Tumgik
#e non essendo italiano è una cosa strana
ross-nekochan · 4 months
Text
Tumblr media
Oggi D., un filippino (?) che lavora qui e che ormai mi chiama sempre per nome (e si rivolge solo a me del team quando deve chiedere qualcosa), viene dietro di me tutto di nascosto, mentre sono seduta alla mia scrivania tutta concentrata sul telefono e mi dice all'orecchio sussurrando:
"Take this presents from UK"
16 notes · View notes
kamisetanaranja · 4 years
Text
LA MAGICA MUSICA ECOLOGICA DI VENERUS
Un viaggio dentro e fuori da sé, un tuffo nella coscienza più liquida, l’abbandono della soffocante razionalità.
Il 19 febbraio 2021 è un giorno importante. Mentre il nostro paese tira un sospiro di sollievo e si permette di mettere il naso fuori dalla porta con l’arrivo della zona gialla, esce uno tra i prodotti musicali più attesi dell’anno. Andrea Venerus, cantautore e musicista originario di San Siro, pubblica Magica Musica, il suo primo album per l’etichetta Asian Fake (https://www.asianfake.com/), via Sony Music. Un assaggio del suo talento lo si aveva avuto con A che punto è la notte e Love anthem, i primi due EP rilasciati tra 2018 e 2019, dove l’artista aveva già dimostrato di aver imboccato una strada atipica all’interno del mercato musicale italiano, sintonizzandosi su frequenze che svariano dal jazz al soul, dal funk al blues. Dopo un paio di anni trascorsi a suonare e collaborare con varie personalità artistiche in tutta Italia, finalmente il lavoro è pronto: il wonder boy della musica italiana ci regala un ingresso gratuito nel suo mondo.
Sono due i singoli che precedono l’uscita dell’album. Si tratta di Canzone per un amico, scritta e pubblicata a marzo, durante il primo lockdown, e Ogni pensiero vola, lanciata nell’iperspazio dei digital stores a fine gennaio, esattamente dieci giorni dopo l’annuncio del nome e della data d’uscita del disco. Nel primo singolo è stato facile, quasi naturale, immedesimarsi. Una lettera scritta per un amico (conosciuto in arte come Cleopatria, amico e collaboratore di Venerus dal suo rientro nel Bel Paese) che si presta come strumento universale.
Forse è normale Sentirsi soli in un momento così (Canzone per un amico)
In un momento in cui le relazioni sono state messe a dura prova dalla grave situazione sanitaria era facile scivolare nell’oblio. Mai canzone fu più puntuale: un brano concepito per chitarra e voce, arricchito dal tocco magistrale di Mace, collega ormai fisso del cantante milanese (oltre alle numerose collaborazioni nell’album OBE i due hanno lavorato a 12 dei 16 brani di Magica Musica). Dopo aver appreso quale sarebbe stato il titolo dell’album, ricordo di essermi preoccupato. In un’era in cui il mercato musicale è saturo, dove per essere notato è necessario discostarsi dalla massa e cercare il particolare, l’impatto immediato, partendo dall’attirare il pubblico con nomi accattivanti, ho pensato che un titolo generico come Magica Musica potesse giocare a sfavore. A sciogliere ogni dubbio è stato il secondo singolo, Ogni pensiero vola. Accompagnato dal solito Mace, Venerus sintetizza in 3.53 minuti il messaggio dell’interno album. Sonorità eterogenee provenienti da angoli remoti del mondo. Strumenti che intervengono in modo puntuale e bilanciato. Ora la chitarra, ora il pianoforte, ora le influenze indù, ora le percussioni sintetizzate tipiche del nostro periodo storico. È da questo brano che mi è sopraggiunta quest’immagine; ho dovuto pronunciarla. Questa è musica ecologica.
Perché niente mi è mai chiaro visto da vicino (Ogni pensiero vola)
Le scienze ecologiche si basano sull’approccio sistemico, una metodologia proveniente dalle filosofie orientali dove si rifiuta la visione atomistica del mondo in favore di una visione di insieme. La realtà è vista come una fitta rete di interconnessioni fondamentali e necessarie. Questo pensiero si ripete nei versi successivi.
Ogni filo d'erba è un mondo visto da vicino E un giardino è un universo o poco più (Ogni pensiero vola)
Il ritorno alla natura: la Terra è un’immensa matrioska di ecosistemi che cooperano sinergicamente. Apparteniamo ad un sottolivello che è parte di un’entità più grande di noi. La meraviglia di amare, vivere in sintonia con la biosfera che ogni giorno ci offre un luogo da poter chiamare casa. Per raggiungere questo stato di coscienza Venerus ricorre alla sfera spirituale, all’esoterismo, allo psichedelico e all’allucinogeno, facendo riferimento al contesto iper-demonizzato delle droghe.
Cerco nuove strade per uscire da me, oh-oh Per superare ogni mio limite E scoprire poi al di fuori che c'è […] Se chiudi gli occhi, non sei più qui Scompaiono i confini del corpo E tutto ciò che ti circonda (Ogni pensiero vola)
Superare le barriere, la brama di sapere cosa c’è dall’altra parte, espandere la propria coscienza per eliminare i limiti del proprio corpo ed essere qui e altrove, ovunque e da nessuna parte. Rifiutare le etichette della società per aderire alla fluidità, alla cooperazione e all’integrazione. Raggiungere l’amore che unisce e regola i rapporti.
Forse è che appartengo a un mondo un po' magico Vorrei volare via lontano da qui E a volte sento tutto attorno un po' strano Chissà se qualcun altro è fatto così (Ogni pensiero vola)
Capita a tutti di uscire in una giornata di primavera (magari post-lockdown), prendere un respiro a pieni polmoni e innamorarsi ancora una volta del vecchio abete nel giardino di casa o delle strade che ci hanno insegnato a guidare. Per un secondo tutto ciò che ci appare nocivo sparisce e siamo un tutt’uno con la natura che ci circonda. Si sente un brivido difficile a spiegarsi. È una sensazione strana, quasi imbarazzante, ci si sente piccoli, ma in fondo una risposta non è necessaria. Un biglietto da visita più che valido.
La tracklist conta 16 brani e vari featuring di spessore, per palati sopraffini. Si nota fin da subito che la maggioranza dei titoli rimandano a concetti intangibili. Salvo Appartamento, Sei acqua e Lacrima=piccolo mare, i pezzi rimanenti rimandano alla natura metafisica del Buyo, delle Luci, della Solitudine, o il concetto di Fuori. Il tema ecologico inaugurato in Ogni pensiero vola, prosegue in Brazil, canzone molto internazionale, inserita nelle playlist di New Music Friday di Spotify in diversi paesi extraeuropei già dal giorno successivo alla pubblicazione. Un toccasana per la nostra musica. Oltre a ribadire l’importanza del concetto di rete e il rifiuto del modello cartesiano, spicca un evidente interesse per il tema dell’universo. Viene naturale chiedersi se siamo soli. Soprattutto oggi che conduciamo vite a 120 km/h e non riusciamo a creare legami stabili. Siamo soli anche fra 8 miliardi di persone.
È così umano perdersi Ci vuol poco, credimi (Brazil)
La mente umana non ha limiti: viaggia stando ferma, esplora universi immaginari, si nutre di emozioni reali. Il suggerimento di Venerus è di nuovo quello dell’esperienza extracorporea, che possa guidare il corpo e i sensi in una dimensione sommersa, in totale espansione, ancora tutta da scoprire.
Dopo essersi innamorati della notte più buia che spinge l’artista sempre più Fuori, Fuori, Fuori… e dopo il primo assolo di chitarra che ricorda IoxTe (A che punto è la notte), si ritorna con i piedi per terra. Il primo ospite dell’album è Frah Quintale: invitato nell’Appartamento di Venerus, aiuta a dare forma al primo featuring. La caratura del personaggio (figura ormai affermata del panorama hip-hop italiano) spinge a pensare ad un certo tipo di adattamento a livello di sonorità e testo, ma Venerus dimostra di mantenere le redini e non deraglia. Pur essendo ancora al principio del viaggio si notano due ridondanze che saranno ricorrenti lungo tutto il tragitto: in primis, il mondo, da intendersi come luogo dove semplicemente essere, fuori dal canone di normalità. L’amore, il dolore, la follia, l’eccesso, la poesia, coesistono senza farsi la guerra. In secundis, l’artista di Asian Fake si serve del metalinguaggio per raccontarci quanto la scrittura lo aiuti a conoscere la natura che lo circonda. Un mezzo per fare chiarezza, quindi, il canale comunicativo più adatto per diffondere il messaggio. 
Con Sei acqua si raggiunge una delle tappe fondamentali del disco. L’ascoltatore si confronta con un brano che necessariamente richiede una seconda occhiata al titolo, perché, fin da subito, si ha la netta sensazione di essere testimoni di qualcosa di unico. Negli anni trascorsi a studiare musica a Londra, Venerus racconta di aver avuto l’occasione di assistere ad un concerto dei Calibro 35, collettivo di compositori italiani formatosi nei primi anni 2000. Durante il countdown dell’uscita del disco avvenuto sul canale Twitch di Asian Fake, il ragazzo di San Siro ha raccontato di quanto si sia sentito onorato di aver potuto lavorare assieme ad un’istituzione della storia musicale italiana. Una cooperazione di questa portata dimostra due cose. Venerus è un fenomeno catalizzatore per la musica italiana e la ricerca musicale che c’è dietro al suo disco è la dimostrazione del suo talento. Sei acqua è la punta di diamante del disco, oltre che pezzo di rilevanza internazionale assieme a Brazil.
Il suono delle campane d’apertura è puro risveglio spirituale.
Ho scritto una canzone da dare ai nostri cuori (Sei acqua)
La narrazione, facilmente divisibile in sequenze e accompagnata da una struttura musicale da fiaba, scritta probabilmente nel periodo vissuto a Roma, accarezza la sfera amorosa con grande delicatezza. Un pezzo che racconta come la vita sia eternamente guidata dall’amore, che annulla la distanza tra Terra e Cielo, dimostrando che siamo tutti, inevitabilmente, vittime di problematiche comuni. L’interludio in crescendo apre una sorta di feritoia spazio-temporale che dona all’interprete un momento di chiaroveggenza, in cui tenta di allinearsi con l’Universo. Terminata la trance, il brano ritorna sui binari originari con una nuova consapevolezza, in un’esplosione orchestrale che traghetta l’ascoltatore verso una nuova vita.
Dopo essersi fatti cullare da Una certa solitudine, è il momento di not for climbing e amanda lean, produttori emergenti della scena romana a cui Venerus aveva già dato spazio in Love Anthem. Solo dove vai tu è un sussurro all’orecchio, un momento di estrema sincerità dove si abbatte l’ultima barriera tra la persona che siamo e la persona che vogliamo essere. Si entra sulle punte, con la paura di fare rumore, e si esce senza riuscire a tenere ferma la testa.
Lucy (chiara citazione a Lucy in the sky with diamonds dei Beatles), assieme alla traccia numero 11, Ck, incarna più di tutte l’adesione dell’artista al mondo delle droghe sintetiche e ai suoi effetti. Le lettere LSD tatuate sul piede sono la dimostrazione di come l’artista classe ’92 non abbia mai nascosto di farne uso.
Quello che fai Ha un'eco in tutto ciò che ti sta attorno Ma forse non sai Che esiste un altro lato di quel mondo attorno a te Ma se mai, mai, mai tu vorrai Capirci giusto un po' di più Abbandona ogni struttura per un viaggio, un'avventura Potrai parlare al cielo se lo vuoi (Lucy)
Il groove di Lucy chiede a gran voce di ballare: è la canzone da festival per antonomasia. La natura duale di Ck, originariamente concepita come due brani separati, mette a confronto due mood: uno più sincopato e ansiogeno ed un altro più leggiadro e sonnolento. Se il primo è figlio di una sostanza eccitante, il secondo viene da una sostanza rilassante.
L’arte che permea Magica Musica proviene direttamente dall’Eden. Si tratta di un pezzo che non avrebbe sfigurato all’interno di A che punto è la notte, primo EP dell’artista. Si ricrea infatti un’atmosfera simile a quella di Senzasonno e di Note vocali, in una nuova connotazione cosmica, denotata da echi elettronici e dalla distorsione sulla voce. A dare nuovo umore (altro concetto ricorrente del disco) è l’arrangiamento a cui partecipa Phra dei Crookers, ennesima figura illustre che ha sposato il progetto di Asian Fake.
Se ancora non fosse stata percepita l’impronta spirituale dell’album, ecco Namastè, introdotta da percussioni esotiche e fiati orientaleggianti. Sopra una melodia che ricorda San Siro di Franco126, Venerus si diletta assieme al collega e amico Rkomi, figura camaleontica che è riuscita a coniugare alla perfezione l’hip-hop con il pop, vantando featuring assieme a grandi artisti come Ghali, Sfera Ebbasta ed Elisa. Dopo averli ascoltati in Non vivo più sulla Terra, uno dei pezzi di spicco di OBE, tornano a lavorare assieme confermando una straordinaria intesa: l’anagramma di Mirko si cala in modo eccezionale nell’immaginario di Venerus tracciando parallelismi tra il terreno e il metafisico, rimanendo allo stesso tempo fedele alla dialettica che lo ha reso un punto di riferimento per il grande pubblico.
Il cielo è il grembo, lei è la luna La vedo anche con le palpebre unite da una graffetta […] Le onde spezzano il tuo corpo, quel fuoco non vuole spegnersi Amore, cosa ci prende? (Namastè)
La già citata Ck è seguita da un intermezzo strumentale. Cosmic interlude è una traccia che i fan di Venerus aspettavano con trepidazione. Date le notevoli capacità compositive dell’artista, pare riduttivo incontrare un solo brano di questo genere. Le note dell’organo elettrico scivolano e si rincorrono. All’armonica rispondono suoni sintetizzati, sparati come raggi laser in uno scenario che rimanda a 2001: Odissea nello spazio. Tre livelli sonori che dialogano in un linguaggio ancora tutto da decodificare. Raggiunto il picco intensivo, l’astronave comincia a planare e atterra dolcemente, mentre qualcuno fa partire un carillon. Gli occhi sono ormai serrati, ma siamo vigili. Vogliamo sapere come va a finire, quanto ancora c’è da dire. Ancora non ci è dato sapere se la sonda inviata è stata in grado di trovare nuove forme di amore nell’universo.
Lacrima=piccolo mare, prodotta assieme a Vanegas e Mace, è un pezzo ingannevole: il ritmo inciampa ogni volta che le parole sembrano andare fuori tempo. A completare il quadro, l’intervento del sax di Coltreno, membro imprescindibile della band durante i concerti live.
Mentre il viaggio volge al termine, alla traccia 14 si trova l’ultimo featuring cantato. Vinny condivide il palco con l’icona del rap, nonché grande amico, Gemitaiz in Buyo. Tra violenti bending di chitarra e samples che si alternano e si sovrappongono, il rapper porta con sé gli 808 che recentemente hanno dominato le produzioni. Ancora una volta, Magica Musica. Tra i fumi della marijuana, in una dimensione onirica, i due mischiano i problemi della dipendenza a quelli d’amore con disarmante onestà, dimostrando quanto labile sia il confine fra le due sfere. In un momento di lucidità, Venerus fa scivolare sopra al tavolo un’eterna verità:
In amore non vince il più forte Ma chi è disposto a perdere (Buyo)
Nonostante l’hating per Gemitaiz nel web, il risultato finale è un pezzo di spessore.
Nel brano di chiusura, come vuole la tragedia greca, si raggiunge la catarsi. Luci è la canzone che tutti si aspettavano di trovare in Magica Musica. Un’ouverture che sembra riprendere il motivo del brano precedente (Canzone per un amico) allarga le braccia per cullarci un’ultima volta. Tra echi naturali e suoni che si riverberano, il pezzo esplode in un assolo di chitarra viscerale. C’è bisogno del ritorno della voce per risentire la terra sotto i piedi e riprendere coscienza. L’arpeggio che introduce l’outro è qualcosa di primordiale, come se esistesse da sempre all’interno della mente umana. Si diventa spettatori e attori allo stesso tempo: dentro al mondo creato da Venerus riusciamo ad ascoltare la colonna sonora, infrangendo le convenzioni del cinema. Ancora una volta, non si sa dire con precisione dove ci si trovi: sentiamo dei piedi calpestare pozze d’acqua, ma sentiamo anche riverberi cosmici; siamo qui e siamo altrove; siamo sulla Terra e siamo nello spazio; siamo la parte e siamo l’insieme.
Se mi pensi forte, io ti sento da qui (Luci)
Dopo aver viaggiato in lungo e in largo, la sonda è atterrata. Ora potrà finalmente riposarsi.
Difficile non commuoversi quando la puntina raggiunge il centro del vinile. La mole di sensibilità necessaria per tale lavoro non è quantificabile. Non si insegna, si invidia. Ogni tema è esposto in modo chiaro: l’interesse per l’universo, che torna anche nell’intervista a Franco Malerba (primo astronauta italiano a viaggiare nello spazio) a una settimana dalla pubblicazione del disco; l’amore per la natura, evocata nei testi e nelle sonorità che trasportano l’ascoltatore ora nella foresta, ora in un bazar, avvicinando l’immagine dell’artista a quella di un guru; l’acuta spiritualità e l’esoterismo, mai nascosti anche in relazione ai viaggi ultracorporei;  l’aura pan-amorosa in un revival del sentimento hippie anni 60. Venerus dimostra a tutti di essere in grado di navigare abilmente nel mare dei generi musicali senza perdere la rotta. Timbro immediatamente riconoscibile, flow cangiante, sicurezza nell’uso dell’autotune, senza alcuna ostentazione. Sacro e profano si mescolano senza obiezione. Ancora più intrigante è la ricerca del suono, la sperimentazione, il bagaglio di studio e di esperienza alle spalle, la volontà e la necessità di saperne sempre di più. Un album che non ha la pretesa di individuare singoli, di porre una canzone più in alto di un’altra. Anzi, tutte le canzoni sono “singolabili”, ma il concept dell’album le tiene unite in un’unica indivisibile realtà. Non si conosce pratica che divida la parte dall’insieme. In un’era in cui si discute se sia ancora lecito parlare di generi musicali per incasellare la musica in raccolte da propinare al grande pubblico, Venerus sintetizza un genere tutto suo catalizzando funk, jazz, blues, soul, sonorità hip-hop, senza la pretesa, ma la certezza, di arrivare alle porte del pop. Le radio che in questi giorni stanno trasmettendo la sua musica ne sono la dimostrazione. Il virtuosismo che contraddistingue Magica Musica è una boccata d’aria fresca per il nostro paesaggio musicale, da tempo troppo statico e schiavo di influenze esterne. Con questo disco Venerus si propone come ambasciatore della transizione musicale italiana, pronto non a settare un nuovo standard, quanto un nuovo metodo di fare musica. In attesa di poterci ritrovare (e perdere) ad un concerto, l’invito è quello di continuare ad esplorarci: andare sempre più a fondo nella nostra coscienza, scuoterla come una palla di vetro alla ricerca dell’ennesima Magica Visione.
11 notes · View notes
senzamacchia · 3 years
Text
Primo Post
Oh.
Come butta?
Facciamo le dovute presentazioni.
Mi chiamo M, piacere.
Sì dai, M e basta. E’ il mio nome. Magari sembrerà strano, ma è così che mi hanno chiamato per anni, al liceo. Uno di quei nomignoli stupidi di cui ricordi a malapena l’aneddoto che li ha generati... ma mi è rimasto attaccato, anche perché dopotutto è la mia iniziale.
Di solito sono una che ci gira un sacco intorno prima di arrivare al punto, ma stavolta farò un’eccezione e ci arriverò subito: ho deciso di iniziare a scrivere perché ho la depressione. Da molti, molti anni. So bene di non essere l’unica, anzi credo proprio che ci sia un casino di gente che, per un preciso motivo, per una moltitudine di motivi o apparentemente senza alcun motivo, soffre di depressione. Io credo che ce ne siano anche di più che invece, semplicemente, non ammettono la cosa, forse nemmeno con sé stessi, e magari la sublimano in altro, spesso con risultati discutibili di vario genere.
Ma sto essendo vaga, lo so.
L’avevo spoilerato, prima, di essere un tipo che si perde in discorsi collaterali. Eh beh bisogna che uno ci si abitui. O che inizi a leggere qualcos’altro. Ora. Adesso. SUBITO.
Benissimo. Come stavo dicendo, so bene di non essere l’unica al mondo a soffrire di depressione, ma a volte curiosamente ricevo questa sensazione. Per il semplice fatto che nessuno ne parla.
Cioè, se ne parla poco di depressione. Anzi, meno se ne parla meglio è, che poi se uno è depresso è sicuramente uno sfigato, uno noioso, o peggio un fannullone che non ha voglia di mettersi il proverbiale dito nel proverbiale deretano.
E invece non è affatto vero, cazzo: per esempio io mi ritengo, anzi, SONO un essere umano semplicemente fantastico eppure sono terribilmente, insistentemente, puntigliosamente depressa da circa un quarto di secolo.
Però sono anche un tipo divertente, e pieno di risorse. Tipo sette, otto giorni al mese. Minimo. Ed ho una visione cazzutamente positiva della vita, per svariati minuti al giorno. Voglio dire, sono un Ariete.
E quindi mi va di scrivere, di scriverNe. Della depressione, intendo. Che è una malattia. Come la tonsillite. Però nessuno si vergogna di far sapere in giro che ha la tonsillite.
A meno che non l’abbia contratta in maniera molto, molto, molto strana.
Vorrei scriverne con calma, girandoci intorno, magari. Partendo da lontano, facendo ampi cerchi di avvicinamento, perché sono zone di volo pericolose. A volte vorrei solo condividere quello che mi passa per la testa in libertà, con qualcuno che non mi giudica, qualcuno tipo la pagina bianca di un post su Tumblr.
Qualche altro depresso vuole una tazza di tisana?
Rimanete sintonizzati per gli emozionanti sviluppi.
(Disclaimer per i precisini: il mio maschile fa bomba libera tutti e vale per maschio, femmina e X, visto che in italiano non abbiamo il neutro e vedere quegli asterischi mi fa venire l’orticaria. Io nasco Nazigrammar, nonché pansessuale, nonché bigender ed io stessa spesso uso il pronome maschile parlando di me, e poi questo è il mio blog ed ho deciso così. Ma sappi che ti voglio bene anche se sei un precisino/a/u/*)
3 notes · View notes
kyda · 4 years
Text
Quando ho iniziato le lezioni al primo anno, mentre piano piano mi rendevo conto di cosa fosse il russo e tutti abbandonavano per spagnolo, ho scaricato un'app per tandem linguistici e subito dopo mi sono ritrovata a dover parlare l'inglese per la prima volta come unica opportunità che avevo per farmi capire da chi, in russo, studiava l'italiano. Fu il periodo in cui iniziai a guardare i film con i sottotitoli in lingua originale, in cui feci il primo sogno in inglese. Ci mandavamo le foto dei libri, le traduzioni, canzoni, poesie, ripetevamo le regole di grammatica. Il suo livello di italiano, essendo un anno più avanti all'università, era molto migliore del mio russo da principiante che passava ore in biblioteca a scrivere sempre le stesse parole per imparare l'alfabeto.
A poco a poco le nostre conversazioni hanno cominciato ad essere fatte sempre meno dall'inglese e più di italiano, con me che conosco ormai tutta la fonetica, tutte le lagune, tutte le divergenze e le somiglianze e i transfer dall'inglese (tipo il cucchiaio chiamato spugna da spoon, un tonno di kivi per dire un sacco da tons of e cose del genere, cose che ormai fanno parte della mia quotidianità e mi piacciono tantissimo).
Inutile dire che in questi anni ho parlato con un numero non quantificabile di persone e davvero provenienti da tutte le parti del mondo al punto che conosco i fusi orari di ogni Paese e ormai senza difficoltà distinguo le caratteristiche grammaticali e riconosco l'accento, in inglese, di parlanti nativi di lingue come turco, spagnolo, tedesco, russo (ormai a livello avanzato devo ammettere), francese, portoghese, norvegese. Conosco parole di tante lingue diverse pur non sapendo fare un discorso in ognuna di esse. Non sempre parliamo per imparare l'uno la lingua dell'altro e quindi il 70% delle volte si usa semplicemente l'inglese perché è l'unica lingua comune e ci si raccontano le esperienze, le giornate, i pensieri. Parlare una lingua in cui nessuno dei due è nativo ma comunque capirsi: quanto è bella questa cosa?
Non ci penso neanche più e a volte mi fermo e mi rendo conto che scrivere in due (sempre più spesso ormai tre) lingue non fa quasi più differenza per me e, soprattutto con l'inglese, è diventato automatico e naturale.
Molti contatti li ho persi ma alcuni durano ormai da mesi e uno da quasi due anni: da quando ho iniziato russo. Mia mamma mi chiede pure come sta e nessuno si stupisce più se lo chiamo in modi sempre diversi. Il suo italiano ormai è perfetto, probabilmente non mi sopporta più quando gli correggo sempre le stesse cose e ride quando conosce solo parole troppo formali o deve usare i congiuntivi perché ci abbiamo messo mesi e mesi. Ormai è bravissimo e i professori sono soddisfatti, gli italiani che ha incontrato nel tempo gli hanno fatto sorpresi i complimenti e lui mi racconta subito tutto contento che gli ha detto che è grazie a me. Ogni tanto mi costringe a parlare in russo pure a me, a ripetere le lezioni, a parlargli della mia giornata a forza di да да да, давай, dimmi qualcosa in russo perché da ora in italiano non ti capisco più! e poi dai questa cosa scrivila così che suona nativa e il professore non se lo aspetta.
Qualche giorno fa parlando al telefono gli ho chiesto ma ti piace l'accento dei russi che parlano un'altra lingua? Mi ha detto no, non tanto, preferisco gli stranieri che parlano russo o i nativi di altre lingue e gli ho detto che anche io penso lo stesso, gli stranieri in italiano ok, ma gli italiani in una lingua che mi piace non tanto.
Ma il mio accento in inglese?
Non hai più lo stesso accento che avevi all'inizio, è bello
Che vuoi dire? Era brutto prima?
Sì Ros, abbastanza, super italiano
E tu non mi hai detto mai niente in tutto questo tempo??
Te l'ho detto che pronunciavi strane alcune parole! Ma ora non più
Poi io gli ho corretto in senso che con nel senso che e gli è scappato блять perché fa sempre lo stesso errore, poi mi ha chiesto scusa perché in italiano è educato. Dopo un po' mi ha detto ты грустная e ho avuto come un brivido per l'effetto che la stessa cosa, in italiano, non mi ha mai fatto. Я не грустная gli ho risposto, e mi ha detto мм, не грусти e poi, come se nulla fosse abbiamo iniziato a parlare in inglese. Non lo so perché, non ce ne sarebbe stato bisogno, ormai in italiano ci capiamo più che bene. Eppure è rimasta questa cosa del rapporto che è nato e cresciuto parlando in inglese delle nostre vite, passando all'inglese quando non ci capivamo o quando non volevamo essere capiti nei nostri Paesi da quelli intorno a noi (motivo, tra l'altro, per cui ho iniziato ad appassionarmi alle lingue).
E mi sono messa a riflettere su quanto strana e bella sia questa cosa di non pensarci neanche e sentire il bisogno di parlare di certe cose in un'altra lingua.
Purtroppo il telefono è l'unica opportunità che la maggior parte delle volte ho avuto per parlare con qualcuno che non parla l'italiano, ma imparare a esprimermi in un modo che non è quello con cui mi sono espressa per quasi 20 anni e avere la consapevolezza di capire qualcun altro è una delle sensazioni più belle che io abbia mai provato. Ormai non è più solo studiare, ormai è abitudine, è connessione con gli altri. La nostra mente riesce a passare da una lingua all'altra senza sforzo ed è meraviglioso e uno spreco non approfittare di questa possibilità. Non smetterò mai di incoraggiare chi mi circonda, è troppo bello per continuare a dire non capisco e pensare le lingue non fanno per me.
Parlare o anche solo capire un po' un'altra lingua spalanca le porte di un mondo diverso e amplia i confini, ci sono solo lati positivi e tante cose da scoprire.
Ora però continuerò a pensare al mio accento super italiano di due anni fa che magari un po' è passato, sì, ma l'ho avuto ed era brutto e io lo sto sapendo solo ora :(
7 notes · View notes
wdonnait · 5 years
Text
Roberta Morise la conduttrice che ha conquistato Eros Ramazzotti
Nuovo post pubblicato su https://www.wdonna.it/roberta-morise-la-conduttrice-che-ha-conquistato-eros-ramazzotti/107678?utm_source=TR&utm_medium=Tumblr&utm_campaign=107678
Roberta Morise la conduttrice che ha conquistato Eros Ramazzotti
Tumblr media
Roberta Morise è una nota showgirl e presentatrice italiana.
Bella, simpatica e spigliata, la Morise è super apprezzata dal pubblico televisivo. La sua carriera, è ricca di esperienze lavorative che hanno origine da più di 15 anni fa.
Scopriamo insieme qualcosa in più della sua vita lavorativa e privata!
Biografia
Infatti, molti di voi se la ricordano sin dagli esordi, nel 2004, quando partecipò al concorso di bellezza Miss Italia, arrivando in finale e piazzandosi al quinto posto.
Nonostante non sia riuscita ad ottenere la fascia, Roberta è stata subito ingaggiata da Carlo Conti per condurre il programma su Rai 1 “I raccomandati” e successivamente “L’anno che verrà”.
Le sue esperienze lavorative presso questo emittente sono numerose.
Basti pensare a Starflash e Assolutamente. Tuttavia, l’apice del successo lo raggiunse quando partecipò al quiz televisivo “L’Eredità” per ben 3 anni consecutivi, nelle vesti di professoressa.
Successivamente all’Eredità, Roberta Morise è stata valletta per il programma “I migliori anni”, sempre su Rai 1.
Ma non è tutto. La showgirl ha pubblicato un album discografico, è stata co-conduttrice di Easy-Driver, presentatrice de “L’Italia in vetrina – Viva Sanremo” e “Sei in un Paese meraviglioso” (su Sky Arte HD).
Attualmente, è una delle presenze fisse del programma storico “I fatti vostri” a fianco di Giancarlo Magalli.
Roberta Morise età e altezza
La showgirl ha 34 anni ed è nata il 13 marzo del 1986 a Cariati, un comune italiano situato in provincia di Cosenza.
E’ alta 1,75 cm e pesa 55 kg.
Roberta Morise e Carlo Conti
Come molti di voi sanno, Roberta Morise ha avuto una relazione molto importante con Carlo Conti.
Dopo diversi anni insieme, il loro amore giunse al capolinea. Ma quale fu il motivo della rottura?
Non si è saputo molto in merito.
Tuttavia, la conduttrice ha voluto dire la sua in alcune interviste, parlando più che altro del fatto che la loro storia fosse autentica e che non ha mai pensato di approfittare di Conti per raggiungere una certa notorietà nel mondo del lavoro.
Ecco alcune sue dichiarazioni:
Tra noi si era creato un rapporto così intenso, quasi da padre e figlia, che la passione pian piano purtroppo è sfumata.
Quell’amore è finito anche perché i giornali mi dipingevano come ‘la bimba che voleva sposare Conti e approfittare del suo status’. Io ero una ragazza di 25 anni che viveva una storia normalissima che sembrava strana solo a chi sbirciava da fuori.
Tra l’altro, lavoravo con Carlo da cinque anni prima che ci innamorassimo. Tutti quei commenti, quelle maldicenze, mi hanno segnato e hanno segnato il rapporto: mi ero accorta che se ci fossi rimasta dentro avrei smesso di crescere come donna.
Infine, riguardo il matrimonio di Conti, ha affermato:
“Ho saputo delle nozze da un’amica comune che ha ricevuto l’invito e ovviamente non potevo certo rimanere indifferente”.
Roberta Morise e Luca Tognola
A far breccia nel cuore di Roberta Morise non c’è stato soltanto il simpaticissimo Carlo Conti.
Infatti, lei è stata legata sentimentalmente per ben 3 anni con l’imprenditore Luca Tognola. Tra i due però, la storia non ha funzionato ed è stata lei stessa a lasciarlo, per una serie di problemi, legati principalmente alla distanza e alla gelosia.
In un’intervista a Gente, Fanpage e ad altri settimanali di gossip, ha fornito ulteriori dettagli in merito alla rottura:
“Sulle prime poteva essere anche intrigante vedersi solo nel fine settimana, come due fidanzatini. Ma poi la situazione è cambiata, non ha funzionato più.
Tuttavia, il problema a volta è aspettarsi cose che poi non arrivano. Pur essendo una donna molto paziente, dopo un po’ che attendo di vedere, di sperare nei cambiamenti, c’è il rischio che io scappi.
Insomma, se scelgo di stare con una persona è per stare meglio, non per avere incomprensioni e dissapori. Passione, leggerezza, rispetto sono gli ingredienti di una relazione che guarda avanti e progetta grandi cose”.
Ed ha aggiunto:
“Così, mi sono ritagliata un po’ di tempo per me, per capire, per rilassarmi. È una fase delicata, di cambiamenti: dopo tre anni è finita una storia importante. Sono stata molto innamorata di Luca, ci siamo allontanati da qualche mese. Onestamente, mi mancava un pochino d’aria.
Questo perché era diventato geloso, a tratti anche possessivo, atteggiamenti che si sono acuiti da quando mi sono trasferita per lavoro da Lugano, dove vivevamo, a Roma, seppur io non facessi nulla di particolare”.
Roberta Morise dramma
Lo scorso anno, Roberta Morise è apparsa su diversi giornali di gossip non per questioni d’amore ma per un vero e proprio dramma di salute.
Infatti, la bella presentatrice ha rischiato di perdere la vista. Ecco cosa ha detto in merito:
Già una volta ho rischiato di perdere la funzionalità dell’occhio destro. Non che il sinistro sia perfetto, però l’altro è particolarmente inguaiato. Un paio di anni fa un orzaiolo mi afflisse per tre mesi di fila.
Così, andai da un oculista e rimasi completamente scioccata.
Le conseguenze possono essere gravissime, dalla formazione di veri e propri fori, pericolosissimi per i cristallini, all’emergere del glaucoma, che induce alla cecità.
Io ero già in uno stato avanzato di pericolo, per questo l’orzaiolo è diventato un calazio, una cisti sull’occhio dolorosissima.
Alla fine mi sono operata sottoponendomi ad un intervento chirurgico con il laser, ma le cose non si sono risolte.
Tuttavia, il laser non ha completato il giro, ha lasciato la cicatrice aperta. Perciò si è ripresentata l’infezione. Per salvare l’occhio destro le sto provando tutte.
Per fortuna, adesso la Morise sta molto meglio ma certamente ha passato un periodo difficile che l’ha cambiata in maniera profonda.
Roberta Morise e Eros Ramazzotti
In questi giorni, i giornali di gossip stanno parlando moltissimo di Roberta Morise.
Sembrerebbe proprio che la bella conduttrice italiana abbia intrapreso una relazione con Eros Ramazzotti. A detta di alcuni giornali, tra i due sarebbe scoppiata una vera e propria passione e che il cantante risulta essere innamorato più che mai.
Tuttavia, entrambi non si sono ancora espressi in merito e non ci sono scatti che testimoniano il flirt più discusso del periodo.
Ma molto probabilmente, a breve ne sapremo di più…
2 notes · View notes
Thorin - Non è un mio problema
La scuola era ricominciata da quasi tre mesi, e già non ne potevi più. Ti avevano già sobbarcata di compiti e cose da studiare, perché erano oramai gli sgoccioli del trimestre, e poi ci sarebbero stati gli scrutini. Non eri molto preoccupata, infondo andavi bene in quasi tutte le materie, e nelle altre eri nella media.
Essendo dicembre, le temperature erano bassissime, di notte calavano ancora più giù, fino ad arrivare sotto zero. Stavi camminando per andare a scuola, e mentre ti stringevi nel tuo piumino, rimpiangevi di non esserti asaporata di più la calura estiva, quando potevi. Ma è sempre così, no? Desideriamo le cose quando non le possiamo avere, al momento sbagliato.
Eri talmente distratta dai tuoi pensieri, che avevi sorpassato la fermata dell'autobus. Scuotendo la testa per liberarla dai pensieri, tornasti sui tuoi passi, e ti fermasti affianco al palo grigio e che aveva tutta l'aria di essere freddo come il ghiaccio, quindi per quanto tu fossi stanca e desiderassi solamente apoggiarti a qualcosa, decidesti che quello non sarebbe stata la scelta migliore.
Eh no, ancora un po' e divento un polaretto...
L'autobus arrivò dopo pochi minuti e ti portò a scuola, dove passasti la mattinata intera e parte del pomeriggio, come ogni giorno.
Stavi tornando a casa, rallegrandoti, per quel poco, che le temperature si fossero alzate leggermente, permettendoti di sentire ancora le dita dei piedi e delle mani... Che bella sensazione... Mi erano mancate le mie dita... pensasti ironicamente.
Mentre camminavi, guardavi l'asfalto che scorreva sotto i tuoi piedi, era strano, ma era una tua abitudine, sin da quando eri piccola, e che ti aveva procurato non pochi incidenti.
Poi, di punto in bianco, parve che la luce del sole crescesse sempre più di intensità. Tu ti guardasti attorno, per cercare di capirne la ragione. Ma questa luce diventava sempre più prorompente, finché fosti costretta a coprirti gli occhi con le mani.
Beh, le alternative sono poche: o sono morta arsa viva dal sole che finalmente ha fatto avveare, con un po' di ritardo, le previsioni dei Maya, oppure sono svenuta qualche metro fa, e la luce accecante è stata solo un'illusione, pensasti.
Ma nessuna delle tue opzioni si rivelò azzeccata.
Quando provasti a scoprirti gli occhi, notasti con piacere che la luce se n'era andata, o almeno non picchiava più così violentemente sule tue palpebre chiuse.
Decidesti di azzardarti ad aprire gli occhi. Quello che ti si presentò davanti, non l'avresti mai immaginato; andava aldilà di ogni tua aspettativa.
Altro che arsa viva dal sole... sono finita in paradiso!
Davanti a te si stagliava un'enorme prato verde, circondato da alberi. Chissà come, quasi per magia, da in mezzo alla strada eri stata catapultata in una radura magnifica.
Terza opzione: una macchina mi ha investita e sono morta, e questo è il paradiso.
Ti guardasti intorno, sembrava che tu fossi comparsa al centro esatto di quella radura. Guardasti ai tuoi piedi, per essere sicura di non essere caduta in una buca, come Alice, ed eri più che sicura di non aver assunto sostanze allucinogene. Quindi, come si spiegava tutto quello?
Pensasti che, qualunque cosa era accaduta, o doveva accadere, tu non avevi alcun potere di fermarla, quindi tanto valeva adattarsi alla situazione.
Andasti verso il bosco, e ti inoltrasti in mezzo agli alberi, decisa a fare un giro, o magari a trovare un essere vivente, preferibilmente parlante, che ti potesse aiutare.
Dopo poco però, sentisti delle voci, voci profonde e gravi che ridevano e parlottavano, e una voce leggermente più soffice, meno cavernosa.
Sembrava che parlassero la tua lingua. Ovviamente, che sciocca. Al massimo possono parlare inglese, e non avrei comunque problemi. E poi non posso essere andata così lontano da non trovare gente che parla italiano. Ogni tanto però sentivi parole che non riuscivi a comprendere, quindi decidesti di avvicinarti.
Ti nascondesti dietro qualche cespuglio, ora le voci erano nitide e capivi quasi perfettamente quello che dicevano. Anche se c'erano parole che proprio non riuscivi a capire. Cominciasti a immaginare come dovessero essere gli uomini a cui appartenevano quelle voci, ma avevi il timore che ti scoprissero, se avessi alzato la testa per curiosare.
Prendesti un bel respiro, e alzasti leggermente la testa, rimanendo con le ginocchia piegate. Davanti a te trovasti una strana combricola: quattordici uomini, tredici dei quali erano alti poco meno di te, e l'altro invece era molto alto, o forse lo sembrava stando affianco agli altri. La cosa più strana, però, era vedere com'erano vestiti, ti ricordava molto quei film fantastici che avevi guardato ogni tanto quando li davano alla TV. Poi l'occhio ti cadde su ciò che quelle persone portavano con sé, chi in mano e chi al fianco: armi.
Avesti paura e cercasti di scappare, ma, nella fretta, perdesti l'equilibrio e rotolasti molto elegantemente fuori dai cespugli, proprio davanti allo strano gruppetto.
Subito si alzarono tutti dai cocci su cui erano seduti, imbracciando le armi e venendo minacciosamente verso di te.
Uno ti afferrò per le mani e ti fece alzare in piedi, torcendoti poi i polsi dietro la schiena e strappandoti un grido di dolore.
'Fermi!' risuonò una voce tonante, che tutti poterono sentire riverberare nella radura. Si fece allora avanti l'uomo alto, e potesti capire meglio ciò che indossava: una lunga tunica, o almeno sembrava, grigia, abbinata ad un cappello a punta dello stesso colore scuro, e un bastone di legno. La figura ti sembrava vagamente familiare...
'Cosa credete di fare, branco di incoscenti! Non vedete che è solo una ragazzina? E per di più disarmata! Dov'é finito il vostro onore per aver paura di lei?!' ribadì il vecchio dalla lunga barba bianca.
La persona che ti aveva bloccata ti lasciò andare immediatamente, anche se con un grugnito, dimostrando che non era particolarmente favorevole a lasciarti libera.
'Chi siete?!' chiedesti una volta ritornata la voce, e passata, almeno un po' la paura; il vecchio sembrava essere amichevole, o quantomeno civile.
Vedesti che dodici di loro, quelli tutti bardati e con la barba, gonfiarono leggermente il petto, ma fu solo uno a parlare. Aveva i capelli neri, striati di bianco e grigio, spalle larghe e corpo possente. Aveva un'aria... regale, di maestosità.
'Io sono Thorin Scudodiquercia, e questa – allargò il braccio, per mostrarmi gli altri componenti – è la mia Compagnia. Ma ora dimmi, - disse avvicinandosi pericolosamente, studiandomi con occhio indagatore – tu chi sei?'
'I-io s-sono Y/N' rispondesti timidamente, improvvisamente messa in soggezione da quella presenta forte e audace così vicina a te, per non parlare di tutte le armi che minacciavano di venirti puntate contro al primo passo falso.
'Y/N? Che nome strano. Non sembra di qui.' borbottò uno di loro, con la barba e i capelli bianchi. Io lo guardai e, in qualche modo, si attirò subito la mia simpatia.
'Perdonatemi, potreste dirmi esattamente qui dov'é?'
Forse quella luce non erano i fari di una macchina, e io non sono morta, forse...
'Spero che tu stia scherzando, ragazza.' disse quello che ti aveva afferrata prima.
L'uomo alto vestito di grigio si schiarì la gola, attiranda l'attenzione di tutti.
'Non penso che stia scherzando. Ma vediamo di averne la certezza. - disse rivolto a loro, poi si rivolse a te – Tu sai cosa sono loro?' chiese puntando a coloro che ti circondavano.
Tu scuotesti la testa, negando.
'Sono nani.' spalancasti gli occhi.
Dev'essere qualche stupido scherzo...
'No, non lo è.' Evidentemente non ti eri resa conto di averlo detto ad alta voce. 'E tu, mia cara giovane umana, ti trovi nella Terra di Mezzo, e non in uno dei periodi migliori se posso essere sincero. E neppure con la compagnia migliore se è per questo...' disse l'ultima parte sotto voce, in modo che solo tu la potessi sentire, e ti strappò un sorriso.
'Beh, ora che abbiamo concluso i preliminari, - intervenne Thorin – ci puoi dire cosa diamine ci fai qui? E già che ci sei anche in che modo sei vestita!'
Il suo sguardo fisso su di te, e la sua aura di forza, ti spinsero a rispondere subito e senza indugiare. Raccontasti di come ti eri svegliata nella radura, e di tutto quello che avvenne prima e dopo.
'Questo è strano... - commentò. Ma dai? Non l'avrei mai detto. Trattenesti la battutina ironica, che sapevi ti avrebbe portato solo guai. - Gandalf, non è che questo è uno dei tuoi scherzi?'
'Perché dovrei portare una ragazzina innocente e indifesa in mezzo ad un gruppo di burberi senza criterio come voi?' si difese il vecchio.
'Beh, in ogni caso, per noi è inutile. Possiamo nutrirla stasera e farla dormire al caldo del fuoco, ma domattina se ne deve andare, e noi proseguiremo per la nostra strada.' disse Thorin, voltandoti le spalle per tornare al fuoco.
'Spero tu stia scherzando. - non sapevi da dove tirasti fuori la voce, né tutta quella audacia – Prima di tutto, non parlare di me come se non fossi qui per piacere. Secondo, come pensi che me la potrei cavare da sola in un mondo che nemmeno so com'é fatto?'
Thorin non si scompose, rimase voltato di spalle, e rispose 'Non è un mio problema' per poi tornare al fuoco.
Spazientita, sbuffasti. Aveva proprio la testa di petra...
'Lascialo perdere, è un po' cocciuto, ma hai ragione. Dopotutto non ci costa niente portarti con noi fino alla città più vicina. Lascia che parliamo noi con lui.' ti disse il vecchio, dopo essersi avvicinato con calma, per evitare di farti spaventare. 'Comunque, io sono Balin, e lui – disse indicando il nano che mi aveva fatto del male prima, - è mio fratello Dwalin.' chinai la testa a mo' di saluto, più per cortesia che per rispetto.
'Grazie, Balin, ve ne sarei molto grata.'
I nani, tranne Thorin, furono molto accoglienti, dopo lo spiacevole inizio, e ti prepararono un pasto caldo e un giaciglio di fortuna, dove passasti la notte.
Ti svegliò un calcio al fianco, non troppo forte da farti male, ma, cavolo, quelli erano stivali chiodati.
'Svegliati, - distinguesti la voce di Thorin, - se dobbiamo portarti fino al primo villaggio, ci conviene muoverci, non possiamo perdere troppo tempo.'
'Si capo.' borbottasti mentre ti mettevi seduta.
Sistemasti le coperte su cui avevi dormito e facesti colazione insieme agli altri.
Una volta montati tutti in sella ai cavalli, o meglio pony, tu dovevi dividerlo con il senza-barba, Bilbo ti sembrava che si chiamasse, notasti dell'assenza di Gandalf.
'Dov'é Gandalf?' chiedesti.
Il pony di Balin si affiancò al tuo. 'Non lo sappiamo, ogni tanto va avanti, ogni tanto torna indietro. È più per i fatti suoi che con noi a dirla tutta, mi domando cosa si sia interessato a fare della nostra missione se poi non vi vuole partecipare...' annuii, non sapendo come rispondere a quella che sembrava più una riflessione personale che altro. 'Beh, comunque, credo che tu abbia fatto colpo. - disse puntando con il mento davanti alla fila. Thorin. - Non ci è voluto poi molto per convincerlo.'
Scrollai le spalle, dubitavo di essere stata così impressionante. 'Forse ci ha solo pensato un po' su, e ha capito che era la cosa giusta da fare.'
Poi Balin aumentò l'andatura del suo pony, lanciandomi un'occhiata d'intesa.
7 notes · View notes
lostboy-94 · 7 years
Note
145/150/157
145 - Italiano e qualcosina di inglese.150 - Me stesso, ebbene sì.. sembrerà strana come risposta ma perdersi è facile, ritrovarsi un po' meno.. la mia ragazza, la distanza fa davvero male.. la mia ex, i dubbi, le risposte non date e le domande non fatte a tempo debito uccidono dentro, è vero che non dovrebbe fregarmene più niente, essendo ex, ma per andare avanti non va lasciato niente in sospeso indietro.157 - Mmm, l'ansia non è una delle cose che mi caratterizza, il nervoso, beh.. molte cose ahah, una cosa che li accomuna però c'è, il lunedì.. un misto di ansia e nervoso che non immagini ahah
1 note · View note
larcodellecamelie · 7 years
Text
Valle dei giochi - Eldarya
Ordunque, signori e signori, come vedete... a volte ritornano. Volevo fare tantissime recensioni, credetemi ( ho quella di Undertale ancora tra le bozze, mi-vergogno-di-me-stessa) così come commenti, o raccolte di cose interessanti, curiosità... Volevo davvero riempire il mio arco di petali ma come potete ben notare dalla data dell’ultimo post ho fatto l’ennesima Big-Pausa. *Sospir* Bien, bando alle ciance, basta con i piagnistei, cominciamo a parlare di cose serie! Ecco a voi il mio commento su Eldarya.
Tumblr media
Dunque, dunque, cominciamo dalle informazioni tecniche che quelle è sempre meglio sbolognarle prima. (?) Eldarya è un Dating Game Online, creato da ChinoMiko e di produzione Beemov. Parliamo di nomi già conosciuti online, principalmente grazie alla prima opera storica di Chino: un altro Dating Game, Amour Sucrè, che bazzica sull’internet ed occupa i banner pubblicitari da molto tempo. Eldarya è l’infinitamente più recente opera dell’autrice, che ha deciso di sfruttare la sua esperienza con Amour Sucré per proporre un nuovo gioco, completamente slegato dal precedente, in cui poter costruire una trama in stile Fantasy classico. Possiamo dire a tutti gli effetti che Amour Sucrè sia stato ciò che ha permesso a Chino di farsi conoscere, fare esperienza e prendere abbastanza dimestichezza con questa tipologia di gioco da poter... andare oltre, proponendo un titolo in cui potersi muovere più liberamente sia a livello di trama che di gameplay. Cosa voglio dire con questo? Calma, calma... tra poco ci arriviamo. ~
Prima le cose importanti. Qui potete trovare il gioco in italiano.  Qui il server principale, ossia quello Francese.
Iscrizione gratuita, basta un nickname ed una e-mail che non deve neanche essere verificata, proprio come per AS.
• Andando per punti, ora parliamo della Trama. Per parlarne credo che dovrò fare spoiler, almeno del primo paio di episodi.  Una ragazza assolutamente normale, (il cui nome di default sarebbe “Erika”) un giorno imprecisato dopo aver finito il liceo, riflette sul suo futuro ed intanto fa una passeggiata. Girovagando in una zona molto verde trova qualcosa che attira la sua attenzione: dei piccoli funghi che formano un cerchio perfetto. Incuriosita si avvicina, e quasi per gioco entra nel suddetto cerchio. In un secondo una luce accecante la investe e tutto attorno a lei scompare. [ Piccolo commento: Qualcuno qui potrebbe dire “EH, CERTO, FURBONA!” ma... devo essere onesta: non mi sento molto in diritto di giudicare Erika. Okay che è scontato in un gioco ma ammettiamolo, vedere una cosa del genere (funghetti apparentemente selvatici in un perfettissimo cerchio in mezzo agli alberi) qui nel nostro mondo incuriosirebbe ovunque. Magari ci sarebbe chi farebbe solo una foto figa, chi ci vedrebbe un rito satanico e ne girerebbe alla larga, o chi  come me ci salterebbe dentro per vedere l’effetto, o farsi una foto da mandare su whastapp a caso. Siamo una generazione che si ficca e si fotografa ovunque, suvvia, non facciamo gli ipocriti. (?)] La ragazza di sveglia in un posto completamente estraneo, un ampio salone con al centro una grande Cristallo bluastro. Seppur incredibilmente spaesata, sente una forza magnetica attrarla a quel cristallo, al punto che senza neanche rendersene conto prova l’impulso di toccarlo. Nel momento stesso in cui tende una mano per farlo, due persone irrompono nella sala: una Kitsune dai capelli neri di nome Miiko ( ... ) e una sorta di Troll gigante di nome Jamon. Entrambi sono visibilmente allarmati e Miiko, furiosa, ordina a Jamon di rinchiudere l’intrusa in cella. Erika si ritrova in una cella molto poco accogliente, sospesa su un laghetto dal colore verdognola alla cui riva c’è una strana figura che la osserva e dopo averle fatto un ghigno agghiacciante si tuffa nell’acqua [e già qui possiamo notare il completo-cambio-di-toni-rispetto-ad-AS]. All’ improvviso qualcuno viene a liberarla: un uomo con una maschera, che senza dire nulla la conduce fuori le segrete per poi scomparire. Completamente spaesata, la nostra protagonista girovaga ed incontra varie altre persone, fino a ritrovare Miiko e a poter avere qualche spiegazione su dove si trovasse e cosa stesse succedendo.  Ecco, questo è il punto in cui arriva un po’ di Infodump e si capisce un po’ cosadiaminestasuccedendoAIUTO. Dunque dunque... visto che non voglio tediarvi cercherò di riassumere in breve (o almeno ci provo) i punti fondamentali qui sotto, anche perché la parte dei RiassuntiDiTrama è quella che tedia sempre me per prima. e_e
Essenzialmente, Erika viene a sapere che si trova in tutt’altro mondo, Eldarya, e che l’edificio in cui è finita è il Quartier Generale Della Guardia di Eel, la città che lo ospita. La Guardia di Eel ha vari compiti importanti, ma primo tra tutti è il proteggere l’enorme cristallo che custodiscono al suo interno, fonte di vita per tutto Eldarya, che poco tempo prima l’arrivo di Erika era stato attaccato e danneggiato, dividendone la maggior parte in frammenti ora dispersi per tutto il mondo. L’indebolimento del cristallo, essendo la fonte di vita primaria per tutti gli esseri viventi di Eldarya, importante come l’ossigeno, aveva portato malattia e carestia, e per questo motivo nella Guardia Di Eel l’allerta era massima. La Guardia si divide in quattro parti, una sezione principale che dirige le altre (La Guardia Splendente, con al comando da Miiko stessa) e altre tre con specifiche competenze e funzioni: La Guardia Ombra, La Guardia Obsidiana, La Guardia Assenzio. Ognuna di queste tre sezioni da un “comandante” (ma di loro parleremo dopo) e in generale tutta la città di Eel funge da supporto per la Guardia stessa e il suo lavoro. Una volta essersi dimostrata un elemento non pericoloso, (”E’ semplicemente completamente inutile e sgradevole e poco intelligente, dai raga guardatela” parafrasi delle parole di un Caro Personaggio a caso) Erika chiede aiuto per tornare a casa. Ma la cosa non è così facile.”
Ecco a grandi linee ciò che serve sapere per introdurre Eldarya. Da questi primi accenni di trama, che coprono a malapena l’inizio del primo episodio, si potrebbe dire che non ci sono premesse per chissà quale innovazione.
Una ragazza finisce in un altro mondo, questo mondo è in crisi, la ragazza vuole tornare a casa - pare tutto già visto. Ma. Ma. Ma. ... questo è solo l’inizio. Prima di passare agli altri punti, bisogna spendere due parole sul cosa succederà poi. Non per spoilerare, ma per spiegare come mai questo gioco ha catturato la mia attenzione. Da veterana giocatrice di As con a carico oltre mille giorni di gioco su tre server diversi (italiano, americano e l’evergreen francese) sono abituata alla sua trama piatta, con punte di elementi interessanti di quando in quando, riassunti in “archi” narrativi dedicati a singoli personaggi. Non è una critica, non sto dicendo che sia male, è solo l’oggettivo stato delle cose: in fondo ha funzionato per anni, ed è quello che si aspettava dal gioco. Ma Eldarya, almeno fino ad ora, ha cambiato del tutto le regole. La trama è grossa, articolata e soprattutto complessa! Non è solo il viaggio di Erika ad essere in gioco - e coloro che conquisterà (?) - ma tutto il destino del mondo in crisi, con le sue regole ed i suoi abitanti, le sue razze e la sua storia. Quesiti come chi ha attaccato il cristallo? Perché lo ha fatto? Come sopravviveranno adesso? Perché Erika ha /SPOILERSPOILER (...sangue di Fairy, ossia la razza di Eldarya)SPOILERSPOILER/, chi è l’uomo con la maschera? E’ dalla nostra parte o no? La guardia di Eel cosa nasconde? Come si spiega la nascita di creature come i famigli se prima Eldarya era vuota? Come è nata Eldaya stessa e chi c’era, se la razza magica è arrivata dopo, fuggita dalla terra? Perché Ezarel è così bravo ad essere stronz...? E varie varie varie altre domande. Sono quelle di una storia Fantasy piena, bella da seguire, e il poterlo fare con i meccanismi di un Dating Game fa piacere.
•  Soprattutto perché così posso introdurre il secondo punto della mia recensione: I personaggi. Altro punto forte del gioco. Forse sono io che mi sono gasata troppo, ma devo dirlo: i personaggi mi piacciono parecchio. Sia per designe, che caratterizzazione, che sviluppo relazionale, che modo di interagire con il prossimo. Nevra, Valkyon e Ezarel non sono solo ragazzi conquistabili: sono i capi delle loro guardie, sono amici tra di loro, amici con altri elementi della guardia, sottoposti di Miiko, e soprattutto sono dei verosimili idioti con più responsabilità addosso di quanto vorrebbero, umani (metaforicamente parlando) fino al midollo. Quanto ho amato vedere le scene in cui li si poteva vedere perfettamente inseriti nel loro mondo, a parlare e a fare cose in cui Erika non fosse il centro assoluto. E quanto ancora è stato bello vederli approcciarsi ad Erika in modo graduale, plausibile e soprattutto personale.Sono cose non scontate all’interno di un Dating Game, o meglio, di una storia in generale. Ma bando alle ciance, basta parlare senza mostrare. Meglio presentarli!
Capo della guardia Assenzio, l’elfo Ezarel.
Tumblr media Tumblr media
L’elfo stronzo, chissà perché so’ sempre loro. Ezarel... eh.  Dalla foto lì sopra sembra il tipico Yanderone, nevvero? No, in realtà Ezarel è persino oltre: Ezarel è una persona orribile e fiera di esserlo, con tanto impegno a peggiorare ogni giorno di più.  Chiariamo, lo so che ci sta sempre il “personaggio che prende in giro”, il punto è che Ezarel non ti prende in giro, Ezarel ti smonta in tutti i modi e si premura di farlo con una mimica facciale meravigliosa. E poi è tsundere. tsundere in un modo atroce, tsundere da parodia, tsundere da “NONMIPIACERAIMAI.NO.NOO.NOOOOOOOOOO!” con annessi versi tipici. (?) E’ quello che meno vuole Erika in giro per Eel. Ci sono varie speculazioni sul perché, ma mi trattengo se no sarebbe s p o i l e r. <3
I suoi dialoghi sono all’incirca così:
“Erika - Oh! Che carino questo animalett... Ezarel - Awh sì, un piccolo Kappa! (^-^)  Lo sapevi che di solito afferrano i bambini sull’orlo degli specchi d’acqua e traggono piacere personale nel vederli affogare lentamente e dolorosamente? Erika - . . .stai scherzando? Ezarel -  Io non scherzo mai sui bambini atrocemente affogati dal popolo del piccolino che hai tra le braccia.... (° O °) Erika - . . . Ezarel - Sei traumatizzata? Sconvolta? Segnata a vita? Hai deciso di andartene immediatamente da qui e non rompere più? Oh... ;; ... .. Btw mi lasci la tua reazione di miele fuori la porta prima di andare? Grazie. <3″
In generale ogni sua conversazione sarà piena di amore. Non pare voler instaruare chissà quale rapporto con i membri della sua guardia, e secondo me vuole bene a Nevra e Valkyon soprattuto perché sembrano aver ormai completamente accettato il suo essere una persona orribile. (?) Come capo della guardia Assenzio, è colui che si occupa principalmente dell’alchimia: dalle preparazioni di pozioni, alla ricerca, analisi e raccolta degli elementi necessari. Ha una fissa insana per le cose dolci, e passa più tempo a fregarsi le razioni degli altri che a fare altro. Ma non nel senso che le ruba materialmente, nah, troppo diretto... è più un continuo ricattare e trattare male e sfruttare. Il povero Keroshane prima o poi sclera e lo picchia male. Ma pure Erika.
* Capo della guardia Ombra, il vampiro Nevra.
Tumblr media Tumblr media
(No, non l’ho fatto apposta a mettere le sue immagini più grandi. Sono quelle che ho trovato ~) Ecco, Nevra è probabilmente la persona più felice di avere Erika intorno. Fin dal primissimo dialogo non ha fatto niente per nascondere il come sarebbe un’ottima servetta, un ottimo pasto, un’ottima compagnia, un’ottima concub... coff. ‘nsomma, è contento. E meno male, perché in mezzo a tutta una Guardia che fa di tutto per cacciarti stile “Ma che ci fai te qui vai viaaaaa” Nevra è un toccasana, e il suo modo di flirtare è... carino. (?)  Il suo modo di fare è del titto naturale. Crede di essere onestamente irresistibile e che il suo compito sia solo fartelo ammettere ad alta voce, senza sfociare in comportamenti fastidiosi. Vuole fare il gentlevampire, ecco. Si sente molto responsabile della sua guardia e vuole che sia sempre la migliore. Nonostante ciò non è un despota, tratta i suoi sottoposti con rispetto e affetto e mette la loro salute prima della classifica delle guardie, quasi a volerne fare da “padre” (anche se, secondo me, esce più una cosa tipo “Fratello maggiore che sul lavoro vuole essere credibile, accontentiamolo, dai”). Detto ciò, bisogna dire che Nevra è fondamentalmente un amichevole idiota.
A detta degli altri, ha cominciato a credersela tantissimo da quando ha scoperto che sulla Terra gli umani sono fan dei vampiri, ed il resto della guardia si premura di smontarlo atrocemente ogni volta, come ogni gruppetto di amici dovrebbe fare con l’elemento sborone di turno. Il suo credersela però non lo rende superficiale. In quanto capo della guardia Ombra si occupa delle missioni investigative, raccolta informazioni e lavoro “da dietro le quinte”. Sa fare bene il suo lavoro e odia i pettegolezzi e le maldicenze infondate, mostrando un integrità molto più grande di quello che potrebbe sembrare. 
Ciò non toglie che è scemo. Ecco un dialogo tipo con Nevra: “Nevra: Perché hai detto che sono troppo sborone...? Erika: ... ma come hai fatt... eravamo tipo l’altro lato del palazzo! Nevra: Rispondi. ewe Erika: Se davvero hai sentito, sai anche che non sono stata io a dirlo ma gli altri. Nevra: Ma tu non hai negato. èwé Erika: Avrei dovuto? Nevra: Okay, okay, basta! Afferrato il concetto, me ne vado! Non starò ad ascoltare ancora i vostri insulti! Erika: *Non fa nulla* Nevra: ......................................................................*Si gira con fare drammatico* POTRESTI ALMENO PROVARE A FERMARMI. PERO’.” Alla fine gli voglio tanto bene. <3 Ha quel modo di fare da neanche vero tsundere che è quasi adorabile.
* Capo della guardia Obsidiana, il metà-fairy Valkyon
Tumblr media Tumblr media
Dopo due elementi come Ezarel e Nevra, uno come Valkyon arriva per questioni di equilibrio cosmico. Calmo. E’ il primo aggettivo che posso usare. Valkyion è una persona essenzialmente tranquilla, che fa i fatti suoi ed ha semplicemente altro da fare che stare lì a rompere/sclerare come i suoi amichettI sopracitati. Non per questo lo possiamo definire passivo, anzi, il bello di Valkyion sta proprio nel suo modo pratico di approcciarsi alle cose.  E’ il capo della Guardia Obsidiana, quella dedicata all'addestramento dei guerrieri, alle conoscenze sul campo e al combattimento. Ha un enorme senso del dovere,  genuinità nel modo di fare, e quella praticità da “OmoneForteInMezzoAGenteCheSlceraTroppo” che lo contraddistingue sempre. <3 Valkyon è il primo a non avere un particolare schieramento nei confronti dell’arrivo di Erika: se per Ezarel possiamo definirlo negativissimo e per Nevra positivissimo, quello di Valkyion è assolutamente neutro, in linea con il suo modo pratico di vedere la vita. Non conosce Erika, quindi non può giudicarla, in base a come si comporterà avrà la sua opinione -> semplice semplice ~  Due sono state le cose che ho amato di questo personaggio: la prima è il suo rapporto con gli altri personaggi, al di fuori del magico trio. (?) Valkyion è sinceramente amico di  Ykhar, la ragazza leprotta che si occupa di raccogliere nozioni utili, iper appassionata  della lettura. La ascolta fangileggiare sui libri che legge, dei sogni che fa, i posti che vede... senza nessuna traccia di noia o altro: è sinceramente interessato ad ascoltarla, è per lei quell’amicone grosso e forte con cui poter sempre parlare senza nessun doppio fine. Valkyion è il cuginone muscoloso e silenzioso di tutti, semplice ma non banale. Credo che più degli altri due, sia proprio in un personaggio così “calmo” la difficoltà nel rendere bene un carattere senza cadere in cliché o qualunquismi. Quando ci sono scene con lui la prima cosa che sento è una grandissima naturalezza e spontaneità, punto, ma anche un gran nume La seconda cosa che ho amato è il suo essere IL PRIMO CHE SI CAGA IL PROPRIO FAMIGLIO. E FINALMENTE. (Sì, lo so che anche Nevra ha mostrato il suo nell’ultimissimo episodio) (BUT STILL VALKYION LO HA FATTO TIPO NEI PRIMI TRE, MERITA CONSIDERAZIONE) Lo si vede quasi subito preoccuparsi e prendersi cura di un famiglio minuscolo, una  Musarose che ha chiamato Floppy. (?) Se apite il link sopra potete capire con me come Valkyon sia essenzialmente un tenerone, e che il suo ruolo da “QuelloGrossoEForteCheAiutaSinceramenteChiLoE’UnPo’Meno” sia onnipresente. <3
Più che un dialogo prova, per Valkyion userei un’immagine a parer mio _molto_ rappresentativa del suo ruolo nella combriccola:
Tumblr media
Credit: @eldaryastuffs (Sorry for the repost, I will delete it immediately if you mind ^^ I just thought that it was perfect <3) E questo è tutto per il magico trio di faniculli, che anche se sono i love interest principali NON sono gli unici. Ci sarebbero altri due personaggi conquistabili, ma per loro il discorso è un po’ diverso. Uno è Leiftan e l’altro il misterioso uomo mascherato che compare e scompare loscosamente (?) da inizio storia. Ovviamente le voci sulla possibilità che siano la stessa persona girano (anche se io ho altre teorie... ma quello sarebbe un altro discorso, quindi shhhhtt per ora) ma in generale sono entrambi personaggi molto meno presenti dei tre principali, e si mostrano semplicemente come “possibili” nella rosa delle relazioni di Erika. Credo che Chino stessa voglia giocare sulla loro ambiguità, anche perché ha disseminato così tanti possibili indizi da ottenere il classico doppio effetto da “Eh.... sì... potrebbero essere la stessa persona.... potrebbero essere loschi... uhm” e “MA SE ME LO STA DICENDO COSì CHIARAMENTE FORSE E’ PROPRIO PER FREGARMI ARGHHH”. - Nella mia testa, Chino ogni volta che ficca un possibile indizio ride molto. A prescindere. Ovviamente oltre loro c’è una mole IMMENSA di personaggi, che racchiude tutti i membri della guardia Splendente, gli altri membri delle tre guardie, gli abitanti del villaggio di Eel, i purrekos del mercato... e altro ancora. Come ho già detto Eldarya è stato un calderone di creatività per Chino! Mi accingo a terminare questa immensa recensione con le ultime due parentesi importanti!
•  Per quanto riguarda il world building  mi pare che Chino abbia fatto ciò che ogni persona capace di disegnare figo dovrebbe fare: creare un botto di roba. (?) e ficcarla tutta! Il concept di Eldarya è vasto, vastissimo, così come le possibilità al suo interno. Con il proposito di raccontare un Fantasy ha avuto l’occasione di creare razze, scenari, divise, edifici ed ogni altra cosa in modo assolutamente libero ed originale, e si vede. Dalla complessità degl abiti alla cura negli scenari, si vede la voglia di raccontare e di farlo al meglio. Eldarya ha tanti difetti, non è di certo il gioco dell’anno, ma a parer mio gli va assolutamente riconosciuto l’impegno e l’attenzione nel voler proporre un dating Game  più articolato del livello base, con un’attenzione in più del solito. Un esempio lampante: i famigli, gli animaletti che le giocatrici possono scegliere, cercare, conquistare, far crescere ed usare nelle esplorazioni, sono tantissimi. Per ognuno di essi c’è un uovo dall’aspetto specifico, un cucciolo, una versione adulta, un cibo specifico e un’esca per catturarne esemplari, sono sempre diversi e con caratteristiche uniche, e si possono classifiare in varie categorie di “rarità”. E’ una caratterstica non da ignorare nella costruzione della “propria Protagonista”, una parte non indifferente nel rendere l’esperienza di gioco più dinamica e personale
• Ed in questo che rientra perfettamente il discorso del Gameplay, quello che più della trama, dello stile, dei personaggi e tutto... segna il grande distacco tra Amour Sucrè ed Eldarya. Non sto parlando degli episodi in sè, che quelli seguono lo stesso familiare schema del “Usa punti per muoverti, cerca cose, fai robe, parla con gente, cerca nathaniel, non trovarlo, piangi, usa tutto il tuo maana, finito ciao”. Quello di cui parlo è tutto quello che c’è fuori, oltre gli episodi. Partiamo dal mercato, che permette un ricambio continuo di oggetti, dando la possibilità a tutti di mettere in vendita e acquistare, lasciando l’occasione di arricchirsi incredibilmente una volta capiti i trucchetti del mestiere, o di andare in bancarotta dopo una incredibile offerta. (... coff)  Nel momento in cui si voglia prestare un po’ più di attenzione è facile imparare come muoversi, tra sacchi del giorno, oggetti evento e aste da seguire fino all’ultimo! E questo può portare una buona dose di divertimento e si “effetto sorpresa” sempre possibile.
Parliamo poi delle esplorazioni, quelle in cui il famiglio gioca il ruolo chiave. La possibilità di mandarlo in esplorazione per raccogliere abiti o oggetto rari ti spinge a cercare un famiglio adatto, a fare attenzione a cosa ti serve e a cosa farebbe gola sul mercato quel giorno. Il numero di aree disponibili aumenta con l’avanzare della trama, e questo rende l’attesa tra un episodio e l’altro molto più ricca, a mio parere. <3
Poi la classifica delle guardie, il fatto di appartenere ad una fazione ha un suo bel gusto. ~ Ogni minigioco fatto significa punti in più alla propria Guardia che potrebbero portarla alla vittoria dell’oggetto speciale del mese, un oggetto creato apposta per il periodo e messo in palio per tutti i membri della guardia vincitrice più i dieci account he hanno raccolto più punti. Sono tutti elementi nuovi, innovativi ed azzeccati al contesto. La nostra protagonista ha una vita al di fuori degli episodi, e questo porta una buona dose di noia in meno a tutta la giocabilità.
Che dire, ho fatto un discorso molto lungo e me ne rendo conto. Mi pareva giusto però tornare al lavoro con un Commento Corposo.  ~ Devo dire che il mio parere su Eldarya è nettamente positivo, e sono anche sicura che si sia... leggermente evinto dalla qui presente recensione. <3  Come ho già detto, però, non lo sto innalzando a gioco perfetto, ci sono i difetti e nessuno lo nega.  Esempi a caso: La poca cura nelle comunicazioni fa davvero penare, eventi e bug non segnalati adeguatamente, poca chiarezza nella questione dell’attesa degli episodi (non solo il forte distacco dal server francese, ma anche il fatto che alcuni server li fanno uscire un mese dopo altri, senza apparente motivazione), giocabilità rincondante e troppa voglia di far sprecare mana in certi punti...). Non è un gioiello nella rosa dei dating game (come potrebbe esserlo Mystic messenger, esempio a caso) MA a mio modestissimo parere si conquista lo stesso un posto tra i migliori, e questo va riconosciuto. Consiglio a tutti gli appassionati di fantasy ed otome di provarlo, superare i primi momementi di spaesamento di fronte all’incredibile mole di oggetti, famigli e meccaniche, e di godersi il gioco per quello che è: un ottimo dating game online molto meno banale del solito. Divertitevi a provarlo e ricordate che trovate il link ad inizio Commento!  Alla prossima passeggiata nella Valle.  ☆  See ya ~
4 notes · View notes
pangeanews · 5 years
Text
“Ma quel giorno l’incontro con Buzzati non fu entusiasmante”: Antonia Arslan racconta lo scrittore più anomalo della letteratura italiana
Ho incontrato Buzzati solo una volta in vita mia, pur essendo la Val Belluna il mio luogo del cuore; e non fu a Belluno, né nella villa dei Buzzati Traverso a San Pellegrino. Fu a Venezia, in un pomeriggio di tanti anni fa, visitando una mostra di pittura alla Fondazione Bevilacqua La Masa.
Io avevo letto e amato i suoi tre libri di racconti, I sette messaggeri, Paura alla Scala e Il crollo della Baliverna, che mio padre – medico di gran fiuto e pass ione letteraria – aveva a suo tempo comprato appena usciti; e alcune di quelle novelle straordinarie (come Le buone figlie, Una cosa che comincia per elle, I ricci crescenti) perfettamente costruite nel solco della grande tradizione novellistica italiana, mi avevano colpito in un modo fortissimo e un po’ segreto, quasi costringendomi a rileggerle ogni tanto per impararle più a fondo. Ne fu anche profondamente influenzata la mia visione del bellunese, come offrendomi una chiave di lettura che mi rivelava la natura profonda delle sue montagne, delle sue ville, delle «vallette amene» coi ruscelli mormoranti – e dei misteri che esse celavano: dov’era la valle remota dove si svolge l’angosciante storia dell’Uccisione del drago? E la villa dei nobili signori Gron, con la terribile padrona di casa che rifiuta di salvarsi pur di non rinunciare al decoro e alla buona creanza? O l’altra villa, di cui Buzzati ci fornisce anche un plausibile nome veneziano, La Doganella, in cui ambienta la cupa tragedia de I topi? E il protagonista del Borghese stregato dove muore, se non nella nostra Susin di Sospirolo, all’albergo Doglioni, con i suoi anditi e la sua torretta segreta, il parco con le statue coperte d’edera e il fitto bosco del Comunale dove noi bambini combattevamo ogni giorno?
Ma quel giorno a Venezia l’incontro con Buzzati non fu particolarmente entusiasmante: mi strinse la mano, gli dissi che amavo i suoi racconti e i suoi articoli sul Corriere della Sera e che li leggevo d’un fiato, e lui rispose con un sorrisetto: «Si leggono facilmente, il difficile è scriverli». Pensai che avesse ragione, scrivere chiaro è davvero difficile (ero alle prese in quei giorni con un punto complicato della mia tesi di laurea sui mosaici ellenistici, che non mi riusciva di spiegare bene), ma nel frattempo lui si voltò da un’altra parte e se ne andò con degli amici. Ci rimasi un po’ male, ma poi finii per andarmene anch’io, in compagnia di un ragazzo che mi piaceva molto. Continuai però ad amare Buzzati e a seguirlo, e mi piacque anche Un amore, il discusso romanzo della sua estrema maturità. E quando – a inizio di carriera – mi arrivò la proposta di scrivere su di lui, accettai con entusiasmo: mi parve un buon segno che il mio primo libro di saggistica fosse su un autore che conoscevo e che amavo, in quella collana della casa editrice Mursia intitolata Invito alla lettura di…, in cui comparivano gli scrittori italiani più importanti del Novecento.
Nel frattempo Buzzati era morto, annientato dal cancro. Non potei chiedergli l’intervista che, dopo aver accettato di scrivere il libro, avevo subito pensato di fargli. Grazie a un amico contattai allora Almerina, che mi invitò ad andare a casa sua a Milano: e là trascorsi una giornata entusiasmante e strana, perché lei, vedova da poco, ancora un po’ frastornata e incerta sul da farsi, mi accolse con straordinaria amabilità, parlando di tante cose, di sé, di lui e del loro matrimonio; mi fece vedere e sfogliare i famosi quaderni, sui quali Buzzati aveva annotato – giorno dopo giorno, anno dopo anno – nella sua scrittura chiara e precisa, idee, impressioni, raccontini, pensieri, quasi sempre completandoli con disegnini a penna. «Qualche volta –mi disse Almerina – prendeva da lì qualche spunto per un pezzo sul Corriere. Allora li spargeva tutti sul divano e li sfogliava per ore».
Il grande soggiorno era molto accogliente e diviso in diverse parti. Sul davanti, di fronte al divano, una splendida vetrata lo illuminava tutto. La zona pranzo era all’interno, divisa da un gradino (così mi pare, dopo tanti anni…), con un tavolo da pranzo allineato al divano; e in mezzo, sopra lo schienale, il lungo ripiano con sopra i quaderni ben allineati. La stanza poi si allargava verso destra in un ambiente rettangolare con una piccola scrivania sul fondo. «È là – continuò Almerina in tono riflessivo – che scriveva. E dietro, vedi la libreria? Ci aveva messo tutte le traduzioni dei suoi libri. Non lo diceva in giro, ma ne era orgogliosissimo, perché nessun collega scrittore era tradotto quanto lui». E io pensai: «Forse Guareschi?», ma mi guardai bene dal dirglielo…
Ripensando a quell’incontro, oggi potrei forse dire che fu un’occasione perduta. Avrei – forse –potuto cercarla di nuovo, la bella Almerina dal veneziano nome settecentesco e dalla treccia viva giù per le spalle, farmi dare i quaderni da leggere, entrare nel mondo che lui aveva lasciato, nell’«officina dello scrittore», come si usa dire… Ma più che inseguire i frammenti del suo vissuto, o le tracce non elaborate della sua scrittura, avevo in realtà voglia di misurarmi con le sue opere compiute, di analizzarle nella loro verità, di inseguire le forme e le ossessioni figurative e creative di questo autore così importante ma così anomalo nel panorama italiano, affabile orgoglioso e segreto, che non aveva aderito a nessun movimento letterario, né al «realismo magico» di Bontempelli né al neorealismo postbellico, che parlava con nostalgica venerazione di eserciti e fortezze, di boschi animati, di animali antropomorfizzati e dolenti (o giustamente aggressivi) e di montagne percorse da occulte presenze: uno scrittore del nord che non amava raccontarsi, ma raccontare. Soprattutto, raccontare storie.
Antonia Arslan
*Si pubblica per gentile concessione parte dell’introduzione di Antonia Arslan a: “Dino Buzzati. Bricoleur & cronista visionario”, Ares, 2019
L'articolo “Ma quel giorno l’incontro con Buzzati non fu entusiasmante”: Antonia Arslan racconta lo scrittore più anomalo della letteratura italiana proviene da Pangea.
from pangea.news https://ift.tt/34ThJiR
0 notes
weirdesplinder · 5 years
Text
Lizzie Grace serie, di Keri Arthur
Keri Arthur è finalmente tornata alle origini e ha iniziato una nuova serie paranormal con una forte eroina dotata di poteri magici e proprio come con Riley Jensen, la serie porta il suo nome: LIZZIE GRACE.
La serie è piuttosto interessante, non posso dire innovativa, perché non lo è, ma ha alcuni spunti interessanti e comunque è ben scritta. Keri Arthur è sempre una certezza in questo.
Ma passiamo alla trama generale. La serie è ambientata in un mondo moderno simile al nostro in Australia ma con alcune piccole differenze. Infatti in quel mondo magia e scienza convivono fianco a fianco, e le streghe più potenti sono considerate un importante assetto da tutti i governi.
Come in molti altri libri del genere la magia si trasmette geneticamente, quindi negli anni le famiglie con poteri magici hanno combinato matrimoni fra loro e fatto molti figli per accrescere il loro potere e non sminuirlo, e anche se ogni tanto qualche strega non facente parte di una di queste famiglie compare a causa di relazioni extraconiugali, è una cosa abbastanza rara e non molto ben vista. Nel caso non si fosse capito queste famiglie così potenti hanno la puzza sotto il naso, si autogestiscono e sono libere di farlo, sono una casta che tiene moltissimo al ruolo che ha acquisito. E intende fare di tutto per mantenerlo. Mandano tutti i loro figli a un prestigioso college di magia, combinano i loro matrimoni fin da piccoli, controllano ogni aspetto delle vite dei figli, chi più chi meno, pur di mantenere il potere.
Lizzie Grace, la protagonista è una strega e fa parte di una delle famiglie più importanti e potenti i cui membri (vedi matrimoni per secoli tra consanguinei specie in passato) hanno tutti capelli rossi e occhi grigi. All’inizio il lettore non sa molto sul passato di Lizzie, sa solo che da più di dieci anni, da circa quando aveva sedici anni è in fuga dalla sua famiglia e vive sotto falsa identità. Sa che sua sorella maggiore è morta e lei si sente responsabile per non essere riuscita a salvarla, sa che ha paura dei suoi famigliari, che non era una strega molto potente nonostante il suo lignaggio e che era sempre stata considerata strana perché quando è giunto il suo momento per scoprire chi sarebbe stato il suo famiglio (uno spirito guida/aiuto che prende forma animale e aiuta le streghe grazie ai suoi poteri, anche se limitati, e può prestare loro la sua forza vitale) con un rito speciale è accaduta una cosa che sembra non sia mai accaduta prima (o almeno così crede Lizzie) il suo famiglio si è scoperto essere Belle, un’altra strega di una famiglia minore, e sua migliore amica. Belle sa cosa è successo a Lizzie ed è fuggita con lei e si nasconde con lei, anche se le pesa non poter contattare o vedere i suoi genitori, con cui al contrario di Lizzie aveva un ottimo rapporto.
Poste queste premesse noi lettori incontriamo Lizzie e Belle, nel momento in cui si sono appena trasferite per l’ennesima volta (non stanno mai troppo nello stesso luogo per paura di venire ritrovate) stavolta hanno deciso di aprire un piccolo cafe nella riserva di licantropi di Faelan.
Piccola nota a parte, in questo mondo non solo esiste la magia, ma anche gli esseri soprannaturali: licantropi, vampiri, e altri demoni o esseri vari sono noti agli umani, ma non totalmente. Diciamo che licantropi e vampiri sono noti a tutti anche se cercano di tenere nascoste tutte le loro abilità per tutelarsi e non amano mischiarsi con gli umani, specie i licantropi, i vampiri per necessità devono interagire con gli umani e si fingono più innocui di ciò che sono. I licantropi invece a volte vivono in riserve create da loro, dove loro sono la giustizia e se gli umani vogliono viverci devono sottostare alle loro regole. Diciamo che l’umano normale di questo mondo teme sia le streghe che i licantropi che i vampiri…
Lizzie è una strega perciò sa difendersi, ma va notato che tra le razze sovrannaturali non corre buon sangue. Specie nella riserva dove Lizzie decide di trasferirsi perché sembra che poco tempo prima del suo arrivo uno stregone abbia causato la morte della figlia del capo del clan di licantropi più potente della riserva. Poi Lizzie scoprirà che le cose non sono andate proprio così, anzi…, ma non voglio svelarvi troppo.
Mi limito a dirvi che per riuscire a venire ammessa alla riserva Lizzie si finge una strega frutto di una indiscrezione di un membro minore della famiglia di cui invece fa parte a pieno titolo e si finge anche quasi priva di potere, rivelando all’inizio solo le sue capacità psicometriche innate, che le permettono di usare gli oggetti per ritrovare i loro possessori…Altrimenti nemmeno l’avrebbero fatta entrare, perché come dicevo la famiglia principale odia le streghe, soprattutto l’erede maschio della coppia alfa che invece poi una volta scoperta la verità sulla morte della sorella, e conosciuta meglio Lizzie finirà per infatuarsene, e lei di lui, nonostante entrambi sappiano che la loro storia non ha futuro in quanto lui essendo erede degli alfa dovrà procreare dei licantropi per perpetrare il clan e cementare magari una unione con un altro clan tramite il suo matrimonio….e poi come dicevo i licantropi non amano le streghe in generale….
Fatta questa lunghissima premessa finalmente vi parlo dei libri che formano la serie, che per il momento sono 5, ma la serie non è conclusa, e sono purtroppo inediti in italiano.
Tumblr media
 1. BLOOD KISSED
Quando Lizzie Grace e Belle Kent hanno deciso di trasferirsi nella riserva di licantropi di Faelan non sapevano che fosse sede di una sorgente naturale di magia pericolosamente rimasta senza guardiano (una strega con una preparazione speciale in grado di tenerne sotto controllo la magia e tenerla a bassi livelli) da mesi e nemmeno che il consiglio di licantropi che la dirige odiasse le streghe perché l’ultimo guardiano era fuggito dopo aver ucciso la figlia del capoclan più potente della riserva…quindi le poverine si trovano un poco spiazzate davanti all’odio che ricevono dopo l’apertura del loro caffè.
Ma quando i licantropi, precedentemente avvertiti da Lizzie dell’assoluto bisogno di richiedere un altro guardiano al più presto perché una sorgente non controllata attira ogni genere di essere malefico che se ne vuole servire per i suoi scopi, e allarmati da una serie di uccisioni che sembrano causate da un vampiro fuori controllo…si rendono finalmente conto della precaria situazione in cui si trovano e le chiedono aiuto in quanto è l’unica strega che hanno nella riserva al momento, lei accetta di darglielo anche se l’hanno trattata a pesci in faccia e sa benissimo primo di non essere abbastanza potente per controllare la sorgente, secondo che se fallirà le daranno ogni colpa e terzo che l’arrivo di un nuovo guardiano è per lei un rischio perché potrebbe trattarsi di una strega legata al suo passato in grado di riconoscerla e avvertire i suoi famigliari.
 2. HELL’S BELL
 Ora che Lizzie, Belle e Aidan il ranger figlio dell’alfa del clan più potente della riserva hanno scoperto quanto è pericolosa una sorgente incontrollata sono riusciti a convincere il consiglio a richiedere un nuovo guardiano, anche perché hanno scoperto che l’ultimo è morto insieme a sua moglie che era la sorella minore di Aidan e che non l’ha uccisa per avidità o cattiveria, ma bensì per amore perché lei malata da tempo gliel’ha chiesto e con un incantesimo molto complicato e potente creato utilizzando i poteri della sorgente, che ha legato per sempre l’anima di lei ( e in parte quella di lui) ad essa. Quindi la sorgente anche se pericolosa non è del tutto incontrollata poiché è la volontà della sorella di Aidan a guidarla, è quasi senziente e ha deciso di collegarsi con Lizzie per proteggere sé stessa e la riserva dal male all’occorrenza.
Infatti Lizzie, nonostante sia veramente una strega non molto potente, è speciale in quanto sua madre ha tentato di controllare una sorgente mentre era incinta di lei, quasi morendo per colpa dell’esperimento, e quindi Lizzie ha una alta tolleranza per i poteri della sorgente, come ha appreso nel primo libro.
Ha anche una forte attrazione per Aidan, che lui ricambia anche se all’inizio quasi l’odiava ora che sa che fine ha fatto veramente sua sorella, ma i due con tuti i casini che accadono non riescono quasi a trovare il tempo di uscire assieme.
Infatti un nuovo cattivone è arrivato in città attirato dalla sorgente e stavolta si tratta di una strega in gradi di resuscitare i morti. Per fortuna ad aiutare Lizzie arriva il nuovo guardiano richiesto dal consiglio dei licantropi al consiglio delle streghe, uno stregone un poco in là con gli anni, che fa parte dello stesso clan di streghe di Lizzie (infatti le ricorda suo nonno) ma molto alla lontana e che per fortuna non la riconosce appartenendo a una generazione molto lontana alla sua. E’ anche una persona un poco burbera ma molto alla mano e pronto a sporcarsi le mani se necessario, ma lui stesso si renderà ben presto conto di non essere abbastanza potente per controllare quella sorgente così speciale…
 3. HUNTER HUNTED
IL Natale si sta avvicinando e sia Belle che Lizzie vorrebbero un poco di calma per goderselo, Lizzie in particolare per poter stare di più con Aidan con cui ha iniziato una storia che sembra farsi sempre più seria anche se entrambi sanno che non ha futuro. E anche Belle sta uscendo con un bel licantropo.
Ma purtroppo ecco comparire una nuova minaccia, sembra che forse un demone sia nel loro territorio o forse una strega che ha fatto un patto con esso…una strega che fa magia nera è pericolosissima e molto potente e sia Lizzie che il guardiano Ashworth temono che i loro poteri non saranno abbastanza per fermarla e intanto quella da la caccia ai licantropi e li scuoia lasciando i corpi in giro affinchè loro possano trovarli…
4. DEMON’S DANCE
Ashword è quasi morto per poter sconfiggere lo stregone nero, e molti licantropi sono stati uccisi, questo spinge finalmente il consiglio ha richiedere un guardiano più potente per la sorgente al consiglio delle streghe, che stavolta manda loro uno stregone più giovane e che Lizzie purtroppo conosce bene.
Si tratta di suo cugino, che per fortuna le ha sempre voluto bene (ed è sempre stato innamorato di Belle) e accetta di non rivelare al resto della sua famiglia che lei è viva e di averla trovata, ma che la avverte che i suoi purtroppo la stanno ancora cercando. Lizzie finalmente rivela a lui e poi ad Aidan e ad Ashworth cosa esattamente l’ha spinta a fuggire dalla sua famiglia (e anche il lettore finalmente lo scopre con loro). Quando era ancora ancora minorenne suo padre l’ha costretta con la forza e la magia a sposare uno stregone di un altro clan molto potente molto più vecchio di lei, che poi la violentò la prima notte di nozze. La mattina dopo Lizzie fuggì con l’aiuto di Belle che colpì suo marito con una maledizione di impotenza…
Aidan, Ashworth e suo cugino sono increduli e le giurano che non lasceranno che i suoi la portino via anche se la trovassero. Ora lei è maggiorenne e può chiedere il divorzio legalmente, sempre che non riesca addirittura a fare annullare il matrimonio visto che era stato forzato, cosa comprovata dal fatto che suo cugino le rivela che nessuno della famiglia sa del matrimonio, i suoi lo hanno mantenuto segreto e suo marito si è persino fidanzato con altre donne…
Lizzie si rende finalmente conto che potrebbe agire contro i suoi attivamente, invece di continuare a fuggire, potrebbe riappropriarsi della sua vita e anche Belle, non sono più sole e non sono più delle ragazzine…ma la vecchia paura in parte la blocca ancora e poi non ha tempo per poterci rimuginare sopra perché un nuovo cattivo è arrivato in città attirato dalla sorgente un essere che comanda il fuoco…. E fermarlo per Lizzie, suo cugino e Ashword non sarà facile, neppure con l’aiuto della sorgente…
 5. WICKED WINGS
 Lizzie è piuttosto felice. La storia con Aiden va a gonfie vele (se non si conta sua madre che la odia in quanto strega, ma se lo aspettava), Ashword e suo cugino sono sopravvissuti all’attacco dell’ultimo cattivone (anche se quest’ultimo è rimasto ferito alle gambe), il locale va bene, i suoi non l’hanno ancora trovata…ed ecco che è proprio in questo buon momento che tutto crolla.
In città arriva una strega cacciatrice che cerca proprio lei, mandata dal suo odiato marito e Lizzie non può certo evitarla per sempre, inoltre sono arrivati anche tre esseri soprannaturali alati che cacciano carne maschile umana…e il fantasma di una strega molto potente decisa a cacciarli a loro volta per vendetta e ad usare il corpo di Belle per farlo…
0 notes
sportpeople · 6 years
Text
Venire in Germania è sempre una scommessa ed ha sempre qualcosa di affascinante. Innanzitutto il paese mi piace molto e quando scopro una nuova città, la curiosità mi spinge anche di più. La cosa strana è che vivo accanto alla Germania ma ci vado pochissimo, forse una o due partite a stagione, perché a livello ultras ho sempre dei “pregiudizi” sullo spettacolo degli spalti. Per questa ragione sono più in giro per il mondo a vedere ultras che nella vicinissima Germania, dove da vent’anni lo spettacolo nelle curve è cambiato drasticamente.
Infatti la mia prima volta in Germania fu per vedere il Marsiglia a Brema il 3 novembre 1998. Il movimento ultras aveva appena iniziato a muovere i suoi primi passi in Germania e solo alcune squadre avevano un gruppo ultras al seguito. Era il mio primo incontro con il tifo tedesco e in particolare con alcuni tra i pionieri del mondo ultras locale, gli East-Side Bremen, gruppo che non esiste più oggi. Posso solo dire che non rimasi affatto impressionato dal loro tifo, ma bisogna ammettere che questi ragazzi hanno avuto la passione e la spinta per fare crescere qualcosa di nuovo in un paese dove nelle curve c’erano solo tifosi “carnevaleschi”, con i Kütten, i famosi e pittoreschi giubbotti di pelle pieni di spille e toppe, o ancora i temibili hooligans che solo pochi mesi prima, fuori dallo stadio di Lens per la Coppa del Mondo del 1998, avevano massacrato un gendarme francese.
Mainz, marchi sul territorio
Vent’anni dopo mi ritrovo in direzione di Maiz, o Magonza com’è anche conosciuta in Italia, grazie all’immutata passione per il mondo ultras. In vent’anni tanto è cambiato, non parlo solo di Internet o degli smartphone, dei social network e della post-socializzazione, ma anche il tifo ha subito profondi mutamenti, basti pensare alla stessa Italia perduta della fine degli anni 1990, dove era sempre un piacere andare allo stadio per vedere uno spettacolo sugli spalti il più delle volte grandioso. Ma in altri paesi, alcuni di questi cambiamenti sono avvenuti anche in senso positivo: è il caso della Germania, dove il manipolo di “fedelissimi” ultras della fine del millennio, sono riusciti a convincere altri ragazzi che si poteva andare allo stadio in un modo diverso.
Il risultato di questi ostinati è sotto gli occhi di tutti: chi poteva immaginare che la Germania sarebbe diventato un modello di tifo nel 2018? Perché dobbiamo ammetterlo, io per primo che nutro diffidenza per gli ultras tedeschi: le immagini del loro tifo non possono far altro che piacere. Ma di fronte a certe immagini si è sempre pervasi da un sentimento particolare, persi nel dubbio della discrepanza tra le immagine e la realtà. È proprio per questo che vado pochissimo in Germania, perché nella ventina di partite che ho visto in questo Paese, non son mai stato in grado di varcare questo dubbio e convincermi al 100% dello spettacolo sugli spalti. Alla fine, come sappiamo tutti, lo stadio è uno specchio delle nostre società: cresciuto col modello italiano, ho sempre apprezzato la pazzia mediterranea del tifo, la passione ed il calore che andavano di pari passo con l’innovazione e l’organizzazione. Ed in Germania, anche se è una paese di malati di calcio, la passione rimane sempre un po’ sotto controllo e lo si nota nei gruppi e nelle curve. Comunque, questo è una sensazione che rimane del tutto personale, ma se ho l’occasione per scoprire una nuova realtà tedesca, ci vado ugualmente con curiosità.
Sticker art ultras
Sulla strada che mi porta a Magonza noto già, a 70 km della città, graffiti sui muri dell’autostrada e soprattutto sotto i ponti: ogni paese ha le sue caratteristiche nella cultura ultras ed il movimento tedesco ha sempre portato con sé un aspetto molto “underground” (con i famosi adesivi fatti in casa che sono stati i primi ad attaccare ovunque, dando il “la” alla cosiddetta “sticker art” in chiave ultras) e tra questi devo dire che la battaglia sui muri degli ultras tedeschi è molto interessante. Il territorio non va solo presidiato ma va indicato e negli ultimi chilometri, almeno una quindicina di graffiti vanno via via infittendosi accompagnandomi a destinazione.
Magonza, per chi non lo sapesse, è una delle città più vecchie della Germania, dove i celti prima, poi i romani hanno dato linfa alla sua crescita. Per mezzo millennio la città rimase sotto il domino dell’Impero e fu la capitale della provincia della Germania superiore. Il museo centrale romano-germanico, fondato nel 1852, testimonia questo traguardo storico. La città è famosa anche per il suo ruolo religioso, essendo stato uno degli arcivescovadi tra i più importanti del Sacro Romano Impero. Magonza ha esercitato un ruolo importante nell’evangelizzazione delle popolazioni slave e germaniche, per questo la sua diocesi si è guadagnata l’appellativo di “Santa Sede”, come quella di Roma, privilegio unico nel mondo cattolico. Alla fine del X secolo, Villigisio, il suo arcivescovo divenne inoltre Arcicancelliere del Sacro Romano Impero, il più importante dei sette Elettori dell’Imperatore. Fu lui ha dare l’inizio ai lavori della grande cattedrale che domina il centro storico.
La “Opel Arena”
Appena arrivato decido di scoprire il centro a piedi. Lascio la macchina e punto dritto verso il Reno. Questo fiume, importantissimo per il Nord-Ovest dell’Europa, passa par Magonza e spiega il suo sviluppo economico. Siamo a novembre e tra umidità e freddo, le temperature sono già invernali. Percorro le vie a piedi e noto con interessante come, al pari di tante città tedesche, rimangano poche cose del suo glorioso passato. I bombardamenti degli alleati hanno infatti cominciato a prendere di mira Magonza già nel 1942 mentre, nel 27 febbraio 1945, la città fu colpita in maniera terribile dai bombardieri britannici. Alla fine del conflitto venne distrutta per l’80%. Per questo si possono notare cose interessante dal punto di vista urbanistico e tante volte i centri storici delle città tedesche sono abbastanza simili fra loro. Anche se questo è un po’ anche uno specchio del capitalismo, che ha trasformato tante metropoli europee in non luoghi tutti con gli stessi identici negozi per mettere a proprio agio i consumatori ma annientando e le tipicità locali.
Magonza è anche un centro culturale importante, la prima università fu fondata nel 1477 e un personaggio locale cambiò per sempre il destino del mondo inventando la stampa a caratteri mobili, un tale Gutenberg che divenne giustamente il suo figlio più celebra. Infine c’è una tradizione molta diffusa nella zona ed è il carnavale renano: Magonza è uno dei tre più importanti centri di questo folklore, con Colonia e Düsseldorf, e non è un caso se in città si possono già comprare le maschere: dall’11 novembre, alle ore 11 ed 11 minuti, le 11 leggi del Carnevale sono lette dal balcone di un palazzo storico dal sindaco. Poi dal I gennaio inizia il carnevale vero e per tre mesi ogni fine settimana c’è una festa. L’anno scorso, gli stessi ultras locali organizzarono la trasferta a Francoforte sotto il segno del carnevale, accompagnandosi con i colori sociali di questo evento, cioè il blu, il bianco, il rosso ed il giallo.
Tifosi del Borussia… non solo nel settore ospiti
Malgrado il freddo, noto che ci sono tifosi delle due squadre in giro per il centro storico. In Germania, al contrario di tanti paesi europei, si percepisce velocemente quando c’è una partita di calcio. Si possono notare sciarpe, magliette o capelli delle due squadre, sia su bambini ma sopratutto su adulti che assomigliano al proprio vicino di casa. Il clima è molto tranquillo, non c’è una rivalità tra le due squadre e una parte dei tifosi ospiti (che viene non solo da Dortmund, ma proprio da tutto la Ruhrgebiet – regione della Ruhr in tedesco – ed anche da tutto il paese) approfitta della partita per fare un po’ di turismo prima di andare allo stadio.
Un’ora prima del fischio d’inizio prendo la direzione dello stadio che è fuori città, vicino all’autostrada. L’impianto è stato inaugurato nel 2011, dopo due anni di lavori. Il posto dove è edificato fa paura, sembra che un genio dell’urbanistica abbia deciso di piazzarlo proprio in mezzo al nulla. Ma siamo in Germania e malgrado la folla, la logistica è ottima, grazie anche ai parcheggi della vicina Università o i mezzi pubblici come il tram. Organizzazione al top, come al solito ed anche se sono a due chilometri dallo stadio, arrivo in tempo. Non c’è quasi nessuno al botteghino degli accrediti, un quarto d’ora prima del fischio d’inizio, ed in pochi minuti sono sulle tribune dopo un controllo di sicurezza molto rilassato.
Curva o tribuna, pari partecipazione
L’1. Fussball und Sporverein Mainz 05 non è la società più famosa della Bundesliga. Il suo palmares è alquanto scarno, ma, come sempre in Germania, non c’è bisogno di slogan un po’ vuoti come “tifa per la squadra della tua città”, perché qua la gente ama il calcio a prescindere e dunque i tifosi ci sono sempre, in barba a scudetti e vittorie. La squadra locale, fondata nel 1905, ha soprattutto giocato al secondo livello del calcio tedesco ed è approdata per la prima volta nel massimo livello della Bundesliga solo nel 2003/2004. L’allenatore che li portò a questo storico traguardo è un ex giocatore dell’FSV Mainz che per undici stagione e 325 partite ha portato la maglia rossa addosso e dal 2001 è stato appunto tecnico della stessa. Questo attaccante riconvertito difensore è un giocatore modesto, un certo Jurgen Klopp poi diventato famosissimo come tecnico. Sara sua l’impresa: nel 2004 arriva la Bundesliga e un anno dopo la prima apparizione in Europa grazie a un premio Fairplay. Ma la squadra retrocesse nel 2007, a Jurgen Klopp non riuscirà l’impresa di tornare in Bundesliga e lasciò così la sua squadra del cuore. La stessa finalmente ritrova la Bundesliga nel 2009 e non la lascerà più fino ad oggi. Quell’anno fu decisa la costruzione del nuovo e più grande impianto per sostituire il vecchio Bruchwegstadion che aveva un capienza di 18.000 posti e che fu sede dei biancorossi dal 1929 al 2011.
Il cuore commerciale della “Opel Arena”
L’Opel Arena può invece accogliere 33.305 spettatori e oggi fa il pienone. Il nome deriva ovviamente dallo sponsor. La prassi del “naming rights” viene dagli Stati Uniti, in Europa i primi ad adottarla furono i proprio i tedeschi dell’Amburgo nel 2001. Ora in Germania è ormai cosa comune, a tal punto che la quasi totalità degli stadi della Bundesliga sono sponsorizzati. Questo stadio 2.0 è molto simile ad altre strutture viste in Germania. Mi ricorda un po’ quella del Kaiserslautern al suo interno, per l’architettura e soprattutto per il fatto che sembra una specie di supermercato a cielo aperto, con tanti posti per consumare cibo ultra-industriale e bevande chimiche, o l’immancabile birra in bicchiere di plastica in pronta consegna. Poi tanti fan-shop, cioè negozi per tifosi, e altri posti per ricaricare le tessere necessarie per compare le bevande o il cibo-spazzatura all’interno dello stadio. Ovviamente si può fare il giro con calma, cosa molto utile e noto comunque anche dei murales carini.
La coreografia iniziale del Mainz
Entro in tribuna stampa, a pochi minuti dal calcio d’inizio. Da qui si capisce che lo stadio è leggermente interrato: il terreno verde non è all’altezza del suolo, il che fa sempre strano. Cinque minuti prima del fischio d’inizio, alcuni tifosi fanno da portabandiera e vanno al centro al campo, un classico degli stadi tedeschi. Dopo di che tutto lo stadio tira fuori la sua sciarpa per un «You’ll never walk alone» sempre particolare e fuori moda secondo me, perché il fiume che passa qui si chiama Reno e non Mersey… Comunque la sciarpata è bella e su tutte le tribune, tranne nella zona ultras del settore ospiti. Poi le squadre entrano finalmente in campo.
La curva di casa, guidato da un solo gruppo, gli Ultras Mainz, fa una semplice coreografia con due aste e bandieroni, niente di particolare ma il risultato è sempre efficace. Dall’altro lato gli ospiti son tanti e si nota. I due settori ospiti son pieni, poi nella curva accanto al settore e nelle tribuna ci sono un sacco di tifosi gialloneri: il Borussia è in testa della classifica ed è anche una delle squadre più popolari della Germania, con tifosi in tutto il paese. Si nota nei parcheggi, con targhe di diverse città e anche straniere. Tranne nella curva di casa, ci sono tifosi del Dortmund un po’ dappertutto.
La coreografia ospite
Il settore ospiti tira fuori una bellissima coreografia, niente di molto complicato ma d’impatto. Tante volte si cerca l’originalità a tutti i costi, ma vedendo lo spettacolo proposto, capisco che certe cose sono sempre gradite. Tutti i presenti tirano fuori la stessa sciarpa giallonera con scritto BV Borussia 09 (anche questo un altro classico degli ultras del paese, che ho già visto in altre tifoserie) e al centro del settore spicca il logo della squadra. Per finire una banda di colore (uno striscione) giallonera è messa proprio tutto attorno al settore, e riprende il motto sulla sciarpa con i caratteri identici: BV Borussia 09. Per onestà intellettuale, bisogna dire che in Germania, le società mettono spesso sul loro sito internet ufficiale le misure dei settori ospiti, per potere facilitare il lavoro dei gruppi che vengono. Un dettaglio molto significativo di come i tifosi siano considerati. Se vogliamo essere pignoli, possiamo sempre dire che è molto tedesco, e dunque tutto organizzato, ma ribadisco che facilitare il lavoro dei tifosi sia un segno di considerazione importante.
L’arbitro dà il via alla partita. Nel settore, a coreografia finita si notano perfettamente le diverse anime del tifo ultras del Borussia: in basso c’è il gruppo trainante The Unit, attivo dal 2002, con accanto i Desperados dal 1999 ed al centro si posizionano i più recenti Jubos che sta per Junge Borussen (cioè: giovani sostenitori del Borussia) dal 2005. In basso, sulla recinzione, ci sono due lanciacori dei due gruppi magiori, con due tamburi più uno al centro dove ci sono i Jubos. La coordinazione è buona, ma il cuore del tifo è concentrato nel parte centrale-bassa del settore. Sullo striscione dei Desperados, si nota uno stendardo per gli amici catanesi della curva sud che li invita a non mollare. Poi ci sono alcuni stendardi a due aste e un paio di bandieroni sventolati per tutta la partita.
Nella grande curva di casa soprannominata Block Q, forse troppo grande per gli Ultras Mainz, il tifo parte da due lati opposti, con i lanciacori che si danno tantissimo da fare per sopperire alla difficoltà logistica. La curva prevede solamente posti in piedi, la capienza è di 16.005 spettatori e per questo solo una fetta in basso del Block Q canta per tutta la partita, mentre i lati e soprattutto la parte superiore seguono pochissimo. Nonostante questo il tifo c’è, non mi distrugge le orecchie, ma devo dire che è buono e risulta pure continuo. Si possono notare due stendardi con diversi colori nella curva di casa, uno del Gate 10 dell’Iraklis Salonicco, più precisamente della sua sezione locale, per l’amicizia che lega i greci agli Ultras Mainz ed anche uno stendardo in italiano, immagino per un ragazzo della Casertana, vista anche qui l’amicizia con i rossoblù. Infine uno striscione in inglese, credo per un ragazzo locale.
Bandiere e due aste Mainz
In un primo tempo che scorre veloce e si chiude con un 0-0, gli ultras del Borussia si fanno notare, ma fra alti e bassi. Chiaramente cantano per tutta la frazione, ma certe volte faccio un po’ fatica a sentirli, mentre in altri momenti si sentono benissimo. Approfitto per andare al buffet della tribuna stampa fra primo e secondo tempo dove c’è di tutto, anche tante birre, ma sono solo le 16.20 e fa un freddo terribile che obbliga qualsiasi persona di buon senso a prendere un the o un caffè caldo. Torno al mio posto e sul campo il gioco si fa più duro: il Borussia prova in tutte le maniere a metterla dentro, ci riuscirà al 66° minuto per la gioia dei suoi tanti tifosi la cui esultanza si nota anche in mezzo alle due tribune. Da qui il tifo giallonero rimbomba, ma gli Ultras Mainz capiscono che è il momento di spingere i loro ragazzi e tre minuti dopo la loro squadra segna il goal del pareggio. Esplosione nella curva e in tutto lo stadio, la gente ci crede e spinge l’undici locale a segnare il secondo goal, ma il pragmatismo del Borussia s’impone e al 76° minuto segna il 2-1.
Subumanità accattona
Per il pubblico locale sarà un duro contraccolpo e poco a poco le voci si spengono, solo gli Ultras Mainz provano a cantare, ma sarà dura sentirli come prima. Il settore ospite invece impazzisce e capisce che il primo posto è il loro. Prima della fine, la curva di casa tira fuori un altro striscione, sembra sempre per uno dei loro. Durante i minuti di recupero, nel secondo settore ospite, in basso si vedono bandiere internazionali fatte su cartelloni artigianali per richiedere le magliette ai giocatori belgi, spagnoli, ecc. del Borussia. La cosa forse più insopportabile nel calcio 2.0, sono le telecamera che filmano quasi con felicità questi casi umani. Il tifo ultras è totalmente all’opposto di questi soggetti che non solo non tifano durante la partita, ma fanno sfoggio di un individualismo e di un protagonismo miserevole solo per mendicare una maglietta che potrebbero comprare con molta più dignità. I ragazzi delle curve, con tutti i difetti che hanno, fanno invece del collettivismo e dell’aggregazione il proprio punto di forza. Non ci sono ultras individualisti perché il concetto non esiste, e già solo questo, che si ami o meno la cultura ultras, è una vittoria. In una società dominata dall’ego(t)ismo e dal consumismo, è una fortuna che ci siano ancora ragazzi che credono e decidono, solo per la gloria, di mettersi insieme, di mettere il gruppo, il bene comune ed il tifo sopra di tutto. Come mi diceva un ragazzo poco tempo fa: «Essere ultras è accettare le decisione della collettività, soprattutto quando non ti vanno». Penso che non ci sia migliore approccio nelle nostra società umanamente divise e frammentate.
Applausi all’impegno profuso
L’arbitro fischia la fine delle ostilità in campo, i locali sono delusi ma non fischiano i loro beniamini. Sapevano che sarebbe stata un’impresa ardua e ai giocatori con la maglia biancorossa riconoscono di averci messo la voglia. Come sempre, i giocatori prendono tempo per salutare il pubblico e la prima cosa che fanno è andare sotto la curva degli Ultras Mainz che tirano fuori le sciarpe, come per dire “ci crediamo ancora”. Dall’altro lato esplode la gioia dei giocatori gialloneri che vanno sotto il settore e prendono le sciarpe giallonere utilizzate per la coreografia. È festa e per due minuti la comunione fra le parti è molto forte.
Finisce qua la mia giornata nel cuore della Bundesliga e posso sicuramente trarne un bilancio importante. Chiaramente vale sempre la pena scoprire nuove realtà. La passione che abbiamo per il mondo delle curve esiste in tanti posti, ma sia che si parli di Serie A, Ligue1 francese o Bundesliga, bisogna rassegnarsi all’idea che l’industria calcistica ha vinto da tempo ed il confine tra tifosi e clienti è ormai molto sottile. Quando sto per partire, noto alcuni spettatori cinesi, turisti venuti appositamente all’Opel Arena per assistere a questa gara. Domani magari saranno sotto il muro di Berlino e dopo domani sul lago di Costanza. Questo è il calcio che vogliamo? Ovviamente no, ma l’industria non è interessata alle nostre contestazioni: muta, evolve e continua a propinare uno spettacolo ai consumatori che tutti siamo ormai diventati, volenti o nolenti.
Sébastien Louis
Mainz, marchi sul territorio
Sticker art ultras
Sticker art ultras
La “Opel Arena”
Tifosi del Borussia… non solo nel settore ospiti
La coreografia iniziale del Mainz
Curva o tribuna, pari partecipazione
Il cuore commerciale della “Opel Arena”
La coreografia ospite
Bandiere e due aste Mainz
Subumanità accattona
Applausi all’impegno profuso
                Mainz-Borussia Dortmund, Bundesliga: volenti o nolenti siam tutti clienti Venire in Germania è sempre una scommessa ed ha sempre qualcosa di affascinante. Innanzitutto il paese mi piace molto e quando scopro una nuova città, la curiosità mi spinge anche di più.
0 notes
deliridacallcenter · 7 years
Text
I colloqui selettivi
Appena il tl confessionale tutto-fare, il CTF, varca lo stipide, oltre dagli efflui, viene assalito dalla fila di opt, fila che assomiglia a quelli dei vecchietti che dalle 5 della mattina si piazzano davanti alla porta del pane fresco per accapparsi la pagnotta migliore.Il CTF non si è neanche slacciato il primo bottone della giacca che in 30 secondi li hanno già fatto 365 domande, da come accedere alla timbratrice a come curare il brufolo del pelo incarnito. E quindi, il CTF non ha avuto il tempo neanche di appoggiare la borsa, che il suo incrucciamento sopracigliare ha già raggiunto livelli da guiness dei primati.
Con gli occhi iniettati di sangue, il fumo che esce dalle orecchie, tra un grugnito e l'altro, ripete a se stessa il suo mantra 'l'omicidio non è legale purtroppo', e cosi facendo sentenzia un diplomatico, 'devo salire a fare i colloqui, potresti chiedere agli altri 5 colleghi? Grazie'.
Pregando tutti gli dei conosciuti, e anche quelli sconosciuti, prega di avere il dono dell'invisibilità, non solo per sfuggire alla massa di bipedi senza consapevolezza del pollice opponibile, ma anche per poter aver la gioia di randellarli sulle gengive senza conseguenze legali.
Con questa preghiera, il CTF si avvia ad effettuare i colloqui: colloqui effettuati in gruppo, divisi equamente tra persone della categoria 1 e 2.
'Buongiorno sono il supervisore della commessa, avete i vostri CV?'
E da li inizia la prima scrematura: da chi non è conoscenza della funzione 'delete' di Word utilizzando sbianchetto e penna per le correzioni a chi ha utilizzato pergamena dei discendenti di Amun Ra, inchiostro 24 carati e profumo di lavanda; da chi non mette la foto identificativa a chi utilizza photoshop meglio di Vogue.
Per non parlare della presentazione fisica: va bene che non stai facendo il colloquio come AD di Armani, ma presentarsi con pigiama, caccole agli occhi e cereali tra i denti sembra eccessivo.
'Allora, la commessa va dal lunedi al sabato dalle 8 alle 20 con contratto di 20 ore settimanali, con retribuzione di circa 600 euro netti. E' una commessa molto dinamica con svariati contenuti e in perenne aggiornamento. Essendo un servizio di in certo tipo, ogni reclamo potrebbe farci finire sui giornali. Per questo motivo quando siete a lavoro, vi chiediamo la massima dedizione e resposabilità. Ci saranno due/tre giorni di formazione non retribuita da 8 ore. Avete domande'
Le prime domande variano da come fare i cambi turno e se sono fissi, dalla possibilità di fare ore in piu. E ci sono i geni che chiedono anche per le ferie, creando il normale pensiero 'manco hai iniziato...depennato'.
Poi arriva l'eroe di turno, 'scusate mi sembre vergognoso che si spenda cosi poco per la formazione per un servizio di cosi alto valore. Per di piu con delle condizione lavorative cosi assurdi e schiavizzanti.'
Alzata di sopracciglia del CTF, depennato.
E prima di passare ai colloqui effettivi, nel silenzio più assordante che imbarazzante, lo squillo di un cellulare, 'scusa posso rispondere?'
Dilatazione oculare proporzionale alla voglia di prenderlo a badilate sulle ginocchia, con il pensiero di 'visto che mi dai del tu, ero cosciente quando abbiamo fatto colazione insieme?!?'
Con risposta di circostanza, 'stiamo facendo dei colloqui.'
'Si ma devo tenermi delle occasioni aperte'
Depennato.
'Va bene lascio parlare voi, chi vuole iniziare?'
E cosi si iniziamo le interminabili ore che diventano giorni di colloqui.
'Io ho già lavorato nel call center di prenotazione taxi ma ho lasciato per via dei ritmi troppo serrati.'
'Cosa intendi per ritmi troppo serrati?'
'Beh troppo serrati, non mi piaceva.'
'Si, ma per serrati intende troppe chiamate, troppi applicativi, troppe cose da ricordare.'
'Si un po tutto, troppe chiamate, non ce la facevo, troppo sfiancante.'
Depennato.
'Ciao, io è un po che non lavoro, ho lasciato tutto perchè soffrivo di attacchi di panico, soprattutto quando dovevo affrontare certi clienti e situazioni, ma credo sia giunto il momento di mettermi in gioco.'
Considerando che lo xanax qui dentro ha più smercio delle cuffie, depennato.
Arriva poi il gruppo dei serial killer, in libera uscita dall'ospedale psichiatrico, sguardo fisso verso il muro, mani sulle gambe, 'ciao a me piace questo lavoro, lo faccio da sempre.' Commenta mentre fissa dritto negli occhi il CTF senza neanche batter ciglio, per poi ritornare a fissare il muro.
Scende un brivido lungo la schiena e bastava poco che aggingesse 'quando poi i clienti mi fanno incazzare, li aspetto fuori casa, li faccio a pezzettini e li nascondo nel congelatore.' Depennato.
'Ciao. Io sono 10 anni che lavoro nel customer care. Sono calma e non perdo mai la pazienza.' Dichiara senza lasciar trapellare emozione.
'Visto la complessità del servizio, come gestiresti un reclamo?'
'Beh, inanzittutto, il cliente deve moderare i termini perchè se non voglio, il problema non lo risolvo. A termine della chiamata io sono ancora li e il problema lui ce l'ha ancora.'
Dilatazione oculare che neanche dopo un serata con Lapo. Depennato.
Arriva poi colei la cui massima ambizione è quella di fare la velina di Corona, 'ciao, io ho fatto un sacco di stage come assistente in teatro e c'è mi son laureata in belle arti e teatro. Ehm, c'è Non ho mai lavorato in un call center e c'è, non credo sia tanto complicato, insomma c'è.' Dichiara mentre scrocchia le dita e gioca con i capelli.
Depennata.
Dopo 3 settimane, e aver visto il peggio del genere umano: gente che non sa neanche come accendere un pc pensando che excel sia un strana malattia venerea e che Google sia un tipico dolce natalizio turcmeno, la cui alfabetizzazione ti fa veramente comprendere il degrado del sistema scolastico italiano e di come il congiuntivo è uno sconosciuto spaventoso da evitare come la peste cosi come ogni coniugazione verbale, il cui encefalogramma è più piatto della pianura padana pensando di sapere comunque tutto e di più, 500 bipedi colloquiati, 20 selezionati. Il genere umano è messo male, necessita di una nuova piaga purificatrice.
0 notes
yoursweetberry · 7 years
Text
Niente, ti avviso che è lungo, non so se hai tempo, modo o voglia di leggere ma io avevo bisogno di parlare.. Io non lo so se te ne sei accorta e se hai capito che uscita da là dentro ero agitata e delusa e non riuscivo nemmeno a spiegarmi perché ero nervosa.
Io non penso di sbagliare a voler cercare un qualcosa che sia adatto a quelle che sono le mie capacità. Non è questione di voler snobbare qualcosa rispetto a un'altra, ma io non aspiro a fare le stampe per le tovaglie o le tende. O meglio quel tipo di cose che volevano quei tizi, perchè ci stanno pure tovaglie e tende belle eh! Ma non era quello il caso.
Non mi ha dato una buona impressione nemmeno l'ambiente dove stavamo non era nemmeno un ufficio, era una stanza strana era tutto in disordine e mi dava il senso di sporco, poi quel tizio non riusciva nemmeno a parlarmi in italiano, davvero non lo so spiegare, a un certo punto se n'è anche uscito con la frase “vabbe poi tu sei donna quindi puoi capire il prodotto la tovaglia la tenda..” no aspe ma che significa? che ragionamento è? cioè boh io, in cosa posso crescere?
Dall'annuncio tra l'altro, non aveva scritto che cercava qualcuno che facesse queste cose, bensì tutt'altro, infatti io pensavo fosse un'agenzia da quello che chiedeva, ma non è stato così, chissà da dove lo aveva copiato quell'annuncio boh. Cioè se devo andare a fare un lavoro solo per guadagnare i soldi (che poi non so nemmeno se me li avrebbe dati e quanti), rispetto a questo, preferirei fare la commessa, la baby sitter, il doposcuola, la cameriera (se sapessi portare i piatti) ma non quello, in quell'ambiente, davvero.. Io non ho detto che non voglio lavorare o non voglio accontentarmi di fare qualcosa mentre trovo altro, ma accontentarsi fino a un certo punto, e quello non mi è sembrato adatto.
Tra l'altro è molto lontano da casa mia, questo aveva detto un posto, ma era praticamente a un altro e per arrivarci la strada è un casino, stava pure in mezzo alle terre, e boh dovrei andare in un posto così dalle 8 di mattina alle 7 di sera senza possibilità di tornare mai nemmeno a pranzo e nello spacco non poter manco prendere aria perchè dove cazzo vado nelle terre?
Non lo so se io mi faccio capire.. io non voglio stare fresca fresca a fare la principessa ma non voglio andare nemmeno a fare qualcosa nel degrado perchè altrimenti non spendevo tempo ne facevo spendere soldi ai miei per studiare per poter fare qualcosa di dignitoso almeno.. e in questo caso anche fare la commessa è un lavoro dignitosissimo, anzi perfetto a confronto (e non sto denigrando le commesse è solo per dire che per farla non necessariamente devi avere dei titoli specifici).
Io ci voglio pure andare a una parte lontano da casa dove devo per forza tornare la sera, ma voglio farlo in un ambiente dove posso stare bene, dove posso crescere, dove posso migliorarmi. Io non lo so se chiedo troppo, non credo.. e sto mandando le cose anche a Napoli anche alle agenzie che non hanno annunci ma se non chiamano che ci posso fare..
Io ci sto provando, io non mi sto mantenendo le mani sulla pancia.. stare ferma non mi fa sentire bene, ma nemmeno accettare qualunque cosa in qualunque modo mi farebbe vivere bene. Mi sto dando almeno un mese per dedicarmi solo alla ricerca di questo tipo di lavoro, perchè è quello che vorrei fare nella vita, ma se in questo periodo vedrò che non c'è niente, mentre aspetto più tempo, cerco anche le cose in qualche altro campo per arrangiarmi. Io non lo so, mi sento incompresa, mi sento sola, lo sono, e a volte sento proprio di non farcela. Mi faccio schifo da sola a lamentarmi e lagnarmi ma sto male è la verità, sto male per questa cosa, per mille altre e a volte vorrei solo poter parlare essendo ascoltata veramente, con interesse, e ricevere un po’ di sostegno morale, ma anche in questo caso probabilmente è chiedere troppo..
0 notes
saggiosguardo · 8 years
Text
L'alta definizione approda finalmente su Now TV
Lo scenario on demand italiano è in continuo miglioramento e quasi tutti i principali servizi internazionali sono ormai approdati nel nostro Paese: l'ultimo in ordine di tempo è Amazon Prime Video, seppur con un'offerta ancora limitata rispetto a quella Oltreoceano (ma è compresa nel costo del Prime annuale, pertanto finché sarà così non si guarda in bocca al caval di fatto donato). Per diverso tempo, tuttavia, il problema non è stata solo l'assenza dei player di rilievo. Anche alcuni di quelli già presenti sono stati in una modalità definibile scolasticamente "l'alunno ha le potenzialità ma non si applica". Può rientrare in questa categoria l'ex-Sky Online, diventata Now TV lo scorso giugno. Graduali passi avanti ci sono stati nel tempo, come un set-top-box dedicato, l'aggiunta di nuovi canali e pacchetti, un'app per smartphone, ma per quasi tre anni tutto si è limitato alla definizione standard. Una scelta anacronistica che oggi è finalmente stata superata col lancio dell'offerta HD.
Per chi ha di recente sottoscritto un abbonamento alla piattaforma Vodafone TV, questa mossa non risulterà nuovissima, dato che lì Now TV era già in HD. Si può in un certo senso dire che gli utenti Vodafone, oltre a godere di un'anteprima commerciale, hanno fatto da tester per le ultime settimane di preparativi prima di estendere l'alta definizione a tutta l'utenza del servizio OTT targato Sky. Preparativi che in generale hanno richiesto più del previsto, dal momento che la miglioria era stata promessa entro il 2016.
In cosa consiste l'offerta HD di Now TV? Se si utilizza il servizio e si ha sottoscritto uno o più pacchetti tra Intrattenimento, Serie TV e Cinema, i canali compresi nel proprio piano avranno anche una versione a 720p, disponibile in una sezione dedicata, mentre i contenuti on demand saranno serviti a 1080p. La copertura lineare riguarda tutte le emittenti dei già menzionati ticket, ad eccezione di Sky Sport 24, Disney Junior e Nick Jr, che rimarranno disponibili solo in SD. Se per gli altri due la scelta è comprensibile, non avendo nemmeno su Sky satellitare un feed in HD ed essendo destinati a bambini piccoli, per Sport 24 è una limitazione strana dal momento che la versione in alta definizione è già attiva da anni e di fatto viene utilizzata per il downscale a SD, come avviene anche per gli altri canali dei pacchetti Sport e Calcio. Proprio questi per ora rimarranno a risoluzione standard, un'occasione persa per chi come il sottoscritto avrebbe desiderato guardare gli eventi sportivi a una qualità superiore (non che l'attuale sia comunque male, anzi, si tratta di un buon SD, posto che connessione e servizio siano stabili).
Venendo alla parte commerciale del discorso, ecco la parte più dolente. Il piano HD sarà un pagamento aggiuntivo rispetto al pacchetto già sottoscritto, per la precisione 2,99 € al mese. La buona notizia è che tutti i clienti di Now TV con almeno uno attivo tra i tre pacchetti principali o che lo attiveranno entro il 28 febbraio godranno della versione in alta definizione inclusa senza alcun sovrapprezzo fino all'eventuale disattivazione del rinnovo automatico; le sottoscrizioni dal 1° marzo prevederanno la gratuità dell'opzione solo col trio completo Intrattenimento+Serie+Cinema. Ulteriori iniziative promozionali destinate alle nuove utenze sono la presenza dell'HD già nella prova iniziale gratuita di 14 giorni e la possibilità di avere combinazioni di 2 o 3 ticket con uno sconto di 5 € al mese per tre mensilità. Se si vuole anche il Now TV Box, è possibile approfittare del bundle che prevede il dispositivo e tre mesi di un pacchetto a scelta con HD a 29,99 €. In aggiunta al già menzionato box, il servizio a 720p/1080p potrà essere usufruito pure su console e Smart TV Samsung, mentre su smartphone e tablet rimarrà il solo SD.
Un cambiamento importante, doveroso per un servizio online moderno, in un mondo che a dire il vero sta già guardando al 4K. La speranza è che quanto avvenuto nella giornata odierna sia il primo di una lunga serie di graditi miglioramenti che Sky andrà ad apportare a Now TV, tanto in termini di contenuti (in primis estendere l'HD a Sport e Calcio) quanto di stabilità.
Articoli correlati:
Deadmau5 approda con un suo programma su Beats1 Con il lancio di Apple Music, la società californiana ha...
Samsung Pay si espande e approda in Cina, ma richiede gli ultimi smartphone I pagamenti elettronici sembrano essere un settore molto ghiotto per...
Arriva Fitbit Alta, l'activity tracker di lusso Fino ai primi di dicembre del 2015 Fitbit deteneva la...
from L'alta definizione approda finalmente su Now TV
0 notes
pangeanews · 5 years
Text
“Nessuno prima di lui ha osato tanto”: il libro di Giorgio Anelli su Simone Cattaneo è una pugnalata d’oro, una regola di vita
Oltre allo sguardo, ci vuole il salto; il radioso irragionevole, la turbina selvatica del rabdomante, non la mappa del geologo dei versi, di certo, del filologo, filantropo della letteratura. Il libro di Giorgio Anelli, che è poeta nella sostanza essenziale, è fuori tempo, fuori norma, anomalo, commovente, bislacco, eccessivo, inadatto, necessario. Una stilettata furtiva con coltello dalla lama d’oro. Intendo, il libro di Giorgio Anelli dedicato a Simone Cattaneo. Di culto et orfico (Giuliano Ladolfi Editore, 2019). Un libro, dico, che non tenta l’intelletto ma chiede una adesione incondizionata, scritto in una fratellanza, dieci anni dopo la morte di Cattaneo, che precede la biologia: riguarda il modo in cui Rimbaud stringe la mano a Baudelaire e Verlaine getta nell’empireo il dio biond-azzurro; la compassione con cui Hawthorne, in una duna di sabbia nei sobborghi di Liverpool, davanti al mare grigio, brutale, tocca la spalla di Melville e ne stana l’inquieto; il gelido gergo di Beckett sul muso dei retori: il Nobel bisognava darlo a Joyce. Riconoscenza, riconoscimento, inginocchiatoio. Giorgio Anelli fa di Cattaneo lo zenit della ‘nuova’ poesia italiana, l’esperienza capitale. Il suo pamphlet – scritto come Dino Campana potrebbe scrivere di Walt Whitman – ha la violenza di una chiamata, non è privo di agnizioni sulfuree (sui Cieli di Cattaneo, ad esempio: “È piena di cieli la poesia di Simone Cattaneo. Cieli desiderati, forse. Cieli evocati in nome di che cosa? Cieli privi di speranza, ai quali imporre adunate di pioggia. Tutto, di rimando, è rivolto alla terra. Il poeta guarda quasi sempre dall’alto, senza trovare l’innesto tra terra e cielo. Non accadono misteri, solo sensazioni a volte d’aria calda che suona. Il cielo è la sua ossessione”). Ha una grazia grave e cruda, questo libro, che non è né esegesi né omaggio: agitazione, piuttosto, manuale mistico, regola di vita. A Giorgio Anelli, in altro contesto, scrivo, “essendo presenti, non abbiamo bisogno di presentare né di presenziare”. Direi questo, di Simone Cattaneo – la sua presenza è tale, è così sovrabbondante, da occludere il ricordo, foss’anche il tentativo. (d.b.)
Perché Cattaneo? Che evidenza letale trovi nella sua opera?
Perché Cattaneo è un faro nella burrasca della poesia contemporanea italiana ed europea. La sua opera, credo sia veramente il seme di una nuova tradizione poetica. Questa è l’evidenza letale che emerge dai suoi versi. Non ho dubbi. Ne parlo a ragion veduta. Nessuno prima di lui ha osato tanto. Creare un genere, che rientra a pieno titolo nel canone poetico letterario italiano, un genere ‒ dicevo, unico e per ciò originale, comporta la responsabilità di un rischio per nulla calcolato ma voluto, di un maledettismo visionario che non ha precedenti nella nostra storia.
Perché Cattaneo? Che rapporto hai avuto con lui, e come si lega la tua ricerca letteraria alla sua?
Perché Cattaneo ha immaginato, vissuto, scritto versi provocatori, così come dev’essere sempre nella letteratura e in poesia: un terremoto improvviso che sconquassa non solo la città, ma che faccia sentire scosse in tutte le tue membra. Io non ho mai conosciuto Simone di persona. È morto prima che venissi a conoscenza della sua esistenza. Il mio rapporto con lui è legato alla sorte e a un testimone d’eccezione che, indirettamente, me lo ha fatto conoscere; instillando prima in me molta curiosità, e poi tutto quello che ne è conseguito, fino alla stesura di quest’ultimo libro. Il 6 settembre del 2014, al Festival di Borgomanero, Temporelli tenne una lezione proprio su Simone Cattaneo, presentandone l’opera e leggendo un’unica poesia. Fu una testimonianza eccezionale, che mi ha permesso a poco a poco di scoprire, leggere e conoscere le poesie di Simone. Infatti, chiesi prima a Giuliano Ladolfi, che mi regalò Nome e soprannome, poi a Temporelli stesso, il quale mi procurò Made in Italy e mi regalò Peace & Love, opera completa e postuma di Cattaneo. Nel 2017 ebbi un ulteriore dono graditissimo e inaspettato. Il nipote di Simone, Lorenzo, mi regalò l’ormai quasi introvabile plaquette La pioggia regge la danza. Il fulcro della ricerca letteraria di Cattaneo risale al 2004, quando il poeta esternava il desiderio di verità e il desiderio di rappresentare la realtà nel suo modo di scrivere. Proprio perché ho riconosciuto fin da subito nell’opera di Simone Cattaneo una voce potente, unica e irripetibile, ciò mi sprona a essere me stesso nell’influenza di un’eco che, come appena detto, non avrà mai rivali: credo sia il senso della tradizione, di ogni tradizione.
Perché Cattaneo? Estrai un verso, un brandello di versi dal lavoro di Cattaneo e spiegami perché per te è importante, che valore ha?
“Di tutto ciò che non so/ vorrei solo un bisbiglio…”
Aprendo a caso il libro, trovo questo verso che per me è importante perché rappresenta il vero senso della poesia. Quella verità e realtà che ti possono solo raggiungere parzialmente, da lontano, nell’imboscata di tutta la tua ignoranza.
“…Lei mi manda a quel paese e dice di andare a letto che fra poco mi tocca correre in cantiere. Qualche pastiglia strana, quelle per dormire e quelle per dimenticare, perché le danno solo ai fottuti tossici che non valgono niente, a noi le dovrebbero dare, noi che lavoriamo sodo e non pensiamo mai a rubare”
In questi versi il valore è racchiuso non solo nella descrizione accurata di una realtà deludente quanto tutt’ora presente in Italia, bensì soprattutto nella beffarda ironia di chi, al nostro posto, cioè il poeta, ha voluto scoprire e dire una certa verità.
“…Guardo una donna dalle orrende tette cadenti e mi rifilo una raffica di pugni in pancia. Non sono stato tradito”
Cos’hanno d’importante questi versi? Indicano il fatto che Simone non mentiva a se stesso come a nessun altro. Vivere il maledettismo, per poterlo scrivere. Scrivere del maledettismo, per smascherarne la visionarietà, della quale lascio la curiosa scoperta ai lettori.
Perché Cattaneo? A tuo avviso, nel caso di Cattaneo, la morte ha santificato l’opera o l’opera ha una forza propria che vince la morte?
Perché Cattaneo è insieme l’urlo e il silenzio che ognuno di noi si porta dentro. La gioia e la ferita di una vita in divenire. Rispetto alla domanda, sono vere entrambe le enunciazioni. Nel senso che, se dobbiamo credere ai cliché, la sua morte sicuramente fa brillare l’opera di un’aurea indissolubile. Ciò che aveva scritto e pubblicato riceveva l’imprimatur nella scelta del suicidio, a divenire opera di culto e assoluta. Ma, a mio avviso, è soprattutto vero il contrario, e tento proprio di dimostrarlo nel mio saggio. Ovvero, l’opera di Simone Cattaneo era ed è già di per sé immortale, in quanto possedeva e, a maggior ragione, possiede sempre di più oggi un chiaroveggente maledettismo mai tentato prima da nessun altro in Italia. Tanto meno in Europa. Con uno stile, quindi, e con dei messaggi ben precisi, che io leggo nell’ascolto delle sue parole profeticamente scagliateci addosso.
L'articolo “Nessuno prima di lui ha osato tanto”: il libro di Giorgio Anelli su Simone Cattaneo è una pugnalata d’oro, una regola di vita proviene da Pangea.
from pangea.news https://ift.tt/2y19mDc
0 notes
pangeanews · 7 years
Text
Essere incomprensibili è il vanto della (cattiva) poesia italiana. Per fortuna c’è Kate Tempest, il fenomeno poetico che scala le classifiche
In Italia l’avrebbero linciata. Il sacro tribunale della poesia nazionale l’avrebbe costretta all’abiura, oppure alla condanna al rogo. Nel mondo anglosassone, nessuno vede male un poeta che riesca a vendere e ad avere successo. Qui da noi, non si capisce bene per quale malsana idea di purezza, alcune arti (ciò non vale per la pittura, per es.) debbono auto condannarsi a una vita di nicchia e a non muovere più di qualche euro, altrimenti l’artista in questione rischia l’espulsione dal consesso dei suoi simili. Classiche idiozie all’italiana! Ma per fortuna esiste un altro universo letterario, quello anglofono, in cui Kate Calvert, in arte Kate Tempest, londinese, poco più che trentenne, può dare alle stampe un libro (che è anche un disco) Let Them Eat Chaos, una sorta di poema, e ottenere un successo globale. Anche in Italia, per nostra fortuna, il testo è riuscito ad arrivare nelle librerie, grazie alla E/O Edizioni, con il titolo Che mangino caos, e alla trasposizione del bravo Riccardo Duranti (che tutti ricorderanno per essere stato il massimo traduttore italiano di Raymond Carver). La storia che viene raccontata nei versi della poetessa è molto semplice, ma di ampio respiro. Sette vite di sette persone molto diverse tra loro, nella Londra odierna della crisi, ognuna preda di una strana e ineluttabile insonnia. Tutto avviene alle 4:18 del mattino (in molti vi hanno voluto scorgere un riferimento, o almeno un omaggio, alla Sarah Kane di Psicosi delle 4:48, malgrado la lieve differenza d’orario). In questa terra e in quest’ora così desolata (l’altra associazione è quella con La terra desolata di Eliot), ognuno di loro fa i conti con sé stesso e con i suoi fantasmi. Cosa scopriranno? Che nessun uomo è un’isola, per dirla con John Donne (“a ricordarti che non sei un’isola”, nelle parole della Tempest).
Come non condividere i versi in cui la poetessa critica appunto questa visione imperante, figlia del più becero thatcherismo: “Il mito dell’individuo/ Ci ha lasciati scollegati smarriti/ e in stato pietoso”. O la sacrosanta constatazione, che suona anche come un monito a chi sembra godere infinitamente delle divisioni che il Potere cerca ogni giorno di porre tra di noi: “Credi che io e te siamo così diversi?/ Ti perdi nei dettagli./ Io e te, separati, siamo più facili da limitare”. Ed è struggente il senso generale, il messaggio positivo – non proprio una costante della poesia, bisogna riconoscerlo – che il poema sembra voler comunicare, il richiamo all’empatia: “La tragedia e la sofferenza/ di una persona che non hai mai incontrato/ è presente nei tuoi incubi,/ nell’attrazione che provi verso la disperazione./ Il malessere della cultura/ e il malessere nei nostri cuori/ è un malessere inflitto/ dalla distanza/ che condividiamo”. Il punto di vista quindi, pur essendo in apparenza circostanziato alla capitale inglese (Londra è una fortezza murata,/ è tutta per i ricchi,/ se non ce la fai/ sei fuori./ Sai dov’è la porta) e alle esistenze dei sette personaggi, vuole essere più vasto. La città e le vite descritte rappresentano la sineddoche di tutta la grande realtà globale e ciò è facilmente comprensibile, fin dal principio del testo. In generale, il poema è trascinante. Andrebbe letto ad alta voce, coram populo, come sta scritto in apertura. La poetessa è anche una performer, appartenente al movimento della Spoken Poetry, altrimenti nota come Poetry Slam. Certo, si tratta di un tipo di poesia, come quella americana (si pensi per es. a Carver), che lascerà spaesato il lettore italiano avvezzo a certi vertici di lirismo – francamente il più delle volte patetici e in stridente contrasto con il nostro tempo. Anche la semplicità e la trasparenza del verso sono qualcosa a cui il lettore, qui da noi, non è granché abituato – essere incomprensibili, ecco quello che paga in Italia. Uniche pecche dell’opera sono certe scivolate nel pietismo e alcuni buonismi che l’autrice si sarebbe potuta risparmiare. La giovane età giustifica tali cadute. Ma l’idea che serva espandere il proprio orizzonte amoroso per salvare il nostro povero mondo, nella comprensione laica di una fratellanza universale, non può certo lasciare indifferenti.
Per approfondire le implicazioni stilistiche e tematiche del testo, siamo andati a intervistare Riccardo Duranti, il traduttore italiano della Tempest. Come immaginavamo, quello che fu a suo tempo il traghettatore di Carver verso il pubblico italiano, non ci ha delusi.
Come è venuto a conoscenza di Kate Tempest?
“È stata la E/O Edizioni a farmela conoscere. Mi contattarono l’anno scorso chiedendomi di tradurre un altro suo testo. Poi, però, decisero di far uscire prima Let Them Eat Chaos. In seguito, vedrà la luce anche il precedente. Siccome non frequento più l’Inghilterra come un tempo, ero rimasto all’oscuro del fenomeno. Ed è stato molto interessante scoprire l’esistenza di questa poetessa, che si è formata in un ambiente non proprio immediatamente connesso alla poesia, quello della musica rap. Eppure, ha una grande cultura classica ed è anche originale. Ha quest’energia incredibile che io ho sperimentato in prima istanza leggendo le sue opere, ma ancora di più assistendo di persona a una sua performance. Quando ho avuto modo di incontrarla è stato strano, perché è la tipica ragazza della porta accanto, ma poi sul palcoscenico si trasforma e diventa una forza della natura”.
Quali sono, a suo avviso, i punti di forza della scrittura della Tempest e quelli deboli, se esistono?
“Sinceramente non ho rilevato dei punti deboli nella sua scrittura. Al contrario, mi è parsa molto originale, oltreché agguerrita. Il difetto principale di uno scrittore, dal mio punto di vista, è quello di essere derivativo, di fare cose già fatte, già sentite, di orecchiare e riproporre tendenze in auge. In lei non l’ho riscontrato. Ogni opera che ho letto mi sembra che prenda una strada nuova, inaspettata, esattamente secondo quella che è la mia idea di letteratura. Se un autore mi ricorda un altro, solitamente lo scarto”.
Dal suo punto di vista di esperto di letteratura anglofona, quali sono le maggiori influenze che ha riscontrato nel poema Let Them Eat Chaos?
Ecco a voi Riccardo Duranti, grand traduttore di Raymond Carver. Ma anche di Cormac McCarthy, Nathanael West e tanti altri.
“Non ho riscontrato influenze, almeno non quelle che uno si aspetta. Si tratta certamente di un poema drammatico che rimanda alla letteratura inglese. Non concordo con chi, per esempio, l’ha ricollegata alla Kane, per quel che concerne la vicinanza d’orario in cui sono ambientate le due opere. Invece, in merito ai riferimenti fatti a La terra desolata di Eliot, posso ipotizzare che rientri nel background dell’autrice, ma mentre il suo è un poema dalla coralità drammatica, in Eliot la coralità è per dir così ieratica. Un nome che mi verrebbe in mente è quello di Robert Browning, nei suoi monologhi, ma quelli erano appunto monologhi. Addirittura, nella Tempest, abbiamo proprio un coro e delle voci individuali a seguire, molto ben distinte ma anche ben amalgamate. In tal senso, si avvicina maggiormente alla tragedia greca. Uno degli aspetti sorprendenti, come dicevo prima, è che lei abbia una cultura classica, cosa che non ci si aspetterebbe in una performer e rapper. L’altro poema che ho letto e tradotto, per esempio, è tutto basato sul mito di Tiresia. Anche questo potrebbe rimandare a Eliot, ma lei lo sviluppa in un modo modernissimo e assolutamente diverso da quello dell’autore statunitense. Quando l’ho incontrata, peraltro, mi ha detto che stava lavorando a una traduzione aggiornata e modernizzata del Filotette di Sofocle. I riferimenti alla classicità, c’è da considerare, paradossalmente, di questi tempi sono una novità”.
Qual è la cifra distintiva della lirica di Kate Tempest?
“È il dare voce a istanze politiche e sociali molto forti, dal punto di vista dei giovani. Nella sua lirica, questi prendono voce e protestano come non accadeva da anni. Denunciano le ingiustizie, il ruolo marginale a cui sono ridotti. Anche in Inghilterra, del resto, è in corso una crisi di lavoro e di prospettive che li travolge, come da noi. La Tempest si fa portavoce di questo disagio, della protesta, e lo coniuga da una parte con la forza presente nei classici, quali quelli greci; dall’altra, con quelle espressioni musicali come il rock e il rap, che però sono più facilmente controllabili dall’establishment. Sappiamo tutti che questi generi nascono come contestatari, ma poi diventano addomesticati, un mondo a parte ben inserito nel sistema. Lei è fuori dai condizionamenti dell’industria discografica. Il suo successo è determinato proprio da questa formula: una preparazione musicale e lirica”.
Quali sono state le maggiori difficoltà nel trasporla in lingua italiana?
“Rispettare la sonorità, la complessità della tessitura musicale che lei introduce nei suoi scritti. La Tempest ha un ritmo ipnotico che è difficile da rendere. Usa molto le rime, la sincope, le ripetizioni. Io, devo confessare, l’ho tradotta prima di sentirla ma, dopo l’esperienza, rifarei tutto da daccapo. C’è una dimensione sonora, di cui ho tenuto conto fino a un certo punto. L’importante, per me, era trasmettere il senso, ma la trama acustica richiederebbe ben altri sforzi traduttivi”.
A suo avviso, nella scrittura della Tempest traspare la sua natura di genere, ovvero il suo essere femminile, oppure la poetessa in questione riesce a superare la sua appartenenza sessuale quando scrive?
“La natura di genere c’è e si sente, ma lei la trascende perché è capace di entrare empaticamente in contatto con l’altro. E poi, gioca molto sullo sfondamento di simili barriere e riesce a intrecciarle nel suo discorso, a mescolare i punti di vista del maschile e del femminile”.
Direi, se non ho compreso male, che la poesia della Tempest è avvicinabile al movimento della Spoken Poetry o Poetry Slam. Vorrei conoscere la sua opinione in merito a queste tendenze all’interno della lirica europea e mondiale.
“Non è niente di nuovo, considerato che l’origine della poesia è fortemente legata alla musica e alla danza, alla performance. Ciclicamente si ripresenta il fenomeno, soprattutto da parte dei giovani, che vorrebbe rafforzare questa componente rispetto a un’idea della poesia più intellettualistica, chiamiamola della poesia di carta. Ma la cosa interessante, come in tutte le tendenze, è che ci sia qualcuno che inizia all’interno di un filone, ma poi lo trascende. E la Tempest mi sembra appunto uno di questi rari casi: sta in quel contesto, ma non riesce a farvisi contenere, perché ha delle ambizioni più generose, vuole andare oltre la semplice tendenza e le forze che la limitano portandola alla ghettizzazione”.
L'articolo Essere incomprensibili è il vanto della (cattiva) poesia italiana. Per fortuna c’è Kate Tempest, il fenomeno poetico che scala le classifiche proviene da Pangea.
from pangea.news http://ift.tt/2B1v2Oq
0 notes