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Alessandria: Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne
Alessandria, 25 novembre 2024 – In occasione della Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne, il Comune di Alessandria, la Consulta Comunale Pari Opportunità e Antidiscriminazione, le associazioni e i movimenti locali si mo
Dal 25 novembre al 10 dicembre, un programma ricco di eventi per sensibilizzare e promuovere un cambiamento culturale Alessandria, 25 novembre 2024 – In occasione della Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne, il Comune di Alessandria, la Consulta Comunale Pari Opportunità e Antidiscriminazione, le associazioni e i movimenti locali si mobilitano per sedici…
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"Nascere maschi rimane un privilegio, e lo si nota, evidente, nella quotidianità. Come nel film di Cortellesi C’è ancora domani, non conto gli episodi in cui, in molte case, ho visto le donne alzarsi da tavola per aggiungere, togliere, servire piatti, e gli uomini seduti, sempre. Entrando nei negozi di giocattoli, sperimento la stessa rigida distinzione a cui ero sottoposta da piccola: quelli di cura e di bellezza per le femmine, quelli di potere e di avventura per i maschi. Ovunque, il linguaggio ribadisce la stessa feroce suddivisione: il notaio, l’avvocato, l’ingegnere ricorrono al maschile (anche quando sono le donne a svolgere queste professioni); la maestra, la signora delle pulizie, la tata al femminile (anche se la cura è amore ed educazione, e non dovrebbe avere perimetri di genere). Il sottinteso resta: il palcoscenico del mondo ai maschi, le retrovie di casa alle femmine. Il ruolo dei maschi è da protagonisti, quello delle femmine ancillare. Una bambina oggi, come me, mia mamma, mia nonna, assorbe un non detto scandaloso: le femmine valgono meno.
E, se valgono meno, possono essere pagate meno, occuparsi da sole di altri – marito, figli, genitori – mai di loro stesse. Se sono meno, possono essere picchiate, violentate e uccise. Come si picchia, si violenta e si uccide qualcuno a cui non si riconosce dignità, che non si ascolta, non si guarda; figuriamoci se si ama.
I femminicidi non sono una questione sentimentale, ma di potere: un problema strutturale della nostra società. L’amore è il contrario del potere. Se ti amo, non voglio che tu mi appartenga. Se ti amo, non sopporto di vederti serva, muta, umiliata. Se ti amo, ti accompagno in questa vita, non ti soffoco. Per amare c’è una condizione di granito: la parità. Nella sottomissione si può solo ferire. [...] Allora serve una detonazione dei rapporti di forza e del linguaggio. Un mondo aperto: liberato. Dove i figli si crescono alla pari, gli anziani si curano alla pari, le carriere si percorrono alla pari: in cui si decide e si agisce alla pari. E nessuna è un meno. E tutte siamo persone: rispettate, libere, quindi amate."
Silvia Avallone, su 7Corriere - il 19 gennaio 2023
*Silvia Avallone - Fotografia di Luca Brunetti
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He – Yin Zhen, pioniera del femminismo cinese
Gli uomini e le donne sono uguali: entrambi sono esseri umani, tuttavia non godono di parità. Questo è scorretto e va contro la giustizia naturale. La lotta delle donne è finalizzata a porre fine a questo sopruso.
He – Yin Zhen, anarchica e scrittrice, si può considerare la madre del femminismo cinese.
Ha rappresentato una voce fuori dal coro per le sue posizioni radicali e critiche contro il nazionalismo e la società in cui viveva.
I suoi scritti, agli inizi del Novecento, hanno anticipato l’approccio intersezionale del femminismo contemporaneo, mettendo in relazione il genere con classe, razza, sistema politico e economico. Tutti dispositivi di oppressione, generatori di gerarchie e disuguaglianze che si alimentano a vicenda.
Con una scrittura diretta e provocatoria, partiva dal presupposto che la liberazione delle donne fosse il tassello per la rivoluzione della società tutta. Ha visto l’oppressione delle donne come problema globale che sta alla base di tutte le altre disuguaglianze.
Liberare la donna per liberare la società, perché l’uguaglianza tra i sessi richiede lo smantellamento di tutte le strutture sistemiche di potere.
Nata nel 1884, nella provincia di Jiangsu, sulla costa orientale della Cina, col nome di He Ban, aveva ricevuto una buona educazione di base, nonostante fosse una donna.
Dopo aver sposato Liu Shipei, intellettuale e rivoluzionario, nel 1903, si era trasferita a Tokyo, entrando a far parte del movimento intellettuale anarchico cinese.
È stato in Giappone che aveva cominciato a firmare i suoi scritti col nome di He-Yin Zhen, per conservare il cognome da nubile di sua madre, aggiungendo Zhen che significa tuono.
Ha collaborato con la rivista Tianyi (Giustizia Naturale) e per Xin Shiji (Nuova Era).
Nel 1907 ha fondato l’Associazione per il Recupero dei Diritti delle Donne (Nüzi Fuquan Hui), che sosteneva la necessità dell’uso della forza per porre fine all’oppressione degli uomini sulle donne, così come la resistenza alla classe dominante e al capitalismo accompagnata dalla promozione di valori tradizionali come la perseveranza e il rispetto per la comunità.
Scrittrice e saggista, il suo pensiero si fonda sull’osservazione che la dominazione maschile sulle donne va intesa innanzi tutto come un problema legato a una distribuzione sbilanciata delle risorse.
Partendo da una questione meramente economica, ha sostenuto che i fattori sociali e culturali che hanno mantenuto la disparità tra i generi, sono cominciati con gli insegnamenti del Confucianesimo che relegavano il sesso femminile nella sfera domestica, suggerendo che uno dei passi necessari per una maggior eguaglianza fosse il superamento dell’istituzione della famiglia e della concezione per cui la crescita della prole debba essere un’attività unicamente femminile.
Nei suoi scritti, che comprendono il Manifesto delle donne, pubblicato il 10 giugno 1907 sulla rivista Tianyi, ha analizzato la disuguaglianza nel matrimonio, nello status sociale, nei doveri, nel sistema rituale, sempre a svantaggio delle donne.
He – Yin Zhen è probabilmente morta nel 1920, lasciando un importante lascito nel pensiero anarco-femminista cinese.
Il tuono dell’anarchia è la prima raccolta del suo lavoro tradotta in lingua italiana, curato e tradotto da Cristina Manzone.
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STUDIO DELLA COSTITUZIONE ITALIANA
Torniamo a riprendere lo studio della nostra Costituzione attraverso alcuni esempi di situazioni che potrebbero farci superare determinate tematiche/problematiche, facendoci affidare proprio alla carta costituzionale.
In esame, di recente, il “Titolo II - Rapporti etico-sociali” con gli articoli 33 e 34.
All'articolo 33 la Costituzione dice che "L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento.
La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.
La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.
È prescritto un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale.
Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato."
Un articolo evidentemente privo di molte interpretazioni: secondo la Costituzione il diritto allo studio è garantito nelle varie forme, sia pubbliche che private.
Non si scosta di molto l'articolo 34 per cui "La scuola è aperta a tutti.
L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso."
In questo caso il diritto allo studio non solo è garantito, ma è meritocratico nel senso che vengono premiati -idealmente- coloro che più si ergono e si caratterizzano per gli studi fatti, dimostrando la loro preparazione.
Esaurita la parte dedicata al "Titolo II" della Costituzione Italiana, dal prossimo articolo entreremo ad analizzare il “Titolo III - Rapporti economici”.
Intanto studiate la Costituzione al seguente link:
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Si svolgerà venerdì 24 novembre 2023 alle ore 18.00 presso la Biblioteca Comunale “Al Tempo Ritrovato” di Sacrofano (RM) nell’ambito degli eventi connessi alla Giornata Mondiale contro la Violenza sulle Donne l’incontro Si dice donna, con Loredana Cornero Lopez, esperta di comunicazione e autrice del libro 1977, quando il femminismo entrò in TV (Harpo, 2017). All’incontro, che verrà moderato da Alessandra Spinelli (giornalista di «Il Messaggero»), parteciperà anche Tiziana Bartolini (direttrice della rivista «Noi Donne») La Biblioteca Comunale “Al Tempo Ritrovato” di Sacrofano dedica tre giornate (venerdì 24 novembre, ore 18.00; sabato 25, ore 18.00; domenica 26, ore 11.00) a tutte le donne vittime di femminicidio. «Ci sono sempre più uomini, sia giovani che adulti, incapaci di accettare che le donne abbiano una loro autonomia, siano e vogliano essere libere di scegliere, nella vita privata e in quella professionale. Il patriarcato è finito, la società evolve, la parità di genere non è ancora completata, ma si sta affermando ogni giorno di più. Di fronte a tutto questo, certi maschi non sanno accogliere, ascoltare, apprezzare e far diventare le differenze tra uomo e donna ricchezza di contenuti e scambio di conoscenza dell’altro che aiuta tutti noi a crescere. Incapaci di accettare l’abbandono, il rifiuto, la risposta contraria, certi maschi ammazzano. Infieriscono con la violenza. Rendono mute per sempre quelle voci. In nome spesso di un amore che nulla ha di amore ma è brama di possesso, controllo, sopraffazione o anche solo incapacità di mettersi in discussione e accettare la sconfitta. Siamo tutte a rischio, noi donne, in questo delicato - e per certi versi brutale - periodo storico. Madri, figlie, sorelle, amiche. Tutte in bilico. È tempo di riflettere, di cercare rimedi pratici e interiori, di realizzare sin dalle scuole programmi di educazione e formazione alle relazioni, diffondere con orgoglio la cultura del rispetto e di farci coraggio coinvolgendo anche e soprattutto tutti gli uomini che hanno imparato ed essere nostri fratelli. Con questo intento, con il desiderio che la nostra comunità sappia stringersi insieme per evolvere verso percorsi di crescita sani e condivisi, invito tutti a partecipare, il prossimo fine settimana, agli eventi che abbiamo organizzato in occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Per Giulia e per tutte le altre donne che purtroppo l’hanno preceduta in questo orrendo destino» (Patrizia Nicolini, Sindaco di Sacrofano) «Non com’eravamo ma come vorremmo essere: 1977, quando il femminismo entrò in tv è un libro con la storia della prima e unica trasmissione televisiva in un’epoca di tv in bianco e nero e a soli due canali. Si intitolava Si dice donna, andò in onda dal 1977 al 1981, creando un precedente mai ripetuto». Il Movimento delle donne e l’informazione nell’anno della rivolta. È il 1977 quando Massimo Fichera, socialista e direttore di Rai2, accetta la sfida di produrre un programma che, per la prima volta nella storia della televisione, affronti la cosiddetta “questione femminile”. Il femminismo, che in quegli anni riempie le piazze, approda così anche sul piccolo schermo, arrivando senza mediazioni delle case degli italiani. Nasce Si dice donna. Un gruppo di donne provenienti da esperienze differenti: giornaliste di «Noi donne» e di «Effe», storiche del femminismo, responsabili di associazioni, creatrici di riviste di filosofia delle donne, dirigenti dell’Udi (Unione Donne Italiane)) – l’associazione femminista di promozione politica, sociale e culturale fondata nel 1945, subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale - giovani donne che in seguito saranno chiamate a ricoprire importanti ruoli istituzionali, culturali e politici si riunisce attorno al progetto di Tilde Capomazza. Una reazione di donne unita dalla comune, attiva partecipazione al movimento femminista. Un’esperienza breve (nel 1981, dopo soli quattro
anni, il programma verrà cancellato dai palinsesti) e contrastata, ma nello stesso tempo un’avventura culturale e politica del tutto originale e di grande risonanza i cui esiti investirono milioni di telespettatori/telespettatrici. Una trasmissione televisiva in cui si proponeva un’immagine femminile articolata, ricca di testimonianze e di differenti modelli di riferimento. Quella delle donne è stata chiamata «la più importante rivoluzione del Novecento». E di tale rivoluzione Si dice donna è stata testimone e protagonista 1977, quando il femminismo entrò in TV di Loredana Cornero Lopez, pubblicato da Harpo (Roma) nella collana “Diario minimo”, è disponibile in libreria e online da maggio 2017. L’incontro Si dice donna si svolgerà presso la Biblioteca Comunale “Al Tempo Ritrovato” di Sacrofano in occasione della Giornata Mondiale contro la Violenza sulle Donne venerdì 24 novembre 2023. Gli altri due appuntamenti Sabato 25 novembre, ore 18.00: La cattiva educazione Reading dal libro Ferite a morte di Serena Dandini; Incontro con Enrica Tedeschi (antropologa), con il contributo scritto del Prof. Franco Ferrarotti(sociologo); modera Monica Maggi (giornalista) Domenica 26 novembre, ore 11.00: Proiezione del cortometraggio Testa o Croce di Francesco Greco (scritto e diretto da F. Greco; prodotto da LP Produzioni e Massimo Marcelli; con la collaborazione dell’associazione “La Voce dell’Essere”) Con il regista interverranno Lorella Porrini (giornalista), Massimo Marcelli (produttore), Simona Barone (psicologa), Monica Federico (presidente dell’associazione “La Voce dell’Essere”); e tutto il cast artistico e tecnico del corto
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"Festivalori": a Modena si discute di finanza etica
"Festivalori": a Modena si discute di finanza etica. Modena. “FestiValori” il festival dedicato alla finanza etica e all’economia sostenibile torna a Modena da venerdì 20 a domenica 22 ottobre con “Cose di questo mondo”: tre giorni di dibattiti, tavole rotonde, workshop, pranzi e mostre dedicati alla finanza etica, tra legalità, mobilità sostenibile e comunità energetiche, economia di pace e commercio equo e solidale, donne e finanza, educazione finanziaria. Giunto alla sua seconda edizione, il festival organizzato da Valori.it, testata giornalistica online di Fondazione Finanza Etica, propone un ricco calendario di appuntamenti per approfondire l’impatto della pandemia sul terzo settore, il ruolo dell’economia circolare, il ruolo delle istituzioni per contrastare le infiltrazioni del crimine organizzato nell’economia. Si parlerà anche di educazione finanziaria e parità di genere e di mobilità sostenibile e comunità energetiche. Spazio sarà dato alla “musica per il cambiamento” e alla cucina sostenibile con il progetto pilota “Valori in tavola”. Il programma di “Festivalori”, promosso insieme a Banca Etica, Etica Sgr, Fondazione di Modena, Bper Banca, Coopfond, Assimoco e Cpl Concordia, con il patrocinio del Comune di Modena, è stato illustrato questa mattina, giovedì 12 ottobre, con una conferenza stampa a Palazzo comunale alla quale hanno partecipato il sindaco Gian Carlo Muzzarelli; Valerio Zanni di Fondazione di Modena; Simone Siliani, direttore di Fondazione Finanza etica; Claudia Vago, direttrice del Festival. Il sindaco Muzzarelli, ricordando un legame con la città che si consolida, ha sottolineato che “parlare di finanza etica significa parlare di equità, giustizia sociale e internazionale, di utilizzo corretto delle risorse a disposizione delle istituzioni bancarie, e per loro tramite dei cittadini. Poter accedere al denaro con condizioni eque è infatti uno degli strumenti con cui si può combattere le disuguaglianze economiche e assicurare più opportunità e condizioni di parità tra i cittadini. Modena – ha aggiunto - Modena viene da un mese di festival che hanno trattato temi diversi, dalla filosofia al giornalismo all’innovazione, ma che hanno in comune il fatto di muovere idee e promuovere dibattiti, confronti e riflessioni. Questa è una caratteristica fondamentale della nostra città, e Festivalori proseguirà la tradizione garantendo altri giorni di partecipazione, confronto democratico, riflessione collettiva”. Il festival arriva in un momento politico e sociale complesso; sulla necessità di una riflessione ampia sul tempo che stiamo vivendo e sulle intersezioni tra finanza e attualità, è intervenuto Simone Siliani, direttore di Fondazione Finanza Etica: “Con la seconda edizione di FestiValori siamo chiamati a consolidare il successo dello scorso anno, offrendo al territorio modenese che ci ha accolti, alle realtà economiche e sociali del suo territorio e al pubblico, uno spaccato articolato della concreta alternativa finanziaria costituita dalla finanza etica. Abbiamo affrontato questa sfida consapevoli del tempo difficile in cui viviamo (guerre ai confini d’Europa, crisi finanziaria, difficoltà economica delle famiglie), ma anche del contributo specifico che la finanza può dare a un mondo più giusto e sostenibile”. Per Fondazione di Modena, Valerio Zanni, ha evidenziato il valore divulgativo del festival: “La domanda di una finanza che tenga conto non solo del rendimento economico degli investimenti, ma anche dell'impatto sociale e ambientale delle decisioni finanziarie, è in continua crescita e seguita a evolversi per rispondere alle crescenti preoccupazioni riguardo alle pressanti questioni sociali e ambientali. Eventi divulgativi sulla finanza etica come questo sono uno strumento prezioso per informare, coinvolgere e promuovere la consapevolezza nella comunità. Contribuiscono a creare una società non solo finanziariamente più responsabile e sostenibile”. “Vogliamo offrire al pubblico molte e diverse occasioni di riflessione (dalle basi per un’economia della pace al finanziamento dei progetti sui beni confiscati alle mafie, dai possibili diversi modelli economici all’educazione finanziaria come fattore di inclusione) - ha detto Claudia Vago, direttrice di FestiValori - Ma non vogliamo correre il rischio dell’autoreferenzialità. La finanza etica si confronta e dialoga con attori finanziari più tradizionali su temi importanti come il ruolo delle donne nella finanza e il ruolo sociale delle banche: sappiamo infatti che c’è la finanza dietro ogni scelta individuale o collettiva che facciamo (dalle nostre scelte alimentari a quelle di mobilità) e che a valle di ogni scelta finanziaria ci sono effetti sociali e ambientali che devono essere considerati, al pari degli effetti economici. È questa la caratteristica fondamentale della finanza etica, alla quale restiamo felicemente vincolati”.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Presto Google cesserà il proprio supporto ai cookie di terze parti,
Google segue Apple, Mozilla e Microsoft verso una maggiore protezione della privacy a beneficio dell’utente. Questo cambiamento, annunciato per il primo semestre del 2024, potrebbe ribaltare il modo in cui le aziende pensano ed elaborano i dati dei propri clienti. Basti pensare che, oggi, Chrome supporta più del 61% ditutto il traffico web in Europa (59% in Nord America, 68% in Italia). Come gestire quindi una nuova modalità di profilazione degli utenti in un ambiente destinato a diventare “cookieless”? Il tema è affrontato nello studio BCG “It’s time to start your AI-led Data Driven Transformation”, che invoca una trasformazione necessaria e urgente per le aziende orientate ad una profonda conoscenza dei consumatori di riferimento. Una personalizzazione efficace - si osserva - avviene attualmente attraverso un monitoraggio costante del consumatore, da un lato attraverso i cookie per i siti web e dall’altro attraverso il mobile advertising identifier (MAID), l’identificativo univoco del dispositivo. La crescente attenzione verso la privacy degli utenti è tuttavia un tema sempre più importante per organizzazioni e istituzioni, e le limitazioni nel tracciamento dell’utente comporteranno una minore visibilità delle preferenze del cliente. Il nuovo orientamento determinerà quindi una minore capacità di personalizzare esperienza, comunicazione e prodotto, con una perdita stimata, per le imprese che hanno finora utilizzato tali strumenti, compresa tra l’1 e il 5% del fatturato, a parità di investimento. “Il processo di profonda digitalizzazione che ha investito le aziende negli ultimi vent’anni, ha permesso loro una maggiore visibilità sulle scelte e i bisogni dei consumatori", spiega Paola Scarpa, Managing Director and Partner di BCG, autrice del paper. “I consumatori, dal canto loro, hanno iniziato ad apprezzare sempre di più le esperienze personalizzate, a ricercarle e anche pretenderle al fine di ricevere comunicazioni, servizi, offerte sempre più adattati alle proprie esigenze.”Secondo una ricerca globale di BCG condotta su mercati e consumatori, il 66% di questi ultimi ritiene che la personalizzazione contribuisca alla fruizione di un’esperienza positiva durante l’interazione con i brand, con differenti livelli di recettività dovuti all’età, educazione digitale e reddito. Eppure, nonostante il 64% dei consumatori si dica favorevole all’utilizzo dei propri dati da parte delle aziende, il 68% risulta infastidito dalla loro vendita. La cosiddetta “privacy di default”, quindi, è in grado di proteggere le aziende dai rischi reputazionali e finanziari associati alle violazioni dei dati e all'uso non conforme. Si tratta di una scelta che può creare fiducia negli stakeholder, specialmente in un quadro normativo in continua evoluzione, nonché portare all’interno delle aziende la gestione dell’intera filiera del dato che, secondo BCG, permetterà di recuperare dal 10 al 30% di efficienza degli investimenti. “Le aziende, anche se appartenenti a settori differenti, sembrano ancora impreparate ai cambiamenti che stanno per arrivare, data la scarsa maturità tecnologica e i rischi connessi alla gestione del dato. Essere consci del divario tra le attuali capacità e le ambizioni, però, è un potente strumento per identificare le priorità e avviare un percorso di trasformazione", sottolinea ancora Scarpa. “Il che non comporta esclusivamente lo sviluppo di un lavoro di raccolta e analisi dati. Sarà fondamentale la nascita di partnership tra i vari attori della filiera, ad esempio, per sfruttare le potenzialità del dato al massimo, bilanciando costi e valore generato.” Per le aziende pronte a internalizzare la capacità di gestione dei dati di terze parti, è quindi giunto il tempo di una trasformazione “Data-driven”, che richieda la capacità di sfruttare il dato al massimo del suo potenziale. Sarà quindi importante definire la direzione in cui l’azienda si sta muovendo per concentrare tutti gli sforzi verso un unico obiettivo: cambiare la cultura di gestione del dato chiarendo come tutti possano contribuire a tal fine, promuovere il cambiamento attraverso una governance adeguata per riequilibrare le priorità e garantire che la trasformazione interna avvenga senza intoppi. Infine, utilizzare l’AI per potenziare gli sforzi tramite l’automazione e le pratiche di test & learn. Ciò si tradurrà nell’applicazione dei dati negli esercizi di ottimizzazione e nella loro raccolta in ogni fase, per costruire basi proprietarie sulle quali adattare le capacità dell’AI generativa e acquisire maggiore competitività. Read the full article
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Mansplaining esempi di disparità uomo donna
Il mansplaining è uno degli esempi di discriminazione che l'uomo perpetra ai danni della donna. Si manifesta come atteggiamento di superiorità e sufficienza che porta gli uomini a minimizzare le esperienze delle donne e a correggere i loro pensieri. Cos'è il mansplaining? Il termine "mansplaining" è una combinazione delle parole "man" (uomo) e "explaining" (spiegare). Si riferisce a una situazione in cui un uomo spiega qualcosa a una donna in modo condiscendente, presumendo che lei abbia meno conoscenza o comprensione del soggetto in questione, semplicemente a causa del suo genere. Il mansplaining può manifestarsi in diverse situazioni, come nel contesto lavorativo, in ambito accademico o anche nella vita quotidiana. Spesso il fenomeno viene percepito come un atteggiamento paternalistico e sessista, poiché presuppone che le donne abbiano bisogno di essere istruite o corrette da uomini, anche quando queste donne possono essere esperte o avere una conoscenza più approfondita del tema. È importante notare che non tutte le spiegazioni di un uomo a una donna sono considerate mansplaining. L'elemento chiave del mansplaining è l'atteggiamento condiscendente e la presunzione di superiorità dell'uomo rispetto alla donna. Esempi di mansplaining Il mansplaining può manifestarsi in diverse forme e situazioni: - Interruzione: un uomo interrompe una donna mentre sta parlando o cercando di esprimere un'idea, e poi le spiega il concetto in modo condiscendente come se lei non lo capisse. - Sottovalutazione delle conoscenze: Un uomo presume che una donna non abbia una conoscenza approfondita su un determinato argomento e quindi le spiega le cose elementari o ovvie. - Correzione non richiesta: un uomo corregge o contraddice una donna su un argomento senza che lei abbia chiesto alcuna opinione o feedback. - Dimostrazione di superiorità: un uomo cerca di dimostrare la propria superiorità intellettuale o competenza in un determinato campo, ignorando le conoscenze o le esperienze della donna coinvolta. - Ignorare o minimizzare l'esperienza femminile: un uomo nega o minimizzare le esperienze o le prospettive delle donne su questioni che riguardano il loro genere, dando priorità alle proprie opinioni. - Questi sono solo alcuni esempi, ma è importante ricordare che il mansplaining può assumere forme diverse a seconda del contesto e delle persone coinvolte. La chiave è l'atteggiamento condiscendente e la presunzione di superiorità dell'uomo nei confronti della donna. Come contrastare il mansplaining? Come contrastare il mansplaining? Ecco alcune strategie utili: - Consapevolezza: Sii consapevole del fenomeno del mansplaining e delle sue dinamiche. Riconoscere quando si verifica può aiutarti a reagire in modo appropriato. - Comunicazione assertiva: Se ti trovi vittima di mansplaining, fai sentire la tua voce. Esprimi chiaramente il tuo punto di vista e fai notare che sei competente nell'argomento in discussione. Riafferma la tua autorità e richiedi rispetto. - Chiedi supporto ad alleati: Se ti senti a disagio nel contrastare il mansplaining da sola, cerca il supporto di alleati, uomini o donne, che possono intervenire e sostenerti. Insieme, potrete far valere le vostre opinioni e porre fine al comportamento condiscendente. - Educazione e sensibilizzazione: Promuovi la consapevolezza sul mansplaining attraverso discussioni, articoli, blog o eventi. L'educazione e la sensibilizzazione possono contribuire a ridurre l'incidenza di tali comportamenti nel lungo termine. - Ascolto attivo e rispetto reciproco: Sviluppa un'atmosfera di ascolto attivo e rispetto reciproco nelle conversazioni. Sia gli uomini che le donne dovrebbero prestare attenzione alle opinioni e alle esperienze degli altri senza interrompere o presumere di sapere meglio. - Incentivare la parità di genere: Promuovi una cultura che valorizzi e rispetti le competenze e le conoscenze delle donne. Sostieni l'uguaglianza di genere e l'inclusione nelle diverse sfere della vita, sia sul posto di lavoro che nella vita quotidiana. - Auto-riflessione: Gli uomini possono fare un passo indietro e riflettere sul proprio comportamento e privilegio. Chiediti se stai effettivamente ascoltando le donne e rispettando le loro esperienze o se stai cadendo nel mansplaining. - Ricorda che contrastare il mansplaining richiede un impegno collettivo per creare una società più equa e inclusiva. Ognuno di noi può fare la differenza attraverso azioni consapevoli e rispettose. In copertina foto di sonywisnup da Pixabay Read the full article
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competent women, women who take no shit, women covered in dirt, unshaved women, women with no makeup, women with full plates of food, women with pratical and comfortable clothes, women who laugh unabashedly and ugly
#le donne della mia vita (e della mia famiglia) sono molto legate all'aspetto fisico e alla presentabilità~#e stare in contesti in cui c'è una quasi parità di ruoli e ambienti è..strano#a me piace curarmi e tenermi dietro ma é ovviamente una cosa che é nata dalla mia educazione. e il concetto di una femminilità più..#immediata? diretta? mi ha sempre affascinato in quanto cosa lontana da me#comunque tutto questo per dire sì rega i vestiti da lavoro da cantiere sono così 🥵 non fa ridere amo le donne porco d#a
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"In Trappola": In Edicola il Nuovo Libro sulle Trappole del Linguaggio Sessista nelle Nuove Generazioni
Il libro di Chiara Di Cristofaro, Simona Rossitto e Livia Zancaner esplora come gli stereotipi sessisti influenzano il linguaggio dei giovani, con la prefazione di Anna Foglietta e le illustrazioni di Anarkikka
Il libro di Chiara Di Cristofaro, Simona Rossitto e Livia Zancaner esplora come gli stereotipi sessisti influenzano il linguaggio dei giovani, con la prefazione di Anna Foglietta e le illustrazioni di Anarkikka Milano, 14 novembre 2024 – È disponibile da oggi in edicola e libreria, in allegato al Sole 24 Ore, il nuovo libro In Trappola. Giovani, parole e linguaggio. Come liberarsi da stereotipi…
#Alessandria today#Alley Oop#Anarkikka#Anna Foglietta#attivismo sociale#BookCity Milano#Chiara Di Cristofaro#comunicazione non discriminatoria#consapevolezza sociale#cultura giovanile#diversity Sole 24 Ore#editoria italiana#educazione alla parità#educazione giovanile#educazione media#educazione sessista#Educazione sessuale#Emancipazione femminile#empowerment giovani#femminismo e giovani#formazione alla parità#Generazione z#giovani e sessismo#Google News#In Trappola libro#inclusione scolastica#Inclusione sociale#italianewsmedia.com#linguaggio inclusivo#linguaggio sessista
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I piccoli del corso di Taekwondo al loro primo esame. Congratulazioni alle nostre mezze cinture gialle. E un grazie speciale al nostro educatore sportivo, il gran master VII dan Francesco Cirillo.
#ilgazeborosaonlus#noviolenzasulledonne#torre del greco#stop violence#nobullying#2019#sostegno minori in difficoltà#tutela dei minori#educazione alla parità di genere#educazione sport
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Quando (a Mario Monti) viene chiesto di analizzare i dati (de)l 55esimo rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese nel 2021, Monti torna ad essere particolarmente inquieto. Nello schema sono illustrate le opinioni degli italiani in merito alla questione Covid-19: per il 31,4% il vaccino è un farmaco sperimentale e i vaccinati sono ‘cavie’, per il 21,7% la scienza fa più danni che benefici, per il 10,9% i vaccini sono inutili e infine per il 5,9% il covid non esiste. (Mario) non la prende bene: "Qui c'è un problema di fondo, che è lo scarso livello di educazione e di preparazione del popolo italiano", affonda infatti l'ex premier. "Questo, purtroppo viene fuori in modo sistematico ogni volta che vengono pubblicati i dati. Questo ha un riflesso sulla capacità del popolo italiano. Ovviamente ognuno ha il sacrosanto diritto di voto, ma la capacità di esprimere un orientamento politico è molto bassa". Col dito puntato contro l'istruzione, Monti parla esplicitamente di una "lacuna grave e storica dell'opinione pubblica italiana".
https://www.ilgiornale.it/news/politica/parole-infelici-monti-rettifica-poi-affonda-scarso-livello-1993976.html
Un paio di considerazioni sul pensiero debole del povero Mario.
La prima, beati coloro che credono alle rilevazioni del Censis, ennesimo carrozzone buro central statalista: quelli cui si dice “beato te, che ... etc.etc.”.
La seconda: il vero problema italico NON è l’ignoranza della gente medio bassa. Ti posso assicurare, avendo girato più di te (pardon, avendo girato in modo più consapevole del tuo), che all’estero a parità di livello economico la gente è mediamente UGUALMENTE O ANCHE PIU’ IGNORANTE dell’ italico medio. In più so’ barbari: del tutto insensibili al bello e al buono.
Il vero problema italico è che tutto va in proporzione, Mario: IL VERO PROBLEMA E’ IL GRETTO PROVINCIALISMO MEDIO DELLA NOSTRA CLASSE COSIDDETTA COLTA, DIRIGENTE, INTELLETTUALE. LI’, NELLA FASCIA CULTURALE ALTA, QUASI OVUNQUE ALL’ESTERO CI DANNO ANNI LUCE DI DISTACCO. IL VERO PROBLEMA DELL’ITALI’ SEI TU E QUELLI COME TE. Salvo rare eccezioni.
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Hedwig Dohm
Hedwig Dohm, scrittrice femminista tedesca è stata la prima intellettuale a parlare di gender.
Tra le prime, nel 1873, a chiedere il diritto di voto per le donne, fondando e partecipando a numerose associazioni, per la rivendicazione del suffragio femminile.
Nata col nome di Marianne Adelaide Hedwig Schlesinger a Berlino, il 20 settembre 1831, in una famiglia di origini ebraiche era la terza di diciotto figlie. Il padre, Gustav Adolph Gotthold Schlesinger, produttore di tabacco, non poté però sposare la madre Wilhelmine Henriette Jülich, in quanto figlia illegittima, fino al 1838. L’uomo si convertì al protestantesimo nel 1817 e nel 1851 mutò il proprio cognome in Schleh. A lei e alle sue sorelle ragazze venne consentita un’istruzione estremamente limitata, a differenza dei fratelli che poterono continuare gli studi. Ma Hedwig, spirito libero e rivoluzionario, leggeva in segreto tutto quello che le capitava tra le mani, formandosi da autodidatta.
Data la sua infanzia, le sue rivendicazioni si concentrarono prevalentemente sulla parità di istruzione per le donne e sui loro diritti politici, come quello di voto.
Nel 1853 sposò Ernst Dohm, redattore della rivista satirica Kladderadatsch con cui ebbe cinque figli e figlie che ricevettero tutte una solida educazione e formazione professionale. La loro casa divenne un prestigioso salotto attraversato dai più importanti personaggi intellettuali berlinesi dell’epoca.
Nel 1867, dopo un viaggio in Spagna con la famiglia, divulgò la sua prima opera dal titolo La letteratura nazionale spagnola nel suo sviluppo storico.
Convinta che non era necessario per una donna finire nella gabbia delle aspettative sociali, l’unico elemento che garantiva la parità di ruoli tra uomo e donna era l’indipendenza economica.
Su questi temi tra il 1872 e il 1879 ha scritto quattro saggi femministi talmente rivoluzionari da farle valere una fama immediata ma anche feroci critiche, non solo dagli ambienti conservatori, ma anche dalle file del movimento femminile dell’epoca.
Le sue teorie apparivano troppo radicali, perché concentrate sulla domanda di una migliore educazione e assistenza per le donne in maggiore fragilità sociale, come madri single o affette da handicap o ritardi.
Nell’opera “L’emancipazione scientifica delle donne”, del 1874, parla di pari dignità umana per le donne criticando e svilendo le teorie “medico-scientifiche” dell’epoca sulla naturale inferiorità della donna.
Sulla fine degli anni Settanta dell’Ottocento ha pubblicato parecchie commedie, messe in scena con grande successo nel Teatro Reale di Berlino.
Nel 1876 ha ristampato saggi e articoli socio-politici in un volume dal titolo “La natura delle donne e del diritto. La questione femminile. Due trattati di proprietà e il suffragio femminile”.
Dopo la morte del marito, avvenuta nel 1883, si è dedicata a scrivere romanzi e racconti brevi.
Quando l’ala radicale del movimento femminista si rafforzò, tornò a pubblicare riflessioni politiche in giornali e riviste e non ha smesso fino alla fine dei suoi giorni.
Tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento è stata una figura di primo piano nelle associazioni e nella vita sociale e culturale tedesca.
È stata cofondatrice di diverse organizzazioni come l’Associazione Donne della Riforma (successivamente Associazione dell’Educazione Femminile e degli Studi delle Donne), che promuoveva la riforma del sistema educativo.
Nel 1889 si unì alla Società del Bene Femminile e all’età di 74 anni prese parte alla riunione inaugurale dell’Associazione per la maternità e la riforma sessuale di Helene Stöckers.
Nel 1904 è diventata Presidente onoraria della Fondazione della DVF – Associazione tedesca per il suffragio femminile che si batteva, tra le altre cose, per il diritto al congedo di maternità.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale è stata tra i pochi e poche intellettuali a prendere una posizione netta contro la guerra, definendosi pacifista intransigente e supportando la sua posizione con articoli che scriveva, per lo più, sulla rivista L’Azione e nel suo il saggio L’abuso della Morte del 1915.
Ha vissuto abbastanza per vedere riconosciuto il diritto di voto alle donne in Germania nel 1918, è morta poco dopo, il 1° giugno 1919 a Berlino, aveva 88 anni.
Nel 2007 la Federazione dei Giornalisti le ha dedicato un memoriale.
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Questo uomo no, #113 - Lo stronzista
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C’è una categoria di uomini molto particolari che non hanno parole per le loro paure, per le loro ignoranze, per le loro incapacità - di ascoltare, di sostenere, di imparare, insomma di vivere - quindi individuano un nemico sociale e si fanno prestare le parole, perché avendo anche paura di sbagliare, evitano di formulare attacchi e di pensare in proprio. Ricalcando le orme dei compagni/camerati che loro ritengono più capaci, ne viene fuori un tipo di comportamento che definisco da stronzista: uno che non ne ha abbastanza per sfornare le sue stronzate, e allora ripropone quelle che trova altrove - non mancano depositi ben forniti di stronzate maschiliste, non è un problema per nessuno trovarle. Il nemico sociale è presto trovato: una donna che per la sua competenza, per la sua esperienza, per la sua capacità di comunicare, fa molta paura. A lei si risponde - lo fanno in tanti, a tante - con un messaggio privato, nascosto, vile. Ne prendo in esame uno dei tanti, arrivato a una delle tante. Le stronzate sono sempre le stesse, la fonte è sempre quella. In tondo il messaggio dello stronzista, in corsivo il mio commento.
8 BUONI MOTIVI PER ESSERE ANTIFEMMINISTI
Il titolo è tutto un programma: non hai qualcosa per qualcuno, hai qualcosa contro qualcuno, un anti-messaggio. Se i femminismi fossero una cosa tanto facile da smentire, tanto falsa, non servirebbero antifemminismi: la loro falsità, la loro inutilità dopo tanti anni si dimostrerebbe da sola. Se dei tizi hanno bisogno di essere antifemministi, probabilmente non gli basta essere quello che sono, di qualsiasi cosa si tratti.
1) Il rispetto per le persone -uomo o donna che siano- lo insegna l'educazione familiare e non un movimento ideologico.
Quella stessa educazione familiare che fa morire le donne soprattutto in casa, per mano dei mariti, compagni, ex? Quella stessa educazione familiare che fa crescere bambini che non siano femminucce e bambine che non siano maschiacci? Quella stessa educazione familiare che pensa che esista la “famiglia naturale”? Questa stronzata giustamente è la numero 1, perché è doppia: i femminismi sono l’esatto contrario di movimenti ideologici perché nascono da pratiche di libertà. Le parole che non si conoscono non vanno usate, e ancora meno prese a prestito pensando di sapere cosa significano. Questo uomo no.
2) Bisogna ribadire che esiste una violenza trasversale ai generi e non "di genere"
Questa stronzata è tipica di chi vuole evitare il problema di mettersi in discussione, perché non ne ha il coraggio. Invece di accettare le differenze necessarie a comprendere un fenomeno complesso come la violenza di genere, s’immagina che la violenza che colpisce corpi differenti, fatta da corpi differenti, in situazioni sociali e culturali differenti, sia sempre la stessa violenza. Così si potrebbero sostenere altre stronzate, come che le donne sono violente quanto gli uomini. E’ la pia illusione in cui ancora si culla tanta ignoranza, o tanta malafede - o entrambe. Questo uomo no.
3) Il femminismo porta alla colpevolizzazione dell'uomo in quanto tale, nonostante finga di voler "tutelare anche gli uomini"
Questa solenne stronzata si basa su una ignoranza - o su una malafede - tipica del più forte pregiudizio contro i femminismi: il pensare che il loro obiettivo polemico siano gli uomini, e non il maschile. Prendersela con tutti gli esseri umani XY sarebbe una cretinata politica talmente ridicola da non durare neanche una settimana; il fatto invece che i femminismi sappiano mettere in discussione da secoli, in tutte le epoche, territori ed economie, ciò che culturalmente costruisce l’identità maschile, li fa essere da sempre molto efficaci e inarrestabili. E per questo vengono combattuti a furia di stronzate. Questo uomo no.
4) L'uomo e la donna adulti sono in grado di tutelarsi autonomamente, senza bisogno delle femministe e della loro volontà di porsi come paladine non richieste.
Non si capisce il bisogno di questa stronzata di rinforzo alla stronzata numero 1, se non che si è talmente deboli nei propri argomenti che si ha bisogno di ripeterli. L’ultima cosa che vuole essere una femminista è una figura che si erge sopra le altre togliendo loro la responsabilità del conflitto, lo sa chiunque anche solo da lontano abbia sentito qualcosa di realmente femminista; e l’ultima cosa che vuole il patriarcato sono adulti in grado di tutelarsi autonomamente. Questo uomo no.
5) L'unico vero conflitto è sempre quello sociale (ricchi-poveri, garantiti-non garantiti, elite-popolo ecc) e non quello immaginario tra sessi.
Qui la stronzata sta nell’ultima parola, apparentemente la più certa per chiunque e invece la chiave del miserevole trucco stronzista. I sessi non nascono certo in conflitto; lo imparano quando diventano, socialmente, generi, producendo il primo e probabilmente il solo reale conflitto sociale, dal quale - come dimostrano ormai innumerevoli studi - derivano tutti gli altri. Di immaginario c’è solo il sentore di marxismo di questa stronzata - anzi, di MRAxismo, come suggeritomi da una divertita amica femminista. Questo uomo no.
6) La differenze biologiche, attitudinali e caratteriali tra uomini e donne esistono. Volerle negare/superare/reprimere non porta a nessuna parità ma soltanto ad un'aberrante omologazione che sterilizza il rapporto tra i sessi.
Questa fantastica stronzatona, di sapore fascioclericofusarico, deve la sua immensità proprio alla sfacciataggine con la quale dice l’esatto contrario praticamente di tutti i femminismi mai apparsi sul pianeta: oh, non ce n’è uno che neghi le differenze biologiche, attitudinali e caratteriali tra uomini e donne. Ma figuriamoci se uno di questi campioni si va a informare in quei luoghi misteriosi, sinistri e notoriamente gestiti da femministe quali sono le biblioteche. Tra l’altro, lo stronzista in questo caso non s’è accorto che o crede in questa numero 6 o crede nella stronzata numero 2: come potrebbe esserci una violenza trasversale ai generi uguale per chiunque in mezzo a tutte quelle differenze? Ma figuriamoci se uno stronzista si lascia impressionare dal principio di non contraddizione. Questo uomo no.
7) Il femminismo crea un clima di paranoia generalizzata che risulta negativo sia per gli uomini che per le donne.
Magari, mio caro stronzista: significherebbe che è largamente diffuso tra tutti e tutte, tanto da generare quel clima. Quella paranoia generalizzata che senti tanto in giro si chiama patriarcato, e la tua ansia di provare a dimostrare che la cura è invece la malattia testimonia di quanto quella reale malattia ormai si sia impossessata di tutto te stesso. Stai pure certo che se i femminismi avessero il potere di creare un clima generalizzato, non sarebbe paranoia, ma tutto il contrario. Invece, come vedi, fioccano le stronzate. Questo uomo no.
8) L'italiano è una lingua splendida mentre gli asterischi fanno cagare.
L’ultima stronzata riportata non è neanche un’argomentazione, ma una semplice opinione da stronzista ignorante che dimostra quanto l’autore e il ricopiatore sappiano poco di ciò di cui parlano. Onestamente, ne avevamo già avuto il sospetto. Questo uomo no.
Le stronzate di questi MRA, più o meno consapevoli patetici tentativi di difendersi da una minaccia inventata dal vero male da combattere, girano almeno dagli anni ‘70, e in tutti questi decenni non hanno perso nulla della loro marronità. Il fatto che tanti (e tante!) le replichino con disinvoltura, come fossero argomenti sensati, non fa che aumentarne la comicità. Questo uomo no.
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Ddl Zan, ovvero il lupo travestito da agnello
Tra garanzie apparenti e pericoli reali
Pietro Dubolino, presidente di sezione emerito della Corte di Cassazione, interviene sul ddl Zan, riprendendo in parte il contenuto di due suoi precedenti articoli comparsi sul quotidiano La Verità del 25 luglio e dell’11 novembre 2020, per farne emergere la carica liberticida, in ossequio alla massima del Digesto giustinianeo secondo cui “conoscere le leggi non è tenerne a mente le parole, ma lo spirito e la forza”.
1. Scire leges non est verba earum tenere, sed vim ac potestatem. A quest’antico brocardo latino, presente nel Digesto giustinianeo ed attribuito al giureconsulto Celso, ci si dovrebbe ispirare non solo quando si tratti di interpretare ed applicare leggi vigenti ma anche quando occorra valutare in anticipo quale possa essere la sfera di effettiva operatività e, più in generale, l’impatto sociale di una legge di cui si proponga l’introduzione nell’ordinamento, come, al presente, si verifica con il disegno di legge Zan contro la c.d. “omotransfobia”.
Stando soltanto al testuale tenore di tale disegno, quale approvato dalla Camera dei deputati ed attualmente all’esame del Senato, potrebbe riconoscersi una qualche validità all’assunto dei suoi promotori e sostenitori secondo il quale esso non inciderebbe sulla libertà di espressione di quanti non condividessero le loro visioni in materia di sessualità e famiglia, ma comporterebbe unicamente l’estensione del già esistente divieto di “atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi” all’ipotesi che gli stessi atti siano “fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”. E per “atti di discriminazione” debbono intendersi, secondo la definizione datane dalla Convenzione di New York del 7 marzo 1966, recepita in Italia con la legge n. 654 del 1975, quelli costituiti da “ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose e che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento , il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica”.
Deve trattarsi, quindi, in altri termini e più sinteticamente, di un “comportamento” materiale che non solo sia mosso da determinate motivazioni ma abbia anche, come risultato pratico o almeno come riconoscibile finalità, la effettiva compromissione o la concreta possibilità di effettiva compromissione, in danno di taluni soggetti, delle condizioni di parità con gli altri nel godimento o nell’esercizio di diritti spettanti, per definizione, a tutti indistintamente. Di qui la deduzione che semplici espressioni verbali di dissenso, anche radicale, rispetto alla riconoscibilità, ad esempio, del diritto di omosessuali all’adozione di minori o alla pratica della c.d. “maternità surrogata” non potrebbero essere penalmente perseguite, non avendo esse “lo scopo o l’effetto” di distruggere o compromettere il godimento o l’esercizio di “diritti umani” o “libertà fondamentali” dei quali ciascun consociato debba ritenersi automaticamente ed incondizionatamente titolare. E ciò tanto più in quanto l’art. 4 dello stesso disegno di legge stabilisce espressamente che : “Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”.
2. Ma una tale deduzione (a parte quanto si dirà più oltre a proposito del citato art. 4), ancorché plausibile sotto il profilo della mera interpretazione letterale del testo in questione, non potrebbe in alcun modo dirsi esaustiva delle pratiche conseguenze che esso avrebbe, una volta entrato in vigore, sulle scelte comportamentali della generalità dei consociati. Questi infatti, nella stragrande maggioranza, non sono, ovviamente, esperti di diritto e si regolano, quindi, secondo cognizioni generiche ed approssimative di quanto sia da ritenersi consentito o vietato dalla legge, all’insegna, quasi sempre, del principio per cui, nel dubbio, è meglio astenersi da condotte che, per quanto si sa o se ne sente dire, potrebbero dar luogo a denunce, processi o, più genericamente, a conseguenze giudiziarie o a fastidi di qualsivoglia natura.
Ed è appunto su questo meccanismo che i fautori del disegno di legge Zan fanno, in realtà, senza confessarlo, il maggiore affidamento ai fini della realizzazione di quello che, per essi, è il risultato più importante, e cioè che la materia della sessualità e della famiglia diventi, nella comune percezione, una sorta di terreno minato nel quale la più elementare prudenza consigli quindi di non avventurarsi, se non osservando scrupolosamente le precauzioni dettate dagli stessi soggetti dai quali le mine sono state collocate.
3. Si tratterebbe, del resto, dello stesso risultato al quale si è già pervenuti sotto la vigenza dell’attuale art. 604 bis del codice penale (riproduttivo dell’art. 3 della legge n. 654/1975), dal momento che, nel timore di essere anche solo denunciati per vere o presunte violazioni dei divieti da esso previsti, o, comunque, di subire veementi e rabbiosi attacchi mediatici (e, talvolta, anche fisici), non si osa più parlare o scrivere pubblicamente di rapporti tra razze (la parola stessa è, anzi, secondo alcuni, da considerare bandita), etnie, nazionalità o credenze religiose se non in termini rigorosamente in linea con i dogmi del “politicamente corretto”; vale a dire attenendosi ai luoghi comuni secondo cui la storia, le tradizioni, i costumi, la religione dell’Italia e dell’intera Europa non potrebbero mai essere oggetto di legittimo orgoglio e di adeguata difesa, ma dovrebbero essere trattati in chiave di perpetua autocolpevolizzazione nel raffronto con quelli di altre parti del mondo e, in particolare, con quelli del mondo di tradizione islamica.
Basti per tutti, a dimostrarlo, il caso di Oriana Fallaci, a suo tempo sottoposta a procedimento penale (poi conclusosi senza pronuncia di merito a causa della sua morte), solo per aver pubblicamente sostenuto (poco importa se a torto o a ragione) che la religione islamica, soprattutto per la considerazione che in essa si ha della donna, era incompatibile con i principii della nostra civiltà, senza mai affermare o lasciar intendere, peraltro, che i musulmani dovessero per questo subire pregiudizio alcuno nel godimento o nell’esercizio dei diritti a tutti riconosciuti dalla legge.
4. Né a diversa conclusione potrebbe pervenirsi facendo affidamento sul già ricordato art. 4 del disegno di legge in questione. In base ad esso, infatti, come si è visto, “la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte” sarebbero salvaguardate solo a condizione che non diano luogo neppure al “concreto pericolo” (e, a maggior ragione, alla effettiva commissione) di atti che, pur senza essere “violenti”, siano tuttavia almeno “discriminatori”. In pratica è come dire che l’esercizio di determinati diritti non potrebbe comportare responsabilità per discriminazione a condizione, però, che non costituisse… ”discriminazione”. Le due proposizioni si annullano a vicenda e rendono, quindi, del tutto inoperante l’apparente garanzia contenuta nella previsione in questione.
5. Sotto questo profilo, l’attuale disegno di legge rappresenta, anzi, addirittura un peggioramento rispetto all’originaria proposta a firma Scalfarotto ed altri, nel testo approvato dalla Camera nel corso della precedente legislatura e, precisamente, il 19 settembre 2013. In esso, infatti, all’art. 1, comma 1, lett. c), si stabiliva che: “Ai sensi della presente legge, non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, purché non istighino all’odio o alla violenza, né le condotte conformi al diritto vigente ovvero anche se assunte all’interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione ovvero di religione o di culto, relative all’attuazione dei princìpi e dei valori di rilevanza costituzionale che connotano tali organizzazioni”.
Appare evidente, nel raffronto tra questo testo e quello dell’art. 4 del progetto attualmente all’esame del Senato, che il primo, a differenza del secondo, pur lasciando aperti molti ed inquietanti interrogativi circa l’individuazione, in concreto, delle condizioni previste per la sua operatività, garantiva però che, una volta riscontrata comunque l’esistenza di tali condizioni, sarebbe stata automaticamente esclusa la configurabilità di una “discriminazione” o di una “istigazione alla discriminazione” e, quindi, anche la possibilità che si fosse in presenza di una condotta costituente reato.
Tanto per fare un esempio, stando alla formulazione del testo approvato nel 2013, il direttore di una scuola privata avrebbe potuto nutrire il ragionevole convincimento di non commettere reato nel rifiutare l’assunzione, come insegnante, di un soggetto dichiaratamente ed ostentatamente dedito a pratiche omosessuali, ove avesse ritenuto che una tale scelta di vita fosse in contrasto con gli indirizzi educativi della stessa scuola, quali individuati nell’ambito del diritto che l’art. 33, comma terzo, della Costituzione, attribuisce ad enti e privati di “istituire scuole e istituti di educazione senza oneri per lo Stato”. Lo stesso non potrebbe dirsi, però, sulla base di quanto ora prevede l’art. 4 del testo licenziato dalla Camera, dal momento che quell’eventuale rifiuto di assunzione, siccome effettivamente costituente, sotto un profilo meramente oggettivo, una “discriminazione”, potrebbe comunque dar luogo, per ciò solo, a responsabilità penale.
6. Rimane solo da dire, a questo punto, che quella che si è in precedenza indicata come la presumibile, principale finalità perseguita dai promotori del disegno di legge Zan rimarrebbe in larga parte frustrata ove, al posto di esso, venisse approvato il disegno di legge alternativo che, stando alle ultime notizie di cronaca, è stato o starebbe per essere presentato da alcuni senatori dei gruppi di centro destra e la cui caratteristica essenziale sarebbe quella di prevedere soltanto come aggravante per i comuni reati di violenza il fatto che questi siano motivati, tra l’altro, dagli orientamenti sessuali delle vittime. Ciò rappresenterebbe senz’altro un vantaggio, a fronte dei segnalati pericoli per la effettiva libertà di manifestazione del pensiero che di fatto inevitabilmente deriverebbero dall’approvazione del disegno di legge Zan. Vi è però da osservare che si tratterebbe comunque dell’implicito riconoscimento di una situazione di allarme prodotta da un abnorme incremento, in realtà inesistente (come sempre sostenuto anche da tutto lo schieramento di centro destra), di atti di violenza in danno di appartenenti al mondo c.d. LGBT.
Ma si tratterebbe anche e soprattutto di un ennesimo passo avanti sulla via della creazione di sempre nuove categorie di persone da considerare in qualche modo “privilegiate” rispetto alla generalità dei consociati, sotto il profilo, in particolare, del livello al quale deve collocarsi il loro diritto alla protezione da parte dello Stato. Un processo, questo, che porta, in ultima analisi, alla sostituzione del moderno concetto di “Stato di diritto” con quello, ad esso antecedente, di “Stato dei diritti”; di uno Stato, cioè, nel quale non esistevano diritti ritenuti in partenza uguali per tutti ma ciascuna categoria (nobili, mercanti, artigiani, contadini, ecclesiastici, etc.) e, frequentemente, anche taluna delle infinite sottocategorie, doveva adoperarsi per acquisire dal titolare della sovranità e poi difendere contro di lui e contro le altre categorie o sottocategorie i propri particolari diritti.
Non a caso, ad esempio, la “magna charta libertatum” ebbe questa denominazione e non quella di “magna charta libertatis”, proprio perché essa non garantiva un generale diritto di libertà per i sudditi del re d’Inghilterra ma garantiva, essenzialmente, soltanto le singole libertà, specificatamente indicate, dei signori feudali nei confronti della corona. Si è generalmente ritenuto, nel corso degli ultimi tre secoli, che il superamento di tale situazione, anche se talvolta realizzato con metodi a dir poco discutibili, costituisse comunque un progresso. Nulla impedisce, però, di pensarla diversamente e di regolarsi di conseguenza, a condizione che si abbia almeno il coraggio e l’onestà intellettuale di ammetterlo.
Pietro Dubolino
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Uno dei problemi del femminismo è che ormai, almeno in occidente, lotta contro se stesso, ed è una lotta che viene alimentata culturalmente dalle femmine stesse alle quali danno voce, per convenienza, canali e pagine idiote come positivo che purtroppo hanno una loro eco, creando questo circolo vizioso ed infernale infinito che distrae dai veri punti fondamentali della lotta contro le differenze di genere. Perché una vera educazione culturale alla parità di genere parte proprio dal mostrare situazioni in cui uomo e donna sono a tutti gli effetti uguali, ma uno riceve un trattamento positivo, l’altro negativo. La disparità sta proprio lì, l’attenzione andrebbe focalizzata proprio lì: io ho due lettere uguali A e A, ma una la trovo migliore dell’altra e le tratto di conseguenza. Ma ehi, a noi di tautologiedialettiche sembrava di ribadire l’ovvio. Evidentemente, poi così ovvio non è. Oltre il fatto che parità, al di là del genere, dovrebbe essere: creare delle situazioni in cui, malgrado le differenti condizioni di partenza - ché quelle ci saranno sempre - si arriva ad una condizione di parità, di uguaglianza, in cui io e te abbiamo lo stesso peso. Invece no, per mostrare quanto è brutta e cattiva la gente facciamo in modo che la gente si comporti in maniera brutta e cattiva e poi la accusiamo di essere brutta e cattiva. C’è del senso in tutto questo? No. Ed è questo quello che fa il femminismo oggi. O almeno, un certo tipo di femminismo che, purtroppo, si impone con forza. Fanno dei video di ragazze vestite con i leggins attillati, sottili come una seconda pelle, con un evidente perizoma in mezzo alle chiappe; attenzione: video costruiti e pensati con ragazze che si prestano quindi come attrici (una sorta di “esperimento sociale”), i cui atteggiamenti non sono quindi normali e naturali, ma appunto costruiti; video in cui all’inizio la ragazza viene mostrata come “normale”, ovvero una normale ragazza a caso che viene filmata, (affermando che quell’abbigliamento è un “normale abbigliamento sportivo” non so come faccia questa a fare qualsiasi sport a cui si stava dedicando con delle mutante infilate nel culo; e questa è pure una cosa che ci indigna, del video: il fatto che vogliono far passare per “normale”, quell’abbigliamento, “comodo e normale”, perché secondo il nostro modesto parere, normale è una normale tuta con una normale maglietta e non un top e dei leggins ché è come camminare nude; per certi sport forse è pure indispensabile, ma per fare jogging non ci pare che sia necessario vestirsi proprio in quel determinato modo, oltre il fatto che non pare nemmeno comodo) e poi ecco che arriva alla fine del video la contraddizione: in realtà era un video creato a tavolino e la ragazza era un’attrice. Ora, se vogliamo parlare di disparità, dov’è la situazione di parità di partenza che evidenzia un atteggiamento di diseguaglianza? Io vedo solo una cosa: una provocazione (che già pone una disparità di partenza, poiché io mi pongo come essere superiore agli altri che attira la tua attenzione e tu sei soggiogato da me) e la gente che reagisce alla provocazione, maschi o femmine che siano. Il punto è: se tu dai un pugno, ti aspetti che l’altro continui a farsi i cazzi propri o ti aspetti una sua reazione al tuo gesto? Perché se provochi una reazione ce l’hai, pure fosse il porgere l’altra guancia. Quindi esattamente, quando seduci ti aspetti che l’altro si volti dall’altra parte? Se fosse stato un maschio, a torso nudo, e con atteggiamenti provocatori e seducenti, non avrebbe forse attirato lo sguardo delle ragazze presenti e anche dei ragazzi? Noi di tautologiedialettiche crediamo di sì. Quindi dove sta il punto? Dice, il video, che la ragazza si sentiva addosso la pressione degli sguardi che anche se in maniera dissimulata comunque erano degli sguardi di giudizio. Ma scusa, eh: ma se mi sbatti il tuo culone in faccia, veramente, pretendi che mi volti dall’altra parte? Anche solo per fastidio, io ti guardo e pure male. Boh, davvero, noi di tautologiedialettiche non riusciamo a capire. In tre minuti di video, siamo stati per due minuti a vedere il suo culo perché inquadravano solo quello, quaranta secondi a vedere le bocche sbavanti o sconcertate e invidiose di maschi e femmine e venti secondi di immagini random. Ma davvero, di che cosa si sta parlando? Perché, a noi di tautologiedialettiche, sta sfuggendo il punto. Cioè se volete alimentare gli stereotipi ed i luoghi comuni fate pure, ma per favore, evitate di infilarci femminismo e lotta per la parità di genere in minchiate del genere.
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