutte le storie sono dei capolavori, ecco (ho appena scritto davvero nove anni? Dal 2011 sono davvero passati nove anni? OMG! Chiudiamo immediatamente questa parentesi. Mayday! Mayday!).
Tutta questa premessa per dire che la quantità di non fiction che arriva tra le pile di libri che infestano il mio appartamento sta aumentando, e la lettura di saggi mi sta coinvolgendo molto. Ecco quindi perché oggi vi propongo una selezione degli ultimi saggi che ho letto, in quarantena e non:
I tre fratelli che non dormivano mai – Giuseppe Plazzi
Le disobbedienti: Storie di sei donne che hanno cambiato l'arte – Elisabetta Rasy
Manuale per ragazze rivoluzionarie: Perché il femminismo ci rende felici – Giulia Blasi
L'inferno è una buona memoria – Michela Murgia
Vita su un pianeta nervoso – Matt Haig
Enjoy!
I tre fratelli che non dormivano mai – Giuseppe Plazzi
Nulla è più misterioso della nostra mente quando dormiamo. Accadono infatti cose che neanche la fervida fantasia di un grande scrittore saprebbe immaginare, e molte sono le domande che tutti ci facciamo, senza però trovare risposta. Com'è possibile guidare una macchina, parlare lingue misteriose o camminare per ore durante il sonno? Da dove vengono quelle inquietanti visioni di demoni, folletti e spettri che infestano la nostra stanza? Che cosa spinge i bambini a gridare terrorizzati nel cuore della notte? Perché alcune volte abbiamo l'impressione di cadere da una sedia e ci svegliamo? Il neurologo Giuseppe Plazzi ci apre le porte del suo laboratorio, dove ogni giorno pazienti con disturbi del sonno rari e affascinanti - oppure molto diffusi, come il sonnambulismo, l'insonnia, il terrore notturno e la sindrome delle gambe senza riposo - riscrivono i limiti scientifici delle nostre conoscenze e, forse, della nostra realtà. Tre fratelli affetti da un'insonnia letale, un frate perseguitato dal diavolo, un uomo capace di volare, una donna tormentata da fantasmi col collo lungo, un giovane sonnambulo colpito da una mutazione genetica, le acrobazie sessuali di una coppia durante il sonno, un intero paese caduto in letargo: sono soltanto alcune delle molte storie raccolte in queste pagine dal dottor Plazzi, dalle quali emerge un universo notturno costellato di sogni, incubi, allucinazioni, capacità soprannaturali e imbarazzanti risvegli in cui ogni lettore, con sorpresa, non faticherà nel suo piccolo a riconoscersi. Un'opera dal ritmo romanzesco e dalla temperatura letteraria - nel solco della tradizione di Oliver Sacks -, spaventosa a volte, altre volte divertente, grazie alla quale scoprire gli angoli più bui delle nostre notti, capire i meccanismi segreti del sonno e acquisire una consapevolezza preziosa: neanche solcando tutti i mari, guadando tutti i fiumi, attraversando tutte le terre o arrampicandoci sulle più impervie cime che punteggiano questo mondo riusciremmo a vedere tante cose quante il nostro cervello è in grado di mettere in scena in una notte.
Una mia cara amica mi ha parlato di questo libro e quando Il Saggiatore lo ha messo a disposizione gratuitamente nell’ambito del progetto Solidarietà Digitale in quarantena ho colto la palla al balzo. In periodi particolarmente stressanti della mia vita soffro di insonnia, resto ore e ore a fissare il soffitto, a pensare, con la mente che va più veloce del mio respiro e i rumori della notte e ombre strane che si muovono per avvicinarsi alla mia mano a inquietarmi. Il sonno quindi è un argomento che mi ha sempre affascinata, vuoi perché spesso ne sono privata, vuoi perché è tanto fondamentale per la nostra salute. Più il sonno è frammentato e non continuo, più funzioniamo male. Il Dottor Plazzi è un esperto di disturbi del sonno e racconta alcuni dei casi più affascinanti e curiosi che ha incontrato nella sua esperienza pluriennale spiegandone le dinamiche e rassicurando il lettore che certi disturbi sono più comuni di quanto si pensi. Plazzi non scende nel tecnico e i casi clinici sono pienamente fruibili anche da chi non è un esperto in materia, e riesce sempre a tenere desta l’attenzione, anche quando sembra di leggere un romanzo e non una raccolta di casi clinici. Forse è questo che mi ha fatto perdere un po’ dell’entusiasmo iniziale, lo stile di Plazzi forse troppo divulgativo, ma che riesce sempre a descrivere in pieno l’argomento trattato. Un viaggio tra sogni e incertezze, diagnosi e sintomi, dolore e guarigione, in un dualismo che non sempre si risolve al meglio.
Le disobbedienti: Storie di sei donne che hanno cambiato l'arte – Elisabetta Rasy
Che cosa unisce Artemisia Gentileschi, stuprata a diciotto anni da un amico del padre e in seguito protagonista della pittura del Seicento, a un'icona della bellezza e del fascino novecentesco come Frida Kahlo? Qual è il nesso tra Élisabeth Vigée Le Brun, costretta all'esilio dalla Rivoluzione francese, e Charlotte Salomon, perseguitata dai nazisti? C'è qualcosa che lega l'elegante Berthe Morisot, cui Édouard Manet dedica appassionati ritratti, alla trasgressiva Suzanne Valadon, l'amante di Toulouse-Lautrec e di tanti altri nella Parigi della Belle Époque? Malgrado la diversità di epoca storica, di ambiente e di carattere, un tratto essenziale accomuna queste sei pittrici: il talento prima di tutto, ma anche la forza del desiderio e il coraggio di ribellarsi alle regole del gioco imposte dalla società. Ognuna di loro, infatti, ha saputo armarsi di una speciale qualità dell'anima per contrastare la propria fragilità e le aggressioni della vita: antiche risorse femminili, come coraggio, tenacia, resistenza, oppure vizi trasformati in virtù, come irrequietezza, ribellione e passione. Elisabetta Rasy racconta, con instancabile attenzione ai dettagli dell'intimità che disegnano un destino, la vita delle sei pittrici nella loro irriducibile singolarità.
Sono una grande appassionata di lettura, passerei il mio tempo a visitare pinacoteche, a rimanere incantata davanti alle pennellate di grandi artisti del passato. I maestri pittori, come gran parte delle figure di spicco del passato sono uomini ma esistono delle donne che si sono imposte in ambienti prettamente maschili regalandoci delle opere straordinarie. Di Artemisia Gentileschi ho un ricordo molto bello di una mostra che sono andata a vedere con C. una delle mie amiche più care e di cui ci siamo entusiasmate particolarmente. Artemisia è figlia d’arte, ma soprattutto è una di quelle donne che non si lasciano mettere i piedi in testa da nessuno e sfida una società intera a riconoscere la sua innocenza. Non si arrende finché non viene riconosciuta come una pittrice. Berthe Morisot è la dama dell’Impressionismo (una delle mie correnti preferite): la potevi trovare impressa nelle tele ma soprattutto a dipingere dietro le tele con la creatività e la forza di Monet e Degas. La forse troppo sfruttata Frida Kahlo una donna indomita dalla forza straordinaria, tormentata da malattie debilitanti è sempre riuscita ad emergere con i suoi colori sgargianti e la sua fantasia esplosiva. Ma anche donne come Charlotte Salomon che non si è lasciata mettere in silenzio dal boia nazista, affida la sua memoria ai disegni che raccontano tutta la sua esistenza. Élisabeth Vigée Le Brun e Suzanne Valadon in modi e in tempi diversi sfidano la società del proprio tempo per emergere fulgide con le loro opere e le loro vite. È una prospettiva molto interessante quella che regala la Rasy composta da aneddoti, sfumature, impressioni, contesto storico, dei ritratti di donne a tutto tondo che non si lasciano facilmente ostacolare, che nonostante le vite difficili, le difficoltà evidenti, la disperazione innata si ribellano a tutto anche a loro stesse.
Manuale per ragazze rivoluzionarie: Perché il femminismo ci rende felici – Giulia Blasi
Care lettrici (e cari lettori) di ogni età, questo appello appena lanciato da Giulia Blasi non è una boutade, ma un invito serio, formulato dopo anni passati a osservare come si muovono uomini e donne in Italia. Una società che oggi è tecnologica, in rapida evoluzione, ma purtroppo non ancora paritaria fra i sessi in termini di rispetto, opportunità, trattamento. Certo non si può dire che nel Novecento non siano stati fatti enormi passi avanti per le donne, basti pensare al diritto di voto o alle grandi battaglie per il divorzio e l'aborto. Ma dagli anni '80 in poi il femminismo si è come addormentato, mentre il successo nel lavoro (e in politica, nell'arte) ha continuato a essere per lo più riservato ai maschi e in tv apparivano ballerine svestite e senza voce. Per non dir di peggio: la violenza sulle donne non si è mai fermata e chi denuncia le molestie tuttora corre rischi e prova vergogna. Ecco perché oggi è giunto il momento che le ragazze di ogni età raccolgano il testimone delle loro nonne e bisnonne per proporre un cambiamento epocale, per fare una rivoluzione che ci porti tutti - maschi e femmine - a un mondo in cui ciascuno abbia le stesse occasioni per affermarsi secondo i propri talenti e non si senta più obbligato a aderire ai modelli patriarcali - cacciatori & dominatori vs angeli del focolare & muti oggetti di desiderio sessuale - che, spesso in forme subdole, continuano a esserci proposti. Sembra impossibile? Non lo è! In questo saggio profondo ed elettrizzante Giulia Blasi analizza con spietata lucidità le situazioni che le donne oggi quotidianamente vivono e offre, in una seconda parte pratica del libro, consigli concreti per mettere in atto un femminismo pieno di ottimismo e spirito di collaborazione (evviva la sorellanza!) che possa rendere tutti più sereni, rispettosi, appagati e felici. Anche gli uomini.
Siamo in una società che ancora non è riuscita a sradicare tutti i pregiudizi sociali di cui è affetta, intrinsecamente. Viviamo in una società in cui c’è ancora bisogno di parlare di accettazione delle minoranze, in cui è necessario mettere in luce i drammi che vivono le categorie meno protette di tutti gli strati sociali. Viviamo in una società in cui il femminismo è ancora un imperativo categorico. Un femminismo inclusivo, completo, che non lascia spazi a dubbi sulle motivazioni della lotta, che non si ferma a giudicare. La Blasi espone chiaramente situazioni e prospettive e poi si ferma a fornire consigli utili. Mettere in evidenza i comportamenti sbagliati, sensibilizzare su argomenti apparentemente banali o che alcuni giudicano come ormai superati. A cosa serve il femminismo se avete gli stessi diritti degli uomini? Beh non è proprio così, si continua a giudicare con due pesi e due misure ogni passo in avanti fatto ha una intercapedine in cui si infilano i precetti di consuetudini che sono dure a morire. C’è ancora bisogno di libri del genere, c’è ancora bisogno di spiegazioni, di discussioni, di volontà forti che non si lasciano intimorire, c’è ancora bisogno di puntare contro ai comportamenti maschilisti, ad un mondo che vede le donne ancora in una posizione di svantaggio. Questo mondo in cui viviamo e che dobbiamo proteggere a tutti i costi, deve essere costruito anche sulla collaborazione attiva di tutti. È un cane che si morde la coda, un circolo vizioso da spezzare, ma sono certa che prima o poi ce la faremo, inizierò a preoccuparmi quando non proverò più indignazione.
L’inferno è una buona memoria – Michela Murgia
Quanto somiglia Cabras, Sardegna, paese natale di Michela Murgia, ad Avalon, Britannia, luogo mitico di Re Artù e della spada nella roccia? Se Morgana, Igraine e Viviana, le “Signore del Lago”, hanno il potere di sollevare le nebbie con le parole e influenzare le vite dei cavalieri della Tavola Rotonda, Michela Murgia, nata in mezzo alle acque di Cabras, ha il potere di sollevare le nebbie intorno alle storie e alle idee che ci circondano, raccontandoci la versione delle donne, nel solco ideale di Ave Mary. In un viaggio che comincia in mezzo al mare e in mezzo al mare ritorna, una delle maggiori scrittrici italiane racconta come e perché è diventata femminista, come e perché ha cominciato a temere le gerarchie religiose, come e perché non ha mai smesso di giocare di ruolo nel mondo magico di Lot, come e perché certi libri che ci hanno fatto crescere, in effetti, li abbiamo mangiati più che letti, e soprattutto come e perché creare ogni giorno il mondo che ci circonda è un gesto politico.
Della Murgia ho parlato in un post intitolato “Michela Murgia: un ritratto”, ma avevo completamente dimenticato questo breve saggio. La scrittura della Murgia è lineare e incantevole e anche se parla di un argomento che apparentemente è lontano dal lettore, pure lo irretisce, e lo accompagna alla scoperta di un nuovo mondo. In questo caso è quello de “Le nebbie di Avalon” il libro di Marion Zimmer Bradley una delle pietre miliari della letteratura fantasy e del ciclo legato ai cavalieri della Tavola Rotonda. La Murgia racconta i personaggi femminili, la strega Morgana, Igraine e Viviana, le “Signore del Lago” e ne analizza i punti di forza in un mondo dominato da figure maschili che partono, viaggiano, combattono, salvo poi tornare sempre da dove sono partiti. Un cerchio che si riunisce nella storia personale della Murgia e nei temi che di solito accompagnano le sue storie. Il femminile che si distacca dalle sue radici per esplodere con una forza eccezionale nei momenti più impensabili. Ma non solo, si esplora il misticismo e la religiosità e si racconta un libro che qualcuno potrebbe definire di serie B, è solo un libro fantasy in fondo, ma che nasconde diverse chiavi di lettura per interpretare il reale e il nostro presente.
Vita su un pianeta nervoso – Matt Haig
Il mondo ci sta confondendo la mente. Aumentano ondate di stress e ansia. Un pianeta frenetico e nervoso sta creando vite frenetiche e nervose. Siamo più connessi, ma ci sentiamo sempre più soli. E siamo spinti ad aver paura di tutto, dalla politica mondiale al nostro indice di massa corporea. Come possiamo rimanere lucidi su un pianeta che ci rende pazzi? Come restare umani in un mondo tecnologico? Come sentirsi felici se ci spingono a essere ansiosi? Dopo anni di attacchi di panico e ansia, queste domande diventano questione di vita o di morte per Matt Haig. Che inizia a cercare il legame tra ciò che sente e il mondo intorno a lui. Vita su un pianeta nervoso è uno sguardo personale e vivace su come sentirsi felici, umani e integri nel ventunesimo secolo.
In quarantena Edizioni E/O ha messo scaricabile gratuitamente questo volume di Matt Haig ed è stato un volume illuminante. Haig ha raccontato la sua esperienza in un mondo che ci vuole sempre agili, scattanti, veloci, interattivi e di come questo atteggiamento abbia contribuito a peggiorare la sua salute mentale. Lo scrittore inglese non offre risposte, ma offre una prospettiva diversa e una serie di consigli su cosa ha funzionato per lui. Allontanarsi dalle situazioni di stress, fare un passo indietro, prendersi il proprio tempo, capire quando è arrivato il momento di alzare le mani e non andare oltre, perché non se ne hanno più i mezzi o le possibilità. Fermarsi non è una sconfitta, è solo il passo necessario per stare meglio, il passo necessario per rendersi conto che questo è si un pianeta nervoso, ma noi non siamo costretti ad esserlo. Haig esplora le situazioni più conflittuali, la presenza sui social network, lo sviluppo tecnologico che sta crescendo in maniera esponenziale, la società che vi vuole workaholic e sempre informati, il bisogno di non perdere la testa di fronte a questo mondo che si estende enorme di fronte ai nostri occhi. Prendersi il proprio tempo diventa la condizione senza la quale non possiamo davvero essere sereni. Non c’è niente di meglio che staccare tutto e rilassarsi per superare le situazioni terribili che si affastellano nella nostra quotidianità.
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Leading the revolution | Giulia Blasi | TEDxVicenza
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Manuale per ragazze rivoluzionarie: Perché il femminismo ci rende felici di Giulia Blasi
Manuale per ragazze rivoluzionarie: Perché il femminismo ci rende felici di Giulia Blasi
Il libro di Giulia ha avuto per me il pregio di sistematizzare una serie di elementi (espressioni, comportamenti, botta e risposta) che costellano la vita di ogni donna, provando a dare a ciascuno di essi un significato diverso, e soprattutto diverso nel senso di *alternativo rispetto a quello convalidato dalla società italiana di oggi* che è ancora in larga parte una società patriarcale e…
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I “cambiamenti di costume” avvenuti in particolare dal Dopoguerra in poi non sono avvenuti da soli, ma a seguito della spinta e dell’incessante azione delle donne per conquistare diritti e spazio in società. Una lotta costante e faticosa condotta con ben più che “aggressività e spavalderia”, e che ha avuto costi enormi per le donne che vi sono state coinvolte. Essere femministe è difficile in ogni epoca: anche delle suffragiste si diceva che erano donne brutte e arrabbiate che volevano opprimere gli uomini, riducendoli alla schiavitù domestica. Una ragazza che lotta per i suoi diritti viene vista come antipatica e sgradevole anche oggi, figuriamoci nei decenni precedenti: “femminista” viene utilizzato come insulto, e nella maggioranza dei contesti è difficile esserlo senza mettere a rischio la propria vita affettiva e relazionale. Ho detto “femminista” perché chi si illude che la donna sola possa ottenere qualcosa per tutte non ha la più pallida idea della differenza che intercorre fra farcela per sé e farcela insieme a tutte le altre. Anche Giorgia Meloni o Marine Le Pen (per citare solo le vive) ce la fanno per sé, ma si inseriscono in maniera pulita e poco disturbante nel sistema: da conservatrici quali sono, possono usare l’essere donne come medaglia senza migliorare di una virgola la vita delle altre donne, cosa che è alla base dei famosi cambiamenti sociali. Che le donne possano mancare di “sicurezza di sé” è quindi fisiologico, considerato quanto poco si vedono rappresentate e quello che devono patire se davvero provano a farsi largo in un sistema che non è pensato per loro, e che è disposto a premiare solo quelle che sanno riprodurre in maniera efficace le dinamiche di aggressione e dominanza consolidate dalla cultura maschile, che essendo – appunto – dominante viene scambiata come neutra, inevitabile, impossibile da aggirare. Qui si pongono due problemi: quello della cosiddetta “socializzazione di genere” (vale a dire il complesso di comportamenti, prescrizioni e istruzioni che vengono impartite a bambini e bambine, e che a dispetto dei famosi cambiamenti sociali non sono poi mutate granché nel corso dei secoli) e quello delle difficoltà strutturali, che esistono, ma non sono certo biologiche. O meglio: lo sono nella misura in cui la biologia femminile paga pegno in una società pensata per venire incontro soltanto a quella maschile.
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